Confini
e
Angelo Romano Condirettori: Massimo Sergenti
collaborato: Gianni Falcone Lino Lavorgna Sara Lodi Antonino Provenzano Fausto Provenzano Gustavo Peri Angelo Romano Massimo Sergenti Cristofaro Sola Silvio Sposito
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RISO
INCROLLABILE FEDE...
Non esiste niente di più odioso delle teocrazie.
Uomini che si arrogano il diritto di essere interpreti dei voleri della divinità, che si ergono a custodi della Verità ed in nome di essa credono di poter distribuire pene e castighi, di poter cancellare vite anche solo per dei capelli fuori posto.
Come contraltare hanno la credulità delle genti, il loro bisogno di certezze e di fede, di rassicurazioni su di una vita oltremondana e di ricompense certe per essersi sottomessi ai voleri di un Dio ed averne osservato i comandamenti.
Non so esiste il Dio delle religioni monoteiste, ignoro anche se siano mai esistiti gli dei della classicità, tuttavia di fronte all'immensità ed alla magnificenza del creato comprendo il bisogno, tutto umano, di credere.
E quand'anche credessi mai mi fiderei della casta dei sacerdoti, dei ministri del culto, degli interpreti del sovrannaturale. Meno che mai quando la casta si fa potere e Stato.
Potere e Stato che, nel nome della ragion pratica, sono pronti a farsi beffe dei presunti voleri della divinità o a distorcerli al punto di attizzare roghi, di benedire stragi e torture, di muovere guerre e consumare stermini per estirpare l'eresia.
L'Iran, per volontà del "lungimirante" Occidente, dalle mani del Re dei Re fu posto in quelle degli ayatollah. Da allora un velo nero di oppressione e di morte è calato su quel popolo, uno dei più antichi del mondo.
E se oggi, a distanza di decenni, si è accesa la scintilla della ribellione lo si deve al coraggio delle donne iraniane che, indomite, sfidano il regime teocratico e la sua "polizia morale".
Stanno pagando e pagheranno un alto prezzo di sangue senza alcuna certezza di poter cambiare le cose. Nessuno arma gli iraniani in rivolta, nessuno li assiste, non si formano brigate internazionali pronte ad andare in loro soccorso, eppure la loro bandiera ha i colori dell'Italia. Non hanno l'appoggio dei Potenti e nessuno stanzierà un solo dollaro per portar loro soccorso.
Sono quindi destinati e destinate ad annegare nel loro stesso sangue, il mondo, il cosiddetto Occidente, sempre pronto a caldeggiare ed esportare libertà e democrazia, non muoverà un dito.
Al più qualcuno, più sensibile di altri, taglierà una ciocca di capelli credendo di aver fatto così un sublime "beau geste", miseri e misere. E sarà l'ennesima strage di eretici, di streghe, di ugonotti e albigesi, di miscredenti colpevoli solo di non volersi velare o di gareggiare in abbigliamento giudicato non consono, di non voler sottostare ad un regime liberticida.
Se mai dovesse esserci una reazione dell’Occidente sarà solo per sanzionare la vendita dei droni kamikaze agli odiati russi.
E, per carità, torturateli pure i prigionieri, ma che non sgorghi una stilla di sangue, per amor di Dio.
Angelo Romano
OSCURE CERTEZZE
Il tema del mese, inutile dirlo, è un ossimoro della miglior specie perché non si limita a 'definire', umoristicamente, il colore del cavallo bianco di Napoleone, non sconfina nella letteratura di Kundera con l'insostenibile leggerezza dell'essere o del Manzoni con il coro dell'Adelchi dove la sventura è provvida, non s'immerge nella poesia di Leopardi dove il naufragar diviene dolce, e nemmeno in quella di Ungaretti con la sua Allegria di Naufragi. Né, tantomeno, assume le vesti di metafora speculativa dove il silenzio può essere assordante, l'attimo divenire infinito, l'assenza ingombrante, la verità falsa e la dolcezza amara. Il tema del mese, invece, oltre a racchiudere l'intero poliedro concettuale, ha di per sé un'inequivocabile carica di pathos che calato nel teatro della vita odierna, in un costante scadimento dell'ethos e del logos, da l'esatta contezza della performance in cartellone.
Recentemente, parlavo a pranzo col carissimo amico Antonino Provenzano sul dopo elezioni e, tra un piatto e l'altro e tra un argomento e l'altro, ci è venuto alla mente quel pregevole, entusiasmante 'pezzo' del collega Rino Sola, 'E ora riprendiamoci il Paese' pubblicato su 'L'Opinione' lo scorso 23 luglio. “ Il prossimo 25 settembre abbiamo la possibilità di riprenderci il futuro. Non sprechiamola. Gli italiani hanno bisogno di credere in una coalizione che non si limiti a vincere le elezioni ma sappia governare. E per governare intendiamo letteralmente: risolvere i problemi della gente a valle, nel momento in cui essi si palesano, ma anche a monte, dove tali problemi si generano. …'. Già. 'Hanno bisogno di credere '. Infatti, nell'appena passata competizione, quasi il 40% del corpo elettorale ha deciso di non scegliere. Ad onor del vero, sarebbe da scagliarsi contro costoro per l'offesa che arrecano all'unico diritto che pare ancora ci resti e dar loro degli inconcludenti scriteriati perché la scelta, qual che si volesse, avrebbe potuto risultare, mai come ora di fronte ai problemi sul tappeto, un segnale d'inversione di tendenza, di ritrovata vigile attenzione, di attribuzione di significative responsabilità. Alla maggioranza e all'opposizione. Invece, una variegata, rilevante parte d'elettorato, che capisco ma non giustifico, è rimasta silente. Una sorta di silenziosa e contegnosa protesta della quale, finora, non ha fregato alcunché ad alcuno. Infatti, per le elezioni politiche in Italia (al pari di altri Paesi), non c'è la necessità di raggiungere il cosiddetto quorum strutturale ai fini della validazione.
So bene che la 'vittoria' non ha bisogno di tanti dettagli, di tante particolarità, non necessita di peculiari disquisizioni e accenti, non richiede nell'azione la ricerca dell'unanimità, così come so che l'ottimo è il più acerrimo nemico del bene.
Ma perché la 'vittoria' si radichi credo che da solo il 'buon governo' non possa bastare se, in concomitanza, non si torna a definire il 'senso' del Paese. Se le storture culturali e operative, perpetrate negli scorsi decenni da maggioranze inconcludenti quando non artatamente devianti non trovino la via del tornio, con tutta la calma e la gradualità del caso. Se non si comprende che la 'fidelizzazione' e il 'radicamento' non significano l'uno una tessera da riempire di bollini-punti e l'altro il solo arredo urbano, ammessa per un attimo la sua validità estetica. Un 'senso' le cui deformazioni sono eclatanti.
Nella passata consultazione, i 'debuttanti' sono stati poco meno di tre milioni, buona parte dei quali ha dato un grosso impulso all'aliquota dei renitenti. L'alto astensionismo tra i giovani, del resto, è un fatto che ha una sua apparente ragion d'essere: non hanno memoria, neppure genetica, di un passato dove la passione soppiantava spesso la ragione e sono tediati dai rituali verbosi e stucchevoli del pre-elezioni, peraltro vuoti d'efficacia tra una legislatura e l'altra. Né, d'altronde, sono allettati da specifiche politiche. Ma non sono quelle le pregnanti, definitive ragioni quanto l'istillata convinzione, ormai diffusa, che possano esistere canali alternativi di democrazia e di espressione di verità e di libertà; e, manco a dirlo, tutti ubicati nel web, la 'ragnatela' che abbraccia il mondo.
Riguardo ai giovani, nella generalità, non si ha piena contezza della loro condizione: sociale, psicologica e filosofica e, spesso, è facile usare luoghi comuni per definirli. La realtà è che quei luoghi comuni ai quali sono ricorsi nei secoli le generazioni precedenti per 'spiegare' quelle successive sono, oggi, completamente fuori prospettiva perché non è da ricercare il tradizionale, genetico ethos attraverso la comprensione dei nuovi modelli e strumenti di manifestazione, 1quanto invece di 'definire' il 'nuovo' ethos che li caratterizza. Afferma un imprenditore veneto : "Siamo alla continua ricerca di operai, introvabili in Veneto. Offriamo compensi di circa duemila euro al mese, ma spesso ai colloqui ci dicono che alle 17 devono già stare a casa", per la fidanzata, per la palestra, per gli amici. Quelli in attività, poi, sono restii ad andare in trasferta, nonostante l'ampia copertura delle spese, e sono poco propensi a concordare le ferie estive. "mi trovo costretto a rifiutare commesse di lavoro per la mancanza di personale", spiega l'imprenditore.
La 'carriera' non è tra i loro obiettivi prioritari. La residenza 'in famiglia' con i 'servizi' annessi li copre dalle incombenze giornaliere, il credito al consumo consente loro vacanze esotiche sia pur low cost, i rapporti di coppia sono 'larghi', di solito non contemplano il matrimonio e, in ogni caso, raramente prevedono la prole. Un eventuale curioso che volesse apprendere quali siano i loro principali interessi dovrebbe fare un 'giro' sui social forum e lì si accorgerebbe che le problematiche sociali ed economiche, internazionali, energetiche, ecc. non rientrano tra questi.
Tutt'al più, un qualche sprazzo d'interesse si registra di fronte a temi ambientali o riguardo a diritti civili. Ma, anche in quest'ultimo caso, la loro espressione non va generalmente al di là degli 'spazi' virtuali di discussione e si incentra per lo più su stringati, perentori giudizi pro e contro; quest'ultimi spesso espressi in linguaggio 'corrotto', quando non da strada o da caserma.
Eppure, quando le istituzioni citano il giovane, lo indicano retoricamente come la 'guida' del domani. Ma, al di là della retorica, per 'guidare' occorre una propensione, una passione, una
coscienza di responsabilità collettiva; in pratica, serve un sentimento politico nella più vasta accezione che, nel complesso, non sembrano possedere. E non per 'cattiva' volontà bensì per disabitudine. Fino ad un quarto di secolo fa, il/la giovane 'frequentava' la politica, ne 'respirava' l'aria, vi 'cresceva' in mezzo, maturava esperienze, si abituava al dialogo e al confronto democratico, ampliava i suoi 'orizzonti'. Poi, via via in maniera sempre più evidente, la politica ha ritenuto di poter fare a meno del supporto partecipativo del suo elettorato ad iniziare da quello giovanile. Così come ha ritenuto di poter fare a meno dei suoi 'segni' distintivi, al di là del nome. Eppure, proprio muovendo dai giovani, quasi come una sorta di 'domino' sociologico, incontriamo la rovesciata 'piramide' generazionale, i gravosi riflessi sulla spesa sociale, gli inefficaci percorsi didattici e formativi, le disamoranti relazioni industriali e condizioni retributive, uno sbrecciato welfare, il disgregato concetto di società, i nominalistici sentimenti nazionali ed europei. In pratica, incontriamo un Paese che arranca su un percorso definito improvvidamente di 'modernità' e di 'progresso', avviato circa trent'anni fa paradossalmente dalla 'sinistra', privata sì dal fisico riferimento ideologico ma erede comunque dei crismi dello Stato etico, pseudo-illuminista e universalista.
E, proprio sulla 'sinistra' c'è da soffermarsi un attimo non foss'altro che per il suo contributo, stavolta, al fenomeno astensionista. Non ho mai visitato quei lidi ma ritengo che anche lì le attese, non più fideistiche, non possano essere disattese sine die. Non è il caso, certamente, di rispolverare il proletariato, 'classe' scomparsa dall'orizzonte politico, economico e sociale ma certo è che esso è stato soppiantato da un lato dal sottoproletariato addirittura e, dall'altro, da una piccola-media borghesia, quasi antitetica al primo in quanto ad esigenze. Due condizioni sociali tra le quali la 'sinistra', da trent'anni, nel contribuire incoerentemente a determinare il primo, ha scelto di 'curare' la seconda, specie se acculturata. Il sottoproletariato, nei decorsi decenni, un po' per fatto mnemonico condito di speranza, ha continuato ad esprimerle consensi ma, alla fine, ha dovuto cedere alla realtà e decidere il da farsi: dirottare il voto verso forze diametralmente opposte, come fecero con analoga speranza nel '94 (inutilmente, allora) i massimi guru del pensiero marxiano, oppure astenersi per una sorta di sofferta, interpretata 'coerenza'. La seconda, invece, vieppiù se bigotta e baciapile, per lungo tempo ha ritenuto che la 'sinistra' potesse incarnare quelle pulsioni di impegno culturale e civile utile, in uno scadimento della fede, a lenire l'anima in un clima sempre più materialistico e mercantile. Poi, anch'essa ha dovuto prendere atto che di solo impegno civile, peraltro malriposto, non si vive. Dal che, l'astensione quando non la ricerca altrove di una più concreta proposta.
audacia temeraria igiene spirituale
La cartina di tornasole, infatti, la troviamo nell'attuale critica interna a quella sede indirizzata verso il segretario non tanto per il risultato: in quattro anni di governo, per il solo fatto di essere nella 'stanza dei bottoni', quel partito, da posizioni ad un digit (secondo sondaggi di allora) è riuscito a rimontare fino a rasentare il 20%, grazie soprattutto al travaso passato e presente di tanti ex grillini delusi. Quanto, invece, per la scelta delle tematiche elettorali, considerate un'incomprensibile astrazione dalla realtà di profondo disagio.
Non a caso, infatti, in quel partito si parla di 'rifondazione', ritenuta necessaria per ritrovare un'immagine e, soprattutto, un 'fuoco'. Basti dire che di fronte all'iniziativa di Conte circa la marcia per la pace, (forse assunta in riscatto di tanta passata insipienza), priva di segni ed emblemi distintivi, il PD non ha saputo che pesci prendere e, in alternativa, ha ipotizzato una manifestazione davanti all'Ambasciata russa, modificando univocamente (e prudentemente) il significato e il valore. Comunque, il fatto esilarante ed indicativo di quell'evento è stato vedere Conte conquistare la piazza col saluto a braccio levato e a 'pugno chiuso'. L'ulteriore fatto altresì indicativo è che recenti sondaggi post-voto danno il partito di Conte prossimo al sorpasso del PD.
Come sappiamo, la vasta area di disagio, di delusione e di malcontento ondeggia o si astiene in quanto a scelte elettorali. Pensare, tuttavia, che uno spregiudicato M5S possa farne incetta sovverte ogni logica ed ogni razionalità, stanti i trascorsi. Ma se ciò, tutto sommato, riguarderà le connotazioni dell'agire dei restanti partiti nel futuro, ciò che intanto sconcerta è il risultato di quel movimento nelle appena passate elezioni: un risultato che denota un preoccupante stato d'animo di asocialità in una cospicua parte dell'elettorato.
Secondo le previsioni estive, il M5S, infatti, non avrebbe dovuto prendere che qualche spicciolo di voto. Il calo, rispetto al vecchio 33%, indubbiamente c'è stato ma quel 16% residuale lascia intanto intendere che quasi un quinto dei votanti, per lo più meridionali e particolarmente campani, l'ha scelto per le sue promesse originarie, il cosiddetto reddito di cittadinanza, e non per altro. Non sembrano passati tanti anni da quando qualcuno distribuiva la scarpa sinistra e, dopo il voto, la destra; quando al chilo di pasta prima ne sarebbe seguito un altro dopo.
In pratica, sei milioni di persone hanno votato un soggetto partitico la cui esperienza di governo si è risolta nel distribuire denaro a pioggia, per giunta in prestito, spacciato per acquisito diritto in virtù della semplice nascita, senza minimamente preoccuparsi di rimpinguare le casse; anzi, oltraggiando chi diuturnamente, con la pioggia o il sole, tira su il bandone, timbra il cartellino o si presenta sorridente online, tutti contribuenti di quell'Erario svuotato astrusamente. Sei milioni di persone che se ne sono altamente fregate se quel partito, nella veste governativa, ha gestito la pandemia a dir poco sui generis al punto da meritarsi l'appellativo di 'scimmie al volante'; un partito che, al governo, ha varato un lockdown che non ha avuto eguali nel mondo mandando a puttane l'economia e che, per alleviarne i disagi, funambolicamente ha elargito i più disparati bonus, sempre a prestito, per l'acquisto di biciclette e monopattini. Alla luce dei fatti, quasi un quinto dei votanti ritiene che si possa vivere a carico dello Stato senza alcun bisogno di cercare e trovare un lavoro. E, se tanto mi da tanto, c'è da ritenere che qualora venisse meno quella 'sinecura', c'è la massima disponibilità a cercarne un'altra. Ho sempre avuto un'anima meridionalista ma non riesco più a sopportare il continuo piangersi addosso senza partecipazione alcuna, il guardare senza 'vedere', il ritenere che tutto sia dovuto e che qualunque introito, da qualsivoglia parte provenga, sia benaccetto. Un atteggiamento, questo, che nella cosiddetta Terra dei Fuochi ha consentito, a più riprese, l'interramento di centinaia e centinaia di bidoni pieni di rifiuti tossici, a vari livelli di profondità, con movimentazione continua di camions e di ruspe, nella più assoluta disattenzione di quelle comunità. Non so se sia vero che
ai proprietari dei terreni sia stato elargito un quid per ogni carico ma certo è che quegli stessi proprietari hanno, poi, reclamato a gran voce l'intervento dello Stato per la bonifica. Analogamente dicasi per la questione rifiuti urbani. Il rifacimento continuo delle ecoballe, ad esempio, è un fulgido esempio di moto perpetuo con manodopera al seguito: confezionamento, esposizione solare, fermentazione, esplosione, ri-confezionamento, contraddicendo in questo Max Planck e nella più assoluta disattenzione delle cosiddette forze politiche presenti nei democratici consessi. Potrei aggiungere la disattesa costante, nel disinteresse totale, di magniloquenti piani di riconversione, tra i quali quello relativo a Bagnoli che si staglia nel firmamento delle chiacchiere sin dal 1994. Potrei sommare a questo enfatici piani di sviluppo quale, ad ulteriore esempio, il Polo Aerospazio, semplicemente inaugurato quest'anno dopo più di un ventennio di sicuramente ponderata previsione programmatica.
E, già che ci sono, potrei ricordare, fino a quando è stato consentito, l'uso disinvolto (nella generale conoscenza) dei progetti per i cosiddetti Aiuti di Stato, più spiccioli e sbrigativi, in supplenza della grave carenza progettuale relativa al settennale Piano Operativo Regionale e all'impiego dei Fondi Strutturali europei. Ma non voglio farlo: sarebbe un fuor d'opera, come lo sarebbe citare lo stato di degrado e di abbandono della sanità che si evidenzia maggiormente di fronte all'eclatante, per quanto sparuta, presenza di centri di eccellenza. Certo è che lascia esterrefatti costatare che la lista De Magistris, un sindaco che ha ridato dignità, almeno visivamente, ad una splendida città quale è Napoli, non sia riuscita ad esprimere nemmeno un rappresentante da far sedere negli scranni parlamentari.
audacia temeraria igiene spirituale
L'amara costatazione è che stiamo diventando una brutta, caleidoscopica copia della società americana dove meno della metà degli aventi diritto al voto elegge, a maggioranza della minoranza degli elettori, l'uomo più potente del pianeta. E quando quelle comunità per lo più a livello locale arrivano a mobilitarsi per il voto, lo fanno, appunto, prevalentemente per la loro sola 'pancia'. Ma c'è da dire che gli americani in genere non tengono in gran conto la politica perché, senza particolare enfasi, 'vivono' la vita che più li aggrada o verso la quale sono condotti dagli eventi. E la politica, invero, li ricambia in considerazione adoperandosi, più che altro, per lo stimolo di posti di lavoro.
Nella generalità, non hanno una pensione che li attende alla fine dell'attività lavorativa né un servizio sanitario che, sia pur con liste d'attesa, si prenda cura della loro salute. Il sistema assistenziale è alquanto limitato e i servizi cosiddetti sociali, tra cui l'istruzione e la formazione, sono interamente a pagamento. E, di conseguenza, non sono gravati da un oppressivo sistema fiscale e para-fiscale. Se, poi, perdono il lavoro, non c'è cassa integrazione a sostenerli, né la mobilità ad 'accompagnarli' perché c'è verso che di lì a breve ne trovino un altro, forse non nelle vicinanze ma tant'è. In pratica, ognuno è artefice del proprio destino o, almeno, è libero di provarci.
E' vero che il 'sogno' americano è giunto al termine ma all'atto pratico ha fortemente ristretto la rosa delle opportunità e, al pari nostro, ha reso evanescente il ceto medio ma non ha certo cambiato la filosofia di vita che rimane improntata dalla convinzione che la libertà del proprio
essere debba e possa far premio su tutto e su tutti. Inoltre, ciò che, là, veramente conta alla fine, anche oltre i democrati e i repubblicani e le scelte dei presidenti di turno, è veramente The StarSpangled Banner che fa alzare in piedi, con la mano sul cuore, giovani e vecchi, imprenditori e operai, agiati e pidocchiosi, onesti e malviventi, floridians e alaskanians E' la Nazione, nata musicalmente dalla poesia The Defence of Fort McHenry, scritta nel 1814 da Francis Scott Key, durante la battaglia di Baltimora della guerra anglo-americana. E, in rappresentanza sentita della Nazione, … È la bandiera adorna di stelle! Che possa sventolare a lungo sulla terra dei liberi e la patria dei coraggiosi….
So di toccare un 'nervo' sensibile vista la ricerca di gradimento oltre atlantico da parte dei vincitori, ma va detto che quella non è la nostra filosofia di vita né lo è dei maggiori Paesi europei. Forse, Francia e Germania, con qualche distinguo, sentono un pari sentimento nazionale ma noi non avvertiamo più neppure quello se non quando cantiamo l'inno negli stadi. Ogni tanto, qualche sprovveduto denuncia attacchi all'unità nazionale, alle istituzioni repubblicane, all'assetto democratico, semplicemente perché il pensiero del suo interlocutore diverge dal proprio ma, all'atto pratico, è un fatto che tutte le connotazioni nazionali vadano sbiadendo senza che alcunché le sostituisca. Al pari dell'istituzione parlamentare, dribblata, oscurata e soppiantata da protagonismi regionali, da imposizioni comunitarie e da atteggiamenti 'dirigistici' del Presidente del Consiglio di turno.
Noi, peraltro, in confronto agli States, ci fregiamo di avere il welfare, al pari di Francia e Germania ma, a differenza di quei Paesi, il nostro non rappresenta più alcun 'benessere'. Eppure, per mantenerlo, veniamo 'tassati' insieme ai datori di lavoro per arrivare ad avere una pensione la cui entità, nonostante le regole contributive e di anzianità, è lasciata alla discrezione dei governanti del momento: esiziale, al limite dell'elemosina o ridotta ad libitum per demagogica etica. Per avere una qualche certezza, dobbiamo pagarcene una supplementare a parte. Poi, abbiamo il servizio sanitario nazionale, finanziato dall'esosa fiscalità generale e per giunta da rilevanti tickets, ma lasciato all'arbitrio regionale, in una sorta di pelle di leopardo in quanto a qualità. E se necessitiamo di una prestazione celere, la paghiamo al privato. Il lavoro non rappresenta più il mezzo per acquisire una dignità perché la precarietà e l'esigua entità retributiva sono la regola della 'modernità' e alla sua perdita non c'è CIG o mobilità che tenga per trovarne un altro.
I servizi all'impiego sono una specie di gioco dell'oca e quelli formativi e di riqualificazione non provano nemmeno a fare vaticini circa future direttrici di sviluppo. I servizi sociali, sempre per demagogica etica, insieme alla fiscalità generale, si abbeverano della partecipazione finanziaria delle famiglie, dettata con regole a volte paradossali e non c'è certificazione, documento, atto di 'pubblica' provenienza che non debba arrecare bolli, marche, timbri onerosi. Infine, i futuri 'reggitori' del domani (a prescindere dall'Ente pubblico che li connoterà) debbono avere famiglie facoltose se vorranno darsi un'istruzione universitaria. Così, una volta acquisita, potranno espatriare, magari in Francia, in Germania, negli States e in Cina, per avere speranza di futuro e retribuzioni dignitose.
In pratica, negli ultimi trent'anni, il funzionante assetto sociale e giuslavoristico di questo Paese,
realizzato dai 'corrotti' della Prima Repubblica, pii elemosinieri rispetto alle voragini attuali, è stato smontato pezzo per pezzo da una sedicente 'sinistra', paradossalmente nell'intento dichiarato di facilitare competizione e progresso prendendo a dichiarato riferimento, si pensi, le 'migliori' pratiche americane. Ci sarebbe da obiettare che quelle 'pratiche' hanno determinato nella 'casa' originaria dei gap sociali da paura ma, almeno, lì la 'gogna' è a basso costo e si paga una sola volta. Lì, peraltro, un 'eletto', se vuole essere riconfermato, deve apportare benefici alla comunità che lo ha votato; deve 'produrre' economia e posti di lavoro per le genti che lo hanno designato. Altrimenti, i pollivendoli dell'Iowa, gli imprenditori californiani di Silicon Valley, gli albergatori del Colorado, con i loro dipendenti, o gli abitanti di Pensacola, grande base navale della Florida foriera di consumi e contratti, cambieranno sponsorizzazione. Qui da noi, invece, il Rosatellum sforna un Parlamento i cui eletti, spesso e volentieri, sono sconosciuti agli elettori: designati dalle centrali partitiche, rispondono esclusivamente ad esse le quali, da un lato premiano il fedele con la collocazione nel collegio uninominale di serie A o con un acconcio posizionamento nel listino, e dall'altro cercano il voto ormai solo attraverso una tripartita metodica: il significato nominalistico del nome, evanescenti impegni e, particolarmente a 'sinistra', la denigrazione dell'avversario. Siamo finora stati in balia di un sistema che ha navigato a giornata verso il quale oltre la metà dell'elettorato non nutre altro che contegnoso disappunto astensionista o interesse personale di bassa lega mentre l'altra metà ondeggia in un'alternanza, nobilitata dall'etichetta di 'democratica', sinonimo per lo più di protesta e di delusione. Hanno maggiore attenzione e considerazione i cosiddetti influencers. Soltanto a mo' d'inciso, m'è capitato di leggere recentemente che una influencer, che vanta oltre duecentomila followers, ha 'postato' il suo giudizio sulle recenti elezioni, probabilmente contrariata dall'esito: 'I vecchi non devono votare, non sanno nemmeno quello che fanno. In casa 2devono stare, fermi, completamente immobili" . Non un'analisi, che so, sullo scontro generazionale, sul potere e la sovranità, oppure sull'assenza di un codice etico. No. Un semplice 'I vecchi non devono votare perché non sanno quel che fanno'. L'aspetto sconcertante è che venga consentito a lei il voto, che campi alla grande con le 'rimesse' delle aziende e che un fottio di persone continuino a seguirla.
Quindi, il nostro non è certo un paese per vecchi, lasciati nell'indeterminazione più ampia e profonda, come non lo è per i maturi, alle prese con la precarietà lavorativa elevata a sistema, con un fisco esoso, con una burocrazia infernale e con un potere locale al limite della paranoia, un potere al quale, peraltro, sembra demandata addirittura a livello assembleare, come recentemente Piombino ci ha dimostrato, l'incombenza decisoria sul nostro futuro energetico d'importazione, peraltro a prezzi da capogiro per aver accantonato, quando non distorto o devastato, fonti di approvvigionamento alternative interne; un potere locale, peraltro, stabilito costituzionalmente oltre vent'anni fa solamente per semplici mire politiche, che ha 'ventuplicato' (si perdoni il bisticcio) i problemi (ma non le soluzioni) e gli esborsi e ha accentrato le sole ingenti perdite.
Ma il nostro non è neppure un Paese per i giovani visto che solo uno su due trova lavoro, spesso
precario e mal retribuito, condannandoli ad una vita senza futuro, senza valori e ideali, artatamente alle prese con la falsa evangelizzazione del web dove si possono avere migliaia di 'amici' pur restando nella più totale solitudine e ascoltare 'parole di verità' da minus habens che, nel deserto culturale e ideale, hanno pure un vasto seguito. E se tra loro qualcuno, acculturato a seguito delle disponibilità familiari, nutre ambizioni più elevate, interessi più vasti rispetto ad un modesto standard di vita deve seguire la via dell'espatrio, come peraltro caldeggia l'Unione europea con la sua 'mobilità' nel 'mercato interno' (il territorio dell'Unione), impoverendo così irrimediabilmente il Paese d'origine.
Ma quest'ultimo non è un problema dell'Unione. Ci sarebbe da chiedersi quali siano le grane di spessore che possa affrontare ma la richiesta sarebbe vana visto che una vasta gamma di risolutive questioni che ne determinerebbero la crescita e l'incisività sono demandate all'univocità prevista dai trattati dove popolosi Stati hanno lo stesso peso di altri la cui 'dimensione' è pari ad un quartiere urbano. Non si è peritata, però, di avvertire gli elettori di non seguire partiti che potrebbero percorrere le orme di Orban (dubbi sulla guerra in Ucraina) perché, altrimenti, ci sarebbero mezzi di persuasione, ovviamente finanziari, per impedire simili tendenze. Un avvertimento lanciato per bocca della Von der Leynen e ripreso dalla Lagarde la quale ha aggiunto che debiti astrusi di uno Stato potrebbero essere non riconosciuti. Alla faccia! Non basta più l'approvazione dei bilanci?
Intromissioni così maldestre nei fatti di un Paese dovrebbero essere inaccettabili, specie se, in pieno periodo elettorale, riguardano solo il nostro. A quest'ultimo proposito, mi viene spontanea una domanda: non prendo certo Orban a mio riferimento cultural-politico del quale condivido poco o nulla ma non essendoci previsione nei trattati di un percorso vincolante in materia di politica estera e internazionale, perché uno Stato dovrebbe allinearsi al volere della Commissione e della BCE o, per meglio dire, alla volontà delle due 'guide' del momento, quando tra l'altro vi sono eclatanti esempi di disallineamento nella storia unionista?
Un'ultima notazione. Come accennato in precedenza, ho presenti le sensibilità verso gli States e, soprattutto, la dichiarata esigenza di 'non apparire l'anello debole dell'Occidente' parlando dell'Italia e della 'fedeltà' alla NATO in riferimento al conflitto per procura in Ucraina. Ciò posto, alcune domande sono d'obbligo, al di là dell'apparente ingenuità: Quali sono le vere parti contendenti in Ucraina e chi ha i ruoli principali e chi i secondari o di spalla? Qual è la vera materia del contendere? Che cosa s'intende per Occidente al giorno d'oggi? E, infine, resta ferma e convinta la nostra presenza in Europa?
Il New York Times, giornale tradizionalmente vicino al Partito democratico e alle élite di Washington, ha scritto che le agenzie di intelligence Usa ritengono che parti del governo ucraino abbiano autorizzato l'assassinio della figlia del filosofo russo Dugin. Lo stesso giornale fa sapere che gli Usa non hanno avuto parte all'attacco a Dar'ja Dugina e che non ne sapevano nulla. Non 3solo, ma appresi i fatti, avrebbero rimproverato i funzionari ucraini . Ai microfoni di Radio24 l'ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell'Istituto Affari Internazionali, ha detto: "C'è una nemmeno troppo celata irritazione americana per il fatto che Zelensky non si consulti
abbastanza per la scelta degli obiettivi. Nel momento in cui l'Occidente, e soprattutto gli Usa e il Regno Unito, forniscono assistenza militare massiccia e fondamentale per la difesa dell'Ucraina, è legittimo e comprensibile che su certe scelte di operazioni sia sul terreno, sia fuori, come l'assassinio della figlia di Dugin, Zelensky, prima di prendere iniziative, si consulti coi suoi alleati e in particolar modo col suo principale alleato, ovvero gli Usa". Poi, ha aggiunto: "Se Zelensky si fosse consultato con gli Usa, probabilmente gli sarebbe stato sconsigliato di colpire il ponte di Kerch, perché, anche se dal punto di vista etico, è il minimo sindacale che ci si possa aspettare da un Paese aggredito, è anche vero che era abbastanza prevedibile la reazione russa, che va tutta 4nel senso di una escalation" . Che stiano cambiando le 'regole d'ingaggio'? Da parte di chi verso chi? Dopo lo scambio di messaggi tra Blinken e Lavrov, pare che Biden, se non al G20 indonesiano, abbia comunque manifestato disponibilità a colloquiare con Putin, dopo il rilascio di Brittney Griner, l'americana in carcere in Russia, e a seconda di 'quello che vuole discutere'. L'eventuale incontro avverrebbe dopo le elezioni di medio termine, la qual cosa consentirebbe di mettere in campo un dialogo che non influisca sui risultati elettorali. Risultati che, peraltro, si annunciano disastrosi per i Democratici. Nella scorsa riunione dell'OPEC+, con la partecipazione russa, è stato deciso, contrariamente alle aspettative USA, il taglio di produzione di 2 milioni di barili al giorno di petrolio, con la conseguenza di un aumento immediato dei prezzi della benzina e di un notevole aiuto all'economia russa. E, ancora il NYT scrive: "L'influenza di Biden sui suoi alleati del Golfo è molto minore di quella che il presidente sperava di avere".
Lo so. Le sensibilità riguardano i Repubblicani e non certo i Democratici, cari alla 'sinistra'. Ma ciò dovrebbe significare che un eventuale capovolgimento governativo USA avrebbe effetto sul comportamento NATO e sulle dinamiche belliche europee? Comunque, è l'Unione Europea a riguardarci da vicino non fosse che per il fatto che ce l'abbiamo in casa e i suoi condizionamenti sono diretti. Lo scorso 6 ottobre, Macron ha riunito a Praga 44 Paesi europei in un forum sotto la targa 'Comunità Politica Europea'. Oltre agli attuali 27 Paesi che compongono l'Unione, hanno aderito Albania, Moldova, Repubblica di Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina, Georgia, Bosnia ed Erzegovina, Armenia e Azerbaigian. Presenti anche Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein, così come il Regno Unito, ex membro dell'Unione. Sono stati invitati anche i presidenti del Consiglio europeo e della Commissione Europea. Gli unici esclusi sono stati la Russia e la Bielorussia. Tra i temi sul tavolo hanno spiccato le questioni relative alla sicurezza e all'approvvigionamento energetico.
Cosa significa? Una delegittimazione dell'Unione che segue l'intesa tra Francia e Germania sul gas e l'energia elettrica e l'iniziativa della Germania di mettere sul piatto 200 miliardi di aiuti a famiglie e imprese? Oppure, una via succedanea per sciogliere rigidità o colmare carenze?
A questo punto il caro amico Antonino Provenzano mi ha fermato: 'Ma dai. Non puoi certo pretendere che una compagine politica che non ha ancora varcato la soglia della 'House of cards' si faccia immediatamente carico di trent'anni di storture e in cinque anni le addrizzi. Lo dico da affezionato elettore: nei primi tempi, fermi restando gli spaghetti, quello che potrà cambiare
semmai
formaggio di condimento.' D'accordo, ma almeno
trend dev'essere avvertibile. Altrimenti, nella mia incommensurabile pochezza, mi accontento di un gelato ipocalorico e della libertà di pensare e di scrivere se, come cantava
sbrindellato ma grande Califfo, tutto il resto è noia.
Massimo Sergenti
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“DECALOGO” PER GIORGIA
Mia cara Giorgia, mi prendo la libertà di rivolgermi a te con un affettuoso "tu" che, lungi le mille miglia dal voler essere una mancanza di rispetto verso una giovane signora che si appresta a diventare il primo capo di governo donna della storia politica italiana, intende soltanto essere il frutto della riverente ammirazione che io, cittadino ottantenne (e tuo fedele elettore) nutro verso la mia futura Prima Ministra (debbo chiamarti così o no?) e che nota, con gratificante ed al contempo sbalordita meraviglia come tu, che per età potresti ben essere mia figlia, sia riuscita a concepire, individuare e conseguire un obiettivo che io ed i miei coetanei mai avremmo potuto, nell'arco della nostra esistenza, non dico considerare, ma neanche lontanamente immaginare. Brava dunque, complimenti, congratulazione ed un mondo di auguri ! Premesso quanto sopra, passo ora ad illustrare la ragione di questo mio scritto che vuole essere una sorta di (non saprei proprio come definirlo e dunque decidi tu!) elenco, considerazione, appello o sprone. Esso non scaturisce ovviamente da alcun tipo di mia autorevolezza personale, ne da rilevanti successi esistenziali, ne tanto meno da particolare nobiltà d'animo o pratiche di alto mestiere; nulla di tutto ciò. Soltanto da ben centosessanta lustri di vita vissuta, "buts and all", nel paese che amo ove, in un limitato numero di decenni in rapporto alla sua millenaria storia, si è succeduta una tale pletora di modifiche, cambiamenti, progressi (e regressi) da poterne moltiplicare per almeno dieci volte - in termini di comparazione evolutiva socioculturale e di sviluppo economico, scientifico e tecnologico - la durata "storica" ed in cui tutta la mia esistenza si trova comunque circoscritta.
Credo infatti di aver visto, udito, letto, pensato e sperimentato quanto basta per potermi formare precise opinioni (di esclusiva caratura individuale non disponendo, ahimè, di altro metro di valutazione) la cui pluriennale sedimentazione è diventata comunque per me consolidata certezza, seppur "tranchant", e di cui, con l'umiltà dell'uomo ma con la determinazione del cittadino, mi prendo la libertà di renderti edotta sotto forma di un estemporaneo "decalogo". E ciò, più che per tua (certo non necessaria, ne tanto meno richiesta) informazione quanto piuttosto per un semplice scrupolo personale atto a scaricarmi la coscienza nei confronti del prossimo governo, da me auspicato con convinzione, che tu ora ti appresti a varare. E cominciamo :
1) Ricorda innanzitutto, sempre e senza alcuna incertezza, che quanto vi sia di sbagliato, distonico, falso, ipocrita, contraddittorio, deleterio, pericoloso, antieconomico, irrazionale,
utopico etc., etc., etc. nella contemporanea Italia repubblicana, ha una sola ed inconfondibile matrice : la Sinistra, punto! "Preistorica", "storica", "recente" o "contemporanea" che sia.
2) Pertanto: quando ti troverai da sola a Palazzo Chigi e sarà necessario prendere una decisione importante (e non dimenticare mai che chi comanda sul serio è sempre solo e tale deve restare, altrimenti sbaglia!) ricorri a questo semplice esercizio: chiudi gli occhi ed immagina quale potrebbe essere la soluzione che una Sinistra di governo elaborerebbe per quella determinata fattispecie. Fatto? Bene! Adesso riapri gli occhi e fai l'esatto contrario di quanto hai immaginato. Stai certa che in questo modo non potrai mai sbagliare, sempre e comunque. Chiaro?
3) Settantacinque anni di dittatoriale egemonia "culturale" della Sinistra, sia essa comunista d.o.c., catto-comunista, o cosiddetta "au caviar" in salsa pariolino-capalbiana, ha fatto dell'internazionalismo marxista-leninista l'insostituibile lente di lettura di ogni possibile collocazione dell'Italia nel contesto della famiglia delle nazioni. E ciò, al punto tale che - sempre per restare ancora nell'ineffabile empireo sinistrorso - detta Sinistra auspica perfino la ferma permanenza dell'Italia, "perinde ac cadaver" nella un tempo odiatissima NATO a trazione americana! Non dico certamente, mia cara Giorgia, che noi si possa fare alcun passo indietro su quanto ormai irreversibilmente consolidato, ma nel diffidare, sempre e con sano scetticismo intellettuale, dal canto delle polifoniche sirene della pelosa solidarietà internazionale (ormai, ed ahimè, non più neutralizzabili per quanta cera ci si possa mettere nelle orecchie) stai ben attenta almeno ad una cosa: quando sentirai le Sinistre mondiali stracciarsi le vesti con la giaculatoria di "interessi comuni per il bene di tutti", occhio a dove si cela la fregatura per l'Italia. Non dimenticare mai che deve ancora nascere nel concerto delle nazioni quel paese che, qualunque cosa ci si possa proporre nell'interrelazione reciproca, non (dicesi non) tenga celato da qualche parte un concreto maneggio per poterci fregare con pugno di ferro in soave guanto di velluto.
Soprattutto quando la Sinistra catto-comunista tenta di ammaliare le menti con un cinico e falso buonismo internazionalista. Una per tutte? La geniale battuta del solito Indro Montanelli che, al momento del nostro entusiastico ed in parte beota ingresso nella cosiddetta "europa", ebbe ad affermare " In Europa i francesi entrano da francesi, i tedeschi entrano da tedeschi e gli italiani entrano … da europei!" Figura da beoti, appunto, ma, onestamente, di chi mai è la colpa se non che della compulsiva anti-italianità del capzioso internazionalismo cattolico/comunista unito in un comune sentire di oggettivo danno per la nostra Nazione?
4) A proposito di cattolicesimo, e prima di entrare nel merito, debbo doverosamente premettere, cara Giorgia, che chi ti scrive è di consolidata cultura cristiana, anche se da tiepido praticante e che ritiene tale nostra religione pilastro dell'attuale, seppur alquanto traballante, civiltà greco-romano-cristiana. Per quanto mi concerne, "absit - dunque - iniuria verbis" su quanto vado ora ad esternare. Benchè, come sai, Gesù Cristo abbia affermato come il suo regno "non sia di questo mondo" (Giovanni 18,28-38), la Chiesa di Papa Bergoglio si è invece immersa del tutto nel secolo e relative, terrene tematiche arruolando anche il divin Salvatore nelle file del planetario progressismo liberal-materialista abbracciando tutti quanti i fiori all'occhiello della Sinistra di teoretico rito cosiddetto "capalbiano", tipo diritti, devianze, minoranze, emigrazione,
"gender" e compagnia cantante. Fatto questo che - sin dal concepimento della "Dottrina Sociale della Chiesa" utile presupposto teologico-spirituale per il mai sopito progressismo e materialismo della, seppur atea, Sinistra storica - ha anche fornito a quest'ultima efficaci appigli filosofico-morali per il suo agire nel secolo con il conseguente travaso dell'esiziale forza ideologica catto-comunista nella sinistrorsa gestione della cosa pubblica: prodromo questo di tutta la pletora di negatività sopra ricordata. Pertanto, cara Giorgia, non dimenticare mai che la chiesa di Bergoglio, nonostante le preliminari e gesuitiche frasi di possibilistica apertura che, prima o poi, saranno pronunciate nei tuoi confronti tiene sempre in serbo la secolare - e, credimi, ancora efficacissima - arma della sottile, strisciante e destrutturante scomunica morale, seppur priva ormai di esplicite inquisizioni o plateali roghi.
5) E veniamo ora a te, si, proprio ed affettuosamente, a te, mia cara Giorgia! Sei stata una campionessa di "opposizione" e la Storia ti sta premiando mettendo l'Italia praticamente ai tuoi piedi. Brava, in quanto te lo sei proprio meritato. Ma come tu ben sai ora viene il difficile. Fare l'opposizione non è proprio complicatissimo in quanto essa è di per se stessa alquanto gratificante. Si parla, si declama, si ricevono applausi (dalla propria fazione) e contumelie (dalla parte avversa), queste ultime tuttavia non solo messe già in conto, ma foriere al contempo di una intrinseca funzione salvifica in quanto più sferzano più risultano positive: marcano infatti il territorio del consenso, rafforzano caratteristica e contorno dei concetti, cementano la coesione di appartenenza. Nella tecnica di Opposizione trionfa dunque, e soprattutto, la "PAROLA". Essa è sia ineludibile declamazione che atto di concreta azione politica finalizzata al proselitismo elettorale. Andando al governo, come puoi ben immaginare, la musica cambia del tutto. Si entra infatti nel mondo del Potere ove impera l'opposto della parola e cioè il "SILENZIO". La campagna elettorale è ormai archiviata e comincia l'impegnativa stagione - poco gratificante, soprattutto nel breve/medio periodo - del fare, cioè del decidere e quindi e soprattutto dell'inevitabile SCONTENTARE. Dopo un percorso politico di pluriennale opposizione la più grossa sfida/ostacolo che ti troverai di fronte, mia cara Presidente del Consiglio, sarà proprio quella di riuscire a tacere e, in particolar modo, a non controbattere Soprattutto nei momenti in cui popolarità e consenso scemeranno picconati dagli alti lai di coloro che, dovendo appunto tu scegliere, avrai inevitabilmente deluso. Tappati le orecchie, cara Giorgia, e vai per la tua strada. Ignora soprattutto ogni sondaggio di opinione "spot" sul tuo indice di gradimento: lavora per la Storia, non per la cronaca! L'unico confronto con l'opinione pubblica che, d'ora in poi, dovrà interessarti sarà soltanto quello nelle cabine elettorali del 2027 e null'altro! E non pensare soprattutto a ri-elezioni di sorta. Il destino che ti è venuto incontro è quello di tentare di raddrizzare l'Italia, non di trascinarti, come altri ben noti personaggi, in una grigia, seppur imperitura, carriera di eterni politicanti: tu hai dimostrato di essere ben altro …! Le prossime consultazioni elettorali, siano esse quelle regionali o del venturo sindaco della ridente cittadina XY o persino del prossimo parlamento europeo, debbono tutte essere per te soltanto "robetta ": tu hai davanti a te la Storia del paese, non quella di un suo strumento, il tuo partito politico, nonostante ciò che potrebbero sussurrarti all'orecchio i suoi diversificati componenti interessati
soltanto al loro personale giardinetto di politicanti di mestiere. Alza dunque la testa, Giorgia carissima, tappati le orecchie e guarda lontano!
6) Non dimenticare che il mondo della politica di governo è infido e perfido e non farti mai tentare da alcuna forma di "captatio benevolentiae": hai vinto le elezioni in modo democratico, opera da ora in poi secondo principi e coscienza, parlando il meno possibile e silenziando soprattutto ministri, collaboratori ed esponenti del tuo partito Sono certo che, se per almeno un paio d'anni, riuscirai a disinteressarti del "consenso", alla fine avrai vinto la tua (e nostra) partita. Il tuo "parlare" ha fatto il suo tempo e ti ha comunque servito al meglio. Ora è tempo di porre in atto un silente, asciutto e tetragono "fare" in quella "terra incognita" di governo ove sarai chiamata a dare il meglio di te come politica, cittadina, donna e madre. Hai tutte le carte in regola: provaci e non titubare!
7) Gli italiani hanno puntato sulla tua personalità e su null'altro. Tu non hai trascorsi di particolari "achievements", ma non importa; quel che conta e chi tu sia come persona ed in cosa tu creda. Ciò può bastare se non tradirai te stessa scendendo, con chiunque esso sia e di qualsiasi cosa possa trattarsi, a compromessi "al ribasso" per compiacere gli "interlocutori" del momento. Tira dritto per la tua strada. Tu sei stata scelta e hai dunque, al contempo, sia il diritto di governare che il preciso dovere di farlo fino in fondo.
8) Per i prossimi cinque anni ti sia sempre di ispirazione quel principio a cui si è attenuta per tutto il suo lungo regno la mai troppo rimpianta Elisabetta II d'Inghilterra: "NEVER COMPLAIN, NEVER EXPLAIN!" Ricorda, cara Giorgia : La "parola" ti ha dato il potere, soltanto il "silenzio" potrà conservartelo.
9) A risentirci dunque a NON PRIMA del 2027! Un affettuoso augurio da, Antonino Provenzano
2022
E’IL TEMPO DI GIORGIA
L’ultima Domenica di settembre è stata scritta una pagina di storia. E non perché il centrodestra abbia vinto le elezioni. Era già accaduto nella vita della Seconda Repubblica. Il motivo per cui il 25 settembre 2022 verrà ricordato a lungo sta nell'identità politica e culturale del vincitore. Anzi, della vincitrice. Con lei trionfa la tradizione teorico-ideologica del pensiero conservatore che nell'Italia repubblicana non ha avuto cittadinanza nella prassi della dialettica politica a causa della velenosa connessione, fomentata dalla sinistra, del conservatorismo alla torsione autoritaria fascista. È stato ingiusto che, al tempo della Prima Repubblica, i conservatori, pur di frequentare l'agone politico, abbiano dovuto cercare riparo sotto le bandiere della Democrazia Cristiana, del Partito Repubblicano di Randolfo Pacciardi e del Partito Liberale di Giovanni Malagodi. Minore è stata l'ospitalità offerta alla pulsione conservatrice dal Movimento Sociale italiano a trazione almirantiana. Per Giorgio Almirante, il Msi doveva consolidarsi su una linea ideale-programmatica "socialmente avanzata".
Sul fronte opposto, la cultura egemonica della sinistra ha combattuto la "conservazione" col mito del progressismo che nutre il processo di emancipazione dell'umanità. Ma la scorsa domenica il castello delle falsificazioni è crollato e un'ampia frazione di italiani ha potuto riconnettere la propria visione del mondo alla prassi di una coalizione partitica coesa. Merito di Giorgia Meloni se oggi la destra c'è. E adesso che i buoi del consenso sono scappati dalla stalla del campo progressista, il "Circo Barnum" del politicamente corretto s'interroga con disperante angoscia su come sia stato possibile non accorgersi del "fenomeno Giorgia". Ci si domanda come sia accaduto che il mondo separato di Fratelli d'Italia si fosse radicato tanto profondamente nella coscienza popolare. C'è tra i commentatori politici anche chi si domanda come abbia fatto la Meloni a quintuplicare il consenso elettorale nel volgere di una legislatura. Eppure, non ha avuto a disposizione il circuito mediatico e la potenza finanziaria di un Silvio Berlusconi e non ha gestito un ministero chiave che le desse notorietà e consenso, com'è accaduto a Matteo Salvini con l'esperienza da ministro dell'Interno del Governo Conte I.
La risposta non è nella volubilità dell'elettorato "liquido" della Seconda Repubblica, soggetto a improvvise fascinazioni e altrettanti repentini disinnamoramenti. La progressione di crescita di Fratelli d'Italia, per quanto sia impressionante, è frutto della sedimentazione di un lavoro di penetrazione svolto con lucida e intelligente perseveranza. Fondato nel 2012 da Giorgia Meloni e Guido Crosetto, officiante Ignazio La Russa, per gemmazione dal morente Popolo delle libertà, Fratelli d'Italia fa il suo esordio sulla scena nazionale alle elezioni politiche il 24 febbraio 2013. È
nella coalizione di centrodestra. Ottiene 9 seggi alla Camera dei deputati, grazie alle 666.765 preferenze (1,96 per cento) raccolte. Nessun seggio al Senato. Alle Politiche del 4 marzo 2018, Fratelli d'Italia, sempre in coalizione con Forza Italia e Lega, ottiene 1.429.550 (4,35 per cento) voti e 19 seggi nella quota del proporzionale alla Camera dei deputati. Al Senato totalizza 1.286.606 preferenze (4,26 per cento) e 7 scranni senatoriali ai quali si aggiungono gli eletti di FdI nei collegi dell'uninominale. La scorsa domenica Fratelli d'Italia, secondo i dati del ministero dell'Interno - di 61.394 sezioni su 61.417 - aggiornati alle 18,10 del 26 settembre, ottiene alla Camera dei deputati 7.300.628 voti (25,99 per cento) e conquista 69 seggi nella nuova configurazione dell'organo parlamentare a 400 membri; al Senato 7.165.795 preferenze (26,1 per cento) con 34 seggi assegnati rispetto alla nuova platea di 200 membri. Dal conteggio sono esclusi i voti della Regione Valle d'Aosta e quelli degli italiani all'estero.
Ai gruppi parlamentari di Fratelli d'Italia, sia alla Camera sia al Senato, si aggiungeranno gli eletti nei collegi dell'uninominale espressi dalla coalizione del centrodestra su indicazione del partito della Meloni. Fratelli d'Italia, dunque, primo partito nella XIX Legislatura. Qual è la chiave del successo? Ad ascoltare in queste ore il dibattito mediatico, è evidente che siano in pochi ad aver capito cos'è realmente accaduto. La verità è che Giorgia Meloni ha saputo corrispondere all'istanza di chiarezza posta dall'elettorato alla classe politica. La parola-chiave che ha aperto le porte del Governo a Fratelli d'Italia è stata: coerenza. Nessuno dei leader che si sono avvicendati sulla scena di questo ultimo decennio ha compreso quanto l'elettorato sia l'esatto contrario di quella massa gassosa, altamente volatile, soggetta a repentini mutamenti d'opinione, sostanzialmente umorale, a tratti irrazionale, malamente descritta dal mainstream del politicamente corretto. Quante volte si è udita l'orrenda espressione "voto di pancia"? È una roba che non esiste. Semmai, esiste il voto di cuore, che è una sintesi, talvolta rocambolesca, di ragione e sentimento.
Il colossale errore compiuto dal progressismo ideologico, ostaggio delle logiche consumistiche più esasperate, ha ignorato la possibilità che dal punto di vista valoriale la società italiana potesse essere molto più solida di come venisse rappresentata. Errore commesso anche nel centrodestra, sia da Silvio Berlusconi sia da Matteo Salvini. Le scelte ondivaghe e contraddittorie di fare accordi con gli avversari politici, dopo averli aspramente combattuti, non sono gradite ai cittadini. Per non parlare dei saltatori di staccionate, cioè quelli che una volta eletti transitano spregiudicatamente da una parte del campo all'altra a seconda delle convenienze personali.
L'elettore vuole essere certo che il suo rappresentante nei luoghi d'esercizio della sovranità, abusando della garanzia che la Costituzione gli assegna di non essere soggetto a vincolo di mandato, non lo tradisca. L'elettorato di destra, al riguardo, è più rigido di quello che di sinistra. Ciò che non perdona ai suoi rappresentanti, coerentemente non lo concede a se stesso. Quindi, sebbene sia scontento del suo partito o del leader che lo guida, non deborda oltre l'argine di divisione con l'altra parte del campo. I travasi di consenso, quando ci sono, avvengono tra i partiti della coalizione, mai in favore degli avversari. Al più, quando l'offerta programmatica di tutta la coalizione risulti deludente, una fuoriuscita si verifica in direzione del serbatoio
dell'astensionismo. Lo dicono i numeri. Nel 2018, con un'affluenza al 73,01 per cento votarono per il centrodestra 11.327.549 elettori (37,50 per cento). Domenica, con una partecipazione al voto crollata al 63,91 per cento, il centrodestra ha raccolto (scrutinio Senato) 12.299.648 preferenze, pari al 43,79 per cento dei voti espressi. Benché vi sia stata una diminuzione della partecipazione, il centrodestra ha capitalizzato poco meno di un milione di voti in più rispetto alla volta precedente.
Nel 2018 la Lega fu il primo partito della coalizione, questa volta lo è stato Fratelli d'Italia. Se ne ricava che, pur modificando l'ordine degli addendi, la somma non cambia. Ecco perché nel centrodestra le scivolate dei partiti, o dei loro leader, fuori del perimetro tracciato sono state sanzionate dagli elettori. Fratelli d'Italia, invece, ha tenuto la barra dritta limitandosi ad arricchire l'offerta programmatica profilandola sul paradigma conservatore sconosciuto in Italia. Per stare alla domanda sul successo di Giorgia Meloni, il colpo di genio è stato nell'aver sfruttato l'iniziativa di Raffaele Fitto che da europarlamentare, ex di Forza Italia, il 17 maggio 2015 ha aderito al gruppo dei Conservatori e Riformisti europei. Il lungimirante Fitto ha provato a costruire un referente partitico italiano al conservatorismo europeo ma la sua creatura politica non aveva la forza per attecchire nel tessuto della società. L'iniziativa è stata sbrigativamente liquidata dal circuito dell'informazione come l'ennesimo tentativo (goffo) del transfugo di turno di farsi un partitino ad personam. Nel centrodestra, in un primo momento, nessuno ha avuto interesse a indagare le potenzialità dell'iniziativa che avrebbe connesso il mondo della destra italiana alla grande famiglia dei conservatori europei, di matrice anglosassone. Stare con loro in Europa avrebbe significato un biglietto d'ingresso assicurato nel sistema di relazioni del Gop, il Partito Repubblicano statunitense.
Giorgia Meloni lo ha capito e la decisione di assorbire la piccola realtà di Raffaele Fitto ha pagato alla grande. Il 6 novembre 2018 ecco l'annuncio dell'ingresso di Fratelli d'Italia nei Conservatori e Riformisti europei. Dal 2020, Giorgia Meloni si è ritagliata uno spazio personale nel contesto europeo divenendo presidente dell'Ecr. La scelta ha conferito un'identità definita a Fratelli d'Italia, smarcandolo di fatto da pericolosi accostamenti con ipotetiche ascendenze del passato. E sono proprio coerenza e identità le chiavi con le quali il Paese apre le porte al tempo di Giorgia. Che sarà un tempo difficile, ma anche straordinario. E lungo.
Cristofaro Sola
LEGA: NON SPARATE SUL PIANISTA
Il centrodestra ha vinto. Tutti coloro che l'hanno sostenuto dovrebbero essere felicissimi. Eppure, non è così. C'è chi mastica amaro. Sono Matteo Salvini e la dirigenza leghista.
In questa tornata elettorale la Lega è tornata nel cavo dell'onda del consenso, dopo esserne stata, nel biennio 2018-2019, sulla cresta. Un risultato deludente che è frutto di una serie di errori politici e di posizionamento, inanellati dalla leadership leghista in concorso con la dirigenza del partito. Salvini ha le sue responsabilità ma non ha tutte le colpe. La vecchia guardia della Lega bossiana, defenestrata alla fine del 2013 dall'ala sovranista, torna a farsi sentire per chiedere la testa del "Capitano" in nome di un ritorno a un'improbabile età aurea del leghismo. Si tratta di una vana speranza che, negli anni Venti del Terzo millennio, è più simile a una fantasia senza né capo né coda. D'altro canto, cercare a tutti i costi un capro espiatorio non ha alcun senso quando non sono state indagate a fondo le ragioni dell'insuccesso. Vieppiù, la narrazione di un diffuso mondo leghista del Nord che avrebbe voltato le spalle al partito salviniano è una monumentale stupidaggine. Su questo punto è bene fare chiarezza.
La scorsa domenica la Lega ha ottenuto l'8,77 per cento al voto per il rinnovo della Camera dei deputati. Hanno scelto il Carroccio 2.464.005 elettori sparsi sull'intero territorio nazionale, con una maggiore concentrazione nelle circoscrizioni del Nord. Rispetto al dato del 2018, quando i consensi in numeri assoluti furono 5.698.687, la débâcle appare impressionante. Tuttavia, se si guarda dentro a quel bacino elettorale che ha trasmigrato verso Fratelli d'Italia, ci si accorge che esso non è mai stato realmente organico alla Lega. L'analisi della serie storica dei risultati elettorali dal 1994 mostra che la base del consenso al partito è formata da un nucleo stabile, identificabile come "popolo leghista" e da un'area citoplasmatica variabile che contiene il consenso fluttuante, approdato in territorio leghista a fasi discontinue e collegato alle capacità delle leadership di turno di dare risposte alle sue istanze. Ebbene, se nel 2018 quella massa mobile, valutata tra la metà e i due terzi dei voti conseguiti, si è riversata sulla Lega, la scorsa domenica la stessa si è spostata su FdI. L'anomalia sta nel fatto che i picchi di caduta del Carroccio non corrispondono meccanicamente a quelli del centrodestra nel suo insieme. Ciò prova l'esistenza della logica dei "vasi comunicanti", condizionata dal voto d'opinione, nello spostamento dei flussi elettorali all'interno del centrodestra.
Lasciamo che parlino i numeri delle elezioni per la Camera dei deputati raccolti nell'arco temporale della Seconda Repubblica. Nel 1994, l'anno della "discesa in campo" di Silvio Berlusconi e della vittoria straripante del centrodestra nella doppia combinazione delle alleanze
al Nord (Polo delle Libertà, Forza Italia-Lega) e al Sud (Polo del Buon governo, Forza ItaliaAlleanza Nazionale), la Lega ebbe 3.235.248 voti, pari all'8,36 per cento. Nel 2001, anno della vittoria del centrodestra, la Lega raggranellò il 3,94 per cento e 1.464.301 preferenze. Nel 2008, altro anno di successo per il centrodestra, Umberto Bossi e compagni risalirono all'8,30 per cento grazie a 3.024.543 preferenze ricevute, salvo poi a rifluire, alle Politiche del 2013, al 4,09 per cento e a 1.390.534 voti. Tale andamento è stato confermato anche in altri contesti elettorali, come quelli regionali. Nel Veneto, nel 2020 anno del boom di Luca Zaia, la lista leghista ha totalizzato il 16,92 per cento di consensi mentre la "Lista Zaia" ha ottenuto il 44,57 per cento. Ora, se i risultati elettorali della scorsa domenica dimostrano incontrovertibilmente che il nocciolo duro del popolo leghista, sostenuto dall'effetto sul voto della penetrazione nel centrosud del salvinismo, ha sostanzialmente tenuto, l'analisi autocritica della dirigenza del Carroccio dovrebbe focalizzarsi sulle cause del mancato trattenimento del segmento fluttuante. Ciò che sappiamo di quella massa magmatica di consenso è che è portatrice di un'istanza di cambiamento radicale del sistema. Negli anni Novanta e nel primo decennio del nuovo millennio si è orientata verso Berlusconi, fautore della promessa di una rivoluzione liberale. Successivamente, ha dato forza e numeri alla ribellione antisistema grillina. Nel 2019, ha concesso un'apertura di credito, certificata dalle urne delle Europee, al sovranismo euroscettico di Matteo Salvini. Oggi ha virato verso Fratelli d'Italia. Cosa può fare, o non fare, la Lega per invertire il flusso? Non deve torcere un capello (metaforicamente parlando) al suo capo. Per la Lega è giunto il momento di riconquistare centralità nell'azione di governo. Ma non nel modo sbagliato, praticato durante l'esperienza del Governo Draghi, del tipo "ci sto, ma remo contro per distinguermi". Salvini eviti di logorare Giorgia Meloni. Non è creando una fibrillazione nociva per la credibilità, interna e internazionale, del nascente Esecutivo di centrodestra che la Lega potrà riconquistare il consenso perduto. Il momento della discontinuità con gli errori del passato è adesso. Tuttavia, la vulgata mediatica racconta di un Salvini pronto a fare le barricate pur di non cedere la casella del Ministero dell'Interno, che di regola gli spetterebbe visti i suoi trascorsi al Viminale. Se fosse vero sarebbe l'ennesimo errore strategico. Lo chiediamo a Salvini. Perché incaponirsi in una richiesta che inevitabilmente lo porterebbe a essere bersaglio di inutili polemiche sul contrasto all'immigrazione clandestina che, pur restando un vulnus per una democrazia che si concede con eccessiva facilità alle pulsioni mondialiste e antipatriottiche della sinistra progressista, non è al momento la preoccupazione principale che tormenta la vita degli italiani?
Ecco dunque il consiglio (non richiesto) al capo leghista. Vuole tornare a riallacciare il filo diretto con gli italiani? Lavori a lenire le loro angosce. La materia di cui sono fatti gli incubi della gente è la carta delle bollette. Salvini punti tutte le fiches sulla partita dell'energia. Il posto di prima linea che lo farebbe risorgere dalle ceneri della sconfitta elettorale è il Ministero della Transizione ecologica. Scommetta su quella poltrona ministeriale e non se ne pentirà. Se gli riuscisse di portare il Paese fuori dalla crisi energetica con soluzioni coraggiose e insieme innovative; se gli riuscisse di azzerare la burocrazia per facilitare l'installazione dei pannelli solari su tutti gli edifici
pubblici e l'allaccio degli impianti fotovoltaici già realizzati alla rete di distribuzione dell'energia elettrica; se ripartissero velocemente le trivellazioni per recuperare il gas che sta sotto i fondali dell'Adriatico; se venisse varato un serio programma di studi delle nuove tecnologie legate all'utilizzo del nucleare di ultima generazione; se si mettesse mano a un piano di costruzione di nuovi termovalorizzatori con l'obiettivo di produrre energia; e se per fare fronte ai cambiamenti climatici si adottassero tutti i rimedi necessari per annullare il rischio siccità e il dissesto idrogeologico, lui e non altri verrebbe ricordato ai posteri con statue equestri nelle piazze e nei giardini pubblici di tutt'Italia.
Matteo Salvini si definisce un combattente. Lo dimostri. Oggi la "linea del Piave" passa per la transizione ecologica. Al Viminale lasci che vada un politico, anche leghista, ma con un profilo più soft del suo. Giochi d'anticipo impedendo al Quirinale di porre un veto sulla sua nomina a ministro dell'Interno e spiazzi lui la Meloni, dimostrando di non essere la castagna del centrodestra da togliere dal fuoco dell'imbarazzo. Peccato però che i consigli siano fatti per non essere ascoltati.
C.S.
CENTRODESTRA: MALE LA PRIMA
La prima volta del centrodestra al Senato non è stata la festa con i fuochi d'artificio che ci si attendeva. Alla presidenza della "Camera Alta" è stato eletto Ignazio La Russa, fondatore di Fratelli d'Italia e sodale di Giorgia Meloni. Obiettivo centrato. Peccato che la nuova maggioranza si sia spaccata e vi sia stato bisogno del soccorso dei "franchi spingitori" venuti dalle fila dell'opposizione a dare al candidato di Fratelli d'Italia il numero di voti necessari per passare. All'appello è mancata Forza Italia. Silvio Berlusconi, corroborato dal parere del suo nuovo "cerchio magico", ha tentato la prova di forza con Giorgia Meloni decidendo di non votare il candidato indicato dall'accordo di maggioranza. Ma l'esercizio muscolare, se tale voleva essere, è fallito e la pattuglia berlusconiana ha incassato una bruciante sconfitta. Perché non c'è stata compattezza nella coalizione alla sua prima prova? La figura politica di Ignazio La Russa non c'entra nulla con la decisione di Forza Italia di non votarlo. Non servono i retroscena per intuire che la rottura tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, intervenuta a poche ore dall'apertura dei lavori al Senato, abbia riguardato la formazione del prossimo Governo. È ipotizzabile che il leader forzista si sia sentito mortificato dall'alleata, avara nella distribuzione delle caselle ministeriali. Il gossip politico, invece, ha battuto sul tasto del veto che la Meloni avrebbe posto all'ingresso nella compagine governativa della fedelissima di Berlusconi, Licia Ronzulli. Una ricostruzione che però non convince. L'esistenza di veti interni "ad personam" metterebbe in dubbio la capacità complessiva della nuova maggioranza di essere all'altezza di corrispondere alla gravità della situazione generale del Paese. Perciò, vogliamo sperare che la Meloni non l'abbia fatto. D'altro canto, si può realmente credere a una lite tra prime donne? A un niet alla Ronzulli perché troppo appiattita, in passato, sull'oltranzismo sanitario nella guerra alla pandemia? Al desiderio della Meloni di umiliare Berlusconi colpendo la sua protetta? Sarebbe offensivo per l'intelligenza degli elettori del centrodestra pensare che anche una sola di tali ipotesi possa avere un fondamento di verità.
Il problema c'è ma non riguarda la sorte personale di Licia Ronzulli. La questione è politica. Giorgia Meloni, ancora prima che cominciasse la campagna elettorale, si era espressa per la formazione, in caso di vittoria di Fratelli d'Italia, di un Governo di centrodestra di alto profilo. La premier in pectore è pienamente consapevole dello sforzo che il futuro Esecutivo dovrà compiere nel sottrarre il Paese alla crisi economica e sociale. Per avere successo la Meloni sa che dovrà neutralizzare le azioni di disturbo mediante le quali i molti poteri ostili al centrodestra, operanti sia in Italia sia all'estero, potrebbero ostacolare il percorso già accidentato del suo
audacia temeraria igiene spirituale
Governo. Dall'eurocrazia di Bruxelles alla burocrazia nostrana, alla corporazione dei magistrati, alle lobby finanziarie che tengono a guinzaglio la gran parte dei media nel nostro Paese, ai corpi intermedi in rappresentanza dei lavoratori e del mondo produttivo. L'elenco di quelli che in economia si chiamano "stakeholder", i "portatori d'interesse", è talmente affollato che per la Meloni l'opposizione parlamentare della sinistra sarà l'ultimo dei problemi di cui preoccuparsi. Le mine che si intravedono già disseminate sul suo cammino danno la chiave di lettura della postura assunta dalla premier in pectore nella fase di composizione dell'Esecutivo e del programma di Governo. La sobrietà nello stile di lavoro e il comportamento rimarcato nel tessere la collaborazione con il Governo uscente di Mario Draghi risponde alla preoccupazione della Meloni di non inimicarsi la burocrazia di Bruxelles e i player finanziari che hanno tra le mani parte dei titoli del debito pubblico italiano. L'insistenza nel voler evitare di ricorrere allo scostamento di bilancio per fare fronte all'aumento del costo dell'energia per le imprese e per le famiglie tranquillizza i potenziali investitori esteri contro il rischio di un'insostenibile esplosione dell'indebitamento dell'Italia. L'insistere sull'adesione incondizionata alle scelte dell'Unione europea e della Nato in ordine al sostegno offerto all'Ucraina nella guerra contro la Russia convince gli Stati Uniti e le principali cancellerie europee circa la collocazione del nostro Paese nel quadro delle alleanze occidentali. Dichiarare la volontà di coinvolgere i corpi intermedi nelle scelte che riguarderanno il futuro degli italiani costituisce il più efficace presupposto nel contenimento della protesta sociale, destinata a manifestarsi nei prossimi mesi. In questa cornice, caratterizzata dall'opera preventiva di sminamento dello spazio di manovra del nuovo Esecutivo, l'innesco di un rapporto conflittuale con la magistratura e con il circuito dei media sarebbe sicuramente una pietra d'inciampo. Ora, Silvio Berlusconi vuole per Forza Italia il ministero della Giustizia e la delega all'editoria. Le ragioni che spingono il vecchio leone di Arcore a porre in toni assertivi tale richiesta sono evidenti. Giorgia Meloni, dal canto suo, teme che cedere le due caselle strategiche all'"amico Silvio" potrebbe rivelarsi un boomerang. L'iniziativa di un ministro forzista alla Giustizia che mette mano a una riforma "punitiva" dell'ordimento giudiziario e manda al macero la nefanda "Legge Severino" verrebbe percepita dalla corporazione dei magistrati come un guanto di sfida lanciato in faccia al potere giudiziario. Cosa del tutto inaccettabile per le toghe. E, visto che in trent'anni di vita politica trascorsi dalla stagione di Mani pulite abbiamo imparato a conoscere di quali metodi una parte autorevole del corpo giudiziario si avvalga per rintuzzare gli assalti della politica all'intangibilità del suo potere, si comprende la ritrosia della Meloni nel lasciare spazio all'alleato forzista al Ministero di via Arenula. È la ragione pratica, non ideologica, per la quale la premier in pectore preferisce indicare prudenzialmente in quel ruolo una figura di tecnico/politico meno divisiva, per usare un eufemismo.
Stesso dicasi riguardo alla delega all'editoria. Per anni i mondi che si oppongono alla destra hanno suonato la grancassa del conflitto d'interessi del Berlusconi politico con il Berlusconi tycoon, capo e creatore di un potentissimo gruppo editoriale impegnato nella comunicazione a tutto tondo. Giorgia Meloni non vuole che i suoi sforzi e quelli della sua squadra di Governo per
salvare il Paese dal disastro economico e sociale vengano offuscati dal teatrino mediatico che terrebbe i riflettori costantemente puntati sulle mosse governative in materia di telecomunicazioni. Ecco comunque spiegato il braccio di ferro con l'alleato forzista che reclama, a ragione, i suoi spazi nella compagine di Governo. Berlusconi è rimasto spiazzato dalla risolutezza della sua interlocutrice nel rifiutare, nelle trattive con gli alleati di coalizione, una metodologia che lo spirito dei tempi e le emergenze indotte dai mutamenti globali in corso hanno reso drammaticamente obsoleta. La crisi, solo parzialmente rientrata con l'elezione ieri alla presidenza della Camera dei deputati del leghista Lorenzo Fontana, grazie anche a buona parte dei voti forzisti, va risolta rapidamente e senza che nessuno degli interlocutori senta di soccombere alla prepotenza dell'altro. Ciò comporta che sia Giorgia Meloni a fare uno sforzo supplementare di comprensione delle ragioni di Forza Italia. Un compromesso che rimetta la legislatura sui giusti binari dopo la falsa partenza va trovato al più presto.
Non manca molto alla chiamata della Meloni al Quirinale per ricevere l'incarico dal presidente della Repubblica a formare il Governo della XIX legislatura. Perciò, si lasci in pace la povera Licia Ronzulli, che non sarà una Margaret Thatcher rediviva ma neppure può essere ritenuta il pomo della discordia nella crisi Berlusconi-Meloni. A meno che non si voglia cedere all'illusione, inoculata dal sommo Omero in tutte le generazioni di scolari succedutesi nei secoli, di credere che la causa della Guerra di Troia fosse stata l'amore infedele della bella Elena per Paride. Cristofaro Sola
NON SUCCEDE, MA SE SUCCEDE...
PREMESSA
A scanso di equivoci, essendo questo il Paese di Machiavelli; di "Franza o Spagna purché se magna"; del Gattopardo; di Ludovico il Moro e Piero de' Medici, che accolsero festosamente il re francese disceso in armi pensando di dover combattere per conquistare i territori ambiti; della battaglia di Fornovo, dove l'esercito in ritirata del re di cui sopra, accerchiato e in netta minoranza numerica, le suonò di brutto alla Lega Italica, il cui comandante in capo, però, ordinò ad Andrea Mantegna di dipingere "La Madonna della Vittoria", ancora oggi causa di forte emicrania per i visitatori del Louvre che non riescono a capire perché nella didascalia sia scritto "Eseguita su commissione di Francesco Gonzaga come ringraziamento per la vittoria riportata dal marchese sui Francesi presso Fornovo nel 1495"; di politici capaci di cambiare partiti con la disinvoltura necessaria alle modelle per i cambi d'abito durante le sfilate ed esaltare enfaticamente la loro coerenza morale e intellettuale; essendo anche il Paese di tanti altri soggetti che fanno diventare un dilettante alle prime armi dell'intrallazzo il pur scaltro Enrico di Navarra, con il suo "Parigi val bene una messa", dico subito che, alle ultime elezioni politiche, ho infoltito l'alto numero degli astensionisti, avendo da tempo rinunciato alla logica "del male minore", come scritto in un bell'articolo del 12 agosto, reperibile nel mio blog www.galvanor.wordpress.com. Il primo che si azzardi solo a pensare, pertanto, che questo articolo possa configurarsi in qualche modo come "captatio benevolentiae" nei confronti di chi si appresti a governare l'Italia, deve mordersi la lingua a sangue. Ho pagato un prezzo altissimo per mantenere sempre la schiena dritta, navigando in un mare tempestoso per oltre mezzo secolo, senza affondare, nonostante con un semplice schiocco di dita avrei potuto godere gli agi delle acque placide, figuriamoci se la piego ora, nel pieno della… "seconda gioventù".
Il titolo dell'articolo, pertanto, in segno augurale, è mutuato dall'Eurovision Song Contest 2021. L'Italia aveva in gara i Maneskin, freschi di vittoria al Festival di Sanremo e sbocciati da soli quattro anni grazie al talent show "X Factor", di cui furono i veri trionfatori, nonostante fossero arrivati secondi, perché del vincitore non ricordiamo né il nome né che fine abbia fatto. Durante la lunga serata dell'Eurofestival in pochi puntarono sull'effettiva possibilità di vittoria che, come noto, scaturisce dai voti provenienti dagli altri Paesi in gara. I conduttori, pertanto, ad ogni votazione ripetevano la frase "Non succede, ma se succede...", con crescente enfasi a mano a mano che i voti scalavano la classifica fino alle posizioni di vertice. Alla fine "successe" davvero e in poco tempo il gruppo musicale è diventato il più seguito del mondo.
Dalla fondazione di Roma ai giorni nostri sono trascorsi circa tremila anni e chi ben conosce la storia non è che si faccia troppe illusioni su una radicale "trasformazione" dell'italico DNA. Qualcosa si sta muovendo, tuttavia. Non succede… ma se succede…, anche in piccola parte, sarebbe davvero "una cosa grande". Di seguito alcune linee guida sui principali temi all'ordine del giorno, riservando ad altra occasione, dopo aver visto come si muoverà il nuovo Esecutivo, un'analisi più approfondita.
PROSPETTIVE PER UN PAESE MIGLIORE
Volente o nolente, per la prima volta dalla fine della guerra, il Paese sarà guidato da una coalizione politica sostanzialmente diversa dalle precedenti. Pur considerando, infatti, che le componenti di cui è costituita abbiano già avuto esperienze di governo, è ben evidente che la differenza rispetto al passato sia notevole, essendo stato sostituito il vecchio e coriaceo front man con una front woman che sta dimostrando, con i fatti, carattere e carisma. È appena il caso di ricordare, tanto per arare ancora meglio il terreno sul quale sarà scritto il prosieguo dell'articolo, che proprio la presenza del vecchio front man ha impedito a milioni di persone di recarsi alle urne, limitando una vittoria che, se fosse stata solo leggermente più sostanziosa, avrebbe consentito al Parlamento di muoversi con maggiore agilità, soprattutto sul piano delle riforme costituzionali. L'augurio sincero, pertanto, è che presto quella ingombrante fetta di coalizione si dissolva come i pericolosi iceberg che, dall'80° parallelo, scivolando sempre più giù nell'Atlantico, si trasformano in innocui cubetti di ghiaccio. Quegli "appunti" osceni che stanno facendo il giro del mondo, diciamolo senza tanti giri di parole, confermano in modo inequivocabile ciò che, almeno chi scrive, ribadisce da sempre.
REPUBBLICA PRESIDENZIALE
"Promissio boni viri est obligatio" e pertanto non è nemmeno il caso di soffermarsi troppo su questo punto. Bisogna perseguire con fermezza e determinazione l'obiettivo e pazienza se si renderà necessaria la dura battaglia referendaria per colpa di chi ha privato Meloni e Salvini di almeno il 50% dei voti, se non più, di quei 16.666.364 elettori che si sono astenuti. Una sola precisazione: "Repubblica presidenziale" si compone di sole due parole e non vi è alcun bisogno di spiegare in cosa consista. Restino due parole. Quella terza parola, la cui eco mi è giunta alle orecchie anche se solo di sfuggita, facciamo sì che continui ad essere impiegata solo negli specifici settori di pertinenza, per dare vita a piante di ogni tipo, gustosi ortaggi, splendidi fiori e naturalmente preservare la continuità del genere umano. Non voglio parlare male della preferenza ad essa accordata in altri Paesi, ma tra un vino riserva speciale da mille euro e un buon vino che ne costi 90/100, potendo scegliere "gratuitamente" quale portarsi a casa, non vedo perché non si debba puntare sul primo.
DISASTRO REGIONI ED ENTI LOCALI
Serve ribadire ancora una volta quanto sia disastroso l'attuale assetto amministrativo? Non
serve. Una repubblica presidenziale, del resto, si sposa bene con uno Stato federale che preveda non più di due-tre macroregioni rette da un governatore. (Per quanto mi riguarda non avrei alcuna difficoltà nel ripristinare lo Stato unitario, ma non voglio tirare troppo la corda). Alla Sicilia e alla Sardegna, a prescindere dall'assetto che dovesse realizzarsi, si revochi la facoltà dello "statuto speciale" - inutile perdere tempo a spiegare il perché - da preservare solo per le altre regioni che ne beneficiano in virtù di "reali" ragioni storiche e geografiche. Via anche le amministrazioni provinciali, con trasferimento delle funzioni alle prefetture, e si accorpino i piccoli comuni affinché la popolazione non sia inferiore ai quindicimila abitanti, in modo da evitare "centri di potere" che servono solo a favorire il clientelismo.
SI "CACCINO" LE IENE, NON I CINGHIALI
Lungi da me l'idea di essere indulgente nei confronti dei cinghiali che invadono i centri abitati, visti in tanti filmati trasmessi dalle emittenti televisive oramai con cadenza quasi quotidiana. Filmati per certi versi divertenti, senza che però attenuino i timori di molte persone, soprattutto dei genitori che non vorrebbero mai vedere i loro pargoletti imbattersi nel selvatico mammifero mentre giocano placidamente per strada o in qualsiasi altro luogo. Per fortuna, almeno fino ad oggi, al di là dei disastri causati nei campi agricoli, non si registrano danni alle persone, ma è evidente che il problema vada affrontato e risolto, anche se non è certo il più grave che affligge il Paese, come traspare dal titolo metaforico conferito a questa sezione dell'articolo. Le iene, infatti - quelle a quattro zampe - non costituiscono alcuna minaccia essendo assenti dai nostri territori. Molto pericolose, invece, sono quelle a due zampe, capaci di approfittare di qualsivoglia circostanza per trasformarla in un vantaggio personale, attuando con un cinismo che atterrisce il concetto "mors tua vita mea". In questo periodo stanno assurgendo alla ribalta della cronaca, per esempio, i gestori delle società che controllano il mercato dell'energia, responsabili, come ha giustamente osservato il presidente Mattarella, di speculazioni intollerabili che minano la coesione sociale e non hanno nulla a che vedere con i pur gravi effetti causati dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Speculazioni che vanno fermate subito per tutelare i cittadini, i lavoratori prossimi al licenziamento (o già licenziati) per la chiusura delle aziende che non possono sostenere i pazzeschi e ingiustificati aumenti dei costi energetici e le stesse aziende, che con la loro chiusura fanno perdere competitività al Paese nei mercati esteri, soprattutto nei settori che da sempre contribuiscono sensibilmente alla ricchezza nazionale.
A queste iene, ovviamente, vanno aggiunte quelle "storiche", che depredano sistematicamente il Paese grazie alla scellerata privatizzazione dei servizi sociali primari e al decentramento amministrativo di quello più importante: la sanità. Si ritorni all'antico, quindi, con una gestione centralizzata dei trasporti, dell'energia, delle comunicazioni, in modo da evitare i guasti di un "libero mercato" che, lungi dal determinare vantaggi per i cittadini in virtù della concorrenza, li penalizza grazie ai "cartelli aziendali" e a metodiche truffaldine che di certo un sistema "statalizzato" non potrebbe permettersi. La sanità ritorni ad essere gestita a livello ministeriale con norme valide su tutto il territorio nazionale, in modo da sopprimere l'attuale caos, utile solo
a chi da esso trae vantaggi. Lo stesso si faccia per le Poste, che devono ritornare ad essere "un servizio sociale" per gli "utenti", rinunciando al ruolo di "struttura commerciale" che ha trasformato i cittadini in "clienti".
Il ritorno all'antico, sia ben chiaro, deve riguardare precipuamente la "formula gestionale", rifuggendo dalle logiche distoniche proprie del vecchio pentapartito, che comunque consentivano sprechi e ruberie: gestione centralizzata, quindi, ma con rigida applicazione di severe regole che impediscano ai dipendenti di fare i "porci comodi loro" come avveniva in passato e, allo stesso tempo, ai vertici dei vari enti di "sfruttare i lavoratori", come accade ora, stressandoli fino alla depressione, con conseguente penalizzazione della qualità dei servizi.
GIUSTIZIA
Questo è uno dei temi più scottanti e una riforma radicale è necessaria almeno quanto l'acqua che disseta il viandante nel deserto. In primis bisogna meglio bilanciare il rapporto tra potere politico e potere giudiziario, in modo che la separazione sia sostanziale e non formale: oggi è decisamente sbilanciata a favore del potere politico. Vanno ridefinite, pertanto, le competenze del Ministero della Giustizia in modo che non "sia" e non "appaia" un organo gerarchicamente superiore al CSM, con revisione dell'art. 107 della Costituzione e revoca al ministro della facoltà di promuovere l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati, che deve restare di esclusiva pertinenza del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione. Va anche abolita la norma che prevede la nomina parlamentare di 1/3 dei membri del CSM, fonte primaria di tanti guasti che hanno minato e continuano a minare il settore giudiziario.
Sul fronte prettamente operativo bisogna adeguare il vecchio codice penale alle molteplici mutazioni sociali registratesi nell'ultimo trentennio. I gradi di giudizio, ai fini della sentenza definitiva, vanno ridotti da tre a due, senza comunque precludere la facoltà del ricorso alla Corte di Cassazione. Con due gradi di giudizio, in caso di condanna, passerebbe la voglia di ricorrere in Cassazione a meno che non si fosse "più che sicuri" di poter contare in un procedimento favorevole. Il consistente calo dei ricorsi ridurrebbe sensibilmente i tempi per la conclusione dei processi, ottenendo finalmente uno dei risultati più ambiti.
Prescrizione: da abolire senza se e senza ma ed evitiamo di scendere nei dettagli in questo contesto, avendone già parlato diffusamente in molti altri articoli, così come fatto anche per la separazione delle carriere, altro italico nonsense, che obbligherebbe un magistrato a svolgere la stessa funzione per tutta la vita. (Il 12 giugno scorso il popolo italiano ha boicottato in massa un referendum sulla Giustizia che avrebbe aggravato i problemi invece di risolverli e prevedeva anche la separazione delle carriere).
Il rispetto della dignità degli esseri umani è uno dei cardini di uno Stato di diritto e deve riguardare tutti, anche i detenuti: ce lo ricordano ogni giorno i membri delle tante associazioni che si battono per i loro diritti e a nessuno viene in mente di sostenere il contrario. È su come risolvere il problema che vi è qualche differenza, ma è chiaro che ognuno è libero di pensarla come vuole. Loro propongono, per esempio, di eliminare l'affollamento delle carceri, cosa
senz'altro grave e deprecabile, liberando i delinquenti in eccesso rispetto alla capienza dei singoli istituti di pena. Questa soluzione - absit iniuria verbis - riporta alla mente una famosa espressione di Fantozzi dopo aver visto "La corazzata Potëmkin" e pertanto ritengo che sia molto più logico, e soprattutto "più giusto", costruire nuove carceri, considerato che i delinquenti aumentano anno dopo anno anziché diminuire.
SCUOLA E ISTRUZIONE
Si veda il numero 93 di CONFINI (marzo 2021) "Pubblica distruzione"; art. pag. 13: "La buona scuola?". Poi ne riparleremo.
AMBIENTE
Si vedano i seguenti numeri di CONFINI: 55 (giugno 2017) pag. 9; 89 (ottobre 2020), pag. 4; 100 (novembre 2021) pag. 4. Relativamente alla contingenza attuale, che sta "resuscitando" la tentazione nucleare, ne riparleremo con "calma e serietà" in un prossimo numero. Per soddisfare la legittima curiosità dico semplicemente che non ho mai ragionato in termini "radicali" e affronto ogni problema senza pregiudizi ideologici o strumentali. Nell'insieme il quadro è chiaro e non mi sfuggono le sfumature che hanno indotto "anche" la giovanissima "mia erede" Greta Thunberg a sostenere: "Se proprio si devono fare delle scelte forzate, meglio il nucleare del carbone". Comprendo pienamente la "fredda" razionalità della giovane ambientalista e aggiungo solo - per ora - che ho il triplo della sua età e ho trascorso gran parte della vita a combattere e "a vincere" le battaglie contro il nucleare e ciò, evidentemente, ha il suo peso nelle analisi. Ma come dicevo, ne riparleremo.
PENSIONI E TASSE
Metto insieme questi due argomenti, perché strettamente legati. È ben chiaro che la scellerata riforma Fornero vada abolita, ma dissento sia sulla proposta "Opzione Uomo" (pensione anticipata a 58-59 anni con 35 anni di contributi e ricalcolo dell'assegno tutto contributivo, come già accade per "Opzione Donna", con una riduzione dell'assegno di un bel 30%) sia "Quota 41" (che prevede il pensionamento anticipato a chi abbia raggiunto 41 anni di versamenti a prescindere dall'età anagrafica. Ma quanti sono? E soprattutto: quanti saranno?) "Quota 100" era perfetta e molto equilibrata e non mi convincono i ragionamenti di chi spinga a lavorare fino a tarda età. Bisogna fare di tutto per creare i presupposti affinché si possa lasciare il lavoro, con dignitosa pensione, a non oltre 63 anni. Sorvolando sulle "chiacchiere" dette da qualcuno in campagna elettorale, alle quali ovviamente nessuno ha creduto, bisogna incidere in qualche modo sulle pensioni al di sotto dei 1.500,00 euro netti e in modo più incisivo su quelle mortificanti, al di sotto dei 600,00 euro netti. Una strada percorribile è quella della riduzione graduale dell'Irpef, che di fatto consentirebbe già un sensibile aumento, ma di sicuro un Governo che voglia davvero essere vicino "agli ultimi" deve fare di più e meglio di quanto da me descritto. Sul fronte delle tasse sarò semplicemente drastico: ridurre sensibilmente l'Irpef sui redditi fino a
30.000,00 euro netti, aumentarli in modo razionale e "congruo" a quelli superiori e combattere con "tolleranza zero" gli evasori fiscali.
NOMINE NELLE AZIENDE A CONTROLLO STATATE E NEGLI ENTI SOVRANAZIONALI
La primavera è la stagione che più di ogni altra, da sempre, incanta poeti, artisti, letterati. "Potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la primavera", sosteneva il grande Pablo Neruda. Riccardo Cocciante a primavera rinasceva cervo o gabbiano da scogliera, senza più niente da scordare, senza domande più da fare. Marina Rei, invece, respirava l'aria aspettando solo la primavera, proprio come i boiardi di Stato che aspirano a guidare Eni, Enel, Enav, Poste, Terna e Leonardo. Se il buongiorno si vede dal mattino, siamo sicuri che Giorgia Meloni non si farà mettere i piedi in testa da nessuno ed effettuerà le migliori scelte possibili. Vedremo, perché primavera poi verrà, senza permetterci minimamente di aggiungere altro, per ora. Parliamo, invece, di un organo sovranazionale molto importante, il cui attuale presidente, dopo ben otto anni di mandato, si appresta a dirigere la Banca centrale di Norvegia. Ci riferiamo, come da tutti inteso, a Stoltenberg e alla NATO. L'Italia, a quanto pare, è in pole position per la guida dell'importante Organismo di difesa militare, in un momento particolarmente delicato. Con un Governo a guida Meloni mi sembra pura follia il solo dare credito ai nomi che giravano fino a poche settimane fa, a cominciare da Gentiloni, e per "delicatezza" taccio su Draghi, il cui nome pure figurava tra i papabili. Io un nome ce l'avrei, ma non lo rivelerò nemmeno sotto tortura. Al massimo posso delineare le caratteristiche che vorrei vedere nell'uomo che guida la NATO, a prescindere dal nome che ho in mente: se europeo, dovrebbe come minimo essere un convinto europeista, non alla Macron, per intenderci, ma uno che abbia una vera coscienza "europea", che gli consenta di sentirsi nella "sua patria" tanto a Roma o Berlino, quanto a Praga o Dublino o in qualsiasi altro luogo del Continente; deve essere esperto di "cose militari" e quindi è bene evitare banchieri e affini; unendo l'amore per l'Europa e la consapevolezza che l'unione faccia la forza, con estremo tatto ma grande determinazione, zitto zitto, quatto quatto, ma non troppo lentamente perché il tempo stringe, deve riuscire a convincere tutti gli stati membri dell'Unione Europea (alcuni dei quali non fanno parte della NATO, ma per fortuna sono pochi e saranno ancora di meno con la ratifica ufficiale dell'adesione della Svezia, alla quale si aggiungerà la Norvegia, che però non fa parte della UE) a formare una forza d'intervento, coordinata da un unico stato maggiore guidato da un generale che anche nel solo nome di battesimo trasmetta forte carisma (un nome come Giuseppenicola tutto attaccato, tanto per citarne uno a caso), che costituisca l'embrione di quell'esercito continentale che vedrà la luce con la realizzazione degli Stati Uniti d'Europa; per far capire che è l'Europa il faro del mondo, poi, deve imporsi, sia pure elegantemente, anche nelle circostanzi formali, non consentendo, per esempio, che gli statunitensi mettano il formaggio grattugiato sulla pizza e bevano il cappuccino durante il pranzo. Non so se mi sono spiegato, spero di sì.
DULCIS IN FUNDO: DIVERTIAMOCI UN PO'.
I talk show post elezioni politiche, gli articoli sulle principali testate giornalistiche, i commenti nei
social media, stanno offrendo uno spaccato di un'Italia frastornata come non mai. Giovedì, 13 ottobre, Corrado Formigli, conduttore di Piazza Pulita, si è fatto soccorrere addirittura dal collega Giovanni Floris, che nella stessa rete conduce un talk show più o meno identico il martedì sera. Entrambi sembravano due maschere funerarie; parlavano, però, e ciò conferiva loro un'aura di talentuosi teatranti impegnati a recitare opere shakespeariane o ibseniane. Peccato che non fossero a teatro ma in uno studio televisivo e discutessero seriamente. Pasolini già nel 1974 sosteneva che non vi sia nulla di peggio del fascismo degli antifascisti. Quanto aveva ragione! Stanno diventando davvero stucchevoli le ore e ore di discussioni sul "pericolo fascista", nonostante anche a sinistra qualcuno di buon senso non manchi e mandi tutti in un posto che per rispetto dei lettori non cito, perché non è "quel paese".
Facciamola, allora, a conclusione di questo articolo, una bella provocazione per far diventare ancora più verdi di rabbia le facce di Formigli e Co.; di quei saccenti e noiosi figuri che il venerdì sera, sempre su "la7", pensano di prendere in giro il mondo intero ritenendosi i detentori delle verità assolute, di tutti i sinistrorsi e compagni di merenda che stanno vomitando fiele (e non solo) da circa un mese, ben intenzionati a continuare chissà per quanto altro tempo ancora. Nel numero 99 di CONFINI, "L'occidente perduto" (ottobre 2021), a pagina 39 vi è l'articolo "Il bla bla bla degli sciacalli", nel quale, a fronte delle reiterate richieste di sciogliere "Forza Nuova", ritenuto un partito "pericoloso per la tenuta democratica del Paese", riportai i dati ottenuti alle varie elezioni politiche ed europee, sempre pari allo zero virgola qualcosa. Parimenti trascrissi un indirizzo stradale di una bella città della Virginia, Arlington, dove ha sede, cambiando spesso ubicazione logistica, udite udite, nientepopodimeno ché la sede legale del partito nazista statunitense! Eh sì, perché negli USA è legittimo fondare un partito caratterizzato da fuori di testa che predicano strampalate tesi di superiorità razziale e tutto lo stupidario europeo che quando viene trasferito negli USA assume sempre dilatazioni ancora più grottesche.
Vogliamo davvero chiudere per sempre la bocca agli antifascisti di maniera? Bene! Cambiamola quella norma transitoria della Costituzione e diamo anche agli italiani la possibilità di "rifondare" il partito fascista e poi vediamo quanti voti prende e soprattutto la dimensione culturale dei principali responsabili. Che ne dite cari sinistrorsi dei mei stivali? A risultati acquisiti, quando vi renderete conto che in Italia non esiste alcun rischio di deriva democratica e che gli unici a dare fastidio, in ogni senso, siete voi, la smetterete di rompere i coglioni o continuerete all'infinito a sparare minchiate come gli scemi dei villaggi, i terrapiattisti, i complottisti e quegli strani tipi che dicono ogni giorno che domani verrà la fine del mondo? Sarebbe davvero bello scoprirlo.
Lino Lavorgna
PANDEMIA O ENDEMIA?
LA REALE SITUAZIONE SANITARIA
Un aggiornamento da parte del Dr. Silvio Sposito.
Sempre più spesso si sente dire - in relazione all'affaire Covid 19 - che siamo ormai in fase endemica o di convivenza con il virus. Effettivamente è così, e lo è anche da alcuni mesi. La positiva svolta è stata inaugurata dalla comparsa, improvvisa quanto benvenuta, della "variante virale" Omicron 1 tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022. Partita dal Sudafrica (o forse da contigue regioni africane) la variante si è rapidamente diffusa ovunque grazie alla sua elevata contagiosità, accompagnata fortunatamente da una consistente riduzione della sua virulenza. Dovunque sia giunta la variante ha spiazzato e sostituito la ben più pericolosa variante Delta, responsabile di un numero ancora molto elevato di ospedalizzazioni e decessi tra la popolazione "fragile".
Nel corso del 2022 abbiamo assistito al rapido succedersi di varianti omicron fino all'attuale n.5, sempre nella direzione di una maggiore contagiosità e minore pericolosità, come ci si poteva aspettare dalla naturale evoluzione del virus nel suo adattarsi al nuovo ospite umano. La prova provata che siamo in endemia, e non più in pandemia, è giunta da un importante studio portoghese che ha stimato nella popolazione generale (un campione vastissimo di milioni di persone) la presenza di anticorpi anti - nucleocapside virale (riscontrabili solo nei guariti) insieme ai più noti anticorpi neutralizzanti IgG anti proteina spike (nei guariti, nei vaccinati e nei vaccinati guariti). Si è rilevata la presenza di anticorpi anti - nucleocapside in un numero di soggetti più elevato del previsto - segno evidente di un gran numero di infezioni con decorso asintomatico o paucisintomatico. La somma dei soggetti con anticorpi da guarigione clinica, vaccinazione o vaccinazione con guarigione, supera abbondantemente il 90% certificando il superamento della soglia di immunità di popolazione. Non c'è alcun motivo di ritenere che la situazione italiana ed europea sia molto lontana da quella portoghese. Sarebbe ora opportuno tranquillizzare la popolazione, in parte ancora vittima di ansie e paure non più giustificate. In realtà i virus della famiglia "omicron" si sono comportati come una sorta di "vaccino naturale" a base di un virus vivo attenuato, analogamente al primo vaccino della storia, quello antivaioloso di Jenner, ricavato con geniale intuizione dalle pustole prodotte dal vaiolo delle vacche (donde il termine "vaccino"); ma anche come il vaccino antipolio, o antimorbilloso, e altri. Mi si dirà: "E i morti che vengono ancora segnalati con bollettini ancora inutilmente giornalieri?" La stragrande maggioranza, e forse la totalità di queste morti, sono imputabili a gravi malattie preesistenti in
anziani "fragili" con tampone positivo (ricordando anche la dimostrata elevata % di falsi positivi con le attuali metodiche diagnostiche). Il rischio reale di decesso per la stragrande maggioranza della popolazione non è superiore a quello di una qualunque infezione respiratoria, o urinaria, o gastroenterica che si sovrapponga ad uno stato generale fortemente compromesso.
Ma serve allora vaccinare ancora? Se lo sono chiesto illustri ricercatori in un recente articolo di Nature, tanto più che sono sempre più evidenti le criticità dei vaccini a base di mRna sia in termini di efficacia - che tende a negativizzarsi dopo 150 giorni, quindi con facilitazione all'infezione - che di sicurezza: sono sempre più allarmanti i dati sull'eccesso di mortalità per tutte le cause e per tutte le classi di età, a partire dal mese di aprile 2021.
Patologie che erano in progressivo calo, come quelle cardiovascolari, manifestano ora un improvviso aumento, particolarmente inquietante se riferito alle classi di età più giovani. Inspiegabili morti improvvise colpiscono a macchia di leopardo persone anche giovani e prive di precedenti specifici, nonché giovani sportivi.
Sono eventi molto gravi che necessitano una spiegazione chiara, esauriente e senza equivoci. In seguito a questi recenti dati le autorità sanitarie danesi non consigliano più la vaccinazione (con questi prodotti) ai cittadini di età inferiore a 50 anni, e così gli svedesi per i minori di 18 anni.
Analogamente lo Stato della Florida ha sospeso le vaccinazioni sotto i 40 anni in seguito ad un accurato studio statistico del responsabile sanitario Dr Ladapo.
Si accumulano poi altre notizie a dir poco preoccupanti: la FDA resiste all'imposizione di un tribunale che ha richiesto la messa a disposizione di ricercatori indipendenti i dati grezzi riguardanti la totalità dello studio presentato dalle ditte per l'approvazione all'uso dei loro prodotti; due senatori repubblicani sono allora intervenuti con una interrogazione ufficiale affinché la FDA comunichi i dati richiesti entro 30 giorni (con scadenza poco prima delle elezioni di mid term americane). Il CDC di Atlanta non si comporta molto meglio, e ha sospeso la comunicazione dei dati del programma di farmacovigilanza attiva V-safe, con il quale i cittadini vaccinati - grazie ad apposita app - sono in costante contatto con l'amministrazione in modo da segnalare tempestivamente eventuali eventi avversi dopo vaccinazione. Questo programma supera di gran lunga le potenzialità del VAERS, programma di farmacovigilanza passiva, i cui dati sono già di per sé molto allarmanti. Neppure i dati delle poche autopsie, praticate sui deceduti in relazione temporale con le vaccinazioni, sono stati comunicati. Tuttavia sappiamo - grazie al benemerito lavoro di alcuni anatomopatologi tedeschi, i dottori Burckardt, Lang e il Prof. Schirmacher, che le lesioni istologiche degli organi più colpiti (cuore, fegato reni, cervello, gonadi) sono di tipo autoimmune con estesa infiltrazione dei tessuti da parte di piccoli linfociti (cellule che dovrebbero trovarsi solo all'interno dei vasi o negli organi linfatici, ovvero milza, linfonodi, timo, midollo osseo, placche di Peyer dell'intestino).
La miocardite autoimmune post-vaccinazione, frequente in particolare nei giovani maschi - e talora accompagnata da pericardite essudativa con versamento pericardico attorno al cuorepuò guarire dopo intenso trattamento cortisonico, ma non sappiamo quali possano essere gli esiti a distanza delle residue cicatrici: scompenso cardiaco? Aritmie? Abbandono di ogni attività
sportiva o fisica impegnativa? La riferita miocardite post-Covid si è rivelata essere estremamente più rara. Ma quale potrebbe essere il meccanismo alla base dei troppi e gravissimi eventi di morte improvvisa inspiegabile? Possiamo fare solo alcune ipotesi sulla base dei riscontri autoptici: l'interessamento importante, da parte dell'infiltrato infiammatorio, dei "segnapassi" cardiaci - ovvero il nodo seno-atriale e il nodo atrio-ventricolare - che regolano il battito cardiaco e la trasmissione dell'impulso contrattile a tutto il miocardio, con possibile (?) insorgenza di asistolia (arresto del battito) o fibrillazione ventricolare (contrazione caotica e inefficace con esito pari all'asistolia se non si interviene con una tempestiva defibrillazione e con pratiche rianimatorie, generalmente non disponibili). Il prof Barbaro - cardiologo sospeso per aver osato (giustamente) prescrivere alcune importanti analisi prima della vaccinazione!!! - ha avanzato un'altra ipotesi, ovvero che le turbe improvvise, e talora mortali, del ritmo cardiaco siano dovute ad una compromissione dell'innervazione autonomica del cuore con alterazione del rapporto simpatico/parasimpatico, ad opera di una neurite periferica pure presumibilmente su base autoimmune.
Da quanto detto, chiunque può facilmente intendere la gravità della situazione. Come potevasi facilmente prevedere, non essendo state condotte analisi preliminari sulla capacità di questi vaccini di impedire - o ridurre in modo significativo - la trasmissibilità dell'infezione, non è mai esistita alcuna giustificazione - tanto meno "morale" - a vaccinare bambini e giovani sani, il cui rischio di ammalarsi gravemente era, ed è ancor più oggi con omicron, prossimo allo zero! Vaccinare questi soggetti non porta loro alcun beneficio, non impedisce la trasmissione del virus ad altri (cosa ammessa candidamente dalla rappresentante della Pfizer di fronte al Parlamento Europeo!), e invece li espone a gravi rischi sanitari, non escluso il peggiore di tutti! Non credo che possano essere ulteriormente tollerati abusi di tale gravità.
Sono stati commessi molti, troppi errori: l'inspiegabile ostracismo iniziale nei confronti delle autopsie (le sale settorie sono i luoghi più sicuri degli ospedali, e inoltre i morti non sembrano respirare), con relativo ritardo nella comprensione della patogenesi vascolare, oltre che respiratoria dei sintomi di malattia.
Il "blocco" totale e indiscriminato, senza alcuna distinzione tra aree maggiormente colpite e altre ancora risparmiate, che non ha affatto fermato il virus solo dilazionando i contagi, ma causando devastanti danni economici e psicologici.
Il mancato riconoscimento del valore e importanza dell'immunità naturale sviluppata dai guariti, del tutto svalutata rispetto all'immunità (?) acquisita dopo vaccinazione. Innumerevoli studi hanno dimostrato l'esatto contrario, come era anche qui prevedibile: il guarito è protetto non solo da una messe (non uno soltanto) di anticorpi specifici, ma anche dai linfociti B e T di memoria immunitaria che garantiscono una protezione dalla malattia clinica per diversi anni (forse per la vita). L'immunità naturale del nostro meraviglioso sistema immunitario - evolutosi nel corso di milioni di anni! - è stata prima colpevolmente ignorata, e poi svilita.
Il prolungato e interminabile dibattito - anche tra gli "esperti" dell'OMS - sulle modalità di contagio e i mezzi per prevenirlo. Diffusione aerea, per contatto o con entrambe le modalità?
Diffusione per "goccioline" sensibili alla gravità, o per aerosol in grado di restare a lungo sospeso in aria? Alla fine, dopo più di un anno di discussioni si è giunti a queste conclusioni: la via per contatto è trascurabile, a differenza di raffreddore e influenza. All'aperto l'aerosol si disperde in una cubatura virtualmente infinita, e non può contagiare. In caso di grande assembramento di gente vociante, ci si può difendere con mascherine e distanziamento (che proteggono dalle goccioline emesse). In tutti gli altri casi non si ravvede un uso utile delle mascherine all'aperto. Al chiuso mascherine e distanziamento possono ancora difendere dalle goccioline altrui, ma se l'ambiente ha una cubatura ridotta, un aerosol infetto può saturare l'ambiente in assenza di idonea ventilazione, concentrandosi invece di disperdersi. In questa situazione la protezione offerta da mascherine e distanziamento può essere scarsa o assente.
E' allora necessario ventilare, creando correnti d'aria in estate, oppure aiutandosi in inverno con scambiatori d'aria e/o purificatori a raggi UVC (altro che banchi a rotelle!). E' stato fatto? No, salvo sporadiche iniziative. Eppure sarebbe stato un fattore protettivo di grandissima importanza.
Il vergognoso ostracismo, esercitato con grande violenza e determinazione, verso eventuali terapie "riposizionate", ovvero con farmaci approvati con altre indicazioni, ma rivelatisi empiricamente efficaci contro il virus.
Mentre per questi vaccini si esigeva l'autorizzazione accelerata "in emergenza" o "condizionata", per i farmaci dimostratisi attivi in laboratorio o in piccoli studi preliminari si chiedevano improrogabilmente studi randomizzati e controllati (della durata presumibile di diversi anni!), oppure si passava direttamente alla denigrazione. L'elenco è lunghissimo: dalla terapia del prof. Raoult con idrossiclorochina e azitromicina, attaccata con uno studio dimostratosi in seguito mal eseguito (in realtà appositamente disegnato per fallire) e in seguito ritirato! Studi successivi hanno invece dimostrato sicurezza ed efficacia della duplice terapia, purché somministrata entro i primi giorni di malattia, e non dopo "vigile attesa". Stesso accanimento in seguito - e anche peggiore - verso ivermectina, farmaco antiparassitario, gli scopritori del quale sono stati insigniti del Premio Nobel per la Medicina per la sua efficacia verso gravissime parassitosi tropicali responsabili di cecità. Studi preliminari ne avevano documentato la grande efficacia in ogni fase di malattia, e anche in prevenzione! Ma OMS e autorità regolatorie ne hanno ristretto l'utilizzo alle sole ricerche cliniche, negandone di fatto l'uso e rendendo anche il farmaco difficilmente reperibile! Anche qui uno studio negativo mal disegnato e moltissimi altri con esito positivo.
Nel frattempo il prof. Remuzzi aveva condotto un piccolo studio che aveva mostrato ottimi risultati con semplici antiinfiammatori non steroidei (FANS) come ibuprofene (idem per ketoprofene, indometacina, nimesulide e altri) assunti però al primo insorgere dei sintomi (sempre senza alcuna "vigile attesa").
Il professor Remuzzi segnalava anche l'utilità di budesonide (cortisonico) per via nasale - farmaco già ampiamente usato per asma e rinite allergiche. Di recente è uscito lo studio completo sui FANS che ne ha dimostrato la grande efficacia nel prevenire ospedalizzazioni (e quindi morti): un
90% di efficacia per la precisione! Mentre la budesonide si è dimostrata capace di ridurre il numero di recettori ACE2 sulla superficie delle cellule della mucosa respiratoria, ostacolando così il legame del virus con le cellule dell'ospite e il suo successivo ingresso!
Medici degni di questo nome e del giuramento prestato nel nome di Ippocrate hanno sfidato il virus - e soprattutto assurdi e antiscientifici "protocolli" - curando i pazienti fin dal primo giorno con molti dei farmaci citati, ottenendo eccellenti risultati e infischiandosi di "tachipirina e vigile attesa". Attesa di cosa? Forse del carro funebre? Ricordiamo, tra l'altro, che il paracetamolo (Tachipirina) consuma Glutatione e non sarebbe pertanto il miglior farmaco da usare in una patologia virale pro infiammatoria come il Covid. Eppure questi coraggiosi colleghi e veri medici sono stati ostracizzati, insultati, descritti come "ciarlatani", e infine deferiti agli Ordini dei Medici (davvero dei medici, ma davvero?) e qui "processati", sospesi, e anche radiati! Una vergogna incancellabile per la classe medica italiana.
Un cenno infine alla terapia con plasma immune e agli anticorpi monoclonali. Il plasma dei guariti è ricco di anticorpi specifici e il razionale d'uso è pertanto intuitivo. Eppure il Dr De Donno - il primo a propugnarne l'uso - è stato boicottato ed escluso dallo studio italiano multicentrico. Tutti conosciamo il drammatico esito di questa brutta storia. Il fatto è che erano in arrivo gli anticorpi monoclonali, di più facile somministrazione, ma anche di costo elevato e relativi margini di guadagno per le ditte! Ma la rapida comparsa di varianti virali, anche piuttosto diverse dalle originali ha fatto sì che i monoclonali divenissero rapidamente inefficaci e obsoleti, cosa che non sarebbe accaduta con la terapia al plasma, ottenuto dai pazienti guariti di recente.
Notizia dell'ultima ora: ricercatori israeliani avrebbero messo a punto un anticorpo monoclonale attivo verso qualsiasi variante virale; fatto di grandissima rilevanza scientifica e pratica, e che renderebbe superfluo qualsiasi nuovo vaccino, vecchio, nuovo o aggiornato che sia! Per ora non si hanno ulteriori notizie. Non vorrei che il farmaco si rendesse disponibile per i pazienti dopo un ennesimo giro di vaccinazioni con vaccini "aggiornati", e/o "bivalenti", oppure a pandemia bella e finita. Come diceva una vecchia volpe della politica italiana: "a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca". Il fatto rilevante - e generalmente ignorato - è questo: in caso di disponibilità di un farmaco certamente attivo, efficace e sicuro - per di più approvato dalle autorità regolatorie - come un costoso (e produttivo per le aziende) anticorpo monoclonale superpotente, qualsiasi vaccino passerebbe in seconda linea. Non nel senso che non si possa e debba usare, ma nel senso che la procedura di approvazione dovrebbe essere rivalutata e completata, ad esempio con studi di carcinogenicità e genotossicità (mai eseguiti); insomma la procedura da "emergenziale" o "condizionata" tornerebbe ad essere quella ordinaria, di maggior durata e complessità. Per non parlare del fatto che - in realtà - queste sostanze immunostimolanti (non saprei come definirle altrimenti) dovrebbero essere classificate tra le "terapie geniche" e quindi - anche per questoessere sottoposte ad una procedura più lunga e complessa. E' forse per aggirare questo ostacolo che l'OMS ha modificato la definizione di "vaccino" per farvi rientrare a pieno titolo queste sostanze?
E qui torna in ballo il proverbiale cinismo dell'onorevole (o disonorevole?) Andreotti; ebbene sì, la scabrosa frase di cui sopra era sua!
A posteriori si comprende facilmente l'entità dei risultati positivi che si sarebbero potuti ottenere senza ottusi ostacoli burocratici e con un uso su larga scala di queste terapie (e di tante altre, come l'ossigeno-ozonoterapia) fin dall'esordio di malattia e nei casi con tendenza all'aggravamento. E non possiamo non ricordare la Vit. D3 che in uno studio su anziani degenti in RSA o case di Cura (tutti più o meno gravemente carenti in Vit. D3) si è dimostrata in grado di ridurre le ospedalizzazioni di un corposo 80%!
Infine l'ostracismo gettato - con azione orchestrata e coordinata dai direttori del NIAID (A. Fauci) e del NIH (F. Collins) - verso i proponenti la "Great Barrington Declaration" dell'ottobre 2020 (gli epidemiologi Kulldorff di Harvard, Bhattacharya di Stanford e Gupta di Oxford) in cui si proponeva - vista la presumibile evoluzione della pandemia - un cambio di strategia, puntando ad una protezione mirata dei soggetti ad alto rischio di malattia grave, con minori misure restrittive per il resto della popolazione. Ugualmente, una volta disponibili i vaccini, questi si sarebbero dovuti usare in modo mirato e limitato alle fasce a maggior rischio, e quindi non per una vaccinazione di massa. Ciò avrebbe limitato in buona misura pesanti danni psicologici ed economici alla popolazione, senza compromettere la sicurezza dei "fragili" ed avrebbe parimenti limitato eventuali possibili effetti indesiderati a carico dei più giovani. L'azione lesiva della spike virale, sintetizzata in quantità eccessiva dopo vaccinazione, e in grado di distribuirsi ben oltre la sede d'iniezione, si manifesta infatti prevalentemente con un meccanismo immunologico, naturalmente più intenso nei giovani rispetto agli anziani.
Quanti scienziati (a partire dagli illustri epidemiologi della Dichiarazione di Great Barrington), ricercatori, illustri clinici o onesti medici di base sono stati perseguitati (è il caso di dirlo) per aver semplicemente fatto il proprio dovere etico? Quanta inflessibile censura è stata esercitata dai mezzi di comunicazione di massa, e ora persino dai cosiddetti "social network"?
Quanta propaganda è stata riversata su menti impreparate e indifese con l'ausilio di un Terrore alimentato ad arte? Quanto odio è stato suscitato verso persone giustamente critiche ed "esitanti"? Quanti ricatti, discriminazioni, violenze psicologiche (al limite di quelle fisiche a sentire certe dichiarazioni mostruose)! Tutto sbagliato, inutile, controproducente, dannoso, disastroso. Quando riusciremo a sanare le assurde divisioni aperte nel tessuto vivo della società, all'interno delle stesse famiglie, della cerchia di amici e conoscenti, delle imprese e dei colleghi di lavoro? Un grave vulnus, un cuneo di incomunicabilità, disprezzo e incomprensione è stato inserito con violenza nella viva carne del popolo.
Ritengo che, quando saremo in grado di stilare un bilancio definitivo (non prima di diversi anni purtroppo, considerando i possibili eventi avversi a lungo termine) il suddetto bilancio risulterà gravemente in perdita. La domanda che occorre ora porsi è: Perché questo cumulo di giganteschi errori (se di errori si tratta)?. Perché tanta determinazione nel sopprimere le idee dissonanti e gli scienziati "eterodossi"? Forse per gli immensi profitti derivanti da tali "vaccini" verso qualsiasi farmaco (circa 15 miliardi di dollari al momento)? O forse anche per altri motivi, ancora più
abietti e inquietanti (controllo sociale, depopolazione di tipo neomalthusiano, nuovo ordine mondiale, Great Reset, e così via)? Perché poi tanti medici si sono allineati ad una presunta verità apodittica e indiscutibile, pur in presenza di sempre più palesi criticità e problemi, anche gravi?
Conformismo, incapacità o impossibilità di resistere a ignobili ricatti? Superficialità di informazione professionale o impropria fiducia in colleghi "esperti"? Conflitti di interesse? E la fuoriuscita dal laboratorio cinese (o i laboratori?) è avvenuta per un incidente, o si è trattato di un'azione deliberata e criminale?
Sembrano idee fantasiose e "complottiste"; ma i presunti "complottisti" potrebbero rivelarsi alla fine piuttosto come degli scopritori e denunciatori di complotti, proprio quelli messi abilmente e tenacemente in opera dai veri complottisti. Certo è che il mondo attuale appare sempre più dominato da entità extra governative in cui operano personaggi estremamente ricchi - e quindi potenti e consapevoli della propria forza e potere di ricatto - i quali stanno anche diventando sempre più ricchi e potenti. Non è il mondo in cui vorrei veder crescere i nostri figli e nipoti.
Silvio Sposito Roma 12 ottobre 2022 Specialista in endocrinologia e medicina nucleare
PER ASPERA
L'aveva osservata sempre con curiosità, quella parete del Monte Pellegrino che incombeva sulla sua casa all'Addaura.
Il monte, ovunque irto di pinnacoli e lame di roccia, lì apriva le sue ferite per mostrare la sua carne rosea, nel suo strapiombo più verticale e scoperto.
La parete era sorvegliata da gabbiani, attirati più dalla facile preda della spazzatura che dalla ricerca di pesce nel mare.
Ora che vi si trovava aggrappato, quella parete gli offriva però una nuova prospettiva e orrida.
Da ore ormai non poteva andare né su né giù.
Era abbarbicato ad uno spuntone, ad una lama di roccia rosea e quasi tagliente che resistevaancora per quanto? - al suo peso.
La vista era di cose note: in primo luogo la sua stessa casa, da basso, animata a tratti dalla vita dei suoi che frequentavano il giardinetto senza mai guardare in alto, per fortuna. Nelle villette dei suoi vicini, alcuni si disponevano alle incombenze dell'incipiente sera, in altre avevano acceso la brace di un barbecue, in altre erano in corso allegre riunioni di amici nel prato ben rasato.
I tetti però gli mostravano una novità: essi, confermando il loro stesso ufficio,cui si presta poca attenzione, coprivano gli ambienti delle case; coprivano le persone al loro interno; facendone vedere a tratti poco o nulla: i tetti erano i protagonisti e la vera sorpresa , visti da lassù.
Lo aveva notato anche mentre scalava a mani nude la parete.
Verso le quattro del pomeriggio essa cominciava ad essere in ombra, e quell'ora dovette sembrargli fatale.
La parete sarebbe rimasta calda fino a sera , fino a notte.
Ma i tetti, si diceva, che aveva ancora osservato salendo, i tetti roventi e rossi di coppi, i tetti nascondevano benissimo la vita, le vite intorno.
Salendo aveva anche verificato come i gabbiani si fossero ben insediati nella parete, infatti gli era capitato di farne volare via più d'uno, disturbato che aveva il loro nido con la mano che tentava la parete alla ricerca di un appiglio.
Loro fortunati e felici si libravano nell'aria con grandi strepiti in giri larghi, per poi risalire lungo la parete e posarsi con gran sventaglio delle ali su di una roccia prominente sul limitare del baratro.
Tentò di salire ancora, intravedendo la soluzione della sua ascesa in un puntale che ben saldo scovò a pochi metri da sé. Si, pochi metri.
Convinto che quel tentativo di salita poteva essere l'ultimo, allora decise di scendere, ma anche questa prova non era possibile.
Tra le infinite combinazioni che collegavano le misure del suo corpo, l'estensione delle sue braccia e delle sue gambe e la presenza di utili appigli o nicchie o sporgenze, il perfido gioco del caso aveva scelto solo quelle che non gli consentivano più alcun movimento.
Nulla intorno sembrava registrare il minimo sentore del suo dramma, per così dire alpinistico.
Pensò di maledire il momento in cui aveva intrapreso quella dissennata ascesa, ma non gli riuscì, quasi per una forma nuova di affetto verso sé stesso, che ora compativa fraternamente. Sentiva intorno solo silenzio e rassegnazione.
Non poteva, non sapeva, immaginare alcun esito a quella singolare realtà in cui si era cacciato.
Il mondo poi, il suo stesso mondo, che in parte era sotto di lui, in parte intorno a lui, era immobile, inconoscibile per quanto invece da lui riconoscibile, estraneo, eppure, si illuse, in qualche modo partecipe del suo dramma.
In un istante - assicurano i registi della morte imminente - gli si presentarono immagini del mondo di sotto, tutte prive di senso e del tutto inadatte a rappresentare la gravità del momento.
Alcune auto che non riuscivano a trovare posto nel parcheggio alle pendici del monte, una ragazza che stendeva lenzuoli gonfiati dal vento leggero, quello stesso che lo accarezzava canzonatorio nella sua innaturale postura, il pazzo che rassettava il suo giardinetto irrigato con acqua minerale.
Solo l'insistente volteggiare di un gabbiano sul baratro gli ispirò profonda invidia e venerazione.
Fausto Provenzano
A NATION ONCE AGAIN
Terza parte
I TERRIBILI ANNI DEI TROUBLES
Negli anni Cinquanta del secolo scorso gli unionisti del Nord Irlanda avviarono una feroce campagna repressiva nei confronti dei cattolici che, ovviamente, non smettevano mai di sognare la riunificazione con l'Eire. La spirale di crescente violenza indusse le forze residue dell'Irish Republican Army, che nel Sud dell'isola oramai non avevano nemici da combattere, a correre in soccorso dei confratelli del Nord. Gli attentati contro numerose installazioni militari, però, non produssero alcun effetto positivo e servirono solo a far giungere in soccorso della Royal Ulster Constabulary (RUC, le forze dell'ordine locali) i reparti speciali dell'esercito inglese. Siamo alla fine degli anni Sessanta e ha inizio quel sanguinoso conflitto che è passato alla storia con il termine Troubles. I cattolici organizzavano continue manifestazioni pacifiche, sistematicamente represse con inaudita violenza. Nell'IRA tutto ciò alimentò forti contrasti interni: alcuni militanti, infatti, accusarono apertamente il vertice dell'organizzazione di non essere in grado di contrastare le forze di occupazione e difendere adeguatamente le tante famiglie costrette a trasferirsi altrove, avendo avuto le case incendiate dai protestanti. I contrasti, divenuti insanabili, nel 1971 sfociarono nella scissione che diede vita al nuovo gruppo paramilitare Provisional Ira.
Il nucleo storico, Official Ira, in breve tempo perse ogni consistenza operativa, essendo gli scissionisti superiori in ogni campo. Entrano in scena, pertanto, gli eroi che si dedicheranno anima e corpo a perseguire il sogno di A Nation Once Again, i più famosi dei quali sono Gerry Adams (nato nel 1948); Martin McGuinnes (1950-2017); Bobby Sands (1954-1981). Ancorché giovanissimi, i tre esprimevano una forte carica carismatica e fecero breccia nei cuori di migliaia di nord-irlandesi, soprattutto coetanei, che corsero ad arruolarsi nelle brigate della nuova IRA, strutturatasi in un vero e proprio esercito.
Gli scontri ripresero in ogni angolo del Nord Irlanda, concentrandosi precipuamente nelle due città "simbolo" della lotta di liberazione, Belfast e Derry, quest'ultima dagli inglesi rinominata sprezzantemente Londonderry.
BULLYMURPHY MASSACRE
La reazione non si fece attendere e la RUC ebbe l'ordine "di arrestare e internare chiunque fosse sospettato di essere un membro dell'IRA". (Per comodità espositiva continuiamo a utilizzare il termine IRA, essendo ben chiaro che si fa sempre riferimento alla Provisional Ira).
Gli ordini "espliciti", in quel contesto, avevano sempre una larga estensione "implicita" facilmente intuibile e fedelmente interpretata tanto dalle forze di polizia quanto dai reparti speciali. I primi effetti si ebbero tra il nove e l'undici agosto 1971, con l'operazione "Demetrius", che sfociò nel massacro passato alla storia col nome del quartiere occidentale di Belfast dove si erano rifugiati molti cattolici costretti ad abbandonare la zona orientale, a maggioranza protestante: "Massacro di Bullymurphy". I super addestrati paracadutisti inglesi uccisero a sangue freddo undici civili disarmati, colpevoli solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono le prime vittime innocenti e ricordiamo i loro nomi, associandoli simbolicamente agli oltre duemila caduti, tra civili e combattenti dell'IRA, in trenta anni di guerriglia: Francis Quinn, 19 anni, ucciso a colpi di arma da fuoco da un cecchino mentre si recava a salvare un uomo ferito; Hugh Mullan (38), prete, anch'egli ucciso mentre si apprestava a soccorrere un ferito; Joan Connolly (50), uccisa pur essendo relativamente lontana dal luogo degli scontri; Daniel Teggart (44), massacrato con ben quattordici fori di proiettile, la maggior parte dei quali sparati alla schiena, quando era già disteso a terra; Noel Phillips (20), anch'egli colpito alla schiena. Joseph Murphy (41), ferito mentre dava le spalle alla base militare inglese, fu imprigionato dall'esercito, torturato e fucilato in prigione; Edward Doherty (28), ucciso mentre passeggiava lungo Whiterock Road; Jean Laverty (20), colpito alla schiena; Joseph Corr (43), colpito più volte, morì per le ferite il 27 agosto; Jean McKerr (49), ferito mentre si trovava di fronte a una chiesa, morì per le ferite il 20 agosto; Paddy McCarthy (44), morì d'infarto durante l'arresto: i soldati gli misero in bocca la canna di una pistola, dopo averla scaricata, premendo il grilletto per schernirlo e spaventarlo, ma lo sventurato non resse quei momenti di terrore. Ci sono voluti ben cinquanta anni per imputare ufficialmente ai militari il massacro. La sentenza è stata emessa l'11 maggio 2021 dal tribunale di Belfast e ha spazzato via le tante inchieste farsa inscenate con l'intento di attribuire la responsabilità degli scontri ai civili.
I paracadutisti sotto accusa, colpevoli anche di un altro massacro del quale parleremo tra poco, sono ora ultrasettantenni e sicuramente non faranno un solo giorno di prigione, ma la condanna che dovesse scaturire dal processo a loro carico avrebbe un alto valore simbolico, ben superiore alla pur più che meritata detenzione in carcere.
BLOODY SUNDAY
L'evento dei Troubles che più di ogni altro ha conquistato fama planetaria è quello verificatosi, solo cinque mesi dopo, nel quartiere Bogside di Derry, passato alla storia come Bloody Sunday e noto anche come Strage del Bogside. In una tipica grigia domenica invernale, il 30 gennaio 1972, i cattolici iscritti alla Northern Ireland Civil Rights Association avevano organizzato una marcia pacifica di protesta contro l'esecutivo nord irlandese (Parlamento di Stormont) che, oltre ad essersi reso responsabile del succitato eccidio, aveva introdotto l'internamento senza processo dei cittadini solo sospettati di essere membri o fiancheggiatori dell'IRA e il divieto di ogni manifestazione di piazza.
Il promotore della marcia fu il protestante Ivan Cooper, co-fondatore dell'associazione e, nel 1970, con tre amici, del SDLP (Partito social democratico e laburista, di cui divenne deputato), convinto assertore della pacifica convivenza tra le due fazioni religiose. Oltre quindicimila persone partirono dal Bishop Field con l'intento di raggiungere la sede del municipio, ubicato a poco più di due chilometri di distanza, sulla sponda occidentale del fiume Foyle. Non vi riuscirono perché la zona era protetta dai reparti speciali dell'esercito, che avevano eretto insormontabili barricate per fermare i "teppisti; terroristi; schifosi viscidi; pezzi di merda da mettere tutti al fresco entro stasera", tanto per citare solo gli epiteti meno volgari utilizzati dagli ufficiali che diramavano gli ordini e dai soldati stessi.
I manifestanti, pertanto, decisero di cambiare rotta e dirigersi verso il "Free Derry Corner", seguendo le direttive di un concitato Ivan Cooper, che correva come un forsennato tra i manifestanti del suo gruppo, i soldati e i sopraggiunti militanti dell'IRA, per cercare di indurre tutti a mantenere la calma. Nel tragitto verso la nuova meta si registrarono piccole scaramucce, senza gravi conseguenze; poco dopo le sedici, però, ai paracadutisti inglesi fu dato l'ordine di oltrepassare le barriere e arrestare i manifestanti. Alla vista dei militari in posizione di attacco tutti si riversarono verso il Glenfada Park, in cerca di qualche via di fuga. Alcuni ebbero l'infelice idea di rifugiarsi nel parcheggio di una grande area residenziale denominata "Rossvile flats", presumendo di potersi disperdere nelle stradine che separavano i palazzi; parimenti fecero coloro che si rifugiarono nel grande parcheggio del Glenfada Park. È in questa area che si consuma il dramma, artatamente fomentato dagli ufficiali inglesi, insensibili anche ai richiami delle forze dell'ordine, che avevano intuito ciò che si stava orchestrando e tentarono invano di fermarli. Parliamo comunque di agenti della RUC che, in questa fase, dimostrarono maggiore umanità rispetto ai militari, chiedendo espressamente che i manifestanti ultimassero la pacifica marcia senza essere disturbati. I paracadutisti, però, avevano altri ordini e soprattutto erano animati da ben altri propositi, retaggio di quell'odio profondo nei confronti degli irlandesi, tanto irrazionale quanto ingiustificato, essendo loro gli invasori. Erano in trappola, i poveri manifestanti, e non avevano alcuna possibilità di sfuggire all'accerchiamento praticato da coloro che sono considerati tra i migliori soldati del mondo.
La scena è surreale. In lontananza già si sentono i primi colpi mentre Ivan Cooper arringa la folla da un palco improvvisato, cercando di non far trasparire tensione e preoccupazione. Esordisce plaudendo all'iniziativa, alla massiccia adesione di popolo a una marcia che si propone di far comprendere la necessità di un cambiamento radicale che porti alla fine dell'egemonia unionista. Concetto - non sembri superfluo ribadirlo - di pregnante importanza proprio perché espresso da un protestante.
“La scelta - dice - è come ottenerla; è tra la violenza e la non violenza. Se abbiamo intenzione di dare un futuro ai giovani di questa città, ai ragazzi là in fondo, a quelli che in questo momento partecipano ai disordini, laggiù, come tutti i giorni, se vogliamo dare a quei ragazzi un futuro, dobbiamo dimostrare loro che la non violenza funziona, o domani non tireranno solo pietre. (Si riferisce in particolare ai militanti dell'IRA, N.d.A.) Quella dei diritti civili non è una soluzione
comoda, non quando volano i mattoni e la polizia e l'esercito con i manganelli caricano i cortei. Non è facile rimanere non violenti quando intorno tuti gli altri urlano "così non si ottiene niente, tiriamo fuori le armi e vendichiamoci", ma se invece credete nel movimento per i diritti civili con tutto il cuore e l'anima come ci credo io, se credete a quello in cui credevano Gandhi e Martin Luther King, con passione, come ci credo io, allora alla fine, con una sola marcia, tutti insieme, tutti insieme, vinceremo. Grazie".
Era un uomo buono Ivan Cooper, un sognatore visionario convinto che la bontà dell'animo umano dovesse vincere su ogni altra cosa e che dopo tanto sangue era giunto il momento di vivere in pace, indipendentemente dal credo professato. I suoi riferimenti culturali, senz'altro nobili, li ha citati nel discorso, senza considerare che le loro battaglie, alla luce del "poi", non è che abbiano dato i frutti sperati. Mentre parlava, laggiù, quei giovani cattolici cui faceva riferimento, avevano già notato i paracadutisti appollaiati su un muretto, pronti ad aprire il fuoco. Erano cresciuti in fretta e avevano imparato a difendersi sin da quando frequentavano le scuole elementari; avevano visto le loro case in fiamme; la disperazione nei volti dei genitori e dei nonni dopo aver perso tutto, anche la dignità; avevano subito insopportabili umiliazioni a scuola, nei luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici; non avevano bisogno di riferimenti culturali - anche perché di tempo per studiare non è che ve ne fosse molto - per sapere da che parte stare e soprattutto come starci, senza sognare l'impossibile. Coloro che riuscivano a conciliare l'impegno militante con lo studio, poi, non avevano come riferimento Gandhi, Martin Luter King o il connazionale George Bernard Show, altro importante cesellatore del socialismo e fervente sostenitore della Russia stalinista, ma gli eroi del passato e il brillante ventenne Martin McGuinnes, già vicecomandante della Brigata Derry, seconda per importanza solo a quella di Belfast, colto, arcigno trascinatore, che spiegava con chiarezza la storia della splendida isola e le gesta eroiche di chi per essa aveva combattuto fino all'estremo sacrificio. Era un uomo d'azione, il giovane patriota irlandese, che riporta alla mente le infuocate parole scritte da un altro grande europeo, Ernst Jünger, ferito nell'animo nel vedere le orde fameliche di ogni tipo avventarsi sulle spoglie della sua patria, uscita a pezzi dalla Grande Guerra: "La guerra, madre della dolorosa Europa di oggi, è anche nostra madre: è lei che ci ha forgiato, scolpito, indurito e fatto ciò che siamo. E sempre, per tutto il tempo che girerà in noi la ruota della vita trepidante, la guerra sarà l'asse attorno a cui la ruota girerà". (La guerre, notre mère, 1934, Ed. Albin-Michel, disponibile in italiano col titolo "La battaglia come esperienza interiore", Edizioni Piano B, 2014). Per combattere occorrono le armi, però, e quella maledetta domenica anche i militanti dell'IRA, convinti di dover solo marciare pacificamente o al massimo, come di fatto avvenne nel primo pomeriggio, non andare oltre le solite scaramucce, furono colti di sorpresa e poterono solo lanciare un po' di sassi raccolti lungo le strade, appena sufficienti a spaventare qualche gatto ma subdolamente fatti passare per bombe dai parà inglesi, che reagirono di conseguenza.
Il primo a cadere fu il diciassettenne John "Jackie" Duddy, colpito mentre col cuore in gola cercava riparo nel parcheggio dei Rossvile Flats; 17 anni avevano anche Hug Gilmour, Michael
Kelly, Kevin McElhinney, Gerard "Gerry" Donaghy e John Young, quest'ultimo ucciso con il ventenne Michael McDaid mentre entrambi si accingevano a prestare soccorso al diciannovenne William Nash, a sua volta trucidato con una raffica al petto sotto gli occhi del padre, ferito non in modo mortale. William McKinney, 26 anni, fu colpito alle spalle mentre tentava di scappare attraverso il parcheggio del Glenfada Park. Gerard "Gerry" McKinne, 35 anni, durante la fuga incrociò un soldato che gli sparò a bruciapelo mentre con le mani alzate lo implorava di non fare fuoco. Il proiettile gli attraversò il corpo e uccise anche il diciassettenne Gerard Gerry Donaghy, che era proprio dietro di lui.
Il giornalista francese Gilles Peress fu testimone oculare di quei tragici momenti e scattò una foto al trentunenne Patrick Doherty un attimo prima che cadesse sotto il fuoco del famigerato "Soldato F.", identificato come uno dei principali carnefici di quel triste giorno, così infame da dichiarare spudoratamente di aver sparato avendo visto impugnare una pistola contro di lui. Fu smascherato proprio dalla foto di Peress e poi anche dalle perizie sulla mano della vittima, effettuate per verificare se vi fossero residui di polvere da sparo. Bernard "Barney" McGuigan aveva 41 anni, una bella moglie di nome Bridie e ben sei figli. Non gli interessava la politica e riteneva che cattolici e protestanti dovessero vivere in pace e buona armonia. Non a caso era benvoluto da tutti, in città, e poteva contare su sincere amicizie in entrambe le fazioni. (Questo aspetto sociale, di fondamentale importanza per meglio "entrare" nel mood che caratterizzavae forse ancor più caratterizza oggi - i rapporti tra protestanti e cattolici, nel bene e nel male, è stato ben sviluppato nel bellissimo film di Kenneth Branagh, "Belfast", uscito lo scorso anno).
Gli amici cattolici dovettero faticare non poco per convincerlo a partecipare alla marcia, che egli riteneva foriera di possibili scontri, a suo giudizio assolutamente da evitare. Quando i paracadutisti iniziarono la strage si riparò dietro un muretto, ma non esitò ad uscire allo scoperto per soccorrere Patrick Doherty La marcata propensione pacifica lo indusse a pensare che, sventolando un fazzoletto bianco, avrebbe avuto campo libero essendo ben chiaro che stava solo prestando soccorso a un ferito. Il "soldato F.", però, era assetato di sangue irlandese e lo centrò dietro la nuca, spezzando per sempre i suoi propositi di pacifica convivenza. John Johnston, 59 anni, non era un manifestante ma si stava recando a casa di un amico: ferito gravemente alla gamba e alla spalla sinistra, morì il 16 giugno.
Non poteva credere ai propri occhi, Ivan Cooper, mentre vedeva cadere a uno a uno giovani vite per le quali sarebbe stato pronto a dare la sua, e lo sconforto aumentò a dismisura all'interno dell'ospedale, dove il caos regnava sovrano, a mano a mano che gli giungevano le notizie sull'entità della strage: ben ventotto persone tra morti e feriti. Con il cuore in gola abbracciò i parenti, i genitori, gli amici dei caduti, che disperati si accalcavano all'esterno. Diceva solo "mi dispiace", mentre li stringeva forte, ma tanto bastava per spezzare i cuori e trasformare le urla che seguivano la ferale notizia in un macabro concerto di dolore.
Mentre parlava di non violenza, dal palco improvvisato nei pressi del famoso murale del Bogside dove troneggia la scritta "You are now entering Free Derry", la violenza esplodeva nell'intero quartiere, spegnendo, insieme con i sogni, la speranza di un futuro migliore in decine di migliaia
di persone. La strage lo segnò profondamente e si allontanò gradualmente dalla vita politica, avendo compreso che la pacifica convivenza tra cattolici e protestanti era destinata a rimanere un'utopia. Si è spento nel 2019 e riposa nel cimitero di Altnagelvin, a oriente del fiume, nella zona protestante. Dopo aver reso omaggio ai luoghi sacri del Bogside, ai murales, ai cippi disseminati in ogni angolo della zona occidentale e al Derry City Cemetery, dove in tombe interrate dalle toccanti epigrafi riposano i martiri della repressione, portate un fiore anche sulla sua tomba e se qualcuno dovesse chiedervi chi siate, rispondetegli pure tranquillamente, sorridendo con dolcezza: "Just a dreamer like he was, still hoping to see a nation once again".
La strage ebbe una sconvolgente eco in tutto il mondo e furono molti gli artisti, soprattutto in campo musicale, che espressero il proprio sdegno con toccanti brani. Di particolare pregnanza simbolica furono quelli composti dai cantanti inglesi. Il primo fu Paul McCartney che compose, a poche settimane dal massacro, Give Ireland Back to the Irish, subito censurato dalle autorità. Il famoso bassista, front man dei The Wings, fondati dopo lo scioglimento dei Beatles, ancorché nato a Liverpool, aveva radici irlandesi. Nel giugno dello stesso anno John Lennon inserì ben due brani dedicati al massacro nell'album Some Time in New York City: Sunday Bloody Sunday e The Luck of the Irish. (Anche John Lennon aveva radici irlandesi).
Nel 1973 un altro cantante inglese con radici irlandesi, Geezer Butler, noto soprattutto agli amanti dell'heavy metal in quanto bassista e compositore dei Black Sabbath, scrisse il testo della canzone Sabbath Bloody Sabbath, che diede il titolo all'omonimo album. La lista è lunga e sarà esaustivamente citata nella bibliografia del saggio. Qui si devono solo ricordare il film diretto nel 2002 da Paul Greengrass, "Bloody Sunday", che ricostruisce fedelmente tutte le fasi di quella drammatica domenica, e il brano musicale più famoso, "Sunday Bloody Sunday", composto nel 1983 da una delle più grandi bande musicali della storia, gli U2, presente nell'album "War", considerato una delle principali opere musicali di tutti i tempi e insignito di ben cinque dischi d'oro e sette dischi di platino. Eseguito centinaia di volte nei concerti dal vivo, il brano tocca punte di lirismo che non lasciano indifferenti gli spettatori, soprattutto quando nel finale vengono citati i nomi dei quattordici irlandesi periti sotto il micidiale fuoco inglese.
Così come avvenne con il massacro di Bullymurphy, anche per quello di Derry si sono registrate inchieste farlocche, tendenti a giustificare l'operato dei paracadutisti. Nel 1998, però, l'allora premier Tony Blair istituì una commissione d'inchiesta, presieduta dal giudice della Suprema Corte Lord Mak Saville of Newdigate, chiedendo espressamente che fosse accertata la verità su quanto accaduto, senza mistificazioni. I lavori sono durati dodici anni e il rapporto finale, di ben cinquemila pagine, ha sancito quanto già noto a tutti: i paracadutisti avevano sparato su una folla inerme, disarmata, terrorizzata e in concitata fuga.
Il 15 giugno 2010, David Cameron, da poco nominato Primo Ministro, chiese ufficialmente scusa al popolo irlandese nell'atteso discorso alla Camera dei Comuni: "Sono patriottico, e non voglio pensare male del mio Paese. Ma le conclusioni del rapporto sono chiarissime. L'attacco dei soldati ai manifestanti è stato ingiustificato e ingiustificabile. Nessuno dei morti e dei feriti poteva essere considerato una minaccia. Chiedo profondamente scusa per quanto è successo
quel giorno. Il primo colpo è stato sparato dall'esercito britannico. Sono arrivati colpi anche dalla folla (attenzione: per colpi della folla s'intendono solo le scaramucce che avvennero durante la marcia, con l'inoffensivo lancio di pietre contro i militari britannici. Nessun civile reagì al fuoco dei paracadutisti perché pensarono tutti a scappare come meglio potevano e le vittime furono quasi tutte colpite alle spalle, N.d.A.) che però non giustificano in nessun modo l'attacco. All'epoca, diversi soldati mentirono sugli avvenimenti. Non si può sostenere l'esercito difendendo l'indifendibile. Non ci sono prove di una premeditazione dell'attacco. Non ci sono prove di un insabbiamento dei fatti. Bisogna ricordare il lavoro e il sacrificio dell'esercito britannico in Irlanda del Nord. Più di 1000 soldati hanno perso la vita per portare la pace. (Inevitabile frase di "circostanza" pronunciata a beneficio dell'ala più oltranzista della Camera e di quella fetta di popolo che viveva (e ancora vive) in un ripugnante passato, ancorché fuorviante: se gli inglesi non avessero mai occupato l'Irlanda, gli irlandesi non sarebbero stati costretti a difendersi. Vicenda che ricalca per certi versi quella attuale, in Ucraina, dove anche gli invasori russi muoiono, N.d.A.) Quest'inchiesta dimostra come si dovrebbe comportare il Governo: guardare in maniera aperta al passato non lo rende più debole, ma più forte. Quello che è successo non sarebbe mai e poi mai dovuto succedere. Non possiamo dimenticare il passato, ma bisogna andare avanti. Capisco il dolore dei familiari, ma spero, come ha detto uno dei genitori, che la verità possa renderli liberi".
EFFETTI DELLA STRAGE
Le adesioni all'IRA, dopo il massacro del gennaio 1972, crebbero a dismisura e gli scontri tra le due fazioni, tanto a Derry quanto a Belfast, assunsero una cadenza quasi quotidiana. Gli obiettivi dei cattolici, fortemente perseguiti anche da Ivan Cooper, consistevano nella riforma del governo locale, incarnato dal Parlamento di Stormont, (che operava ad esclusivo servizio dei protestanti, come abbiamo visto nel capitolo precedente) e alla cessazione di ogni forma di discriminazione nella distribuzione delle case, del lavoro e di fronte alla giustizia.
Il Governo inglese, seguendo logiche interne e non certo per accontentare i cattolici, decise comunque di sopprimere il Parlamento, assumendosi il compito di mantenere l'ordine in Irlanda con le proprie forze militari. I cattolici accolsero con piacere il provvedimento, nonostante non fosse stato approvato a loro beneficio (lo ribadisco perché certe dinamiche della storia irlandese sono di difficile assimilazione a meno che non si penetri profondamente nel loro particolare e controverso "mood"), perché da un lato vedevano come il fumo negli occhi un organo esecutivo sicuramente ostile e dall'altro speravano che un marcato controllo del territorio, senza ingerenze locali, potesse portare all'agognata pacificazione e alla fine degli scontri. Non tutti erano concordi nel dover combattere una sanguinosa guerra civile, sacrificarsi in prima persona e vedere morire i propri cari.
I giovani dell'IRA erano pronti a dare la propria vita per la causa e lo stesso valeva per i gruppi paramilitari protestanti Ulster Volunteer Force e Ulster Defence Association (che nel 1973 mutò il nome in Ulster Freedom Fighters - Combattenti per la libertà dell'Ulster), ma le mamme di quei
ragazzi abbagliati dal reciproco odio, spesso si trovavano a pregare insieme per la loro salvezza. Il già citato partito co-fondato dal "protestante" Ivan Cooper nel 1970, SDLP (Social Democratic and Labour Party) fu il principale interprete del desiderio di pacificazione che accomunava molti irlandesi, sia cattolici sia protestanti, anche se nei libri di storia, pur figurando legittimamente come "movimento di ispirazione cattolica che rifiutava l'uso delle armi", non si fa alcun riferimento al suo co-fondatore, trascurato a vantaggio dei suoi amici che ne assunsero in successione la guida: Gerry Fitt (dalla fondazione al 1979) e John Hume (dal 1979 al 2001), uno dei principali artefici del processo di pace e vincitore del premio Nobel nel 1998, in condivisione con l'allora leader del Partito Unionista, David Trimble. Fatta salva qualche svista della quale mi scuso a priori, pur ritenendola improbabile, in Italia questo forse è il primo testo nel quale viene dato risalto a Ivan Cooper Ma procediamo con ordine.
LA FEROCIA DEI PROTESTANTI
Non si può comprendere appieno l'essenza del conflitto nord-irlandese se non si comprende bene il distorcimento mentale che pervade la stragrande maggioranza dei protestanti, convinti di essere superiori ai cattolici in ogni campo. Il "complesso di superiorità" coinvolge tutti gli strati sociali a causa dell'indottrinamento che avviene fin dalla più tenera età nelle scuole e nelle chiese e solo pochi ne restano immuni (citiamo ancora una volta Ivan Cooper), anche se precipuamente nel campo femminile.
Nulla di diverso, del resto, da tutti gli indottrinamenti manichei di cui è piena la storia dell'umanità, gli ultimi dei quali attualissimi perché riguardano i bambini russi "educati" ad odiare gli ucraini con cartoni animati o addirittura direttamente da Putin quando si reca a visitare qualche scuola, come traspare da tanti reportage trasmessi dalle emittenti televisive, facilmente reperibili in rete. Molto altro vi sarebbe da aggiungere sulla "formazione" protestante, a prescindere dall'argomento trattato, e ciò sicuramente sarebbe di aiuto, ma dobbiamo glissare per non andare fuori tema, limitandoci a suggerire la lettura del prezioso saggio di Max Weber sull'etica protestante e lo spirito del capitalismo, molto illuminante perché da esso traspare ampiamente come nel mondo protestante il povero sia colpevole intrinsecamente perché privo della grazia di Dio, a differenza dei benestanti e dei ricchi, che di essa sono i privilegiati beneficiari, indipendentemente da come abbiano accumulato la propria ricchezza materiale. I cattolici irlandesi, ancorché poveri soprattutto per le angherie subite dai protestanti, andavano perseguitati quasi per "volontà divina" e ciò determinava la sostanziale differenza tra l'attività dell'IRA, rivolta precipuamente contro obiettivi militari ed economici (il che non escludeva che talvolta si verificassero i cosiddetti spiacevoli "effetti collaterali") e quella dei succitati gruppi paramilitari protestanti, rivolta indiscriminatamente contro la popolazione civile per punirla non tanto per la fede professata quanto per la condizione esistenziale, non degna di essere rappresentata in un consorzio umano. Non bastava ucciderli, quindi, ma si rendeva necessario ridurli prima in uno stato di estremo degrado, compito egregiamente assolto dai principali carnefici dei due gruppi, il più famoso dei quali era il famigerato Hugh Leonard Thompson
Murphy detto "Lenny", nato a Belfast nel 1952. A soli dodici anni già subì la prima condanna per furto e a sedici aderì all'UVF, distinguendosi subito per la forte carica di violenza, anche verbale, e per le continue manifestazioni di odio nei confronti dei cattolici, sempre definiti "feccia e merda".
A venti anni iniziò a formare una "banda" personale all'interno del gruppo, non a caso denominata Shankill Butchers (I macellai di Shankill; Shankill Road è la principale strada del quartiere protestante di Belfast e il suo nome deriva dal gaelico sean cill - vecchia chiesa), con la quale seminò il terrore in tutta la città, non solo tra i cattolici: uccise anche dei membri del suo gruppo per futili motivi o perché li riteneva spie. Era temutissimo anche dai compagni, quindi, che di certo non erano angioletti, e nessuno osava contrastarlo anche se in pieno disaccordo con metodi che denotavano un vero disturbo mentale. Si divertiva a torturare e mutilare lentamente le vittime, per poi finirle tagliando loro la gola, sempre con estrema lentezza affinché si rendessero conto di cosa stesse accadendo e morissero col terrore negli occhi.
In dieci anni uccise oltre venti persone e, fortunatamente, nel 1982 due militanti dell'IRA riuscirono a farlo fuori. In alcuni testi si legge che le forze dell'ordine irlandesi, svolgendo le indagini, vennero a conoscenza di un "aiuto" offerto all'IRA proprio dai "nemici" dell'UVF, che avrebbero segnalato dove beccare Lenny, il 16 novembre 1982. Che il rapporto della polizia con la notizia dell'aiuto esista, non vi è alcun dubbio. Se la soffiata vi sia effettivamente stata, non sono in grado né di confermarlo né di smentirlo perché, negli ultimi quaranta anni, mi sono trovato a mutare più volte pensiero in un senso o nell'altro, in funzione di sopraggiunti elementi. Caso vuole che fossi a Belfast proprio in quel periodo, dal sabato precedente la data dell'omicidio al sabato successivo, e nessuno dei miei "contatti" locali - inutile precisare di quale componentefece cenno a un possibile supporto per motivi umanitari, cosa che invece è avvenuta molti anni dopo, lasciando comunque insoluti i tanti pensieri che affollano la mente: gli agenti della RUC avrebbero "inventato" l'aiuto affinché fungesse da deterrente contro possibili reazioni a catena (eliminato un soggetto comunque scomodo per entrambe le fazioni, il problema poteva ritenersi risolto); nell'UVF la sua crescente fama incominciava a dare fastidio a qualcuno e comunque vi erano i parenti dei "compagni di fede" uccisi senza valide ragioni, ai quali non era certo simpatico; il tutto avvenne realmente come riportato nel rapporto della polizia, per lo sdegno provocato dai suoi eccessi; altre ragioni più complesse qui omesse per amor di sintesi, essendo comunque abbastanza chiaro il quadro descritto.
Lino LavorgnaPRIMA RASSEGNA MULTIMEDIALE CITTA’ DI CASERTA
(Pubblichiamo il comunicato stampa diffuso dalle associazioni Europa Nazione ed Excalibur Multimedia, dirette dal nostro collaboratore Lino Lavorgna, organizzatrici della rassegna multimediale città di Caserta, che a partire da prossimo anno avrà anche il sostegno del gruppo editoriale cui fa capo Confini. A.R.)
"La speranza divampa", sussurra Gandalf, mentre i fuochi delle Torri-faro sulle Montagne Bianche vengono avvistati da Aragorn, che convince il re di Rohan a correre in soccorso di Minas Tirith, assediata dalle forze del male. La speranza divampa, è il caso di ripetere, se in un'aula consiliare di un importante comune del Mezzogiorno d'Italia si ritrovano non i politici in perenne lotta tra loro ma qualificati esponenti della società civile, ciascuno con la propria storia ancorché accomunati da un idem sentire: l'amore per la cultura. Quella cultura che costituisce l'urlo degli uomini in faccia al loro destino, come sancì il sempre arrabbiato Albert Camus, che proprio non sopportava gli uomini senza qualità.
Trasformando l'urlo camussiano in un pacato messaggio - oggi sono altri i soggetti che urlano e comunque non serve a nulla - una piccola fetta "dell'Italia che va", quella di cui poter essere fieri, si è riunita per la cerimonia di premiazione della Rassegna multimediale città di Caserta, varata in piena pandemia dal presidente delle associazioni culturali Europa Nazione ed Excalibur Multimedia, il giornalista e scrittore Lino Lavorgna, proficuamente diretta dal brillante commercialista ed ex sindaco Pio Del Gaudio, da un quarto di secolo importante rappresentante del tessuto cittadino in seno all'amministrazione comunale e non solo. La rassegna si è avvalsa anche del prezioso supporto del "Cenacolo Accademico Poeti nella Società", diretto da Pasquale Francischetti, che pubblica l'omonima rivista nella quale trovano spesso ospitalità le divagazioni poetiche e letterarie di Lino Lavorgna.
Il sindaco di Caserta, avvocato Carlo Marino, che ha gentilmente concesso il patrocinio del comune, ha esordito porgendo il saluto della città ai convenuti, manifestando sincero apprezzamento per un progetto che, essendosi dipanato a livello nazionale, sarà attentamente vagliato dall'Amministrazione per assicurargli l'attenzione che merita. Gli ha fatto da eco l'assessore alla cultura, il dottore Enzo Battarra, rimasto fino al termine della cerimonia, avendo così modo di apprezzare l'alto livello dei candidati premiati.
Il presidente Del Gaudio ha riassunto la genesi dell'iniziativa, ricordando le tante difficoltà brillantemente superate, tipiche di ogni "prima edizione" ma nella fattispecie aggravate dalla
terribile pandemia che, per esempio, non ha consentito un'adeguata promozione della rassegna in ambito scolastico.
Lino Lavorgna, dal suo canto, ha ricordato come la rassegna non sia altro che la pratica perpetuazione di vecchi progetti avviati, quando, giovanissimo, iniziò a predicare l'ineluttabilità di una reale unione politica del continente con l'associazione "Movimento Libera Europa", antesignana di "Europa Nazione", e l'ineluttabilità di uno sviluppo sostenibile, propugnato con "l'Associazione nazionale salvaguardia ecologica", fondata nel 1975 per diffondere i dettami sanciti dal famoso rapporto del MIT sui limiti dello sviluppo, dopo essersi staccato dalle associazioni ecologiche tradizionali, ritenute inadeguate a fronteggiare la crisi ambientale, essendo precipuamente impegnate ad organizzare allegre scampagnate e a difendere leprotti e uccellini, attività senz'altro lodevoli ma del tutto insufficienti a garantire una vera tutela degli ecosistemi. In pratica, cinquanta anni fa, Lavorgna diceva ciò che dice oggi Greta Thunberg, la qual cosa è tristissima perché, di fatto, sancisce il fallimento totale delle politiche ambientali. La rassegna, pertanto, dal prossimo anno avrà delle aree tematiche che affronteranno proprio questi argomenti, attuali più che mai. I guasti della mancata attuazione del processo unitario sono sotto gli occhi di tutti: con gli Stati Uniti d'Europa e un "forte" esercito europeo oggi non avremmo una sciagurata guerra nel continente. I disastri ambientali, parimenti, hanno un unico responsabile, il genere umano, che va educato con maggiore determinazione a rispettare la natura.
Il generale Enzo Pennacchio, che ha servito la patria in armi nell'Aeronautica Militare, non ha potuto che ribadire i concetti espressi da Lino Lavorgna, auspicando che si parta subito con una campagna di sensibilizzazione protesa a creare maggiore armonia tra la società civile e le Forze Armate. Il vecchio motto Si vis pacem, para bellum, purtroppo, è sempre valido perché non c'è periodo della storia umana che non sia segnato "anche" dalle velleità di qualche folle, che in genere si fa beffe di coloro che presumono di risolvere i problemi mettendo i fiori nei cannoni. Prima della cerimonia di premiazione, la professoressa Ilaria Cervo ha letto una nota ispirata alla lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, il cui testo costituisce la base per l'inno di "Europa Nazione", composto dal polacco Zbigniew Preisner quale colonna sonora di "Film blu", diretto dal connazionale Krzysztof Kie?lowski, per poi prodursi nelle osservazioni sul lavoro svolto nell'ambito della giuria, alla pari dei colleghi Renata Montanari e Aldo Cervo, intervenuti subito dopo. I giurati non hanno mancato di elogiare la qualità dei lavori esaminati, rivolgendo un plauso particolare ai poeti, il cui livello si è rilevato davvero altissimo.
In una giornata che ha registrato ben due importanti eventi nella locale Caserma "Ferrari Orsi", la rappresentanza delle Associazioni combattentistiche e d'arma (ricordiamo che Lino Lavorgna è il commissario della sezione bersaglieri di Caserta nonché vice-presidente provinciale dell'ANB) è stata assicurata da una folta rappresentanza dell'Associazione nazionale combattenti e reduci, capeggiata dal generale Pennacchio e dai dinamicissimi coordinatori territoriali Salvatore Serino ed Enrico D'Agostino, nonché dal tenente dei bersaglieri Giuseppe Maietta e dal colonnello
Giuseppe Casapulla (Aeronautica Militare). La società civile casertana è stata rappresentata dal dottor Lorenzo La Peruta, delegato a ritirare i premi vinti da un candidato del Friuli, assente, nonché da una vera colonna portante dell'universo culturale territoriale, il professore Raffaele Raimondo, giornalista "vecchio stampo", il che vuol dire serio, raffinato, estremamente colto e soprattutto in grado di utilizzare correttamente la lingua italiana, rifuggendo tanto dalle distonie provocate dal palpabile deficit professionale quanto dalle mode insulse che si stanno diffondendo con crescente propensione, tese a stuprarla in un modo che assomiglia alla deturpazione delle opere d'arte talvolta effettuate da autentici criminali.
Candidati premiati
Sezione fotografia. Vincitore: Luigino Vador, Friuli Venezia Giulia.
Sezione racconto. Terzo classificato: Gino Abbro, Campania; Luigino Vador, Friuli Venezia Giulia; secondo classificato: Paolo Casella, Campania; vincitore: Riccardo Di Leva, Puglia.
Sezione narrativa. Terza classificata: Ornella Fiorentini, Lazio; terza classificata: Rossana Cilli, Lazio; secondo classificato: Riccardo Di Leva, Puglia; vincitore: Marco Termenana, Lombardia.
Sezione silloge. Terzo classificato: Alessandro Porri, Lazio; seconda classificata: Brina Maurer, Friuli Venezia Giulia; vincitore: Massimo Massa, Campania.
Sezione poesia. Terzo classificato: Fausto Marseglia, Campania; Maurizio Albarano, Campania; secondo classificato: Antonio Damiano, Lazio; vincitore: Vittorio Di Ruocco, Campania. Gli autori premiati e alcuni altri candidati, distintosi per l'eccelsa qualità dei lavori proposti, figureranno nell'antologia della rassegna, edita da "Giuseppe Gallina Editore".
Rassegna fotografica: Pagina Facebook "Rassegna multimediale città di Caserta". Video della cerimonia di premiazione: YouTube - Rassegna Multimediale Città di Caserta - Prima edizione (https://youtu.be/55Y3XbvbLiQ).
CASE A GRADINI SUPERECOLOGICHE
Dopo il successo del suo rivoluzionario Bosco Verticale , Stefano Boeri Architetti ha fatto più di ogni altro per contribuire a diffondere l'attuale tendenza a rivestire gli edifici con gli alberi. Il suo ultimo progetto vede lo studio tornare ancora una volta su questo tema della cosiddetta "foresta verticale" con alloggi ricoperti di verde che vantano caratteristiche di sostenibilità e, secondo l'azienda, assorbiranno quantità significative di Co2. Il progetto, denominato Bosconavigli, è realizzato in collaborazione con Arassociati, Milano 5.0, e la landscape designer AG&P Greenscape. Fa parte di una più ampia spinta di sviluppo nell'area del lungofiume milanese che comprenderà un parco in stile High Line guidato da Carlo Ratti Associati. Bosconavigli assumerà una forma a gradini approssimativamente a L che avvolge un cortile e un vecchio olmo. L'edificio misurerà circa 8.000 mq (circa 86.000 piedi quadrati) e sarà composto da circa 90 unità residenziali, progettate per massimizzare la luce naturale all'interno e sarà caratterizzato da loggia (uno spazio coperto che si apre sull'esterno, come un balcone). Ci saranno anche strutture pubbliche situate al primo livello, tra cui un ristorante, una piscina, una palestra e una sauna.
Il suo esterno sarà definito da un'ampia vegetazione, inclusi diversi giardini pensili, che consisteranno in oltre 170 alberi, 8.000 arbusti e 60 specie vegetali diverse. Stefano Boeri Architetti ha fatto i suoi calcoli e dice che questo assorbirà circa 23.000 kg (circa 50.000 US lb) di CO2 all'anno - ovviamente, questo non sta prendendo in considerazione la CO2 che potrebbe essere prodotta durante la costruzione, anche se è comunque una cosa positiva in se stesso.
Bosconavigli includerà un paesaggio significativo, comprese le piste ciclabili e pedonali "Bosconavigli sarà un organismo vivente sostenibile poiché il sistema vegetativo è stato progettato per filtrare le microparticelle di polveri sottili e ridurre l'inquinamento riducendo i consumi energetici grazie all'inerzia termica della vegetazione che garantisce protezione dai raggi solari insieme all'assorbimento di CO2 ", ha affermato Stefano Boeri Architetti. "Le migliaia di piante e arbusti che ricopriranno Bosconavigli fungeranno da baluardo della biodiversità e cambieranno colore e profili dell'edificio al variare delle stagioni". Oltre a tutto il verde e all'obiettivo di massimizzare la luce del giorno, i pannelli solari di Bosconavigli ridurranno il suo assorbimento sulla rete, mentre l'acqua piovana verrà catturata per l'irrigazione. L'edificio sarà dotato anche di un sistema di riscaldamento e raffrescamento geotermico.
G.P.