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Fratelli sotto lo stesso cielo
Attualità
Fratelli
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di suor Damiana
sotto lo stesso cielo
Un viaggio storico quello che ha portato Papa Francesco in Iraq, la terra di Abramo, dal 5 all’8 marzo scorso. Una visita a lungo sognata e fortemente voluta, nonostante la pandemia e il pericolo di attentati, per andare a vedere e toccare con mano le piaghe che ancora segnano la vita di molta parte della popolazione in Iraq. A Ur, città antichissima dove è stata inventata la scrittura, dove è nata la civiltà e dove Dio parlò ad Abramo, il Papa è arrivato in ritardo all’appuntamento. È stato un buon segnale: infatti al suo arrivo si è trattenuto a lungo con il grande ayatollah Ali al-Sistani, massima autorità sciita. Il Papa in un lungo colloquio, ha rivolto verso di lui parole di ringraziamento, perchè ha sempre difeso i più deboli e i perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno. Il “PERDONO” è stata la parola chiave, perché, come ha affermato il Papa, esso costituisce la vera arma per ricostruire la convivenza in Iraq. Ma, avverte il Papa, “non ci sarà pace finchè le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede né vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità”.
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Il Papa riconosce che il compito non è facile e chiede di non scoraggiarsi, ma di lottare e di rimanere attaccati alla propria terra. Il vescovo caldeo di Erbil, citando più volte l’Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, si dichiara convinto che gli iracheni devono continuare ad essere questa “mescolanza” di civiltà, culture, religioni, vivendo uniti e creando le condizioni per un ritorno dei cristiani. Erbil, in Kurdistan, è infatti una zona davvero martoriata, un lembo di terra continuamente bagnato di sangue; la sosta e la preghiera del Papa in tale località ha significato indicarla proprio come luogo per risorgere e ricominciare. Il Papa chiede che le religioni non siano strumentalizzate, che non si bestemmi il nome di Dio combattendo guerre in suo nome, che i migranti non ricerchino altrove comprensione, pace e sicurezza, lasciando il proprio paese a rischio della vita. Francesco nei suoi discorsi ha indicato percorsi di futuro di pace a persone imprigionate dai dolori del passato. Anche recentemente i cristiani sono stati uccisi per il solo fatto di essere tali o perché andavano in chiesa. Il loro martirio porta sofferenza a tutto il popolo: Sciiti, Curdi, Yazidi. Ogni gruppo ha la propria storia di dolore ed è stato vittima del fanatismo, dell’odio e delle armi. Tutto è molto doloroso e complesso. Ma “la pace è possibile tra i figli di Abramo” ed essa “vince sempre, non la guerra”. Per questo è “importante tornare a peregrinare verso i luoghi sacri”, perché “è il segno più bello della nostalgia del Cielo sulla Terra”. Francesco ha l’umiltà di incontrare ogni realtà e di ascoltarne i dolori; a nessuno sfuggono le tante immagini di dolore e di tenerezza, in particolare quella in cui consola il papà del bimbo naufragato sulle coste turche insieme al fratellino e a sua madre, in fuga da quelle terre ancora piene di dolore! Il Papa nei suoi numerosi interventi ha tenuto un linguaggio umanitario, aperto a tutti e radicato nella fede evangelica, toccando un livello di grande profondità che ha coinvolto tutti gli interlocutori.
Abbiamo molto da imparare da lui…
Troppe volte, come cristiani, rimaniamo infatti silenziosi dinanzi alla situazione di sofferenza del nostro Paese e della vita della gente.
Ascoltando il Papa, in questo viaggio in
Iraq, ci accorgiamo quale tesoro di vita e di speranza è presente nei “forzieri” della Chiesa. Nella preghiera chiediamo al
Signore di avere il coraggio di aprirli e di vivere secondo le ricchezze di speranza e di profezia che essi contengono.
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