Con i Piedi per Terra | 39

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arte storia e natura prodotti tipici

N. 39 - Novembre/Dicembre 2020 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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RISPETTO RAGIONEVOLEZZA RESPOSABILITÀ LE TRE “R” PER USCIRE DAL TUNNEL

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Numero 39

Direttore responsabile: Mauro Gambin Editore: Speak Out srl di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) info@speakoutmedia.it

Sommario LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE

Natale senza cin-cin, persi 1,2 miliardi di vendite

AD OGNUNO IL SUO CALICE

Hanno collaborato a questo numero: Silvano Bizzaro Emanuele Cenghiaro Mattia De Poli Michele Grassi Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Anna Maria Pellegrino Michele Pigozzo Ada Sinigalia Roberto Soliman Aldo Tonelli Massimo Trevisan

Cinque “etichette” dal territorio per le Feste

PANORAMA GASTRONOMICO “Bigoli in salsa” e l’antico sapore della Vigilia

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La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana, l’autrice è Sara Piovan

2020 - Periodico - Febbraio

INO SAN VALENT ALE E CARNEV TRA FEDE RE E FOLKLO Magazine

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con i piedi per terra n° 46) art. 1,

comma 1, NE/PD

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27/02/2004 - D.L. 353/2003

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- Agosto 2020

LA RICERCA DELLE IDEEIDOTO COME ANT AI GIOCHI DI POTERE

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- D.L. 353/2003

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27/02/200

Editoriale:

N. 35 - Gennaio

Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari)

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N. 37 - Luglio

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N. 36 - Aprile - Maggio 2020 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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4 n° 46) art.

Tiratura: 10.000 copie Diffusione: periodico bimestrale Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013

1, comma 1,

Giornale chiuso in redazione il 28 ottobre 2020

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“Le nostre carni sono ottenute da “sorane” di razza charolaise francese, carni tra le più tenere, dalla grana fine e con pochissimo grasso di copertura” AZIENDA AGRICOLA FONTOLAN Via Argine Sx, 61 - 35024 Bovolenta (PD) - Tel 049 5347142 - info@aziendaagricolafontolan.it www.aziendaagricolafontolan.it - ORARI D’APERTURA: VENERDÌ 15.30 - 19.30 e SABATO 9.00 - 12.15 e 15.30 - 19.30


EDITORIALE di Mattia De Poli

LE TRE “R” PER USCIRE DAL TUNNEL Perché gli uomini non sono nati per “viver come bruti”, ma per “seguir virtute e canoscenza”

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un altro anno volge al termine. Lieti di poter voltare pagina ancora una volta, ma con una strana sensazione di vita non vissuta. Dai festeggiamenti dell’ultimo Natale e Capodanno sembra che sia trascorsa un’eternità. I ritmi frenetici dei primi mesi del 2020 sono un ricordo lontano. Quando è scoppiata la pandemia, il mondo ha gradualmente rallentato la sua corsa, tranne che per quanti si sono trovati in prima linea. All’inizio ci siamo seduti come spettatori davanti ad uno schermo, ma questo nostro scudo un po’ alla volta ci ha fagocitato. Dentro uno schermo - che sia quello del computer, del tablet o dello smartphone non fa differenza - abbiamo trascorso la Pasqua, il 25 aprile, il primo maggio. Quello schermo si è mangiato due mesi in un boccone: affetti e amicizie, gioie e dolori, profumi e colori della primavera. L’ultima volta che ci siamo salutati con un abbraccio avevamo i guanti e la sciarpa di lana. Quando ci siamo ritrovati, mantenendo rigorosamente la distanza interpersonale di almeno un metro, avevamo maglietta, pantaloncini e… mascherina, nemesi del Carnevale che non è stato possibile festeggiare. Dietro lo schermo abbiamo ammirato l’impegno di tanti operatori sanitari, che sono stati additati come eroi. Sono sbocciate le rose ma non c’è rosa senza spine, e sono fiorite le discussioni e le polemiche. A quelle tra politici siamo da tempo abituati e a vederli mobili “qual piuma al vento” nessuno è rimasto sorpreso: la novità sono stati i medici mediatici che hanno animato quotidiani e interminabili talk-show e si sono contesi le prime pagine dei giornali. Ai divertimenti e alla vacanza

estiva in pochi hanno rinunciato: la parola d’ordine era “ritorno alla normalità”, ma di fatto è stata una corsa a recuperare il tempo perduto e a cogliere l’attimo. All’inizio della pandemia ci siamo consolati con lo slogan “andrà tutto bene”, ma non ci abbiamo creduto veramente e soprattutto nessuno sapeva quando avremmo definitivamente superato l’emergenza, e nessuno ancora lo sa. Abbiamo iniziato presto a non credere neppure al secondo slogan simbolo di quest’anno: “ne usciremo migliori”. Se questa esperienza sortirà effetti positivi, solo il tempo potrà dirlo: per il momento l’umanità sfiduciata si è soltanto abbruttita. Finora abbiamo assistito agli effetti di fughe di notizie e di cattiva gestione della comunicazione, che alimentano il senso di incertezza e scatenano il panico. Abbiamo potuto osservare come nascono idee complottiste e negazioniste: le foto e i video sarebbero stati fatti ad arte, i dati alterati, tutto allo scopo di impressionare, ingannare e manipolare l’opinione pubblica. Dobbiamo difenderci da forme di dittatura che limitano la libertà individuale? O da sofismi e capricci individualisti che minacciano la salute della comunità? Un nemico c’è, invisibile e inafferrabile: inutile sfogare la propria frustrazione contro mulini a vento o nemici immaginari. Ragionevolezza, responsabilità, rispetto sono le tre “r” che possono guidarci alla fine di questo tunnel, oltre le colonne d’Ercole, portandoci ad una nuova riva. Ancora con i piedi per terra. Perché, come ammonisce l’Ulisse dantesco, gli uomini non sono stati fatti per “viver come bruti”, ma per “seguir virtute e canoscenza”.

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PER GLI

ACQUISTI DI NATALE “STIAMO VICINI” SCEGLIAMO I PRODOTTI DEL NOSTRO

TERRITORIO

La vicinanza è diventata un problema in questi tempi di epidemia. Le prescrizioni anti Covid 19 vanno in segno contrario al significato di unione che è proprio del Natale. La vicinanza, l'incontro, la condivisione sono i significati che fanno di questa festa la più importante e la più attesa del calendario. Eppure quest'anno dovremmo viverlo senza abbracci, senza baci, senza nessuna stretta di mano neanche se profumata di alcol. La distanza è un metro e non sembrerebbe neanche tanto, un metro, eppure in questo ristretto spazio ci stanno tutti i gesti e i segni che la nostra specie ha inventato per dimostrare affetto, stima, sentimento, amore, appartenenza. Ma forse un gesto è possibile, per evidenziare un legame. È potrebbe essere proprio quello di scegliere il territorio per gli acquisti delle Feste. Ossia rivolgersi alle cantine, ai pastifici, ai molini, alle macellerie, ai ristoranti, ai frantoi insomma alle piccole aziende che stanno attorno a casa nostra per i regali, la spesa di tutti i giorni o per preparare i pranzi e i cenoni, seppur in presenza ristretta, che anche quest'anno sottolineeranno il Natale. Preferire il piccolo produttore agli affollati centri commerciali potrebbe essere un modo per fare gli acquisti in sicurezza, ma ascoltare la sua storia, di come ha vissuto quest'anno così particolare, potrebbe portare alla riflessione e magari alla convinzione che è proprio in momenti come questo che è importante rimanere vicini. E allora una spesa a chilometri Ø potrebbe davvero essere una piccola trasgressione alle distanze imposte per ridurre il contagio e un'azione che fa bene all'economia locale


LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE di Ada Sinigalia

Le Feste senza brindisi COSTERANNO 1,2 MILIARDI DI EURO AL MONDO DEL VINO ITALIANO Il settore vitivinicolo sarà tra i più colpiti a causa delle limitazioni. Novità delle Feste 2020, il Prosecco rosé Doc

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LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE Manca poco alle festività e di certo c’è solo l’impazienza di salutare questo 2020 funestato dalla pandemia. In un anno in cui sono drasticamente cambiate le abitudini di ciascuno, non solo in Italia ma in tutto il mondo, la socialità ha subito drastiche limitazioni senza precedenti. Con molta probabilità il Natale e il Capodanno potranno essere festeggiati tra poche persone al ristorante e per lo più a casa. Addio quest’anno ai pranzi tra parenti di Solo un’azienda su 10 vario grado aumenterà il proprio business e alle feste nei locali mentre per 7 imprese su 10 con cene le vendite totali vireranno e balli di in negativo gruppo. Le festività senza brindisi potrebbero costare 1,2 miliardi di euro, ovvero la cifra spesa lo scorso anno dagli italiani, in casa e fuori, che stapparono 74 milioni di bottiglie di spumante per festeggiare l’inizio del 2020. Proprio il Coronavirus rischia di sconvolgere un perio-

Anche la fortissima contrazione degli arrivi enoturistici stranieri nel nostro paese, stimata in diminuzione per l’87%, ha creato grossi problemi alle aziende

do che è anche il momento in cui si registra il picco di domanda di spumanti e di vino, il settore enologico sarà più colpito a tavola dalle limitazioni dei festeggiamenti, dalla chiusura di ristoranti e locali pubblici, dal divieto di feste private e tradizionali veglioni (che vedono 9 persone in media a tavola, secondo l’indagine Coldiretti/Ixè), dai limiti posti agli spostamenti dal coprifuoco, fino all’invito a non ricevere in casa persone non conviventi. Il crollo delle spese di fine anno a tavola e sotto l’albero rischia così di dare il colpo di grazia ai consumi di vino degli italiani. Solo un’azienda vitivinicola italiana su 10 aumenterà il proprio business nel 2020, mentre per 7 imprese su 10 le vendite totali vireranno in negativo. È quanto emerge dall’indagine dell’Osservatorio

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Vinitaly-Nomisma Wine Monitor presentata nel corso del Summit internazionale “Il futuro del vino: visioni differenti, unica prospettiva”, preview di wine2wine che si è tenuto dal 21 al 24 novembre a Veronafiere in formato virtuale. Secondo l’indagine, svolta su un panel di 165 aziende (4 miliardi di euro il fatturato cumulato, di cui 2,5 miliardi relativi all’export, circa il 40% del totale Italia), la generale difficoltà delle imprese deriva dal calo delle vendite nei canali horeca (ristoranti e bar), nel dettaglio specializzato per 3 produttori su 4, dell’export per il 63% delle aziende e della vendita diretta in cantina, il cui gap è generato anche dalla fortissima contrazione degli arrivi enoturistici stranieri, in diminuzione per l’87% degli intervistati. Per quanto riguarda l’export, evidenzia la ricerca, l’impatto della pandemia varia a seconda dei casi. Per l’Italia il 2020 si chiuderà con un taglio stimato pari al -4,6% delle esportazioni rispetto all’anno precedente soprattutto per effetto del calo negli Stati Uniti e Germania che sono i due principali consumatori di vino italiano all’estero. Ad essere danneggiata è soprattutto la vendita di vini di alta qualità che trova un mercato privilegiato di sbocco in bar, alberghi e ristoranti. Un colpo pesante che si aggiunge a quello derivante da blocchi o limitazioni di altre attività che sono direttamente o indirettamente connesse al consumo di vino, come feste, matrimoni, convegni, congressi, fiere e spettacoli. In controtendenza sono le vendite nella Gdo italiana (Grande distribuzione organizzata), in crescita per il 51% degli intervistati, e il boom dell’online, riscontrato da 8 opeE-coomerce: ratori su 10. L’ e - c o m - Tannico ha segnato un +100% merce del Wineowine +700% sul 2019 vino è un Vino75 ha triplicato gli affari fenomeno che per alcune grandi aziende è iniziato prima della pandemia mentre per altre è esploso proprio durante la scorsa primavera. L’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del Covid-19 e il conseguente lockdown hanno infatti portato al crollo della domanda di vino nei canali tradizionali. Con un ritardo significativo rispetto a quanto accade nel resto del mondo, molti italiani hanno dirottato i propri acquisti di vino sul web, soprattutto per il segmento legato ai consumi horeca, spesso poco rappresentato in Gdo. In base a quanto riportato dalla stampa di settore, la scorsa primavera le enoteche online hanno incrementato notevolemente i loro affari: Tannico ha fatto segnare un +100% delle vendite, Wineowine ha evidenziato un +700%


LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE di acquisti di bottiglie di grande valore rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre Vino75 ha triplicato il suo volume di affari. Secondo le elaborazioni di Nomisma Wine Monitor - Nielsen, nel primo semestre di quest’anno le vendite via web di vino degli operatori del largo consumo sono aumentate del 147%, contro una crescita degli specializzati che si è fermata a un +95%, sebbene questi ultimi siano stati responsabili dell’83% delle vendite e-commerce di vino in Italia. Le vendite, seppur in modo minore rispetto al periodo di chiusura totale dell’Italia, sono continuate anche dopo l’allentamento delle misure restrittive e le previsioni degli esperti evidenziano che l’e-commerce del vino continuerà a crescere. La novità di quest’anno per le festività è rappresentata dal Prosecco rosè Doc. Grazie alla pubblicazione nella

Le prime bottiglie di Prosecco rosè Doc potranno essere stappate a Capodanno

Gazzetta ufficiale europea è stata approvata la modifica, richiesta dal Ministero delle Politiche agricole, del

disciplinare di produzione del prosecco per l’introduzione della tipologia rosè con obbligo dell’indicazione dell’annata. Per L’obiettivo prefissato produrre la tipoper il Prosecco rosé Doc logia spumante è il 10% della produzione rosé la varietà di viti ammessa ovvero circa 50 milioni è Glera minimo di bottiglie di prosecco 85%-massimo rosé da immettere 90% e Pinot sul mercato nero vinificato in rosso minimo 10%-massimo 15%. L’arrivo della tipologia rosé rappresenta un importante arricchimento per il vino italiano: con la nuova offerta il prosecco si prepara a catturare un nuovo mercato che ha avuto negli ultimi anni una interessante crescita anche sui mercati esteri. L’obiettivo è il 10% della produzione, ovvero circa 50 milioni di bottiglie di prosecco rosé da immettere sul mercato. Le bollicine più famose al mondo possono ora vantare un ulteriore riconoscimento ufficiale ed incontrare il gusto dei consumatori sempre più attenti all’origine e al saper bere, dopo l’avvenuta iscrizione del sito “Le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene” nella Lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco lo scorso anno. Ci sono produttori che dichiarano di aver già venduto il prosecco rosè prima ancora di imbottigliarlo. L’impazienza da parte dei consumatori italiani e internazionali è tale, da indurre i distributori a prenotare la novità del 2020 con anticipo. Le prime bottiglie potranno infatti essere stappate per Capodanno. I Paesi più interessati alla nuova creazione sono soprattutto Regno Unito, Stati Uniti e Nord Europa.

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FEASR

FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: L’EUROPA INVESTE NELLE ZONE RURALI

Questo articolo è stato scritto da Alessandro Pasini ed Elena Rollo

A.Ve.Pro.Bi. aderisce al progetto della Fondazione Yves Rocher per il rimboschimento del mondo L’Associazione Veneta dei Produttori Biologici e Biodinamici e Co.Ge.V. hanno coinvolto 17 aziende agricole nelle province di Verona, Padova, Treviso, Rovigo per la piantumazione di 10.650 piante arboree e 9.350 piante arbustive È un dato di fatto: la biodiversità è a rischio in questo momento. Epclimatico, prevengono la desertificazione, proteggono la biodiversipure il nostro futuro dipende da questo. tà, forniscono innumerevoli benefici ecologici, contribuiscono allo La Yves Rocher Foundation recentemente ha deciso di sostenere un sviluppo economico e preservano il futuro delle nostre popolazioni. progetto di rimboschimento diffuso, il cui Cosa viene fatto in Italia? La Fondazione L’obiettivo è quello di piantare Yves Rocher, attraverso la collaborazione obiettivo è quello di piantare 100 milioni di 100 milioni di alberi alberi in tutto il mondo in modo tale che, tra A.Ve.Pro.Bi. – Associazione Veneta dei in tutto il mondo per aiutare insieme alla comunità delle persone che vi Produttori Biologici e Biodinamici e Co.Ge.V. aderiscono, si aiuti la biodiversità a riconqui– Cooperativa Gestione Verde (studio di la biodiversità a riconquistare stare il suo posto nel pianeta. progettazione agronomico-forestale ed amil suo posto nel pianeta Il mondo ha perso il 40% delle sue foreste. bientale impegnata da 40 anni nel ripristino Molteplici disastri climatici e umani che si stanno svolgendo davanti delle formazioni arboreo-arbustive in ambito agricolo di pianura), ai nostri occhi ci ricordano l’emergenza ambientale che dobbiamo si impegna a sostenere le spese necessarie per la realizzazione del affrontare. L’idea della Fondazione Yves Rocher è quella di “combatprogetto, in particolare l’acquisto del materiale vegetale, i pali tutotere” una battaglia globale con una “tribù di piantatori di alberi” per ri, le protezioni individuali, le pacciamature biodegradabili, nonché ringiovanire il suolo, contenere l’avanzamento dei deserti e ricollele azioni di progettazione, informazione, formazione e divulgazione gare gli esseri umani con l’infinita energia della natura e degli alberi. del progetto. Ogni singola azienda, interessata alla realizzazione Ogni anno vengono distrutti 13 milioni di ettari di foreste. Eppure, gli di impianti arboreo ed arbustivi presso i propri terreni, contribuisce alberi sono i pilastri della nostra terra. Combattono il cambiamento con il proprio personale e le proprie attrezzature a co-finanziare il Iniziativa pubblicitaria finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020. Organismo responsabile dell’informazione: El Tamiso Società Cooperativa Agricola. Autorità di gestione: Regione del Veneto Direzione AdG FEASR e Foreste

Beneficiario e capofile del progetto aggregato

Partecipano al progetto aggregato anche i seguenti consorzi


FEASR

FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: L’EUROPA INVESTE NELLE ZONE RURALI

Il mondo ha perso il 40% delle sue foreste. Molteplici disastri climatici e umani ci ricordano l’emergenza ambientale che dobbiamo affrontare

progetto, comprese le spese di messa a dimora del materiale e di mantenimento dello stesso nel tempo. Aveprobi ha coinvolto 17 aziende agricole nelle province di Verona, Padova, Treviso, Rovigo ed anche una realtà nell’Isola di Ventotene (LT), per un totale di 10.650 piante arboree e n. 9.350 piante arbustive. Le specie che sono state scelte da Co.Ge.V. sono moltissime in funzione delle caratteristiche del territorio e degli habitat in cui verranno messe a dimora. Tra di esse troviamo: farnia, acero campestre, Iniziativa pubblicitaria finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020. Organismo responsabile dell’informazione: El Tamiso Società Cooperativa Agricola. Autorità di gestione: Regione del Veneto Direzione AdG FEASR e Foreste

carpino bianco, carpino nero, nocciolo, pioppo nero, pioppo bianco, olmo campestre, ciliegio selvatico, ciliegio canino, biancospino, spincervino, ginepro, tiglio selvatico, noce comune, frassino, leccio, pino marittimo, pino domestico e molte altre. Le prime piantumazioni inizieranno tra novembre e dicembre di quest’anno e termineranno nei primi mesi del 2021. Aveprobi e CoGeV sono fiduciose di ampliare il progetto con la Yves Rocher Foundation con nuove aziende e nuovi impianti nel 2021. Beneficiario e capofile del progetto aggregato

Partecipano al progetto aggregato anche i seguenti consorzi


L’ELZEVIRO di Eliano Morello

IL PREZZO È

INGIUSTO Il problema della redditività per le imprese agricole è serio. Tanto che molte stanno decidendo di smettere definitivamente alcune produzioni

S

ulla mia scrivania da qualche settimana tengo una foto, me l’ha invita un produttore di pere e ritrae l’estirpazione del suo frutteto. Purtroppo non è l’unica, in queste settimane molti produttori mi hanno segnalato che inizieranno le operazioni di abbattimento dei loro impianti: due nella Bassa padovana, uno nel conselvano; un produttore biologico nel rodigino, due nella bassa veronese. Ma questo è solo un elenco pervenutomi da coltivatori che seguo personalmente. È facile immaginare che il problema sia molto più esteso rispetto all’esperienza che posso riportare, anzi sicuramente è così.

Alternaria del melo

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Gloeosporium su mele

Del resto i problemi che affliggono il settore primario sono molteplici: vanno dalle malattie, come l’alternaria delle pere Abate o l’antracnosi delle mele, oppure i raccolti mandati in malora da insetti come cimice asiatica, ma su tutto pesa la politica dei prezzi. La reddittività in campagna sta diventando un problema serio. Il reddito ricavato, o meglio il non ricavato, dopo mesi e mesi di lavoro, di sacrifici, di spese per trattamenti e personale per la raccolta, non è più sufficiente per proseguire le attività. Molti fruttiUna delle cause coltori dopo due o della svalutazione tre anni di bilanci di frutta e verdura in rosso hanno deciso di chiudere. E è la disorganizzazione io penso che chi del mondo produttivo esce ora dalla frutticoltura o dall’orticoltura non vi rientrerà mai più. È una perdita di professionalità, di investimenti in campagna, di produzione. A soffrire sono soprattutto le aziende di piccole dimensioni, nonostante il palliativo della vendita diretta. L’ortofrutta, per esempio, è fatta di tanti piccoli produttori e condotta da aziende famigliari, ma quando queste devono vendere i loro prodotti sono massacrate da un “mercato” che non tiene conto degli investimenti, delle crisi, dei sacrifici che sono necessari per portare i pro-


Giuseppe Boscolo Palo:

L’ELZEVIRO

“SERVE UN CATASTO DELLE PRODUZIONI” SECONDO IL PRESIDENTE DEL CONSORZIO DI TUTELA DEL RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP È L’UNICO STRUMENTO CHE PUÒ GARANTIRE UN COSTO CERTIFICATO

“I prezzi in agricoltura rappresentano un problema soprattutto per i produttori - spiega il presidente del Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia Igp, Giuseppe Boscolo Palo - e le cause sono per lo più interne al mondo produttivo. Questo è suddiviso in una miriade di piccole, piccolissime, aziende che raramente trovano organizzazione all’interno dei percorsi che portano alla formazione del prezzo sul mercato o ad affrontare le crisi all’interno dei vari settori produttivi. Ma sono anche le forme e i sistemi di rappresentanza a dover essere riformulati. Riporto l’esempio della recente istituzione del “Tavolo strategico Ortofrutticolo” da parte della Regione Veneto al quale siedono una decina di associazioni di produzioni, ma dal quale sono totalmente esclusi i mercati ortofrutticoli o le IGP. È importante, a mio avviso, che anche queste realtà possano trovare voce e attenzione nell’affrontare temi delicati come la reddittività in campagna. Ritengo, inoltre, indispensabile un catasto orticolo. Un’anagrafe in cui ogni produttore dichiara le produzioni in essere. Con il catasto assieme al riconoscimento certificato dei costi da un ente terzo (Ministero, Veneto Agricoltura, Avepa) si potranno sviluppare azioni e strategie per dare dignità, con un giusto prezzo, ai produttori”.

dotti a completa maturazione, basta una minima quantità in più disponibile per far crollare domanda e prezzi. L’agricoltura è spesso accusata di non sapere cosa produrre, quanto produrre e come produrre, come se questa attività fosse programmabile nel giro di qualche mese (produrre beni agricoli non è come fare bulloni o mascherine). Quando va bene - tra programmazione e raccolta - passano diversi mesi, è il caso dei cereali, ma quando va male L’Italia è battuta occorrono alcuni da molti competitori anni, con grandi investimenti, come stranieri. Non siamo nel caso di frutteti autosufficienti e vigneti. Ecco alper molti prodotti, lora fiorire contratti a partire dal grano di filiera per cercare di arrotondare il valore dei nostri prodotti: cereali, nocciole, pomodoro, e così via. Spesso il vantaggio è solo ad appannaggio dell’industria in quanto tutti i rischi sono in carico al produttore. Anche nei contratti di filiera i prezzi sono stabiliti a monte, mai a valle. A valle i produttori agricoli sono in competizione tra loro, cercano di vendere il loro prodotto a tutti i costi, magari scegliendo la strada del ribasso o dell’accettazione di qualsiasi compromesso (scarto, tagli, revisione prezzi, contestazioni su qualità, ecc.). Qualche anno fa molti si sono

scandalizzati per il prezzo delle mele a 3 centesimi al kg (mele da destinare all’industria dei succhi o del sidro o dell’alcool); poi questa è diventata quasi una regola, non l’eccezione, per la quale non ci si scandalizza più. Abbiamo assistito, incapaci perfino di stupirci, all’offerta agostana di angurie a 1 centesimo al kg. Vergognoso.

Il mercato non tiene conto degli investimenti e dei sacrifici che sono necessari per portare i prodotti a completa maturazione, basta una minima quantità in più disponibile per far crollare domanda e prezzi

Ma in un carattere minuscolo sotto al prezzo esposto c’era anche la beffa: “Al produttore è stato riconosciuto il giusto prezzo”! Quale giusto prezzo, e per chi? Chi stabilisce il costo di produzione? Manca, e non solo in Italia, un efficace sistema di misurazione del livello puntuale di prezzo per le produzioni agricole e agroalimentari all’ingrosso. Le Commissio-

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L’ELZEVIRO ni Provinciali Prezzi furono istituite presso le Camere di Commercio nel 1934 e, da allora, funzionano più o meno allo stesso modo: le indicazioni di prezzo rese pubbliche sono il frutto di una mera “negoziazione” tra i selezionati membri delle Commissioni e raramente riflettono il vero valore di scambio reale dei prodotti. Qualcuno sostiene che la colpa sia da attribuire solo alla GDO, la grande distribuzione organizzata dei super-

Le colpe non sono da attribuire solo alla GDO, l’industria di trasformazione riconosce altrettanto poco alle aziende mercati, ma in realtà il problema è ovunque. Le industrie di trasformazione non si comportano in modo diverso, le Cooperative si trovano tra incudine e martello e spesso stanno dalla parte del più forte, ossia non dalla parte dell’agricoltore. Quando la ministra Bellanova sostiene che il consumatore “dovrebbe” rifiutare di acquistare prodotti ortofrutticoli chiaramente sotto il costo di produzione, ho l’impressione che non sappia quello che dice: quali sono i costi di produzione, chi li stabilisce? Coldiretti? Cia? L’unione agricoltori? Il mercato? Il consumatore può comprendere qual è il confine tra il giusto costo di un prodotto e il prezzo da speculazione? Se fosse vero molti discount che propongono il “sotto costo” avrebbero già chiuso da tempo!!! Ricordo, amaramente, un episodio risalente ancora al 2010: il direttore commerciale di una Cooperativa frutticola mi disse che sarei diventato un bravo tecnico quando fossi riuscito a far produrre mele (ai nostri soci) a 10 centesimi il kg!

È difficile se non impossibile diventare bravi quando solo per la raccolta delle mele, con personale in regola, i costi incidono per 7-8 centesimi il chilogrammo. Giudicate voi che tipo di personaggi tirano a volte le fila del mercato! Ma il consumatore questo non lo sa: non è al corrente del lavoro che sta dietro al prodotto che acquista. Il punto a mio avviso è che manca una voce di filiera e il settore, a livello mediatico, pecca di autorevolezza. Forse qualcuno pensa che il problema sarà risolto con la vendita diretta, con il km zero, con i GAS (gruppi di acquisto solidali), con le bancarelle lungo le strade, con internet? Ma questo sistema non tiene sulla scena internazionale di un mondo globalizzato, dove la popolazione continua ad aumentare e le città diventano centri da approvvigionare quotidianamente. L’Italia, in particolare in agricoltura, è battuta da molti competitori stranieri; non siamo autosufficienti per molti prodotti, a partire da grano tenero e duro, le nostre aziende e le loro aggregazioni sono spesso disorganizzate, disaggregate, polverizzate, dirette spesso da personale incompetente, perché quando mancano le risorse economiche, anche la scelta di un direttore commerciale può cadere sulla persona che costa meno. Ammesso che la scelta poi venga fatta in autonomia e libertà e non pilotata da clientelismi, nepotismo o interferenze di organizzazioni professionali. Collegate i punti e il quadro è abbastanza desolante. Non so ancora quanti ettari di frutteto verranno abbattuti o altre produzioni abbandonate quest’inverno, ma non saranno pochi e quello che sconforta di più è che tutto avverrà nel più totale silenzio.

Il consumatore non è al corrente di quello che potrebbe essere il giusto prezzo, quindi è impossibile il boicottaggio degli acquisti dei prodotti su cui c’è stata speculazione

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FEASR

Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

1 ma edizione

“RADICIO DE VERO” Il Consorzio di tutela premia l’autenticità, il lavoro e chi ha contribuito a rendere celebre il nome di Chioggia Il vero radicchio e il radicchio “de vero”, gioca sul significato che la parola “vero” acquisisce in dialetto veneto il premio nato per rafforzare l’originalità del Radicchio di Chioggia Igp. In Veneto, infatti, si produce più di metà del radicchio di tutta l’Italia, il radicchio di Chioggia è primo per superficie coltivata e quantità di produzione, mentre in tutto il mondo si sono diffuse tipologie che lo imitano, ma non lo eguagliano. Il vero Radicchio di Chioggia Igp, insomma, è quello che oltre a riportare i loghi comunitari ha alle spalle un secolo di storia ed è ottenuto da seme autoctono conservato gelosamente e tramandato dalle famiglie degli ortolani, che le coltivano secondo

A causa del Covid-19 la cerimonia di premiazione è avvenuta solo alla presenza delle telecamere

un rigido disciplinare nel territorio di 10 comuni delle tre provincie contermini di Venezia, Padova e Rovigo. Un’unicità e una veridicità che il Consorzio di tutela custodisce ormai da più di dieci anni e che oggi è diventata motivo di un premio rivolto a riconoscere l’impegno e la costanza di chi, con il proprio lavoro, ha contribuito a far

conoscere il nome di Chioggia e del suo territorio. Così sono tre le persone a cui il presidente del Consorzio di tutela, Giuseppe Boscolo Palo, l’11 dicembre scorso ha assegnato il “Radicio de Vero”. Per la “cultura”, la commissione del Premio, formata da rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni locali, ha identificato il nome di Pierluca Donin in ragione dei 24 anni di organizzazione delle “Baruffe in Calle”, lo spettacolo itinerante il cui allestimento richiede la collaborazione di musicisti, comparse, barche storiche e soprattutto il coinvolgimento di Chioggia come scenografia naturale dello spettacolo. Per lo “sport”, invece, il “Radicio de Vero” è andato al calciatore chioggiotto Franco Cerilli, storica ala destra che ha militato in serie A tra gli anni ’70 e ’80 con le maglie dell’Inter e del Lanerossi Vicenza, e per la categoria “Economia” il premio è andato a Cesare Bellò, vero

Premiati: Pierluca Donin per la cultura, Franco Cerilli per lo sport e Cesare Bellò per l’economia

esperto del settore ortofrutticolo, ex direttore di Opo Veneto, riconosciuto anche dal MacFruit di Rimini come “Uomo del Radicchio”. “Il premio – spiega Giuseppe Boscolo Palo – riassume tre concetti chiave per il nostro Consorzio: l’autenticità, nel senso del vero, il lavoro e il conseguimento di quella promozione del territorio di cui anche il nostro Radicchio è a tutti gli effetti ambasciatore. Abbiamo allargato il coinvolgimento dalla terra alla laguna, facendo realizzare il premio ad una premiata fornace di Murano, perché non poteva che essere un altro storico e caratteristico ‘mestiere’ lagunare a produrre un “oggetto” prezioso con cui premiare l’impegno”. Partecipano al progetto aggregato: Iniziativa finanziata dal PSR per il Veneto 2014-2020 Organismo responsabile dell’informazione: O.P.O. “Veneto” S.C.A. Autorità di gestione: Reg. Veneto - Direz. AdG FEASR e Foreste


CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO

AL VIA UNA SERIE DI INTERVENTI PER MIGLIORARE LA SICUREZZA IDRAULICA Il sistema Vitella-Sorgaglia, nel Conselvano, e l’idrovora Vampadore nel Montagnanese sono interessati da cantieri che porteranno ad un importante potenziamento È in esecuzione avanzata il nuovo canale allacciante del sistema di bonifica Vitella-Sorgaglia che servirà per aumentare la sicurezza idraulica delle aree agricole ed urbanizzate nei comuni di Bagnoli di Sopra, Arre ed Agna e garantire la presenza acqua ad uso irriguo in una porzione del territorio pressoché del tutto sprovvista. L’intervento interesserà i due bacini idraulici, a esclusivo deflusso meccanico delle idrovore vetuste e solo in parte ammodernate, grazie ad un collegamento che verrà realizzato sia attraverso la posa di una condotta, lunga 1.420 metri di materiale plastico rinforzato del diametro di 600 mm, sia attraverso l’escavo ex novo di L’idrovora Vampadore è ancora un canale che avrà la lunghezza dotata delle pompe di 4.302 metri, di cui 538 metri diesel degli anni ’20. saranno in tubazione prefabbriCon l’elettrificazione cata in cemento, e la realizzai metri cubi di acqua zione di dieci nuovi manufatti a sollevata al secondo servizio del nuovo corso come: passeranno ponti, sostegni e impianti per la da 10 a 16,5 gestione delle acque. L’intero costo dell’intervento ammonta a 2.9 milioni di euro ottenuti da un finanziamento della Regione Veneto. Fa parte dello stesso intervento anche il monitoraggio della qualità delle acque dei

canali per il controllo di poten- Per il potenziamento della bonifica ziali inquinanti: l’attività è già nei comuni in corso, ma continuerà per di Bagnoli di Sopra, alcuni anni. Sulla cabina eletArre ed Agna trica a servizio dell’impianto verrà realizzato idrovoro “Sorgaglia”, invece, si stanno eseguendo i lavori l’escavo di un canale di 4.302 metri per la sostituzione del manto di copertura, danneggiato dalle avversità atmosferiche del settembre-ottobre 2020. Un intervento urgente e quanto mai necessario visto che l’impianto è posto a servizio di un bacino

La copertura della cabina elettrica a servizio dell’impianto idrovoro “Sorgaglia”

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di 2.777 ettari e solleva circa 5.550 litri al secondo, attraverso 2 pompe sommerse di recente installazione e una pompa centrifuga. Il cantiere è stato assegnato alla ditta incaricata lo scorso 2 novembre, con un importo di 36.785 euro, e prevedendo 60 giorni utili per la sua ultimazione i lavori dovrebbero concludersi entro il 31 dicembre 2020. E anche l’Idrovora Vampadore, nel comune di Megliadino San Vitale, verrà interessata da lavori di ammodernamento. In questo caso saranno i motori delle turbine ad essere sostituiti.

L’impianto, infatti, è ancora dotato delle pompe diesel degli anni ’20 che possono sollevare, e convogliare nel fiume Fratta, al massimo circa 10 metri cubi d’acqua al secondo, mentre con l’elettrificazione si potranno raggiungere i 16,5 metri cubi al secondo. L’intervento verrà coperto con un finanziamento regionale dell’importo di 650 mila euro e si realizzerà nel corso del 2021 permetteranno, anche, l’automazione dell’impianto attraverso telecontrollo da remoto.

Giuseppe Gasparetto Stori, 34 anni di onorato lavoro “In 34 anni di servizio per il Consorzio ho ideato e promosso la realizzazione di innumerevoli opere idrauliche di bonifica ed irrigue. Ma quelle delle quali vado più fiero sono sicuramente quelle che riguardano il disinquinamento della laguna di Venezia. Erano gli anni ’90 e si trattava delle prime innovative opere idraulico-ambientali, le più grandi realizzate in Italia dai Consorzi per la fitodepurazione, la sicurezza idraulica e come riserva irrigua. L’Oasi Ca’ di Mezzo, nota in Italia ed all’estero, è nata proprio in quegli anni”. I ricordi personali di Giuseppe Gasparetto Stori, che il prossimo 31 dicembre lascerà il suo posto al Consorzio di Bonifica Adige Euganeo per godersi la pensione, costituiscono un termine per la riflessione su quanto sia cambiato il territorio negli ultimi anni e quanto lo sia anche il ruolo dei Consorzi di bonifica. Dal 1987 è stato dipendente del Consorzio di Bonifica Adige Bacchiglione di Padova, prima in qualità di Capo Ufficio Esercizio e Manutenzione, successivamente dal 1991 come direttore tecnico dello stesso Consorzio e dal 1995 al 2010 direttore generale. Dopo la fusione del consorzio nell’attuale Adige Euganeo ha svolto la funzione di dirigente d’area tecnica del nuovo consorzio.

“Nel 1987 sono arrivato al Consorzio di Bonifica Adige Bacchiglione di Padova, dopo altre esperienze svolte nel mondo della scuola e della libera professione, a quel tempo l’imperativo degli enti era quello di smaltire le acque delle precipitazioni nel più breve tempo possibile, oggi invece il compito è quello di governare ‘l’acqua’. Il clima degli ultimi anni ci ha abituati a lunghi periodi siccitosi e a precipitazioni torrentizie, c’è poi il problema della risalita del cuneo salino nei fiumi, dei PFAS, della subsidenza delle torbe, un bisogno crescente di impianti legati all’irrigazione: sicché è diventato fondamentale adattare

le strutture a queste nuove circostanze. Ma non sono gli unici cambiamenti ai quali ho assistito lungo la mia carriera: anche le persone sono cambiate. Dopo gli anni della cementificazione selvaggia l’ambiente gode di un rispetto maggiore, anche da parte dei cittadini ed amministratori locali. Sono cambiati gli stessi ‘uomini del Consorzio’, negli uffici ci sono persone molto più preparate di ieri. L’Ente è in ottime mani”. Un commiato che comunque non è così facile come sembra, anche perché con il congedo dell’Ingegnere è una lunga dinastia di Gasparetto ad interrompersi nella storia del Consorzio. “Rappresento la quarta generazione: dopo il bisnonno, il nonno, il papà e uno zio, la storia è destinata ad interrompersi. Spero che qualche nipote possa continuare questa tradizione. Io ho sempre considerato un privilegio lavorare in un’istituzione così antica. Si pensi che i consorzi hanno circa 500 anni e sono stati gli Amministratori e le persone passate dagli uffici degli enti omologhi agli attuali consorzi a modificare il paesaggio, a renderlo sicuro, fertile, vivibile. Sono passati i veneziani, i francesi, gli austriaci, il regno d’Italia ma i consorzi di bonifica non sono mai stati smantellati, segno dell’importanza che ricoprono nella gestione del territorio. E questa storia l’ho sempre avuta davanti agli occhi durante i miei anni di lavoro”. Una storia che è importante considerare anche per immaginare il futuro del Consorzio di bonifica Adige Euganeo. “Il continuo aggiornamento è fondamentale. Il domani non siaffronta solo con l’idraulica. I consorzi di bonifica lungo tutti i secoli della loro storia hanno dato risposta a tutti i cambiamenti climatici e sociali e così sarà per il futuro. Il consorzio ha una responsabilità ed un potenziale immenso, anche in termini divulgativi e didattici per le scuole per accompagnare le nuove generazioni nel loro rapporto con l’ambiente in cui vivono. Il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo continuerà ad occuparsi di tutti quegli argomenti che sono pertinenti al vivere nella propria terra”.

Tutto il Consorzio di bonifica Adige Euganeo esprime un grande ringraziamento all’ingegner Giuseppe Gasparetto Stori per il prezioso e illuminato servizio svolto con onestà e spirito di abnegazione

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Pastificio VisVita, la pasta fatta per migliorare il modo di nutrirci La sicurezza di una produzione artigianale che impiega solo cereali italiani macinati con mulini a pietra La forza vitale, questo significa VisVita, che nella pratica di tutti i giorni si traduce nella produzione di una pasta rigorosamente artigianale, studiata e realizzata con l’unico scopo di essere un alleato prezioso per la salute del nostro corpo. Ma non solo, a cascata la filosofia aziendale che ha puntato decisa per l’impiego di solo cereali del territorio fa bene alla campagna, la convinta scelta del Bio fa bene alla natura e la scelta di portare in tavola ogni giorno la pasta VisVita fa bene anche al portafogli. Perché cuoce in 5 minuti, l’impiego di farine integrali sazia molto di più delle paste industriali, quindi bastano 70 g La pasta che nasce dall’unione per una porzione, e perché VisVita è tra il bravo contadino, già buona così, basta poco sugo per aggiungere tanto sapore. Segreti non che ama e rispetta la terra, ce ne sono, ma alla base del processo produttivo ci sono solo molte attenla mano infarinata del mugnaio zioni rivolte a preservare quello che la che macina a pietra e l’amore natura fornisce già perfetto. Per questo i grani vengono macinati a pietra, perché è l’unico modo per mantenere di una mamma che vuole il meglio per i propri figli inalterati tutti gli elementi presenti nel chicco: il germe di grano, le vitamine, il magnesio, il potassio, gli olii essenziali e i sali minerali che costituiscono la principale fonte di energia nella nostra alimentazione. Una cura che continua durante la lavorazione, con la trafilatura in bronzo, e prosegue anche nelle fasi di essicazione usando basse temperature, attorno ai 30°, che non alterano il prodotto finale. La pasta VisVita nasce in tre giorni, un processo lento che tuttavia non basta per guardare anche all’esteriorità. Ma, tuttavia, qui non importa se le penne non sono perfettamente dritte, se la spirale dei fusilli non è perfettamente ellittica e se il colore non è di un giallo brillante, quello che conta davvero è cheinla pasta nutriente e vitale! di una produzione riEra un sogno, oraqui, è una concreta realtà: le macine qui sia unagenuina, nuova patria. All’eccellenza pietra francese del vecchio mulino della famiglia Zambon di Baone, sui Colli Euganei, sono tornate in funzione. Ma il sogno non era solo questo. Insieme alle due “mole” dedicate alla macina dei grani, un’intera offerta agroalimentare ha preso a girare attorno ai tempi distesi della civiltà contadina, collegando al passato il futuro dell’alimentazione sana, incentrata sulla filiera corta e sulla preservazione dei valori organolettici delle materie prime coltivate nel rispetto della natura. Il Molino degli Euganei, infatti, rappresenta il piccolo centro di trasformazione collegato a una campagna di 12 ettari dedicata alla produzione di cereali, da cui vengono ricavate le farine destinate anche ad essere trasformate in pasta. Grani antichi, come il Khorasan, ricchissimo di proteine e nutrienti, il farro monococco, il padre di tutti i frumenti, e il Senatore Cappelli: un grano duro che, tradizionalmente viene prodotto nel Sud Italia, ma in virtù della mineralità del suolo vulcanico euganeo e l’esposizione dei campi, che non permette ristagni di umidità, ha trovato

gorosamente a Km 0 si aggiunge la tradizione per la molitura a pietra. Nella vecchia barchessa di Villa Cà Dottori la famiglia Zambon, da tre generazioni, è custode della paziente rotazione delle macine: una destinata al mais, per la produzione di polenta gialla e bianca, e una per i grani da trasformare in farine integrali e semi-integrali. In entrambi i casi è lo stesso identico processo artigianale a guidare il lavoro, la macina “lenta”, minimizzando i giri al minuto, consente di preservare tutte le caratteristiche nutrizionali del cereale lavorato, mantenendo inalterati i suoi profumi e sapori originali.


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PASTA Una pasta ricca di vitamine e minerali per un’alimentazione equilibrata, ideale per grandi, piccoli, sportivi e buongustai Nella produzione VisVita vengono usati tre tipologie di grani bio: Senatore Cappelli, un grano antico che rappresenta l’Italia nella produzione di cereali. Ha grandi qualità organolettiche: basso contenuto di glutine e di zuccheri ed elevata presenza di oligoelementi Perciasacchi, un grano antico siciliano della famiglia khorasan. La qualità del glutine e il basso contenuto glicemico lo rendono facile da digerire e indicato per chi soffre di diabete e colesterolemia Farro monococco, una ricca fonte di sostanze nutritive. È apprezzato dagli sportivi per l’alto contenuto proteico e di vitamine, per il basso indice glicemico, la maggiore digeribilità Tutti lavorati in integrale per diventare: fusilli - penne e mezze penne - caserecce Tagliatelle prodotte con farina semi integrale, Integrale di farro, alga spirulina, zucca e canapa sativa

FARINA Per chi ama preparare da se, pasta, pane e dolci una selezione di farine macinate a pietra, intatte nei loro valori nutrizionali Gentilrosso, un grano tenero con poco glutine e un profumo di miele e latte. Perfetto per preparare dolci, ma anche pane e pasta Integrale tipo 1 e 2, farine che conservano al loro interno l’intero chicco e per questo hanno ottime caratteristiche nutrizionali. Ottime per pasta e pane Farina Bologna e Rebelde, sono entrambe farine di forza dotate della capacità di lievitare moltissimo e di mantenere la lievitazione nel tempo. Eccellenti per la panificazione Farina di mais: Rosso San Martino e Biancoperla, le migliori farine da polenta. Cuociono circa in 40 minuti e si consiglia una proporzione di farina/acqua di 1:4

Pastificio VisVita | via Leonardo Da Vinci, 52 | 35018 San Martino di Lupari (PD) Orari punto vendita: Venerdì 9.00/12.30 – 15.00/19.30 | Sabato 9.00/12.30 Tel. 049 7960196 | mail ordini@visvita.it | Facebook e Instagram per rimanere aggiornati


PANORAMA GASTRONOMICO a cura della redazione

LA

Pasta

È UNA LINGUA

Italiana

Dentro alla parola ci sono mille connotazioni che vanno oltre il semplice impasto di acqua e farina

U

na delle immagini più classiche del Natale è un contadina, ma la farina. Già 400 anni prima di Cristo bel piatto fumante di lasagne. Ovviamente mi Aristofane indicava con la parola “laganon” una piatta riferisco al “pasticcio” e la precisazione è d’obsfoglia il cui ingrediente principale era proprio il probligo, in quanto alle nostre latitudini il significato della dotto ottenuto dalla macinazione del frumento. Terparola trasla: le lasagne per noi sono quelle che gli altri mine che è passato poi quasi uguale alla civiltà latina chiamano tagliatelle e le nostre tagliatelle sono quel“laganum” che Orazio, in epoca augustea, ci informa le striscioline sottili-sottili che vanno cotte veniva tagliato a strisce. Sarebbe stato Già 400 anni in brodo. In ogni caso stiamo parlando di bello ci avesse detto anche come venivaquella specialissima produzione che un prima di Cristo no cotte, ma è da escludere venissero pritempo usciva in traslucide sfoglie dal matma bollite in acqua come accade adesso. Aristofane tarello della nonna per le feste comandate. indicava con la Poi le pasta riemerge dalle coltri del tempo Oggi con “a mano” si indicano anche quelmille anni più tardi e ovviamente per mano parola “laganon” di quegli arabi siciliani che ci riconsegnale strisce tirate con la macchinetta a manovella, ma come archetipo è meglio usare una piatta sfoglia rono le nostre origini classiche, dopo dieci l’immagine della sfoglia avvolta sul liscio il cui ingrediente secoli di scorrerie barbare. Nel 1154, infatlegno e pazientemente tirata a mano, rigiti, un geografo arabo, Al Idrin, parla di un principale era rata da un verso e dall’altro, e infine spia“cibo di farina in forma di fili” che veniva la farina nata con la complicità di qualche tattica prodotto a Palermo, confezionato in botti e spruzzata di farina. La pasta all’uovo è l’immagine che spedito in tutta Italia. Forse erano gli spaghetti e quindi ci avvicina di più alle origini, a quelle dei nostri ricordi è da escludere che questi siano stati portati in Italia ma forse non agli albori della nascita della pasta. L’eda Marco Polo dalla Cina, anche perché il frumento lemento principale, infatti, non sono le uova, che con nel Celeste Impero era piuttosto raro. Insomma, come una certa facilità potevano essere trovate in ogni casa sempre, è difficile tornare così indietro nel tempo e tro-

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PANORAMA GASTRONOMICO

Con “fatta a mano” si indica anche la pasta tirata con la macchinetta a manovella

vare le origini di un prodotto che più probabilmente è nato più volte e in diversi posti tra il Medio Oriente e il Mediterraneo classico come evoluzione del grano. Tuttavia è difficile pensare che esista un prodotto più italiano della pasta. Perché è comunque qui che ha trovato la migliore interpreNel 1154 tazione, tanto da diventare il geografo arabo una sorta di immagine riconosciuta nel mondo, anche Al Idrin parla se non del tutto positiva, di un “cibo bisogna dire. “Maccaroni”, di farina “mangiaspaghetti” venivain forma di fili” no definiti i nostri migranti, che veniva oppure “spaghetti&manprodotto dolino” è uno dei binomi a Palermo sbeffeggianti il Bel Paese se volessimo tralasciare confezionato in botti e spedito il piatto di spaghetti con la pistola che nel 1977 diin tutta Italia venne la copertina della rivista tedesca “Der Spiegel”. Tuttavia non sono stati solo “gli altri” ad associare alla pasta il carattere degli italiani, qualche esempio lo troviamo anche nella poesia nazionale, anzi proprio quella di un padre della letteratura di casa nostra: Giovanni Boccaccio, che nella III novella dell’VIII giornata del Decamerone racconta la vita di ciò che accade nel Paese del Bengodi. “In mezzo alla campagna, a guisa di pentolone, s’erge un basso colle; ricco d’acqua bollente, dove sovra stan genti, che niuna cosa fan Il piatto di spaghetti con la pistola che nel 1977 divenne che far bìgoli, cuocergli la copertina della rivista tede- in tal acqua, condirli con sca “Der Spiegel” liquor d’ulivi, e chi più pi-

glia più se n’ha”. A parte una certa “oziosità” che è rimasta attaccata con l’amido della pasta dell’immagine degli italiani, quella descritta dal sommo poeta è forse la prima narrazione della “pasta in bianco”, anche se qualcuno potrebbe obbiettare che “quella vera” ha il burro. Questione di latitudini, anzi di dislivello: alla quota dove vivono gli olivi la pasta ha l’olio, a quote più elevate è stato il burro ad avere il sopravvento. Tuttavia stiamo parlando di un È da escludere piatto che nel Medioevo che gli spaghetti godeva di grande considerazione e che solo recente- siano stati portati mente è stato considerato in Italia una portata per diete o per da Marco Polo ammalati, salvo tornare in dalla Cina auge negli ultimi anni con il anche perché riaffermarsi della dieta meil frumento diterranea. Infatti, in questo stare “leggeri” e non nel Celeste Impero punirsi nei sapori e nei proera piuttosto raro fumi, i “Bìgoli co òjo” sono fra i migliori esempi di preparazione poco elaborata. Per questo in tante case del Veneto, meno di qualche decennio fa, era ancora presente e funzionante il “tòrcio bigolaro”. Un piccolo torchio da cucina, dove l’impasto di farina bianca e uova era posto nella camera di compressione, si girava la vite in metallo, questa spingeva la pasta verso il basso che usciva dai fori di una piastra in forma di “bìgoli”. Spolverati di farina gialla perché non si attaccassero, i bìgoli erano tagliati a circa venti centimetri. Se si usava la farina di grano saraceno, invece, si ottenevano i “bìgoi mori”. Erano siAnche Giovanni Boccaccio curamente, insieme alle usò la pasta per connotare lasagne richiamate all’i- negativamente una piccola nizio di questo articolo, i società di uomini “piatti della festa”, preparazioni elette per sottolineare i momenti importanti del calendario rurale e tra questi c’era sicuramente il Natale, la festa dei cristiani, ma anche l’inizio del nuovo anno che andava a cominciare. Salutare questo inizio nel segno dell’abbondanza era un auspicio per ingraziarsi un avvenire generoso ed è ancora questo il senso ed il significato dei pranzi e dei cenoni che vengono imbanditi durante le feste, anche se quest’anno le ristrettezze portate dal Covid-19 ci riportano a quel lontano e magro passato che la pasta in bianco ha rappresentato.

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FRANTOIO DI VALNOGAREDO, il 2020 un extravergine eccezionale FILIPPO BARBIERO, TRA I PIÙ GIOVANI MASTRI OLEARI D’ITALIA, RACCONTA LA STAGIONE OLEARIA CHE SI È APPENA CONCLUSA Filippo Barbiero da qualche anno ha raccolto il testimone di una staffetta generazionale che vede la sua famiglia alla guida del secolare Frantoio di Valnogaredo, il più antico degli Euganei in quanto risale al XVII secolo. È tra i più giovani mastri oleari d’Italia e anche tra i più giovani imprenditori dei Colli Euganei e ha appena concluso un rito che si rinnova da secoli e forse da millenni, ossia la frangitura delle olive per la preparazione dell’olio novello. Che stagione è stata? “Una delle migliori che a memoria d’uomo si possa ricordare. Il clima è stato clemente, la pioggia è arrivata nei momenti giusti e l’autunno è stato lungo con un’escursio“Che gli Euganei siano ne termica, tra giorno e notte, diventati un Biodistretto importante e tutto questo ha non può che essere polarizzato profumi e sapori del un passo avanti. nostro olio. Quindi l’extravergine Noi ci credevamo già 15 euganeo che tradizionalmente si anni fa, quando abbiamo caratterizza per un gusto ‘frutconvertito parte tato verde”, ossia fresco, piccandella nostra produzione” tino, dai sentori di erba fresca appena tagliata, ne è uscito rafforzato. Quest’anno è stato prodotto un extravergine davvero eccezionale”. Tutte le cultivar hanno dato buoni risultati? “Nei 7 ettari di oliveto connessi al frantoio coltiviamo tutte le varietà autoctone: dalla Rasara al Marzemino e dal Matosso alla Riondella oltre a cultivar nazionali come il Pendolino ed il Frantoio e devo dire che tutte hanno prodotto quantità e qualità. E anche le olive che sono state portate qui dagli oltre 300 conferitori che ogni anno scelgono il nostro frantoio per la trasformazione sono state eccellenti e qui forse conta anche il lavoro che abbiamo portato avanti in questi anni seguendo le aziende e i piccoli produttori anche nelle attività di campagna, promuovendo corsi di formazione sia per riconoscere un buon olio sia per coltivare l’olivo. Uno dei corsi programmati quest’anno, in collaborazione con il biodistretto dei Colli Euganei, relativo alla potatura estiva dell’olivo, è diventato un video virale su Youtube, ha avuto oltre 18.000 visualizzazioni! Un record nel nostro campo”. Voi siete un frantoio convenzionale e certificato bio, qual è la

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nota che distingue il vostro lavoro? “È una tradizione antica che credo dipenda più che altro dal fatto che il nostro frantoio è sempre stato una piccola dépendance di villa Contarini. E il poco spazio a disposizione ha sempre spinto i miei avi a lavorare in fretta il prodotto che arrivava dagli oliveti, senza stiparlo o immagazzinarlo. E tenga conto che una volta era invalsa la regola opposta, ossia i produttori avevano tutto l’interesse a far perdere umidità e quindi peso alle olive, perché in questo modo avrebbero pagato meno di molitura. A parte questo piccolo aneddoto, il punto di forza del nostro frantoio è l’organizzazione del lavoro e la velocità di esecuzione. Entro poche ore dall’arrivo in frantoio l’olivicoltore a cui è stato fissato un appuntamento può tornare a casa con il suo olio, da produzione convenzionale che da agricoltura bio. Per quest’ultimo non posso che constatare quanto stia crescendo e mi fa un piacere immenso: che gli Euganei siano diventati un Biodistretto non può che essere un passo avanti. Noi ci credevamo già 15 anni fa, quando abbiamo convertito parte della nostra produzione, oggi siamo al 30%, perché è importante dare delle garanzie al consumatore. Siamo molto attenti all’ambiente e all’economia circolare. Il nostro frantoio è dotato di un impianto fotovoltaico dal oltre 13 Kw, le acque refllue sono destinate alla produzione di biogas e l’eventuale energia che acquistiamo, sia elettrica che il gas, proviene al 100% da fonti rinnovabili certificate”. Sei un giovanissimo mastro oleario e un giovane frantoiano per il quale, qui sui Colli, la parola giusta sarebbe ‘pestrin”, che cosa ti ha spinto ad intraprendere questa professione? E in che cosa consiste la bravura nel tuo mestiere? “Sono nato qui, respirando ad ogni stagione i profumi e i sapori sprigionati dalle ‘pomele’ dei colli Euganei. Restando qui sono convinto di non aver preso una decisione professionale, ma di aver fatto una scelta di vita. Io amo questa terra, ho sempre fatto parte di questo paesaggio e di questo lavoro e i suoi riti sono diventati i miei: nel primo giorno di molitura ad esempio il menù è d’obbligo: riso in bianco e patate lesse condite con l’olio novello e a sera baccalà in insalata, con aglio prezzemolo, perché devo sapere subito che profumi ha, che sapori ha, come si lega il frutto di un anno di lavoro con i piatti della

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tradizione di questa terra. Direi che forse è stato questo lavoro a scegliere me. La bravura in che cosa sta? Nel non distruggere ciò che la natura crea già perfetto. L’olio non è il vino, meno lo si lavora meglio è. Serve rispetto per la materia prima, rispetto dei tempi e delle temperature, queste ultime anche “Restando qui sono per la conservazione. E poi serconvinto di non aver preso vono le giuste attrezzature, nel una decisione Duemila ci eravamo dotati di un professionale, frantoio a ciclo continuo , il prima di aver fatto mo nei Colli Euganei, e tutt’ora una scelta di vita. siamo sempre alla ricerca di nuoIo amo questa terra, va tecnologia per gestire meglio ho sempre fatto parte di la gramolatura, le temperature… questo paesaggio cerchiamo sempre la miglior e di questo lavoro” qualità possibile”. È anche da questo che nasce un riconoscimento e una tutela come la Dop? “La qualità dell’extravergine euganeo sta proprio sulle colline, nella loro natura vulcanica e nel loro essere piantate in mezzo alla Pianura Padana, affacciate sul mare. L’escursione termica, tra il piano e le alture, apporta un contributo importante nei valori organolettici. La percentuale di acido oleico, ad esempio, è tra le più alte d’Italia può arrivare fino al 78% tra gli acidi grassi, quando altri oli, a volte, non superano il 65%. Se pensiamo che l’acido oleico nella tabella nutrizionale degli extravergine di oliva ha la più alta considerazione nel determinarne la qualità, è quello per intenderci che contribuisce al buon funzionamento del sistema cardiovascolare e mantiene a norma il colesterolo, diventa evidente che stiamo parlando di un grande prodotto. Per inciso questo valore andrebbe preso in considerazione anche quando si confrontano gli extravergine di qualità con quelli a 3 euro che si trovano in offerta sugli scaffali dei supermercati. Non tutti gli oli sono uguali e non solo per il prezzo”. In che senso? “In casa una bottiglia d’olio non basta. Come abbiamo imparato ad abbinare i vini ai cibi, bisognerebbe farlo anche con l’extravergine: per la carne alla griglia, ad esempio, andrebbe accompagnato un fruttato

Iniziativa finanziata dal PSR per il Veneto 2014-2020 Organismo responsabile dell’informazione: Consorzio di Tutela Olio Extra Vergine di Oliva Veneto DOP

intenso come il Rasara o il Frantoio, per piatti più leggeri sarebbe ideale un olio più delicato come il Leccino, una varietà nera, più precoce che contiene note più delicate”. Una domanda rivolta al giovane imprenditore: come sarà l’extravergine euganeo di domani? Può crescere ancora la produzione locale? “Viste le premesse direi che può diventare una coltivazione importante per molte aziende che oggi non l’abbracciano. Immagino che le vitivinicole potrebbero essere le più indicate, quella dell’olivo è una coltura affine: servono le stesse accortezze nel campo per ottenere qualità. Da un ettaro di vigne si ottengono dai 60 ai 90 ettolitri di vino, dallo stesso ettaro coltivato ad oliveto solo solo 10/12 ettolitri di olio. Ma l’extravergine euganeo è tra i più quotati dal mercato, se un extravergine del Sud Italia si aggira sui 5/6€ al litro, l’euganeo raggiunge anche i 20. Inoltre il prezzo è molto più stabile di quello del vino, meno soggetto alle mode, tra qualche anno non sapremo che vino berremo, ma sulle tavole continuerà ad esserci l’olio di oliva. Direi, appunto, che olivicoltura può “In casa una bottiglia d’olio compensare e sostenere tutti non basta. Come abbiamo quei punti deboli che sono del imparato ad abbinare i vini vitivinicolo e anche potrebbero ai cibi, bisognerebbe farlo nascere delle sinergie vincenti anche con l’extravergine” per entrambi i settori. Poi parlando di una zona turistica, come quella euganea, i turisti che comprano il vino di solito cercano anche l’olio, potrebbe essere un modo per diversificare l’offerta e le possibilità di guadagno”. Voi siete già un piccolo emporio delle eccellenze euganee… “Sì è un modo per arricchire la nostra proposta alla clientela, ma anche un modo per creare delle sinergie con gli altri produttori locali. Insieme al nostro extravergine teniamo il vino, il miele (la nostra famiglia ha sempre seguito le api), le marmellate, diversi tipi di sott’oli e adesso per Natale proponiamo anche dei panettoni, ovviamente senza burro ma realizzati con il 100% del nostro extravergine. Anche promuovere una dieta sana, attenta ai valori nutrizionali, fa parte del nostro secolare lavoro”.

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LA FORMA DEL LATTE di Michele Grassi

Piccola storia Alla stalla si lega la grande storia del Natale cristiano ma anche il formaggio affinato nel fieno è nato più o meno negli stessi luoghi e nella stessa stagione

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fu quel giorno che il pastore, vedendo arrivare alcuni strani personaggi, lasciò il gregge guardato dai cani e corse giù, vero l’ovile e la casa. Aveva lavorato sodo quell’estate e trasformato il poco latte munto dalle pecore e capre in formaggi di piccole dimensioni, utilizzando le piccole fascere di legno che aveva costruito personalmente. Aveva in programma di portare la sua produzione al mercato del bestiame che, giù in valle, si teneva una volta all’anno, prima che arrivasse il fresco autunno. Aveva curato ogni forma, le aveva spazzolate, girate quasi tutti i giorni e spesso le aveva pure raschiate per togliere la muffa difficilmente asportabile con la spazzola. Le più mature erano stese su tavole di legno di abete bianco mentre le più giovani erano mantenute su graticci di cannarella, per consentire un miglior spurgo dell’umidità in fuoriuscita dal formaggio.

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Correndo giù per il pendio rimase nascosto dalla siepe naturale di rosa canina, ormai carica di bacche rosse e qualche rara rosellina pallida. Giunse alla casa, prese Delle produzioni le chiavi della camera dei casearie formaggi e aprì la porta. I forcon affinamento maggi erano in bella vista, al nel fieno esiste buio dell’ambiente, fresco e testimonianza umido, e il pastore agitatisstorica in molti simo pensava a come fare per salvare i suoi gioielli dai documenti. razziatori. Il più antico Era capitato l’anno preceriguarda dente nel mese di settemun caseificio bre, che alcuni ladruncoli piemontese giungessero nei pressi del di 150 anni fa paese dove avevano rubato


LA FORMA DEL LATTE parecchi formaggi a uno dei tanti pastori locali. Conosciuto il fatto un allevatore di vacche aveva salvato i suoi formaggi immergendoli nelle vinacce appena diraspate e il nascondiglio aveva funzionato. I ladruncoli non riuscirono a trovali e se ne andarono con un mesto bottino composto da alcune galline e da poche casse di patate. Anche il pastore ricordava bene quel fatto. I ladri solitamente iniziavano il loro lavoro alcuni mesi prima del Natale, periodo durante il quale potevano vendere il loro bottino più facilmente. Non poteva però nascondere il formaggio nelle vinacce o nel mosto, lui non produceva vino. Allora dove poteva trovare un nascondiglio adatto? Mentre pensava, la moglie, ignara dell’arrivo del malfatori stava portando in stalla, con il forcone, un covone di fieno. Il fieno...

I piccoli formaggi sono meno adatti alla lunga stagionatura per cui il giusto momento per avere la sicurezza della vendita è quello che precede le festività Nel fieno... Così il pastore si illuminò e facendosi aiutare dalla sua sposa spostò tutti i formaggi, con la carriola, nel fienile accanto alla stalla. Passarono i giorni, i razziatori avevano sfiorato la casa del pastore ma non avevano recato alcun danno. Le pecore in quel periodo erano nei pascoli ancora verdi, quelli che il pastore utilizzava nei mesi di ottobre e novembre, lontani da casa tanto che egli doveva rimanere fuori per più settimane senza fare ritorno. Aveva costruito, alcuni anni addietro, un piccolo rifugio di legno, proprio per quei momenti di lontananza, presso il quale mangiava e la sera dormiva, spesso con uno dei figli, solitamente il più piccolo che aveva solo 10 anni. Per forza maggiore i formaggi rimasero abbandonati nel fieno per quasi un mese. La stagione fredda era arrivata e il pastore ricondusse all’ovile le pecore e le capre. Fu allora che si ricordò dei formaggi. Al mercato del bestiame mancavano solo 10 giorni e in quel breve periodo il pastore doveva curare, pulire, spazzolare e raschiare i suoi formaggi. Recandosi al fienile, con la carriola, il pastore si augurava che i topi non avessero banchettato con i formaggi che invece trovò intatti, perfettamente conservati. I meno maturi, a causa della loro superficie non an-

cora del tutto indurita si erano incrostati con i fili più sottili del fieno ed erano davvero belli. Il pastore rimase benevolmente colpito, i formaggi parevano vestiti a festa. Maggiormente stupiti rimasero, lui e la moglie per l’incredibile profumo di fieno-formaggio, o meglio di formaggio-fieno, che essi emanavano. Aprirono una forma, li proprio nel fienile. Il coltello che entrava nel formaggio, faticava a scorrere, la pasta era piuttosto adesiva e il profumo che emanava era davvero di elevata intensità. Dal formaggio si sprigionavano sentori di erbe aromatiche, di fiori e di frutta secca, e il pastore e la moglie, immaginarono i loro formaggi esposti sul bancone di legno al mercato, e soprattutto immaginarono che l’intenso profumo avrebbe attirato l’attenzione della gente. E così fu. Questa storiella introduce il tema dell’affinamento di molti formaggi che hanno fatto la storia della nostra bella Italia. Del formaggio affinato nel fieno sono stati trovati documenti che attestano tale produzione in un caseificio piemontese, quasi 150 anni fa, e se ne possono trarre alcune conclusioni. Il fieno raccolto d’estate e stipato nel fienile nel primo autunno emana davvero odori straordinari. Il formaggio affinato in que-

I formaggi che oggi vengono definiti affinati, non sono altro che scoperte casuali o rimedi escogitati per difenderli da parassiti e muffe

sto periodo imprigionerà tali profumi e sarà al meglio della sue caratteristiche organolettiche proprio per le feste natalizie. I formaggi che oggi vengono definiti affinati, non sono altro che scoperte casuali, in alcuni casi proprio come è successo al pastore della nostra storia. Altri modi di

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LA FORMA DEL LATTE

affinare sono specifici delle famiglie pastorali, come per esempio alcuni formaggi forzatamente mantenuti nelle cantine o nei casolari per essere poi utilizzati nei periodi festivi come il quello del Santo Natale, sfruttando le condizioni climatiche dell’autunno, fresco e umido, capaci di aiutare L’inverno la maturazione dei è la stagione durante formaggi e spesso di la quale i pastori accelerarla. devono fare i conti Ma l’autunno e l’inverno sono stagioni con un drastico calo durante le quali i padella produzione stori devono fare i di latte, per questo conti con un drastico le forme hanno calo della produziodimensioni ne di latte. Le pecore più piccole vanno in asciutta, ov-

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vero in attesa del parto gli allevatori non le mungono più, e così succede anche per le capre. Le vacche invece, per la rotazione che l’allevatore progetta, possono ancora produrre latte anche se spesso sono stabulate in stalla. I pastori quindi devono far conto di questa realtà e per salvaguardare la loro produzione accontentando la maggior parte dei clienti, usavano fare tanti formaggi ma di piccola pezzatura. Certo è che i piccoli formaggi sono meno adatti alla lunga stagionatura, per cui il giusto momento, per avere la sicurezza della vendita, è quello che precede le festività. Oggi naturalmente si ragiona in modo molto diverso da quanto accadeva nel passato, ma per le preparazioni casearie specifiche del periodo natalizio, molti pastori o caseifici si preoccupano di fare il formaggio capace di essere inserito nelle ceste oggetto di dono a chi del mangar bene ne fa una disciplina.


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ALIMENTAZIONE E SALUTE a cura del Prof. Adriano Mollica

Banchetti di Natale IL MERLUZZO MITIGA GLI ECCESSI A TAVOLA CON GLI OMEGA 3

L’Italia è il secondo consumatore di baccalà al mondo, secondo solo al Portogallo. Un piatto che fa parte del menù delle Feste anche se il suo consumo è previsto nei giorni di "magro" come la vigilia

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urante le feste Natalizie non bisognerebbe abbondare con l’apporto calorico, con i cibi troppo ricchi, limitare gli zuccheri, i grassi e gli alcolici ed il consumo di carne rossa e stagionata. L’umanità tutta tende ad associare le festività, anche religiose, con lo stare insieme ai propri parenti, riunioni goliardiche che a volte si trasformano in vere e proprie maratone culinarie. Per questo motivo, sarebbe preferibile prediligere un cenone natalizio a base di

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pesce anziché uno a base di carne. In alcune regioni italiane, il cenone della vigilia di Natale è tradizionalmente composto da piatti a base di pesce, questo anche per motivi religiosi, il famoso giorno di magro. Pertanto oggi vorrei prendere in considerazione un pesce particolarmente amato dagli Italiani, che ben si presta a svariate preparazioni delle feste, il merluzzo (Gadus morhua).


ALIMENTAZIONE E SALUTE Il merluzzo, pescato prevalentemente nel nord dell’Atlantico, viene refrigerato direttamente sulle barche. Questo rallenta la moltiplicazione dei microorganismi ma non ferma l’ossidazione dei lipidi. In questo caso il pesce può essere consumato anche dopo 10 mesi dal congelamento. I pesci conservati con la tecnica dell’essiccazione danno vita allo stoccafisso, che proviene principalmente dalla Norvegia; i pesci appena catturati vengono puliti e privati della testa, poi legati a coppie su tipici tralicci di legno e lasciati asciugare all’aria per circa 3 mesi finché raggiungono un’ umidità del 15% (da febbraio a maggio). Infatti prima del consumo devono essere reidratati. Durante l’essiccamento si producono dei cambiamenti organolettici nell’alimento simili a quelli che si hanno negli insaccati stagionati, cambiamenti di tenacità della carne e dei sapori.

Studi epidemiologici suggeriscono che gli acidi grassi polinsaturi omega 3 hanno un effetto benefico contro le malattie cardiovascolari

Ciò che noi comunemente chiamiamo baccalà in realtà è lo stoccafisso, ossia una particolare tecnica di conservazione praticata in Norvegia legando a coppie i merluzzi appena catturati, puliti e privati della testa, su tipici tralicci di legno e lasciati asciugare all’ aria per circa 3 mesi finché raggiungono un’ umidità del 15%

Lo stoccafisso è largamente utilizzato nella gastronomia italiana dal nord al sud, ad esempio lo stoccafisso all’anconitana che è uno dei piatti tipici di Ancona. Nel veneto, è rinomato il baccalà alla vicentina e il baccalà mantecato di Venezia. Al contrario del nome, il baccalà alla vicentina non usa il baccalà che è la versione del merluzzo conservato per salagione, ma utilizza lo stoccafisso. Un altro piatto tipico è lo stocco alla messinese, diffuso da Reggio Calabria a Messina. Anche in Liguria lo stoccafisso è inserito nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali. A Roma è consumato il baccalà, come cibo da strada sotto forma di baccalà pastellato; questa preparazione somiglia molto al tipico fish and chips consumato nei

Il baccalà è considerato piatto nazionale in Portogallo e ne vanta il maggior consumo nel mondo

paesi del Commonwealth, dove è preparato sia con il merluzzo che con l’eglefino. L’Italia è il secondo consumatore di baccalà al mondo, secondo solo al Portogallo dove però è considerato un piatto nazionale. Questo tipo di preparazione, si presta molto bene ad essere un cibo delle feste, quando tradizionalmente si consumano fritti in pastella di verdure, funghi, carciofi e pesce. Negli ultimi 30 anni, c’è stato un rinnovato interesse per il consumo di pesce e di olio di pesce, cibi ricchi in acidi grassi omega 3 a lunga catena. Questo interesse è stato suscitato soprattutto da studi epidemiologici che suggeriscono un effetto benefico degli acidi grassi polinsaturi omega 3 contro le malattie cardiovascolari. Tali studi dimostrano che la mortalità per malattie cardiovascolari è molto bassa nelle popolazioni che si nutrono principalmente di pesce come per esempio gli Eschimesi, i Giapponesi che vivono nelle zone di pesca. Alcuni trial clinici mirati a valutare l’impatto del consumo di pesce sulla salute, tuttavia non hanno evidenziato benefici così marcati. Una possibile spiegazione di questa inconsistenza, risiede nel fatto che di solito chi si alimenta soprattutto con pesce tende ad associarvi anche altri cibi sani, come ad esempio verdure, frutta e altre fonti di fibre, abbassando in proporzione il consumo di carne rossa. L'olio di fegato di merluzzo può essere assunto come tale, viene prodotto dalla pressatura del pesce di bassa qualità dopo cottura, contiene vitamina D e vitamina A acidi grassi insaturi, ed è stato impiegato nella profilassi del rachitismo nei bambini e dell'osteoporosi nell'adulto. Unguenti o medicazioni a base di olio di fegato di merluzzo sono stati utilizzati per accelerare la guarigione di ustioni, ulcere, piaghe e ferite superficiali. La gastronomia è oggi più di ieri, considerata una ottima via per ottenere una alimentazione saluta-

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ALIMENTAZIONE E SALUTE re, e mediante la quale si può prevenire l’insorgenza di alcune patologie croniche. Una delle tecniche più usate per consumare alcuni alimenti è la frittura in pastella. Questo metodo però aumenta significativamente il contenuto in grassi, e ne altera la qualità, con conseguenze per la salute del consumatore. È bene tenere presente che in generale i cibi modificano la loro composizione e i loro valori nutrizionali con l’applicazione del calore e secondo i metodi di cottura. Ad esempio alcune vitamine idrosolubili o termolabili possono andare perse quasi completamente durante la bollitura. Le modificazioni sul merluzzo e altri pesci grassi come il salmone, in seguito a frittura, avvengono a seconda dell’olio e delle temperature usate. Il contenuto totale in grassi aumenta sensibilmente nel processo di frittura, pur senza cambiare significativamente il contenuto di grassi di parLa frittura aumenta tenza del pesce. Il significativamente rapporto tra omega il contenuto in grassi 6 me omega 3 auanche nel pesce menta da 0.08 nel merluzzo fresco a con conseguenze 1.01 e 6.63 nel merper la salute luzzo fritto con olio del consumatore di oliva o olio di girasole, rispettivamente. Nei salmoni di allevamento, il rapporto tra omega 6 e omega 3 passa da 0.38 nel salmone fresco a 0.39 e 0.58 nel salmone fritto. L’ uso di olio extra vergine di oliva protegge significativamente l’ossidazione dei grassi del pesce che avviene durante la frittura del merluzzo. Da parte dell’organizzazione mondiale della sanità raccomanda di aumentare il consumo di pesce, specialmente quello grasso, perché contiene acidi grassi omega 3. Il cambiamento del profilo lipidico del pesce durante la cottura può essere spiegato attraverso alcuni processi, ad esempio il pesce assorbe l’olio, perde umidità, perde alcuni grassi che migrano dal pesce verso l’olio di cot-

Le Isole Lofoten, la patria dello stoccafisso

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L'olio di fegato di merluzzo viene prodotto dalla pressatura del pesce di bassa qualità dopo cottura, contiene vitamina D e vitamina A acidi grassi insaturi, ed è stato impiegato nella profilassi del rachitismo nei bambini e dell'osteoporosi nell'adulto

tura, ossidazione dei grassi e produzione di radicali liberi dovuto al calore. I primi 2 meccanismi tendono ad aumentare la quantità di grassi, mentre gli altri li diminuiscono. Diversi studi sugli effetti della frittura sul pesce, dimostrano che ci può essere uno scambio tra grassi contenuti nel pesce con quelli dell’olio, e l’intensità di questo scambio è determinato dalla natura dell’olio o dei grassi e dal tipo di trattamento del pesce; in altre parole, la salubrità naturale del pesce dovuta al suo contenuto in grassi buoni, resta alterata con la cottura, con l’effetto che il merluzzo panato e fritto si arricchirà di omega 6 contenuti nell’olio, specialmente quello d’oliva (ad esempio l’acido linoleico) e si impoverirà di omega 3, ad esempio l’acido ecoisapentenoico, e docosaesaenoico. Una grande frazione di acidi grassi PUFA nel filetto di merluzzo, è presente come fosfolipidi. Certamente l’assunzione di grassi insaturi provenienti dal pesce non protegge dall’obesità, tuttavia l’assunzione di questi grassi abbassa i livelli di colesterolo cattivo e quindi dal pericolo di contrarre malattie cardiovascolari.


CONSELVE,

LA CANTINA COMPIE 70 ANNI Un compleanno da festeggiare con uno Spumante dedicato, nuove selezioni di vini e lo shop online Conselve Vigneti e Cantine compie 70 anni. “Siamo come il vino - scherza Roberto Lorin, presidente della Cantina - il tempo non ci invecchia, ci migliora. E nonostante le difficoltà che attraversa il Paese, vogliamo scommettere sul futuro”. Nell’anno della ricorrenza, la Cantina ha lanciato la linea Quarantia, il Fondatore e il Fondatore Riserva, selezione delle migliori annate di Friularo DOCG, pazientemente invecchiate in barrique, e lo Spumante “1950”, dedicato alla fondazione, avvenuta proprio nel 1950. “I nostri non sono semplici clienti, ma amici che condividono la nostra passione. Per raggiungerli e coinvolgere nuove persone nella scoperta delle nostre ec-

cellenze e della nostra storia, abbiamo realizzato uno shop online, che amplia l’offerta dei punti vendita - conclude Lorin - a loro e a tutti i lettori, i nostri migliori auguri di buon Natale”.

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PANORAMA GASTRONOMICO di Michele Pigozzo

“Bigoli in salsa”

PIATTO MAGRO DELLA VIGILIA Sulle tavole “povere” del nostro passato contadino veniva osservato il digiuno e la purificazione stabiliti dalla chiesa con un piatto povero ma ricco di gusto

È

la Vigilia di Natale di qualche decennio fa, svegliati da uno strano cigolio ci alziamo, e capiamo che è il torchio in azione per fare i Bigoli. E sì, in questa data la tradizione vuole che si mangi di magro, per rispettare la fine dell’Avvento in attesa della festa della Natività, e la tradizione veneta pretende che a tavola vengano serviti i “bigoli in salsa”, per dirla alla veneziana, o i “bigoli con le sardele” per usare un termine caro a tutto il resto dell’entroterra veneto. Ma andiamo avanti: avvicinandosi alla cucina veniamo attratti da uno stupendo profumo e tendendo l’orecchio sentiamo uno sfrigolio, è la cipolla che soffrigge. Quella stupenda cipolla bianca che la terra di Chioggia ci dona, una squisitezza che nella cottura si scioglie diventando una crema e rilascia tutta la sua dolcezza. A tutto questo si aggiunge il profumo del pesce, la sarda sotto sale, che su un altro tegamino si sta cuocendo per diventare ingrediente eletto di quella salsa che diventerà il condimento dei nostri bigoli. I riti contadini hanno questo di bello: a fianco delle festa anche l’astinenza ha un senso. Un rito che ha accom-

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pagnato per secoli la nostra umile gente. E se il piatto poteva essere considerato povero, visto la modestia degli ingredienti, ricco invece era il gusto. Ma forse non è tanto vero neanche che fosse povera la materia prima, in fin dei conti il grano duro dalle nostre parti non è che fosse così diffuso, neanche il tenero a dirla tutta, perché su tutto imperava la farina di polenta. Più spesso erano Un detto dialettale cita: di frumento e “Par ogni vigilia segale, e in questo caso a xe sempre quea, prendevano in toea ghe xe il nome di i bigoi co a sardea” “bigoli” mori. Tuttavia era sempre una questione di disponibilità, ci si arrangiava con quello che c’era: se nella madia avanzavano un paio d’uova nell’impasto potevano starci, se invece erano servite per prendere l’olio, il sale o altri generi di prima necessità, allora i bigoli potevano anche andare a tavola fatti si sola farina, acqua e un po’ di sale. L’importante che fossero rugosi, per prendere


PANORAMA GASTRONOMICO

meglio il sugo, e alla causa si prestava il “torcio bigolaro”, strumento, brevettato nel XVII secolo dal pastaio padovano Bartolomio Veronese, che tirava fuori tutta la forza “pneumatica” delle nostre ave massaie, intente a premere sul manubrio per far leva sul pi-

stone e spingere la pasta attraverso la trafila in bronzo. Gesti antichi che nelle nostre case non si ripetono più. Però i bigoli sono rimasti un must, un’immagine archetipa del nostro Veneto, tanto che Andrea Cesaro, lo cheff montagnanese con due ff (cosi ama definirsi) e la bombetta, ha preparato questo piatto per il pubblico la nota trasmissione “Cuochi d’Italia” che va in onda su TV8 e la stessa ricetta l’ha donata a noi di Con i piedi per terra affinché possa essere preparata in occasione della prossima Vigilia.

LA RICETTA

BIGOLI MORI IN SALSA VENEZIANA secondo Andrea Cesaro Tagliate grossolanamente la cipolla e fatela imbiondire in una padella per poi frenarne la cottura versandovi sopra qualche cucchiaio d’acqua e un goccio di vino bianco. L’obiettivo è quello di farla appassire facendola restare sufficientemente bianca. Dopo averle pulite, diliscate e dissalate al meglio, tagliate a pezzi grossolani le acciughe e aggiungetele alla cipolla con una spruzzatina di pepe, mantenendo il fuoco al minimo. Aspettate che le acciughe arrivino quasi a sciogliersi. A parte, in una pentola d’acqua poco salata (la salsa si presenterà già molto saporita di suo) cucinate i bigoli. Prima di scolarli al dente e condirli aggiungete un paio di cucchiai di acqua di cottura alla salsa.

Difficoltà: media

Preparazione: Cottura: 40 minuti 30 minuti più riposo

INGREDIENTI (4 persone) •4 00gr di bigoli MORI (Farina Integrale) • 10-12 SARDELLE sotto sale • 2 cipolle • Olio EVO • Sale iodato • Pepe nero macinato al momento • Vino bianco • 2 cucchiai di pangrattato • 1 mazzetto di prezzemolo

BIGOLI MORI AL BACCALÀ Sempre per la Vigilia di Natale una variante ai “bigoli in salsa” sono quelli con il baccalà, ossia preparati con la ricetta del celebre merluzzo, essiccato ai venti marini, alla vicentina che al sapore aggiunge la meraviglia di ritrovare all’interno i pezzi del prezioso pesce. Per i bigoli in salsa, invece, esiste una variante poco nota: ossia l’aggiunta di qualche chicco di uvetta passa che come ci insegna Paolo Vicari, cuoco dell’osteria alle Botti (ed autore della foto che correla il box), permette al nostro palato di assaporare ancora di più la dolcezza di un piatto popolare.

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MOLINO DEGLI EUGANEI farine da grani antichi e bottega delle eccellenze euganee Le tre generazioni di Zambon alla guida del Molino degli Euganei

Una storia di passione per la coltivazione e la lavorazione dei cereali recuperata e rinnovata con l’obiettivo di tornare a produrre alimenti che conservino il profumo inconfondibile della tradizione Era un sogno, ora è una concreta realtà: le macine in pietra francese del vecchio mulino della famiglia Zambon di Baone, sui Colli Euganei, sono tornate in funzione. Ma il sogno non era solo questo. Insieme alle due “mole” dedicate alla macina Le macine di oggi dei grani, sono le stesse antiche pietre un’intera ofcon cui la famiglia Zambon diede inizio all’attività ferta agroanel primo dopoguerra limentare ha preso a girare attorno ai tempi distesi della civiltà contadina, collegando al passato il futuro dell’alimentazione sana, incentrata sulla filiera corta e sulla preservazione dei valori organolettici delle materie prime coltivate nel rispetto della natura. Il Molino degli Euganei, infatti, rappresenta il piccolo centro di trasformazione collegato a una campagna di 12 ettari dedicata alla produzione di cereali, da cui vengono ricavate le farine destinate anche ad essere trasformate in pasta o altri prodotti da forno quali: grissini, crackers e biscotti. Grani antichi, come il Khorasan, ricchissimo di proteine e nutrien-

ti, il farro monococco, il padre di tutti i frumenti, e il Senatore Cappelli: un grano duro che, tradizionalmente viene prodotto nel Sud Italia, ma in virtù della mineralità del suolo vulcanico euganeo e l’esposizione dei campi che non permette ristagni di umidità, ha trovato qui una nuova patria. All’eccellenza di una produzione rigorosamente a Km 0 si aggiunge la tradizione per la molitura a pietra. Nella vecchia barchessa di Villa Cà Dottori la famiglia Zambon, da tre generazioni, è custode della paziente rotazione delle macine: una destinata al mais, per la produzione di polenta gialla e bianca, e una per i grani da trasformare in farine integrali e semi-integrali. In La coltivazione dei cereali entrambi avviene nell’ottica di preservare i casi è valorizzare e prendersi cura del contesto naturale all’interno lo stesso del Parco Colli Euganei identico processo artigianale a guidare il lavoro, la macina “lenta”, minimizzando i giri al minuto, consente di preservare tutte le caratteristiche nutrizionali del cereale lavorato, mantenendo inalterati i suoi profumi e sapori originali.


I NOSTRI PRODOTTI Farine di grano tenero Farina di grano tenero “tipo 1”, farina semintegrale di grano tenero “tipo 2” e farina di grano tenero “integra”, adatte per pane, pizza, focacce, pasta fresca e prodotti da forno Farine di grano duro Semola e semola integrale di grano duro “senatore cappelli”, è una semola ideale per preparare pasta che tiene la cottura Semola e semola integrale di grano duro “khorasan”, per impasti ad elevata tenacità, adatti sia per la pasta che per la panificazione Farine di Mais Farina di mais giallo “tipo maranello”, indicata per chi preferisce una polenta cremosa da versare Farina bramata di mais giallo “tipo maranello”, grazie alla sua maggiore granulometria è indicata per una polenta più soda e rustica Farina di mais bianco perla, è l’ottimo abbinamento per i piatti a base di pesce Farine di Farro Farina di “farro monococco”, farina di “farro spelta”, ottime per ottenere pane e pizza altamente digeribili e ideali per crostate e biscotto fragranti

All’interno della bottega è possibile anche acquistare diversi formati di pasta trafilata al bronzo, preparata con le stesse farine, e una selezione di prodotti euganei come l’extravergine, i pregiati vini, il miele… con cui preparare ceste e idee regalo per Natale!

Scansiona il QRCode con il tuo smartphone e accedi per conoscere tutte le nostre farine e le loro caratteristiche d’impiego INFO E CONTATTI Piazza XXV Aprile, 20/a - 35030 Baone (PD) Tel: 0429/57182 E-mail: info@ilmolinodeglieuganei.it web: www.ilmolinodeglieuganei.it/ Facebook: Il Molino degli Euganei Instagram: @ilmolinodeglieuganei


LA RECENSIONE di Renato Malaman

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PERCHÉ

Recensione

Al Bosco

di Saonara

Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta

IL CAVALLO, L’OCA E IL BOLLITO: LA PADOVANITÀ È SERVITA

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uell’insegna in latta smaltata della birra Italia Pilsen sarebbe merce rara anche nel negozio di un rigattiere o di un antiquario. Preziosa come oggetto e preziosa come evocatrice di memoria. Trovarla ancora al suo posto, affissa accanto alla porta ad arco di una trattoria vera, sotto un pergolato e all’ombra di una villa padronale veneta, suscita emozione. Come l’insegna gemella, quella della Martini Vermouth. Insegne che schiudono un mondo, un mondo dall’anima popolare, che all’Antica Trattoria Al Bosco poi ritrovi puntualmente fra i tavoli e al bancone. Siamo a Saonara, in una dependance di Villa Valmarana. Un luogo denso di passato che però è da sempre proiettato nel presente e nel futuro. Mica facile essere eredi di una tradizione così impegnativa! La famiglia Daniele però sa interpretare questo ruolo con passione, persino con entusiasmo. E tanta maestria. Solo così si guadagna l’affetto dei clienti, il patrimonio che è più caro a questa famiglia saonarese. Fino a qualche anno fa c’era papà Luigino, colui che nel 1980 avviò il progetto e rilevò il locale (grande tifoso di Nereo Rocco, prima che di Milan e Padova), ora c’è la figlia Stefania, che in realtà c’è da tanto tempo. Timida, riservata eppure così facile ad accendersi quando si parla di piatti della tradizione, del suo lavoro, dei Ristorantori Padovani, associazione a cui il locale ha dato tanto. Al Bosco ancora resistono le tradizioni dell’Oca di San Martino, del Gran bollito alla Padovana, degli ‘spuncioni fatti come ‘na volta’, delle sarde impanate e fritte. L’ambiente poi è bello, d’atmosfera. È come una grande casa, ecco. A renderlo tale, oltre alla disposizione tradizionale delle stanze, tutte raccordate da un bel salone, è il tipo di accoglienza. Lo spirito dell’accoglienza. E non è una frase fatta questa… La presenza rassicurante di Federico Bragato,

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Tutto iniziò nel 1980 con Luigino Daniele ora c’è la figlia Stefania


LA RECENSIONE Piatti riproposti anche per assaporare il cambio di stagione

cameriere ma anche ballerino da concorso. Colui che Stefania definisce ‘il mio angelo custode’. È al ‘Bosco’ da quando l’esperienza dei Daniele ha avuto inizio, sempre presente con la stessa adorabile premura. Come uno spazio di riguardo nella trattoria lo hanno le sognanti opere naïf del fratello Gioacchino: abbelliscono le pareti del salone. Cucina di sostanza quella dell’antica trattoria di Saonara (che bella definizione ‘antica trattoria’), non v’è dubbio. Cucina che ripropone, attraverso materie prime scelte con fiuto e occhi esperti, piatti che in fondo non tramonteranno mai e ai quali è legato qualche frammento di memoria che ci appartiene. Piatti riproposti per far assaporare anche al palato il cambio delle stagioni, i riti ancestrali di un territorio, le tradizioni più schiette. Piatti che invitano anche a un certo ‘parecio’ della tavola. Tornare al ‘Bosco’ è trovare pure gli gnocchi (fatti in casa) con i funghi barboni, che arrivano solo se conosci bene il fornitore giusto. Gnocchi fatti con patate di montagna. E poi i bigoli in salsa, il fegato alla veneziana... Sono in menù con sarde in ‘saor’, pasta e fagioli, coscia d’oca ‘rosta, baccalà, ma soprattutto con le specialità a base di carne di cavallo tipiche del saonarese: gli sfilacci di carne secca, la bresaola equina, le tagliatelle al ragù di cavallo, la ‘straeca’, il filetto di puledro. Fra i dolci spicca la focaccia di pere, mele e fichi secchi con salsa vaniglia. Tanti vini veneti in carta, scelti con originalità e non per moda, e fra questi molti euganei. Come il Bianco Igt di Monteversa (una azienda che sorge sulla sommità di un colle a Vo’) scelto da Stefania per l’abbinamento del primo piatto. Insomma bene, come le altre volte al ‘Bosco’. Stefania si schernisce di fronte ai complimenti: “Quelli vanno fatti ai miei collaboratori dice arrossendo - anzi, una volta tanto vorrei nominarli tutti, posso? In cucina lavorano Enrico Lamon, Elisabetta Borille, Matteo Ceranto e Manuel Drago; in sala con Federico operano Luca Puppi, Stefania Carraro, Elisa Ruvoletto, Lenny Meneghin”. Manca solo il nome del governante. È Vincenzo Barreca, giusto che finisca sul giornale anche lui. Una bella (e affiatata) compagnia quella del Bosco, che non teme alcun palcoscenico… L’esperienza non si improvvisa.

La Pagella

di Con i piedi per terra

⊲ Uso di materie prime del territorio

⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività ⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo


ANTICHI REASSI

Colli Euganei Pinelli DOC Ideale con gli antipasti

TRE FRAZIONI

Colli Euganei Rosso Ideale con zampone e lenticchie

SPARVIERE Colli Euganei Cabernet Ideale con le Lasagne al forno

OPERA PRIMA

Spumante Brut metodo Classico

VINI DAL CARATTERE VULCANICO E BIOLOGICO

ARCHÉ

Colli Euganei Merlot DOC Ideale con la cacciagione

Alla storica cantina si alternano le generazioni ma le fondamenta rimangono ancorate alla tradizione e al rispetto dell’ambiente Parlare della Cantina Reassi significa tornare alle origini della produzione vitivinicola dei Colli Euganei. A quando, cioè, il vino non veniva venduto, ma era solo ad esclusivo uso domestico o al massimo veniva usato come merce di scambio per il baratto. Giuseppe Bonato e il fratello Luigi alla metà del Novecento avevano scelto le terre franose di Rovolon per le loro vigne: terre dove l’acqua non manca, grazie alla presenza di tante sorgive naturali, e anzi incide profondamente sulla morfologia dei suoli, dilavando le argille di deposito sopra gli strati di roccia vulcanica dando luogo ai “reassi”. L’esposizione a Nord dei vigneti, in un areale ventilato che evita i ristagni di umidità e riduce gli attacchi dei parassiti, è tutt’ora un elemento che conferisce ai vini della cantina grande freschezza e longevità. La scelta, insomma, fu quella giusta e del resto quegli uomini legati alla terra come i lacci alle scarpe sapevano leggere intuitivamente la natura dei terreni Sono otto le etichette Reassi, equae sapevano anche affidargli le radici delle mente divise tra bianchi e rossi a sotpiante migliori. La Pinella, ad esempio, tolineare la generosità del terroir di era già tra i vitigni che crescevano sui produzione. Vini che accompagnapendii di Bastia e Rovolon, ben prima che no perfettamente pranzi e cenoni diventasse una delle delle feste dall’antipasto al brindisi etichette identitarie dei Colli Euganei in virtù dei suoi profumi di frutta bianca, della sua caratteristica leggerezza e semplicità, mai banale. Tuttavia la viticoltura rimase “un affare di famiglia” anche con la generazione successiva, quando Gaudenzio, Mario e Giovanni presero il testimone per portare avanti la produzione vitivinicola, anche se ancora come secondo lavoro. Ma del resto in quegli anni era l’acquisto di vino sfuso ad imperare tra la clientela che saliva i dolci declivi padovani per cercare il vino da destinare alla propria tavola. Il Cabernet e il Merlot erano la richiesta più frequente, il Manzoni Bianco, ma anche quel Moscato Giallo già famoso con il nome di Fior d’Arancio e come etichetta euganea per antonomasia. La svolta tuttavia non era lontana, agli inizi degli anni ’90 la cantina Reassi era già pronta per assecondare i cambiamenti di una società che cercava vini di qualità e bottiglie di pregio, con una produzione più aggiornata sulle tecniche di produzione, ma tuttavia mantenendo inalterati quei valori tradizionali che erano sempre stati alla base del ‘far vino’: il terroir, così particolare, il rispetto dell’ambiente e una grande attenzione in cantina. E sono ancora questi i punti saldi dell’azienda, oggi che il numero delle generazioni convolte è salito a tre, che i vigneti sono certificati bio e che le principali guide e i più importanti concorsi enologici hanno eletto le bottiglie etichettate “Reassi” tra i vertici della produzione locale, conferendo premi e riconoscimenti. Tra i “reassi” continuano ad avere il loro posto la Pinella, oggi anche spumantizzata con metodo classico, il Manzoni Bianco, il Moscato Giallo e tra i rossi: il Merlot e il Cabernet ma anche vini autoctoni come la Marzemina bastarda, la Corbina e la Turchetta.

FIOR D’ARANCIO

Moscato Giallo Ideale con il Panettone

TERRE D’ARGILLA

Manzoni Bianco Ideale con tortellini e risotto

VIN BASTARDO Vino Rosso IGT Veneto


messaggio pubbliredazionale

Diego Bonato rappresenta la nuova generazione alla guida della cantina. Rientrato in azienda nel 2018, dopo diverse esperienze condotte in Australia, in Nuova Zelanda in Francia e nella zona del Chianti Classicoe aver vinto nel 2017 il Premio “Giulio Gambelli” come miglior enologo italiano under 35, oggi è lui, insieme alla sua famiglia, a scrivere una nuova pagina dei vini Reassi

TRE FRAZIONI, UN VINO DA METTERE SOTTO L’ALBERO È l’etichetta più importante della maison, l’uva proviene da un vigneto che confina con Carbonara, Bastia e Rovolon. È un taglio bordolese ottenuto con il 70% di Cabernet Sauvignon, 20% Merlot e 10% Cabernet Franc. La vendemmia avviene manualmente e cui segue la fermentazione in acciaio con macerazione, di circa 15 giorni, durante la quale si eseguono periodicamente rimontaggi e follature. L’affinamento avviene in tonneaux di rovere francese con una maturazione di circa 12 mesi. Dopo l’esecuzione dell’assemblaggio il vino sosta per circa 6 mesi in acciaio e in seguito all’imbottigliamento il vino riposa ulteriormente prima della vendita. È un vino dal colore rubino, dai profumi intensi ideale compagno dei piatti tradizionali delle Feste come lo zampone o il cotechino con lenticchie e gli arrosti.

AZIENDA AGRICOLA REASSI · Via A. Manzoni, 9 · 35030 Carbonara di Rovolon · Padova Tel. 347 5340932 · info@reassi.it · www.reassi.it


INGIROPIEDANDO di Anna Maria Pellegrino

FOLPO DE NOENTA vs COVID, 1 - 0 La tradizionale Sagra quest’anno non si è potuta tenere, ma del folpo se ne sono comunque occupati chef e scrittori

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e sagre e le feste paesane sono state, nel tempo, una sorta di calendario non scritto, momenti di aggregazione ed incontro scanditi dalla memoria e dal susseguirsi delle stagioni. Momenti laici per festeggiare quanto la Natura mette a disposizione in abbondanza in un determinato momento dell’anno, nel rispetto del lavoro di contadini, allevatori, artigiani, professionalità testimoni di quella che Piero Camporesi definiva “saggezza celata”. Tempi condivisi che si organizzavano per mesi e si attendevano con impazienza, appuntamenti irrinunciabili, che sono riusciti a superare conflitti, crisi economiche, meteo avverso. Come l’Antica Sagra del Folpo, i cui natali ci vengono raccontati da storici, come Andrea Gloria, che nel “Territorio Padovano illustrato” del 1862 scisse: “frequentatissima v’è la Fiera annua in ottobre della quale Girolamo Vendramin ottenne la conferma nel millesettecentocinquantotto, trasferita la 2° domenica di ottobre per la Ducale 11 settembre 1776” e che l’allora Doge Francesco Loredan emanò un decreto che decise “che sia rinnovata la concessione di un mercato franco da farsi nella 2° domenica e lunedì sus-seguen-

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te di ottobre di cadaun Piero Camporesi anno nella pubblica già definiva capace strada”. “saggezza celata” Localizzata nella bellisla civiltà contadina sima Noventa Padovana, luogo eletto per il che si esprimeva buon vivere dall’aristocon sagre e feste crazia veneziana fin dal dedicate ai prodotti XV secolo, l’Antica Sadi stagione gra negli anni è riuscita e alle tradizioni a diventare sempre più attrattiva, per adulti e bimbi e, soprattutto per gli appassionati del folpo, preparato e servito nelle “baracche” ma anche “plain air”, come si conviene ad un cibo di strada che ha nei folpari i suoi golosi ambasciatori. Cinque giorni di festa, anno dopo anno, anche nel terzo millennio. Il 2020 sarà ricordato, invece, come quell’appuntamento mancato a causa di un evento che leggeremo nei libri di storia: la pandemia da Covid-19. Impossibile aggregarsi, impossibile condividere tavolate festose, impossibile far godere ai bimbi l’allegria delle giostre. Tutti fermi, quindi.


INGIROPIEDANDO

“Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la rivoluzione” disse qualche anno fa Giorgio Gaber e la rivoluzione l’hanno fatta tutti coloro che non si sono arresi ed hanno scelto di raccontare la storia del folpo e la cultura gastronomica “tentacolare” che esso esprime, realizzando una serie di piatti ispirati al simpatico cefalopode e rappresentativi della proposta del risortate, pub, enoteca. Cicchetti e finger food ma anche portate più com-plesse, proposte estemporanee ma anche piatti che resteranno a lungo nel menù, tanto è stata vivace la risposta dei clienti. Privati dello struscio lungo i viali di Noventa gli appassionati della sagra non hanno esitato a sedersi, distanziati, e ordinare il folpo versione 2020, così da riuscire a godere, con modalità diverse, di quanto raccontato fin dal 1776. Il termine “baracca”, quindi, è stato sostituito da “delivery” ed “asporto”, ma la curiosità e la voglia di stare un po’ insieme è stata sicuramente la stessa. Le “luminarie” che decorano le strade di Noventa fin nei confini con i paesi limitrofi sono state sostituite con le decorazioni natalizie, altro momento di festa, laica o religiosa che sia, che la pandemia modificherà profondamente, almeno per l’anno in corso. Se le proposte take away hanno cercato di raccontare ugualmente la bontà gastronomica dell’Antica Sagra del Folpo io vorrei che sotto l’albero potessero esserci dei libri, sempre

a tema, che Il termine “baracca”, possano arquindi è stato sostituito ricchire l’identità culturale da “delivery” ed “asporto”, che questa ma la curiosità e la voglia festa ha sapudi stare un po’ insieme to esprimere è stata sicuramente nel corso dei la stessa secoli. Sono letture golose, ma non solo, che ci faranno conoscere l’intelligenza di questo essere vivente dai tre cuori, che sogna e costruisce abitazioni per la compagna, i cui tentacoli sono espressione di un sistema nervoso centrale sensibilissimo e sofisticato: un viaggio sorprendente tra tabù alimentari e tra le meraviglie della coscienza. Buona lettura e buon Natale, quindi, con l’augurio di poterci raccontare nuove storie condividendo pietanze golose e frizzanti bicchieri di vino. Alla Sagra del folpo, naturalmente. Bibliografia: Cento volte polpo di Romano Bavastro - Maria Pacini Fazzi Editore, 2007 Altre menti di Peter Godfrey-Smith - Adelphi Animalia 2, 2016 L’anima di un polpo di Sy Montgomery - Ricca editore, 2018 Polpo Immondo di Giovanni Sole - Rubbettino Editore 2017

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AD OGNUNO IL SUO CALICE… di Silvano Bizzaro - Sommelier silvanobizzaro@alice.it

Cinque etichette

PER IL NATALE A TAVOLA

É

quasi Natale, l’aria è intrisa di un’atmosfera magica seppur mitigata dalle paure accese da questa nuova ondata di Covid-19. Sicché per la rassegna enologica che bimestralmente vi propongo dalle pagine di Con i piedi per terra ho tenuto conto dell’uno e dell’altro aspetto, immaginando che pranzi, cene e cenoni saranno un appuntamento più che altro da vivere in casa, nello stretto rapporto con i famigliari, lontani da pericoli di contagio e dall’obbligo delle mascherine. Perché il vino, davvero, potrebbe essere quel valore aggiunto da accostare ai piatti della tradizione per aggiungere spessore, calore e ricercatezza anche ai menù domestici. Un modo, in-

somma, per esaltare i sapori di piatti consolidati come gli immancabili tortellini, le lasagne al forno, i bolliti, gli arrosti, il pesce, il classico panettone e il brindisi finale. Per gli abbinamenti ho scelto vini importanti del nostro Veneto, ho deciso di giocare in casa anch’io per sottolineare proprio il tema della distanza: lo stare vicini è diventato un problema in questi tempi di epidemia, le prescrizioni vanno in segno contrario rispetto al significato di unione che è proprio del Natale, e allora ho scelto una distanza ravvicinata, quella della produzione enologica regionale, che almeno a tavola non creerà problemi.

ANTIPASTI LESSINI DURELLO DOC BRUT 36 MESI - GIANNITESSARI WINE La bollicina che dialoga con salumi e pesce Per gli antipasti l’abbinamento ideale è sempre con vini leggeri, l’intento del resto è quello di stimolare e sollecitare l’appetito. E tra gli antipasti più classici ci sono i salumi, autentiche specialità della norcineria italiana che è facile associare con una bollicina leggera bianca o anche rosata. Allo scopo possono andar bene il Bardolino Chiaretto - la Schiava del Trentino - il Merlot o Cabernet dei Colli Euganei o Berici (rossi fruttati). Se i salumi sono più delicati, come nel caso del Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP, il Parma o il San Daniele, è meglio accostare dei bianchi fermi, tipo il Colli Orientali Friulano oppure un Colli Euganei DOC Serprino Spumante charmat.

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Stesso discorso Affinato sui lieviti con il pesce per il per 36 mesi si presenta quale bollicine e paglierino brillante con bianchi fermi legnote di fiori di campo geri sono l’accoe frutta a pasta bianca stamento ideale. Possono andare bene lo Chardonnay, il Pinot Bianco dei Colli Euganei o Berici, il Soave o un Trebbiano delle provincie venete, preferibilmente d’annata. Ma il vino che io propongo, che può andar bene con tutti gli antipasti presi in considerazione, è il Lessini Durello DOC Brut 36 mesi di GianniTessari. È uno Spumante Metodo Classico di media struttura la cui versatilità lo rende accostabile anche ai primi piatti di pesce, sia risotti che paste. Ottenuto con il vitigno Durella, autoctono del veronese. Affinato sui lieviti per 36 mesi si presenta paglierino brillante con note di fiori di campo e frutta a pasta bianca; sentori di pane tostato. Ottimo l’equilibrio tra freschezza e mineralità con un finale persistente.


AD OGNUNO IL SUO CALICE… PRIMI PIATTI DI CARNE E PESCE SOAVE CLASSICO DOC 2019 - AZIENDA BALESTRIVALDA Il vulcanico che garantisce freschezza e mineralità Se per gli antipasti il colore d’ordinanza è quasi esclusivamente il bianco, per i primi piatti è giusto prendere in considerazione anche i rossi, seppur giovani e leggeri. È il caso di uno dei piatti più tradizionali del pranzo di Natale, ossia i tortellini in brodo per i quali, nel caso fossero seguiti da un secondo piatto a base di carne, è legittimo accompagnarli con un vino rosso anche se dovrà avere pochissimo tannino. In alternativa i tortellini possono essere abbinati ai classici vini bianchi veneti come una Garganega dei Colli Euganei, oppure un Soave, una Malvasia della DOC Merlara o un internazionale come il Sauvignon. Vini che restano buoni anche per i primi a base di pesce, I tortellini in brodo ai quali aggiungerei il Lessini possono essere Durello, nel caso accompagnati sia i piatti avessero da vini bianchi che una presenza imda rossi giovani portante di salse e con poco tannino bianche, oppure il

TAI bianco dei Colli Euganei, lo stesso Manzoni bianco o il Lugana DOC. Tra i vini bianchi fermi segnalati, soprattutto per i piatti a base di pesce, segnalo il Soave Classico DOC 2019 di BalestriValdi. Vino dalla grande bevibilità, inconfondibile per la sua caratteristica mineralità, provenendo da territori vulcanici. La sua freschezza e mineralità ben contrasta con la grassezza (salse se presenti) delle preparazioni a base di pesce nei primi piatti. Le note fruttate ben si accompagnano anche in termini di intensità. Retrogusto persistente. Da servire non troppo freddo, sui 8-10 °C.

SECONDI PIATTI DI RANGO VALPOLICELLA CLASSICO DOC SUPERIORE 2016 “MASUÀ DI JAGO” AZIENDA F.LLI RECCHIA Uno storico “cru” per carni rosse e selvaggina Per i secondi piatti a base di carne l’abbinamento perfetto è rappresentato dai vini rossi di medio corpo di due tre anni, che abbiano freschezza (acidità per la capacità sgrassante) e tannicità, ma anche persistenza gustativa. Con le carni al forno o arrosto possono andar bene anche dei vini rossi frizzanti mentre per i bolliti l’accostamento ideale è con il Valpolicella Classico o Superiore, il Tai Rosso DOC Colli Berici, il Colli Euganei Rosso, il Cabernet Franc Colli Euganei o Berici. Musica completamente diversa, invece, con il pesce per il quale, ovviamente, sono più indicati i bianchi. Mi soffermo sulle grigliate, anche di crostacei, facendo notare che per assecondare la nota amarognola di questi piatti è preferibile usare vini dal boccato importante

con il Pinot Grigio DOC delle Venezie, il Pinot Bianco dei Colli Euganei, Il Manzoni bianco, gli internazionali Sauvignon e Chardonnay. L’etichetta che segnalo, tuttavia, è indicata per i secondi importanti a base di carne come la selvaggina. Si tratta del Valpolicella Classico DOC Superiore 2016 “Masuà Un vino, deciso di Jago” dell’ e armonico, affinato Azienda F.lli in legno per un anno Recchia di Nee seguito da un lungo grar (VR), nel riposo in bottiglia cuore della Valpolicella Classica. Un “cru” storico dell’azienda. Ed è dai terreni, di origine vulcanica, che giunge la nota minerale di pietra focaia che si avverte, accompagnata da sentori di frutta rossa e di sottobosco, caratteristica di questo vino, deciso e armonico, con un affinamento in legno di un anno e poi alcuni mesi di riposo in bottiglia prima di essere commercializzato.

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AD OGNUNO IL SUO CALICE… PANETTONE E PANDORO AUREA RETIA SPUMANTE DOLCE A BASE GARGANEGA 100% COFFELE VITICOLTORI Non il classico spumante dolce, ma un vino strutturato Panettone e pandoro non possono mancare dalle tavole delle Feste, ma con cosa accompagnarli? Va ricordato che si tratta di dolci a pasta lievitata, dall’effetto spugnoso che tende ad asciugare il palato, e piuttosto grassi e per questo consiglio un abbinamento con spumanti morbidi dai profumi intensi non eccessivamente alcolici. Vanno bene quindi il Fior d’Arancio DOCG, Il Recioto di Gambellara Spumante DOCG, Il Recioto di Soave Spumante DOCG. Per gli amanti del Prosecco provare con il Valdobbiadene Superiore di Cartizze DOCG che, essendo un Dry, con un residuo zuccherino più alto rispetto agli altri Prosecchi, acquista in morbidezza. Un consiglio a parte può essere dato per i dolci farciti dove sarebbe meglio abbinare vini spumanti più struttura-

Per i dolci dall’effetto spugnoso è bene abbinare spumanti morbidi dai profumi intensi non eccessivamente alcolici

ti per avere un gusto più intenso. A tal riguardo consiglio l’Aurea Retia Spumante dolce a base Garganega 100%, di Coffele Viticoltori, di Castelcerino di Soave (VR). Si tratta di uno spumante particolare in quanto le uve selezionate prevedono un appassimento fino a febbraio dell’anno successivo alla vendemmia. Non il classico spumante dolce immediato da autoclave, ma con una vinificazione particolare, più strutturato. Giallo dorato brillante Intenso e unico, equilibrato ed armonico, vino dal gusto persistente che non stanca. Perlage fine e persistente. Gradazione alcolica 12%. Da ricordare che gli spumanti dolci vanno serviti freddi (6-8 °C).

DOLCI SECCHI E BISCOTTERIA “NOSTRA HISTORIA” GAMBELLARA CLASSICO VIN SANTO DOC 2010 - MENTI VINI Un passito ambrato, pieno di profumi natalizi I dolci secchi rappresentano la chiusura in bellezza mo intenso e avI picchi calorici di pranzi e cenoni, ma sono dei veri e propri picchi volgente. I vadella pasticceria secca calorici, a base di uova e burro, che vanno asselori sensoriali vanno assecondati condati con vini dalla gradazione alcolica imporspaziano dalle con vini dalla gradazione tante come i “passiti”. In Veneto c’è solo l’imbaraznote di albialcolica importante zo della scelta spaziando dal Fior d’Arancio DOCG cocca essiccome i “passiti” al Recioto di Soave DOCG e dal Recioto di Gamcata, all’uvetbellara al Torchiato di Fregona DOCG Colli di Conegliano, passando dal Torcolato di Breganze e arrivare alle Vendemmie Tardive Moscato Colli Euganei. La mia proposta ricade sul “Nostra Historia” Gambellara Classico Vin Santo DOC 2010, di Menti Vini, di Montebello Vicentino. Si tratta di un passito dal colore ambrato con profu-

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ta passita, ai canditi, alla nocciola, al caramello, alla vaniglia, al miele, alla liquirizia. Un vino potente di ottima struttura ed elegante. Gradazione alcolica sui 13,5%. Da servire sui 1012°C. Per chi amasse dolci tendenzialmente freddi con pan di spagna o altre paste, con farciture al cioccolato, abbinate un Recioto della Valpolicella Passito DOCG, un Refrontolo Passito DOCG Colli di Conegliano. Con i dolci ai frutti di bosco o altre marmellate provate un Ferrari Maximum Demi-Sec Spumante Metodo Classico Trento DOC.


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Al Frantoio Evo del Borgo

di Arquà Petrarca

è pronto l’olio novello! Profumi intensi e un alto valore di acido oleico qualificano la produzione 2020. Insieme all’extravergine tante idee regalo per la cura e il benessere del nostro corpo da mettere sotto l’albero Al Frantoio Evo del Borgo la campagna olearia è appena conclusa e ha regalato un extravergine di oliva carico di intesi profumi e una presenza di acido oleico del 75%, indice di una produzione di straordinaria qualità. L’acido oleico infatti è un vero e proprio toccasana per la salute del nostro corpo, in quanto ha proprietà antiossidanti e riduce la quantità di colesterolo “cattivo” nel sangue. Il merito in parte va sicuramente riconosciuto alla stagione, che grazie alle forte escursione termica tra il giorno e la notte ha accentuato profumi e valori contenuti nelle olive, ma il risultato è soprattutto figlio di una lavorazione che sa rispettare il frutto degli olivi che da secoli inverdiscono le pendici del monte Bignago, ad Arquà Petrarca. Così: goccia dopo goccia l’extravergine di diverse cultivar, tutte autoctone dell’area euganea, ottenuto attraverso una vera spremitura a freddo attorno ai 17 gradi, è diventato l’oro verde da portare in tavola tutti i giorni per il mantenimento della salute e per impreziosire le portate di pranzi e cenoni delle Feste. Prova la nuova Bag in Box in materiale completamente riciclabile: rispetti l’ambiente e anche le qualità dell’extravergine perché rimane sempre sottovuoto | 3 o 5 litri Non solo extravergine di qualità, qui trovi tante idee per la cucina e da regalare a Natale

UNA VASTA SELEZIONE OLIO CLASSICO EVO fruttato medio e da un grande equilibrio tra amaro e piccante OLIO EXTRAVERGINE DOP ha valori più spiccati in quanto prodotto con i frutti delle prime raccolte MOONLIGHT un extravergine di grande equilibrio con sentori carciofo e mandorla OLIO EXTRAVERGINE BIOLOGICO fruttato leggero con sentori di mandorla. Ideale per i piatti delicati AROMATIZZATI: limone, alloro, peperoncino, ottenuti macinando il prodotto fresco con le olive

Il punto vendita è un vero emporio e oltre agli extravergine e agli aromatizzati è possibile trovare prodotti di cosmesi, sfiziosità gastronomiche, cioccolato all’olio d’oliva senza burro e senza glutine, idee regalo, ceste, confezioni natalizie, ovviamente realizzate sempre con l’extravergine Evo del Borgo. La spesa con i prodotti EVO DEL BORGO o l’acquisto delle idee regalo possono essere fatti anche on-line, la spedizione è gratis con acquisti che superano i 90 euro e raggiunge tutta Italia!

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bed & relais,

inizia il suo nuovo viaggio Lo storico casello ferroviario di Conselve è diventato un’originale proposta di soggiorno o di vacanza. Sospeso tra ricettività e ospitalità, design e comfort rappresenta un vero e proprio “mezzo di trasporto” tra spazio e tempo La vecchia stazione sulla linea Padova-Bagnoli è tornata a ad essere un punto di sosta e di riferimento per chi è in viaggio. La lunga storia iniziata in piena Belle Époque, quando la velocità, la tecnologia, l’abbattimento delle distanze erano proprio rappresentati dal treno, oggi è gelosamente conservata, dopo un accurato restauro, all’interno del Bed & Relais Il Treno dei Sogni per una proposta di soggiorno o di vacanza davvero originale. Negli ambienti in cui un tempo i viaggiatori stazionavano in attesa, oggi il tempo scorre dilatato in forma di piacere e di confort grazie a quattro camere arredate con il gusto e con il sentimento di rispettare l’originale natura dei luoghi; spazi comuni, come la cucina e il soggiorno, in cui la vita continua ad essere quella del ritrovo e a zone pensate per il relax come: la piscina, il giardino ombreggiato dal verde o la pergola.

Angoli concepiti con lo scrupoloso impegno di mantenerne l’anima, donando loro una nuova funzione attraverso il design e giocando con le forme semplici dell’arte povera rurale e i materiali dell’archeologia industriale per donare il vivo piacere di sentirsi dentro alla storia. L’offerta è proprio quella di accompagnare il tempo, indugiando sui tanti dettagli che restituiscono il passato ma che sono stati pensati anche per donare piacere, comodità in un’atmosfera sospesa, informale, lontana dagli standard dell’albergo. Tutt’intorno regna la pace della campagna, patria del Friularo: il “Vin da Viajo che i mercanti della Serenissima esportavano in ogni angolo del Mediterraneo. Non lontani svettano i dolci crinali dei Colli Euganei, la laguna di Venezia, il grande Delta del Po e le città venete che Il treno dei sogni permette di raggiungere, organizzando visite ed escursioni. Il passato del Il Treno dei Sogni Bed & Realais è quello di un casello ferroviario. Era una delle 3 stazioni di fermata a Conselve sulla via Padova Bagnoli, una tramvia che permetteva il collegamento della campagna con la Città del Santo e ha favorito in maniera significativa alla crescita economica del territorio e gli scambi commerciali. Inaugurata nel 1886, rimase attiva fino al 1954 e durante la sua storia ha visto diverse evoluzioni come l’elettrificazione della linea nel 1928, ottenuta con un referendum popolare. Una scelta all’avanguardia che precorse i tempi della mobilità pubblica di diversi decenni. Ma fu l’epoca successiva a decretarne il tramonto: da una parte pesarono le spese di guerra che non permisero gli investimenti per l’ammodernamento della tratta e dall’altra l’avvento della motorizzazione privata. Erano gli anni in cui gli italiani scoprirono la Nuova Fiat 500 e il boom economico.


messaggio pubbliredazionale

Ogni camera ha un nome che risponde agli elementi che un tempo costituivano la ferrovia: LEGNO, PIETRA, ACCIAIO e TERRA

Gli spazi de IL TRENO DEI SOGNI sono disponibili anche per organizzare eventi, incontri di lavoro e piccoli momenti di festa

IL TRENO DEI SOGNI bed & relais | Via Padova, 41 | Conselve (Pd) | Tel. +39 347 9367501 info@iltrenodeisogni.it | www.iltrenodeisogni.it | Facebook: Il Treno dei Sogni Numero identificativo L.T. M0280340005


INGIROPIEDANDO di Emanuele Cenghiaro

Archeologia industriale,

QUANDO IL PASSATO CONTIENE ANCORA UN SENTIMENTO Nel paesaggio moderno sono molti i fabbricati che hanno perso la loro funzione a causa del trascorrere del tempo rimangono testimonianze tristi di una società che cambia

C

Capita ancora, non così raramente, che il metallo degli aratri incocci in qualche pezzo rosso-arancio di mattone o tegola. Potrebbe essere il resto di qualche rudere agreste o, probabilmente, in zone di centuriazione, un reperto di epoca romana. Tanti contadini hanno in casa questi pezzi di pietra, con il timbro di una fornace di duemila anni fa; altri hanno anche di più, pezzi di fregi, monete, frammenti di monili. In qualche caso i ritrovamenti sono stati così tanti che il sito è stato censito, qualche volta anche esplorato da esperti. Ad Arzergrande c’è persino un piccolo museo che espone rocchi di colonne, altri si possono trovare in chiesa. Questa cosa la chiamiamo “archeologia”.

Son cose lontane. Ma l’aratro che sono i nostri occhi può scavare, se ne ha voglia, ogni giorno tra cose che ci circondano e che, ormai, sono il passato; di più, sono archeologia. Una parola che si avvicina sempre più ai nostri tempi, e velocemente. Per alcuni Nell’Ottocento l’antichità erano capannoni gli egizi, i greci e i romani; poi della zona lo sono diventati il medioevo, industriale quello lontano e quello alle porte di Colombo, dell’età “moderpadovana na”. Per noi è antico quello che si può parlare per i nonni dei nostri nonni era di archeologia “ieri”, il Sei e Settecento, con le e hanno forse ville veneziane e i giardini dal cinquant’anni fascino decadente e le statue “attribuite” alla scuola degli onnipresenti Bonazza, talvolta riscoperte tra la vegetazione incolta.


INGIROPIEDANDO ribalta continuamente. Non è strano che, nel mondo che sembra perdere sempre più la memoria, e pare “volerla” perdere apposta, internet faccia l’opposto, la eterni? Ci si scontra con un diritto all’oblio oggi quanto mai complicato. I “social” sono zeppi di persone che

Rientrano nell’archeologia del recente passato anche i computer Commodore che sognavano gli scolari a inizio anni Ottanta, i telefoni con la rotella, i primi iMac dal guscio colorato

Da tempo si parla, forse impropriamente, di archeologia industriale: e non si intende più solo un opificio come l’ex cartiera di Vas la cui attività risale al secolo XVII, e nemmeno le filande ottocentesche e le strutture produttive con la centrale elettrica dei Camerini a Piazzola sul Brenta; ormai anche per alcuni capannoni della zona industriale padovana si può parlare di archeologia, e hanno forse cinquant’anni. E non sono archeologia, allora, i computer Commodore che sognavano gli scolari a inizio anni Ottanta, i telefoni con la rotella, i primi iMac dal guscio colorato? E le opere di street art, come quella di Kenny Roberts che quest’estate uno scriteriato ha deturpato a Padova, non sono archeologia già nel momento in cui sono graffite? Nascono per essere tali. Sono gli affreschi che i nostri pronipoti troveranno scavando tra le Pompei della nostra civiltà. In un mondo C’è un luogo in cui mi che corre sono imbattuto anni fa, dove tutto passa e in uno dei primi articoli sembra non lasciare che scrissi: l’ex zuccherificio di Cagnola, comuil segno i segni ne di Cartura. Sono pasinvece rimangono percepibili eccome sati quasi quarant’anni, c’era già allora un’idea di recupero e, passandoci davanti, ho sempre buttato l’occhio per vedere se era ancora lì, se ne avevano fatto qualcosa o se avevano raso al suolo tutto. Ho visto che davanti hanno ristrutturato, ci sono negozi, uffici. Dietro, c’è ancora il rudere che crolla. C’è un ristorante, che mi sento di citare, si chiama Distillerie Clan-Destine, che vi ha sede e che ha tappezzato le pareti di immagini storiche del complesso industriale, richiamandolo fin dal nome. L’ex zuccherificio si chiamava infatti Distilleria Montesi. In un mondo che corre, dove tutto passa e sembra non lasciare il segno, i segni invece rimangono, percepibili eccome. E gli aratri del ventesimo secolo li portano alla

Le cinque centrali idroelettriche lungo la Roggia Contarina, a Piazzola sul Brenta, costruite negli anni ’20 per alimentare i tanti opifici attivi lungo il corso d’acqua, versano oggi in un totale stato d’abbandono sebbene siano stati presentati e approvati alcuni progetti di recupero L’ex cartiera di Vas, nel bellunese, la cui attività risale al secolo XVII

recuperano foto storiche, magari di noi da piccoli e in pose che non avremmo voluto che nessuno vedesse. Ma anche di luoghi che non sono più come erano, e di cui abbiamo la fortuna di avere testimonianza. Se nel Settecento un parroco faceva ricostruire una chiesa, dopo pochi anni si perdeva la memoria di come era la precedente, a meno che qualcuno non l’avesse dipinta

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INGIROPIEDANDO in un quadro. Oggi, possiamo invece saperlo. Perché, però, dovremmo avere voglia di saperlo? I social stessi sono pieni di storielle con saggi cinesi o indiani che stanno sulla riva di un fiume a guardare l’acqua che passa, o a riempire di sabbia e poi acqua un barattolo pieno di sassi, e poi svelano il loro insegnamento ai discepoli. Basta scorrere Facebook, prima o poi un post ci darà la risposta. Ma abbiamo davvero bisogno, di saperla? Davvero conoscere che il luogo che calpestia-

I ruderi della fornace Morandi a Noventa Padovana

mo è stato vissuto da altri, prima di noi, non ci produce alcun effetto? Davvero non ci interessa saperne di più, abbiamo forse paura che cambi la prospettiva con cui guardiamo alle cose, per esempio che, forse, i nostri padri erano diversi da come ce li dipingiamo, o ce li hanno dipinti? Non ci piace sapere che le strade erano polverose, ad esempio… eppure, lo erano meno delle nostre, solo che allora la polvere non la chiamavano smog o PM10, ed era forse meno letale. A Noventa Padovana attorno ai ruderi di una ex fornace, rimasti tali, si è realizzato un parco, sede ogni settimana di un Davvero sapere mercato conche la nostra terra tadino molto è stato vissuto da altri partecipato. La gente vi passa, non ci produce effetto? vi vanno le famiglie e i bambini a giocare. Quella torretta, quei muri aranciati, sono punti di domanda che l’inconscio sicuramente registra. Sono punti di riferimento che additano una strada. Non quella che percorrerà la nostra auto, per quella c’è l’asfalto. È la strada della nostra esistenza, quella che non dipende da noi, quella che ci ha pensati prima che nascessimo e continuerà dopo di noi. Quella che, nonostante noi, esiste sempre. Quella che respira e per la quale non esiste archeologia, tutto è sempre e solo presente.

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Cantina Colli Euganei: la ripartenza di Vo’ passa attraverso il vino Due bottiglie solidali prodotte da Cantina Colli Euganei aiutano a finanziare la ricerca dell’Università di Padova nella lotta al COVID-19 e a sostenere economicamente il paese, primo focolaio italiano Da primo paese colpito dalla pandemia, a simbolo di rinascita e speranza. La cittadina padovana di Vo’, ai piedi dei Colli Euganei, ce la sta mettendo tutta per rilanciare il suo territorio e ha scelto di ripartire dalla forte vocazione vinicola che da secoli la caratterizza. In prima linea in questa attività di ripartenza c’è Cantina Colli Euganei, cooperativa nata a Vo’ oltre 70 anni fa e che oggi raggruppa più di 550 viticoltori. Durante i mesi di marzo e aprile, mentre Grazie ai due vini solidali, tutta Italia era in pieno lockdown, i realla Cantina Colli Euganei sponsabili della cantina hanno dato vita è stato assegnato il primo premio ad un progetto per rilanciare il territonella categoria Miglior Rilancio rio e sostenerne le attività economiche. di destinazione enogastronomica Grazie all’aiuto del Comune, che ha conal GIST Travel Food Award 2020 cesso la possibilità di utilizzare denominazione e nome del luogo, sono nati due vini a marchio Vo’, per sottolineare la forte identità e il legame con la tradizione vitivinicola dei Colli Euganei. Le due bottiglie solidali prodotte da Cantina Colli Euganei sono un Serprino Spumante Doc Colli Euganei, bollicina fresca e fruttata dal vitigno glera, e un Rosso Doc Colli Euganei, che racchiude i sentori delle uve a bacca rossa allevate in questi terreni vulcanici. Supermercati e punti vendita di tutto il Nord Italia hanno aderito al progetto permettendo alla cantina di donare, per ogni bottiglia venduta, 1 euro all’Università di Padova e all’equipe del Dipartimento di Microbiologia e Microbiologia Clinica, al fine di sostenere la ricerca scientifica nella lotta contro il Covid-19. 10 centesimi La vendita delle bottiglie vengono invece consegnati al Comune di Vo’, che li impegna in attività volte al di Serprino Doc Colli Euganei rilancio del territorio e dell’economia del paese. e Rosso Doc Colli Euganei Ad oggi la vendita delle bottiglie di Serprino Doc Colli Euganei e Rosso Doc Colli ha permesso la raccolta Euganei ha permesso di raccogliere oltre 100mila euro da destinare alla ricerca. di oltre 100mila euro Grazie ai due vini solidali Cantina Colli Euganei si è inoltre aggiudicata il primo da destinare alla ricerca premio nella categoria Miglior Rilancio di destinazione enogastronomica al GIST Un’iniziativa di: Travel Food Award 2020. I vini solidali sono disponibili in tutti i punti vendita indicati nel sito cantinacollieuganei.it e nello shop online cantinacollieuganei.it/negozio


PAESAGGI OFFESI di Massimo Trevisan

IL CONTRIBUTO VENETO AL GIARDINO PAESAGGISTICO DELL’ 800:

Giuseppe Jappelli

Lo storico architetto padovano oltre a lasciare la sua firma sul Pedrocchi e sul Teatro Verdi di Padova ha realizzato il parco di Saonara, parco Treves ed il piccolo Giacomini-Romiati

L

a La nostra attuale sensibilità nei confronti del paesaggio deve molto alle discussioni, tra ‘700 ed ‘800, attorno alla natura e all’affine problematica del giardino cosiddetto all’inglese, che a cavallo dei due secoli si diffonde in tutta Europa (in lingua inglese noto come landscape garden). Si tratta di un giardino che nella sua costruzione tende a coinvolgere l’intero paesaggio circostante, rendendo indefiniti i propri confini; che sostituisce alla natura organizzata ad arte in aiole e viali rettilinei, alla vegetazione potata geometricamente e alla visualità assiale della tradizione precedente, una organizzazione più informale e fedele alla libertà della vera natura, che infine aspira ad interpretare il genius loci, valorizzandone le potenzialità, le peculiari caratteristiche ed anche lo spessore storico. Il Veneto entra con tempestività nel dibattito, grazie a Melchiorre Cesarotti, che tra il 1792 ed il 1798, nell’ambito dell’attività dell’Accademia patavina da lui presieduta, sollecita l’intervento di alcuni letterati sull’ argomento del giardino: ne parlano, tra gli altri, Ippolito Pindemonte e Luigi Mabil (1752-1837) ed è in particolare quest’ultimo a delineare nella sua Relazione (Saggio sopra l’indole dei giardini moderni, 1796) le coordinate lungo le quali si svilupperà il successivo giardinismo veneto. “Chiamansi moderni ed irregolari quei giardini che,

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lasciata ogni apparenza di studiata e artificiosa composizione, vogliono unicamente abbellirsi delle grazie semplici ed ingenue della natura... Saprà il nostro artista dilatare... il suo dominio... legando il suo quadro con quello che la natura intorno gli disegnò, traendo partito dai circostanti oggetti, avvicinando al loro tono la propria composizione, e formandone un tutto armonico e strettamente connesso... L’acqua... le piante e le differenze de’ loro tronchi e rami, e le varie forme e tinte del fogliame, la posizione di un bosco... un’eminenza, un avvallamento, Il giardino all’inglese un contorno ricursostituisce la rigida vo, allungato, i diarchitettura versi accidenti che di aiole e viali rettilinei son generati dalla luce o dall’ombra; con una organizzazione questi... esser pospiù informale e fedele sono gli elementi alla libertà che, or composti della vera natura insieme, or disgregati gli servono a diversificare la sua composizione, e a condurre negli animi una soave mescolanza di sempre nuove e svariatissime affezioni...non gli si nega di introdurre in qualche sito una capanna pastorale, un rustico tugurio, i rimasugli di gotico edifizio, una cella romita, un oratorio, un tempietto, una vecchia torre... [ma] come


PAESAGGI OFFESI

appendici ed accidenti piuttosto atti a rilevare una scena, che a crearla, a rinforzare un effetto, che a produrlo... [che] sembrino cose là buttate dal caso.” È su queste indicazioni che si baserà l’attività dei tre maggiori architetti paesaggisti veneti dell’Ottocento: il veneziano (ma padovano d’adozione) Giuseppe Jappelli (1783-1852) e i vicentini Francesco Bagnara (1784-1866) e Antonio Caregaro Negrin (18211898). Le strade del Mabil e dello Jappelli si incrociano a Padova nel dicembre del 1815 in occasione della visita di Francesco I d’AuBusto ottocentesco di Giu- stria e della moglie Maria seppe Jappelli, all’ingresso Ludovica: del primo (allodel giardino Giacomini-Ro- ra professore presso l’Umiati niversità) si pubblica una Orazione in onore dei sovrani mentre il secondo viene chiamato ad allestire nella sala superiore del palazzo della Ragione un’ elaborata scenografia che la trasforma in un magico giardino, ornato di alberi, acqua corrente con cascatelle, tempietto, colonne e collinetta. È probabile che Jappelli conoscesse già l’opera del Mabil, in particolare la sua traduzione abbreviata di un importante testo tedesco, la Teoria dell’arte dei giardini di Ch. Hirschfeld, edita a Bassano nel 1801. Certo è

che l’apprezzatissimo allestimento padovano lo accredita presso l’élite cittadina, avvicinandolo soprattutto alla sua frangia di simpatie massoniche (egli era iscritto dal 1806), che valeva a dire di simpatie filofrancesi e legata agli ideali libertari della rivoluzione.

L’allestimento in onore di Francesco I e Maria Ludovica d’ Austria al Palazzo della Ragione di Padova nel dicembre del 1815 (da Bussadori - Roverato)

Diplomatosi perito agrimensore, Jappelli acquisisce presto una solida competenza ingegneristica (entra nel corpo degli ingegneri d’acque e strade del Brenta, sotto la dominazione francese), che affina negli anni grazie ad un vivo interesse per le innovazioni tecnologiche che ha modo di verificare personalmente nei brevi viaggi in Francia ed Inghilterra. Parallela alla sua attività di architetto (che comprende a Padova il Pedrocchi, il Macello - ora Istituto Selvatico - il Teatro Verdi, il municipio di Piove di Sacco) si svolge la pratica di progettista di giardini, dove gli soccorrono le competenze acquisite nel campo dei movimenti di terra e della regolazione delle acque. Già nel 1816 è impegnato nella realizzazione del parco di Saonara per Antonio Vigodarzere, a cui egli conti-

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PAESAGGI OFFESI nuerà a lavorare anche nei decenni successivi per conto del nuovo proprietario, il conte Andrea Cittadella-Vigodarzere. Il fulcro del parco è costituito dal laghetto, con isoletta, dal profilo sinuoso e frastagliato; la terra recuperata dall’escavo è utilizzata per realizzare una collinetta e lievi movimenti del terreno su cui si snodano gli articolati percorsi, che assieme alle macchie arboree creano visuali continuamente mutevoli. L’elemento più caratteristico del giardino è rappresentato dal complesso della grotta e della cappella del templare: ispirato alla Massoneria esso rappresenta un indizio cruciale della poetica dello Jappelli che, per rinforzare gli effetti emotivi e connotare il carattere del parco si affida spesso a memorie letterarie, siano esse rappresentate dall’ Eneide come nel progettato giardino per l’ex villa Selvatico di Battaglia (realizzato in piccola parte) o dall’Orlando Furioso e dalla Gerusalemme libeStampa ottocentesca con la veduta della cappella dei rata, come nel caso del templari nel parco Cittadella parco Torlonia a Roma. Vigodarzere (ora Valmarana) Anche le varie architettudi Saonara re che egli dissemina nei suoi parchi (grotte, torri, tempietti, padiglioni, serre, cavalerizze...), trattate con ampia varietà di stili, sono intese a sollecitare effetti ed impressioni che derivano dal timbro proprio di ogni stile impiegato. La maestria dello Jappelli nel maneggiare gli elementi delle natura e della storia si rivela appieno nei parchi padovani, il Treves (1829-35) ed il piccolo Giacomini-Romiati (1840 ca), dove egli arriva, per così dire, a naturalizzare la città sfruttandone abilmente le emergenze architettoniche che diventano esse stesse paesaggio, sfondi e scene nei variegati percorsi del giardino. Un gustoso schizzo biografico ed una fantasiosa descrizione del giardino Treves ci ha lasciato Niccolò de Lazara in alcuni versi dialettali (Per le nozze Corinaldi-Treves, 1839), dove lo Jappelli è “el mago... Bepo dai zardini”. Puntuale, e talora poetica, ne è la descrizione nella guida di Pietro Selvatico (Guida di Padova, 1869): “[Lo Jappelli] seppe coll’ingegnoso saliscendi di ben mossi poggetti, coll’ avvisato aggruppamento degli alberi, colle viuzze girevoli, col sapiente contrasto di vallicelle interposte al folto delle piante, farlo apparire spazioso assai. Anzi, con artificii sì ben nascosti che paiono accidenti di natura, conquistò all’occhio alcuni punti pittorechi che stanno

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Scorcio del palazzo e del giardino Giacomini Romiati (entrambi progettati dallo Jappelli). Sullo sfondo si intravede la torre romanico-gotica, carica di un valore simbolico che trascende la mera funzione di belvedere. I tre piani sopraelevati erano originariamente dipinti in nero, azzurro e giallo, colori corrispondenti con ogni probabilità ai tre gradi gerarchici dell’iniziazione massonica.

fuori dell’angusto recinto. Laonde, fra lo inaspettato diradarsi delle macchie, lo sguardo si protende ricreato, ora sulle travagliose ruote di un mulino, ora sulle svelte cupole e sugli aerei campanili di S. Antonio, ora sulle austere muraglie di S. Giustina. Profittando il Jappelli, da vero artista, del più affascinante allettamento del paesaggio, ch’è l’acqua viva, si valse del fiume scorrente... fra mezzo al sito, onde comporre quadri di espressione dissimile, ma sempre cara; perchè, mentre in un luogo l’onda... s’addentra romita... sotto ombrosi ricetti, in un altro s’allarga festosa tra sponde smaltate di fiori o allegrate dal verde abbrunato dell’erba infittita. E le fabbriche aggiunte crescono a questo giardino, col differenziare degli stili, bellezza”.

Il Macello di Padova (ora Istituto Selvatico) in una incisione di Pietro Chevalier Per approfondire: AA.VV. (a cura di G. Mazzi), Giuseppe Jappelli e il suo tempo, Pd, 1982) P. Bussadori e R. Roverato, Il giardino romantico e Jappelli (Pd, 1983) G. Mazzi, Giuseppe Jappelli (in: Storia dell’ architettura italiana. L’Ottocento, Mi, 2005)


INGIROPIEDANDO di Mauro Gambin

I nomi della Terra

PAROLE E SUONI CHE CONTENGONO LA COMPLESSITÀ DEI COLLI EUGANEI A 21 anni dalla prima stampa Antonio Mazzetti ha presentato la riedizione del libro in cui ha raccolto 3300 toponimi. Un testo nato sul posto, dall’incontro di un naturalista con la sapienza dei re contadini che unisce i caratteri fisici dell’ambiente alla sorprendente ricchezza linguistica dei tanti modi per dire terra

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l paesaggio, normalmente, lo percepiamo attraverso la vista e quindi lo immaginiamo come una cartolina, ma in realtà al paesaggio “visivo” andrebbe sovrapposto quello “sonoro” - che oltre ai suoni che fanno parte del panorama contiene anche i nomi della terra per uscire dall’immagine illustrata ed entrare nella vera carta geografica che “Quando perderemo parla, indica e diveni nomi della terra ta testimonianza dello spazio e del tempo. non perderemo I nomi della terra, sono solo un modo i nomi dei luoghi, la per chiamarla confidenza che l’uomo ma perderemo ha instaurato con la la terra stessa natura affidandole un e forse ci perderemo suono suo proprio, il anche noi” segno che distingue il

qui dall’altrove e il là con le altre parti indistinte del circondario. Insomma i nomi della terra servono Antonio Mazzetti naturalista per farci uscire da un pa- ed esperto conoscitore dei esaggio indeterminato, Colli Euganei perché a volte riescono ad esprimere la consistenza stessa della terra, la forma, la natura, il carattere dei luoghi. Ed è a questi nomi che Antonio Mazzetti, naturalista e profondo conoscitore dei Colli Euganei, ha dedicato anni del suo lavoro incontrando i “re contadini” e chiedendo loro i toponimi, o meglio semplicemente i nomi, di un paesaggio così unico come quello euganeo. “Non è stato facile. Ho dovuto imparare la loro lingua, una lingua scarna, asciutta distillata da un antico sapere. E ho dovuto anche vincere la loro diffidenza, la gente euganea è per istinto sospettosa e riottosa nei con-

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INGIROPIEDANDO fronti di chi non appartiene alla loro enclave. Imparai, anche andando nelle osterie, il loro modo di guardare e di parlare. ‘Sàlo ‘élo - mi chiese un vecchio patriarca, per vedere se ero in grado di capire quello che avrebbe potuto dirmi - dove ke xé ea Prìa dea Cróse’? Ea Prìa dea Cróse - risposi - ea xé in parte al Carbonìe dea Busa de Val de Agri, vegnéndo dae ‘Sguassaròe, ‘péna passà el coéto del Ronchigno’o de Scanavaca, sóto ‘e Scafe de Venda, sóra ea Vena de Pessetón, ‘ndando ae Pónte de “Parole forti come chiodi Bajamonte. La piantate nella terra mia risposta era intrise dell’arcaica corretta e si aprì la porta di casa potenza dell’òikos” con l’invito a cena. E tante altre furono le porte che si aprirono”. Nomi primigeni, antichi, che sono stati capaci di attraversare le epoche e di continuare a parlare all’uomo, finché l’uomo è stato in ascolto. “Fino a quando le nostre società sono rimaste attaccate alla terra come quei ‘re’ che ho incontrato, quel patrimonio di nomi che indicavano: i ‘prà, ‘e fontane, i

calti, i ‘stròsi, i carbonìi, ‘e prìe, i mòtoi, i rùgui, i menaùri’ era salvo. Oggi che l’uomo frequenta più spesso i non luoghi del web e le comunità social, non so. Temo che si corra il rischio dello spaesamento. Quando perderemo i nomi della terra non perderemo solo un modo per chiamarla, ma perderemo la terra stessa e forse ci perderemo anche noi. ‘Io so chi sono perché so dove sono’, mi disse uno di questi vecchi contadini. Per loro il paesaggio attorno non era visione pittoresca del bello, del suggestivo, del curioso, ma scena di presenza domestica, della fatica di vivere che plasma il carattere e il pensare, dove ogni luogo ha un nome, una virtù, una storia che fa parte della storia del mondo. I nomi della terra sono un documento depositato nella memoria collettiva: tessere di un mosaico che affiora dai sotterranei della storia. Parole forti come chiodi, piantate nella terra a reggere la trama di un tessuto di comunità, intriso dell’arcaica potenza dell’òikos. Nel paesaggio ondoso dei colli Euganei i toponimi sono rimasti a galla lungo i secoli come un fondo culturale indiviso, ereditato dai popoli che son venuti, ognuno col proprio idioma. Nella toponomastica - che è anche

Il libro nasce dalla voce dei contadini dei colli Euganei, uomini legati alla terra e che la sapevano chiamare per nome. I loro nomi sono come quelli di questi posti, antichi e pieni di una musicalità capace di restituire lo scorrere del tempo e le forme ondulate del paesaggio collinare: Rigo Gnùo, Cressènte Quajàto, Martin Cassòi, Noè Aghi, Ciàno Archièo, Livio Mericàn, Toni Bisèo, Bèpi Gingjón, Màcia Tanburìn, Bruno Póte, Jìjo e Danilo Sèa, Bèpi Cunèa

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INGIROPIEDANDO

archeologia della parola - non è scritta solo la storia e la geografia dei luoghi, ma una grammatica dell’immaginario comune, della coesione sociale, della rete territoriale di identità”. Il territorio euganeo è unico nella sua geologia e morfologia, questa differenza la troviamo anche nei nomi che sono stati dati alla terra? “Badi, io sono un naturalista non sono un esperto di onomastica, anche per questo il libro ha richiesto un duro lavoro. Come impegnativo è stato il trascrivere nomi che appartenevano all’oralità in un corsivo dialettale. Li ho riportati con la grafia il più possibile vicina alla pronuncia. Ma credo sia vero che questa terra ha sviluppato anche un suo vocabolario per indicare le cose. La parola ‘calto’, ad esempio, in Veneto designa due cose: il loculo al cimitero o i cassettoni degli ‘armari’ che stavano nelle camere da letto delle case contadine. Qui, invece, indica il lavoro dell’acqua, è una forma di erosione della terra, una cicatrice o la ruga del tempo, di un tempo immemorabile e delle piogge venute sotto altri “Da naturalista climi che hanno ho capito che un sentiero scavato i fianè una forma di scrittura chi delle trachiti e delle scaglie, che racconta storie creando valli stratificate nel tempo strette e proche dentro hanno fonde, forre boaltre storie scose dalle rive che dentro hanno sconnesse e inaltre storie” sidiose. Luoghi incerti della penombra dove a volte sul fondo scorre un rio, dentro un chiuso silenzio. Ora in questi solchi profondi, che sanno di lontananza, non va nessuno, ma in passato i calti furono - per chi aveva confidenza col posto - svelte vie di accesso ai crinali, ai pianori, ai passi e alle cime. Gli oltre 220 calti nominati in Indice rappresentano un valore approssimato per largo difetto”. Da dove nasce un libro come I nomi della terra? Da

dove nasce l’idea di raccogliere questa forma di testimonianza? “Le cose stanno nell’aria. Sono loro a cercarti. Il paesaggio è vivo. Da naturalista ho capito che un sentiero è una forma di scrittura, che racconta storie stratificate nel tempo, che dentro hanno altre storie, che dentro hanno altre storie. E anche i nomi inventati dalla cultura orale, in realtà sono una testimonianza, una forma narrante che rientra nella mia curiosità e nella mia esperienza di territorio. Pensi al toponimo Steogarda, è una parola longobarda che significa: recinto dei cavalli. È una parola viva da 1500 anni, nessuno più ormai ne conosce il significato ma il suo suono è rimasto. È come una partitura musicale, ne decripti le note e ti restituisce il senso di un luogo. Così vale per tutti gli altri”. Questo lavoro nasce a distanza di vent’anni dalla prima pubblicazione. È cambiato qualcosa? “La prima edizione era stata chiusa in fretta, ricorrevano i primi dieci anni di vita del Parco Regionale dei Colli Euganei e mi venne chiesto di mandare in stampa un lavoro al quale avevo dedicato 10 anni di documentazione e solo qualche settimana di elaborazione. Questa nuova, Cierre edizioni, versione è stata rivista e ampliata e impreziosita dal Prologo poetico di Giuliano Scabia e dal notevole Saggio introduttivo del geografo Andrea Pase. In Appendice è riprodotto l’articolo di apprezzamento, alla prima edizione, del grande linguista estense Aldo Luigi Prosdocimi. Al suo interno, in 574 pagine, sono classificati circa 3300 micro-toponimi. Di ognuno viene data una sintetica collocazione geografica, arricchita da riferimenti geologici e colturali, al fine di evidenziarne la perdurante vitalità e l’evoluzione nel tempo. Mi auguro sia un lavoro utile agli studiosi, agli escursionisti, per gli amministratori comunali, ai docenti impegnati nell’educazione al rispetto del territorio e alle vivaci attività produttive e di accoglienza che lavorano in questo straordinario lembo di terra veneta. Per me rimane un atto d’amore verso il territorio euganeo e la sua gente”.

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STORIA E DINTORNI di Roberto Soliman

QUANTO LE PECORE CONTRIBUIRONO A FAR GRANDE LA “SERENISSIMA”? La storia è piena di cose curiose e nel passato della Repubblica di Venezia un ruolo di primaria importanza ce l’ha anche la “pipì” del mansueto quadrupede

A

volte inoltrandosi nei vecchi casolari di campagna, in quella parte che veniva riservata alla cantina perché disposta a nord e quindi fresca e umida e nelle vecchie stalle abbandonate, si nota nei mattoni una barba grigio chiaro, una specie di muffa soffice al tatto, è il salnitro, cioè il nitrato di potassio

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(KNO). È il componente principale (75%) della polvere da sparo o polvere nera, inventata in Cina nel IX secolo, e poi diffusasi in Eurasia alla fine del XIII. Inizialmente venne usata per scopi medicinali e per i fuochi artificiali da sparare al termine di una festa. Per formare la polvere Inventata in Cina da sparo vanno aggiunnel IX secolo ti lo zolfo e la polvere di si diffuse carbone ricavata di sosuccessivamente lito dalla legna di querin Eurasia alla fine cia, di pioppo, faggio, vite e salice. Lo zolfo e del XIII secolo il carbone fungono da e venne da subito combustibile, mentre il impiegata salnitro è il comburente, con scopi bellici permettendo la combustione rapida dei primi due in assenza di ossigeno. La crescente diffusione delle armi da fuoco, installate soprattutto nelle navi, aumentò la richiesta di salnitro, al punto che la Repubblica Veneta diede una forte spinta per la sua produzione artificiale con l’aiuto delle miriadi di pecore nel territorio; il tutto sotto il controllo rigoroso di un provveditore alle artiglierie. Ma come era possibile che le pacifiche pecore fornis-


STORIA E DINTORNI sero la pericolosa base per alimentare pistole, fucili e cannoni? Questa la risposta! Le loro deiezioni imbevevano la terra dove dormivano e in questa agivano i batteri cosiddetti nitrificanti e poi, per raschiatura, veniva asportata questa terra superficiale “nitrosa”, e lavorata appositamente creando numerosi impianti che potremmo definire chimici ante litteram, fino ad ottenere il salnitro grezzo che poi veniva ulteriormente raffinato. Perciò, per ospitare nottetemLa Repubblica di Venezia po le pecore, fece forti investimenti la Serenissima nella pianura fece costruire numerosi “Teper produrre il salnitro che veniva poi miscelato zoni” (dal latino tegere = copriallo zolfo e al carbone! re, proteggere), che erano delle tettoie dove sostavano greggi di circa 200 pecore, sia stanziali che transumanti. I tezoni si diffusero nella terraferma veneta nella seconda metà del XVI secolo; degni di nota i tezoni di Este e Montagnana; mentre nel vicentino, per ordine del provveditore Soranzo, vennero costruiti 8 “case di salnitro” (le ultime completate nel 1584). Nel veronese i tezoni erano 11, tra cui a Legnago, Cerea, Minerbe e 2 a Verona (dove c’è ancora via Tezon). Nel colognese, dipendente direttamente dal Dogado, vennero co-

struiti a Cologna e a Veronella (l’antica Cucca), dove ancora si riconosce la sagoma di questo tezon in un fabbricato poi modificato e sopraelevato dai conti Serego nel 1915 e dove opera la “Fattoria Sociale Tezon”. Nella terraferma veneta i tezoni erano 78, ma ne esistevano anche nel bergamasco sempre sotto il dominio veneziano, ed erano inizialmente costruiti con palificazioni inserite nel terreno che sostenevano un tetto ligneo coperto di paglia. Ospitavano greggi provenienti dalla montagna che nel periodo invernale (da fine settembre a fine aprile) scendevano a valle nel vicentino, nel veronese e nella bassa padovana, dove ancora potevano trovare erba lungo gli argini dei fiumi e nelle “praterie”, per ritornare poi ai loro monti. Nell’archivio parrocchiale di Castelbaldo (PD), in un registro del ‘600, figurano essere presenti in loco molti pastori provenienti dal Trentino e dall’Altopiano dei Sette Comuni come: Mattio, Giacomo e Bastian Dalle Mulle e ancora Domenico Zanetin da Castel de Tesin, poi Andrea Matiazzi da Lusiana, Sebastian di Lunardi da Gallio, Madalena Menegata da Enego, Matio Della Picolla da Pecol Trentin, etc… Altri provenivano dal Bellunese mentre alcuni di questi pastori si sono poi stabiliti, con le loro famiglie, nei luoghi di pianura che gli ospitavano anno per anno, mantenendo il diritto di pascolo, sancito con contratti registrati. È giusto ricordare che la transumanza è sempre stata

Per effetto dei batteri cosiddetti nitrificanti le deiezioni delle pecore venivano trasformate in salnitro grezzo. Raccolto dai tezonieri veniva ulteriormente lavorato e impiegato nell’industria bellica

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STORIA E DINTORNI di pecore e il formaggio prodotto e consumato fino a meno di un secolo fa anche al nord era “el pegorìn”, tuttavia nelle nostre montagne ora la presenza di pecore è esigua, sostituite dalle vacche (libere dal gravoso lavoro nei campi dopo la meccanizzazione agricola e quindi non più indispensabili nelle stalle di pianura) che producoIl tezoniere era un impresario no un latte con contratto d’appalto che dà un e si impegnava a fornire formaggio con meno allo stato veneto sapore, più un quantitativo annuo in linea con di salnitro i gusti moa un prezzo stabilito derni, addomesticati! Il tezon veniva diretto dal tezoniere, che era un impresario con contratto d’appalto con cui si impegnava a fornire allo stato veneto un quantitativo annuo di salnitro a un prezzo stabilito, salvo pagare penale in caso di mancata produzione. I tezonieri godevano di privilegi, godevano di abitazione gratuita per loro, la loro famiglia e i dipendenti; erano esenti dal dazio; potevano girare armati e gestire completamente il ciclo produttivo anche “raschiando” le terre di stalle private. Da menzionare che l’Università di Padova venne consultata dal provveditore alle artiglierie

La crescente diffusione delle armi da fuoco, installate soprattutto nelle navi, aumentò la richiesta di salnitro al punto che la Repubblica Veneta diede una forte spinta per la sua produzione

per cercare di trovare il modo di aumentare la quantità prodotta di salnitro, che nel 1787 era di 89 tonnellate nelle provincie a est del Mincio. Ma molto ne arrivava dalla bergamasca, dove c’erano molti pastori e greggi. Con la caduta della Serenissima i francesi liberalizzano la produzione del salnitro e i tezzoni entrarono in crisi non potendo competere con la nascente industria chimica. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento la polvere da sparo venne affiancata e progressivamente sostituita da nuovi tipi di esplosivo, grazie in particolare alle ricerche e invenzioni dello svedese Alfred Nobel che portarono alla creazione della dinamite. Negli ultimi cinquanta anni altri esplosivi ancor più dirompenti sono purtroppo utilizzati per scopi militari e anche terroristici. La “vecchia” polvere da sparo resta come base delle munizioni per fucili e pistole, nonché per i fuochi d’artificio: in fondo è un ritorno alle origini, a quando con la polvere nera i cinesi, mille anni fa, concludevano artificiosamente e allegramente una festa!

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AMICI CON LE ALI

CRIPTISMO E MIMETISMO, ESPEDIENTI PER SOPRAVVIVERE ALL’INVERNO

Foto di Fabio Piccolo

di Aldo Tonelli

Sono molte gli espedienti che il mondo animale ha escogitato. Alcuni cercano di confondersi con l’ambiente circostante altri copiano comportamenti di altri animali

I

n inverno alcuni animali cambiano il loro aspetto per potersi confondere meglio con l’ambiente che si trasforma, specie in montagna dove domina il colore bianco portato dalla neve. Uno dei mammiferi più interessanti delle Alpi per questa capacità di mutare colore è la lepre variabile, detta anche lepre bianca o lepre alpina. La pelliccia marrone durante il periodo estivo muta gradatamente di colore diventando bianca permettendo di diventare quasi invisibile nell’ambiente innevato. Questa specie è un vera e propria maestra del criptismo, una strategia di sopravvivenza tipica anche di altri animali che vivono in quota da non confondere con il mimetismo. Il criptismo è il tentativo di confondersi con l’ambiente circostante, assumendone forme e colori, per risultare meno visibili nei confronti dei predatori o, vi-

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ceversa, per La pernice bianca, avvicinarsi il per non lasciare impronte più possibile sulla neve che potrebbero alle prede. rivelare la sua presenza, Il mimetismo arriva in volo al riparo è invece il scelto per proteggersi tentativo che gli animali dal freddo possono fare di copiare, mimare altre specie per trarne dei vantaggi. Un classico esempio di mimetismo è quello dei silfidi che, pur essendo insetti inoffensivi, tendono ad assomigliare alle vespe per scoraggiare gli eventuali predatori. Tra gli uccelli il rappresentante più noto del criptismo è la pernice bianca, piccolo tetraonide d’alta


AMICI CON LE ALI montagna e brughiere, presente in varie zone della Alpi e nidificante in Veneto nella provincia di Belluno. Da novembre a marzo il suo piumaggio è interamente candido mentre negli altri mesi solo le ali rimangono bianche mentre il corpo è di un marrone-grigio screziato che la confonde più facilmente tra le rocce senza neve. Nei rifugi scavati Di indole gregaria si alimenta di frutta, semi, nella neve germogli, foglie e nidifica la temperatura sul terreno dove di solito non scende mai sotto i -2/-3 gradi effettua una sola covata e i pulcini vengono nutrie permette ti per le prime settimane la sopravvivenza anche con insetti. D’inanche nelle notti verno per proteggersi dal gelo notturno arriva più rigide in volo sul sito scelto, per non lasciare impronte sulla neve, si sprofonda di pochi centimetri, se la neve è ghiacciata, fino a una Pernice bianca in abito invernale

Foto di Fabio Piccolo

Sotto: Pernice bianca in abito di transizione

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AMICI CON LE ALI ventina di centimetri se è più soffice: in questi rifugi la temperatura non scende mai sotto i -2/-3 gradi e permette la sopravvivenza anche nelle notti più rigide. Non sono molte le specie di uccelli che possiedono queste capacità di modificare il piumaggio a seconda della stagione come forma di difesa, numerosi sono invece quelli che sfruttano il mimetismo per la loro salvaguardia e quella della loro discendenza: infatti spesso le uova e i pulcini hanno colorazioni che li fanno per così dire sparire dalla vista e salvarli dagli eventuali pericoli. Un uccello molto bravo nell’arte del mimetismo, applicata in più modalità, è il torcicollo, appartenente sì alla famiglia dei picchi ma che si comporta in maniera differente non avendo un becco adatto a bucare i tronchi alla ricerca di cibo. Si nutre principalmente di formiche, uova e loro larve cercandole sul terreno, sui tronchi marcescenti e raccogliendole con la lingua lunga e Il torcicollo vischiosa. Ha un piumagminacciato sfoggia gio marrone un comportamento molto mimetidetto “terrifico”: assume co grazie alla una postura colorazione con collo a “S” e alle striaed emette versi sibilanti ture presenti che ricordano come quelli la corteccia di un serpente degli alberi, abbinato al suo atteggiamento fatto di immobilità seguito da movimenti molto lenti e furtivi spesso sfugge all’osservazione e quindi agli eventuali predatori. Nidifica nelle cavità degli alberi scavate da altri picchi e non disdegna i nidi artificiali dove può deporre fino a 10 uova ed è l’unico tra i picchi ad effettuare due covate e in nidi diversi. Il nome deriva da un suo atteggiamento di difesa e che è un’altra forma di mimetismo dove cerca di apparire come un’altra specie più pericolosa. Quando si sente minacciato, specie vicino al nido, sfoggia un comportamento detto “terrifico” durante il quale assume una postura con le penne della testa sollevate, il collo a “S”, oscillando e torcendosi, inoltre emette versi sibilanti e soffi che ricordano quelli di un serpente in atteggiamento aggressivo. Questa è una difesa attuata sia dagli adulti che dai giovani fin dalle prime settimane dalla nascita e questo spesso li salva dai predatori che rimangono perplessi su che tipo di animale hanno di fronte e che può rappresentare non una preda ma un pericolo.

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Torcicollo

Torcicollo con uova e larve di formiche

Torcicollo in nido artificiale


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