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Vivere come i gigli del campo
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Vivere come i gigli del campo
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«Bisogna vivere con se stessi come con un popolo intero: allora si conoscono tutte le qualità degli uomini, buone e cattive. E se vogliamo perdonare agli altri, dobbiamo prima perdonare a noi stessi i nostri difetti. È forse la cosa più difficile, come constato così spesso negli altri e un tempo anche in me, ora non più: sapersi perdonare per i propri difetti e per i propri errori. Il che significa anzitutto saperli generosamente accettare. Vorrei proprio vivere come i gigli del campo. Se sapessimo capire il tempo presente lo impareremmo da lui: a vivere come un giglio del campo».
Etty Hillesum, Diario 1941-1943 Ci sono due tempi nella vita dell’uomo: il tempo orizzontale e quello verticale. Il primo è quello che ci mette in contatto con la vita, con la realtà; mentre il secondo è quello dell’interiorità, quello che non si misura con l’orologio delle scadenze, ma è quello che ci fa vivere dentro, in profondità. Dentro ciascuno di noi batte un cuore solo, ma ogni battito prevede sistole ed extrasistole, cioè due movimenti, uno verso l’esterno e l’altro verso l’interno, se questi movimenti non sono armonici, allora il cuore sclerotizza e impazzisce. Ecco perchè è così importante conoscere, conoscersi nel profondo, proprio lì ci si scopre creature piccole, ma infinitamente amate da Colui che è il Signore del tempo.
1. Scendere in profondità
Etty Hillesum, ebrea olandese vissuta durante la seconda guerra mondiale, scrive queste righe poche settimane prima di essere deportata nel campo di lavoro di Westerbork, per poi essere trasferita ad Auschwitz e lì morire. Nel clima di oppressione e di paura che la circonda comprende ciò che è importante per la vita, per il battito della vita: perdonarsi e perdonare. Ma prima di fare questo cerca con verità di conoscere se stessa, perchè in lei trova tutto ciò che è anche nel suo prossimo: limiti, difetti, errori. La prima onestà va data a se stessi: io per primo sono pieno di limiti che non mi consentono relazioni serene con gli altri, ho difetti che combatto con fatica e commetto errori che difficilmente posso rimediare.
Dentro di me c’è lo stesso bene e lo stesso male che vive nel mio fratello. Sembrerà una sciocchezza, ma il principio del perdono è proprio qui: accettare che sono così, che anche se sono così Dio mi ama in modo unico e personale e desidera che anche io lo faccia.
2. Libertà di dare tutto
Spesso l’errore grossolano che commettiamo quando parliamo di perdono è quello di renderlo un’operazione facile e dovuta, senza sforzo. In realtà è molto, molto di più. Entra in gioco un valore che per poterlo dare bisogna prima averlo acquisito, scelto, ed è quello della generosità. I limiti e gli errori, miei e degli altri, possono essere generosamente accettati solo se prima ho fatto lo sforzo di guardarli, di accoglierli, non come mostri da fuggire, ma come un’opportunità meravigliosa per crescere nell’amore. Non c’è preghiera autentica senza questa conoscenza di sé, non posso pensare allo sguardo di Dio misericordioso su di me se per primo io non sono capace di rivolgermelo. Se non lo faccio con me stesso, poi, non lo farò neanche col mio fratello. Ecco allora l’immagine stupenda del giglio del campo: semplice, soprattutto libero. Ecco allora il segreto: sta tutto nella libertà di essere, di dare. Tutto, persino la vita. «Quando soffro per gli uomini indifesi, non soffro forse per il lato indifeso di me stessa? Ho spezzato il mio corpo come fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perchè no? Erano così affamati e da tanto tempo…» (Etty Hillesum, Diario 1941-1943).