N. 19 - Ottobre - Novembre 2016 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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arte storia e natura prodotti tipici
Magazine “Conipiediperterra”
Numero 19
Direttore responsabile: Mauro Gambin Editore: Speak Out srl di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) - speakout@live.it
Hanno collaborato a questo numero: Silvano Bizzaro Emanuele Cenghiaro Mattia De Poli Maurizio Drago Mauro Gambin Michele Grassi Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Loredana Pavanello Roberto Soliman Mario Stramazzo Efrem Tassinato Aldo Tonelli Martina Toso
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24 TRADIZIONI
Gallina di Polverara, 10 nuove razze
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INGIROPIEDANDO
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Chef nostrani nella guida dell’Espresso
PANORAMA GASTRONOMICO
L’anguilla una preparazione natalizia, ecco perché
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speakout@live.it
Stampa: Stampe Violato snc Bagnoli di Sopra (PD) Tel 049 9535267 www.stampeviolato.com info@stampeviolato.com Giornale chiuso in redazione il 28 Ottobre 2016 Tiratura: 5000 copie Diffusione: periodico bimestrale Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013 Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari) In copertina: “Poor Noël” di Mauro Gambin
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EDITORIALE di Mattia De Poli
BRACCIA (…E MENTI)
rubate all a’gricoltura
Nell’anno scolastico 2016-2017 meno del 3 per cento degli studenti che hanno iniziato il secondo ciclo di istruzione, la scuola superiore, hanno scelto un istituto tecnico o professionale ad indirizzo agrario
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a prima volta che ho sentito quest’espressione, ero al liceo: un professore la ripeteva spesso ad alcuni suoi alunni ridendo (come Bertoldo), senza far capire il confine tra scherzo e serietà. A volte si pensa che certe persone farebbero meglio a prendere in mano la zappa e la vanga invece di stare seduti in un ufficio o in un aula usando la penna (o il computer), ma il lavoro agricolo non è solo fatica e forza bruta: anche per coltivare bene un terreno è necessaria una preparazione specifica. Esistono percorsi scolastici mirati sia negli istituti tecnici che negli istituti professionali, esistono corsi di laurea universitari. L’istruzione agraria in Italia ha una storia e una tradizione ormai consolidata: la prima cattedra di agraria fu istituita dall’Università di Padova nel 1765 ed anche molte scuole dedicate agli studi di questo settore sono nate più di un secolo fa, almeno a partire dalla fine dell’Ottocento. Eppure oggi nel nostro Paese istituti secondari di secondo grado e corsi di laurea in agraria sembrano essere poco attraenti per i giovani. Nell’anno scolastico 2016-2017 meno del 3 per cento degli studenti che hanno iniziato il secondo ciclo di istruzione (la scuola superiore) hanno scelto un istituto tecnico o professionale ad indirizzo agrario. La percentuale è leggermente superiore (3,4 per cento) per quanto riguarda le nuove matricole che nell’anno accademico 2015-2016 hanno scelto il corso di laurea in agraria. Senza contare che questi percorsi di studio a tutti i livelli restano appannaggio quasi esclusivamente maschile, a conferma della
convinzione che il lavoro nei campi sia solo fatica fisica. Questa è indubbiamente un aspetto dell’attività agricola, ma l’agricoltura è anche altro. Prima di tutto è cultura: bastano termini come biologico, biodinamico o sostenibile per avere un’idea anche solo approssimativa della complessità che si prospetta a chi si avvicina a questo mondo. È civiltà: non deve più lasciare spazio a forme di sfruttamento dei lavoratori, italiani o stranieri, e può offrire opportunità di lavoro e di integrazione sociale anche a persone in situazione di disagio e malattia. L’agricoltura rimane un settore economico importante ma ha delle regole specifiche: la qualità dei prodotti agricoli è garantita da alcuni marchi di tutela ma i produttori hanno bisogno anche di un efficace apparato di marketing per raggiungere l’acquirente. Rovesciando la prospettiva tradizionale, c’è da chiedersi quante persone, votate all’agricoltura per passione, per inclinazione personale o per tradizione familiare, siano rimaste lontane da questo mondo per un pregiudizio radicato nella società italiana da tempo immemorabile, quel pregiudizio che distingue nettamente l’attività intellettuale (ritenuta più nobile e nobilitante) e l’attività manuale (ritenuta più vile e spregevole), quel pregiudizio plurisecolare che neppure il pensiero illuminista è riuscito a scalzare. Il settore agricolo è stato seriamente “derubato”, privato non solo delle “braccia” e delle risorse fisiche ma anche delle “menti” e delle potenzialità intellettuali di intere generazioni.
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L’ELZEVIRO di Eliano Morello
NEL RAPPORTO TRA CIBO E SALUTE
ci sta l ’informazione
Attorno ad un tema delicato e importante come l’alimentazione gravitano molti luoghi comuni, a volte sono i media a sostenerli, ma più spesso e la mancata conoscenza da parte del pubblico a renderli autentiche verità
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on passa giorno che alla televisione non si parli di cibo e alimentazione, di cucina e di salute a tavola. Attualmente, i programmi televisivi più seguiti sono per l’appunto quelli a sfondo enogastronomico e culinario (“La prova del cuoco”, “Bake-off Italia”...) e, tra le rubriche, quelle di maggior successo riguardano proprio il cibo. Questa grande attenzione per l’argomento, però, non implica sempre un’informazione dettagliata, oggettiva e corretta. Anzi, sembra quasi che (almeno qui in Italia) più una cosa interessa alla gente, più ci si accanisca per cercare di smontarla o di trovarvi degli aspetti negativi. Noi italiani saremo anche un popolo di buongustai, ma la salute viene prima di tutto! Ecco che allora il nostro Paese, tra quelli industrializzati, è uno dei tanti in cui, negli ultimi decenni, si sono succedute le diete più strane, stravaganti e strampalate (molte delle quali poco hanno a che fare con la salute) e in cui notizie drammatiche e allarmanti fanno più scalpore, vere o
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fasulle che siano. Programmi d’inchiesta come “Report” e “Presa diretta” sono ormai noti alla maggior parte del pubblico informato e si sono sempre distinti per la trasparenza delle interviste e l’obiettività delle informazioni. Recentemente, però, mi sono imbattuto in altri programmi televisivi: “Indovina chi viene a cena”, “Fuori TG”, e anche “Le iene”. Il primo, considerato il fatto che è a cura di una giornalista che collabora con “Report” e che va in onda su Rai 3 (uno dei canali più scientifici), sinceramente mi ha deluso. La puntata alla quale ho assistito (7 Novembre) riguardava le mense scolastiche e, a mio parere, era palesemente pilotata a favore di un certo tipo di consumi: vi si osannavano infatti cibi biologici perché sani (ma siamo sicuri che “naturale” coincida con “sano”?), consumo di carne proveniente da allevamenti entensivi..., poco importa se ciò costa di più (la salute prima di tutto, no?). Una sola osservazione: mi sembra che si continui a con-
L’ELZEVIRO In onda programmi che denunciano il consumo nelle mense scolastiche di cibi pericolosi per la salute dei bambini, di pietanze immangiabili, disgustose pure per gli adulti fondere il metodo di produzione con il prodotto finito (qualità). In generale, comunque, l’idea che ho tratto dalla breve trasmissione è la seguente: l’informazione tende a insinuare il dubbio e la paura, il terrore di adottare comportamenti scorretti anche quando non c’è alcuna evidenza a riguardo. È questo che dovrebbero fare i media? Terrorismo gratuito? Cosa possono pensare i genitori che si trovano davanti al televisore e che sentono altri genitori dire che i loro figli non mangiano più alla mensa scolastica, ma si portano il pranzo da casa, perché i menù non sono controllati da nessuno e il cibo “fa schifo”? Posso provare a rispondere: non pensano che quei genitori siano iperprotettivi, poco informati (i menù sono approvati da dietologi e medici della crescita del Ministero della Salute) e anche un po’ spocchiosi. Al contrario, sono propensi a pensare di non essere loro stessi buoni genitori lasciando i beneamati pargoli alla mensa, quando altri non lo fanno più da tempo! Si può sapere come mai i media sono così indaffarati a creare panico e falsi miti? Negli ultimi anni, autentiche crociate sono state avviate contro la carne in generale e quella rossa in particolare, contro gli allevamenti intensivi, contro la monocoltura del mais, contro l’agricoltura convenzionale, contro le proteine di origine animale, contro i grassi, contro il glutine, contro gli OGM, contro i pesticidi, contro le multinazionali, contro la GDO (Grande Distribuzione Organizzata), insomma contro tutto e contro tutti. Tutto fa male, tutto inquina: i pesticidi sono sul piatto, i residui dappertutto, le acque sono inquinate, l’aria è inquinata, la terra è inquinata! Solo un tipo di produzione può salvarci, garantirci la salubrità, il gusto, la sicurezza, la sostenibilità (economica, sociale ed ambientale): il biologico. È così che si arriva a mandare in onda in prima serata un programma che denuncia il consumo, nelle mense sco-
lastiche, di cibi pericolosi per la salute dei bambini (carne, insaccati, pesce di scarsa qualità), di piatanze immangiabili, disgustose pure per gli adulti. I genitori, per salvagurdare il benessere e la vita dei loro figli, sono costretti a entrare nei comitati mensa per vigilare che cosa viene fornito e come dal servizio di ristorazione. La domanda che a questo punto può sorgere spontanea è la seguente: quanto gli atteggiamenti dei bimbi nei confronti del cibo sono causati da comportamenti errati o da esempi sbagliati provenienti proprio dalla famiglia? Siamo sicuri che siano le carote che “fanno schifo”, e non il fatto che a casa il bambino non ne ha mai vista una, tanto meno assaggiata? Il bello è che, spesso, sono proprio i bambini che a casa mangiano peggio, quelli che fuori dalle mura domestiche si lamentano di più! Sono quelli abituati a patatine e hamburger del McDonald che non sanno nemmeno di che colore sono gli spinaci! Ritornando allora alla domanda precedente: qual è il genitore migliore? Quello che fa ricadere la colpa della pessima educazione alimentare del figlio sul sistema mensa, o quello che lo fa mangiare con tutti i suoi amichetti e che lo convince a sforzarsi di assaggiare tutto, soprattutto ciò che è nuovo? Anche questa è globalizzazione: vogliamo che i nostri figli abbiano un futuro luminoso, magari all’estero, ma come si può fare se l’unica cosa che mangiano sono gli spaghetti al pomodoro della nonna e non sanno nemmeno cosa sono i crauti? L’unico consiglio che mi sento di darvi: non mandateli in Germania! Concludo con una metafora illuminante che non ha bisogno di tante spiegazioni: “date ai maiali quello che volete e ai vostri figli quello che vogliono: otterrete otti-
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L’ELZEVIRO mi maiali e pessimi figli”. Ma la gente comune cosa può pensare, come cavalca l’onda emozionale? L’opinione pubblica non sta a sottilizzare, non ne ha il tempo, non ha i mezzi e le conoscenze per distinguere tra notizie certe e fasulle, è distratta, per cui fa di ogni erba un fascio. La realtà è ben diversa. Io stesso ho sperimentato personalmente molte mense scolastiche di scuole per l’Infanzia e scuole Primarie e ho mangiato le stesse piatanze dei bambini. Tutti coloro che hanno condiviso la mia esperienza non si sono mai lamentati del cibo (nessuno si è intossicato, nessuno è morto). Molti consumatori oggi sono terrorizzati da qualsiasi notizia (vera o falsa) che possa minare le loro certezze specialmente nel campo alimentare e della salute. Se qualche servizio vuole citare esempi positivi ecco che il
riferimento cade quasi esclusivamente sul prodotto “biologico” come unica ancora di salvezza. La testimonianza diventa un assist per tutto il movimento che ringrazia. Questo settore credo non abbia bisogno di ulteriore pubblicità in quanto è l’unico che aumenta il proprio fatturato nonostante la crisi dei consumi. Ma vorrei sottolineare gli effetti che una disinformazione sconsiderata può causare: una aberrazione del nostro tempo, causata dal terrore, dall’angoscia e dalla paura di quello che mangiamo si chiama “Ortoressia”, ovvero “l’ossessione del mangiare sano”, che imprigiona il soggetto in un salutismo estremo e dai caratteri subdolamente repressivi. Ed ecco che inizia l’ossessione maniacale di leggere l’etichetta, cercare garanzie per sedare ansia, per evitare il più possibile
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“Date ai maiali quello che volete e ai vostri figli quello che vogliono: otterrete ottimi maiali e pessimi figli” un campo minato. Avete notato quante sono le etichette che invece di riportare quello che contengono enfatizzano quello che “non hanno”? Senza glutine, senza grassi aggiunti, senza zuccheri, senza olio di palma, senza questo e senza quello. Sembra quasi una corsa a togliere invece che aggiungere. È veramente paradossale. Molti sono i movimenti estremisti o integralisti che cercano di aumentare la confusione e la paura come ad esempio l’ONG americana Environmental Working Group (EWG) la quale rilascia ogni anno - senza alcun fondamento scientifico - una lista di prodotti ortofrutticoli contenenti presunti livelli allarmanti di residui chimici, al fine di indurre i consumatori a scegliere le versioni biologiche degli stessi prodotti (cfr. FreshPlaza del 03/10/2016). A questa organizzazione ha risposto il Centro per la Nutrizione dell’Istituto di tecnologia dell’Illinois, con una indagine pubblicata su Nutrition Today che dimostra che la sostituzione di alimenti convenzionali con biologici non diminuisce in alcun modo il presunto rischio per la salute umana, anzi, quello che una disinformazione crea è sicuramente una disaffezione nei confronti di frutta e verdura, soprattutto nelle categorie di consumatori a basso reddito che non possono permettersi cibi biologici. Anche in Italia, secondo il Censis, le abitudini alimentari stanno cambiando: i consumi di carne, frutta e verdura, classica della dieta mediterranea, sono diminuiti, nonostante ne sia raccomandata un’assunzione costante. Ma chi ha ridotto maggiormente i consumi? Le classi meno abbienti, i poveri e i disoccupati. Nonostante tutto ciò, l’Italia detiene un primato: il 97% dei nostri prodotti agricoli è regolamentare alle analisi sui residui da fitofarmaci, quindi consumiamo con tutta tranquillità i nostri cibi siano essi da agricoltura convenzionale che da agricoltura biologica. Mangiare frutta e verdura fa bene e conviene, indipendentemente dal metodo di coltivazione. Per sconfiggere la disinformazione invece, e mi ripeto, occorrono due strumenti: un pubblico informato, attento e in grado di comprendere e dall’altra un giornalismo che abbia un barlume di preparazione scientifica e sia in grado di divulgare correttamente, specialmente quando i temi riguardano l’agricoltura, senza dover e voler cercare, a tutti i costi, titoli sensazionali.
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SPAZIO VERDE
passione per il territorio, competenza nel lavoro
Dal 1981 offriamo supporto per la consulenza e la progettazione ad amministrazioni pubbliche, imprese, pubbliche e private, a enti di vario tipo Il lavoro che appassiona si esplica in vari settori, tutti riconducibili al territorio, alla sua gestione e valorizzazione e in particolare al territorio agricolo; la competenza è quella acquisita dal qualificato e coeso gruppo di consulenza e progettazione in tanti anni di attività. Spazio Verde srl fornisce supporto nella progettazione ad amministrazioni pubbliche, imprese, pubbliche e private, a enti di vario tipo. Le attività di consulenza e di produzione vera e propria coprono un ampio spettro di tematiche: • politiche di sviluppo locale: supporto a enti locali, territoriali e soggetti anche privati per progetti, PSR e PSL, riguardanti le politiche ambientali, sociali, culturali, di promozione, anche turistica, del territorio e dei prodotti locali e di efficienza energetica. Il servizio di consulenza concerne tutte le fasi progettuali, dallo sviluppo delle idee all’assistenza tecnica nella progettazione fino al collaudo tecnico-amministrativo degli interventi • comunicazione: organizzazione di eventi sia di conoscenza culturale e scientifica che di promozione di prodotti o inseriti nella comunicazione di progetti di valorizzazione del territorio, nazionali ed europei • efficienza energetica: partecipazione a programmi di ricerca e sviluppo in ambito nazionale ed europeo e consulenza a enti pubblici e imprese per progetti di efficienza sostenibili dal punto di vista scientifico, tecnico, ambientale ed economico • produzione di energia da fonti rinnovabili, in particolare in agricoltura, consulenza per l’utilizzo di biomasse e di altre fonti rinnovabili sostenibili
• politiche comunitarie: monitoraggio dei finanziamenti comunitari per progetti nei settori agricolo, ambientale, culturale e formativo; assistenza tecnica per la redazione e presentazione dei progetti; gestione dei partenariati, cura della rendicontazione tecnica e finanziaria degli interventi realizzati con finanziamento pubblico • stesura di piani di sviluppo aziendali e business plan, perizie di stima, supporto alla mediazione creditizia e al finanziamento d’impresa: assistenza tecnica per aziende del settore agricolo ma non solo • servizi informatici: progettazione e realizzazione di software in ambiente Windows e Linux con architettura client/server, basati su web, per applicazioni specialistiche nei settori ambientale, territoriale, a servizio di imprese agroindustriali per la conversione digitale nei rapporti con gli enti regolatori e la pubblica amministrazione • opere multimediali, CD-Rom, banche dati: realizzazioni per la promozione di progetti ed enti, divulgazione scientifica e culturale • supporti cartografici, elaborazioni statistiche, modelli matematici
Spazio Verde srl, con il gruppo di consulenti e progettisti, è presente nel territorio veneto, che conosce bene e del quale studia e analizza potenzialità, prospettive e capacità di sviluppo per suggerire e seguire progetti nuovi
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Nel futuro dell’Ortomercato di Chioggia
la Borsa dei radicchi veneti?
L’obiettivo è creare un sistema forte con le Organizzazioni dei produttori e il Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia Igp, aggregando produzione, distribuzione e promozione I radicchi sono il prodotto a denominazione di origine veneta più conosciuto, non solo in Italia, ma anche nel mondo. L’area di produzione delle cinque IGP riconosciute (Radicchio Rosso di Treviso precoce e tardivo, Radicchio Variegato di Castelfranco, Radicchio di Verona e Radicchio di Chioggia) interessa praticamente tutto il territorio regionale, ad esclusione della provincia di Belluno. E, vista l’area di produzione ammessa dai disciplinari che regolano le diverse tipologie, potenzialmente i radicchi sono la coltura che potrebbe coinvolgere la più ampia superficie di coltivazione tra tutti i prodotti con riconoscimento di origine nella nostra regione. Il condizionale è, però, d’obbligo: innanzitutto perché la superficie certificata rispetto a quella potenziale è molto ridotta, poi perché i quantitativi di radicchi che risultano commercializzati come IGP rispetto all’effettiva produzione dichiarata sono ancor di meno. Tutto questo si traduce in percentuali che di anno in anno “ballano” di poco sopra lo zero-virgola, salvo per il radicchio di Treviso che si attesta attorno al 3%. Da qui si può, quindi, solo cercare di risalire. E questa prospettiva è confortata dai dati recentemente diffusi dal CSO - Centro Servizi Ortofrutticoli, che indicano una crescita dei consumi di radicchio a livello nazionale del 10% negli ultimi 10 anni. Infatti, mentre nel 2007 se ne sono consu-
mate più di 40mila tonnellate, nel 2015 il consumo ha superato le 66mila tonnellate. Parallelamente è cresciuto anche il valore delle vendite di radicchi, passato da poco più di 80 milioni di euro nel 2007 ai circa 132 milioni dell’anno scorso. Si tratta di una crescita percentuale del 55%, che però è un valore più basso rispetto alla crescita dei volumi, determinato dai suoi prezzi medi di vendita, che in 10 anni hanno perso una dozzina di centesimi di euro al kg, pur restando sempre nell’orbita dei 2 euro/kg circa (naturalmente si parla di prezzi al consumo). L’anno scorso - continua la ricerca CSO - i radicchi, con il 13%, sono stati il quarto ortaggio a foglia per consumo, subito dietro la lattuga (31%) e le insalate miste (17%), e in media tre famiglie su quattro li hanno acquistati almeno una volta l’anno (tasso di penetrazione del 75%), con un consumo che, ovviamente è maggiore nell’area del Nord Est Italia. La maggior parte delle vendite avviene sugli scaffali della grande distribuzione: è da qui infatti che passano quasi due cespi di radicchio su tre (il 64%) di quelli acquistati in Italia. Comunque dal 2007 al 2015 un po’ tutti i canali hanno aumentato le loro vendite di radicchi, in particolare il dettaglio specializzato, cioè i fruttivendoli, che in 10 anni hanno guadagnato 12 punti percentuali: l’anno scorso rappresentavano il 23% dei radicchi commercializzati in Italia contro MERCATO ORTICOLO DI CHIOGGIA Località Brondolo CHIOGGIA (VE) - Tel. 041 8224105
La produzione di radicchi in Italia è stimata sopra i 2 milioni di quintali, e più della metà è coltivata in Veneto dove il radicchio tondo rappresenta il 70% della produzione l’11% del 2007. Tra le diverse tipologie di ortaggi, i radicchi sembrano, quindi, essere tra i prodotti che meglio si sono comportati nel periodo di crisi. Le ragioni di questa crescita nel decennio, possono essere individuate innanzitutto nella gamma: i cinque radicchi sono diversi tra loro e ciascuno ha una sua versatilità d’impiego, dalle semplici insalate, fino alle più sofisticate elaborazioni in cucina. Inoltre, il radicchio tondo in particolare dura di più rispetto ad altri prodotti a foglia, sia in casa che nel misto in busta dove sembra prolungare il “self-life” della composizione, accentuandone inoltre sapidità, croccantezza e appeal. Il radicchio di Treviso tardivo è un prodotto con una marcata stagionalità (che, tra l’altro, copre il periodo delle festività natalizie) e caratteristiche di lavorazione che gli conferiscono una notevole distintività; tutto questo favorisce un posizionamento tra i prodotti alimentari a prezzo premium. Il radicchio tondo, d’altro canto, è disponibile praticamente tutto l’anno, e questo nella commercializzazione aiuta a mantenere fidelizzato il consumatore. La produzione di radicchi in Italia è stimata sopra i 2 milioni di quintali, e più della metà è coltivata in Veneto dove il radicchio tondo rappresenta il 70% della produzione. La potenzialità produttiva del territorio della denominazione Igp “Radicchio di Chioggia è attorno ai 550mila quintali, ma nei due mercati di riferimento dell’area, che distano tra loro pochi chilometri, vengono conferiti solo circa 180mila quintali (Ortomercato di Chioggia 120 mila e Ortomercato di Rosolina 65mila quintali, dati 2014), pari a circa il 30% della produzione. Questo settembre, all’avvio della stagione di raccolta della produzione autunno-invernale, all’Ortomercato di Chioggia il radicchio non ha avuto uno sprint soddisfacente, restando le quotazioni fino a metà mese (36a e 37a settimana) mediamente al di sotto dei costi di produzione (circa 0,40 €/kg); questi sono stati sostanzialmente pareggiati nella media della terza settimana (la 38a). Successivamente le medie settimanali sono andate via via crescendo, scavalcando di poco 1,00 euro alla
41a settimana (10-14 ottobre), per poi nuovamente scendere progressivamente, riposizionandosi a fine ottobre sulle quotazioni della prima metà di settembre, pur essendoci una flessione dei conferimenti in questo secondo mese rispetto al precedente. Un confronto col medesimo periodo dell’anno scorso non è proponibile, essendosi, a metà agosto del 2015, abbattuta sull’area produttiva litoranea una violenta grandinata, che ha falcidiato buona parte del prodotto prossimo alla raccolta. In ogni caso, anche quando il trend pare abbastanza confortante, come nella prima metà di ottobre, condizioni e prezzi cambiano con estrema rapidità a causa della debolezza organizzativa del sistema produttivo. E quando, come all’inizio del mese di novembre, la GDO mette il radicchio tondo in promozione sugli scaffali, l’effetto negativo sulle quotazioni per il coltivatore risulta immediatamente nefasto, perché a ricaduta, fin’anche sulla bancarella del fruttivendolo ambulante, il radicchio non può essere offerto a un prezzo superiore. È quindi necessario strutturare maggiormente la fase a monte della filiera, marcando sempre più il valore territoriale per consolidare la redditività delle aziende agricole. E questo è l’obiettivo portato avanti dall’Ortomercato di Chioggia, che punta a creare un sistema forte con le Organizzazioni dei produttori e il Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia Igp, aggregando produzione, distribuzione e promozione, in modo da assicurare al nostro radicchio un ruolo da “speciality” e non da “commodity”. Le produzioni legate al seme autoctono, infatti, sono in grado di ritagliarsi uno spazio maggiore e di differenziarsi dalle altre. A patto che si riesca a creare un interlocutore forte, in grado di porsi allo stesso livello della GDO. E chissà che con questa strategia l’Ortomercato di Chioggia, dove si forma il prezzo del radicchio locale, non possa riuscire anche a divenire punto di riferimento di tutti i radicchi veneti, soprattutto quelli a marchio Igp.
Messaggio a cura del Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia Igp www.radicchiodichioggiaigp.it - consorzio@radicchiodichioggiaigp.it
15 Gennaio,
torna la Festa del Radicchio di Maserà
Nella piazzetta del comune padovano prenderà il via la 18esima edizione, due giorni di mercato, degustazioni e cultura Le terre che oggi sono comprese nell’area del Consorzio Ortofruticoli e Tipici Padovani un tempo erano gli orti della Città del Santo. Padova dipendeva da questa parte di campagna per il proprio approvvigionamento di verdure fresche da consumare anche nella stagione invernale, tuttavia non ci sono specie che ne ricordino il toponimo e malgrado in provincia vengono coltivate tutte e cinque le principali varietà di radicchio veneto, solo una tiene alta la bandiera rosso crociata padovana: il Fior di Maserà. Per i padovani dunque, la festa del Fior di Maserà, è la festa del loro radicchio e anche quest’anno le bancarelle che offrono il prodotto invernale si assieperanno l’una di fianco
all’altra, insieme agli altri prodotti del territorio, per un’offerta che non sarà solo commerciale, ma anche un momento di conoscenza e approfondimento su questo prodotto ostinatamente difeso e preservato dal Consorzio anche andando contro a quelle logiche del mercato che altrove suonano come una lusinga, in tempi decisamente non semplici per l’orticoltura. Ecco, dunque, che la festa del Radicchio di Maserà è certo una festa dei prodotti della terra, ma soprattutto una festa che si lega all’identità di questa specifica terra e alla sua secolare storia che tuttavia non rimane confinata nel passato, ma continua a rivivere grazie a questo prodotto.
L’appuntamento è per domenica 15 gennaio, nella piazza del comune di Maserà con il consueto mercato dei prodotti locali: radicchio, miele, salumi, l’angolo dei sapori del territorio con degustazioni di risotto UNA SECOLARE VOCAZIONE ORTICOLA La storia del radicchio inizia da queste parti all’inizio del Novecento, quando arrivarono i primi cespi di variegato di Castelfranco dalla vicina provincia di Treviso. Un variegato che comunque non sarebbe rimasto tale per molto tempo, in quanto il sistema di produzione locale aveva peculiarità proprie, era l’unica verdura fresca in mezzo ad un orto di cavoli, verze, broccoli che andavano necessariamente consumati cotti. Gli inverni a quel tempo avevano rigidità ben più marcate di quelli attuali e i contadini di allora, per salvare il loro raccolto,
alla fine di novembre o ai primi di dicembre, quando i cespi erano già quasi sviluppati, asportavano le piante dal pieno campo, con una discreta zolla di terra che ne permettesse la sopravvivenza, per collocarle in cassette di legno al caldo nella stalla. Al caldo, ma soprattutto al buio e in presenza di ammonica, prendeva avvio quel processo di sbianchimento che conferisce tutt’oggi al radicchio le caratteristiche di dolce e croccante che contraddistingue le produzioni di Maserà.
Consorzio Ortofrutticoli e Tipici Padovani Via Bolzani, 64 - Maserà di Padova (PD) - Cell. 339 7967874 co_tipa@yahoo.it - Facebook: Consorzio Ortofrutticoli e Tipici Padovani
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I TRE ASSI DI MASERÀ
MASERÀ CLASSICO D’ALTRI TEMPI
FIOR DI MASERÀ
Seminato ai primi di agosto cresce e si sviluppa in pieno campo fino alla fine di ottobre. Fino a questo momento è di colore verde. A fine novembre viene raccolto con la zolla di terra e messo in cassoni e portato nei magazzini al buio e ad una temperatura di 12-13 gradi. Inizia così l’opera di imbianchimento, le foglie esterne marciscono coprendo il cuore del radicchio di una patina semi impermeabile che tiene ancora più al buio il cuore del cespo. È questo cuore che alla fine diventerà il nostro radicchio che porteremo a casa per essere preparato, ovviamente dopo una lavorazione della quale si occupa il produttore che prevede la mondatura delle foglie appassite, il taglio dei tre quarti della radice e un passaggio in acqua fredda per la reidratazione. Dei due quintali e passa del cassone rimangono circa 10-12 chili di prodotto finito. Ma che prodotto! Fresco, croccante, dalla foglia sottile di color bianco burro screziato di macchie violacee. Il sapore è delicato, non amaro, perfetto per essere servito fresco. Un tempo era l’accompagnamento del tastasale, dei salami ai ferri o del bollito.
La semina avviene dal 1° giugno al 15 agosto. Il trapianto avviene dal 15 giugno al 31 agosto; la raccolta inizia il 20 settembre. È caratterizzato da cespi di foglie larghe e tondeggianti, con variegatura di colore di lievi tonalità: dal giallino al verde, screziato di marrone, rosso porporato e viola. La forma ricorda quella di una rosa o di una orchidea (radicchio orchideo). Ha un sapore delicato, leggermente dolce, ma con un fondo amarognolo. Le caratteristiche morfologiche sono date dalla forzatura, l’imbiancamento e la preparazione dei cespi che determinano l’accrescimento delle foglie centrali, uno sviluppo ridotto della radice, foglie croccanti e la nervatura centrale della foglia poco sviluppata.
IL CONSORZIO:
DIFESA DELLE TIPICITÀ E ORA ANCHE PROMOZIONE DEL TERRITORIO
Il Consorzio da anni lavora per la salvaguardia del radicchio di Maserà e l’obbiettivo ormai può essere considerato raggiunto, “le nuove sfide - spiega il presidente Roberto Rigato - riguardano la commercializzazione del prodotto e il coinvolgimento di giovani produttori. Progetti ai quali si sta già lavorando con il tentativo di mettere in piedi un proprio mercato, in modo da controllare in modo ravvicinato la qualità del prodotto, garantendone il prezzo concorrenziale grazie alla filiera corta e all’ottimizzazione dei processi di lavorazione. Ma tra i progetti del futuro c’è anche l’idea di far conoscere il territorio del nostro Consorzio, perché, oltre ad essere da sempre un grande orto, ci offre anche tante bellezze che meritano di essere conosciute. Opere di grande fascino architettonico, culturale e paesaggisti-
IL ROSA DI MASERÀ Ossia la nuova varietà di radicchio ottenuta dall’ibridazione tra il radicchio di Verona e il Variegato di Castelfranco. Rosa, perché il suo colore è inconfondibile come del resto lo è il suo sapore dolce e la costa croccante.
co come: la Pieve di Santa Maria o quella di Santa Giustina a Pernumia, il Museo della Navigazione di Battaglia Terme, villa Buzzacarini a Cartura, il ponte di Riva sul Bacchiglione, la chiesa di Ca’ Murà a Bertipaglia insomma un museo diffuso che potrebbe essere visitabile attraverRoberto Rigato so le forme del turismo lento. Il percorso Sotto da sinistra: poi potrebbe diventare anche un modo Castello San Pelagio, di fare la spesa, conoscendo di perso- Pontemanco, Ca’ Murà na produttori e artigiani locali, dilettandosi in approfondimenti che potrebbero avere le forme della degustazione o della visita delle aziende. La nostra è una terra unica e merita di essere conosciuta. Stiamo lavorando anche a questo”.
Azienda agricola Rigato Cesare e Roberto s.s. Via Bolzani, 64 - Maserà di Padova (PD) - Tel. 049 8861456
Mortadella IL PANORAMA GASTRONOMICO di Maurizio Drago
DA PRODOTTO POVERO A ECCELLENZA
L’insaccato emiliano per eccellenza un tempo era considerato alimento di muratori, degli operai, ma oggi è tra i prodotti Igp
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osa c’è di più buono di un panino del fornaio con la mortadella tagliata finemente a fette? È il classico spuntino di mezza mattinata, una pausa da parte di un lavoratore, di uno studente o di un rappresentante che - spinto dall’idea di stuzzicare qualcosa di buono - si sofferma a degustare il classico panino con la mortadella. Fino a qualche anno fa questo salume veniva considerato un prodotto “povero”, certamente non adatto ad altri più “nobili” cugini come il prosciutto. La mortadella non era presente nelle cucine e tanto meno nelle ricette gourmet. “Con la nascita della Nouvelle Cuisine nel 1968 - dice il noto Arrigo Cipriani di Venezia - certi prodotti come la mortadella erano banditi nelle sale dei ristoranti”: chi mangiava mortadella non poteva permettersi di mangiare prosciutto, salmone o caviale! Era il cibo degli operai, dei manovali che lavoravano nei cantieri: una sorta di sparti-acque tra chi stava economicamente bene e chi doveva fare i conti con gli spiccioli che aveva in tasca per poter comperare un etto di mortadella e un pane. Questo succedeva nel boom economico, la mortadella costava poco ed
A bologna questo prodotto si lavorava duemila anni fa: la carne di suino veniva pestata con il “mortarium” e impastata con sale e spezie 12
era considerata un prodotto dove venivano usati gli scarti del maiale e non solo. Ma la storia di questo salume è antichissima e pure nobile. La mortadella piaceva anche ai Romani. Lo stesso imperatore Augusto era un consumatore di mortadella che gli veniva inviata da Bononia (l’antica Bologna). Chi dice mortadella pensa a Bologna. Perché nel capoluogo emiliano questo prodotto si lavorava duemila anni fa: la carne di suino veniva pestata con il “mortarium” e impastata con sale e spezie. La fama dei “salsiccioni” bolognesi si trova in alcuni documenti del ‘500, lo testimoniano in alcuni scritti dei viaggiatori e “buongustai” (quelli che ora si chiamano enogastronomi!) del Rinascimento. Nel ‘700 le mortadelle erano già famose in America, in
IL PANORAMA GASTRONOMICO quell’epoca venivano emanati bandi dagli stessi cardinali dove, ad esempio, si vietava ai lardaroli fuori della città di Bologna a fabbricare mortadelle: esisteva già a quell’epoca una denominazione di origine controllata dai “salaroli” che avevano costituito una corporazione a tutela di questo straordinario salume che si trovava nei grandi pranzi delle corti di mezzo mondo. La “Compagnia dei “salaroli” risalente al 1242 fissava norme precise per assicurare l’ottima qualità dei prodotti suini. Ma come è fatta la mortadella? La mortadella Bologna IGP, di puro suino, è un insaccato cotto, dalla forma cilindrica od ovale, di colore rosa e dal profumo intenso, leggermente speziato. Per la sua preparazione vengono impiegati solo tagli pregiati (carne e lardelli di elevata qualità), triturati adeguatamente allo scopo di ottenere una pasta fine. Il sapore è pieno e ben equilibrato. Una volta tagliata, la superficie si presenta vellutata e di colore rosa vivo uniforme. Dal 1998, a livello europeo, è stata riconosciuta quale indicazione geografica protetta(IGP) e deve seguire un rigido disciplinare per la sua produzione. Vicino a Bologna, nel comune di Zola Predosa, sono attivi i due più importanti mortadellifici: Felsineo e Alcisa. Le loro mortadelle si trovano nei negozi e nei banconi degli affettati. Chi vuole può visitare lo stabilimento e il processo produttivo. Lo dice anche Andrea Raimondi, presidente di Felsineo: si deve sfatare che il prodotto è “povero”, anzi! La cura delle carni di maiale, la lavorazione e l’insaccamento sono di alta qualità: una filiera tutta italiana con suini pesanti degli allevamenti vicini all’azienda.
Dal 1998 è stata riconosciuta l’Indicazione Geografica Protetta. Nel comune di Zola Predosa, sono attivi i due più importanti mortadellifici: Felsineo e Alcisa La mortadella è un prodotto magro, stanno uscendo delle mortadelle naturali al 100 per cento, hanno poche calorie e sono digeribilissime. La mortadella va mangiata a fette sottili, guai far vedere a un cultore della mortadella i classici “cubetti” che spesso si trovano nei buffet o negli apericena! Ma nel Veneto ci sono produttori di mortadella? Per la verità sono molto pochi i salumifici che producono in ridottissime quantità questo prodotto. Uno dei produttori locali si trova a Este. Ne abbiamo parlato con Francesco Fontana, responsabile della produzione di un prosciuttificio di Este. Anche nella sua azienda si produce a margine una certa quantità di mortadella (che non può fregiarsi del marchio IGP) ma che tuttavia ha le caratteristiche della più famosa cugina bolognese. Francesco Fontana produce mortadelle che vengono vendute entro un raggio di 50 chilometri da Este, nei negozi e in alcuni ritrovi. Anche qui il prodotto è buono, lavorato con cura e continuamente controllato. Per tutti coloro che hanno il dubbio se la mortadella è un prodotto buono noi diciamo di sì. Ovviamente il prezzo fa sempre la differenza, meglio spendere qualcosa in più: ci guadagna la salute! Gustiamoci quindi un ottimo panino con la mortadella. Senza riserve!
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AZIENDA FONTOLAN
solo carni di altissima qualità per una spesa sicura “Tutto quello che fa parte della nostra alimentazione proviene dalla terra, rispettarla significa mangiare bene e soprattutto mangiare prodotti che ci fanno bene”. Con questa filosofia la famiglia Fontolan conduce la propria azienda agricola in via Argine Sinistro a Bovolenta. La ricerca della qualità parte direttamente dalla campagna e si ritrova nei piatti grazie a carni tenere, saporite e assolutamente sicure
L’azienda aderisce al disciplinare di Unicarve per l’allevamento a cereali. Benessere degli animali, pulizia e filiera sicura attestano il marchio “Carne di qualità”
AZIENDA AGRICOLA FONTOLAN, Via Argine Sx, 61 - 35024 Bovolenta (PD)
C’è chi entrando dal portone di via Argine Sinistro a Bovolenta è convinto di entrare in una moderna azienda agricola, chi in una fornitissima macelleria oppure in una pregiata salumeria, eppure tutti vengono qui per lo stesso motivo: la qualità. Una qualità che all’Azienda Agricola Fontolan significa natura, rispetto dei cicli di coltivazione e allevamento, attenzione nelle lavorazioni e la massima disponibilità in termini di cortesia ed esperienza da mettere a disposizione del cliente. Questi, del resto, sono i principi del ciclo di produzione chiuso, ossia del controllo su tutta la filiera, dalla terra al piatto del consumatore, garantendo tracciabilità e trasparenza in tutte le fasi della lavorazione. Ed ecco perché le carni del punto vendita aziendale hanno una marcia in più, gli animali sono quelli allevati in azienda
rispettando i disciplinari di produzione, macellati e frollati secondo i giusti tempi che garantiscono la morbidezza delle carni, serviti e consigliati in base alle più idonee preparazioni alle quali si prestano. E con l’arrivo della stagione fredda la varietà è garantita: dai tagli nobili della coscia e delle lombate, con fiorentine, costate e filetti, ai tagli dell’anteriore per spezzatini, brasati, arrosti e bolliti, tutti ottenuti da “sorane” di razza charolaise francese, carni tra le più tenere, dalla grana fine e con pochissimo grasso di copertura. Dal bancone non mancano un’ampia gamma di prodotti lavorati, dalle svizzere agli involtini, e ovviamente non possono mancare i tagli del maiale e i ruspanti di bassa corte, tutti rigorosamente allevati in azienda.
La carne di charolaise francese è tenera, dalla grana fine e con pochissimo grasso di copertura. I laboratori della Chelab Silliker - Mérieux NutriSciences hanno condotto delle ricerche analitiche sulle carni macellate all’azienda Fontolan, riscontrando che contengono meno acidi grassi saturi di quella di pollo. Una buona notizia per la salute
Con l’arrivo delle Festività, inoltre, il punto vendita è attrezzato per preparare ceste e idee regalo con i tagli di carne più pregiati, i salumi insaccati come un tempo senza conservanti o coloranti, il lardo della casa e ovviamente l’immancabile cotechino aromatizzato con sale, pepe e noce moscata
TUTTI I SALUMI sono realizzati con animali allevati in azienda e preparati con ricette tradizionali. Salami, capocolli, pancette e cotechini contengono solo spezie naturali: pepe, sale, aglio e vino rosso, niente conservanti o coloranti. Assolutamente da provare il lardo, stagionato sei mesi con sale, pepe, rosmarino e foglie di salvia e alloro
PROSCIUTTO FONTOLAN, ottenuto dalla noce della coscia di maiale, salato, pepato, aromatizzato con cannella e chiodi di garofano e insaccato in budello naturale, asciugato per 15 giorni e stagionato per sei mesi
Per andare incontro alle esigenze delle famiglie l’azienda Fontolan produce COTECHINI pronti per essere serviti. Basta mezz’ora di cottura per portare in tavola tutto il sapore della tradizione
Tel 049 5347142 - info@aziendaagricolafontolan.it - www.aziendaagricolafontolan.it
LA FORMA DEL LATTE di Michele Grassi
Alla grotta accorsero molti pastori, ALLORA PERCHÉ AL NATALE NON SI ASSOCIA IL FORMAGGIO? Tra i piatti della tradizione manca una preparazione casearia, eppure il nostro paese è celebrato soprattutto per i prodotti derivati dal latte
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uando si parla di formaggio e della sua storia, non si può evitare di pensare alle tante narrazioni popolari del nostra Italia. Una di queste racconta del pastorello che portava con se, al pascolo, un otre pieno di latte, ma al momento di bere si accorse che dall’otre non usciva nulla perché il latte si era trasformato in una sostanza gelatinosa, la cagliata. Un’altra storiella simpatica che ha del vero, è quella del garzone di bottega del mastro casaro che, un giorno, fece cadere accidentalmente in terra, e vi era proprio terra sul pavimento della bottega, un formaggio appena fatto. Il mastro casaro arrabbiatissimo impose al garzone di mangiare il formaggio ormai invendibile e il ragazzo, addolorato per il danno creato ma soprattutto per
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l’obbligo di cibarsi di una tale sozzura, pensò di lavare il formaggio con acqua molto calda. L’acqua quasi bollente fece si che la pasta del formaggio si liquefacesse, diventasse elastica e capace di allungarsi notevolmente. Il mastro casaro, attentissimo alle azioni del garzone, si stupì non poco a quel prodigio e dopo attenta riflessione capì che quel risultato tanto strano era un’eccezionale scoperta, la pasta filata. Oltre ai racconti ci sono molti proverbi come, “non fate sapere al contadino quanto è buono il formaggio con le pere”, e detti popolari, spesso dialettali, come, “Formajo, pan bianco e vin puro fà el polso duro” o anche, “El bon formajo se fà de majo”, naturalmente in Veneto. Ma i proverbi e le narrazioni raramente raccontano il formaggio nel contesto alla fe-
LA FORMA DEL LATTE sta del Santo Natale. Uno dei pochi che si riferisce indirettamente al formaggio è proprio veneto e dice; “Se Nadale vien senza luna, chi ga do vache se ne magna una”. Il riferimento al formaggio è sottile, se manca una vacca manca anche il frutto di tale animale ovvero il buon latte da trasformare. La carenza di aneddoti natalizi sul formaggio la si può leggere anche da un’altra prospettiva, ovvero dal fatto che non c’è l’usanza di considerare il formaggio un alimento di primo piano del cenone o del pranzo natalizio. È risaputo che il formaggio è protagonista per il condimento di primi piatti e per la farcitura di portate a base di carne, oltre a essere utilizzato per la preparazione di dolci che oggi hanno risonanza mediatica se denominati cheesecake, invenzione anglosassone che ha preso piede in tutto il mondo. Spesso, in cucina, il formaggio è utilizzato come se avesse un ruolo secondario, solo come ingrediente capace di dare sapidità al piatto in
“Non c’è occasione migliore per degustare il formaggio della tradizione, magari veneta, consumando il frutto del lavoro dei piccoli caseifici, dei pastori che tanto faticano nella loro vita nomade con le greggi” preparazione, banalizzando così le sue caratteristiche organolettiche. Come ci si preoccupa di scegliere la farina o altri prodotti, in funzione del loro uso, anche per il formaggio deve valere la stessa regola. Anche se utilizzato come condimento, il formaggio deve poter liberare le sue caratteristiche per contribuire al gusto della portata, senza dimenticare che lo stesso formaggio, prodotto in luoghi e tempi diversi, acquisisce e conserva odori e aromi differenti. Per questo è sempre bene selezionare il formaggio sia se da consumare in purezza o come ingrediente nelle preparazioni culinarie. Ma torniamo al Natale o meglio alle settimane che lo precedono quando Tv e radio bombardano i telespettatori con pubblicità mirata ai prodotti dell’agroalimentare, della pasticceria, della salumeria e di altri alimenti che spesso sono sinonimo del Natale, essendo proposti al consumatore solo nel periodo delle festività. Gli alimenti meno conosciuti, come i formaggi tradizionali, non sono mai reclamizzati o perché prodotti in piccole quantità o per la difficoltà di essere reperiti al di fuori della zona di origine. Mi piace ricordare ciò che affermava Giovanni Bertizzo-
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LA FORMA DEL LATTE
I formaggi tradizionali non sono mai reclamizzati o perché prodotti in piccole quantità o per la difficoltà di essere reperiti al di fuori della zona di origine
lo giornalista di Bassano del Grappa, ora scomparso, già direttore del più importante sito italiano che tratta di formaggio, “...nessuno nel gotha dell’agroalimentare si è preso la briga di segnalare pubblicamente per il Natale o per il Capodanno il formaggio italiano preferito, esclusivo, ad hoc, unico nel suo genere. Come se i formaggi non facessero parte della casta, per usare un termine di moda. Come se i formaggi non rappresentassero la nostra cucina. Come se i formaggi fossero qualcosa da evitare”. Quanta saggezza in queste parole che suggeriscono di consumare il formaggio, come eccellenza tra le eccellenze, sulle nostre tavole soprattutto a Natale. Se si pensa che in campo agroalimentare il primo importante made in Italy è rappresentato dal formaggio, sia per il suo grande utilizzo che per l’esportazione, ne sono un esempio la pizza che viene guarnita di formaggio o la mozzarella che è espressione della tipicità italiana nel mondo o ai formaggi di tipo grana copiati in ogni continente, ci si chiede, come mai allora il formaggio non è visto dagli italiani come un’eccellenza da valorizzare? Non c’è occasione migliore per degustare il formaggio della tradizione, magari veneta, consumando il frutto del lavoro dei piccoli caseifici, dei pastori che tanto faticano nella loro vita nomade con le greggi. Così come sulla tavola, il giorno di Natale, non mancherà ottimo vino, non dovrà mancare un tagliere di formaggi, magari provenienti dai pascoli veneti, da
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“Mi piace pensare che si possa considerare il consumo di formaggio a Natale come rievocazione storica utilizzando i prodotti tipici tradizionali dell’agroalimentare locale” consumare come antipasto per meglio assaporarne le proprietà organolettiche. Sono sufficienti tre formaggi, visto che il pasto sarà luculliano, a vostra scelta tenendo però presente che è bene sempre procedere alla degustazione in ordine d’intensità aromatica o in funzione delle diverse tipologie scelte. Prima quindi un formaggio a pasta molle, poi uno a pasta semidura e per ultimo a pasta dura. Una scelta intelligente può essere quella di scegliere un un formaggio vaccino seguito da un pecorino e poi da un caprino, tipologie molto presenti nella pianura e sulle montagne del Veneto. Il Bambinello nacque nella stalla alla quale giunsero per primi i pastori con le loro greggi. È lecito supporre che fra i doni ricevuti da Gesù vi fosse anche il formaggio? Mi piace pensare che si possa considerare il consumo di formaggio a Natale come rievocazione storica utilizzando i prodotti tipici tradizionali dell’agroalimentare locale, per godere dell’allegria conviviale che solo il formaggio può indurre a vivere.
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Caseificio Ai Prà
DAL BUON LATTE IL MIGLIOR FORMAGGIO Una mucca in piena salute ricambia con un latte di qualità: è questo patto stretto con la Natura il segreto della genuinità dei latticini e dei formaggi del caseificio Ai Prà. Dalla stalla, dove vivono le 50 mucche pezzate austriache, al laboratorio dove viene lavorato il loro latte ci sono solo pochi metri di distanza, le quantità sono da produzione artigianale, circa 6-7 quintali al giorno, impiegando solo caglio naturale di vitello, fermenti e sale, niente conservanti, niente acido citrico (nemmeno nelle mozzarelle), niente che non sia la massima espressione della naturalezza
La specialità della casa TRA I FRESCHI • Caciotta nelle varianti alla salvia, al rosmarino, ai capperi di Saline in questa parte dell’anno è da provare quella al radicchio, ovviamente il Bianco Fior di Maserà • Toselle, eccellenti anche grigliate • Stracchino • Mozzarelle • Ricotta • Provoloni • Caciocavallo
TRA GLI STAGIONATI • Nostrano, che qui viene affinato con il miele di castagno o in barrique di legno riempite di fieno • “Vecchio” con dieci mesi di stagionatura • Ai Prà dal sapore di latte appena munto, si scioglie in bocca liberando una nota dolce e lievemente acidula
I LATTICINI • Yogurt densi e cremosi in diversi gusti come l’arancio con lo zenzero, il pistacchio, la liquirizia, ottenuti sempre con l’impiego di purea di frutta fresca • Panna cotta • Creme, ideali per aprire la giornata con una colazione sana e gustosa
Dove trovare i prodotti del Caseificio Ai Prà Il banco dei prodotti del Caseificio Ai Prà si sposta durante la settimana:
• IL MARTEDÌ POMERIGGIO dalle 17.00 alle 20.00 in piazza di Due Carrare • IL MERCOLEDÌ MATTINA al mercato di Conselve IL MERCOLEDÌ POMERIGGIO è aperto il punto vendita aziendale dalle 15.30 alle 19.30 • IL VENERDÌ è aperto TUTTO IL GIORNO il punto vendita aziendale dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.30 • IL SABATO MATTINA in piazza Cannoni a Sottomarina al mercatino dei tipici IL SABATO POMERIGGIO è aperto il punto vendita aziendale dalle 15.30 alle 19.30 PUNTO VENDITA AZIENDALE CASEIFICIO AI PRÀ MASERÀ via Pratiarcati, 9 - Tel. 339 3278420 - www.aziendaagricolacaseificio.padova.it
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Cappone Antichi Sapori, a Natale porta in tavola la genuinità La famiglia Scudellaro da quarant’anni alleva i propri animali preoccupandosi del loro benessere. Perché più un animale sta bene, più qualità si trova nel piatto PERCHÉ IL CAPPONE La capponatura risale all’età classica, o almeno le notizie più antiche risalgono al VII secolo a.C. come metodo di conservazione. Nella fattispecie posticipando la maturazione del gallo le carni del cappone si mantengono morbide più a lungo superando di gran lunga il giusto periodo di macellazione di un pollo “normale” che di solito si aggira attorno ai 140 giorni di vita. La macellazione del cappone, invece, non avviene mai al di sotto dei 200 giorni ed ecco spiegato anche il perché le sue carni sono un piatto tipico del Natale:
verso fine anno, infatti, sono al massimo del gusto e della morbidezza. I capponi dell’Azienda Antichi Sapori seguono ancora oggi le antiche pratiche di accrescimento, infatti qui, come tradizione vuole, i giovani galletti di circa 2 mesi vengono castrati tra il 10 e il 15 giugno. Per capire se il cappone ha i giusti giorni di vita basta guardare lo sperone sopra le quattro dita: se è molto pronunciato è un animale che ha vissuto a lungo, se è corto il suo accrescimento è stato forzato.
Azienda Agricola Scudellaro S.Agr.S. - Via Valli Pontecasale, 16 - 35020 Candiana (PD)
Due le specie allevate dalla famiglia Scudellaro Il “Collo Nudo”, che raggiunge i 4,5-5 chilogrammi di peso Il Golden Com, più piccolo raggiunge i 3.5 chilogrammi di peso. Esclusivamente questa razza viene allevata anche con il metodo Latte&Miele, ossia aggiungendo negli ultimi due mesi di vita al normale becchime latte in polvere e miele “Millefiori” dei Colli Euganei • Allevati all’aperto in grandi spazi alberati e recintati • Alimentati esclusivamente con cereali e farine prodotte in azienda • Accrescimento naturale, senza impiego di stimolatori • Macellati e spiumati a mano per non compromettere la qualità delle carni
• Contenuto di grassi è piuttosto basso: 3 % del peso complessivo • Contenuto proteico elevato: 31 grammi ogni 100 di prodotto • Contiene sodio, potassio, fosforo, magnesio, ferro e selenio e vitamine B1, B2 e PP • Valore Calorie: 110 Kcal per ogni 100 grammi di prodotto senza pelle
EVITA DI FARE LA FIGURA DEL POLLO, quello che porta questo marchio è il vero Latte&Miele!
CAPPONE RIPIENO LESSO INGREDIENTI • 1 cappone già pulito • Fegatini e ventriglio dello stesso cappone • Pan grattato • Prezzemolo • 1 uovo • 1 patata • Parmigiano grattugiato qb • 1 spicchio d’Aglio • Sale e pepe Per il brodo • 1 cipolla steccata con chiodi di garofano • 2 coste di sedano • 4 carote FARCITURA Tritiamo finemente il fegato e il ventriglio a coltello, se il vostro cappone l’avete preso all’azienda Antichi Sapori li troverete dentro al corpo, e rosoliamoli a fuoco vivace con un po’ di Brandy e aggiustiamo di sale e pepe, una volta scottati uniamoli al prezzemolo e all’aglio aggiungiamo del pane grattato,
l’uovo, la patata lessa e abbondante grana. Se piace aggiungiamo della noce moscata e se il composto risulta troppo secco aggiungiamo dell’extravergine di oliva leggero. L’impasto deve risultare compatto. Con questo composto va farcito il nostro cappone, avendo l’accortezza che il ripieno sia ben collocato all’interno della cavità del busto del cappone. L’apertura dal quale è stato inserito il composto andrà cucita con dello spago da cucina, in modo che durante la cottura non fuoriesca o si spappoli. COTTURA A questo punto basterà lessare il nostro cappone immergendolo in una capiente pentola dove acqua, carote sedano e cipolla staccata sono già arrivate all’ebollizione. Per arrivare a fine cottura serviranno almeno due ore. Il cappone andrà servito tagliato in ottavi, come normalmente si fa per la gallina, mentre il ripieno verrà estratto dal corpo e tagliato a fette, ecco perché è importante che durante la lavorazione sia compatto e ben posizionato all’interno del corpo durante la cottura. Volendo il cappone può essere servito accompagnato da salse per il bollito come il cren, la salsa verde oppure la mostarda.
Tel. 049 5349944 - Fax 049 7383364 - info@scudellaro.it - www.scudellaro.it
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Volponi, dal 1950
a servizio dell’agricoltura L’azienda mosse i primi passi con le “bacinelle” per le stalle. Dopo qualche anno si specializzò nel campo dell’irrigazione La Ditta Volponi è presente nel mercato dei macchinari per l’agricoltura dal 1950. Olmes Volponi iniziò l’attività con le famose “bacinelle”per le stalle che rivoluzionarono il modo di abbeverare le mucche. I primi impianti prevedevano un motorino elettrico per la carica di un serbatoio che a caduta riempiva una condotta dove erano collegate una serie di abbeveratoi. Con questo sistema più capi bevevano allo stesso tempo, senza l’ausilio di un operatore. L’attività aziendale nel tempo si allargò il proprio campo di azione realizzando i primi impianti di irrigazione con tubi in plastica e pompe a cinghioli o gruppetti a petrolio. Dal 1995, a Olmes, è subentrato il figlio Gabriele che con nuove energie oggi continua l’attività di famiglia nel campo dell’irrigazione con diverse specializza-
zioni, tanto che qualsiasi esigenza del cliente viene soddisfatta. Fa parte della deontologia aziendale, insieme alla trasparenza e onestà che da sempre contraddistingue la professionalità della famiglia Volponi, la convinzione che il cliente deve sempre essere soddisfatto e consigliato nelle proprie scelte. L’offerta della ditta Volponi oggi spazia dai sistemi di irrigazione a bassa e alta pressione per agricoltura, gruppi motopompe, rotoloni , pompe per trattrice, irrigatori multi marche, batterie di filtrazione manuali e automatiche da vigneto e ortaggi, accessori e componenti vari per irrigazione. Tra le attrezzature agricole la disponibilità è praticamente illimitata, spaziando dagli erpici rotanti ai gruppi diserbo.
IRRIGAZIONI Volponi Gabriele
IRRIGAZIONI VOLPONI GABRIELE Via Fiume, 8 - 35020 Maserà Di Padova (PD) Cell. 348 1201334 - Fax 0498863921 - volponigabriele@gmail.com
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Allevamento Veneto Ovini
La pecora sta bene sul presepe, ma anche a tavola Presso i punti vendita della famiglia di Ottavio Morandi prodotti a base di carni ovine di altissima qualità sia freschi che insaccati La pastorizia è l’arte che la famiglia di Ottavio Morandi si tramanda di generazione in generazione, un mestiere vecchio come il mondo che tuttavia continua a richiedere un forte amore per la terra, e non potrebbe essere diversamente visto che l’allevamento delle pecore richiede spazi liberi, transumanze, distanze per pascoli sostanziosi in ogni periodo dell’anno. Ed è in questo che risiede la qualità delle carni degli animali dell’Allevamento Veneto Ovini: agnelli, agnelloni, pecore e castrati di razza biellese e bergamasca sono in ciclico transito dagli argini dell’Adige ad Anguillara ai verdi pascoli di malga Faverghera a Nevegal, in provincia di Belluno. Una qualità che poi è possibile ritrovare nei prodotti freschi come i tagli di carne, gli arrosticini o le salsicce oppure negli insaccati di cui sia il punto vendita di Anguillara che l’agriturismo a Pegolotte di Cona sono fornitissimi, con un’ampia selezione.
• Prosciutto • Sella • Sopressa • Bresaola (vincitrice del premio Golosario nell’edizione 2016 di Vinitaly) • Salami • Salamelle • Lonzino • Fiocco • Pecorini, vengono prodotti in malga durante il periodo dell’alpeggio Gli stessi articoli possono essere ordinati telefonicamente o acquistati direttamente dall’area riservata all’Icommerce del sito: www.veneto-ovini.com, anche in quantità minime. In Veneto verranno recapitati direttamente a casa attraverso corriere.
Su ordinazione si confezionano CESTE NATALIZIE preparate su misura per soddisfare le richieste del cliente Non esitare a contattarci per preventivi e chiarimenti e rimarrai sorpreso di come fare un regalo gradito sia più semplice di quanto si pensi
CORTE BONICELLA Via Cavarzere, 28 - 30010 Cona (VE) • Tel. 0426 59298 • Cell. 349 3680371 • info@cortebonicella.it • www.cortebonicella.it ALLEVAMENTO VENETO OVINI Via Porcaro, 1 - 35022 Anguillara Veneta (PD) • Tel. 347 0326458 • info@veneto-ovini.com • www.veneto-ovini.com
di Efrem Tassinato
La Gallina
foto di Andrea Mangoni
ORIGINI DELLE TRADIZIONI
di Polverara UN PENNUTO DALLE ORIGINI POLACCHE Per secoli è stata il viatico degli studenti polacchi che frequentavano l’Università di Padova, le sue uova e le sue carni servivano per il sostentamento e anche per pagare l’affitto delle case. Raggiunta la laurea gli studenti rientravano ma le galline rimasero per dare vita a una nuova razza
"O
h, Padwa kurczaka!” esclamò la mia ospite a Frampol quando l’interprete le disse che ero italiano di Padova. Era dicembre del 1988 ed ero in Polonia per il mio primo progetto di sviluppo agrituristico in quel paese. Erano i tempi in cui ancora era al potere il generale Wojciech Jaruzelski, col Muro a Berlino e la Cortina di Ferro che stavano già scricchiolando e forse quella mia chiamata costituiva una delle prime avvisaglie della voglia di apertura che di lì a poco proruppe nell’immane alluvione umano e sociale che cambiò gli assetti del Vecchio Continente. “Oh, gallina padovana!” era stata pronunciata da una signora ormai in là con gli anni, in quel frangente nel ruolo di proprietaria di un B&B ma con un trascorso di insegnante di lettere e filosofia di liceo. Una profonda ed appassionata conoscitrice della storia locale di una regione, il Voivodato di Lublin i cui prìncipi regnanti ed altri rampolli di varia nobiltà per almeno un secolo, si formarono all’Università di Padova. Si portavano due o tre galline perché sia durante il viaggio, che nel sedicesimo secolo durava diversi giorni, che a pigione nelle case di famiglie padovane, producevano l’uovo di sussistenza. Poi, ultimati gli studi, gli studenti se ne tornavano e le galline rimanevano... a fare razza e a continuarla sul posto. E fu così che questo pennuto di origine polacca si
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ambientò e si sviluppò nei due ceppi (imparentati fra loro) della Gallina Padovana e della Gallina di Polverara: minutina, dal piumaggio molto colorato e con un gran ciuffo la prima; piuttosto robusta, alta, con piumaggio o tutto nero o tutto bianco e un ciuffo piccolo sulla testa la seconda. Ma i rapporti del padovano con l’Est europeo risalgono ad ancor prima, e sempre a proposito di galline nel 1300, l'astronomo e filosofo Giovanni Dondi dell'Orologio avrebbe riportato dalla Polonia dei meravigliosi polli ciuffati. Tale teoria, che viene riportata da numerosi scrittori del passato (come Teodoro Pascal) e moderni (come Periquét) non ha finora, però, trovato conferme storiche (fonte Wikipedia). Pare più plausibile a tutt'oggi l'ipotesi secondo cui i polli ciuffati sarebbero giunti nella regione del padovano sotto forma di viatico vivente dei pellegrini dell'Est europeo, che, diretti verso i luoghi sacri della cristianità in Italia, si fermavano nei monasteri della regione, come quello di Santa Maria della RivieLa Gallina Padovana e la Gallina di Polverara sono imparentate tra loro. Le differenze che le separano oggi sono da ricercarsi nelle selezioni successive: in città sono state premiate le caratteristiche estetiche del pennuto, per questo è piccolina e con un piumaggio molto colorato e con un gran ciuffo, mentre in campagna, a Polverara, la precedenza fu accordata al peso e dunque alla quantità di carne che la gallina poteva offrire e in effetti è piuttosto robusta rispetto alla prima, è più alta, il piumaggio è quello consueto, o tutto nero o tutto bianco, e anche il ciuffo è meno appariscente. Foto di Andrea Mangoni
ORIGINI DELLE TRADIZIONI ra a Polverara. Ovvero seguendo lo stesso percorso e con lo stesso spirito dell’odierna Via di Karol, promossa dalle Comunità Locali Wigwam, in primis di Polonia, Slovacchia e Italia. La località di Frampol non è molto distante dalla città di Zamość, ed anzi la strada che le collega si chiama proprio Zamojska. Questa città che oggi conta oltre 60 mila abitanti, fu fondata nel 1580 su iniziativa del magnate ed etmano polacco Jan Zamoyski, come capitale dei propri vastissimi possedimenti all'interno della Confederazione polacco-lituana. Uomo di profonda cultura e vasti interes-
si, Zamoyski aveva studiato all'Università di Padova, dove si era anche convertito dal calvinismo al cattolicesimo ed era stato rettore dell'Università dei Legisti. Zamość fu edificata sul percorso commerciale che collega l'Europa occidentale e settentrionale al Mar Nero, secondo un progetto di "città ideale" rinascimentale dell'architetto padovano Bernardo Morando. Concepita per svolgere allo stesso tempo funzioni di residenza principesca, centro commerciale e presidio militare, per certe caratteristiche ricorda la città natale dell'architetto e viene chiamata "la Padova del Nord".
LA GALLINA DI POLVERARA
lina Padovana e Cornish, ma inserendo il patrimonio genetico di alcuni capi ricevuti da Bruno Rossetto e quello di un'altra ventina di polli (ibridi di Polverara) reperiti tra mille difficoltà nel territorio del padovano. Oggi grazie all'opera pionieristica di questi due allevatori e all'interesse del Comune di Polverara la razza vanta alcune migliaia di esemplari, distribuiti in 5 grandi allevamenti e tra numerosi altri avicoltori amatoriali. La Polverara è anche una delle razze oggetto del progetto CO.VA., che si occupa di varietà avicole venete minacciate. A Polverara uno dei protagonisti dell’allevamento di queste galline è il Signor Francesco Pianta.
Wikipedia, il più autorevole compendio enciclopedico del web, dedica all’argomento un cospicuo spazio, perciò a tale vi rimando per attingere ad informazioni e note storiche davvero ricche e circoscritte. Vale però qui ricordare i meritevoli del recupero e rinascita di questa razza. Pressoché estinta nel 2000, la gallina di Polverara si salvò grazie all'opera di Bruno Rossetto, che per cinquant'anni continuò ad allevare questi avicoli, acquistati nel '54 dalla Signora Ruzza. Verso la fine degli anni ottanta, il ragionier Antonio Fernando Trivellato iniziò il lavoro di ricostituzione numerica della stessa, partendo inizialmente da incroci di Gal-
Difficoltà: media
Preparazione: 30 minuti
Cottura: 5/6 ore
INGREDIENTI per 4 persone • 1 Gallina di Polverara fine carriera • 100 gr di Lardo della Saccisica • 1 l di Vino Friularo vecchio • 1 Cipolla bianca di Chioggia • 3 spicchi d’aglio grossetti • 1 rametto di rosmarino • alcune foglie di alloro • qualche bacca di ginepro • sale q.b. Vino: senz’altro un Friularo di Bagnoli DOC vecchio e meglio ancora DOCG o in alternativa un Refosco dal Peduncolo Rosso strutturato Ricetta di Efrem Tassinato
GALLINA DI POLVERARA inbriàga al fumo de stropàro PREPARAZIONE Si taglia la gallina a piccoli pezzi e li si mette a marinare per una notte nel vino e con il rosmarino, l’alloro, il ginepro e il sale. Si tolgono i pezzetti di gallina dalla marinatura e si mettono sulla griglia su braci aggiungendo rametti di salix viminalis (el stroparo) per una leggera affumicatura. Nel frattempo si prepara un battuto col Lardo della Saccisica, la cipolla e l’aglio e si mettono a soffriggere in un tegame basso e largo di ceramica o terracotta. Quindi vi si ripongono a rosolare rigirandoli i pezzetti di gallina. Si inizierà ad aggiungere il liquido della marinata coprendo bene il tegame con un foglio di alluminio da cucina. Aggiungere altro liquido via via che si ridurrà, eventualmente integrando con brodo vegetale. La cottura su braci sarà lenta e durerà dalle 5 alle 6 ore a seconda della consistenza della carne. Quando sarà diventata tenera è pronta. Da consumare calda insieme a polenta di Mais Biancoperla, macinata a pietra, abbrustolita, eventualmente con contorno di patate arrosto, funghi in umido o verdura saltata in padella.
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CARTA D’IDENTITÀ DELLA
"GALLINA POLVERARA" NOME
IL CICLO DI VITA DELLA "GALLINA POLVERARA"
Gallina di Polverara
Il ciclo vitale della gallina polverara, dalla nascita fino alla
TIPOLOGIA
piena maturazione dei capi, dura piu’ di 12 mesi. I pulcini
È una gallina rustica, precoce
nascono tra febbraio e marzo, rimangono al riparo dal
e di facile acclimatamento
freddo e dai pericoli dell’esterno fino a maggio, quando
PRODUZIONE
il tempo è mite e sono grandi a sufficienza. Tutta l’estate
Produce eccellente carne morata,
vivono all’aperto, ricercano il cibo nelle radure, sotto gli
cioè scura
alberi, si nutrono principalmente in modo autonomo e
VARIETÀ
selvatico, anche se talvolta l’uomo integra la loro dieta
Di questa razza, da sempre conosciuta come "Schiata" o
con granaglie fresche, appositamente combinate. Di
"S-ciata" di Polverara, esistono due varietà, quella bianca
notte dormono sugli alberi o in pollai appositamente
con riflessi giallognoli e becco giallo roseo e quella nera
sollevati da terra, dove si sentono difese e protette da
lucente, entrambe senza cresta e senza barbuglio. Hanno
eventuali predatori notturni. Verso novembre e dicembre
tarsi verde salice nella bianca, e tendenti al colore piombo
i galli raggiungono la maturità, mentre le galline devono
nella nera
aspettare ancora 1 o 2 mesi. A Febbraio, quando le
OSSATURA
galline sono mature, avviene la riproduzione. Si fanno
L'ossatura è leggera e il suo peso non supera i 3-4 kg ma
accoppiare galli bianchi con galline bianche e galli neri
la carne, leggermente più scura delle altre, è delicata e
con galline nere. L’allevatore seleziona le uova, affinchè
saporita
si raggiunga una razza perfetta. Solo le uova che avranno
LA GALLINA
certe caratteristiche di forma, peso, colore, assenza di
La gallina "Razza Polverara" depone circa 150 uova l'anno
incrinature verranno messe a covare e daranno i nuovi
IL GALLO
pulcini, mentre le altre verranno usate per scopi alimentari.
Nel gallo l'aspetto generale evidenzia un portamento elegante, un'andatura vivace ed altezzosa, mentre la femmina manifesta un carattere più calmo Al posto della cresta spuntano due cornetti carnosi ben visibili nel gallo, un po' schiacciati e uniti alla base, a differenza della gallina padovana che ne è priva SEGNI PARTICOLARI Entrambi portano sul capo un caratteristico e fiero ciuffetto ritto sulla testa e sporgente in avanti, ad elmo nel gallo e a spazzola nella gallina, ma che comunque non copre gli occhi. La barba o gorgiera è ridotta e i bargigli sfoggiano un roseo brillante. L'alta coscia e le zampe color ardesia ALLEVAMENTO L'allevamento è a carattere familiare, con il pollame allevato all'aperto, perché, notoriamente, è un animale che male si adatta a vivere in spazi angusti
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FIERA DELLA GALLINA DI POLVERARA Dal 2 al 4 dicembre e poi approfittando del lungo ponte dall’8 all’11, appuntamento con i sapori della tradizione
La tradizionale fiera della Gallina di Polverara è arrivata
Fattoria didattica “La Masseria di Polverara”
alla sua sedicesima edizione. L’appuntamento, nato
e nemmeno gli appuntamenti sportivi con due
dall’azione della locale Pro Loco per la promozione e
competizioni: un torneo di scacchi e una marcia,
la valorizzazione di questo straordinario pennuto sarà
entrambi nel nome della Gallina di Polverara.
anche un momento per la socializzazione e l’incontro
“La nostra Fiera è ormai storica - spiegano alla
con i sapori del territorio. Protagonisti, infatti, saranno i
Pro Loco - un momento importante attraverso il
piatti della tradizione, come il bollito, a rappresentare la
quale vogliamo far conoscere il
storicità della gallina con il ciuffo, anche se non mancano
nostro territorio, le tradizioni, i
rivisitazioni più moderne delle ricette elaborate da alcuni
sapori ovviamente attraverso
ristoranti della provincia di Padova. Non mancheranno
il nome dell’animale che più
momenti
conoscenza
ci rappresenta: la Gallina di
ravvicinata della specie avicola, grazie a laboratori
di
approfondimento
per
la
Polverara”. L’appuntamento è
didattici che verranno realizzati in collaborazione con la
da non perdere!
IL PROGRAMMA TUTTI I GIORNI Sarà attivo lo stand gastronomico, le domeniche e giovedì 8 dicembre anche a mezzogiorno, e un programma di intrattenimento musicale SABATO 3 DICEMBRE Grande serata con Radio Company 4 - 8 - 9 - 10 - 11 DICEMBRE Fiera mercato, mostra macchine agricole, degustazioni ed esposizione delle galline razza Polverara DOMENICA 4 DICEMBRE Ore 11.30 Inaugurazione della Fiera con le autorità del territorio 1°TORNEO DI SCACCHI GALLINA DI POLVERARA” GIOVEDI 8 DICEMBRE Ore 15:30 Dimostrazioni sportive delle associazioni comunali VENERDÌ 9 DICEMBRE “FAMIGLIE IN FIERA” Ore 15:00 - 17:00 Laboratori didattici in collaborazione con la Fattoria didattica “La Masseria” di Polverara Ore 17:30 - 19:00 Spettacolo di Magia Comica per bambini e famiglie con “Mago Fedele” SABATO 10 DICEMBRE ore 14:30 – 18:30 Esposizione e dimostrazione dei GIOCHI DI LEGNO fatti a mano Per il dettaglio del programma potete visitare il sito http:// fierapolverara.com o alla pagina Facebook: Fiera della Gallina di Polverara
Fiera della Gallina di Polverara Presso il Centro di Aggregazione e Palazzetto dello Sport Viale dello Sport - Polverara (PD)
AZIENDA AGRICOLA E CULTURALE Da fattoria familiare tipica degli anni 60 a tentativo di lavoro collaborativo/ sinergico sull’agricoltura sostenibile Definire la “Masseria di Polverara” un’azienda agricola è riduttivo, perché insieme alla produzione di cereali, vino, olio, orticole e miele, coltivati e realizzati secondo i principi dell’agricoltura sostenibile, c’è molto di più. Sì molto di più. E se anche le dimensioni, circa sei ettari di fertile campagna, la rendono assimilabile alle aziende medie del Veneto, in realtà è la filosofia con la quale è stata concepita e con la
OBIETTIVO CRESCERE La masseria è da oltre 15 anni una fattoria didattica, iscritta fin da subito al Registro delle Fattorie Didattiche del Veneto, ma è dal 2014 che l’offerta didattica è notevolmente aumentata grazie ad investimenti nelle strutture, volti ad agevolare le attività formative e a permettere alle nuove generazioni di conoscere e tramandare la cultura del mondo rurale. La didattica proposta è legata alla vita contadina e alla natura, con l’obiettivo di rendere consapevoli gli ospiti dell’importanza della preservazione dell’ambiente,
quale continua ad essere portata avanti ad estendere i suoi confini anche al di fuori della “semplice” sfera agricola e a renderla un vero e proprio unicum. Qui infatti si pratica la ricerca; da più di vent’anni Antonio Fernando Trivellato porta avanti il recupero delle diverse varietà della Gallina di Polverara. Anzi, se ad oggi questa gallina dal bel ciuffo ancora esiste, è proprio merito di Fernando che l’ha salvata del valore della coltivazione naturale ed apprendere i cicli di vita di piante e animali attraverso la pedagogia attiva, ovvero, dell’imparar facendo. Osservando le dinamiche del mondo animale e vegetale, infatti, è possibile scoprire cos’è l’integrazione, il coraggio, i tempi della vita: concetti difficili per i bambini, ma fondamentali per crescere e affrontare le difficoltà e le contraddizioni della socialità moderna. Ecco che l’acqua non è più solo una risorsa fondamentale per la nostra vita ma un bene comune da proteggere e condividere. Il frutteto diventa il concetto intorno a cui sviluppare un ragionamento sulla nutrizione e sulla stagionalità. Le api ci fanno parlare dell’equilibrio dell’ecosistema e di cosa significa biodiversità
LA MASSERIA DI POLVERARA Via del Convento, 18 - 35020 Polverara (PD) - Tel. 049 5855177
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La quantità dei prodotti è limitata e la disponibilità varia in funzione della stagione: Verdure, Miele, Olio, Galline, Vino
dall’oblio del tempo e dalla marginalità in cui era stata confinata da quell’allevamento moderno che mette la reddittività, in termini di rese, sempre tra i primi posti nelle proprie scelte. Qui invece è stata la passione, l’amore del territorio e di questa parte della campagna a fungere da stimolo per un continuo investimento di energie e risorse e a renderne possibile il recupero come immagine di Polverara e della sua storia, e il lavoro non è ancora finito. Oggi, infatti, nuovi documenti ritrovati dallo stesso Trivellato sul passato di questa rara razza avicola, attestano che un tempo le varietà erano molte di più delle attuali “bianca” e “nera”, e quindi la ricerca a la Masseria ha preso questa nuova direzione, ottenendo notevoli risultati con la selezione di altre 10 nuove variazioni di piumaggio, trovando nel DNA superstite degli animali e nella costanza di incrociare galli e galline, per la fecondazione delle uova, livree screziate, dorate, argentate, fulve, tortora, camoscio, ermellinate, barrate, millefiori e grigie e a rendere più vicino
per la natura, ma anche per la società, ricordando sempre che la biodiversità sociale è l’interculturalità. L’orto diventa l’esempio più chiaro di cosa sia la multiculturalità, dal momento che le verdure che vediamo nei nostri orti sono in realtà frutto di mescolanza di culture (il pomodoro e il peperone sono sudamericani, il basilico è indiano etc). Nell’Agrimuseo, un intero piano è dedicato ai mestieri antichi, ormai scomparsi, che valorizzano professionalità assorbite da un’economia asettica ed impersonale; comprendere e vedere come lavorava il falegname, il lattaio, il lattoniere, il cappellaio, la sarta etc, permette di riflettere sui materiali, sul loro impatto ambientale e sugli odierni stili di vita. I percorsi didattici, principalmente indirizzati alle scuole, ma aperti anche a gruppi organizzati, si possono modificare in sinergia con gli insegnanti, e possono prevedere un percorso didattico che parte
il completo recupero della Gallina di Polverara. La “Masseria”, dunque, oltre ad essere stato il primo allevamento di questa specie, perché quello che si trova nei pollai del circondario bene o male è partito da qua, è anche l’unico a portare avanti progetti in tal senso, con all’orizzonte idee ben chiare su come arrivare alle forme di allevamento diffuso e soprattutto a ciclo completo, ossia con il controllo sull’intera filiera: dalla schiusa delle uova, alla macellazione delle carni e alla commercializzazione delle stesse. Ma, come si diceva, i confini della Masseria non si fermano al solo comparto agricolo e zootecnico a definire i lineamenti originali di questa realtà è la cultura. Infatti, qui negli anni è stata concentrata una raccolta di attrezzi antichi della campagna per dar corpo a un “agri-museo” che, insieme alle coltivazioni, agli allevamenti e alla storica casa colonica, oggi costituisce il cuore della “fattoria didattica”, pensata e realizzata come uno strumento a disposizione delle nuove generazioni per conoscere da vicino la storia della civiltà contadina, ma fondamentale anche per stimolare la consapevolezza dell’importanza della campagna nel rispetto di quegli equilibri naturali sempre più fondamentali per una vita nel segno del benessere e della salute.
dalle classi e si conclude con un uscita in Fattoria didattica. Alla fine della visita guidata si può scegliere un laboratorio tra quelli proposti, partecipando al processo di caseificazione del latte o facendo i bigoli al torchio, piantando una piantina da portarsi a casa o giocando come una volta. La Masseria inoltre mette a disposizione lo spazio della fattoria per feste e/o compleanni, per dare un’alternativa reale ai genitori o ai gruppi che sentono l’esigenza di trovare un luogo sano e vero dove poter passare un momento di festa. Per ulteriori informazioni si rimanda al sito
info@lamasseriadipolverara.it - www.lamasseriadipolverara.it - Facebook: La Masseria Di Polverara
LA RECENSIONE di Renato Malaman
?
PERCHÈ
Dal Contadino
BUON CIBO E CULTURA La trattoria di Vo’ di rustico ha mantenuto soltanto il nome, affermandosi negli ultimi anni come uno dei locali più evoluti e raffinati dei Colli Euganei
Recensione
Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta
C'
era una volta una fattoria e c’era una volta un contadino, Sergio Zancopè, detto “Pessa”. Questa fattoria che sorge a Vo’, ma a due passi da Castelnuovo, oggi è uno dei bei ristoranti dei Colli Euganei, adagiata com’è su una cengia naturale sotto il Venda, aperta verso la pianura del Basso Vicentino con ampia e suggestiva vista sui Berici. A trasformare l’originaria cascina in un luogo di sosta capace di regalare relax e soprattutto emozioni gastronomiche è stata la famiglia Ambrosi. Moreno con i figli Andrea e Nicola. Romeo Ambrosi, il papà di Moreno, acquistò il bene nel 1980 e, per ricordare chi aveva curato per anni quel luogo, chiamò la trattoria “Dal Contadino”. Oddio, scelta giustificata anche dal fatto che in origine il locale era un agriturismo la cui attività era iniziata con l’ambizione di utilizzare in prevalenza i prodotti dell’azienda, senza rendersi conto che la bellezza del luogo avrebbe ben presto richiamato talmente tanti clienti che l’impostazione agrituristica non sarebbe stata più sostenibile. Da ciò la decisione di cambiare completamente registro. Così già nel 1992 l’azienda “Dal Contadino”, dopo una riuscita ristrutturazione (il cui simbolo è la caratteristica torre colombaia) diventa trattoria e inizia quel percorso virtuoso che l’avrebbe portata molto lontano. Tanto che oggi molti clienti si chiedono il motivo di aver conservato tale nome. “L’abbiamo fatto per motivi affettivi” rivela Andrea Ambrosi “per ricordare le origini del nostro progetto e anche per onorare chi questa terra e questa casa le aveva curate per anni, ovvero il buon Sergio “Pessa”. “Dal Contadino” oggi è un locale di profilo alto, per effetto di una scelta coraggiosa di Moreno e dei suoi figli, desiderosi di crescere e di alzare costantemente l’asticella della sfida. Il successo del locale è nato così, della serie “l’appetito vien mangiando”. Da una sfida all’altra. Il locale piano piano ha cambiato pelle, senza perdere mai di vista la tradizione e i prodotti del territorio. È cambiata anche la clientela, perché dallo stile rustico la cucina si è via via evoluta per puntare a una cifra stilistica decisamente più raffinata. Naturalmente anche lo scontrino medio è lievitato, ma vedendo e assaggiando i piatti proposti oggi se ne coglie la ragione. “Dal contadino” da qualche anno fa parte dei Ristorantori Padovani ed è segnalato
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Fra i piatti imperdibili i saporiti bigoli “alla contadina”, mai tolti dal menù
LA RECENSIONE Carta dei vini ricca e ben compilata, buona la valorizzazione del territorio
dalla guida “Padova nel piatto” del Poligrafo. Le impressioni ricavate dalla visita. Innanzitutto la cura degli esterni, tutt’altro che leziosi, e l’accoglienza all’ingresso. Fatta anche di sorrisi (quello di Gloria, la fidanzata di Andrea) che tolgono da ogni imbarazzo. Il nostro tavolo assegnato si trova nella parte “storica” del locale, la sala Giampietro Tugnoli (dal nome dell’autore dei dipinti appesi alle pareti) caratterizzato da un’atmosfera molto intima. Piacevole anche la vista complessiva della sala, impreziosita da arredi e da un allestimento molto curato dei tavoli (tovaglie, calici, stoviglie e… fiori freschi). Merita un plauso la compilazione del menu: indicazioni precise, cartoncino grande. Tanti piatti esulano il territorio, fa capolino pure il pesce. Ma la griglia non manca! Esemplare l’impostazione della carta dei vini, che oltre a proporre una selezione intelligente fatta incrociando etichette euganee, nazionali ed estere, si rivela completa di informazioni (annate dei vini comprese). Prezzi dei piatti nella media, quella dei vini pure (con qualche eccezione). Il personale si muove con leggerezza, il sommelier è molto preparato. Si tratta di Marco Canevarolo, fa vino lui stesso sui Colli, con il papà. Assaggiamo come antipasto la sopressa di casa, con polenta abbrustolita e raperonzoli in insalata: una radicetta selvatica euganea, quest’ultima, molto apprezzata. Condimento non eccessivo. Buon equilibrio. Come primo i bigoli “alla contadina”, la specialità della casa: condimento molto saporito di cui Nicola Ambrosi è geloso custode. Mai tolti dal menu fin dai tempi dell’agriturismo. Per secondo uno spiedino di cappesante, gamberoni e carciofi gratinati, su crema di cannellini. Il dessert è quello classico della casa: semifreddo alla cannella con confettura di fichi. Con il caffè vengono serviti dei pasticcini preparati in casa dallo chef: ottimi gli “zaeti”. Vini abbinati al calice, in prevalenza etichette locali. Bene armonizzate con i piatti. Li ha scelti Marco. Nel complesso una visita che conferma le buone impressioni Il giornalista Renato Malaman con la famiglia Ambrosi: da siniprecedenti. Il ristorante “Dal Contadino”, giusto ricordarstra lo chef Nicola, Gloria lo, organizza nel corso dell’anno anche delle interessan- (la fidanzata di Andrea), Andrea ti serate a tema. Sempre scintillanti e ricche di contenuti. e papà Moreno
La Pagella
di Con i piedi per terra
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Alajmo al Top,
CUCINA PADOVANA IN EQUILIBRIO La guida de L’Espresso 2017 conferma le Calandre al top nazionale e la Montecchia sul secondo gradino del podio provinciale a pari merito con Lazzaro 1915, Storie d’amore e Fuel in Prato
L
a guida de L’Espresso, celebre opinion leader nel mondo della ristorazione con 39 anni di storia alle spalle, nell’edizione 2017 esprime un giudizio di sostanziale tenuta della ristorazione padovana. 23 i locali segnalati su un totale di 142 nel Veneto. Il primato: spetta a Vicenza con 33 segnalazioni, 28 sono i ristoranti veneziani segnalati (di cui 21 in città). 22 i veronesi, 17 i trevigiani (la cui cucina appare sempre più la “nobile decaduta” della regione, dopo che per decenni ne è stata il faro), 13 i bellunesi, 6 i rodigini. Ma Padova vanta anche un altro primato il ristorante Le Calandre di Rubano è al primo posto nazionale con 5 “cappelli”, condiviso con altri quattro locali: l’Osteria La Francescana di Modena, di quel Massimo Bottura proclamato quest’anno nella classifica San Pellegrino miglior cuoco al mondo, il “Piazza Duomo” di Alba (Cuneo) portato agli altari della cucina da Enrico Crippa, l’evergreen Uliassi di Senigallia (Ancona) che porta il nome di Mauro Uliassi e il Reale di Castel di Sangro (L’Aquila) di Nico Romito. Alajmo a parte, la cucina padovana sembra attualmente vivere sulla scia della grande stagione di crescita iniziata una quindicina di anni fa e concretizzatasi nella rivalutazione della propria tradizione attraverso la riscoperta di prodotti tipici come la gallina padovana, l’oca, il prosciutto crudo dolce di Montagnana, l’olio extravergine dei Colli Euganei. E attraverso anche la consacrazione di ricette come il gran bollito alla padovana o la “gallina a la canevera”. Una stagione segnata da grandi eventi di successo, come le cene in piazza di “Padova da gustare” e le fortunate rassegne dei Ristoratori Padovani o delle Tavole Tauriliane di Torreglia. Tornando alla guida de L’Espresso 2017, sul secondo gradino del podio, insieme alla Montecchia (che ha un cappello) troviamo il Lazzaro 1915 di Pontelongo, il locale di Piergiorgio Siviero (pure insignito di una stella Michelin) dove il giovane chef propone una cucina figlia anche degli insegnamenti ricevuti da Alain Ducasse a Montecarlo. Un “cappello”della guida Espresso se lo sono
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meritati pure “Storie d’amore” di Borgoricco, ristorantino creato dalla passione di Massimo Foffani e dello chef Davide Filippetto, il “Fuel in Prato” dei fratelli Greggio che da poco si è trasferito dal distributore di Villaguattera all’ex “Prato” in Prato della Valle (ora è interessato da un cambio di chef: a Battistin, passato ai Navigli, subentra il Rossetti dei Do Campanili). Di valore anche le altre presenze padovane in guida. Due le new entry: il Tola Rasa di Padova, locale di design guidato dal giovane Luca Tomasicchio e l’Aldo Moro di Montagnana, con in cucina la promettente Silvia Moro. Poi le presenze storiche. La Montanella di Arquà Petrarca è un must che dura nel tempo, grazie all’infinita passione della famiglia Borin. Poi il Boccadoro di Noventa Padovana retto dall’instancabile genio della famiglia Piovan. Quindi il Baretto di Albignasego, dove Luciano Cesaro continua a proporre un pesce di altissima qualità; il Sasso di Teolo dove Lucio Calaon esprime il suo viscerale amore per il territorio euganeo; la Tavolozza di Torreglia specchio dell’impegno di Fabio Dal Santo e Paolo Putti; la Torre di Monselice locale di classe e “primizie” da gurmet retto da anni da Noberto e Franca Gallo; l’Officina di Rubano creata da Marco Martinucci che ora si avvale anche dell’esperienza di Angelo Sabbadin, ex sommier delle Calandre; l’Aubergine di Abano locale di tradizione alle terme; Mario a Montegrotto altro caposaldo della ristorazione alle terme; Osterie Moderne di Campodarsego locale didattico votato alla divulgazione dei valori del vino; i Navigli di Padova locale glamour di Elena Bernardi preferito da tanti vip; il Box Caffè (in Prato della Valle) di Marco Benetazzo, ex allievo di Alajmo amante di uno spirito metropolitano; l’Enoteca da Pino in Ghetto, raffinata e “gustosa”; il Cicheto di Padova in riva al Piovego e, infine, la Pizzeria con orto “Gigi Pipa” di Este che l’estro di Alberto Morello ha portato alla ribalta nazionale grazie alla leggerezza e alla bontà del prodotto.
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Osteria Vineria
Natale con i tuoi... e rigorosamente
all’Osteria Vineria Le Carni A Borsea l’originale locale coniuga alle eccellenze della macelleria, una cucina all’insegna della tradizione polesana e un’ospitalità raffinata e decisamente di buon gusto Il freddo pungente del Generale Inverno e l’approssimarsi delle imminenti Festività hanno un punto il comune: il bisogno di atmosfere calde e avvolgenti, magari di un po’ di cordialità e soprattutto tanta poesia. E allora il posto giusto potrebbe essere proprio l’Osteria Vineria Le Carni di Borsea, perché qui l’ospitalità bolle in pentola insieme ai prodotti di stagione, creando quelle suggestioni attraverso le quali ci rendiamo conto che il tempo non scorre sempre in silenzio. Anzi ogni stagione ha i suoi riti, i suoi sapori e i suoi colori e soprattutto a tavola il rispetto dell’ortodossia è un valore assoluto che nella cucina di questo originale luogo, sospeso tra macelleria e ristorante, viene tenuto in gran considerazione. Così nei giorni di freddo pungente che cosa c’è di meglio di un fumante piatto di tortellini fatti a mano e cotti in un brodo di gallina o cappone? O dell’affetto che un risotto con i fegatini sa esprimere se servito alle giuste temperature? E poi, con l’’arrivo del freddo è possibile trascurare il maiale? Cotechini e bondola polesana, ovviamente, sono di casa essendo l’oste, Marco Verza, anche un abilissimo macellaio e la moglie Vania una fervente sostenitrice del buon cibo preparato secondo le ricette di una volta, dove il tempo era pure esso un ingrediente fondamentale. Del resto le cotture prolungate sono il segreto della cucina dell’Osteria, un inconfessato atto silenzioso e occulto che pienamente si esprime nel gran bollito alla polesana dove il manzo, inteso come copertina o “capel del prete”, la lingua o la coda, la testina di vitello e l’immancabile cappone sobbollono per diverse ore in compagnia di carote, sedano e cipolla per essere accompagnati nel piatto, a scelta: da cren, mostarda o salsa verde con contorno di invernali cicorie di campo, “fasoi in potacin” e radicchio. Anche i dolci sono abilissime preparazioni della casa, e non andrebbe trascurata la cantina, dove a fianco delle bottiglie di grande prestigio riposano i vini dei vicini Colli: fermi, passiti e spumanti, perfetti sempre in mille abbinamenti e per il cin-cin degli auguri importanti. A Natale, e non solo, Marco e Vania li troverete ai fornelli. Per trascorrere meglio le lunghe notti d’inverno è stato pensato un calendario di appuntamenti dedicati ai prodotti e alle tradizioni del territorio • Cena del gran bollito alla polesana • Cena con protagonista sua maestà il maiale • Cena al bianco, ossia con gli animali di bassa corte • Serata di degustazione dei formaggi
L’Osteria Vineria è aperta tutti i giorni dalle 17.00 all’1.00, la domenica dalle 11.00 alle 15.00 e dalle 18.30 all’1.00. Le pentole riposano il mercoledì OSTERIA VINERIA LE CARNI via Savonarola, 60/C - 45030 Borsea (RO) - osteria@lecarniborsea.it -
- Per prenotazioni 389 5281555
L ’anguilla IL PANORAMA GASTRONOMICO
di Mario Stramazzo
DAL MAR DEI SARGASSI ALLE TAVOLE NATALIZIE Un piatto antico che finiva sulle tavole dei ricchi quanto dei poveri la sera della vigilia quando i precetti cristiani consigliavano l’astensione dalle carni
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Sargassi dove nascono, e fin alle coste italiche da uando la luce del sole le colpisce dentro alle dove sono partiti i loro genitori e dove le neonate ricassette in viaggio dalle reti dei pescatori fin tornano, le anguille assumono quella tipica sapidità sul banco delle pescherie, quelle di mare si che le rende uniche nel panorama delle specie ittivestono di una livrea argentea che riesce a trasforche. Ancor più se allevate nelle valli da pesca di cui è mare con grande eleganza il cupo colore del loro ricco il nostro territorio andando verso il delta del Po manto in un tripudio di brillanti riflessi. Sono le anguilin quel delle provincie del rodigino e del ferrarese, le, le femmine arrivano anche al metro di lunghezza, quando s’incontrano per condividere il grande parco surclassando i maschi che non passano il mezzo medel Po. Un doppio parco che Veneto ed Emilia Romatro. Sono capaci, inoltre, di vivere anche nelle acque gna hanno creato per valorizzare, ognuna da par suo, dolci, assumendo però, in questo caso, una coloritura le bellezze e le ricchezze del grande fiume; lì dove più brunastra e meno elegante. Un giallo-bruno che e quando diventa un fitto intreccio non per questo le rende meno riGli esemplari femmine di tanti corsi d’acqua che si tuffano cercate e prelibate ai palati di gourdi grandi dimensioni nell’Adriatico. Uno scenografico remand o semplici buone forchette. Di mare o d’acqua dolce resta il vengono comunemente ticolo che include ampi spazi lacustri salmastri che i vallivi sfruttano fatto che è uno dei simboli gastrochiamati “capitoni” da secoli come valli per allevare dinomici delle Feste. Soprattutto verse specie ittiche. Comprese, per prime, le anguille quando, se esemplari femmine di grandi dimensioni, che amorevolmente accudite per sette otto o nove vedono cambiato il loro nome per diventare “capitoanni, vengono “pescate” dalle peschiere, poste a forni”. Leccornia per ricchi o popolani destinata a finire mare una sorta di grande imbuto alla fine dei tanti sulle tavole della vigilia quale protagonista indiscutilaghetti e canalicoli. Che costituiscono una sorta di bile di quei crapulosi cenoni che un tempo non spanursery dove le anguille vengono fatte crescere e sviventavano di certo i commensali. Pronti, questi ultimi, luppare. Fino ad assumere un peso ideale per essere ad affrontare maratone gastronomiche degne del “catturate” e spedite, soprattutto nei giorni vicini alle Trimalcione creato da Petronio Arbitro per il suo Safeste di Natale, sui banchi delle migliori pescherie di tyricon. Pagine mai più riscritte dove si raccontava di tutta Italia. Da lì, nelle case o nei ristoranti come quelcarni ma anche di pesci e l’anguilla, quasi al pari della lo della stellata Michelin Maria Grazia Soncin, autrice murena, aveva nomea di essere fra le prelibatezze della ricetta che grazie a “Con i Piedi Per Terra” podella tavola. Assai probabilmente d’acqua dolce del trete provare a realizzare anche voi seguendo pasvicino lago di Bolsena ma anche delle peschiere a so-passo le indicazioni della chef della Capanna di sfioro del mare che i ricchi patrizi facevano costruire davanti alle loro ville in Costiera Amalfitana. Avendo Eracleo, a Codigoro. già imparato che solo dopo aver nuotato dal mar dei
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A come Autenticità all’Enoteca San Daniele
Nel celebre locale di Torreglia la genuinità dei piatti e i ricercati prodotti a presidio Slow Food saranno protagonisti anche nel pranzo di Natale e nel cenone di Capodanno Autenticità. È questa la parola senz’altro più azzeccata per definire la celebrata Enoteca San Daniele di Torreglia. Azzeccata perché è proprio l’autenticità quel valore che Serafino Baù e la sua famiglia, che da decenni gestisce questo angolo della ristorazione euganea, perseguono sia come filosofia di vita sia come costante ricerca ai fornelli, per la proposta di piatti genuini accompagnati dalle appropriate etichette enologiche. Un’autenticità, dunque, che nel menù di tutti i giorni può essere letta come una cucina semplice, ma da intendere in realtà come ricercata, per essere quell’adesione all’ortodossia della tradizione alla tradizione e a quel corretto modo di interpretare i sapori senza edulcorarli. Niente spezie, niente sofisticherie, niente che non deponga a favore dell’alta digeribilità dei piatti e al gustarli anche secondo
cultura, perché a Serafino piace raccontare le sue scelte in cucina, le origini di una ricetta, la provenienza delle materie prime e del resto ha aderito all’”Alleanza cuochi e presidi Slow Food”, alle Tavole Tauriliane e alla Strada del vino perché è un fervido sostenitore della sua terra euganea ricordandola ogni volta che può, nei suoi piatti e nelle sue spiegazioni. Nascono così i pezzi forti della sua cucina come lo spezzatino di cinghiale in bianco, l’oca con i piselli o le premiate paste, rigorosamente tirate a mano con il mattarello e i dolci anch’essi figli della tradizione casereccia e della qualità delle materie prime. Lo stesso rigore nelle scelte è applicato in cantina, dove la precedenza ovviamente viene assegnata alle etichette euganee ma anche ai vini biologici e biodinamici che personalmente Serafino seleziona.
L’enoteca San Daniele sarà aperta anche a Natale e la Notte di Capodanno MENÙ DI NATALE
CENONE DI CAPODANNO
Benvenuto con aperitivo e “spunci” Antipasti: Frittata con porro e salsiccia d’oca (presidio Slow Food), Sopressa e radicchio in tempura Primi: Fetuccine fatte a mano con pomodorino del Piennolo (presidio Slow Food), Gnocchi di patate alla rapa rossa e pioggia di ricotta affumicata e broccoli romani Secondi: Cotechino della tradizione con purè di patate, Tagliata di manzo Dolci: Tenerina al cioccolato e frutti di bosco, Gelato al fior di latte
Servizio al bouffet con ampia selezione di antipasti e primi a base di prodotti a presidio Slow Food. A mezzanotte cotechino e lenticchie mentre nel cuore della notte verranno serviti i dolci della tradizione natalizia. Brindisi rigorosamente con Fior d’Arancio
L’Enoteca è aperta con orario continuato dalle 09,00 alle 24,00 tutti i giorni tranne il martedì, per colazioni, pranzi e cene. Una fascia oraria molto frequentata è quella dell’aperitivo grazie ad un’amplia scelta di affettati e stuzzicherie dolci o salati.
ENOTECA SAN DANIELE Via San Daniele, 57 - 35038 Torreglia (PD) - info@enotecasandaniele.net - Tel. 049 5212482 www.enotecasandaniele.net - Facebook: Trattoria Enoteca san Daniele da Serafino cucina a tutto gusto
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VONGOLE DI MARE, VERACI E FASOLARI
dal mare alla tavola
Una tradizione antica come il mare, tanta passione e rispetto per il prodotto pescato, queste sono le armi vincenti della cooperativa Sciabica di Chioggia, formata da una decina di soci, 4 imbarcazioni e attiva da più di due lustri nella pesca di fasolari e vongole di mare e l’allevamento di quelle veraci in laguna. Qualità è la parola d’ordine, in quanto la pesca avviene in acque di categoria A (acque aperte), e dunque non necessitano di depurazione, la cernita e il lavaggio vengono fatti rigorosamente a mano evitando stress ai bivalve, sempre a mano anche il confezionamento in sacchetti di 15 kg prima del conferimento al Centro di spedizione molluschi per la distribuzione.
I PRODOTTI DELLA COOPERATIVA SCIABICA,
LUCIO PERINI E ROBERTO PREDEN, PESCATORI OGGI “Essere pescatori oggi - spiegano Lucio Perini e Roberto Preden, figli di generazioni di pescatori - significa rispettare il mare e i suoi prodotti. Dopo anni in cui il prelievo è stato fatto smodatamente, oggi il nostro lavoro deve essere portato avanti con il rigore dell’etica. Da una parte sono le leggi stesse ad imporre il fermo pesca di almeno due mesi, ma dall’altro è la cultura che anima la nostra cooperativa a puntare sulla gestione della risorsa mare. La pesca, in buona sostanza, deve essere sostenibile, i cicli di accrescimento delle specie deve essere rispettato con la turnazione delle zone di pesca e anche con le quantità di prelievo. Oggi noi possiamo pescare un massimo di 3,5 quintali di fasolari al giorno, con un prelievo che può avvenire su 3-5 giorni la settimana, e 24 quintali di vongole di mare la settimana, tuttavia non ci avviciniamo mai a queste quantità, lavoriamo sulla richiesta, in modo che il pescato appena tolto dal mare sia già venduto, garantendo in questo modo il rispetto degli stock e la freschezza del prodotto”.
Seguici su Facebook: Cooperativa Sciabica coopsciabica@gmail.com Cell. 348 645 7142
PREPARATI DALLE ABILI MANI DEGLI STESSI PESCATORI, POSSONO ESSERE DEGUSTATI IN OCCASIONE DELLE TANTE INIZIATIVE RIVOLTE ALLA PROMOZIONE DEL MARE ADRIATICO
PANORAMA GASTRONOMICO di Emanuele Cenghiaro
MANDORLATO DI COLOGNA VENETA
secolare specialità natalizia
Un dolce che si distingue da tutti gli altri tipi di torrone realizzati in Italia per l’utilizzo di sole mandorle, per gli ingredienti scelti e per l’impasto finale più duro
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iele, zucchero, mandorle e albume d’uovo. Nient’altro. Sono quattro gli ingredienti per ottenere un perfetto mandorlato di Cologna Veneta. Un dolce natalizio che si distingue dai numerosi altri tipi di torrone realizzati in Italia per l’utilizzo di sole mandorle (e quindi non canditi, noci e nocciole, pistacchi e così via), per gli ingredienti scelti e per l’impasto finale più duro. E si contano sulle dita di una mano le aziende che oggi producono il mandorlato su larga scala, alle quali si aggiunge una sparuta
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schiera di pasticcerie artigianali locali. Ma dove nasce la tradizione del mandorlato? I torroni sono noti dall’antichità, come si evincerebbe dagli scritti latini del padovano Tito Livio. Varianti sono diffuse in tutta Italia e le narrazioni sulle origini dei diversi prodotti sono le più varie. E pare che gli arabi abbiano avuto un ruolo essenziale nel diffonderlo nel Mediterraneo. Per avere notizie certe in molti casi bisogna arrivare al Cinquecento: e proprio in questo secolo il mandorlato di Cologna Veneta inizia a la-
PANORAMA GASTRONOMICO I torroni sono noti dall’antichità e pare che gli arabi abbiano avuto un ruolo essenziale nel diffonderlo nel Mediterraneo sciare tracce inconfondibili della sua esistenza, come quelle raccolte da Leone Simonato nel suo volume “Il Mandorlato (ovvero “el Mandolàto”) di Cologna Veneta” (2014) e riferite agli illustri scrittori veneziani Lodovico Dolce e Alvise Zorzi e a un nobile vicentino della famiglia Monza, che già a quel tempo parlava di “casse” di mandorlato. La storia moderna di questo gustoso prodotto è più recente e rinvierebbe alla passione di un farmacista, Italo Marani, per le invenzioni. “Si racconta che avesse inventato una macchina per i bozzoli dei bachi da seta, una per sbattere le uova e una impastatrice”, rivela Adelino Garzotto, discendente del Marani e memoria storica della tradizione colognese che ha passato al figlio, Rocco Garzotto jr, titolare de “Gli speziali di Cologna Veneta”. Le moderne macchine scaldano e mescolano a circa 100 gradi l’impasto di albume zucchero e miele: “Con la stessa ricetta di una volta”, precisa. A cottura ultimata si aggiungono le mandorle e si fa raffreddare il tutto negli appositi stampi. Che non sono più solo barrette o torte rotonde o rettangolari, ma anche abeti, cuori e stelle comete, e vi sono anche presepi fatti di mandorlato. Ogni azienda ha i suoi segreti: quelli degli Speziali non si rivelano, ma veniamo a sapere che l’azienda utilizza solo miele di “sulla”, pianta mediterranea, perché è delicato e sembra fatto apposta
Nei giorni attorno all’8 dicembre Cologna Veneta organizza, da oltre trent’anni, la grande Festa del Mandorlato, occasione unica per conoscere questa prelibatezza e per assaggiare e confrontare i diversi prodotti colognesi
Le classiche confezioni in metallo
per il mandorlato, mentre le mandorle sono pugliesi di una qualità che ha la giusta percentuale di grassi. Il mercato detta però le sue leggi e le innovazioni, in questi anni, non sono mancate: come il mandorlato senza zucchero aggiunto, ovvero dolcificato solo con poco miele, che può permettere strappi alle regole anche a chi soffre di diabete o è in dieta perenne. Di moda sono anche i mandorlati ricoperti di cioccolato, oppure quelli morbidi; oggi vanno molto anche prodotti dove la quantità di mandorle raggiunge percentuali elevatissime, almeno il 70 per cento, e c’è meno miele. “Il nostro mandorlato “riserva” ne contiene il 75 per cento: è l’unico prodotto di cui ogni anno stiamo raddoppiando la produzione - continua Adelino - anche perché è più friabile e lo può assaggiare anche chi ha la dentiera! Avendo poco miele, sazia di meno: non si finirebbe più di mangiarlo”. Il mandorlato si può consumare tutto l’anno, ma è da sempre dolce tipico del periodo natalizio e per questo viene prodotto solo nel periodo autunnale. Nei giorni attorno all’8 dicembre Cologna Veneta organizza, da oltre trent’anni, la grande Festa del Mandorlato, occasione unica per conoscere questa prelibatezza e per assaggiare e confrontare i diversi prodotti colognesi. Si ringrazia per la collaborazione Marisa Saggiotto del Circolo di campagna Wigwam Corte Moranda di Cologna Veneta
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Corte Gemma,
spesa certificata e idee regalo per il Natale A Monsole di Cona l’azienda che produce seguendo i valori etici e rispettando la Natura Natale richiede i suoi riti, soprattutto a tavola in occasione di cene, pranzi e veglioni i sapori devono essere quelli giusti e il posto ideale in cui fare la spesa potrebbe essere il punto vendita di Corte Gemma, a Monsole di Cona. Soprattutto per quanto riguarda le carni. Qui, infatti, vengono proposti i migliori tagli dei bovini allevati, Limousine e Charolaise, con la logica del ciclo chiuso dove dal cereale usato per l’alimentazione, alla frollatura delle carni e alla vendita, tutto viene seguito in azienda. La filiera di produzione corta, infatti, è l’unica che garantisce assoluta qualità e certezza del prodotto, perché interamente tracciabile. Inoltre le carni sono marchiate QV, qualità verificata, un marchio regionale che garantisce l’eccellenza della materia prima perché sapere ciò che si mangia è il
concetto più prossimo a quella “sicurezza alimentare” indicata da molti come la nuova frontiera verso una vita sana. Ma Corte Gemma non è solo carne, nello spaccio vi aspettano anche le noci certificate Friend of the Earth. Oltre ai classici sacchi da 2kg, 3kg e 5kg, potrete trovare molte proposte natalizie: pacchettini con fiocco, sacchi in iuta, ceste e la meravigliosa casetta Corte Gemma! Scegliete la combinazione perfetta con le proposte di pasticceria secca a base di noci: zaeti, frollini, rosegota e torta di noci, o fatevi stupire dal nostro celebre nocino! Rendete speciali Prodotti certificati QV, le vostre feste con la qualità del Qualità Verificata, nostro territorio. e “Friend of Earth”
Il punto Vendita è aperto esclusivamente nei giorni di venerdì e sabato dal 1° ottobre al 31 dicembre con orario 8.30-12.30 e 15.00-19.00 Soc. Agr. Corte Gemma S.s. - Via Venezia, 42 - 30010 Monsole, Cona (VE) Tel. e Fax 0426 308239 - info@cortegemma.it - www.cortegemma.it
ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE del Prof. Adriano Mollica
La Frutta Secca non fa ingrassare
Contrariamente a quanto si ritiene: noci, noccioline, arachidi e pistacchi, datteri e fichi secchi non sono nemici della linea È stato dimostrato che chi mangia frutta secca, pur introitando più calorie di chi non ne mangia, presenta un peso corporeo significativamente inferiore, un basso indice di massa corporea e circonferenza vita più stretto, anche conducendo uno stile di vita sedentario
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l periodo natalizio rappresenta l’occasione per stare insieme agli amici e ai propri cari, consumando tutti quei prodotti tipici della tradizione culinaria italiana, che ci accompagnano durante le feste: dai frutti disidratati veri e propri come i fichi, le prugne, le albicocche ecc., alla frutta a guscio come noci, nocciole, mandorle, pistacchi, che propriamente sono dei semi e non dei frutti. Immancabilmente alla fine di ogni cenone che si rispetti vengono presentati cestini pieni di noci, nocciole, noccioline, semi vari essiccati e tostati, e altrettanto immancabilmente echeggia la voce della mamma o dello zio che dice: “non mangiarne
L’assunzione regolare di noci varie, come parte di una dieta sana, può avere un’importante effetto di abbassamento della glicemia, promuovere un profilo metabolico più salutare e invertire alcune condizioni metaboliche di prediabete 44
troppi, che ti fanno ingrassare!”, per fortuna la realtà è ben diversa. La frutta secca tradizionale, con nessuno zucchero aggiunto, come prugne, datteri, fichi, uvetta hanno un profilo nutrizionale simile alla frutta fresca e di conseguenza è una buona fonte di fibre, vitamine e potassio, non sono rari i nutrizionisti che, infatti, ne consigliano l’assumerne come mezzo per introdurre più frutta nella dieta. Inoltre è dimostrato che chi consuma abitualmente frutta secca assume un quantitativo significativamente minore di grassi animali, alcool e zuccheri semplici probabilmente perché sono un ottimo sostituto agli snack industriali. Sebbene i consumatori di frutta secca, assumano mediamente più calorie dei non consumatori, questi presentano un peso corporeo significativamente inferiore, un basso indice di massa corporea e circonferenza vita inferiore, anche conducendo uno stile di vita sedentario. Inoltre, i consumatori di frutta secca assumono più fibre, vitamine ACE, tiamina, riboflavina, niacina e folato, calcio, Fosforo, magnesio, ferro, zinco, rame, e potassio molto più alto e un quantitativo di sodio
ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE significativamente minore. Un numero limitato di studi clinici sull’ uvetta suggerisce che il consumo regolare di piccole quantità può diminuire la risposta post prandiale dell’insulina, modulare l’assorbimento zuccherino e avere effetti benefici sulla pressione sanguigna. Una grande quantità di evidenze suggerisce, inoltre, che l’assunzione regolare di noci varie, come parte di una dieta sana, può avere un importante effetto di abbassamento della glicemia, promuovere un profilo metabolico più salutare e invertire alcune condizioni metaboliche di prediabete. Sono ancora scarsi invece gli studi che hanno permesso di valutare l’impatto nutrizionale e salutare del consumo di noci varie e frutta secca combinati assieme, tuttavia i dati suggeriscono che la combinazione dei due tipi di prodotti possono svolgere un ruolo nella riduzione del rischio di sviluppare malattie cardio-metaboliche e prevenire l’insorgenza del diabete. Ma per tornare alle nostre noci è interessante sapere che sono state proposte come componenti di una dieta ottimale per la prevenzione di malattie cardiovascolari da esperti nel settore, l’agenzia del farmaco Americana (Food and Drug Administration) ha dichiarato ufficialmente che le noci (in generale) sono salutari, poiché c’è un effettivo legame tra il loro consumo e il ridotto rischio di malattie cardiovascolari e la presenza di colesterolo cattivo (LDL) nel sangue. Il meccanismo di questi effetti salutari è da ricercarsi nell’azione sinergica di molti componenti attivi presenti nella frutta secca, che influenzano favorevolmente la salute umana, infatti le noci contengono un alto quantitativo di grassi e proteine vegetali, principalmente acidi grassi insaturi. Sono ricche di altri nutrienti e forniscono fibre alimentari, vitamine, fitosteroli e polifenoli. Contrariante alle aspettative, a
Un pieno di fibre, vitamine ACE, tiamina, riboflavina, niacina e folato, calcio, Fosforo, magnesio, ferro, zinco, rame, e potassio
REAZIONI ALLERGICHE E POSSIBILI CONTROINDICAZIONI La frutta a guscio, è una ben conosciuta causa di allergie alimentari. (1-4% della popolazione). Le reazioni allergiche alle noci sono dovute alle proteine contenute nei semi, che stimolano la produzione di specifici anticorpi e immunoglobuline. Si verificano principalmente nei bambini e possono essere molto pericolose. Un piccolo numero di bambini allergici alle noccioline possono sviluppare tolleranza durante la crescita, ma di norma un soggetto resta allergico per tutta la vita. Una volta che l’allergia alle noci è stata evidenziata la prevenzione di questi episodi, includono l’educazione familiare e del paziente al fine di evitare tutti i tipi di noci, stando attenti ai prodotti lavorati che contengono residui, a volte anche occulti. I parenti e i familiari devono essere istruiti su come riconoscere eventuali reazioni allergiche ed intervenire prontamente. Il consumo esagerato, anche in individui non allergici, può portare ad effetti collaterali, in particolare, le noci brasiliane, se consumate in modeste quantità sono una eccellente fonte di Selenio, un elemento essenziale per il nostro organismo, ma un consumo eccessivo (in questo caso bastano 4 noci al giorno per un periodo limitato di tempo) potrebbe portare ad una condizione patologica nota come seleniosi ed a tossicità, per fortuna il consumo di queste noci in Italia è poco diffuso.
Le reazioni allergiche alle noci sono dovute a certe proteine, che stimolano la produzione di specifici anticorpi e immunoglobuline 45
ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE
La frutta secca oltre ad essere consumata a fine pasto durante veglie e pranzi di Natale, rientra come ingrediente speciale di molti dolci caratteristici di questa stagione
causa della loro elevato contenuto energetico, studi epidemiologici e trial clinici suggeriscono che il regolare consumo non contribuisce all’ obesità, all’aumento di peso o all’ insorgere del diabete, anzi il contrario. Il trattamento termico come la bollitura distrugge la maggior parte dei polifenoli, ma è interessante no-
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tare che ad esempio la tostatura delle mandorle conserva in maniera maggiore le proprietà antiossidanti. La frutta secca a guscio, anche se è definita spesso come “grassa” od “oleosa“ è priva di colesterolo, ma al suo posto contiene alte quantità di steroli derivati da un gruppo eterogeneo di composti noti come steroli vegetali o fitosteroli. Questi sono componenti non nutritivi presenti in tutte le piante, e giocano un importante ruolo strutturale nelle membrane cellulari vegetali, dove servono a stabilizzare il doppio strato fosfolipidico proprio come fa il colesterolo nelle membrane delle cellule animali. I fitosteroli quindi possono interferire con l’assorbimento del colesterolo e aiutare a diminuire la quantità di colesterolo assorbito, e quindi i suoi livelli plasmatici. In conclusione, i macronutrienti, micronutrienti, e i non-nutrienti (fibre alimentari) presenti nelle noci, sono stati tutti riconosciuti come protettivi verso le malattie cardiovascolari e disturbi metabolici relativi. Per queste ragioni, le noci, non lavorate, fresche, non cotte, o lavorate in altro modo, possono essere considerate come medicine naturali, là dove il consumo del frutto intero è meglio del consumo dei suoi derivati industriali.
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Frantoio DI
CORNOLEDA CON L’EXTRAVERGINE NOVELLO TANTE NOVITÀ A CINTO EUGANEO TANTI PRODOTTI DI QUALITÀ PER “CONDIRE” CON ORIGINALITÀ LE FESTE NATALIZIE
“Per noi la terra è un qualcosa di vivo, che ci parla attraverso il frutto dell’albero che amiamo di più. La nostra missione è di offrirvi un prodotto sempre più buono e controllato dai più alti standard qualitativi internazionali”
Si sono appena conclusi i lavori in via Cornoleda a Cinto Euganeo, la stagione olearia ha dato buoni frutti sapientemente trasformati nel prezioso oro verde dalle abili mani di Devis e Jaci Zanaica, che conducono qui la loro attività di frantoiani dal 2008. I profumi sono intensi, le olive, grazie all’estate calda e all’autunno soleggiato, sono arrivate alla frangitura belle, sane conferendo all’olio novello note alte per quanto riguarda i profumi e un grande equilibrio tra le componenti amare e piccanti. Ma oltre
al nuovo olio, da quello prodotto da cultivar monovarietali, ai blend fino ai blend aromatizzati, sono tante le novità al Frantoio di Cornoleda, al punto vendita aziendale si possono trovare tanti prodotti: dalle sfiziosità ai prodotti della cosmesi, ovviamente tutti a base di extravergine di oliva che possono essere ottime idee regalo per le imminenti festività natalizie.
FINO A FINE DICEMBRE
SIAMO APERTI PER VOI TUTTI I GIORNI, VENITE A TROVARCI! OLTRE AI NOSTRI PRODOTTI CONOSCERETE IL MESTIERE ANTICO DEL FRANTOIANO…
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GUIDA GAMBERO ROSSO Gli Oli d’Italia, guida ai migliori extravergini
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La Guida Tedesca all’Olio di Oliva Italiano
Guida degli oli d’Italia Fausto Borella
FRANTOIO DI CORNOLEDA S.A.S. di Zanaica Devis & C. • via Cornoleda, 15/B • 35030 Cinto Euganeo (PD) Tel. 0429 647123 • Mob 380 7177284 • www.frantoiodicornoleda.com • info@frantoiodicornoleda.com
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Barchessa
Contarini LA GRANDE BELLEZZA PER SOTTOLINEARE I MOMENTI FELICI
La suggestione data dalla bellezza e dai secoli di storia di una Villa Veneta, la pace di un angolo di campagna solcata dall’incedere sinuoso del grande fiume Bacchiglione, la professionalità di persone specializzate nel dare il giusto risalto ad ogni cerimonia: questo è Barchessa Contarini, semplicemente il posto perfetto per vivere le grandi occasioni
Quando l’aristocrazia veneziana sceglieva un posto per
CAMERE E OSPITALITÀ
edificare la propria villa lo faceva con grande scrupolo,
Per l’ospitalità di una tranquilla dimora antica, per la se-
poiché questa oltre ad essere il luogo deputato alla ge-
renità che offre il paesaggio circostante, per la facilità di
stione della campagna doveva essere un emblema del
collegamento con le maggiori città d’arte venete, come
potere della famiglia e una vera “delizia” per il soggiorno
Venezia e Padova. Per gustare i vini tipici delle colline
in campagna. Per questo a fianco di rustiche barchesse
dell’entroterra Euganeo, per rilassarsi nel salutare ed io-
e spaziose aie convivevano sontuosi giardini impreziositi
dato mare della vicina Sottomarina, per le ecologiche
da roseti e peschiere, vialetti e scherzi d’acqua. E il pro-
passeggiate in bicicletta lungo gli argini e le rive del fiume
curatore della Repubblica Francesco Contarini alla fine
Bacchiglione
del Cinquecento scelse un angolo di verde campagna solcata dal Bacchiglione per la gestione dei suoi affari e per la sua dimora. La volle molto bella e così è rimasta sia nella sua preziosa estetica di Villa Veneta che nella sua funzione di luogo di soggiorno e rappresentanza per cerimonie, meeting di lavoro o l’accoglienza di quanti per i propri momenti importanti volesse approfittare del lascito di quel dorato passato. A fianco dei saloni nobiliari affacciati su grandi portali in pietra d’Istria convivono le antiche cucine, dove ancora troneggia maestoso il focolare, la cantina, mentre la barchessa in estetica si accompagna alle linee classiche della villa e tutt’intorno, all’aperto, si espandono i profumi e i colori delle mille essenze del bel giardino all’italiana. L’ospitalità si completa con un servizio di catering impeccabile nella proposta dei piatti come nel servizio e nelle cura dei particolari, perché un momento speciale è davvero speciale se è perfetto. Barchessa Contarini - via San Valentino, 1565/B - 35129 Pontelongo (PD) 049 977 6599 - direzione@barchessacontarini.it - www.barchessacontarini.it
La magia
INGIROPIEDANDO di Martina Toso
della nostra terra d ’autunno Abbiamo seguito tre appuntamenti dedicati alla stagione, per mostrare quanto è ricco di proposte e prodotti il nostro territorio
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osso, giallo, arancione, un tocco di verde e marrone: il quadro s’intitola autunno. La stagione in cui le foglie cadono e il paesaggio si trasforma, preparandosi ad accogliere il freddo inverno. E la nebbia che tutto avvolge, ovattando i rumori e confondendo i contorni, sembra il presagio della stagione fredda che incalza. Da sempre l’autunno significa rinnovamento anche e soprattutto nelle campagne poiché, in quanto custode della fine dell’anno agrario e dell’inizio del nuovo, vedeva rinnovarsi o interrompersi i contratti di lavoro proprio nel giorno di San Martino, 11 novembre, e per i contadini che potevano restare era una festa tra vino novello e castagne. Ma per i lavoratori che dovevano traslocare verso nuo-
Il Pianzio di Selmin Soc. Agr. di Galzignano Terme, 13 novembre 2016 nell’ambito dell’iniziativa Cantine aperte a San Martino a cura del Movimento Turismo del Vino
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ve terre era tutt’altro che festa. Il rito si è tramandato di generazione in generazione rendendo il “fare San Martin” un vero simbolo della stagione. Puntuale come ogni anno era ed è il vino che, proprio in questo periodo e con impazienza, ci inebria del suo aroma come a ricordarci che è giunta l’ora di assaggiarlo, che si tratti dei rossi lasciati riposare o dei nuovi bianchi frutto della vendemmia da poco conclusa. E per onorare la tradizione di San Martin il Pianzio di Selmin Società Agricola di Galzignano Terme ha aperto le porte delle sue cantine il 13 novembre per presentare i vini rossi finalmente pronti, dopo il riposo nelle botti, e i bianchi del 2016. Una giornata che ha segnato l’esordio della nuova etichetta Ca’ Nova, un bianco
Per onorare la tradizione di San Martin Il Pianzio la cantina della famiglia Selmin, ha aperto le porte il 13 novembre per presentare i vini rossi finalmente pronti, dopo il riposo nelle botti, e i bianchi del 2016. Una giornata che ha segnato l’esordio della nuova etichetta Ca’ Nova, un bianco fermo dai sentori di camomilla e mela che insieme al Serprino DOC e al Pianzio aromatico, un Moscato IGT Veneto, vanno a completare la selezione di bianchi dell’azienda per il 2016
INGIROPIEDANDO Notte Bianca&Rossa 2016 a Torreglia, 28 ottobre 2016. Degustazione itinerante di piatti tipici e vini Doc e DOCG dei Colli Euganei, Selezione Consorzio 2016, nei locali delle Tavole Tauriliane A Torreglia venerdì 28 ottobre è andata in scena La Notte Bianca e Rossa. I prodotti della tradizione e i vini DOC e DOCG dei Colli Euganei sono stati i protagonisti indiscussi della Notte Bianca&Rossa: un percorso itinerante tra i locali delle Tavole Tauriliane da fare con gli “spunci” in una mano e nell’altra il calice con il vino. Foto di Giacomo De Checchi
fermo dai sentori di camomilla e mela che insieme al Serprino DOC e al Pianzio aromatico, un Moscato IGT Veneto, vanno a completare la selezione di bianchi dell’azienda per il 2016. E dalle distese di vitigni sulle pendici di Galzignano Terme ci spostiamo a Torreglia dove venerdì 28 ottobre i prodotti della tradizione e i vini DOC e DOCG dei Colli Euganei sono stati i protagonisti indiscussi della Notte Bianca&Rossa: un percorso itinerante tra i locali delle Tavole Tauriliane da fare con gli “spunci” in una mano e nell’altra il calice con il vino. Scendendo dai Colli Euganei a valle, verso Pontecasale di Candiana, il territorio si trasforma e le colline lasciano spazio alla campagna dalla storia mil-
lenaria che porta in sé il segno, e il nome, dei monaci Benedettini. Qui tra il 29 e il 30 ottobre è andato in scena il primo Festival delle Terre Benedettine, una manifestazione pensata per far conoscere il territorio, le sue bellezze e le sue ricchezze, i prodotti e le potenzialità. L’autunno nella nostra Bassa Padovana porta con sé un vero e proprio mondo nuovo, è il momento delle novità in fatto di vini e olio, del ritorno annuale delle castagne, dei rituali che sanno di passato, di vissuto e di ricordo. Quella che si compie in autunno è una vera e propria magia.
Il Festival delle Terre Benedettine si è tenuto a Pontecasale di Due giorni di Cultura, degustazioni enologiche e gastronomiche con oltre trenta aziende coinvolte e diverse associazioni Candiana l’ultimo week end di ottobre del territorio
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Podere Villa Alessi, il posto giusto dove cercare la tradizione euganea Agriturismo, alloggio, vinoteca, vendita prodotti a Km zero e fattoria didattica L’agriturismo Podere Villa Alessi è il cuore pulsante dell’azienda che Ivano Giacomin conduce insieme alla moglie Paola Zanovello, le figlie Elisa e Alice, e a tutto lo staff, ma è anche il centro di quell’ospitalità che qui viene intesa come offerta sia di materie prime genuine, provenienti dai terreni e dai boschi, che di cultura. Perché agriturismo, significa questo: trasmettere insieme ai prodotti rigorosamente coltivati in azienda la “cultura” che è stata necessaria per portarli a maturazione e tenerli coerentemente insieme al centro di un piatto secondo ricette che, in questo caso, provengono da quell’esperienza che abitualmente definiamo tradizione. Ma c’è di più perché l’offerta si completa nell’alloggio con la disponibilità di quattro camere elegantemente arredate e l’accoglienza diventa oltremodo cortesia nella fattoria didattica, dove l’aula magna è una “bottaia”, riempita come un museo di ogni storia e peculiarità del territorio proprio come del resto lo è il punto vendita: espressione dell’abbondanza degli Euganei sotto forma di vini, confetture, miele e olio extravergine di oliva. La carta dei vini è fornitissima e ovviamente declinata alle etichette autoctone, tra le quali spiccano, come massima espressione del bere locale, il Pinello, il Serprino, e il Fior d’Arancio vinificato nelle versioni spumante e passito mentre la versione secca, il Vigna-Jolo, è reduce dal primo premio del Candiana Vinum e il taverniere la propone in abbinata al gran bollito. Non meno importante è la produzione di olio extra vergine di oliva. Due sono le proposte di Podere Villa Alessi: un blend dato da una miscela di olive diverse, e il rasara, olio monovarietale ottenuto dalla più antica varietà autoctona presente sui Colli Euganei. Grande novità di quest’anno è l’Ulaios, liquore ottenuto dalle succose olive dell’Azienda.
Buon Natale Per le Feste, l’agriturismo propone il suo menù della tradizione
Antipasti ANTIPASTI DELLA TRADIZIONE
Primi MINESTRA MARIDÀ CRESPELLE AL RADICCHIO E MORETTE
Secondi GRAN BOLLITO COTECHINO IN CAMICIA
Contorni VERDURE COTTE E CRUDE DI STAGIONE
Dessert FANTASIA DI DOLCI NATALIZI
Confezioniamo ceste natalizie con prodotti a km zero, e proponiamo idee regalo per tutte le tasche!
AGRITURISMO PODERE VILLA ALESSI - Via San Pietro, 6 - Faedo di Cinto Euganeo - PD Tel. 0429 634101 - Fax 0429 634009 - www.villalessi.it - info@villalessi.it
DIVINO PARLAR di Silvano Bizzaro - Sommelier s.bizzaro@alice.it
IL MIGLIOR EPILOGO DI UN PRANZO O UN CENONE? UNA GRAPPA O ALTRO DISTILLATO Per le imminenti Feste: la nota giusta per concludere un banchetto ma anche una bella idea da mettere sotto l’albero
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iovane, aromatica, affinata, invecchiata, stravecchia: se pensate sia solo un distillato utile a combattere il freddo o uno shot al bancone da mandar giù, be’ vi sbagliate. La grappa è molto altro: assunta in quantità moderate e abbinata ad una buona tazzina di caffè a fine pasto è un ottimo digestivo e del resto tra le vecchie usanze della nostra terra è ancora oggi considerata una componente essenziale della medicina naturale come analgesico dentale e coadiuvante dell’artrosi. Ma come si degusta una grappa? Intanto è importante la temperatura: la grappa giovane si beve a 10°C, mentre i distillati più invecchiati danno il meglio a 16-18°C; anche il bicchiere ha la sua importanza per esaltarne il gusto e anche qui le differenze si riscontrano tra distillati giovani e distillati più maturi, nel primo caso è consigliabile usare un bicchierino “tulipe”, nel secondo sono più adatti i bicchieri da cognac. Altra nota importante da tenere a mente sono le quantità e tempi di assaggio, il bicchiere va riempito per un quarto e la degustazione va iniziata dopo circa 10-15 minuti che la grappa è stata versata. Si parte dal profumo, con una breve inspirazione se ne possono apprezzare i valori volatili, è comunque da evitare un’esposizione troppo prolungata del naso sopra il bicchiere, poiché i vapori alcolici affaticano l’olfatto. Per questo il mio consiglio e quello di annusare ripetutamente per brevi intervalli. Anche in bocca è meglio procedere con piccoli sorsi, facendo entrare il liquido in contatto con tutti i ricettori della nostra bocca (punta della lingua, parte finale della stessa) in questo modo se ne percepiranno le ca-
La grappa può anche essere gustata in vari cocktail: “Grappa Sour”, “Grappa Highball”, come long drink o aperitivo in combinazione con il prosecco ratteristiche di morbidezza, nel caso di una grappa morbida, o di secchezza nel caso contrario, le varie essenze nel caso la grappa in assaggio sia aromatizzata al ginepro, al pino mugo, alla genzianella, etc, etc. Nella maggior parte dei casi le aromatizzazioni sono con erbe della montagna, e non potrebbe essere diversamente visto che si tratta di un prodotto tipico del nord, ma anche in provincia di Padova ci sono ottime aziende che producono distillati di grande qualità. È il caso della Bonollo o della storica Luxardo, nel primo caso è proprio la grappa il cavallo di battaglia, la Grappa OF di Amarone Barrique, a mio avviso, è forse la punta di diamante della collezione prodotta qui, per Luxardo, invece, entriamo nel campo della liquoristica. L’azienda di Torreglia, infatti, è famosa nel mondo grazie al suo Maraschino, uno pochissimi liquori dolci al mondo ottenuti per distillazione, ma tra gli alcolici da fine pasto o da accompagnare al caffè segnalo, proprio perché ci stiamo avvicinando alle festività natalizie e spesso pranzi, veglie e cenoni si concludono bene solo con un’alta nota alcolica di fine pasto, la Sambuca dei Cesari di Luxardo. Si tratta di un liquore dolce e forte la cui base è costituita dagli olii essenziali ricavati dalla distillazione a vapore dei semi dell’anice stellato, solubili nell’alcool allo stato puro. Il tutto addizionato da una soluzione concentrata di zucchero e altri aromi naturali. Per chi non apprezzasse i sapori puri di liquori e distillati, ricordi comunque che si tratta pure di belle idee regalo, a qualcuno potrebbe far piacere trovare una bottiglia o una confezione sotto l’albero insieme ad un bigliettino di auguri.
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IL GIUSTO ACCORDO ENOLOGICO PER PRANZI E CENE DELLE FESTE Negli impianti di via Marconi aVo’ Euganeo sono già in vendita le bottiglie di Fior d’Arancio, Prosecco, Serprino, Chardonnay e Pinot. Non mancano le etichette importanti per pranzi e cenoni e tante idee regalo da mettere sotto l’albero
La vendemmia è alle spalle, ora è il tempo del lavoro in cantina per i rossi e per i gran riserva importanti, mentre per alcuni bianchi è già il tempo di far saltare i primi tappi. E quale occasione è migliore delle imminenti Feste per accompagnare alla sontuosità di pranzi e cenoni il giusto compendio enologico? Bolliti, arrosti e brasati trovano il giusto passo con i vini della tradizione come il Merlot Doc, il Cabernet Doc o il Rosso Colli Euganei Doc, che rappresenta il compendio di entrambi secondo i dettami del taglio bordolese ma con l’aggiunta di Raboso Veronese. E dalle tavole delle grandi occasioni non dovrebbe mancare mai la bottiglia del Notte di Galileo, l’etichetta ammiraglia della Cantina Colli Euganei, ottenuta con uve Merlot e Cabernet Sauvignon in egual misura sottoposte a leggero appassimento. Per i Pinot, lo Chardonnay, che qui si chiama Palazzo del Principe, il Serprino, il Pinello e il Prosecco è già disponibile la vendemmia 2016 per accompagnare piatti a base di carni bianche o i formaggi, mentre per i dolci e i brindisi augurali la scelta è obbligata, la bottiglia giusta è quella del Fior d’Arancio spumante o passito, a seconda delle preferenze, ma non fatevi sfuggire la versione secca, ossia aromatica che trova l’accordo ideale anche con stuzzichini e aperitivi lontani dai pasti.
Nel Punto vendita della Cantina oltre all’intera gamma dei vini prodotti, possono essere acquistati prodotti del territorio e in occasione delle imminenti Feste Natalizie vengono realizzate ceste e idee regolo esclusive cantina colli euganei s.c.a. via marconi, 314 - vo’ euganeo (pd)
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FIOR D’ARANCIO PASSITO DOCG Vino immagine di Colli Euganei, da qualche anno viene prodotto anche nella versione passito. Ottenuto da uve 100% Moscato giallo, vendemmiate a settembre nei vigneti dell’areale euganeo e fatte appassire in cassetta per circa 4 mesi. Dalla pressatura soffice e dalla fermentazione in botti di rovere esce un “nettare” dal colore giallo oro e riflessi ambrati, dal profumo intenso e dal sapore che ricorda il dolce del chicco d’uva.
Novità 2016
FIOR D’ARANCIO SECCO E SPUMANTE Il fior d’Arancio e il vino “immagine” dei Colli Euganei. Brillante, inconfondibile per via delle suo spiccato aroma di fiori bianchi, di erbe aromatiche e di albicocca, spicca e stacca ogni altro vino moscato. Nella versione spumante e secca, invece, l’abbinamento risulta perfetto con antipasti dal gusto dolce, risotti o pasticceria a base di frutta e ovviamente per ogni brindisi.
NOTTE DI GALILEO Sotto l’etichetta con lo “Zodiaco” si cela un vino prodotto con uve provenienti da aziende selezionate nella zona DOC Colli Euganei aderenti al Progetto Qualità. Si tratta di un “taglio bordolese” 60% Merlot e 40% Cabernet Sauvignon affinato per 15-18 mesi in barriques di rovere pregiato. Ne esce un rosso porpora con riflessi tendenti al granato, dal profumo ampio ed intenso con note speziate e di vaniglia. In evidenza i sentori di frutta rossa matura mentre il gusto è intenso e persistente, ma morbido ed avvolgente al palato con un’ottima persistenza retro-gustativa che ben si abbina a carni rosse, formaggi stagionati oppure anche dopo pasto, come vino “da meditazione”.
Il Panettone Colli Euganei con glassa al Fior d’Arancio Passito. Un prodotto realizzato esclusivamente per la Cantina Colli Euganei
La Cantina
La Cantina Colli Euganei è una società cooperativa agricola fondata nel 1949, nata per volontà di un gruppo di viticoltori che si sono associati per poter raccogliere, vinificare e commercializzare il vino della zona Dop e Igp dei Colli Euganei. Oggi raggruppa circa 680 produttori, disseminati all’interno del territorio protetto dal Parco dei Colli. Per gli associati la cantina è un punto di riferimento quotidiano: consulenza enologica, assistenza tecnico-formativa per i viticoltori, grande attenzione alle scelte di qualità, in vigna come in cantina. È un’azienda certificata, che impiega tecnologie all’avanguardia in tutte le fasi della lavorazione. Aggiornamento costante, cultura tecnica e competenza caratterizzano lo staff che si impegna per dare la certezza di una filiera totalmente controllata, dal grappolo alla bottiglia. Con 7 milioni di chili d’uva raccolta, 5 milioni di litri di vino prodotto e 2 milioni di bottiglie distribuite la Cantina Colli Euganei è il maggiore produttore dell’area. Oltre ai punti vendita di Vo’, Limena e Selvazzano e Galzignano terme è possibile acquistare i prodotto della Cantina Colli Euganei anche on-line. Basta una mail all’indirizzo info@virice.it per entrare in contatto con un operatore e poter accedere al acquisti e ricevere entro 48 ore il vino desiderato direttamente a casa.
tel. 049 9940011 - fax 049 9940497 - www.cantinacollieuganei.it - info@virice.it
Aspettando LA MEMORIA DI CARTA
di Roberto Soliman
Natale
TRA “FOLE”, “STORIE” E “STRACAGANÀSSE” Prima che l’uomo si impadronisse della notte, aspettando la corrente elettrica e la televisione, bastava una persona capace di “contar storie” per tener sveglia una contrada, ma con una morale però. Ora l’elettricità e la televisione ci tengono svegli, ma con la morale del “Grande Fratello VIP”!
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astava un “se catémo stassèra” per creare un dalla messa, e si accomodavano su balle di paglia o evento, senza SMS, Mail, formalità o il sentirsi su vecchie sedie sistemate in circolo, in attesa che la obbligati a ricambiare. “Stracaganàsse”, noci, Rosa “Bagolìna”, “el famejo”, alla luce di una lampada patate americane e “vin torbolìn” non mancavano a petrolio, iniziasse i suoi racconti. nelle lunghe sere del tardo autunno del passato che “El famejo” (il famiglio), non ha il femminile, ma in faportava al Natale nei ritrovi delle “contrà”: una calda miglia con noi viveva la Rosa, rimasta sola nella sua stalla o il tiepido e attiguo “càmaroto”, meno osserpovera casetta dietro la nostra dopo che le sorelle si vato dagli occhi curiosi dei bovini, e meno puzzolenerano sposate e che mio nonno, mosso a pietà, ha te. La stalla, giusto per non dimenticare, era anche la preso con noi. Aveva un forte handicap alla schiena stanza per il bagno settimanale nel mastello, durante fin dalla nascita e per questo non era andata a scuola, il freddo inverno. rimanendo analfabeta, però di riflesso aveva svilupI bambini a letto subito dopo cena, alle sette, coperpato la memoria e il saper “far di conti”. Amava il gioti da un esagerato e spesso trapuntino, o co del Lotto, ricordando a memoria i numeri dalle “sciàvine”, un tappettone fatto con in ritardo nella ruota di Venezia, ed estraeva stracci ripettinati e tessuti grossolanameni numeri della tombola giocata alla domenite, e ci si ritrovava a “filò”, tra il burro che si ca sera d’inverno, tra aneddoti, storielle del formava nella bottiglia sbattuta dalla nonna, passato, ricorrenze e sogni mancati. allo “sferruzzare” della zia che preparava Nei “filò”, la Rosa, raccontava storie e leggongolante la “dota”, sapendo che l’anno gende con una morale ripetuta nel tempo, dopo si sarebbe sposata andando a vivere diventate cultura popolare, come quella in città, tra le comodità viste nei giornali di del “CANTÒN DEL GALO” o del DIAVOLO, moda, come Gioia o Mani di Fata. storia indirizzata soprattutto alle fanciulle, A casa dove sono nato, i vicini arrivavano dove si narrava che: “... un tempo, nella Diavolo Codex Gigas a questo incontro sempre con novità, suscasa dei Carpiati alla Marabia, si ballava sec. XIII Stoccolma surrate però dato che riguardavano compa- Biblioteca Nazionale molto spesso al suono della fisarmonica. esani, novità sentite al mercato o all’uscita di Svezia, Stoccolma Una bella ragazza, a cui piaceva molto la
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LA MEMORIA DI CARTA danza e che nessuno invitava a ballare, in una di queste serate confidò alle amiche: “A gò tanta voja de balàre ca balària anca col diàvolo sel vegnèsse!” Un istante dopo bussarono alla porta. Entrò un signore molto distinto, elegantemente avvolto in un mantello nero, che nessuno Il cavaliere, la morte e il diavolo, incisione di Albrecht aveva invitato. Per Dürer datata 1513, conservata tutta la sera ballò con nella Staatliche Kunnsthalle di la ragazza. A un certo Karlsruhe punto qualcuno degli invitati si accorse che lo sconosciuto aveva al posto dei piedi zampe da gallo. Tutti i presenti si spaventarono, ritenendo che quello potesse essere il diavolo invocato dalla ragazza. Infatti si riteneva che il diavolo potesse assumere le sembianze dell’uomo, ma il segno dell’imperfetta trasformazione erano le zampe da gallo, dotate di rostri come un rapace! Alcuni, allora, corsero in gran fretta a cercare un prete, per scacciare il maligno. Il primo arrivato provò con benedizioni e preghiere in latino, ma il diavolo beffardamente non se ne andò. Il secondo prete intervenne inutilmente, quindi un terzo, un quarto, un quinto e un sesto si prodigarono invano. Giunse finalmente un prete piccolo e gobbo, che sapeva togliere il malocchio e ritrovare le cose smarrite. Pregò e asperse d’acqua benedetta il diavolo, che finalmente scomparve con una fragorosa “scoresa”. Così le ragazze non andarono più a ballare in quella casa, ma il luogo dove si svolsero questi fatti venne da allora chiamato “Cantòn del Galo” o “Cantòn del Diavòlo”!”. E la Rosa continuava con racconti dove la notte era protagonista negativa, buona solo per i ladri e gli sbandati, dove anche i coraggiosi cavalieri medioevali, vincitori di tornei e giostre, potevano soccombere, come il protagonista della LEGGENDA DEL CAVALMORTO: “... una volta, uno dei sei fratelli Scodosia, ferito in una battaglia, ritornava al suo castello in sella al suo fido destriero, per la stradina chiamata poi del “Cavalmorto”. Nell’oscurità vide una pietra con delle misteriose inscrizioni; scese dal cavallo per decifrarle, ma appena sfiorò la pietra, si scatenò una tempesta da tregenda, con grandine, lampi e tuoni. Ferito e stremato chiese invano aiuto, ma nessuno, in quella notte d’inferno, ebbe l’ardire di uscire di casa
in suo soccorso. Il mattino seguente, alcuni contadini recandosi al lavoro incapparono nel cavallo stecchito e bardato da battaglia, ma del giovane Scodosia nessuno seppe mai la sorte che rimase avvolta in un cupo e suggestivo mistero. Sta di fatto che chi passava di notte in quella stradina, coperta da siepi ombrose, raccontava di aver visto il fantasma del cavallo scomparire con un galoppo silenzioso e di aver udito il cavaliere morente chiedere aiuto!” Le storie raccontate nei “filò” dalla Rosa o da altri “animatori” in quelle rustiche serate raccomandavano in modo sottinteso una vita guidata dalle Virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), prudenza che non ha dimostrato la ragazza della seguente storia: “... al Perarolo di Merlara, tanti anni fa, la gente di quella contrada si riuniva d’inverno nella stalla del Tezzòn. Una sera il discorso della compagnia cadde sul coraggio e subito gli uomini incominciarono a dire che le donne, senza eccezione alcuna, erano paurose. Una ragazza, pur intenta al suo paziente lavoro, ascoltò attentamente e reagì dicendo che solo le “donnette” erano senza coraggio. Pronta la reazione di giovani e vecchi che incominciarono a stuzzicarla e a sfidarla. Allora la ragazza si levò in piedi, pronta a sostenere la prova del coraggio: piantare una verga di ferro, di notte, in aperta campagna, in un posto indicato dagli uomini. Era quasi mezzanotte quando la ragazza uscì dalla stalla, tutta sola. Il buio e la nebbia tutto intorno la inghiottirono, così camminò più forte, anche per non sentire le grida e gli sberleffi degli sfidanti, che attesero invano il suo ritorno, fino all’alba. Qualcuno decise di cercarla e la trovarono in mezzo a un acquitrino, morta, con la bocca aperta e gli occhi sbarrati dal terrore. Le lunghe gonne erano rimaste impigliate nel ferro acuminato, piantato con rabbia nel fango del lago. Forse per l’oscurità e la fretta, tentando inutilmente di allontanarsi, aveva creduto che una mano invisibile la trattenesse, forse un fantasma o un orco o il demonio; così il sangue si raggelò nelle vene e il suo cuore generoso si fermò. Da quel giorno l’acquitrino fu chiamato “EL LAGO DE LA FEMENA MORTA!”
Ophelia di John Everett Millais, del 1851/52 conservato alla Tate Gallery di Londra
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Ventuno artisti, tutti di Chioggia, riuniti in un’unica mostra è l’evento natalizio che la locale Pro Loco propone come momento di sintesi del livello artistico raggiunto tra le calli e i canali della storica città adriatica. “I Contemporanei”, infatti, è il titolo scelto per questa collettiva che vede insieme sensibilità diverse ed espressioni diverse, nelle forme della pittura e della scultura, per la rappresentazione del sensibile in forma d’arte. Una mostra, dunque, importante per levatura degli artisti coinvolti, tutte presenze di rilievo nel panorama dell’arte contemporanea, ma che negli intendimenti dell’organizzazione vuole essere anche un momento di cultura elevata da proporre ai tanti turisti che visitano Chioggia in questo periodo. I battenti del Museo Civico della Laguna Sud resteranno aperti dal 23 dicembre all’8 gennaio, l’appuntamento è di quelli da non perdere.
ESPONGONO Pittori: Dino Memmo, Giampiero Baldin, Edoardo Marcon, Dario Ballarin, Piergiorgio Chiereghin, Cinzio Veneziani, Ernani De Ambrosi, Davide Marcon, Cinzio Cavallarin, Renzo Nordio, Roberto Bellemo, Sandro Varagnolo, Attilio Penzo, Nella Talamini, Luciano Naccari Gli Scultori: Giorgio Mazzon, Giorgio Longhin, Roberto Bertotto, Gino Giacomin, Franca Dal Comune, Nicola Zennaro
Babbo Natale
IL PAESAGGIO DELLA TRADIZIONE di Mauro Gambin
ESISTE E CI RICORDA CHE IL MONDO È CAMBIATO
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abbo Natale esiste? Se esiste, la sua esistenza non riguarda solo le generazioni contemporanee, figlie della cultura merceologica disseminata da decenni di caroselli firmati dai grandi marchi d’oltre oceano. Sì, insomma, Babbo Natale, se c’è, non è solo figlio della Coca Cola, ma è figlio pure di una società che l’ha accolto, magari anche solo per attualizzare figure più antiche di lui e più complesse di lui che da sempre hanno abitato l’immaginario collettivo delle nostre latitudini. Perché si vede che Babbo Natale non è autoctono, insomma un pochino si nota che non è delle nostre parti. Lasciamo perdere i vestiti, il berretto di pelo e la giubba di panno rosso, che potremmo anche fargli togliere perché ormai a Natale non fa più freddo, a tradirlo, piuttosto, è la sua smodata bontà. Babbo Natale è un buono puro, in parte perché è la trasfigurazione pop di un santo turco, Nicola, che erede di una gran quantità di magagne, ma anche di un florido patrimonio poi distribuito tra i poveri, viene ricordato come grande benefattore e dall’altra perché è a tutti gli effetti il testimonial del
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L’uomo da sempre ha lavorato di immaginazione per personificare i valori della vita, ma se un tempo avevano le forme e il carattere ambivalente della Natura, oggi tendono ad essere sempre più dei testimonial del mondo del commercio
positivismo del commercio. Babbo Natale forse non esiste proprio perché non è credibile, riassumendo in modo troppo semplificato la complessità dell’esistenza è la banalizzazione della vita. Buono appena per questo periodo dell’anno, dove la bontà è per forza e sta in tutte le scatole a stelline con infondo la neve di polistirolo. Non convince quel girovagare di casa in casa, è troppo simile a quello dell’agente di commercio. Anche come figura immaginaria, proprio esce dall’immaginazione. E forse è anche questo il motivo del suo successo, quel suo bell’aspetto rubizzo, rotondo, pacificante ha messo a dormire le paure ancestrali dei mondi che fino a ieri erano stati rurali. Non siamo più contadini legati alla terra, per questo anche l’immaginazione ha preso altre vie, spesso quelle rassicuranti di doni che possono essere comprati. La mitologia popolare, invece, era nata da una concezione del “mito” che comprendeva sia le forze benefiche sia quelle malefiche della natura, per questo anche le creature immaginarie che popolavano le nostre campagne avevano forme e caratteri sfuggenti.
IL PAESAGGIO DELLA TRADIZIONE Il dono per la civiltà contadina, certo, poteva essere una ricompensa ma aveva forme ambivalenti, gli effetti avevano cause spesso non percepibili alla stretta sfera cognitiva e culturale dei contadini, per questo anche la bontà era da accogliere con diffidenza e più spesso la cattiveria da interpretare secondo i parametri della colpa. Il “Salbanelo”, il Massirol, le Anguane erano al pari di Babbo Natale creature della fantasia, protagonisti di narrazioni che confondevano nel tempo storia e fiaba per fornire una visione del mondo lontana dalla cronaca, ma pure dalla pura invenzione. L’essere buoni o malvagi non dipendeva dall’uomo, ma dal caso e con la stessa casualità l’uomo ne godeva e ne pativa i risvolti e i rovesci, il magico aveva i numeri della fatalità e non è un caso che fossero appunto le fate le tessitrici di queste impegnative trame dell’esistenza. Nel loro aspetto c’era da decifrare i disegni del ghiribizzo e dell’estrosità della vita. A volte buone a volte cattive, potevano trasformarsi in animali di qualsiasi specie, a volte si sposavano con gli uomini ma i matrimoni non finivano mai bene. Le loro qualità buone erano il saper lavorare il latte e i suoi derivati. Spesso sono raccontate in gesti teneri e affettuosi come nel dar da mangiare a chi aveva fame, ma fino a farlo scoppiare. Dispettose ingarbugliavano le matasse, sporcavano il bucato steso al sole, tagliuzzavano i vestiti negli armadi ma la loro aura rimaneva nel complesso positiva, forse per la loro bellezza pari solo a quella delle cugine anguane che abitavano fiumi, laghi e risorgive. Anche queste potevano essere di aiuto agli uomini impegnati nelle campagne, raccogliendo il fieno, ma potevano essere anche la causa delle loro sventure se trovati troppo vicini al loro ambiente. Si dice che le persone venivano attirate nell’acqua grazie al loro melodioso canto e poi trascinate a fondo legando i piedi dei malcapitati con i loro lunghi capelli. Potrebbero essere state
L’orco
La fantasia popolare vuole che il Salbanello sia un abilissimo ladro notturno e che una volta, per rubare meglio, tentò di coprire la luce luna con delle fascine, ma la Luna se ne ebbe a male e lo tirò a se condannandolo a vagare per quel suo suolo bianco per l’eternità. La sua ombra ancora si scorge nei pleniluni piegata dal pesante carico di fascine
tranquillamente le sorelle delle sirene di Ulisse, o più semplicemente un raccapricciante monito lanciato per diffidare chiunque ad avvicinarsi a posti pericolosi come i fiumi. Anche in questo andrebbe ravvisata la componente “buona” della loro esistenza. L’orco era una figura altrettanto ambigua, impressionante sempre nell’aspetto, per il carattere, invece, sembrava rispondere più che altro alle leggi della gravità terrestre: pesante tra le montagne, più leggero in pianura. Perché se in Valstagna, sull’Altopiano dei Sette Comuni, era la personificazione del diavolo che si ciba di bambini trovati da soli nei campi, nella Bassa Veronese era più che altro un amico degli ubriachi. E forse per questo ha ragione chi vuol far derivare Orco dal greco òrkos che significa ballare, e forse è per questo che da noi ubriacarsi si dice “ciàpare na bala”. Per l’ubriaco “balla” tutto e l’ubriaco e capace delle cose più abominevoli, l’orco, insomma potrebbe essere chiunque ogni volta che perde la luce della ragione. Il Baraban, l’orco dei nostri Colli Euganei, è una figura tutto sommato mite, corpulenta, a volte barbuta ma ha anche un’irrequietezza sconosciuta al collega del Nord e una forza da temere sempre. Anche la figura del Sanguanello o Salbanello ha punti di contatto con l’iconografia di Babbo Natale: vestito di rosso ha tratti somatici nordici, è di fatto uno gnomo, ma terribile nell’essere beffardo. Rispetto ai sui cugini tedeschi, che custodivano pentole piene di tesori, il Salbanello nostrano non ha particolari mansioni se non quelle del dispetto e dello scherzo. Se lo stalliere, al mattino, trova arruffata la criniera dei cavalli o il bovaio la coda delle vacche; se il povero viandante
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IL PAESAGGIO DELLA TRADIZIONE
La Befana che viene issata sui falò simboleggia la fine dell’anno e il desiderio di abbandonare tutte le cose negative successe lungo i 12 mesi. Dall’atro canto il falò rappresenta anche il futuro, un futuro che è possibile indovinare in base alla direzione che le faville sprigionate dalle braci prendono dopo essere state alzate dal vento
smarrisce la strada in una notte nebbiosa; se la bella fanciulla trova la chioma intricata, e la mamma si accorge con spavento che i capelli del suo bimbo sono lisciati al rovescio, la colpa è sempre del Salbanello. Il Salbanello, certo, o il Massariol, e pure il Pesariol, il Farfarreddu siciliano o il Domovoi dei russi e il Salvano nell’Alto Bellunese sono figli di quel Silvano della mitologia classica che passava il tempo a suonare il suo flauto di canne, l’antico fauno che personificava la natura selvaggia, terribile e pericoloso per i neonati e le partorienti. Temuto e venerato dai contadini, era uso placare il dio prima di dissodare un terreno, con una triplice cerimonia che ne invocava la protezione sui pascoli, sulle dimore e sui terreni stessi. E proprio perché personificazione della natura ne copiava i comportamenti, disinteressandosi se gli effetti delle sue azioni avessero o meno beneficio sull’uomo. Chi invece aveva una valenza esclusivamente negativa era la strega. Meno legata alla terra, il suo mondo era prettamente quello magico: la notte, il bosco, le grotte ossia tutti qui luoghi fuori mano che coagulavano le paure legate al non noto. Misteriosa era anche la sua figura, poteva anche essere una donna o poteva esserlo stata, sconosciuti i suoi intenti se non nell’accezione negativa di
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compiere il male, emissaria del diavolo il suo scopo sicuramente era la tentazione. La sua immagine transitoria, sospesa tra l’umano e il non umano, è finita con il definirne anche l’iconografia, la strega è raffigurata come una vecchia, una megera, una marantega, cioè una donna prossima ai passaggi dalla vita, la cui conclusione poteva anche essere la morte, e questa sospensione ne ha in parte riabilitato la figura in qualità di rappresentazione del passato. La Befana che viene issata sui falò il 6 gennaio simboleggia proprio la fine dell’anno e il desiderio di abbandonare, di bruciare, di sterilizzare con il fuoco, tutte le cose negative successe lungo i 12 mesi. Dall’atro canto il falò rappresenta anche il futuro, un futuro che è possibile indovinare in base alla direzione che le faville, sprigionate dalle braci, prenDalla mitologica dono dopo essere state figura del fauno alzate dal vento, questa direzione può portare al discendono il dono di una buona staSalbanello e gione, ma anche no, nel le sue varianti mondo dei contadini non come il c’erano certezze: “Falive verso sera, polenta piena Salvanello, na caliera. Falive verso il Massariol matina polenta molesina. o il Pesariol. Falive a meodì polenta Il nome cambia tre olte al dì”.
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ARTERRA di Loredana Pavanello
Tradizioni ed Arte PER LA FESTA
DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE Nell’antico borgo Portello a Padova, veniva celebrata una delle più antiche processioni cittadine: la processione dell’Immacolata, l’8 dicembre. Una tradizione che è andata scomparendo in tempi recenti in seguito
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ema “scottante”, al centro di accese dispute teologiche in età medievale e non solo, il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria diviene tale per la Chiesa solo nel 1854, quando papa Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus proclama il concepimento della Vergine Maria senza peccato originale. In questo modo si formalizzava quanto un’intera tradizione dottrinale aveva già esplicitato nel corso dei secoli, poggiando su solidi fondamenti biblici: in primis il celebre versetto del Cantico dei Cantici, “tutta bella sei tu, amica mia e macchia non è in te”, ripreso poi nel canto cristiano Tota pulchra, che costituisce una delle più antiche tradizioni francescane. Va detto infatti che furono proprio i frati minori a sostenere la dottrina “immacolista”, contro gli storici “rivali”, i frati domenicani, e che un primo riconoscimento ufficiale avverrà solo nel 1477, quando il papa francescano Sisto IV introduce la festa, con la bolla Cum Praecelsa.
A testimoniare questa vivida memoria sono alcune fra le più belle pale d’altare di età rinascimentale, non a caso collocate nella basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, capolavoro del gotico veneziano e da sempre, sin dalla fondazione nel 1234, straordinario microcosmo francescano. Qui sono ancora custodite le “Madonne dei Pesaro”, ricchissima famiglia veneziana che le commissionò a Giovanni Bellini, protagonista del primo Rinascimento veneto ed al suo ideale erede Tiziano Vecellio. Intessuto di riferimenti al tema dell’Immacolata Concezione è infatti il Trittico belliniano (1488), dove, nella tavola centrale, la Vergine col Bambino si staglia contro un magnifico fondale dorato di sapore neobizantino. Sul mosaico spicca l’iscrizione tratta proprio da un ufficio recitato il giorno della Concezione, scritto nel 1478 da Leonardo Nogarole poco tempo dopo l’introduzione del culto. Altrettanto allusiva alla glorificazione della Ver-
In alto: foto storica di Renzo Saviolo che immortala la processione dell’Immacolata del 1959 Si ringrazia l’Associazione Progetto Portello di Padova per la concessione all’utilizzo delle presenti fotografie
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ARTERRA Nel 1790 i barcari e i lavoratori del porto del Portello fecero costruire alla fine del ponte che da Porta Ognissanti porta alla grande scalinata del porto una piccola edicola-oratorio dedicata proprio alla Madonna dei Barcari, loro protettrice, per potersi fermare a pregare, chiedendo protezione per il viaggio, prima di ogni imbarco gine concepita senza peccato originale è la celebre Pala Pesaro, commissionata a Tiziano nel 1519 per la cappella dedicata all’Immacolata Concezione. Nello spazio irreale disegnato dalle infinite colonne che fanno da cornice all’altissimo trono di Maria, Sedes Sapientiae, è stata letta un’allusione alla festa. Il culto della Madonna a Venezia era radicatissimo e connotato da una precisa valenza civica e politica: la stessa Origo Venetiarum, la fondazione della città, coincideva con il giorno dell’Annunciazione, il 25 marzo 421. Numerose inoltre erano le feste dedicate alla Vergine, come ad esempio la fiera delle Dodici Marie e ancor più la festa dell’Assunzione. Anche la vicina città di Padova poteva vantare una solida tradizione mariana, che riconduceva l’introduzione del culto della Vergine alla martire Giustina, nei primi anni del Cristianesimo. Ed è proprio nel quartiere più “veneziano” del centro patavino, l’antico borgo Portello, che veniva celebrata una delle più antiche processioni cittadine: la processione dell’Immacolata, l’8 dicembre, vissuta un tempo come una festa religiosa, ma anche culturale ed identitaria. La fraglia dei barcaroli del Portello era una delle più vivaci congregazioni di mestiere a Padova, raggruppando tutti i lavoratori del porto rivolto a est: il più ricco dei porti padovani, che gestiva il traffico di viaggiatori e merci verso Venezia. Esisteva una seconda “federazione” di barcari, che si riuniva nella chiesa di San Giovanni delle Navi, riunendo i lavoratori che gestivano il traffico che dalla città si sviluppava verso sud, principalmente lungo il canale Battaglia. Fra le due confraternite la rivalità era accesa, carica di scontri verbali e non solo. In questo clima di ricerca di un “primato”, la processione dell’Immacolata costituiva il grande evento atteso per un anno: il momento in cui esibire tutto lo sfarzo e la capacità di lavoro di un gruppo di uomini. Nel 1790 i barcari e i lavoratori del porto del Portello fecero costruire alla fine del ponte che da Porta Ognis-
santi porta alla grande scalinata del porto una piccola edicola-oratorio dedicata proprio alla Madonna dei Barcari, loro protettrice, per potersi fermare a pregare, chiedendo protezione per il viaggio, prima di ogni imbarco. Questa piccola struttura divenne il punto ideale per l’arrivo della processione dell’Immacolata, che partiva dalla chiesa omonima, situata nell’attuale via Belzoni e riedificata nel 1854 sul luogo dell’antica chiesa di Santa Maria Iconia, sede dei cavalieri templari. Per l’occasione i lavoratori indossavano i vestiti della festa; alcuni di loro sfoggiavano abiti con ricami dorati ed erano incaricati di trasportare a braccia la grande macchina, il baldacchino di legno dorato che avvolgeva la statua della Madonna immacolata. La processione si svolgeva lentamente, accompagnata da un fiume di persone, il parroco seguiva la
statua e si fermava spesso, agli incroci, davanti alle case, per benedire il quartiere nella sua interezza; lentamente si passava sotto la scenografica Porta e si attraversava il ponte per arrivare all’edicola posta sulla scalinata del porto. Era il momento in cui si ringraziava per un anno trascorso, per aver evitato incidenti, per aver potuto portare il pane nelle case e si chiedeva di rinnovare questa protezione per un altro anno: una festa comunitaria e identitaria, in cui i partecipanti erano uniti dalla devozione per l’Immacolata e dal lavoro nel porto. Una forza di coesione che continuò anche dopo la fine della Repubblica di Venezia e della fortuna del Portello, quando gli austriaci vollero la rottura dell’isolamento di Venezia con la costruzione di un ponte ferroviario che sconfiggesse moralmente la Dominante legandola indissolubilmente alla terra. Il lavoro dei barcari del Portello divenne in pochi mesi obsoleto e il bel quartiere ornato da palazzi che segnavano l’accesso monumentale alla città divenne sinonimo di un
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ARTERRA luogo malfamato, in cui si viveva di espedienti. Le autorità austriache trasformarono il soppresso convento dei frati Paolotti in un carcere, adatto a contenere i molti delinquenti della zona. Il simbolo del quartiere divenne “la Nave” (nome indicativo), un insieme La copertina della guida fresca di di case basse e pubblicazione: “Il Portello di Padova” comunicanti fra loro dove vivevano decine di famiglie e che consentivano una fuga sicura fra passaggi nascosti e silenzi verso gli “sbirri”. La Nave fu simbolicamente abbattuta nel 1967, gli abitanti trasferiti in altri quartieri, e al suo posto fu costruita una residenza universitaria, a segnare anche simbolicamente il “cambio di destinazione d’uso” del quartiere che i nuovi piani regolatori pensavano come “cittadella universitaria”. La demolizione della Nave si inseriva nel contesto di una complessiva trasformazione della città, in favore di una speculazione edilizia appoggiata dall’amministrazione comunale del sindaco Cesare Crescente: una metamorfosi implacabile che portava a compimento quanto iniziato nella prima metà del secolo, con l’interramento del Naviglio Interno e la distruzione del quartiere medievale di Santa Lucia. Fra le denunce di personalità del calibro di Diego Valeri e Tono Zancanaro, si procedeva all’abbattimento del cinquecentesco palazzo Arnholt alle Porte Contarine per far posto al grattacielo di piazzetta Conciapelli; ed ancora, all’aggressione alle mura duecentesche presso porta Altinate, inglobate in antichi edifici demoliti per far posto alle nuove costruzioni. Si determinava così la perdita di una precisa fisionomia urbana, quella di Padova città d’acqua, che nel Portello aveva il suo fulcro, per far posto a una Padova poco avvedutamente modernizzata, in nome di una visione parziale della città. La processione dell’Immacolata sopravvisse a tutto questo: agli austriaci, alla miseria, all’università, simbolo di una testardaggine dei “porteati”, che continuavano a sentirsi diversi dal resto della città, tanto da parlare una lingua loro, speciale. Sopravvisse fino
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La processione dell’Immacolata era il momento in cui si ringraziava per un anno trascorso, per aver evitato incidenti, per aver potuto portare il pane nelle case e si chiedeva di rinnovare questa protezione per un altro anno al 1972, quando la contestazione studentesca minacciò di replicare gli scontri con la fraglia di San Giovanni e le autorità decisero di evitare il rischio. Pochi anni prima, nel 1956, Renzo Saviolo, giovane fotoreporter, aveva consegnato alla storia la processione con una serie di scatti, dal potente sapore neorealista: alcuni di questi sono stati raccolti nella mostra Le antiche processioni del borgo Portello, presso l’Oratorio della Beata Elena in via Belzoni, riaperto per l’occasione dopo un restauro pluridecennale. La mostra ha rappresentato uno degli atti conclusivi di un ampio progetto dal titolo di Portello Segreto, sviluppatosi nell’ambito del bando Culturalmente promosso dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Un progetto fondato sulla cooperazione fra associazioni padovane - Fantalica, Progetto Portello, Gruppo Giardino Storico, Comitato Mura di Padova e Villeggiare - , che hanno “fatto rete” proponendosi di divulgare e valorizzare la storia e i beni storico artistici, architettonici ed ambientali dell’antico borgo, nato come città dei morti in età paleoveneta e diventato poi già in età romana, col passaggio della via Annia e più tardi con la creazione della rete portuale, zona di alto valore strategico. Il progetto ha visto una serie di diverse iniziative svoltesi nell’arco di otto mesi, culminando con l’uscita di una guida turistica che raccontasse i luoghi, insieme a visite guidate, concerti, mostre, spettacoli teatrali per riportare in luce una storia in parte dimenticata, il volto affascinante e appunto “segreto” del Portello.
Processione davanti palazzo Paolotti
messaggio pubbliredazionale a cura di Daniele Tecchiati
25 anni di iniziative ed eventi Si è da poco conclusa la rassegna “Festival dei sapori”: 4° edizione - Street Food, Wine & Wedding incentrata sulle novità della gastronomia di strada e su quello che è comunque tuttora considerato il giorno più bello della vita di coppia. Da sempre il Centro Commerciale “Il Porto” di Adria, che nel 2017 “taglierà il nastro” di 25 anni di attività con gli oltre 40 negozi presenti al suo interno con offerte alimentari e di shopping, è anche una vetrina per la promozione dei prodotti del territorio veneto e una location ideale per i giovani e le famiglie che vogliono trascorrere una giornata in tranquillità. Dal 2015 è stata introdotta una CARD che permette numerosi sconti e occasioni promozionali ai loro possessori. L’ampio parcheggio gratuito e una viabilità idonea permettono a tutti di arrivare al Centro Commerciale “Il Porto” di Adria in tutta sicurezza. I giovani e le famiglie possono trovare bar, pizzerie, gastronomie e una gelateria artigianale che soddisfano tutti i gusti. Oltre alla grande distribuzione alimentare, numerosi sono i negozi di abbigliamento classico rivolto a giovani e famiglie oltre all’offerta di abbigliamento sportivo che caratterizzano il nostro centro commerciale. Ampio spazio agli elettrodomestici e all’offerta di materiale scolastico e casalinghi. All’interno si trovano servizi specializzati come quelli di calzolaio, di parrucchiere e recentemente di erboristeria che si aggiungono al tabaccaio, alla bigiotteria, alla telefonia, all’ottico. Nel 2016 è stato inaugurato un negozio che propone prodotti e servizi per il wedding e non solo. I bambini possono inoltre usufruire di uno spazio a loro dedicato con personale specializzato che permette alle famiglie di fare la spesa in tutta tranquillità. Gli animali se al guinzaglio sono ben accolti purché i proprietari siano muniti degli accorgimenti necessari. La cosa interessante del Centro Commerciale “Il Porto” è che si trova a circa dieci minuti dal centro storico di Adria e chi fosse interessato può visitare il Museo Archeologico Nazionale ricco di reperti oltre a visitare la Chiesa della Cattedrale e la Chiesa della Tomba, vere chicche per gli amanti di itinerari religiosi. Adria ha il territorio collocato all’interno del Parco del Delta del Po da poco insignito area Mab Unesco. Il Centro Commerciale “Il Porto” vanta numerose collaborazioni con iniziative organizzate dall’Amministrazione Comunale e dalla locale Pro Loco. Il Direttore Antonio Impedovo CENTRO COMMERCIALE IL PORTO Piazzale Rovigno - Adria (RO) Tel. 0426 23898 - Fax 0426 22070 - direzione.ilporto@cbre.com - www.centrocommercialeilporto.it
PANORAMA GASTRONOMICO di Umberto Tiozzo
QUELLA GRAN ZUCCA DI
Carlo Goldoni Il cibo nelle commedie del maestro del teatro veneto è motivo di liti, di rimproveri, di lamentanze, perché il cibo è il simbolo della vita
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ella stagione dedicata alla zucca non può mancare una pagina dedicata a Carlo Goldoni, l’autore che mette proprio la “zucca marina” chioggiotta all’origine del divertente equivoco su cui si basa una delle sue più riuscite opere, la famosa commedia, Le Baruffe Chiozzotte. Infatti è per colpa di Toffolo Marmottina, il quale offre un pezzo di “succa barucca” a Lucietta, novizia di Titta Nane, che si innesca la serie di pettegolezzi, maldicenze e incomprensioni che fanno scoppiare gli spassosi litigi nella comunità di pescatori chioggiotti. Goldoni arrivò una prima volta a Chioggia nel 1721, a soli quattordici anni, abbandonando gli studi di filosofia presso i Domenicani di Rimini al seguito di una compagnia di comici, per raggiungere i genitori qui momentaneamente trasferitisi. Ripresi poi gli studi di legge, tornò a Chioggia qualche anno più tardi per assumere per un breve periodo (gennaio 1728-aprile 1729) l’impiego di Coadiutore presso la Cancelleria del Tribunale della città. La nostalgia per la giovinezza trascorsa a Chioggia traspare nel personaggio di Isidoro, il coadiutore veneziano, al quale sulla scena è affidato il compito di rimetter pace tra i popolani dopo le baruffe e di far tornare l’armonia tra innamorati e putte. Isidoro è il Goldoni medesimo, e il compito a lui affidato è lo stesso che il poeta riconosce a sé stesso in ognuna delle sue commedie: sciogliere
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le fila e condurre in porto con un sorriso le avventure dei personaggi. Rappresentata per la prima volta al Teatro San Luca di Venezia nel gennaio 1762, ritrae quegli spaccati di vita che Goldoni amava riproporre nelle sue commedie mantenendone realismo e suggestioni tanto da trasmettere, tra le battute, anche il buon odore della cucina del suo tempo. Il cibo del resto è fondamento della vita, l’averne o l’averne in quantità e qualità è un modo per rappresentare la complicata società veneziana dove a fianco dell’aristocratico taccagno c’è la figura del mercante vanaglorioso, il servo furbo o la locandiera maliziosa. E tutti parlano di cibo. Si parla di verdure come la cipolla, che nella tipica preparazione marinara del saòr, oltre a servire come conservante delle pietanze, evita lo scorbuto a quanti erano costretti a vivere per lunghi periodi sulle navi, ma si parla anche di carni, quelle del bollitto, il piatto giornaliero della borghesia veneziana, in genere misto con pollo o cappone, dindio (tacchino), vitello, castrato e, talvolta, anche pecora; il tutto servito con altre verdure per la salsa “verde”. Il menù della casa di Pantalone De’ Bisognosi, descritto dal servitore Brighella nella commedia La cameriera brillante, è ricco e variato: “La so manéstra par consueto de risi o de pasta fina… la so carne de manzo, con un bon cappon… un rosto de vedèlo o
PANORAMA GASTRONOMICO
Il commediografo ritrae degli spaccati di vita mantenendone realismo e suggestioni tanto da trasmettere anche il buon odore della cucina del suo tempo de oseletti… un piatto de mezzo, che vol dir stufadin o quattro polpette e cosse simili, el so formagio, i so fruti”. Mentre nella commedia Sior Todero Brontolon il vecchio e taccagno Todero impone al servitore Gregorio una singolare cottura del riso: “I risi se mette suso bonòra, acciò che i créssa e i fassa faziòn… a Fiorenza… i li fa bòger tre ore, e mezza lira de risi basta per otto o nove persone!”. Tornando alle Baruffe, nella sua trama non vi sono personaggi che catalizzano l’attenzione su di sé: protagonista è il popolo minuto dei pescatori, una popolazione colorita, usa a vivere all’aperto, tutt’una col colore delle calli e dei campielli, delle vele e delle reti. È la classe popolare di estrazione povera e bassa che costituiva, stando a quanto afferma Goldoni stesso, almeno i cinque sesti degli abitanti della Chioggia di allora. Gente semplice, abituata a mangiare zucca, ma tutt’altro che sprovveduta. Ecco le considerazioni di paròn Toni che, sceso dalla tartàna, incontra Vincenzo, un galantuomo ex pescatore che fa da mediatore tra i pescatori e i mercanti, al quale offre la pescata di sfoggi, barbòni, bòseghe grandi come léngue de manzo, rombi: “Magari che lo podessimo vendere tutto a bordo el pesse, che lo vendarìa volentiera. Se andèmo in man de sti bazariòtti, no i vuòl dar gnente; i vuòl tutto par lori. Nualtri, poverazzi, andèmo a rischiare la vita in mare, e sti marcanti col barettòn de velùdo i se fa ricchi co le nostre fadighe!”. Ridurre i passaggi di mano e gli intermediari, filiera corta, dal produttore al consumatore. Goldoni già ne parlava oltre due secoli e mezzo fa!
Zucca Marina
La Zucca Marina (Cucurbita maxima), riconoscibile per la forma simile a un turbante di colore dal verde al grigio, è nel Veneto la più classica e conosciute tra le zucche. A Chioggia è nota anche come Succa Barucca, termine che sembra derivare dalla fusione nel linguaggio popolare di “verruca” (per le escrescenze della buccia) e la parola ebrea “baruch” (santo, benedetto). La sua diffusione qui si deve probabilmente all’influenza del mare sul clima di Chioggia e dintorni, in quanto questa cucurbitacea non ama le temperature basse e ha elevate esigenze termiche sia per la germinazione (tra 25 e 30 °C) sia per la crescita (tra 20 e 30 °C), ma determinate per il suo successo come coltivazione si deve al fatto che per secoli è stato uno degli alimenti fondamentali nella dieta delle classi meno abbienti, grazie al suo basso costo e alla disponibilità nel periodo invernale, ossia nel periodo di minor disponibilità di orticole fresche. Oggi il suo successo produttivo si lega ancora alla stagionalità, ma più che altro perché si inserisce opportunisticamente nella rotazione delle produzioni primaverili come il radicchio precocissimo, le erbette, le cipolle. La zucca, inoltre, sfrutta poco il terreno, non richiede molte cure ed è in grado, grazie alle grandi foglie con lunghi piccioli, di offrire una buona copertura ai terreni più fini e sabbiosi nel periodo estivo quando questi sono maggiormente esposti all’azione erosiva dei venti. Nella valutazione dei suoi punti di forza non può essere ignorata la sua duttilità in cucina, già ottima semplicemente lessata oppure cotta al forno e ottima fritta, oppure come ingrediente principale in zuppe e minestre e ovviamente in delicati risotti. Costituisce, inoltre, un ripieno particolare per tortelli e, grazie al colore e alla consistenza della polpa è indicata per la preparazione di raffinati gnocchi. La zucca è un ortaggio ipocalorico, ha solo 15-18 calorie ogni 100 grammi di polpa, con un’alta concentrazione di acqua (94%) e una bassissima percentuale di zuccheri semplici. Come tutti gli ortaggi e i frutti di colore giallo-arancione, è particolarmente ricca di vitamina A e C, di minerali, quali potassio, calcio e fosforo e di molte fibre.
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Centro Sportivo
LeTre Piume OBIETTIVO SOLIDARIETÀ
Il centro sportivo di via Costanze ad Agna ha inviato risorse a sostegno del comune di Serrapetrona, distrutto dalle recenti scosse di terremoto che hanno interessato il Centro Italia Con la stagione agonistica ferma per la pausa invernale e un calendario delle competizioni che deve ancora essere definito dalla varie Federazioni , il centro sportivo Le tre Piume si impegna nella solidarietà. Un tema da sempre molto sentito da Giovanni e Mario Carli, gestori dell’impianto, in quanto l’aiuto a chi si trova in difficoltà o il sostegno alle cause meritorie rientra nel loro modo di Venerdì 11 novembre la delegazione composta dagli amici del centro sportivo Le Tre Piume e i membri della Pro Loco di Agna e Tribano sono arrivati nei luoghi del terremoto per portare il loro contributo e manifestare la propria vicinanza alle persone colpite
intendere lo sport, ossia nell’accezione più ampia dell’altruismo. E questa loro sensibilità questa volta è stata richiamata dal comune di Serrapetrona, in provincia di Macerata, nelle Marche, uno dei tanti piccoli villaggi letteralmente sconquassato dalle recenti scosse di terremoto che hanno interessato il Centro Italia. Un paesino di circa 966 abitanti che ieri c’era e adesso non c’è più, sparito
Viaggio a
Serrapetrona Il piccolo villaggio del maceratese con poco più di novecento abitanti è stato tra quelli più sconvolti dal sisma
Così si è presentato il paesino di Serrapetrona all’arrivo della delegazione composta dal centro sportivo Le Tre Piume e delle Pro Loco. Un paesino di poco più di novecento anime completamente raso al suolo.
CENTRO SPORTIVO “LE TRE PIUME” via Costanze, 8 - 35021 Agna (PD)
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sotto un cumulo di macerie dove è difficile indovinare la vita che un tempo correva tra le strade di questa comunità. L’emergenza è questa: l’avere bisogno delle cose più semplici, perché le proprie cose, anche quelle che abitualmente ignoriamo per essere davvero oggetti della quotidianità, sono là: sotto metri di detriti e calcinacci che chissà quando verranno rimossi e chissà poi se verranno rimessi insieme per ricostruire quello che c’era. Si vedrà, intanto oggi è l’incipiente inverno, il freddo, il vero problema che gli amici del centro sportivo Le tre Piume hanno inteso mitigare con il loro aiuto e con quello della Pro Loco e della Virtus di Agna. Unendo le forze sono stati messi insieme: coperte, teli di naylon, tre nuove lavatrici e la discreta cifra di 4.500 euro, racimolata grazie a cene della solidarietà, come quella che ogni anno conclude il Trofeo Città della Speranza di agosto, e altre iniziative promosse dalla Pro Loco sempre nei locali degli impianti di via Costanze. Venerdì 11 novembre il carico è arrivato a destinazione, direttamente tra le mani del sindaco Silvia Pinzi che ne disporrà al meglio per i propri concittadini. “È stata un’esperienza importante - spiegano Giovanni e Mario Carli - vedere da vicino gli effetti di disastri naturali così di vasta portata restituisce le vere dimensioni dell’uomo, un uomo, tuttavia, che sa diventare grande quando riesce a reagire attraverso le strade della reciproca collaborazione e della solidarietà”. Un gesto che è stato possibile anche grazie al contributo dei tanti tesserati del centro sportivo, che in via Costanze oltre a impianti all’avanguardia e sicuri per la pratica del loro sport preferito trovano anche spazi per la socialità e per finalità nobili come il sostegno a chi si trova in difficoltà. Insomma un modo per vivere una passione, anche al di fuori delle normali pratiche che la disciplina del tiro al volo richiederebbe e che ogni anno incontra nuovi sostenitori visto che anche quest’anno la campagna di tesseramento sta andando molto bene, aumentando il numero di tiratori che calcano le piazzole de Le tre Piume.
L’intera struttura è a disposizione per chi vuole mettersi alla prova • 8 CAMPI DA TIRO AL VOLO • nel quale ci si può esercitare in discipline olimpiche come la “fossa”, lo “skeet” e il “double trap” oppure le non olimpiche come la fossa universale, il compact sporting o il trap americano e percorso caccia • 15 STAGE PER IL TIRO CON LA PISTOLA • sia statico che in movimento • PIAZZOLE E BERSAGLI • per il tiro con l’arco • LINEE PER IL TIRO AD AVANCARICA • con vecchi fucili dell’Ottocento • 23.000 m2 ATTREZZATI PER IL SOFT-AIR • • 16 LINEE PER IL TIRO LUNGO • tiro con la carabina a canna rigata da 100 a 200 metri Presto le strutture per “FIELD TARGET” rivolto agli appassionati della carabina ad aria compressa
Orari ORARI TIRO A VOLO dal mercoledì alla domenica dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.00 mercoledi sera fino alle 23.00 ORARI TIRO CON ARMI RIGATE mercoledì pomeriggio dalle 14.30 alle 19.00 sabato e domenica dalle 8.30 alle 12.30 e 14.30 alle 19.00
Gli alloggi delle persone che hanno perso completamente la propria casa o che è ancora inagibile. Il palazzetto dello sport è diventato un dormitorio per diverse famiglie
Tel. 049 9515388 - Fax 049 9519308 - info@letrepiume.it - www.letrepiume.it
L’APPUNTAMENTO
Il 23 dicembre si terrà al centro sportivo Le tre Piume una cena nata sotto il marchio Terre Benedettine per la promozione del territorio. Per informazioni e prenotazioni chiamare il numero 049 9515388 Il Consigliere Nazionale della FITAV, Rosario Avveduto, insieme a Giovanni e Mario Carli al Campionato Italiano Società di Fossa Universale
Tutto quello che c’è da sapere del Centro Sportivo Definire il centro sportivo “Le tre piume” un poligono, oppure un centro di “tiro sportivo” è molto riduttivo. L’attività che viene svolta in via Costanze ad Agna, infatti, è ben più articolata e coniuga allo sport anche un servizio di ospitalità, con un ristorante che sforna piatti vini della tradizione locale, e un’area riposo dotata di piscina, che estende il piacere di una giornata all’aria aperta anche ai famigliari dei tiratori. Una piccola oasi verde dotata di ogni comfort, infatti, può essere lo svago perfetto per chi alle sagome o ai piattelli ama il relax di una giornata nella natura. Insomma, è il posto giusto in cui passare le domeniche è ovviamente per chi ama lo sport con le “armi” è un vero e proprio parco divertimenti. Non mancano le attività agonistiche con allenamenti e corsi, seguiti da Giovanni e Mario, per imparare l’antica arte balistica.
Il primo cittadino Silvia Pinzi incontra i suoi concittadini. È un rito quotidiano a Serrapetrona
Le due lavatrici donate hanno già trovato il loro posto all’interno delle tende comuni
La delegazione partita da Agna. Vicino al sindaco Giovanni e Mario Carli gestori del centro sportivo Le tre Piume. I ringraziamenti sono stati tanti
CENTRO SPORTIVO “LE TRE PIUME” via Costanze, 8 - 35021 Agna (PD)
AMICI CON LE ALI
La Poiana di Aldo Tonelli
PREDATORE FIERO E NOBILE E uno degli uccelli che si sono meglio adattati alle profonde trasformazioni che l’ambiente ha subito negli ultimi decenni
D
urante un viaggio in autostrada non è infrequente, specie nella stagione invernale, vedere un grosso rapace appollaiato sui paletti al margine del nastro d’asfalto: è molto probabilmente una Poiana comune. Nel dialetto veneto del trevigiano orientale il termine Poiana o Poja vuol dire “sonnolenza” forse proprio per questa sua caratteristica di rimanere immobile in attesa di prede. Solitamente caccia in territori aperti ma è anche necrofaga (si nutre cioè di carogne di altri animali) ed ecco quindi spiegata la sua presenza in attesa che qualche sfortunato animale venga ucciso dal traffico veicolare per poi cibarsi dei resti senza sprecare energie preziose. Tra queste vittime del traffico, le nutrie sono un ottimo bottino ma non è raro vederla predare attivamente anche giovani di questo roditore. Infatti i piccoli roditori sono le sue prede preferite e considerando un bisogno medio giornaliero di circa 150 grammi di cibo e che la dieta è composta per i due terzi dai topi, balza subito all’occhio l’importanza di questo rapace nel controllo delle loro popolazioni. Quando c’è l’occasione non disdegna piccoli sauri, serpenti, lepri,
È difficile vederla volare in stormi numerosi, gli individui mostrano un comportamento gregario solamente durante gli spostamenti migratori e durante il periodo invernale molte provenienti dal nord si fermano a svernare nella pianura 74
mammiferi di piccola taglia, coleotteri, uccelli e anfibi tutte prede rientranti nella dieta di un animale che svolge un ruolo primario nel mantenimento dell’ecosistema naturale. Posata e a terra può apparire goffa ma in volo si riscatta e sa esprimere tutte le doti di un perfetto veleggiatore: intercala tratti di volo battuto a lunghi volteggi, sostenuti dalle correnti ascensionali, con ali lunghe circa 130 cm piegate verso l’alto in una leggera V e coda aperta a ventaglio. Nel periodo riproduttivo accompagna le evoluzioni aeree con un fischio forte e miagolato ma non è facile distinguere il maschio dalla femmina tranne quando volano assieme in quanto quest’ultima ha solo una corporatura leggermente più robusta. È difficile vederla volare in stormi numerosi, gli individui mostrano un comportamento gregario solamente durante gli spostamenti
Il piumaggio della Poiana è molto variabile
AMICI CON LE ALI migratori e durante il periodo invernale molte provenienti dal nord si fermano a svernare nella pianura. La specie nidifica prevalentemente tra gli alberi, anche nei pioppeti, in cui la femmina depone da 1 a 4 uova nel periodo tra marzo e giugno. La cova, di cui si occupano entrambi i sessi, dura 34 giorni e una volta nati, i pulcini restano nel nido per circa 40-50 giorni; dopo questo periodo i giovani sono completamente autonomi e pronti per spiccare il volo. Non è facile determinarne l’età ma se si riesce a vedere l’occhio questo ci permetterà di distinguere i giovani, con iride chiara, dagli adulti, con iride scura. Avendo un piumaggio assai variabile, slegato dal sesso e dall’età, con diverse fasi e morfismi da molto scure a più chiare, mutevoli talvolta riguardo alla distribuzione geografica, da qualche tempo è oggetto di un interessante progetto europeo denominato “Buteo morph” che mira a individuare se i diversi morfotipi siano legati alla presenza di una specifica caratteristica di habitat e/o a variabili climatiche. Esistono infatti Poiane con piumaggi molto scuri ma esistono pure individui molto chiari e nel mezzo si collocano colorazioni intermedie. La specie, come tutti i rapaci, è particolarmente protetta dalla legge, per cui ne è vietata l’uccisione, la cattura e la detenzione anche se diversi esemplari rimangono vittime durante la stagione venatoria di abbattimenti illegali. Oggi, tra elettrocuzione, cavi aerei, bracconaggio e uso massiccio di pesticidi, le minacce provengono quasi unicamente dall’azione diretta dell’uomo. La Poiana comune è senz’ombra di dubbio un uccello che ha saputo adattarsi alle profonde trasformazioni che l’ambiente ha subito negli ultimi decenni e riesce quindi a soprav-
Poiana con carcassa di nutria
vivere grazie ad una strategia evolutiva complessa, a differenza di quanto invece, tristemente, sta avvenendo per molte altre specie di uccelli, sempre più rari per via delle devastanti trasformazioni ambientali. In provincia di Vicenza vi è un comune chiamato Pojana Maggiore il cui nome non deriva dal nostro rapace, ma probabilmente dal longobardo “plojum” col significato di luogo coltivato: si trova infatti sulla fertile pianura alluvionale formata dall’antico alveo dell’Adige, la cui bonifica fu iniziata allorché l’Imperatore Augusto la concesse come premio di guerra ad alcuni ex legionari. Nello stemma comunale tuttavia si vede una Poiana appollaiata su una torre e infatti si blasona: “D’azzurro, al castello al naturale, torricellato di uno, merlato alla guelfa, aperto, finestrato e murato di nero; artigliata sulla sommità della torre una poiana al naturale, imbeccata e dal volo piegato” D.P.R 27 settembre 1962.
L’iride chiara indica un individuo giovane, scura un adulto
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