Con i Piedi per Terra | 33

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N. 33 - Agosto - Settembre 2019 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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Numero 33

Direttore responsabile: Mauro Gambin Editore: Speak Out srl

Vendemmia 2019. Meno uva, ma più qualità

di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) info@speakoutmedia.it

Silvano Bizzaro Alessandra Capato Emanuele Cenghiaro Mattia De Poli Federica Guerra Michele Grassi Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Ada Sinigalia Roberto Soliman Mario Stramazzo Aldo Tonelli

Il tartufo veneto è poco conosciuto, peccato

I funghi, preziosi alleati per la salute umana

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LA FORMA DEL LATTE

Progetto Grafico:

Piove di Sacco (PD) Tel. 049 5842968 www.esclamativo.info think.esclamativo@gmail.com

Fine estate in alpeggio alla ricerca dei buoni formaggi

Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl

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LA MEMORIA DI CARTA

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Landini testa calda, la campagna d’altri tempi

Bagnoli di Sopra (PD) Tel 049 9535267 www.stampeviolato.com info@stampeviolato.com

COSA MANCA? UN GIORNALE!

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UN ANNO di buona lettura arte storia e natura prodotti tipici arte storia e natura prodotti tipici arte storia e natura prodotti tipici

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N. 29 - Ottobre - Novembre 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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Editoriale:

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CARO AMICO, TI SCRIVO... IL MONDO STA CAMBIANDO MA FORSE NON IN MEGLIO Tema:

Editoriale:

OCCHI BEN APERTI CHI SI FERMA ALLE DUE APPARENZE, IN PRATICA, VIVE SUL MONDO CONSENTONO DI COGLIERE MANGIANDO BUCCE... LE GIUSTE PROFONDITÀ E LE DISTANZE Attualità:

N. 32 - Maggio - Giugno 2019 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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N. 31 - Febbraio - Marzo 2019 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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N. 27 - Maggio - Giugno 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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N. 30 - Dicembre 2018 - Gennaio 2019 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana. L’autore è Roberto Roin Titolo dell’opera: “Tra gli alberi d’autunno”

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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE

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PANORAMA GASTRONOMICO

Hanno collaborato a questo numero:

Giornale chiuso in redazione il 28 agosto 2019

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LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE

Editoriale:

LE STRADE DI DOMANI SIAMO FIGLI NON SARANNO DELLE STELLE DI CEMENTO O DELLA MAGIA? Attualità:

RIFIUTI INDUSTRIALI, IN TILT LO SMALTIMENTO VENETO

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EDITORIALE di Mattia De Poli

AUTUNNO È SINONIMO DI SAZIETÀ, MA ATTENZIONE ALLE CADUTE

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e parole sono scrigni da aprire, ma richiedono la chiave giusta. Ci sono termini di uso comune, che nascondono un significato profondo, un autentico tesoro, a volte inaspettato. Scoprirlo non è sempre immediato, perché richiede la conoscenza di altre lingue, spesso antiche (il latino, il greco, ma anche l’antico germanico e il sanscrito), e di fenomeni connessi alla formazione delle parole e all’evoluzione di un idioma: caso per caso, bisogna saper riconoscere la radice, l’elemento portatore di significato. “Estate” deriva direttamente dal latino “aestas”, termine che indica la stagione della calura (in latino “aestus”) e che ha la stessa radice del vulcano “Etna” e della regione africana “Etiopia”. Nulla di singolare se d’estate fa un caldo africano. L’origine di “autunno” è meno lineare, ma ci viene in soccorso un’opera sul significato delle parole, risalente al secondo secolo dopo Cristo: il “De verborum significatu”. Dell’autore, un certo Sesto Pompeo Festo, non sappiamo quasi nulla e il testo è noto solo nella forma sintetica, redatta da Paolo Diacono tra l’ottavo e il nono secolo per Carlo Magno. In ogni caso, l’informazione riguardo l’autunno è chiara: “alcuni ritengono che l’autunno (autumnus) sia chiamato così, per il fatto che allora le risorse degli uomini aumentano (augeantur), una volta che i frutti dei campi sono stati raccolti”. Secondo questa spiegazione, dunque, il termine “autunno” insiste sull’incremento della ricchezza, che deriva dal raccolto. Altri hanno ipotizzato un legame con il sanscrito “avati”, che

significa saziarsi, godere: evidentemente, ancora una volta, effetto della produzione agricola. In modo più neutro, il tedesco “Herbst” è collegabile alla stessa radice dell’inglese “harvest”, raccolto, senza alcuna allusione né all’opulenza né alla sazietà che può derivarne. E, se in inglese si predilige generalmente la parola di derivanzione latina “autumn”, in americano e in certi contesti sta diventando sempre più comune il termine di origine germanica “fall”, nome che coincide con il verbo che significa “cadere”. L’uso di questa parola rinvia al moto apparente del sole, che durante il giorno sembra scendere verso l’orizzonte, tracciando in cielo una traiettoria di giorno in giorno più bassa. È il periodo in cui dai rami degli alberi cadono prima i frutti maturi e poi le foglie secche. In tutto questo si può leggere anche, in chiave simbolica, un monito, un avvertimento: bisogna essere preparati all’eventualità che il raccolto sia scarso, per evitare le conseguenze di una caduta disastrosa. Tra ricchezza o rovina, l’autunno è comunque uno dei momenti dell’anno in cui è inevitabile fare bilanci: tirare le somme, fare le differenze, calcolare guadagni e perdite. Ma non basta un segno più o un segno meno a decretare il responso finale. Anche i numeri, come le parole, vanno interprepretati alla luce delle aspettative, delle potenzialità, degli imprevisti, della qualità del risultato. Al contrario di ogni semplificazione banalizzante, l’autunno è un’immagine della complessità.

Nella foto in alto: “Canestra di frutta”, l’opera è stata realizzata da Caravaggio tra il 1594 e il 1598. Oggi è conservata nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano

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messaggio pubbliredazionale

CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO

Scolo Sorgaglia all’interno della zona artigianale-commerciale

Scolo Sorgaglia in area agricola

SUBITO UN PROGETTO PER CONTENERE L’INQUINAMENTO DEL CANALE SORGAGLIA Il presidente Michele Zanato ha raccolto le preoccupazioni dei sindaci di Bagnoli, Arre e Agna in merito alle contaminazioni che potrebbero venire estese attraverso la realizzazione di un nuovo impianto irriguo. “Il nostro ente è sempre attento ai pericoli ambientali” Partiranno nel prossimo mese di ottobre i lavori per la realizzazione di un canale allacciante tra il canale Sorgaglia e il Vitella nel comune di Bagnoli di Sopra. Si tratta della concretizzazione di un progetto che permetterà il trasferimento del volume d’acqua da un bacino all’altro, per un consumo più razionale della risorsa idrica, in quanto consentirà di gestire le varie portate in funzione dei bisogni irrigui della zona interessata. La realizzazione del nuovo canale, inoltre, si tratta dell’escavo ex novo di 811 metri di alveo in parte a cielo aperto e in parte tombinato, all’interno del quale verrà mantenuto un livello costante attraverso alcuni sostegni, svolgerà la delicata funzione di alimentare la falda freatica a tutto vantaggio delle attività agricole

Zanato: “Mi sento di dire che la proposta presentata dai sindaci va nella direzione di quei progetti che il Consorzio condivide. Siamo disponibili a realizzare un progetto esecutivo

Il presidente del Consorzio Adige Euganeo, Michele Zanato

consentendo, allo stesso tempo, di contrastare eventuali fenomeni di salinizzazione dell’area. Il progetto prevede anche la posa di una tubazione di collegamento a bas-

sa pressione, tra il nuovo canale e la Fossa Monselesana, che aumenterà la disponibilità di acqua per le campagne durante i periodi siccitosi. Un progetto che costerà quasi tre milioni di euro, destinato a porre rimedio alla cronica carenza di acqua che gli agricoltori lamentano da tempo, ma la cui imminente realizzazione ha anche richiamato l’attenzione delle amministrazioni dei comuni interessati: Bagnoli di Sopra, Agna e Arre. I tre sindaci, infatti, hanno presentato preoccupazioni non tanto nei confronti del progetto in se, in quanto la sua utilità e sempre stata condivisa, ma verso lo stato delle acque del Sorgaglia, recentemete soggette ad episodi di inquinamento anche a causa del fatto che le sponde del canale lambiscono la grande zona artigianale. Il pericolo, per gli amministratori, potrebbe essere rappresentato dal fatto che attraverso il nuovo collegamento gli inquinanti finirebbero anche nel corso del canale Vitella e nella rete destinata all’irrigazione delle colture, estendendo la contaminazione anche ad aree che oggi ne sono estranee. Per questo i tre sindaci hanno avanzato al Consorzio di Bonifica Adige Euganeo una loro proposta per modificare l’intervento, prospettando l’opportunità di realizzare uno sbarramento del corso del Sorgaglia, in corrispondenza dell’area artigianale di Bagnoli e Conselve, predisporre un sistema di rilevazione della presenza di inquinanti e, nel caso venisse accertata, la possibilità di dirigere le acque verso un depuratore già esistente. L’idea è piaciuta al presidente del consorzio Michele Zanato che, durante l’incontro con i tre primi cittadini, si è preso l’impegno di portarla immediatamente in discussione nel prossimo

Consorzio di Bonifica Adige Euganeo • www.adigeuganeo.it ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054


per iniziare, in quanto l’entità della modifica non può essere considerata una variante in opera del progetto e rientrare nei 2 milioni e 900 mila euro predisposti per l’esecuzione, ma sarà possibile intervenire realizzando un nuova progettualità. “Anche perché - conclude il presidente Zanato - si tratterebbe di un progetto sperimentale, un intervento simile non ha precedenti nel territorio, è andrà realizzato coinvolgendo anche gli altri enti preposti alla sicurezza dell’acqua come Acque Venete, Arpav, gli stessi comuni interessati e ovviamente il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo. Non ho dubbi sull’esito del prossimo Cda, come ho detto la causa ambientale è stata la stella polare che orientato tutta la politica di questa amministrazione, e valuteremo insieme ai nostri ingegneri la concreta fattibilità delle idee raccolte per arrivare, nel minor tempo possibile, alla realizzazione di un progetto esecutivo”.

IVA: l’IVA calcolata sui lavori in appalto, sulle somme a disposizione, sulle spese generali e tecniche, ammonta ad €. 368.974,02.

Nell’immagine l’intervento che inizierà nelle prossime settimane con la realizzazione di un condotto allacciante, tra il canale Vitella e Sorgaglia, e la condotta a bassa pressione tra la Fossa Monselesana e il Vitella

Cda del Consorzio. “Siamo molto sensibili - ha spiegato - alla causa ambientale. Purtroppo il progetto che andrà ad essere realizzato nelle prossime settimane è figlio di una progettazione molto lunga, le linee guida che hanno portato alla fase esecutiva anticipano di anni gli episodi di inquinamento che giustamente i sindaci ci hanno segnalato. Tuttavia il problema non va assolutamente ignorato e anzi per tutta l’esperienza che ci ha fin qui contraddistinti, è il caso di ricordare che il Ministero ha appena finanziato, con 42 milioni di euro, un nostro progetto per l’estensione della rete irrigua a sud del Montagnanese

Acquisizioni di terreni ed occupazioni temporanee: per l’acquisizione e l’occupazione temporanea delle aree necessarie ad eseguire le opere, la spesa presunta ammonta ad €. 853.352,65. Per la redazione dell’allegato “elenco prezzi unitari” dove possibile è stato utilizzato il prezzario dei Lavori Pubblici della Regione del Veneto, negli altri casi sono stati applicati i prezzi emersi a seguito di approfondite ricerche di mercato. Tutte le opere e gli interventi testé descritti comportano un impegno di spesa stimato complessivamente in €. 2.900.000,00 con il seguente quadro economico: Allacciante Sorgaglia - Vitella - Monselesana Quadro Economico

Progetto Esecutivo

A.1 Lavori a misura al netto degli oneri per la sicurezza

1 315 583,15

A.2 Lavori a corpo al netto degli oneri per la sicurezza

181 460,00

A.3 Oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso

35 111,50

1 497 043,15

"OG8"

1 532 154,65

Somme a disposizione dell'amministrazione per modifica

50 000,00

35 000,00

60 000,00

TOTALE LAVORI A BASE D'ASTA (A.1+A.2)

“La nostra idea per il futuro della campagna è quella di portare sempre più acqua pulita alle colture, in modo che l’agricoltore possa certificare le proprie produzioni”

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libera da Pfas, mi sento di dire che la proposta dei sindaci va nella direzione di quegli interventi che il Consorzio condivide. La nostra idea per il futuro della campagna, infatti, si impernia non solo nell’assoluta necessità di portare sempre più acqua alle colture, ma di più: di portare acqua pulita, in modo che l’agricoltore possa certificare le proprie produzioni e avere un valore aggiunto nella qualificazione delle merci sul mercato”. Quindi il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo ha dato piena disponibilità nel dare seguito alle istanze presentate dai sindaci, non sarà possibile intervenire durante i lavori che stanno

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TOTALE

COMPLESSIVO

DEI

LAVORI

(A.1+A.2+A.3) B

servizi, adeguamento sistema di telecontrollo, interventi di difficile esecuzione, attività tecniche e notarili per espropri Spese generali documentate per progettazione, direzione lavori, redazione del piano di sicurezza, SIA D

Spese tecniche documentate per contabilizzazione, assistenza ai lavori, collaudo, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, rilievi, consulenze specialistiche, indagini preliminari,15 studi ambientali, comunicazioni alla cittadinanza

E

IVA (22 % su A+B+C+D)

368 974,02

F

Acquisizioni di terreni ed occupazioni temporanee

853 352,65

G

Imprevisti e conto tondo

TOTALE GENERALE euro

518,68 € 2.900.000,00

Il quadro economico degli interventi per la realizzazione del canale allacciante e la tubazione a bassa pressione

Per tenerti informato sull’operatività del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo e sui progetti che riguardano il territorio, iscriviti alla newsletter settimanale, basta entrare nel sito www.adigeuganeo.it, cliccare sul tasto “Contatti” e registrarsi


L’ELZEVIRO di Eliano Morello

L’AGRICOLTURA DEVE PRODURRE CIBO SANO E PER TUTTI, NON MODE Il mondo della campagna è investito da un’ondata di retorica e di demagogia che rischia di nascondere i veri problemi che il settore sta attraversando

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uando questo articolo uscirà, forse molte considerazioni sembreranno banali. Mentre scrivo, però, la situazione non è rosea. Il clima è caldo, quasi incandescente. Ma andiamo per gradi. Lo scorso anno (2018) si è chiuso non proprio bene: la viticoltura ha registrato una super produzione che avrà conseguenze nelle liquidazioni del 2019, la produzione di cereali soffre di un cronico basso valore dei prodotti, l’orticoltura e la frutticoltura soffrono per prezzi poco remunerativi, produzioni compromesse da patogeni e insetti (alternaria, cimice asiatica in primis) e mancati pagamenti, spesso anche per fallimento delle cooperative locali. I nomi che, in questo senso, si possono elecare sono molti: APO IV Zona, di Verona BioFrutta, di C.A.S. di Castagnaro, di C.A.S.P. di Ponso, la C.R.O.P. di Montagnana, le Cooperative di San Pietro Viminario, il C.O.T. di Terrazzo, la S.C.O.B. di Begosso, il C.O.A.P. di Badia Polesine e ultimamente La Co.Fru.Ta di Baruchella che hanno lasciato i propri soci senza pagare una o più annualità di prodotto conferito. Mele, pere, pesche il cui compenso è stato recentemente lasciato in bianco anche da Industrialfrut di Begosso, con sede a Trento, per un valore di 20 milioni di euro. Evidentemente è un segno dei tempi. Ora c’è ancora qualcuno che con il proprio ufficio studi dichiara che l’agricoltura, quella italiana in particolare, va bene. Poi però ci si accorge che forse proprio bene non va, in quanto a fianco di un sistema cooperativistico che dimostra di essere uno strumento

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del passato, nel garantire e difendere la reddittività degli agricoltori, ci sono i problemi dell’oggi con cui è necessario guardare il futuro, ossia i cambiamenti climatici e le invasioni di nuovi parassiti. Come nel caso della cimice asiatica che per il terzo anno consecutivo si candida ad essere il vero e proprio flagello per tutte le colture. Servirebbero risorse, milioni di euro stanziati dalla Regione o dal Governo per sostenere forme di difesa da questo insetto e per salvare quei produttori che ne vengono profondamente colpiti. Dei lupi o degli orsi, che aggrediscono le mandrie o le greggi negli alpeggi della nostra regione, se ne è parlato molto, ma la cimicie asiatica in proporzione fa molti più danni nel quasi totale silenzio. Per dire che attorno al mondo dell’agricoltura aleggia anche un certo “fiabeggiare“ che è in grado di prendersi la sce-

La cimice asiatica, per il terzo anno consecutivo si candida ad essere un vero e proprio flagello per tutte le colture dell’agroalimentare


L’ELZEVIRO

Oggi si contano 7, 724 miliardi di persone sulla terra. Chi riuscirà a garantire loro due pasti al giorno?

Durante l’estate i danni provocati agli allevatori dal ritorno dei lupi e degli orsi sulle nostre montagne, hanno coinvolto l’opinione pubblica più di quanto lo abbiano fatto i disastri provocati alle colture dai parassiti

na forse proprio perchè ognuno di noi è intriso di un romanticismo bucolico piuttosto fuorviante, rispetto ai veri problemi del settore. Solo in questo modo riesco a spiegarmi il successo mediatico di alcune iniziative. Come per esempio quella di Andrea Segrè, presidente di Fondazione MACH e di Fondazione FICO, e della scrittrice Susanna Tamaro che hanno proposto la nascita di un “reddito di contadinanza” con il quale favorire l’entrata dei giovani nel mondo dell’agricoltura. Sicuramente un’idea poeticamente riuscita, sopratutto se aggiungiamo che l’agricoltore è un produttore di alimenti, un tutore del nostro territorio, il fautore della salute. Aspetti veri e importanti per la società del nostro

Lo scenario che sta per andarsi a configurare in questo inizio di autunno per la frutticoltura è molto simile a quello che qualche anno fa fece scandalo per le mele vendute a 0,03 centesimi al chilogrammo tempo, ma a che prezzo? A che scopo inserire i giovani in agricoltura se poi questi non avranno un reddito? Andrebbe ricordato che lo scenario che sta per andarsi a configurare in questo inizio di autunno per la frutticoltura è molto simile a quello che qualche anno fa fece scandalo per le mele a 3 centesimi al chilo. Anche lo scorso anno qualcuno ha consegnato mele da industria a 2 centesimi e quest’anno la storia non sarà molto diversa. Insomma prima di andare ad immaginare scenari agricoli mutuati dal marketing, con gente che lavora in maniche di camicia bianca, con famiglie dal sorriso stampigliato sul volto, a causa dei benefici apportati dalla vita all’aria aperta, bisognerebbe conoscere la vera situazione delle campagne. Perché sennò si finisce, come si sta finendo adesso sulle colline del Prosecco, con il demonizzare a furor di popolo le monocolture, in quanto causano la riduzione della biodiversità. Come se la frutta del Trentino Alto Adige, le nocciole delle Langhe o il riso del vercellese non fossero anch’esse figlie di monocolture. Perché non c’è lo stesso attacco verso quelle realtà? Perché la frutta trentina staziona in grotte na-

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L’ELZEVIRO Non è assuefacendosi ad un’immagine bucolica della campagna, come certa informazione sta facendo, che si può migliorare la situazione dell’agricoltura turali? Perchè le nocciole servono per quella crema irresistibile oggi anche affrancata dall’olio di palma? Basta metterci una punta di quella naturalezza partorita dal marketing per vedere la campagna di un altro colore? Più verde? Più Bio? Più gusto cremoso? E così come si dovrebbe sapere che la cremosità è un valore tattile che non può essere percepita attraverso il gusto si dovrebbe sapere anche che tutte le colture specializzate, le monocolture in genere, riducono la biodiversità, ma questa è ridotta anche dalla eliminazione di siepi interpoderali, di capezzagne alberate, dalla semplificazione del nostro territorio. E allora la domanda giusta da porsi dovrebbe essere: Ma perché tutto questo è avvenuto? Perché quando i margini (la redditività) si restringono, occorrono economie di scala, occorre limitare i costi di manutenzione di alberi e siepi. Alla fine tutto si riduce alla mancanza di risorse per mantenere un territorio in salute.

Così anche l’erba della riva dei fossi si taglia meno e si cura meno l’estetica della campagna. Non è assuefacendosi ad un’immagine bucolica della campagna, come certa informazione sta facendo, che si migliora la situazione dell’agricoltura. Tra l’altro in questi giorni alcuni programmi della Rai sono sotto osservazione del garante dell’informazione proprio perchè privilegiano un ritorno al passato, al consumo di prodotti alimentari a km 0, preparati in casa, tralasciando o mal giudicando chi utilizza l’agricoltura convenzionale, minando così il rapporto di fiducia tra azienda e consumatore. Il passato non tornerà mai più e forse è anche bene così, perché l’antropocene è irreversibile. Nel momento in cui scrivo, alle ore 00:50 del 11 agosto 2019, si contano 7,724 miliardi di persone sulla terra. Chi riuscirà a garantire loro due pasti al giorno? Chi riuscirà a obbligare il mondo intero ad abbracciare la nostra filosofia o quella del mondo occidentale che nel frattempo si è riempito la pancia? Forse quegli 800 milioni di persone denutrite non la pensano come noi. Ma intanto stiamo facendo le prove o stiamo mettendo alla prova prima i nostri agricoltori, poi la nostra agricoltura. Io non vedo rosa, ma un grigiore intriso di demagogia.

L’opinione pubblica si scandalizza molto per gli sprechi in agricoltura, ma spesso dimentica di tutti quelli che avvengono in ogni casa con il cibo avanzato in pattumiera

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TENUTA CIVRANA

Benvenuto Autunno Per l’azienda agricola di Pegolotte di Cona è arrivata la stagione dell’abbondanza e delle tradizioni. Domenica 13 ottobre, o in caso di maltempo domenica 20, l’appuntamento è con Fattoria Aperta una giornata dedicata agli antichi mestieri, ai sapori, agli animali di corte e del bosco

La stagione autunnale è forse la più suggestiva per la nostra campagna, colori, profumi e sapori si intensificano. In fattoria è il tempo della raccolta: mele rosse e gialle, pere, maturate naturalmente quasi senza trattamenti, sono pronte per essere spiccate dagli alberi, mentre dagli orti l’andirivieni di casse di zucche, di radicchio, di porri o di melanzane si fa quotidiano sia per approvvigionare il rinnovato punto vendita aziendale che l’agriturismo, perché qui l’offerta è rigorosamente a chilometri zero. Alla Tenuta Civrana le stagioni scorrono come un tempo e anche gli spazi aperti ricalcano la campagna del passato: accanto alle superfici coltivate esistono ambienti naturali quali boschi planiziali, siepi e stagni, che svolgono un importante funzione di fitto depurazione e il momento giusto per conoscere da vicino questa particolare tenuta di 365 ettari e i suoi prodotti potrebbe essere il prossimo 13 ottobre, quando l’intera azienda sarà visitabile in occasione di “Fattoria Aperta”. Per tutta la giornata si potrà prendere parte a diverse iniziative gratuite, rivolte soprattutto ai più piccoli: dai laboratori sul campo, come “sunare il mais”, vendemmiare, pigiare l’uva o pescare nei fossi con canne di bambù, alla visita guidata sui vari percorsi che attraversano la campagna fino all’area naturale con bo-

schi e laghetti dove circa 171 specie di uccelli vi dimorano stabilmente o vi fanno tappa per il “passo” autunnale. Nel cuore della Tenuta, infatti, 25 ettari di terreno sono stati lasciati alla natura, si tratta di una “Zona di protezione speciale” (Zps) strutturata con itinerari, passerelle, ponti e postazioni di avvistamento degli amici del cielo e non solo. L’incontro con animali schivi come tassi, volpi o faine, infatti, non sono una rarità e farsi raccontare le loro mille storie sarà sicuramente un’esperienza indimenticabile, come del resto lo sarà quella proposta del Gruppo Astrofili con l’osservazione del mondo celeste. Per tutta la giornata funzionerà l’agriturismo, per approfittarne e assaggiare i sapori di questa terra insieme al calore dell’ospitalità e alla buona compagnia basta prenotare al numero 347 2220023

TENUTA CIVRANA È: • Azienda Agricola • Spaccio prodotti produzione propria • Fattoria didattica • Agriturismo • Area naturalistica attrezzata per il Birdwatching, Nordic Wolking e Mountain Bike • Spazi attrezzati per calcetto e beach voley • Tanti ambienti per pic-nic, feste e compleanni

TENUTA CIVRANA Pegolotte di Cona (VE), Via della Stazione 10 Agriturismo 327 7363681 • Punto Vendita 333 6662584 • Roberto 347 2220023 tenutacivrana@gmail.com • www.tenutacivrana.it • .


LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE di Ada Sinigalia

Vendemmia 2019: IN CALO LA PRODUZIONE MA LA QUALITÀ RESTA ALTA Ad incidere sui prezzi di quest’anno sarà la super produzione del 2018. I Consorzi di Tutela del vino stanno disponendo a livello regionale un calo delle rese dell’uva per ettaro per evitare problematiche di vino invenduto

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a vendemmia 2019 in Veneto si prospetta meno abbondante dello scorso anno ma di ottima qualità. La produzione di uva nell’anno in corso dovrebbe ridursi mediamente del -15% rispetto alla produzione record del 2018, con punte anche ben maggiori in alcune aree. Complessivamente, la produzione dovrebbe raggiungere i 12,8 milioni di quintali di uva. Ciò non è considerato un problema, data l’elevata qualità dell’uva che è maturata in modo lento tanto che la vendemmia è iniziata in ritardo di 10-15 giorni rispetto agli anni scorsi. Inoltre, il 2018 era stata un’annata produttiva eccezionale per cui il calo è stato definito “fisiologico”. Va L’Assessore all’Agricoltura del Veneto, evidenziato, però, Giuseppe Pan durante il Focus sulla vendemmia in corso, che si è tenuto che è in atto una a Legnaro, ha esortato viticoltori e tendenza dei Concantine a porre la massima attenzione sorzi di Tutela del ai disciplinari, altrimenti si corre il rischio di assistere a scene di super vino di disporre a produzioni già viste in passato con livello regionale relative riduzioni dei prezzi delle uve

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In alcune zone vinicole, come la Valpolicella o l’area del Prosecco, è stato disposto lo stop a nuovi vigneti un calo delle rese dell’uva per ettaro per evitare problematiche di vino invenduto, come è successo negli ultimi anni per alcune denominazioni. In alcune zone vinicole, inoltre, è stato disposto lo stop a nuovi vigneti (es. zone del Prosecco e Valpolicella). Uno spaccato previsionale della vendemmia è stato presentato a Legnaro (Pd) in occasione dell’ormai “storico” Focus (45° edizione) organizzato da Veneto Agricoltura e Regione, con Avepa, Arpav e Crea-Ve. “Viticoltori e cantine devono porre la massima attenzione ai disciplinari - ha sottolineato l’Assessore all’Agricoltura del Veneto, Giuseppe Pan - altrimenti si corre il rischio di assistere a scene di super produzioni già viste in passato con relative riduzioni dei prezzi delle uve”. Pan ha ribadito, inoltre, la necessità che “il mondo vitivinicolo rispetti sempre più i principi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica”. L’incontro ha analizzato la situazione delle province venete e di alcune province limitrofe alla nostra regione.


LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE VIGNETO NEL BELLUNESE A Belluno la produzione è stimata in calo di circa il 10%, riduzione in parte compensata dall’entrata in produzione di 6 ettari di nuovi vigneti. VIGNETO NEI COLLI EUGANEI Nei territori di Padova e Rovigo, grazie al buono stato fitosanitario delle uve, la raccolta è prevista nella media, e comunque in calo del 13-18% rispetto all’eccezionale annata 2018. L’entrata in produzione di nuovi vigneti andrà ad incidere per circa il 5% in provincia di Padova e del 2% a Rovigo. VIGNETO NEL TREVIGIANO In provincia di Treviso, l’uva Glera (Prosecco) presenta una buona fertilità, tale da garantire livelli produttivi in grado di assicurare se non superare i limiti imposti dai relativi disciplinari di produzione. Se confrontata con l’elevata produttività del 2018, risulta che la produzione di quest’anno sarà inferiore del 10-15%. Il Pinot Grigio presenta invece una situazione eterogenea: alcuni vigneti hanno un’ottima fertilità per cui si prevede il raggiungimento delle quantità indicate dai disciplinari; in altri la riduzione di resa potrebbe raggiungere anche il 10-20% In generale, tutti i vitigni hanno una buona produttività (Merlot, Raboso Piave, Chardonnay che lamenta qualche problema di oidio). L’entrata in produzione dei nuovi vigneti inciderà per circa l’1%. Anche nel veneziano si prevede una quantità di raccolta in calo del 15-20% rispetto alla vendemmia 2018. La diminuzione è più accentuata per le uve a bacca bianca precoci, mentre per la varietà Glera il calo produttivo è stimato attorno al 15%, comunque in linea con le medie produttive normali. L’entrata in produzione di nuovi vigneti (per lo più di varietà Glera e Pinot Grigio) incide per circa il 2,5-3%.

VIGNETO NEL VICENTINO In provincia di Vicenza è prevista una riduzione produttiva del 20-25% rispetto al 2018, ma in linea con le normali vendemmie. Ciò è dovuto ad una minore fertilità delle piante che ha ridotto il peso specifico dei grappoli. Anche qui si prevede una produzione in calo di circa il 20% per le varietà a bacca bianca (ad eccezione del Pinot Grigio, che addirittura potrebbe sfiorare il -40%). Per le varietà a bacca nera è previsto un decremento del 15-20%. I pochi nuovi impianti, o meglio reimpianti, avranno un impatto quasi nullo sulla resa complessiva o comunque molto limitato. VIGNETO NEL VERONESE Infine, nell’area di Verona, rispetto al 2018, il calo produttivo si stima dal 10 al 25% a seconda delle varietà. Molti i motivi, soprattutto il fatto che dopo un 2018 di produzioni eccezionalmente abbondanti, è naturale che la vite subisca un anno di “scarica”; in modo particolare, Pinot Grigio e Chardonnay, che hanno attraversato il loro periodo di fioritura nel bel mezzo delle piogge di fine maggio. Relativamente ai vitigni dell’uvaggio Valpolicella si prevede il raggiungimento delle rese dei disciplinari, con una qualità ottima, come del resto per la Garganega nella zona del Soave; con esclusione però dei vigneti del Soave Classico pesantemente colpiti dalla grandinata del 5 maggio scorso, con effetto la riduzione delle rese. L’entrata in produzione di nuovi vitigni inciderà sulle quantità complessive per circa il 10%.

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INGIROPIEDANDO a cura della redazione

LA VENDEMMIA 2019 FESTEGGIA 50 ANNI DI DOC COLLI EUGANEI L’importante anniversario rappresenta un momento di soddisfazione per i progressi ottenuti della produzione enologica negli ultimi anni, ma anche una riflessione sulle stagioni del futuro. Ne abbiamo parlato con il presidente del Consorzio Tutela Vini Colli Euganei, Marco Calaon

L

a vendemmia che è iniziata da qualche settimane è una di quelle importanti per l’area dei Colli Euganei, perché segna il traguardo dei 50 anni della Doc. Era il 1969 quando con Decreto del Presidente della Repubblica i vini delle alture padovane poterono fregiarsi della Denominazione di Origine Controllata. “A dire il vero - spiega Marco Calaon presidente del Consorzio Vini Colli Euganei - il primo disciplinare prevedeva solo tre tipologie: Bianco, Rosso e Moscato, con il tempo la lista si è estesa andando a ricomprendere vini che oggi contribuiscono a conferire identità enologica dei nostri Colli. Penso in particolare al Fior d’Arancio e al Serprino, due tipologie che si trovano solo sui Colli Euganei. E che assieme al Rosso Colli Euganei, già presente nel disciplinare originario, rappresentano i tratti essenziali del territorio. Il nostro Rosso, frutto di uvaggio di Merlot e Cabernet, può fregiarsi di aver contribuito a scrivere parte della storia italiana dei vini comunemente chiamati “bordolesi”. Proprio i Conti Corinaldi, nei loro possedimenti di Lispida, sono stati tra i primi, già alla fine dell’Ottocento, a piantare Merlot e Cabernet per farne vino. Da allora di strada ne è stata fatta e soprattutto negli ultimi anni le bottiglie delle alture

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Il presidente Marco Calaon

padovane sono entrate a far parte del panorama enologico internazionale. “È stata una crescita costante - continua il Presidente - accompagnata dalla progressiva consapevolezza che il territorio vanta una vocazione vitivinicola di eccellenza. Riprodurre il vino dei Colli Euganei, di fatto è impossibile. La struttura apportata dall’origine vulcanica dei terreni è unica come la sapidità conferita dai terreni sedimentari. Le componenti minerali assecondano ed emancipano i sentori di frutta nei bianchi e nei rossi, oppure conferiscono corposità a seconda di come si trovano combinate nel terreno. I terreni calcarei di Cinto,


INGIROPIEDANDO

Riprodurre il vino dei Colli Euganei, di fatto è impossibile. La struttura apportata dall’origine vulcanica dei terreni è unica come del resto lo è la sapidità conferita dai terreni sedimentari Baone, Este (a Sud degli Euganei), sono più adatti ai rossi mentre quelle più a Nord, (Vo, Teolo, Rovolon) si prestano maggiormente alla coltivazione dei bianchi. E nel tempo sono accresciute anche le competenze che i produttori e dei vinificatori impiegano nel loro lavoro, da una produzione di vino sfuso, che fino a qualche anno fa era imperversante dalle nostre parti, si è arrivati oggi ad una produzione di grande qualità con bottiglie premiate ai principali concorsi enologici internazionali. Penso che a questo progresso abbia contribuito in modo significativo il nostro Consorzio, che ricordiamo nel 2011 ha portato a compimento l’iter per l’ottenimento della Docg; oltre a numerose altre attività di promozione e valorizzazione”. E c’è da scommetterci che lo stesso contributo sarà determinante per il futuro, a cominciare da questa vendemmia che se da una parte rappresenta un anniversario, dall’altra è anche la conclusione positiva di una stagione iniziata non benissimo. Le piogge e le temperature sotto la media di maggio hanno infatti

condizionato fioritura e allegagione contribuendo a ridurre in parte la quantità di uva prodotta; il caldo di luglio e agosto ha poi comunque riequilibrato la situazione. “Uno dei ruoli del Consorzio nel futuro - conclude Calaon - dovrà essere proprio quello di accompagnare i consorziati in questo “tempo” che cambia, e non mi riferisco ad una svolta generazionale, ma proprio al clima che inesorabilmente ci sta portando dentro ad una situazione nuova, inedita. Basti pensare che solo una cinquantina di anni fa la vendemmia iniziava a metà settembre e oggi i primi grappoli vengono spiccati dalle vigne a metà di agosto. E di più ancora conta la grande diversità che caratterizza le annate: il 2017 ha visto una produzione quantitativamente sotto la media, il 2018 fin troppo abbondante. E per quanto riguarda la vendemmia di quest’anno i dati parlano già di una produzione un po’ sotto la media in termini di quantità. Per la qualità dovremo attendere il trascorrere di queste settimane settembrine, è auspicabile che le temperature si mantengano piuttosto elevate di giorno per far arrivare l’uva a maturazione ottimale; una notevole escursione termica notturna favorirebbe, inoltre, la maturazione dei terpeni, responsabili degli aromi, particolarmente importanti per il Fior d’Arancio. Qualche giornata di pioggia alternata a una serie di giornate di sole, completerà l’opera. Se tutto ciò si avvererà avremo vini di buona struttura e concentrazione, con profumi fini eleganti e persistenti. La stessa cosa vale per le uve a bacca rossa, se il tempo delle prossime settimane sarà questo potremmo aspettarci vini dal carattere decisamente euganeo”.

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IL PANORAMA GASTRONOMICO di Mario Stramazzo

Il tartufo veneto

È POCO CONOSCIUTO. CHE PECCATO… Quando si parla del ricercato tubero scatta automatica l’associazione alle sue capitali, come Alba o Norcia. Ma anche il Veneto è una terra tartufigena, soprattutto l’area dei Colli Eugenei, dei Berici e il Delta polesano

S

crivere Tuber Magnatum Pico o Tuber Melanosporum più popolarmente e rispettivamente tartufo biano e tartufo nero, significa evocare anche i nomi di cittadine come la piemontese Alba, l’emiliana Savigno, la marchigiana Acqualagna, la toscana San Giovanni d’Asso, l’umbra Norcia, la campana Colliano o la calabrese Saracena. Piccole o grandi capitali del ricercato tubero alle quali, come si legge nell’elenco delle città del tartufo, altre ancora si uniscono escludendo però il nostro Veneto. Colpa, forse, di scarsa attenzione dei nostri addetti alla promozione del territorio per una risorsa che evidentemente non riesce comunque ad emergere fra le tante e molte altre di cui noi veneti possiamo vantarci. Un capitale non sfruttato a dovere che forse, proprio per questo, merita qualche riga di Con i Piedi per Terra. Soprattutto perché il nostro territorio, a ben cercare, e nel senso più letterale del termine, non è meno generoso di tutte le altre regioni d’Italia dove il Tuber Magnatum Pico e il Tuber Melanosporum, nelle ver-

Sono tre le tipologie di tartufo che si possono trovare nella nostra regione: lo Scorzone, il Brumale o il Nero pregiato 14

sioni più o meno pregiate, riesce a calamitare migliaia di gourmand e buone forchette in cerca dei tipici sapori che caratterizzano i diversi luoghi. A cominciare da tutte quelle zone cosiddette tartufigine che prevalentemente producono lo “Scorzone”, e il “Nero pregiato”. Ovvero i Colli Euganei, in particolare nei paraggi del comune di Cinto Euganeo, i Colli Berici, nei comuni di Barbarano, Villaga,Vicentino, Mossano, Nanto; le colline Moreniche del Garda e i Monti Lessini. Mentre il nero ordinario, detto “Bruma-


IL PANORAMA GASTRONOMICO le” è di casa nelle località di Arsiè e a Conegliano Veneto. Una mappa gastronomica costellata di ristoranti e trattorie dove è possibile gustare questi particolari funghi ascomiceti sotterranei senza mettere mano alla carta di credito, come invece succede per le ricercate lamelle di tartufo bianco pregiato. Varietà che in verità si fa trovare anche nel nostro Veneto, nella zona Delta del Po. In particolare, ma non chiedeteci le segrete ma precise coordinate satellitari, nei comuni di Ariano Polesine, Taglio di Po, Corbola, Donada, Contarina e ancora, nel padovano, nel comune di Este. Località poco celebrate ma che proprio sul finire dell’estate, in autunno e inizio inverno, cominciano a suscitare gli interessi dei tartufai. Veri professionisti che solitamente si fanno accompagnare nella loro ricerca da un fido cagnolino dall’olfatto sopraffino allevato fin da neonato per diventare un insostituibile strumento di lavoro in grado di localizzare, sotto il terreno e in prossimità delle radici delle piante, queste preziose specie botaniche, ormai classificate come funghi ipogei dalla forma di patate. Un tempo “nella cerca” venivano impiegati anche i maiali, i quali, seppur dotati di ottimo olfatto, non sono mai riusciti a riscuotere i favori riservati al miglior amico dell’uomo. Più obbediente, quest’ultimo, e non così ingombrante

È possibile trovare lo scorzone dall’inizio di maggio e per tutto agosto, spuntando un prezzo di vendita compreso tra i 30 e i 40 euro l’etto come i suini che oltretutto, con il grugno, più che annusare e segnalare la presenza del tubero compiono una sorta di aratura del terreno finendo il più delle volte per mangiarsi pure il tartufo scovato, senza che il tartufaio riesca a trattenere la loro voracità e la forza, molto più possente di quella di un piccolo cagnolino. Sono di bassa pezzatura, infatti, i fedeli quattro zampe di cui si servono i cercatori di tartufo che, come raccontano alcune leggende, usano sfregare con la polpa di tartufo le mammelle della cagne durante la fase dell’allattamento per accrescere ancora di più la capacità sensoriale dei cuccioli nel riconoscere i profumi di miele, fieno, aglio, spezie, terra bagnata, ammoniaca e idrocarburi caratteristici delle varie tipologie del tubero. Una miscellanea assai presente e calibrata al punto da determinarne la quotazione nei tartufi bianchi, meno forte in quelli neri ad esclusione del nero di Norcia che molti addetti ai lavori lo equiparano al bianco e Insostituibile aiutante dell’uomo nella ricerca dei tartufi è il cane. Allevato fin da piccolo a questo scopo, il suo fiuto riesce a scovare il prezioso tubero sotto terra

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IL PANORAMA GASTRONOMICO

I ristoratori conoscono bene l’importanza dei tartufi locali nella cucina veneta. Ingredienti insostituibili nei tajarin al burro e tartufo o nel risotto al tartufo e grana come tale lo apprezzano e lo comparano quale unità di misura per gli altri tartufi neri che si trovano con l’appellativo di scorzone, anche nei nostri colli Euganei e Berici. Meno importanti dal punto di vista del prezzo, ma in ogni caso capaci di fare da protagonisti in sfiziosi piatti estivi. Giacché i tartufai riescono a trovarli fin dall’inizio di maggio e per tutto agosto, spuntando un prezzo di vendita compreso tra i 30 e i 40 euro l’etto. Dalla fine dell’estate in poi, invece, fa la sua comparsa il tartufo nero invernale, chiamato anche trifola nera. Altra golosità gastronomica raccolta da febbraio e fino a metà marzo. Ha un profumo intenso ma gradevole, simile alla nocciola, mentre il sapore ricorda la rapa e il gusto di terra. Si presenta finemente verrucoso e di colore nero tendente al marrone, mentre l’interno è grigiastro con rare venature di bianco. Quel colore bianco che invece abbonda nel Tuber Magnatum Pico di Alba ma anche

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Uno dei piatti più celebri a base di tartufo, il tournedos Rossini

in qualche raro esemplare dei terreni che circondano Este, in direzione delle terre rodigine. In quel che molti chiamano Bassa Padovana o terra “rovigota” quasi con scherno, ignorando che sotto pochi centimetri di quella mal considerata terra si celano veri e propri tesori gastronomici che toccano quotazioni non distanti dai tartufi cugini di Alba e di altre blasonate città del tartufo Dunque anche nel nostro Veneto, a saperlo cercare, il nobile tubero è ben di casa ed è presente anche nei menù di molti ristoranti che sanno ben assecondare i desideri di appassionati e i cultori dell’alta cucina con piatti semplici, ma sempre attuali come i Tajarin al burro e tartufo, il Risotto tartufo e Grana, i mitici Tournedos alla Rossini o le Uova all’occhio di bue con “mitragliata” di profumate lamelle bianche, come predicano alcuni colleghi soloni, o nere, e magari della varietà Norcina, come sostengo io che ne apprezzo la minor invadenza, la nounce di nocciola e la texture quasi esoterica e misteriosa.


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Un nuovo modo di fare Osteria L’oste Arturo ha impostato la sua cucina autunnale su piatti meno elaborati, ma sfiziosi, all’insegna dei sapori... soprattutto quelli del territorio

“Non servono 10 ingredienti per fare un buon piatto, sono indispensabili invece la qualità delle materie prime e la fantasia”. È su questa linea di pensiero che Arturo Zanarotti ha impostato il suo nuovo modo di fare Osteria, ossia con una cucina meno elaborata, ma sfiziosa, all’insegna dei sapori, soprattutto quelli del territorio. Ed è proprio in questa stagione che il suo menù diventa una piccola carta geografica capace di mettere insieme tutte quelle eccellenze che crescono nei dintorni di Montagnana: dalla patate dorate di Roveredo di Guà, che qui trovano un nuovo sapore combinate con tartufo scorzone dei Lessini e il Gorgonzola, al Crudo e Amarone. Non manca il Filetto di Maialino iberico, il nostrano coniglio, ovviamente stufato in “tècia”, i funghi, compresi i finferli delle vicine alture, con i quali viene preparato il più profumato degli antipasti, grazie ad una frittata che li vede accompagnati al cugino tartufo. E con l’arrivo dei primi freddi non possono mancare le carni, anche quelle più ricercate come la Wagyu, il manzo giapponese allevato in Australia, qui impiegata per tartare e carpacci, o la Costata austriaca che viene esaltata con la rusticità delle braci. “L’Oste - sostiene Arturo - deve essere un artigiano” ossia lavorare con le mani e qui il secolo ed oltre trascorso dalla sua famiglia nel ramo della panificazione trova il consenso dei palati che amano i profumi e la fragranza dei sui grissini, del pane e dello “schissotto” e Da provare le nuove Brioches realizzate sconfina nella pasticceria, in quanto i dolci (pazientina, tiramisù, millefoglie) sono espressi, con solo il 30% di grassi, ripiene di marmellate, mele e uvetta o crema. Ideali ossia montati la momento. Ma artigianale è anche il vino, in quanto a fianco di una fornitissima per il fine pasto o per la colazione del carta figlia delle conoscenze dell’Arturo sommelier, esiste una linea di bottiglie della casa rea- mattino lizzate appositamente per assecondare i piatti che escono della cucina. Etichette che parlano un linguaggio locale e che sotto idiomi dialettali come Sàta (che è la mano del maestro artigiano) si nascondono un garganega in purezza nella versione Bianco e un merlot 12 gradi alcolici nella versione Rossa... per non sottrarre nulla al fascino dell’osteria e alla classica “ombra”. E per gli aperitivi non manca il Prosecco, un extra dry che già dal nome, Morbin, trasmette tutta l’irrequietezza delle sue bollicine.

Ad Ottobre e Novembre e anche a Gennaio e Febbraio terremo un ciclo di incontri e degustazioni dedicate al vino. Seguiteci su Facebook, vi terremo informati HOSTARIA ZANAROTTI • via Matteotti, 3 • 35044 Montagnana (PD) • Tel. 0429 800383 Cell. 335 7788130 • arturo@zanarotti.it • www.zanarotti.it • Hostaria Zanarotti


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L’extravergine Veneto DOP:

tre distinte aree di produzione ma la stessa qualità La tutela del marchio è affidata al Consorzio mentre dei rapporti con il consumatore finale se ne occupa Aipo, l’Associzione Interregionale Produttori Olivicoli L’olivicoltura nel Veneto è il frutto di un’eredità millenaria,

Altra importante istituzione per le imprese olivicole e per i

che ci dona oli di altissima qualità, forse proveniente da

frantoi del Veneto (circa 5.000 ettari a oliveto, 55 frantoi,

quei Plafagoni, o Eneti, che, guidati dal leggendario Ante-

oltre 7.000 olivicoltori) è l’AIPO, Associazione interregiona-

nore, condottiero in fuga da Troia, salirono l’Adriatico, su-

le produttori olivicoli, che fornisce ai propri associati assi-

perarono la laguna di Venezia e fondarono la città Padova.

stenza agronomica e fitosanitaria, esegue analisi chimiche

In questa storia c’è molto del mito di Omero, di Virgilio e

e organolettiche degli oli, ha un panel d’assaggio ricono-

del padovano Tito Livio, però due cose sono certe: nel Ve-

sciuto dal Ministero delle politiche agricole agroalimentari

neto già nell’età del bronzo vi erano presenze di olivi e che

e turistiche, svolge attività didattica, promuove e valorizza

la Comunità Europea, con Regolamento 2036, del 2001,

oli e territori. L’AIPO, poi, si è affermata come strumento di

riconobbe all’Olio extra vergine d’oliva Veneto la Denomi-

sicuro collegamento per il consumatore.

nazione di Origine Protetta, con tre sottozone, “Veneto Valpolicella DOP”, “Veneto Euganei e Berici DOP” e “Veneto del Grappa DOP”, diverse nei terreni, nel clima e nelle cultivar. Abbiamo così l’olio extra vergine d’oliva Veneto Valpolicella DOP con le varietà d’olivo Grignano e Favarol per almeno il 50% degli olivi presenti negli oliveti; il Veneto Euganei e Berici DOP con il Leccino e la Rasara per almeno il 50%; il Veneto del Grappa DOP con il Frantoio e il Leccino, minimo 50%. Differenze anche nei profumi e nei sapori degli oli, che però li caratterizzano e li specificano territorialmente, come le sensazioni di agrume e di muschio per l’olio Veneto Valpolicella DOP; un sapore armonico di piccanti e amari per l’olio Veneto Euganei e Berici DOP; una piacevole spigolosità e intensità di fruttati per l’olio Veneto del Grappa DOP. Nella composizione chimica l’Olio extra vergine d’oliva Veneto DOP primeggia per gli elevati contenuti di acido oleico, che fa tanto bene al nostro apparato circolatorio. Per volontà dei produttori è sorto il Consorzio di tutela dell’Olio extra vergine di oliva Veneto DOP, organismo che promoziona l’olio e vigila sulla corretta osservanza del disciplinare di produzione, garantisce il rispetto dei parametri chimici e delle caratteristiche organolettiche.

L’area di produzione della Dop Veneto si estende su una superficie di circa 5.000 ettari, la trasformazione si impernia sul lavoro di 55 frantoi e coinvolge oltre 7.000 produttori Zona di origine

• Valpolicella (colline veronesi - provincia di Verona) • E uganei e Berici (province di Padova e Vicenza) •P edemontana del Grappa (province di Vicenza e Treviso) Varietà di olive • G rignano, Favarol minimo al 50% (Veneto Valpolicella) • L eccino, Rasara minimo al 50% (Veneto Euganei e Berici) • F rantoio, Leccino minimo al 50% (Veneto del Grappa) Tipo di raccolta A mano o con pettini su reti o teli Metodo di Impianto tradizionale o continuo estrazione Colore Giallo, verde oro da intenso a marcato Odore Fruttato leggero, fruttato di varia intensità Sapore Fruttato con leggera sensazione di amaro e retrogusto muschiato Acidità Acidità massima totale (acido oleico) non superiore allo 0,6 % Punteggio 7,5 al Panel Test Utilizzo ideale Usato crudo ne serve una piccola quantità per conferire gusto ai cibi ed esaltarne il sapore, sopporta bene la cottura ad alta temperatura come i fritti


L’extravergine Veneto Valpolicella L’area di produzione dell’extravergine di oliva veneto Val-

dolino, Leccio del Corno, Trep o Drop. Le leggere differen-

policella Dop interessa la destra Adige. Una terra già fa-

ze sensoriali che qualificano e distinguono gli extravergine

mosa per il Recioto e l’Amarone e che grazie a particolari

dei diversi produttori, che appartengono alla DOP, dipen-

caratteristiche pedoclimatiche, date da terreni collinari co-

dono proprio dal mix con le altre varietà. Tuttavia l’Extraver-

stituiti da marne e calcari e temperature mediterranee, è

gine veneto Valpolicella Dop si qualifica per il colore giallo

perfetta anche per l’olivo. La Valpolicella, infatti, si trova a

con lieve tonalità di verde per gli oli freschi, odore fruttato

Nord di Verona, confina con il Lago di Garda. Si tratta di

leggero e sapore fruttato con leggera sensazione di amaro

un territorio morfoligicamente vario, che orograficamente

e retrogusto muschiato.

si presenta come un ventaglio di valli, protette a Nord dai UN EXTRAVERGINE CHE DÀ

Monti Lessini, dentro al quale ricadono paesi e comuni come

IL MEGLIO DI SE IN CUCINA

Brentino, S. Ambrogio di Val-

Se l’extravergine di oliva vene-

policella, Grezzane, Mezzane di

to Valpolicella Dop viene Usato

Sotto e Montechia che rappre-

a crudo ne serve una piccola

sentano la patria delle due cul-

quantità, ne basta “un filo” per

tivar che danno vita e sostanza

conferire gusto ai cibi ed esal-

all’extravergine: il Grignano e il

tarne il sapore. Per questo trova

Favarol. Si tratta delle due spe-

perfetto abbinamento con le in-

cie autoctone, piante robuste e

salate e le verdure di stagione,

rustiche che ben si adattanoal clima del Nord Italia. Nella

con le carni, con il pesce e va detto che è un olio che sop-

lavorazione tuttavia è al Grignano che i produttori usano

porta bene la cottura ad alta temperatura e quindi è ottimo

maggiori cautele, in quanto le olive devono essere portare

anche per friggere.

alla molitura subito dopo la raccolta al fine di essere certi di poter ottenere un olio extravergine di prim’ordine.

SALUTE E BENESSERE Grazie alla sua composizione chimica ricca di acido oleico

I VALORI SENSORIALI DELL’EXTRAVERGINE

è una vera e propria medicina contro l’insorgenza di ma-

VENETO VALPOLICELLA DOP

lattie cardiovascolari, in quanto i grassi insaturi sono quelli

Nella composizione di questo extravergine devono rientra-

meglio digeribili. Inoltre la sua azione emulsionante sulle

re, in una proporzione almeno del 50%, le varietà Grignano

mucose è indicata nella cura delle gastroenteriti, mentre

o Favarol, e può essere completato con l’apporto di altre

la sua azione sulle cellule nervose e del cervello rallenta il

cultivar come: Leccino, Casaliva, Frantoio, Maurino, Pen-

processo di invecchiamento della pelle.

Viale del Lavoro, 52 - Verona (VR) - Tel. 045 867 8260 - www.aipoverona.it


Monica Vaccarella,

il suo extravergine ha conquistato Dubai Nelle vene di Monica Vaccarella scorre l’olio extravergine di oliva. Un flusso ininterrotto che attraversa le generazioni e lega la storia di una famiglia di produttori che dura da più di 50 anni, iniziata in un piccolo paese della Sardegna, Ottana in provincia di Nuoro, e oggi fiorente sulle alture che circondano Verona, in Valpolicella. Monica Vaccarella proprio come un eccellente olio è un bland: dal papà sardo ha ereditato la schiettezza e la caparbietà che contraddistingue gli uomini adattati alle asperità della Barbagia e dalla mamma siciliana la passione. Ed è racchiuso qui, in

Nella foto Monica Vaccarella esibisce uno dei tenti riconoscimenti ottenuti come produttrice. Il suo olio infatti ha ottenuto le 3 foglie della guida Gambero Rosso, le 5 gocce di Bibenda, è inserito nella guida Flos Olei e la sua azienda è raccontata anche nel libro “Il Raccolto dei Racconti” che raccoglie la storia di 45 produttori di eccellenza in Italia

questo Dna insulare, il segreto del suo successo, perché Monica Vaccarella è, sì, la più piccola produttrice di extravergine della Dop Veneto Valpolicella, ma è anche la più conosciuta e la più titolata. Non passa inosservata, per gioiosità, loquacità e carattere, ma soprattutto per la professionalità che è riuscita a cucirsi addosso, lei, una giovane donna, nel mondo tutto al maschile del pianeta oleario. Lo ho imparato bene chi di lei ha guardato prima i tacchi, perché subito dopo ha dovuto concentrarsi sulla sua personalità e sul suo temperamento, quando si parla di extravergine di oliva. Esige, da se e dalla filiera di produzione, la perfezione! E non si può dire non l’abbia ottenuta, il suo nome e sinonimo di eccellenza tanto che Monica Vaccarella viene pronunciato anche nelle stanze da pranzo della casa reale di Dubai, o nel grande salone con affaccio dal 123° piano del grattacielo Burj Khalifa, dove si trova l’albergo più esclusivo della capitale degli Emirati Arabi. I suoi extravergine, il “Veneto Valpolicella DOP” e il “100% Italiano”, sono a tutti gli effetti de beni di lusso, adatti a questo mondo dorato, ma dietro hanno la concretezza della terra e tutta la fatica che significa coltivarla, anche se stiamo parlando di una terra bellissima a 400 metri sul livello del mare, dove non arriva il brusio della città di Verona e nemmeno l’inquinamento. Ma oltre al dislivello la differenza la fa la consapevolezza di appartenere ad una cultura, quella dell’extravergine, e la passione minuziosa della cura. In campagna, infatti, nulla viene trascurato ed è durante la raccolta che si concentrano le attenzioni. In appena 15 giorni, a partire dai primi dieci giorni di ottobre, avviene quella trasformazione che dà il senso e il significato ad un anno: le olive vengono staccate prevalentemente a mano in ragione della loro maturazione, non più di 10-14 quintali al giorno, e trasferite immediatamente alla molitura. Qui l’artigiano è uno che ha meritato la fiducia di Monica e sa che l’acqua dell’impianto non può essere quella con cui sono state lavate altre olive e neanche la pasta può entrare in contatto con lavorazioni precedenti. Qui c’è solo un obiettivo da perseguire: non rovinare un prodotto che tocca il 0,1% di acidità. Il disciplinare della Dop consentirebbe uno 0,5%, per gli altri extravergine la norma è lo 0,8%, oltre non è neanche più extravergine perché è l’acidità a decretare la qualità di un EVO. In 10 anni della sua storia Monica non ha mai fallito e forse è anche per questo che stiamo parlando di un’eccellenza.

Le due bottiglie immagine dell’azienda: l’Olio Extra Vergine d’Oliva “Veneto Valpolicella DOP”, ottenuto con il 60-70% di Grignano in blend con altre cultivar, e il “100% Italiano” che invece contiene il 4050% di Grignano. In tutto una produzione di 1.500 litri l’anno, imbottigliata solo sotto vetro e che sul mercato può essere trovata in diversi formati dal 100 ml a 5 litri

AZ. AG. VACCARELLA MONICA Loc. Spigolo, Strada per Montecchio - Avesa VR - Cell. 333 7111858 - info@vaccarellamonica.it


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LA VENDEMMIA,

UN RITO CHE SI RIPETE DA MOLTO TEMPO ALLA CANTINA LA MINCANA L’azienda di Due Carrare ha più di cento anni, molte raccolte alle spalle e una filosofia che vuole il vino una materia da condividere “La vendemmia è cominciata, ogni anno l’attendiamo perché è il coronamento di 12 mesi di lavoro. In fondo, il raccolto è uno specchio che ti dice quanto sei stato bravo e non è una questione di vanità. L’impegno ce lo abbiamo messo tutto... come al solito, anche nel sistemare i filari scarmigliati dalle ventate estive e dai fortunali. Tuttavia non si può dire che il tempo ci abbia voluto male, i grappoli hanno avuto una maturazione equilibrata al sole caldo. L’escursione termica delle ultime giornate estive ha regalato profumi intensi alle uve bianche, mentre alle rosse non manca la salute e quella gagliardia che poi troveremo nelle bottiglie. Quest’anno ci sarà una novità: i vigneti di Manzoni Bianco che circondano la vecchia ghiacciaia hanno dato il loro primo frutto, lo abbiamo raccolto, lo vinificheremo in purezza. La bottiglia non ha ancora un nome, ci dovremo pensare, ma probabilmente lo prenderemo da quella storia di cui siamo gelosi custodi, o da quella bellezza che la famiglia Dolfin, alla metà del Settecento, ha lasciato nei profili di Villa Mincana. Un vino buono deve saper trattenere almeno un breve soffio di vento del suo luogo d’origine, essere testimone dell’annata che l’ha prodotto e figlio delle mani che lo hanno curato. Solo in questo modo è possibile andare oltre la logica del prodotto apolide, del protocollo seriale, della prospettiva mercantile. Il vino è materia da condividere e anche la curiosità di chi vuol saperne di più va appagata: lo abbiamo fatto aprendo i pesanti portoni della nostra cantina a chi voleva sentire il mosto “bollire”, annusare i profumi della fermentazione, assistere al miracolo che ogni anno permette la trasformazione dell’uva, perché il vino non è solo frutto e fiori, tannini e acidità, polpa e definizione. Il vino è anche un modo di intendere la vita, da parte di chi lo fa e di chi lo beve...” Famiglia Dal Martello

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INGIROPIEDANDO di Alessandra Capato

Gianluca Bissacco,

DALLO STUDIO DENTISTICO ALLA CAMPAGNA La crisi economica non ha risparmiato la sua attività e se ne è inventata un’altra coltivando piante officinali nel Delta del Po

F

ragranze di lavanda. Di rosmarino. Di menta e salvia. Profumi che richiamano alla Madre terra ad un passato contadino che ha affascinato Gianluca Bissacco attraverso i racconti del nonno Sante, quando era bambino. Quelle favole che sapevano di saggezza di un sapere che solo la natura sa insegnare se sai osservare. Ne ha fatto tesoro. Ha lasciato il vecchio lavoro e si è reinventato una nuova vita. Proprio a Monti di Rivà, una frazione del Comune di Ariano, a pochi chilometri dal Parco del Delta del Po ha trovato la sua coltivazione di erbe officinali.

Gianluca Bissacco

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Gianluca come nasce questo desiderio di dedicarsi all’agricoltura? “Mi sono diplomato ad Adria all’istituto odontotecnico, ho iniziato il lavoro come ragazzo di bottega e successivamente ho aperto un mio studio dentistico. La crisi però ha colpito anche questo settore sebbene il lavoro piacesse ho dovuto chiudere l’attività”.

Non deve essere stato semplice “Mi sono guardato attorno e ho ragionato su vecchie idee. Mi sono confrontato con amici che mi hanno dato dei buoni consigli. Mi sono messo a studiare e a cercare un terreno abbandonato senza residui chimici per poter coltivare. Dopo tante ricerche l’ho trovato. Ci sono voluti tre anni prima di ottenere le prime piante di rosmarino, salvia e zafferano con cui realizzare i primi prodotti di cosmetica”. Mi pare di capire che la sua filosofia è quella di dare alla terra quello che riceve? “Mi ricordo quando ho cominciato a prendere in mano la zappa, e non ho sentito la fatica. Anzi ho scoperto delle riserve dentro di me. La natura aiuta me e io aiuto lei. Nel mio terreno cresce tutto ed è un’oasi per le lepri e le api. Nessuno le disturba. Lavorare la terra è la mia professione e con la produzione degli olii essenziali ho i miei prodotti. Per un litro di essenza di lavanda servono cento chili di fiori. La raccolta è piuttosto faticosa ma ho la soddisfazione di dire che il risultato è eccezionale. Mi piace quello che faccio e ci metto tanto amore”.


INGIROPIEDANDO Ultimamente ha introdotto anche lo zafferano? “Un po’ per curiosità quattro anni fa ho preso contatto con un’azienda francese e mi sono fatto spedire dei bulbi. Questa pianta è formidabile perché duplica e triplica dopo ogni anno. La “matrice” muore e spuntano i cosiddetti “figli”. Lo ritengo un fiore magico: passi il giorno prima e non si vede nulla tutto è nascosto sotto la sabbia e il giorno dopo sbuca il fiorellino. Lo raccolgo quando è ancora chiuso. Per tutto il mese di ottobre ogni mattina faccio la raccolta a mano”. E poi…. “Il passo successivo è quello di farlo analizzare da un laboratorio dell’Aquila che segue un particolare disciplinare per il loro zafferano DOP. Vengono verificate le muffe, il principio attivo e il grado di qualità e poi posso procedere al confezionamento. Lo uso quindi per i prodotti cosmetici e lo vendo ai ristornati che con un grammo di zafferano in cucina preparano una decina di piatti”.

Rosmarino

Salvia

Zafferano

Insomma ho capito che a lei piacciono molto le sperimentazioni. Mi vuole svelare l’ultima che ha in programma? “L’anno scorso avevo provato con l’incenso ma è andata male, quest’anno provo con un ortaggio locale che piace molto. È il radicchio di Chioggia, ho intenzione di realizzare una nuova linea cosmetica con l’estratto che ho testato”.

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Ideale per le pelli sensibili perché protegge e dona sollievo, ideale per le pelli normali perché dona nutrimento e idratazione, ideale per le pelli senescenti perché contrasta gli effetti dell’invecchiamento cutaneo e previene la comparsa di alcune malattie della pelle come la psoriasi, l’eczema o la dermatite

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INGIROPIEDANDO a cura della redazione

Nella foto a destra: Boscolo Nicola Pecchie, direttore di Unioncoop, incontra il partner irlandese che ha coordinato il lavoro dei ragazzi in Irlanda

20 STUDENTI DI CHIOGGIA, AMBASCIATORI IN IRLANDA Grazie al progetto Move in alternanza i ragazzi hanno imparato a conoscere le eccellenze locali e a divulgarne il valore lavorando per 28 giorni in aziende nella contea di Cork

“C

i siamo sentiti autentici ambasciatori del nostro territorio e di uno dei suoi prodotti tipici, il radicchio Igp di Chioggia. Lo abbiamo illustrato, oltre che fatto assaggiare, alle famiglie che ci hanno ospitato in Irlanda, chi cucinando un bel risotto, chi in insalata”. A raccontarlo è Gaia Malieni, una dei 20 studenti del liceo Veronese di Chioggia, che ha avuto la fortuna di vivere questa esperienza in Irlanda, nella contea di Cork, affacciata sul mar Celtico, braccio di oceano Atlantico tra l’Irlanda del sud e l’Inghilterra sud occidentale. Qui i ragazzi hanno perfezionato la lingua e lavorato in azienda, per un totale di 28 giorni, grazie al progetto Move in alternanza di Unioncoop, ente di formazione, finanziato dalla Regione Veneto. “Mentre ci recavamo al mercato a vendere uova e verdure biologiche, ho spiegato ad Adam, il manager dell’azienda agricola dove ho svolto il tirocinio, la pianta del radicchio, così versatile e come poterla adattare in cucina. Ora ci stiamo muovendo per creare un rapporto anche commerciale”. Gaia non è la sola ad aver vissuto un’esperienza intensa. Anche Martina, cameriera al B&B Atlantic Townhouse di Clonakilty, nonostante il duro lavoro, o proprio per questo, è stata entusiasta della sua permanenza. “Alla fine ho imparato a essere flessibile, più indipendente, ad adattarmi e ho anche migliorato le mie abilità di comunicazione oltre che il mio inglese conoscendo nuove persone”. “La sfida per loro non è stata solo durante i 28 giorni in Irlanda, ma anche prima di partire, quando si sono messi in gioco per conoscere di più il loro territorio e le sue eccellenze alimentari visto che il tema del progetto era l’agrifood - spiega Sara Laurenti, coordinatrice del progetto per Unioncoop - i ragazzi hanno fatto visita al mercato

orticolo di Chioggia, assistito all’asta all’orecchio, tradizionale modo di vendere il radicchio all’ingrosso, dove è stato spiegato l’importanza della tutela del radicchio di Chioggia e hanno ben compreso quanto sia importante incentivare le coltivazioni autoctone per proteggere la biodiversità”. “Sempre di più il turismo enogastronomico, definito Dop economy - spiega Giuseppe Boscolo Palo, presidente del consorzio di tutela del radicchio di Chioggia Igp - realizza dei fatturati importanti e ci sarà sempre più bisogno di persone come i nostri ragazzi, risorse umane giovani dedicate. Pensate - ha rivelato Palo alla sede dell’ente di formazione, a fine giugno, quando sono stati consegnati ai 20 ragazzi gli attestati di partecipazione al progetto - che un grosso socio del consorzio IGP, che vive in California, mi ha fatto i complimenti perchè ha visto il nostro radiccchio sbarcare in Irlanda grazie a voi ragazzi”. “Si è aperta una nuova strada, tutta da battere - ha replicato Boscolo Nicola Pecchie, direttore di Unioncoop - grazie a questo progetto Soddisfazione per il risultato che riguarda sia la proottenuto è stata espressa anche da Silvia Cavallarin, mozione delle nostre tipicità alimentari venete consigliera di parità della città metropolitana di Venezia, che a livello internazionale, ha sottolineato l’importanza sia la possibilità di readi progetti come questi: rivolti lizzare tirocini formativi ad incentivare la formazione linguistica, indispensabile per all’estero per un inserimento lavorativo più un’occupazione, e che ha visto protagoniste le donne, qualificato”. considerato che tra i 20 partecipanti 18 sono ragazze

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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE del Prof. Adriano Mollica

I funghi,

PREZIOSI ALLEATI PER LA SALUTE UMANA Oltre ad un buon sapore, apprezzato da chef e buongustai, possiedono un alto valore nutritivo in quanto sono poveri in calorie, in carboidrati e grassi e hanno un alto contenuto di vitamine, proteine, fibre e sali minerali

I

funghi sono biologicamente distinti dalle piante e dagli animali, e sono inseriti in un regno a parte. La micologia nasce come una branca della botanica, in quanto i funghi erano considerati piante primitive. Oggi il regno dei funghi è riconosciuto come un regno separato, basando la classificazione sull’organizzazione cellulare anziché sull’ aspetto esteriore e altre caratteristiche biochimiche. Le differenze più importanti che permettono di distinguere i funghi dalle piante e dagli animali sono le seguenti: Le piante hanno la clorofilla e sintetizzano e producono le molecole che servono alla loro sopravvivenza mediante la fotosintesi; gli animali si nutrono ingerendo cibo,

I funghi selvatici hanno un valore nutrizionale e caratteristiche farmacologiche superiori a quelli dei allevamento

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i funghi invece non hanno clorofilla e sopravvivono su materiale in decomposizione già presente in natura o su substrati appositamente progettati quando vengono coltivati; i funghi contengono chitina, un polisaccaride derivato dal glucosio, trovato però nell’esoscheletro dei crostacei o degli insetti, non hanno la cellulosa come le piante e contengono uno sterolo unico, l’ergosterolo simile al colesterolo trovato nei mammiferi.

Si conoscono circa 2000 varietà di funghi eduli, ma ai consumatori comuni ne sono noti probabilmente solo una decina Si conoscono circa 2000 varietà di funghi eduli, ma ai consumatori comuni ne sono noti probabilmente solo una decina; sono comunemente presenti sulla nostra tavola la specie agaricus bisporus (Champignon), il fungo Shitake (lentinus edodes) attualmente il secondo fungo più consumato al mondo, e naturalmente i funghi porcini del genere dei boleti (il più famoso il boletus edulis). I funghi sono ingredienti raffinati della cucina in tutto il mondo, specialmente per il loro sapore unico e quindi tenuti in grande considerazione durante tutta la storia dell’uomo. Sono oggi considerati una prelibatezza, ma recentemente sono stati anche rivalutati per le loro proprietà nutrizionali, meritandosi il titolo di cibo nutraceutico; sono inoltre


ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE di grande interesse per le loro proprietà medicinali nonché tossiche, ad esempio per quel che riguarda i funghi velenosi. Sebbene i funghi siano largamente coltivati, (Cina rappresenta il maggiore produttore al mondo), i funghi selvatici sono più importanti sia per il loro valore nutrizionale che organolettico, e ancor di più per le caratteristiche farmacologiche. Alcuni funghi rappresentano una fonte di nuovi composti dalle proprietà antibiotiche, poichè contengono sostanze potenzialmente molto interessanti per i ricercatori prodotte dal metabolismo secondario di questi organismi, tra i quali terpeni, steroidi, antrachinoni, chinoni, etc. Ad esempio, il fungo Shitake ha mostrato una spiccata attività antimicrobica. Inoltre i funghi hanno un gran valore nutrizionale, contenendo proteine, aminoacidi essenziali, fibre;

Studi scientifici hanno indicato che il consumo di funghi è inversamente proporzionale al rischio per il cancro al seno sono invece poveri di grassi e sono fonte di vitamina B1, B2, B12, C, D, ed E, e possono essere usati direttamente per promuovere la salute nell’uomo. Alcuni funghi rientrano nell’uso della medicina tradizionale cinese, per la loro attività immunomodulatoria e antineoplastica. Le attività biologiche verificate in laboratorio sono centinaia, ad esempio anticancro, antidiabetica, antiallergica, protettrice del sistema circolatorio, anticolesterolemica, epatoprotettiva, detossificante, ecc ecc. Una dieta bilanciata promuove la prevenzione delle malattie, soprattutto contro lo

Alcune specie di funghi rientrano nell’ uso della medicina tradizionale cinese per la loro attività immunomodulatoria e antineoplastica

stress ossidativo, in questo contesto i funghi hanno una lunga storia. Studi scientifici hanno indicato che il consumo di funghi è inversamente proporzionale al rischio per il cancro al seno. Altri studi preliminari sul diabete di tipo 2 hanno evidenziato un effetto ipoglicemizzante anche nei loro estratti. È stato osservato che possono avere effetti positivi sulle performance sportive, e contro la stanchezza. Sono già in corso diversi trial clinici per valutare la loro efficacia negli stati prediabetici, nella prevenzione del morbo di Parkinson, nel ridurre il rischio di infarto del miocardio. Numerose ricerche mirano a dimostrare l’efficacia dei funghi come supplemento e come nutraceutici, per ricavarne effetti benefici per la salute umana. Alla luce di quanto detto, i funghi sono inseribili a tutti gli effetti nella lista dei cibi sani dall’alto valore nutritivo, poveri in calorie, carboidrati, sodio e grassi, privi di colesterolo, ma ricchi di vitamine, proteine, fibre, sali minerali come selenio e potassio. Il fungo Shiitake (lentinus edodes) attualmente è il secondo fungo più consumato al mondo dopo il “porcino” (boletus edulis)

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2009

10 anni

2019

Buon Compleanno Nel settembre 2009 Luca Pasin, da un’idea ambiziosa, condivisa con il cav. “Franco” Venturelli, presidente Lucaffè, e sostenuto da amici e famigliari, decise di aprire il primo negozio a marchio Lucaffé d’Italia a Mortise (PD). Divenne subito una fucina di idee estrose e proposte originali tanto che i 25mq a disposizione si rivelarono subito insufficienti. Fu allora che Lucaffé Shop Padova apri a Noventa Padovana, in piazza Giovanelli, 48. Il 14 settembre è la data in cui verranno ripercorsi i primi 10 anni di questa attività, condotti nella ricerca di prodotti di qualità e nella coerenza di una nuova filosofia del commercio legata ad un tessuto economico e sociale vivo e a un territorio straordinario Le date servono per segnare il tempo che passa e quello che deve ancora arrivare, ma servono anche come boe galleggianti attorno alle quali effettuare delle svolte e capire quanta strada si è fatta. La vita è un viaggio e per la vita professionale, d’altronde, spesso si usa la metafora nautica dell’essere “per mare”, lasciando intendere le difficoltà che è necessario affrontare, ma anche le soddisfazioni e le emozioni che è possibile vivere con tutte le persone e i compagni di viaggio che un mestiere come quello del commerciante permette d’incontrare. Il prossimo 14 settembre sarà il primo giro di boa del “Salus caffè - Lucaffé shop Padova” che giusto 10 anni fa ha iniziato a spiegare le vele. Il significato da dare a questa giornata lo conferma lo stesso titolare Luca Pasin, che già la immagina

come una occasione per attorniarsi di tutte quelle persone: clienti o potenziali tali, produttori, amici e fornitori, che con lui hanno condiviso questa prima parte del viaggio, iniziato per intraprendere un nuovo modo di fare commercio, ossia mettendo al centro dell’offerta quella qualità che la politica della grande distribuzione ha un po’ annebbiato, puntando quasi e solo esclusivamente sulla politica del prezzo. Per Luca, ed il suo Staff, invece, la questione del rapporto, della distanza breve con il produttore è fondamentale come lo è la confidenza con il cliente, conquistata con una precisa informazione sull’acquisto, la degustazione dei prodotti e l’originalità delle proposte. Requisiti fondamentali per assecondare le esigenze di una clientela sempre più appassionata e competente.

Salus Caffè - Lucaffé Shop Padova - P.tta Giovannelli, 48 - 35027 Noventa Padovana (PD)


Pasin: Uno dei più bei complimenti di una cliente? “Potrei entrare qui ad occhi chiusi, prendere dallo scaffale qualsiasi prodotto ed essere sicura di aver acquistato qualità” I rapporti del resto sono l’anima del commercio e la relazione rappresenta da sempre l’elemento indispensabile per tenere insieme una società, se basata su valori quali: fiducia e onestà. E forse è anche per questo che la sua attività è nata attorno ad un prodotto che della convivialità e della cultura rappresenta forse l’esempio più immediato, il caffè. È stato lui il primo rivenditore in “sede fissa” in Italia della linea Lucaffé, condividendo prima di tutto la filosofia di una torrefazione giovane e lungimirante, innovatrice ma rispettosa della tradizione e soprattutto dei valori etici di sostenibilità. In un mercato globale dove i grandi marchi creano tendenza e dipendenza, il tema della qualità al giusto prezzo, del rispetto dell’ambiente e del cliente, sono sem-

pre stati il mantra dell’azienda. Cialde in carta, anziché di plastica o alluminio, da sempre, anche quando ancora questo sistema di preparare il caffè era poco conosciuto, “snobbato” dai leader di mercato in quanto “libero”, e i rifiuti in mare parevano solo uno dei tanti prezzi che il progresso esigeva. Forse il “fiuto” per l’affare a Luca Pasin deriva dal fatto di essere “sommelier dell’espresso”, ma ancorpiù per l’anima sociale che il suo mestiere richiede. Ed è così che nel tempo a fianco del rapporto consolidato con Gianluca Venturelli, titolare di Lucaffé, si sono intrecciate storie e collaborazioni con un discreto numero di produttori locali che hanno permesso a Salus caffè di diventare un piccolo emporio delle eccellenze agroa-

Il Territorio e l’Amaro del Folpo I prodotti quando sono genuini restituiscono la perfetta immagine di una terra. Gli ingredienti di cui sono fatti, ad esempio, sono l’espressione della generosità di una regione o di un paese, ma allo stesso modo i prodotti locali contengono anche la cultura e la maestria che è stata necessaria per mettere insieme gli stessi ingredienti in una forma convinta, che sappia accontentare i palati. L’Amaro del folpo è nato così ed è una delle intuizioni che Luca Pasin ha avuto, insieme ad alcuni colleghi del Distretto del Commercio “Stile e Qualità”, progetto regionale, per raccontare la sua Noventa Padovana anche a chi non ci abita. Ci ha pensato un attimo, si è fatto venire l’idea e ha registrato il nome e l’etichetta, facendo nascere, di fatto, il primo prodotto a marchio della città. E in bottiglia ci è finita niente meno che un’intera fiera, ossia la Sagra del folpo.

L’“Antica Fiera d’Autunno”, nella IV di Ottobre, è una delle immagini più conosciute e amate di questa parte di territorio della riviera del Brenta, tanto che da più di due secoli attrae un numero imponente di visitatori. L’amaro quindi è un inno alla socialità, al vivere allegro, all’auspicio del brindisi, insomma un sorso è un po’ come essere a Noventa Padovana in quei cinque giorni dell’Antica fiera quando si annulla il presente e il territorio rivive la propria storia insieme al ciclico ritorno delle stagioni.

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limentari. Liquori, conserve, pasta, confetture, vini: una boutique, potrebbe essere definita, in cui il “buongustaio” e il “cercatore di sapori” può trovare soddisfazione per la propria tavola o idee originali, se è alla ricerca di un regalo che stupisca nelle occasioni più svariate. Luca ed il suo staff da anni propongono la “Bomboniera Gourmet”, i prodotti alimentari di eccellenza... vestiti a festa per ogni ricorrenza ed occasione. Dalla cena con gli

Selezione significa affidarsi ad un campo di acquisto ristretto dove le referenze sono state accuratamente scelte dal commerciante tra i migliori prodotti del mercato: più del “Marchio” vale la “conoscenza” della materia prima amici alla confezione regalo per l’azienda, dal battesimo alla laurea, sempre con la consapevolezza che ogni prodotto avrà in se quella passione per il proprio lavoro che dal produttore al rivenditore fa delle nostre piccole aziende il vero Valore del “Fatto in Italia”. Quest’ultimo, infatti, insieme alla qualità è l’altro grande astro che governa il suo modo di muoversi nel mare magnum del mercato, la terra, la cultura e l’insieme di esperienze che sono state necessarie per realizzare un prodotto sono la merce astratta, ma allo stesso tempo tangibile, che è sempre possibile trovare sugli scaffali del negozio di Noventa Padovana.

Il commercio “anima” la società Quanto i negozi di vicinato siano importanti per i centri storici e abitati in genere ce ne accorgiamo, purtroppo, solo quando non ci sono più. Quando le vie diventano strade deserte, le serrande abbassate danno un senso sinistro di abbandono a interi quartieri o quando la vita sociale del paese è più povera perché mancano le periodiche iniziative appoggiate dai commercianti. Noventa Padovana, per fortuna, può contare ancora su un commercio cittadino vitale e creativo nel cercare quei nuovi contenuti che animano lo shopping e allo stesso tempo promuovono l’immagine cittadina. Anche in questa veste Luca Pasin ha dato il suo contributo ideando appuntamenti come Miss Tostata, il concorso che premiava la miss più o meglio abbronzata, degustazioni di caffè e altri prodotti, addirittura un giornale “Il Corriere dell’Espresso”. Diverse sono anche le cene a tema organizzate negli anni, sempre attraverso collaborazioni autorevoli e fidelizzate, come quella con Dario Cerantola, amico e cliente, oltre che titolare di IMPRROPRIO 9119, che dall’inaugurazione di 10 anni fa al buffet del 14 settembre, è sempre stato al suo fianco e parte attiva nella realizzazione di eventi enogastronomici di rilievo. La prossima sarà appunto una nuova edizione di “Tostato & Mangiato”, la cena con il Lucaffè usato come ingrediente nella preparazione di pietanze originali e saporite.

L’impegno del titolare del Lucaffè Shop, si esprime anche con iniziative e sinergie che vedono il mondo dei commercianti aggregato in una forma di marketing territoriale, che si realizza nella collaborazione a sostegno di mostre, convegni e momenti conviviali. Tra questi va ricordato l’Aperitivo Street, l’appuntamento che vede Luca Pasin e Nicoletta Allibardi affiancati ormai da qualche anno nel progetto di creare una vetrina importante e qualificata dell’offerta commerciale della città, ospitando anche nomi illustri del territorio ma soprattutto dando vita ad una bellissima giornata, destinata a rallegrare l’animo di un “pubblico”, di clienti e amici, sempre più numeroso ed entusiasta.

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Il primo rivenditore Lucaffé in Italia L’anima di Salus Caffé si basa sulla decennale collaborazione condotta assieme a Gian Luca Venturelli che nel 1996 fondò Lucaffé, un’allora piccola torrefazione di Carpenedolo, nel bresciano, nata da una felice intuizione, ossia che nel mercato dell’espresso mancava un vero e proprio prodotto di qualità. Un’azienda che da allora è cresciuta esponenzialmente, fino ad arrivare a produrre, oggi, due milioni di cialde al mese e ad avere punti vendita sparsi in tutto il mondo. Luca Pasin è stato il primo rivenditore in Italia di questo marchio, il primo a condividere la politica che un caffè è come il vino, ossia che ce n’è di tanti tipi, ma il migliore e quello prodotto osservando il suo valore naturale e salvaguardando tutte le sue caratteristiche organolettiche. Ed è effettivamente questo il punto di forza di Lucaffé: dalla selezione, che viene fatta da Gian Luca Venturelli in persona, degustando tutte le varietà che gli agronomi gli inviano dai luoghi di produzione, alla lavorazione condotta nell’attenzione più scrupolosa. La tostatura, ad esempio, viene fatta in bassa temperatura ad aria Il presidente di Lucaffe, cav. Franco Venturelli, in modo da con Luca Pasin evitare che il processo produca acrilammide, una sostanza cancerogena pericolosa per l’organismo. E non meno importante è la conservazione, in quanto è la prerogativa che permette al caffè di mantenere I suoi aromi. Per questo non vengono usati i sacchi di juta per i trasporti dai luoghi di produzione, preferendo la carta, e per il prodotto destinato ai

negozi è stato bandito il sottovuoto, utilizzando solo barattoli con caffè sotto azoto. Uno dei pericoli che minano la qualità, infatti, è l’ossigeno in quanto innesca fenomeni di ossidazione. Un’altra attenzione usata per preservare la qualità del caffè è la cialda in carta, che oltre ad essere una buona risposta ai problemi ambientali, diventa un piccolo filtro efficace nell’eliminare le impurità dell’acqua o quelle del caffè, durante la preparazione di un vero espresso italiano. Sono queste cure che permettono alle produzioni Lucaffé di mantenere inalterate le fragranze ottenute miscelando sapientemente le singole varietà o mantenendo in purezza la forza dei mono origine, come nel caso del Giamaica Blue Mountain. Una qualità che Luca Pasin ha saputo riconoscere e che oggi mette a disposizione della sua affezionata clientela, dando i migliori consigli sulla preparazione e fornendo tutta l’assistenza e l’attrezzatura che un ottimo caffè richiede.

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PAESAGGI SONORI di Emanuele Cenghiaro

Autunno

TEMPO DI FESTA E DI CULTURA L’antica Sagra del folpo offre la possibilità di conoscere le storia e le tante bellezze che arricchiscono Noventa Padovana e il suo territorio

S

e Noventa Padovana gode di una certa notorietà, oggi, lo deve probabilmente alla sua celebre Fiera, o Sagra del folpo, che da secoli anima il centro del paese ogni anno a fine ottobre. Decine di migliaia di persone affollano via Roma, tra villa Valmarana e piazza Europa, animata da bancarelle, ristori, luna park e varie altre attrazioni, sempre uguali e sempre nuove. Per chi, come me, frequentava questa festa fin da bambino, era un paese dei balocchi… e dopo la sagra di Noventa, era ormai tempo di Natale! Quella di Noventa mi è sempre parsa una festa “diversa”, senza paragoni con le altre sagre del circondario, anche le più grandi. Me lo conferma anche il sindaco, Luigi Alessandro Bisato: “È perché riesce a essere un mix tra tradizione e contemporaneità. Era nata per mostrare le produzioni agricole a fine stagione e poi ha creato un connubio tra mare e pianura, come con gli onnipresenti folpi che abbiamo cercato di rilanciare. E poi è una manifestazione da sempre connaturata nella storia del paese, in cui tantissime persone come volontari ci entrano dentro e la vivono, in particolare nelle “bettole” gastronomiche che sono la nostra particolarità. Quindi, tutta la co-

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munità si impegna a renderla importante”. In effetti, non solo il paese “respira” la fiera, ma la attende di anno in anno quasi fosse un palio: e, in qualche modo, un palio lo è, perché la competizione c’è, anche se forse non si dice. Davvero non conosco manifestazione con così tante “bettole”: organizzate dalle parrocchie, dai partiti, da associazioni… volete che non ci sia un po’ di sano agonismo nel contare chi ha la fila in attesa più lunga, chi ha fatto più incassi dell’anno prima? A Noventa non servono i sondaggi elettorali: basta contare i coperti! Io spero però che

Villa Valmarana segna l’accesso alla città da Nord. All’interno presenti dei vasti complessi settecenteschi ad affresco e decorazioni rococò a chinoiserie, opera dello scenografo e pittore Andrea urbani.


PAESAGGI SONORI Alessandro Bisato: “La fiera era nata per mostrare le produzioni agricole a fine stagione ed è finita con il creare un connubio tra mare e pianura” la sfida sia anche quella su chi ha ricevuto i complimenti maggiori per la qualità del cibo e il piatto più buono, per l’uso di stoviglie compostabili o il riciclo fatto meglio… La Sagra del folpo mette assieme anche le due parrocchie del territorio comunale, che non hanno altra sagra propria: questa sola basta per entrambe! Le altre cose che danno originalità, in fin dei conti, passano in secondo piano, ma fanno tradizione: il vino “torbiolino”, grezzo e dolce assieme, i citati “folpeti” assieme ai “bovoeti”, l’offerta commerciale e l’ampia sfilza di giostre. Chi visita la fiera, forse non sa che anche il territorio che sta calpestando è ricco di storia e originalità, che gli vengono dalla sua posizione a cavallo tra due corsi d’acqua, Brenta e Piovego, e tra le due province di Padova e di Venezia. Chiariamolo subito: Noventa è padovana a tutti gli effetti. Però un suo lembo, Oltrebrenta, che si stende per poche centinaia di metri oltre il fiume che gli dà nome, arriva fino quasi al semaforo che svetta al centro di Stra. La singolarità attuale è dovuta a una rettifica del corso del fiume, che prima lo separava dal territorio veneziano con cui segnava il confine. Potrebbe essere la terza frazione del comune, se frazioni avesse: perché Noventa Padovana non ne ha, benché con Noventana siano due

Recenti studi archeologici hanno messo in evidenza che nel luogo dove oggi sorge villa Valmarana un tempo si trovava il palazzo della potente famiglia padovana dei Dalesmanini. Qui, tra il 1237 e il 1239, è stata ospitata Isabella d’Inghilterra, terza moglie di Federico II di Svevia

le parrocchie e con Oltrebrenta tre le località. I padovani consideravano Noventa una cosa loro, e nel medioevo il territorio fu in mano a vari signorotti di città, nonché in quelle del vescovo che vi aveva molti possedimenti. Nome importante qui fu quello dei Dalesmanini, ma per un breve periodo anche quello degli Scrovegni, casata resa immortale dai due più grandi artisti italiani di sempre, Giotto e Dante. Noventa, all’epoca, era non più di un piccolo villaggio: il nome stesso, come ci ricorda il recente e completo volume scritto a più mani e curato da Marco Bolzo-

Noventa è padovanissima, ma il suo territorio è un lembo di terra, racchiuso tra Brenta e Piovego, proteso verso la laguna di Venezia

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PAESAGGI SONORI Al termine del conflitto con i carraresi, negli anni 1404-05, molte delle grandi famiglie della Serenissima incamerarono terreni a Noventa

Villa Giovanelli è un po’ il simbolo del paese, sia perché è scenografica con il suo splendido colonnato, sia perché affaccia direttamente sul Piovego ammaliando i viaggiatori che solcando il canale, oggi come un tempo, a bordo del Burchiello

nella, “Noventa Padovana villa bellissima tra Brenta e Piovego” (Cleup 2018), rimanda ai territori strappati a paludi e boschi che, dopo l’abbandono delle campagne post impero romano e le invasioni di popoli “barbari”, se ne erano riappropriati. Tra le poche capanne dei contadini, già prima che venisse costruita una chiesa stabile, svettava una dimora fortificata, certamente non un castello come quello delle fiabe: era quella dei citati Dalesmanini, che recenti ricerche sembrano ubicare all’incirca dove sorge l’attuale villa Valmarana. È probabile che sia stato questo palazzo ad avere avuto l’onore di ospitare, tra il 1237 e il 1239, Isabella d’Inghilterra, terza moglie di Federico II di Svevia, il quale in quei mesi dimorava a Padova ma veniva talvolta a Noventa a cacciare e a “falconare” - racconta il cronista Rolandino da Padova - e immaginiamo anche a trovare la moglie (chi lo sa che questa casa non abbia visto il concepimento di suo figlio Enrico Carlo Ottone di Hohenstaufen, venuto alla luce a Ravenna nel 1238?) Anche per i veneziani, tuttavia, Noventa era un po’ “casa loro”, una sorta di avamposto nel territorio dei “gran dottori”. Fino alla metà del secolo XII Noventa era il vero porto della città di Padova sul Brenta, prima che il fiume venisse deviato verso nord (il “castello” dei Dalesmanini sorgeva a pochi passi dal vecchio alveo). Per qualche decennio la situazione mutò, ma a inizio Duecento lo scavo del canale Piovego, che unì direttamente Padova a Stra, e quindi al Brenta e a Venezia, riportò di nuovo a Noventa uno scalo importante, stavolta nel lato opposto del paese. Dopo l’annessione del territorio padovano alla Serenissima, al termine del conflitto con i carraresi negli anni 1404-05, molte delle grandi famiglie della Sere-

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nissima incamerarono terreni a Noventa. Il citato volume ricorda tra gli altri i Falier, i Contarini, i Foscari, i Morosini, i Loredan, i Badoer. La facilità di raggiungere il luogo lo rese meta ambita, e fu così che, un paio di secoli dopo, Noventa diventò non solo importante snodo commerciale e tenimento agricolo, bensì anche… località vacanziera! Le celeberrime “villeggiature” in campagna si tennero in splendide dimore, la più nota delle quali è villa Giovanelli che è un po’ il simbolo del paese, sia perché è scenografica con il suo splendido colonnato, sia perché affaccia direttamente sul Piovego ammaliando i viaggiatori che solcando il canale, oggi come un tempo, a bordo del Burchiello, si chiedono a chi si deve tanta bellezza, e chi poteva abitare in tale luogo. Il “Ponte de Noenta” e la sua conca idraulica oggi sono spostati a est, ma un tempo erano quasi dirimpetto alla villa, ed essa segnava l’ingresso dal Piovego. Villa Valmarana ne segna invece, ancora oggi, l’accesso da nord, all’altro capo di via Roma. Nel mezzo sta la settecentesca chiesa dei Ss. Pietro e Paolo; lungo quasi tutto il viale si dipana la Fiera, nata da un antico mercato franco la cui concessione è persa nella storia, ma risale almeno al Seicento. Tale fiera è di certo oggi il miglior motivo per raggiungere la nostra meta, altri potrebbero essere la possibilità di visitare le splendide ville, quasi tutte affrescate e dotate di notevoli giardini, però private, tranne villa Valmarana oggi comunale, e aperte solo in occasioni speciali.

Anche la potente famiglia degli Scrovegni, resa celebre dall’opera di Giotto e di Dante, ha risieduto a Noventa Padova durante il Medioevo


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FRIULARO DOCG AMBASCIATORE: L’ORGOGLIO DELLA NOSTRA TERRA! In bottiglia la vendemmia 2012, un’annata indimenticabile in cui i grandi vini hanno fatto la differenza È ottenuto dalla perfetta armonia tra territorio e vigneti; da ampi grappoli dagli acini serrati a buccia spessa; da vigneti selezionati e, ancora oggi, secondo tecniche antiche come la vendemmia a mano e l’appassimento in fruttatio delle uve; dall’invecchiamento in barrique e grandi botti di rovere. Un sorso del nostro vino Friularo DOCG Ambasciatore è molto più di un autentico piacere, è un viaggio nel tempo, una passione che attraversa la storia e che arriva fino ai nostri giorni

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TORNA LA SAGRA DEL FOLPO, L’ANTICA FIERA DE “NOENTA” CHE HA PIÙ DI 250 ANNI DI STORIA Dal 25 al 29 ottobre l’appuntamento con folklore, artigianato e cucina tradizionale La chiave è il tempo, un tempo che ritorna nella medesima piazza di un paese, torna sulla riva del fiume e dentro il canale, torna sul sagrato delle chiese, sugli argini e sotto, sui campi. Il tempo torna uguale e diverso. Il tempo della festa è precisamente questo: un tempo condiviso, il tempo in cui le persone si danno appuntamento in piazza, nella stessa data per sottolinearne il ritorno. E la Sagra del folpo ormai ritorna da secoli. I documenti più antichi portano la data del 1776, ma probabilmente la Sagra era già esistente e chissà da quanto tempo. Oggi è uno degli appuntamenti più importanti e attesi del Veneto, una fiera arricchita, soprattutto negli ultimi anni, in contenuti, proposte e appuntamenti sia di natura culturale, che di svago o legati all’offerta commerciale locale. Del resto Noventa Padovana è ricca di bellezze architettoniche e paesaggistiche legate alla Riviera del Brenta e al Piovego. Così è facile spaziare dalle bellissime Ville Venete, oppure fare acquisti all’Angolo dei prodotti tipici locali, organizzato da Coldiretti Padova, alla grande Mostra Mercato, divisa in un due stimolanti promenade: Via delle Delizie, dedicata alla produzione gastronomiche dolci e salate, e il Viale dei Desideri con l’oggettistica artigianale. In Piazza Europa, invece, ritorna il “Villaggio Del Gusto” sapori e tradizioni da tutta l’Italia e il Padiglione Stile Qualità con oltre 50 espositori in collaborazione con le associazioni di categoria Ascom, Upa e Confesercenti. Insomma il meglio delle produzioni locali proposte dagli

oltre trecento artigiani e ambulanti che da sempre colorano la storica “Fiera di Noenta”. Non manca, ovviamente l’offerta enogastronomica, che anzi è uno degli elementi che maggiormente caratterizza la sagra grazie al folpo e al vino turbiolin, e le opportunità di svago con: musica e concerti, spettacoli, mostre e l’immancabile Luna Park. Arrivare è facile e non c’è nemmeno il rischio di rimanere imbottigliati nel traffico. Anzi sarà sicuramente suggestivo arrivare alla Sagra del folpo direttamente in battello da Padova, lungo il percorso fluviale del Piovego, oppure approfittare dei trenini-navetta che, con percorsi ed orari stabiliti, collegano alcune località del territorio con fermate intermedie alla zona pedonale interessata alla Fiera. Il servizio completamente gratuito è stato pensato per agevolare gli anziani, i più piccoli e per rendere la fiera meno frequentata da automobili, ma di fatto sta diventando esso stesso una nota caratterizzante di questa storica manifestazione, insieme ai fuochi d’artificio che concludono i cinque giorni di festa.

Uno degli appuntamenti più importanti e attesi del Veneto, una fiera arricchita, soprattutto negli ultimi anni, in contenuti, proposte e appuntamenti sia di natura culturale, che di svago o legati all’offerta commerciale locale

SAGRA DEL FOLPO • DAL 25 AL 29 OTTOBRE 2019 • www.sagradelfolpo.it


Una fiera che insegna a voler bene all’Ambiente Quanto è bella la vivacità di una fiera? La gente, i colori, i profumi, la gioia... È quanto è brutta la piazza della fiera il giorno dopo? Cartacce, bicchieri, cicche per terra... ma non è il caso della Sagra del Folpo, perché quest’anno uno dei punti di forza che caratterizzeranno i cinque giorni di festa sarà proprio la sostenibilità ambientale. Grazie alla collaborazione del Comune di Noventa Padovana e AcegasApsAmga sono previste una serie di iniziative che oltre a tenere la città più pulita andranno ad aumentare la conoscenza sull’importanza di un corretto trattamento dei rifiuti. Così gli 8 stand gastronomici, che sono una vera e propria macchina dei sapori, capace di far sedere contemporaneamente migliaia di persone, verranno forniti di bidoni per la raccolta differenziata e gli stessi operatori parteciperanno ad un corso di formazione, tenuto dai tecnici AcegasApsAmga, per la corretta gestione di tutto quel materiale che il servizio di ristorazione produce. Le stesse indicazioni verranno veicolate anche attraverso un pieghevole a tutti coloro che parteciperanno alla Sagra con la loro offerta. Per la pulizia dei viali e delle piazze, inoltre, verranno posizionati ben 560 cestini destinati a plastica, carta, vetro, organico, secco e tra il pubblico si aggirerà anche un tecnico della multiutility che monitorerà i comportamenti di tutti e potrà dare consigli e suggerimenti, perché questa iniziativa vuole essere un messaggio: ognuno di noi può far molto per il Pianeta, anche solo gettando un bicchiere di plastica nel bidone giusto. I rifiuti oggi sono una minaccia, per trasformarli in risorsa serve una nuova cultura.

CONFRATERNITA DEL FOLPO

“Intorno ad un piatto di folpo gli estranei possono diventare confratelli” Poco più di un anno fa è nata la Confraternita del Folpo, ovviamente a Noventa Padovana, da un’idea partorita da pochi amici riuniti attorno a un piatto del celebre cefalopode, preparato alla venta, consumato rigorosamente con lo stuzzicadenti e accompagnato ad un bicchiere di “turbiolino”, fresco. Sono questi i sapori della secolare Sagra, sapori, compresa l’amicizia, che valgono come identità e come opportunità attorno ai quali è possibile creare aggregazione e cultura. Nella semplicità di un folpo, merce di scambio tra pescatori e contadini, secoli fa e nata la storica fiera e allora perché oggi lo stesso folpo non può essere, attraverso i suoi otto tentacoli, il centro di nuovi incontri e rapporti? “Del resto - spiegano i confratelli - è intorno ad un tavolo con il buon cibo che gli estranei possono diventare confratelli”. E l’impegno di questo primo anno di attività è stato speso proprio nella direzione di creare relazioni. Attraverso incontri, come la Cena di Gala realizzata in collaborazione con la scuola Dieffe, o attività sportive, è il caso della Marcia del Folpo organizzata dalle scuole di Noventa, oppure attraverso l’incontro con altre Confraternite dedicate ai tanti prodotti e sapori che rendono unica la nostra terra. Come la Confraternita del Bacalà alla vicentina, un sodalizio siglato con una cena a base di folpo e bacalà; la Confraternita dei bigoi al torcio che ha dato vita ad un nuovo ragù o la Confraternita del risotto alla saonarese, insieme alla quale è stata aperta una ricerca su dei nuovi risotti. Questi sono solo alcuni dei rapporti instaurati, ma altri sono in programma: da non perdere è la data del 12 ottobre a Villa Valmarana dove verrà intavolata la seconda cena di Gala, con un menù a base di folpo realizzato dalla nostra consorella cuoca e foodblogger Anna Maria Pellegrino insieme al Ristorante Boccadoro, o la sfilata che domenica 27 ottobre animerà l’antica “Sagra”. E tra i progetti c’è anche un appuntamento in laguna veneta, ai casoni della Fogolana, ma sarà il prossimo anno e per tenersi informati basterà seguire la pagina Facebook dedicata alla Confraternita del Folpo.

SAGRA DEL FOLPO • DAL 25 AL 29 OTTOBRE 2019 • www.sagradelfolpo.it


L’ISTITUTO PROFESSIONALE DIEFFE, PRESENTA UN “GIOTTO” MAI VISTO COSÌ DA VICINO Gli studenti della scuola di Noventa Padovana faranno da guida all’opera che il maestro fiorentino ha lasciato a Padova. Attraverso la ricostruzione fedele della Cappella degli Scrovegni un viaggio nei dettagli e nelle particolarità invisibili nell’originale Accoglienza, ospitalità e bellezza sono tre punti cardinali nella formazione alberghiera e proprio queste sono le parole d’ordine che stanno alla base della didattica che la Scuola Dieffe di Noventa Padovana propone ai propri studenti, attraverso il doppio binario del Centro di formazione professionale e dall’Istituto Superiore di Enogastronomia. Ma è soprattutto sulla bellezza, e sullo stretto rapporto instaurato dall’Istituto con il suo territorio, che si incentra la mostra “Giotto fa scuola” che aprirà i battenti dall’1 al 29 ottobre nella chiesetta di Villa Valmarana di Noventa Padovana. “Un progetto regionale proposto alle scuole come parte integrante del Piano dell’Offerta For-

LA CHIESETTA DI VILLA VALMARANA, A NOVENTA PADOVANA, SARÀ LA SEDE DELLA MOSTRA DALL’1 AL 29 OTTOBRE Cooperativa DIEFFE via Risorgimento, 29 - Noventa Padovana (PD)


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Istituto Superiore di Enogastronomia DIEFFE e Centro di formazione professionale

SAPERE E SAPER FARE Il settore turistico è uno dei motori trainanti dell’economia italiana, un settore in costante crescita che incessantemente richiede figure professionali preparate e costantemente aggiornate sui bisogni e le tendenze che domanda richiede. Iniziativa patrocinata dal Comune di Noventa Padovana

E sono queste le conoscenze che il Centro di formazione professionale e l’Istituto Superiore di Enogastronomia DIEFFE trasmettono ai cinquecento e più studenti, che ogni anno transitano dalle

mativa nell’ambito dell’Alternanza scuola lavoro

aule e dai laboratori di via Risorgimento a Noven-

- spiega il preside, Luciano Gatti - che ci vede

ta Padovana, attraverso percorsi di studio che

coinvolti insieme all’Istituto Romano Bruni nell’or-

possono portare sia alla qualifica professionale di

ganizzazione e nella gestione di questo importan-

Operatore della Ristorazione ad Indirizzo Cucina,

te evento. Si tratta, da una parte, di dare l’oppor-

Sala e Bar, Pasticceria, Panificazione, sia al diplo-

tunità ai nostri studenti di riflettere sull’importanza

ma di maturità professionale. A fianco dello stu-

che riveste nel nostro paese il patrimonio artistico

dio e dei laboratori di pratica l’Istituto DIEF-

e culturale, e di considerare la bellezza come un

FE cura con attenzione i rapporti con le

bene da tutelare, da conoscere con lo studio e

aziende del settore turistico-alberghiero

da valorizzare attraverso l’importante professione

ed agro-alimentare: alberghi, ristoran-

che andranno ad intraprendere, dall’altra di dare

ti, pizzerie, bar, pasticcerie e mense in

la possibilità a chiunque di vedere l’opera di Giot-

quanto partener fondamentali previ-

to nella Cappella degli Scrovegni in una forma

sti dal percorso di studi per il consegui-

assolutamente inedita”.

mento degli stage che accompagnano

La mostra, infatti, presenterà una ricostruzione fe-

gradualmente gli studenti verso un inse-

dele degli spazi affrescati dal maestro fiorentino e

rimento consapevole e competente nel

la possibilità di esperirli in tutta tranquillità, senza

mondo del lavoro.

le tempistiche e le modalità che a Padova garantiscono la preservazione delle pitture originali, per apprezzarne anche il dettaglio. Guide d’eccezione alla mostra saranno gli studenti stessi dei due istituti, opportunamente preparati per soddisfare ogni curiosità degli avventori e per portare con sé il significato di questa esperienza nel proprio futuro formativo e professionale.

Per qualsiasi informazione e per la prenotazione alla mostra inviare una mail a giottofascuola@dieffe.com

L’Istituto Superiore di Enogastronomia DIEFFE offre un percorso di studi superiore di 5 anni che dal 2013 rappresenta l’unico percorso paritario in ambito Alberghiero Eno-gastronomico nel Veneto

Tel. 049 9865000 / 049 9865001 - www.dieffe.com -

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LA FORMA DEL LATTE di Michele Grassi

FINE DELL’ESTATE IN ALPEGGIO Una stagione è passata ma ne restano i frutti, sulle scalere di legno riposano i formaggi prima di essere venduti

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ine di agosto in malga, sono le 6 del mattino e il sole illumina già la casera e lo stallone. Le vacche sono state munte e ora sono fuori dalla stalla, al pascolo dove, tra i fili oscillanti per la lieve brezza dell’erba alta che inizia a ingiallire, si intravede quella verde ancora bagnata dalla leggera pioggia della notte. Bramose mangiano selezionando le piantine migliori, quelle capaci di sfamare davvero e lasciano invece quelle secche e quelle meno appetibili. Alcune si lanciano sul trifoglio già scarso vista la stagione avanzata, l’estate è ormai terminata, e rimane ancora un po’ di “veccia”, una leguminosa che in questo periodo ha il piccolo baccello ormai consumato dal sole, ma le piccolissime foglie attirano ancora gli animali. Siamo oltre i 1500 metri sul mare, le giornate si sono accorciate e i turisti, prevalentemente escursionisti, ormai arrivano solo al sabato e alla domenica, stagione permettendo. Il malgaro con la sua donna ha più tempo da dedicare alle mansioni specifiche dell’alpeggio. Per loro l’attività estiva è stata dura, soli hanno gestito il sito alpino con le poche vacche pascolanti, ma non

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hanno mai smesso di lavorare il latte, anche se è diminuita la produzione, in caseificio, in latteria come si dice qui nel Veneto dolomitico. Le vacche sono stanche ma guarda un po’, anche ingrassate, strano a dirsi ma vero. Alcune di loro stanno andando in asciutta, quella periodica fase che perdura due-tre mesi prima del parto durante la quale non vengono munte. I frutti dell’estate sono stati buoni, il latte ha sempre mantenuto eccellenti caratteristiche chimiche e microbiologiche e, vista l’alimentazione naturale, organolettiche. Annusarlo appena munto riempie le narici e l’anima ne gode. Si percepiscono odori antichi come l’erba bagnata dalla pioggia di un temporale appena terminato, come il manto delle vacche dal forte sentore

I frutti dell’estate sono stati buoni, il latte ha sempre mantenuto eccellenti caratteristiche chimiche e microbiologiche e, grazie all’alimentazione naturale, organolettiche


LA FORMA DEL LATTE

Michele Grassi mentre estrae la cagliata dalla caldera e la pone nelle fascere che consentono la pressatura

di cuoio che può provocare repulsione a chi non ne percepisce il valore, ma che concederà al latte e di conseguenza al formaggio, odori e aromi straordinari. Ormai il latte è in caldera, in quel paiolo ramato che attende solo il casaro per l’accensione del fuoco a legna di abete o larice, piante tipiche di queste altitudini. Si provvede a scaldare il latte, poco, perché quello della sera rimasto nelle vasche per l’affioramento è a 12-13° mentre quello della mattina è ancora alla temperatura di mungitura. Il formaggio in malga viene fatto dal latte crudo, ovvero non avviene alcun risanamento termico com’è invece con la pastorizzazione, per questo mantiene intatte tutte le caratteristiche che la natura montana gli ha concesso, le proteine, i grassi, le vitamine la sua naturale carica batterica, e gli enzimi originari. Il malgaro aveva preparato, il giorno prima, il lattoinnesto, una sorta di latte acidificato in modo del tutto naturale, da aggiungere al latte in caldaia affinché i

batteri lattici possano attivarsi immediatamente. Per essere più chiari il lattoinnesto è un po’ come il lievito madre per il pane. Questa importante coltura batterica che si prepara solo in caseificio con il buon latte della munta mattutina, si attiverà subito e innescherà molti agenti capaci di dare luogo alla maturazione del formaggio sulle scalere di legno, durante la stagionatura. Finiamo di fare il formaggio, estraiamo la cagliata dalla caldera ponendola nelle fascere che consentono la pressatura che procederà per quasi tutto il pomeriggio. È questo il momento che il casaro utilizza per entrare nella camera dove vengono posti i formaggi a stagionare, anzi no, a maturare. In effetti ogni momento della vita del formaggio vede in se alcuni aspetti legati alla maturazione che dobbiamo distinguere dalla

Durante la maturazione le caseine, le proteine che compongono il formaggio, subiscono una vera e propria degradazione e così pure i globuli di grasso tramite irrancidimento idrolitico definito meglio come lipolisi. Tutto ciò viene a determinare la consistenza della pasta del formaggio, i suoi odori e aromi, il suo gusto

Le caratteristiche organolettiche del formaggio sono fortemente influenzate dall’ambiente in cui il formaggio matura Le immagini che corredano questa pagina sono state fatte a Malga Livan (Zoppè di Cadore BL)

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LA FORMA DEL LATTE

Il consumatore a fine estate potrà trovare il buon formaggio d’alpeggio, lo riconoscerà senz’altro, dal colore dall’odore dall’aroma e dal gusto, unici e irripetibili

Il formaggio in malga viene fatto dal latte crudo, per questo mantiene intatte le proteine, i grassi, le vitamine la sua naturale carica batterica, e gli enzimi originari stagionatura. Durante la stagionatura avvengono mutazioni chimiche, fisiche e batteriologiche che sono la base della maturazione del formaggio. La maturazione è quindi la conseguenza di un tempo di stagionatura e delle condizioni ambientali nelle quali viene posto il formaggio. In questa fase le caseine, le proteine che compongono il formaggio, subiscono una vera e propria degradazione e così pure i globuli di grasso tramite irrancidimento idrolitico definito meglio come lipolisi. Tutto ciò viene a determinare la consistenza della pasta del formaggio, i suoi odori e aromi, il suo gusto. Queste mutazioni sono favorite dai batteri lattici che trasformano il lattosio in acido lattico e provocano anche la crescita di enzimi capaci di influenzare la maturazione del formaggio. Tutto ciò avviene in ambienti adatti alla stagionatura dalle caratteristiche naturali come la camera dell’amico malgaro o cantine e grotte oppure artificiali come le celle. La loro grande differenza è palese, umidità e temperature regolate dalle stagioni per gli ambienti naturali o controllate per le celle. Le caratteristiche organolettiche del formaggio sono quindi fortemente influenzate dall’ambiente in cui il formaggio matura insieme agli aspetti strettamente legati alla tecnologia come l’innesto di batteri lattici naturali, o selezionati, ma non sono la stessa cosa. La maturazione è una sorta di miracolo della natura,

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se il formaggio è posto nella scalera bassa vicino al pavimento dove l’umidità è maggiore il casaro otterrà un risultato diverso da quel formaggio, magari suo gemello, posto nella scalera alta, dove minore è l’umidità ma maggiore è la temperatura. In Veneto sono molto i formaggi a latte crudo che godono di deroga dagli enti preposti ai controlli igienico sanitari tanto che possono essere consumati solo dopo 30 giorni dalla trasformazione. La camera della malga dove i formaggi riposano odora di buono, di muffe azzurrino-bianche, alcuni con crosta appena umida altri asciutta, odora di pulito, perché la moglie del malgaro lava spesso i pavimenti facendo attenzione a non utilizzare troppo i detersivi che andrebbero a contaminare i formaggi esposti sulle tavole di legno di abete bianco. Il malgaro, mentre gira e rigira i formaggi sulle assi di legno, mi mostra con orgoglio i suoi gioielli, molti pressati altri a pasta molle pronti per essere consumati, dopo aver ben maturato durante l’estate, e altri ancora che porterà a casa a stagionare per ameno un anno. E il consumatore a fine estate potrà andare alla ricerca del buon formaggio d’alpeggio, lo riconoscerà senz’altro, dal colore dall’odore dall’aroma e dal gusto, unici e irripetibili. La maturazione continua lentamente perché il formaggio a pasta dura richiede tanto tempo, quel tempo che vedrà il malghese, con le lacrime ben nascoste dal cappello calato sugli occhi, demonticare le sue vacche e portare con se i formaggi rimasti, obbligato a lasciare i pascoli fra non molto ricoperti di quel manto bianco che provvederà a mantenere le radici delle erbe sane, fresche e attive alla futura ricrescita.


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STAGIONE CHE VAI, FORMAGGIO CHE TROVI “Ricerchiamo e selezioniamo, con entusiasmo e dinamicità, i prodotti migliori dell’enogastronomia europea per offrirli ad una clientela che predilige la qualità” Con la nostra vasta selezione di formaggi, che contempla tipicità provenienti da ogni angolo d’Europa, cerchiamo di soddisfare ogni piacere del gusto con originalità e ricercatezza. E durante la stagione autunnale il nostro fiore all’occhiello non può che essere rappresentato dai formaggi di alpeggio, che accuratamente scegliamo direttamente da chi li produce. Ve ne presentiamo tre considerando semplicemente la stessa iniziale alfabetica che li accomuna: IL BAGOSS (il tesoro di Bagolino) Un grande formaggio prodotto a Bagolino in provincia di Brescia con latte crudo ottenuto da vacche di razza Bruna. Ha un gusto ricco, con note speziate di zafferano e sentori di pascolo, un leggero aroma di mandorle e un finale un po’ piccante. Il Bagoss è un Presìdio Slow Food. La nostra selezione prevede esclusivamente forme prodotte in alpeggio con una stagionatura di almeno 3 anni. Andiamo di persona a sceglierlo dall’amico Amerigo, su a malga Dasdana (1809 metri) anche perché nel suo caveau si provano sensazioni uniche ed irripetibili. Il Bagoss è un formaggio strepitoso, unica controindicazione... il colesterolo. Ma a noi piace Così! IL BETTELMATT Un formaggio di eccellenza che veniva utilizzato come merce di scambio. Il nome Bettelmatt, infatti, pare derivi da “battel” che significa questua, mentre “matt”, in tedesco, significa pascolo e non è quindi un caso che viene prodotto solamente negli alpeggi estivi, da latte crudo vaccino intero, proveniente da una sola mungitura.

Ha pasta semidura e pressata dal colore giallo paglierino, una struttura elastica e morbida con un’occhiatura di dimensioni medio-piccola. Il sapore armonico e delicato è legato alle varietà stagionali della flora con la quale si nutrono le vacche. Si produce esclusivamente in sette alpeggi del comprensorio della Val d’Ossola appartenente alla provincia di Verbano-Cusio-Ossola IL BITTO Uno dei simboli della produzione casearia lombarda, prodotto in provincia di Sondrio, tra la Valtellina e la Val Brembana, anche se oggi esiste una sua versione prodotta in alcuni alpeggi delle Prealpi Orobie. Si tratta di un formaggio di grande tradizione e straordinaria attitudine all’invecchiamento. Il Bitto migliore si produce con latte crudo e nei mesi estivi. La stagionatura minima prevista dal disciplinare è di 12 mesi, e può essere protratta fino a 10 anni, ma la meraviglia espressa da un Bitto d’alpeggio di 26 mesi (agosto 2016), con la sua modesta piccantezza, ben si coniuga alla dolcezza e alla complessità di qualche goccia di un buon balsamico di Modena invecchiato oltre 20 anni, una grande icona del Made in Italy. Gastronomie, ristoranti, enoteche, wine bar che desiderano acquistare i nostri prodotti, oppure semplicemente avere delle informazioni sui prodotti che commercializziamo possono consultare il nostro catalogo www.iltagliere.it attraverso il Qr-Code Oppure contattarci direttamente Via Dei Ronchi, 1 - Z.I. Camin - Padova - Tel. 049 8961956 Fax 049 8969448 - info@iltagliere.it - .

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Trattoria Vecia SAPORI INTRAMONTABILI

LA RECENSIONE di Renato Malaman

?

PERCHÉ

Recensione

Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta

Lo storico locale di Granze, aperto nel 1983 dalla famiglia Cecconello, è sinonimo di tradizione popolare in cucina. Trippe, musso, baccalà… ma anche pasta fatta in casa, risotti, selvaggina. Semplicità di valori - della tavola e umani - espressa con gusto

I

l suo “ossocollo al pepe nero” campeggiava in un cartellone pubblicitario all’uscita di Boara sull’A13, dove la sua faccia sorridente garantiva la qualità. Paolo Cecconello ha anticipato Giovanni Rana nel “metterci la faccia” nella pubblicità, perché sapeva di poter certificare la genuinità del suo prodotto. La Trattoria Vecia di Granze - che come tutte le ex osterie si trova proprio nella via centrale del paese - è ancora come allora: custode della tradizione più schietta della Bassa Padovana, enogastronomicamente parlando. Lo è perché Paolo Cecconello e la moglie sono un concentrato di passione, tanto che alcuni loro piatti sono diventati dei punti di riferimento: musso, trippe, baccalà, salame ai ferri, selvaggina. Lo stesso ossocollo al pepe. E poi i risotti. Paola ne raccoglie le ricette in un quaderno ad anelli e una volta al mese propone una cena a tema. Le serate dei risotti (proposte peraltro a 25 euro) sono diventate una piacevole consuetudine per molti. I Cecconello hanno affrontato qualche anno fa un momento molto doloroso della loro vita - legato a un grave lutto familiare - e bisogna dire che il lavoro in quella fase li ha aiutati tanto, specialmente il rapporto quotidiano con i clienti. Lei, Paola, si è messa pure a dipingere e ora i suoi quadri dallo stile näif abbelliscono le pareti del ristorante. Insomma, si respira un’atmosfera di casa in quel locale di

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Gestualità antiche che ricordano quelle delle osterie di un tempo


LA RECENSIONE Il rapporto qualità prezzo è buono Il conto difficilmente supera i 25 euro

Granze, c’è un profilo umano che non passa mai in secondo piano. E i piatti ne rispecchiano l’essenza e la semplicità. Paolo - che è nato ad Arquà Petrarca e ha aperto Trattoria vecia nel 1983 - ha avuto come “scuola” un indimenticato locale dei Colli Euganei: la trattoria Gemola di Faedo, della famiglia Fiocco. E ora è lui a fare da maestro ai figli Daniele e Caterina che lo affiancano nella gestione del locale. Capitare alla Trattoria Vecia in un giorno qualsiasi è divertente, perché c’è sempre qualche sorpresa. Trovi i Cecconello puntualmente impegnati a preparare qualcosa di fuori menù: c’è la trippa che bolle nel pentolone, lo spezzatino di musso che sta assorbendo il sugo, la porchetta già profumata di aromi che è pronta per lo spiedo, i vassoi di pasta fresca appena tirati con il mattarello. Gestualità antiche che ricordano quelle delle osterie di un tempo. Al banco del bar un anziano legge il giornale e si beve un’“ombra”. Andiamo fuori dagli schemi della tradizione stavolta e - seduti a tavola in un bell’angolino della trattoria - assaggiamo piatti “compatibili” con il caldo che c’è fuori: penne all’arrabbiata e vitello tonnato. Con il buon vino sfuso della casa. Poi una briciola di torta di mele, anche se la tentazione per la zuppa inglese appena fatta era forte. Gli altri piatti li conosciamo bene e ne apprezziamo la concretezza. Che è quella dei salumi di casa degli antipasti, sempre accompagnati da sottaceti. Nel menu del giorno anche la pasta e fagioli, un risotto con salsiccia, pancetta e aromi, più le sarde in saor. Ah, Trattoria Vecia è famosa anche per la sua carne (costata, tagliata, braciola), per il cinghiale in umido, per il galletto o la faraona ai ferri. Il conto difficilmente supera i 25 euro. 30 se si vuole davvero assaggiare tante pietanze. Tra i vini in carta tante etichette dei Colli Euganei. Locali come la Trattoria Vecia - come testimoniato dal premio assegnato di recente ai Cecconello dall’Accademia italiana della cucina - vanno preservati. Sono dei Il giornalista Renato Malaman presìdi della tradizione, dei valori della tavola in compagnia di Paolo e Paola Cecconello e del figlio Daniele e dei piaceri semplici della vita.

La Pagella

di Con i piedi per terra

⊲ Uso di materie prime del territorio

⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività ⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo


PIZZERIA

da

dal 1967 Anche su prenotazione

041.5540550 V.le Padova, 1 30015 Chioggia (Ve) www.pizzeriadaleo.it

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LA RICETTA DELLO CHEF di Francesco Milan Albertin del ristorante La Torre di Monselice

INVOLTINI DI VITELLO

CON RADICCHIO TREVIGIANO

L’

autunno è alle porte con l’esuberanza dei suoi profumi e dei sui colori, compreso quello violaceo di uno dei principi di questa stagione: il Radicchio di Treviso o meglio il precoce: una varietà che è stata selezionata intorno agli anni ‘60 proprio per avere un radicchio di Treviso durante anche questa stagione. Ha foglie allungate rosse con nervature bianche, riunite in un cespo voluminoso e allungato che tende a chiudersi nella parte superiore, un gusto amarognolo che è molto apprezzato in cucina e in quella del ristorante La Torre di Monselice diventa uno dei protagonisti di questa parte dell’anno, insieme a funghi e tartufi. Qui, infatti, la stagionalità è di casa e si coniuga all’intelligente predilezione di portare in tavola solo prodotti del territorio. Nascono così piatti, solo apparentemente semplici, caratterizzati in realtà da un grande valore organolettico e di sapore.

Difficoltà: semplice

Preparazione: Cottura: 10 minuti 10 minuti

INGREDIENTI per 1 persona • 2 fettine di fesa di vitello da 60/70 gr l’una • 100 gr di radicchio trevigiano • 2 cubetti o fettine sottili di Asiago fresco • olio sale e pepe.

LA RICETTA DELLO CHEF Il radicchio va passato in padella con un po’ d’olio e cipolla, insaporito con sale e pepe a piacimento. Una volta appassito, il radicchio è pronto per diventare il ripieno dei nostri involtini. Basterà collocarlo al centro delle fettine e arrotolare queste ultime insieme ai cubetti di Asiago, avendo cura di lasciare il ripieno al centro del “piccolo cilindro” che si otterrà. A questo punto è possibile passare alla cottura della carne, basteranno pochi minuti in padella, la carne di vitello e molto tenera e questa sua caratteristica non andrà compromessa con una cottura troppo insistita. Prima di ultimare la cottura gli involtini andranno sfumati con del cognac che permetterà di avere, assieme al fondo di cottura, un bel sughino denso. Ultimato il tutto ogni involtino va tagliato a “rotelline” messo nel piatto di servizio e accompagnato da fumante polenta.

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AD OGNUNO IL SUO CALICE… di Silvano Bizzaro - Sommelier silvanobizzaro@alice.it

SOAVE

CHARDONNAY

ROSÈ

BONARDA

NERO D’AVOLA

MERLOT

PINOT NERO

PASSITO

PORTO

CHAMPAGNE PROSECCO

MOSCATO

TRA PIANURA E ALTURE

cinque bottiglie che profumano di vendemmia

“R

iconoscevo la terra bianca, secca; l’erba schiacciata, scivolosa dei sentieri; e quell’odore rasposo di collina e di vigna, che sa già di vendemmia sotto il sole” scriveva Cesare Pavese nel suo La luna e i falò e anche per me, settembre, segna il tempo del ritorno, il riprendere di quel circolare movimento delle stagioni che da millenni continua ad essere il calendario di chi lavora la terra. Vendemmia, dunque, un periodo di tradizionale abbondanza e di festa. Nel periodo centrale di agosto, anziché prendere la strada che porta alle spiagge ho preferito inoltrarmi per i viottoli bianchi delle colline del Soave, poi raggiungere la Valpolicella, e

cercare un vino che secondo me farà molta strada in futuro, e rientrare attraverso la porta delle valli Euganee. Ho cercato quella frenesia che anticipa i grandi eventi, quel rito fatto di preparativi e di aspettative che rendono l’aria già carica di odori, come scriveva Pavase. Avrei voluto fermarmi anche dall’amico Franco Zanovello, parlare con lui della stagione che va ad iniziare, così come tante altre volte avevamo piacevolmente fatto ai banchi d’assaggio nelle rassegne del territorio. Purtroppo non è stato possibile, la sua grande anima se n’è andata, i Colli Euganei hanno perso uno dei padri dell’enologia locale.

UN GRANDE CLASSICO (SOAVE - VR) “LUNALONGA” SOAVE CLASSICO - SOCIETÀ AGRICOLA BALESTRI VALDA Un vino che vuole bene alla storia e alla natura Un Soave seducente in cui Garganega e Trebbiano di Soave si bilanciano armoniosamente regalando un vino dal colore caldo, con profumi di pescanoce, albicocca, timo e fiori di sambuco. Suadente al palato grazie al lungo invecchiamento, chiude con le delicate note di mandorla tipiche della Garganega. La “Lunalonga” è quella che spunta dai vigneti alti, adagiati sulle dolci colline di Soave, e che nelle notti limpide rischiara anche le possenti mura del castello. La storia per l’azienda Balestri Valda è importante, tanto che viene ripresa anche nelle scelte aziendali con la produzione di vini da vitigni autoctoni, tipici e caratteristici del terri-

La “Lunalonga” è quella che spunta dai vigneti alti, adagiati sulle dolci colline di Soave, e che nelle notti limpide rischiara anche le possenti mura del castello 48

torio, nel profondo rispetto per l’ambiente. Un altro elemento qualificante della produzione, infatti, è la scelta biologica sugellata dalla certificazione Biodiversity Friend, che garantisce l’adozione di processi produttivi a basso impatto sulla Natura. Nata nel 2000, questa azienda, in breve tempo ha saputo crearsi un nome nel panorama vitivinicolo italiano e il vino che vi propongo è uno di quelli che hanno contribuito a costruire questa bella immagine. Un grande classico che volentieri si accompagna a formaggi di media stagionatura, con carni bianche di corte, ma può star bene anche con il pesce.


AD OGNUNO IL SUO CALICE… UN VINO NUOVO (MONTAGNANA - PD) “MORBIN”, PROSECCO DOC EXTRA DRY Tutta l’esuberanza e l’irrequietezza delle bollicine Un vino, appena nato, tanto che è stato presentato al pubblico lo scorso giugno in occasione della prima edizione del Montagnana Wine Festival. Si tratta della seconda esperienza di produzione vini da parte di Arturo Zanarotti che ai piatti del proprio ristorante, affacciato sulla grande via Carrarese della Città Murata, vuole accompagnare una linea di vini pensata ad hoc. Vini che rispecchiano l’anima locale delle preparazioni della cucina di pianura anche se questa bottiglia in realtà nasce da uve Glera in purezza coltivate nel territorio della DOC Colli Euganei, in quel di Vo. Ovviamente stiamo parlando di un Prosecco, anzi di un Extra Dry, di 11 gradi alcolici, imbottigliato lo scorso febbraio con un’etichetta dove oltre ai merli della possente cinta muraria, che caratterizza Montagnana, campeggia il nome: Morbin. Ossia l’espressione che in gergo locale indica una certa

Un vino che trova una liaison perfetta con gli antipasti e primi piatti a base di pesce ma è decisamente perfetto come aperitivo esuberanza, irrequietezza, agitazione d’animo che ben rispecchia l’effervescenza data dalle bollicine di questo vino dalla spuma morbida e dal perlage fine, molto persistente. Al palato è fresco ed ha una grande bevibilità, non banale se pensiamo ai Prosecchi di altre zone. Un vino che trova una liaison perfetta con gli antipasti e primi piatti a base di pesce che escono dalla cucina, ma che si sposa anche con le cucine di casa nostra. Da provare con crudità di pesce ed è ottimo come aperitivo.

UN VINO SOCIAL (ROVOLON - PD) ROSÈ MARY, ROSÈ VENETO IGT FRIZZANTE 2018 - AZIENDA VIGNE AL COLLE Il cerasuolo dalle eleganti note di frutti di bosco Vino frizzante giovane (al quarto anno di produzione) prodotto a nord dei Colli Euganei, in quel di Rovolon (PD), da Martino Benato, titolare conduttore dell’Azienda Vigne al Colle alla terza generazione di vignaioli. Un vino che tanto successo ha già raccolto tra i giovani negli ultimi tempi, sia nelle rassegne enogastronomiche organizzate dal Comune di Rovolon, Strada del Vino e Consorzio Colli Euganei, sia a livello commerciale. Coltivato su terreni argillosi, calcarei e vulcanici, la vendemmia e la vinificazione prevede una raccolta manuale delUn vino le uve. Segue la vinificache nasce zione in rosato in pressa su terreni chiusa senza solforosa argillosi, e pressatura soffice a calcarei grappolo intero. Di un e vulcanici. bel rosa cerasuolo, al Piace molto naso presenta note eleai giovani ganti di frutti rossi di bo-

sco, dalle fragoline al lampone, toccando, nei nasi più raffinati, un elegante sentore di ribes. Fresco e sapido, tipici aspetti di un vino fresco, giovane e d’annata; la mineralità è una carrateristica, anche se non marcata, in quanto non può mancare visto il territorio di provenienza. Da abbinarsi ad antipasti di pece o carne, primi piatti leggeri e profumati come paste anche al pomodoro; portate a base di pesce tipiche estive non molto strutturate.

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AD OGNUNO IL SUO CALICE… UN VINO RARO (BRENDOLA - VI) ROSSO DEL VENETO IGT 2016 - CANTINA SAN VALENTINO Corbina, vitigno autoctono per una calice più vivo che mai Altro vino prodotto da uve autoctone (Corbina) coltivate in quel di Brendola (area DOC Colli Berici) da quell’infaticabile vignaiolo che porta il nome di Matteo Bedin. Il vitigno fa parte del gruppo delle Corbinelle, antichi vitigni presenti fin dalla metà del ‘600 nel padovano, Colli Euganei, nel vicentino nel territorio comunale di Breganze. Difficilmente utilizzato in blend, attualmente è un vitigno catalogato dal progetto sperimentale di Veneto Agricoltura-Regione Veneto e Istituto Sperimentale vitivinicolo di Conegliano Veneto per il recupero delle antiche varietà. Di colore rosso vivo, denota Un capolavoro profumi caratteridi quell’infaticabile stici simili ad altri vignaiolo vicentino rossi del territorio che porta il nome Berico occidentale, come il Tai Rosdi Matteo Bedin

so di Barbarano, il Carmenére o il Cabernet Franc. Sono presenti note di sottobosco e lievi note speziate. Al palato si presenta fresco vivo, sapido e tannico se degustato giovane. Vino che non predilige il lungo affinamento essendo tendenzialmente di medio corpo. Da abbinarsi a carni arrosto o in umido secondo la tradizionale cucina veneta; salumi crudi e formaggi medio stagionati. Va servito attorno ai 16-18 °C.

UN VINO PROMESSA (MEZZANE DI SOTTO - VR) AMARONE DELLA VALPOLICELLA 2008 - AZIENDA LE GUAITE DI NOEMI Un vino destinato a fare molta strada Azienda nata nella seconda metà degli anni ‘80 dapprima come produzione di extravergine, siamo nella Valpolicella cuore pulsante della Dop Verona, e oggi pienamente affermata anche nella produzione di grandi vini. Da qualche anno la gestione è affidata alla giovane Noemi, che con tenacia e consapevolezza, tra l’altro fa parte dell’Associazione nazionale “Le Donne del Vino”, ha portato avanti la produzione sviluppata su 10 ettari di superfice, per una produzione media annua di circa 25mila bottiglie, il 50% della quale rivolta al mercato estero. Durante la visita alla cantina ho avuto la possibilità di degustare diversi vini della linea e in particolar modo mi ha colpito l’Amarone. Mi ha sorpreso questo vino proveniente dai vigneti della parte più alta delle colline, chiamata “Le Guaite”. La vendemmia 2008 mi ha sorpreso per struttura e complessità e secondo me è destinato a conquistare il

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mercato italiano, perché sulla qualità, cari signori, qui ci siamo! È un vero nettare questo mélange di Corvina, Rondinella, Corvinone raccolte nei primi giorni di ottobre, vinificate a gennaio dopo tre mesi di appassimento in fruttaio e fatto riposare in cisterna 4 mesi. Segue l’affinamento in barrique nuove di rovere francese per 3 anni e poi altri 6 anni in bottiglia, prima dell’immissione in commercio. È il top. Di colore rosso rubino cristallino, al naso intenso, complesso, fine, fruttato, minerale e speziato con franche note di ciliegie sotto spirito. In bocca è caldo, morbido, abbastanza sapido, tannico, equilibrato, persistente, fine, robusto, perfetto per essere abbinato a carni rosse, fiorentine, selvaggina usando l’accortezza di servirlo ad una temperatura di 18-20 gradi e di aprire la bottiglia 2-3 ore prima.


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La famiglia Piovan da 45 anni propone la propria idea di ristorazione fondata sulla qualità delle materie prime, la genuinità delle produzioni e l’ospitalità Il Ristorante Boccadoro di Noventa Padovana è un punto fermo sulla cartina geografica della ristorazione veneta, una stella polare per chi cerca il conforto dei buoni piatti della tradizione e allo stesso tempo è disponibile a farsi intrigare e aggiornare sulle nuove tendenze dei sapori. Perché qui passato e presente viaggiano paralleli, indissolubilmente legati da una filosofia che non è mai venuta meno lungo tutti i 45 anni di storia del locale: la costante ricerca di materie prime di qualità e un’ospitalità che, attraverso i 90 posti in sala, accoglie il cliente facendolo sentire parte di un mondo di sapori e di tradizioni. Così anche per la realizzazione del menù, che andrà a prendere il posto dell’offerta estiva, la scelta dei prodotti di stagione sarà minuziosa, quotidiana, tanto tra i banchi del mercato all’ingrosso di Padova, come da

quelli degli allevatori del territorio per le carni bianche e rosse. Mentre l’approvvigionamento di odori e verdure avverrà, come per ogni stagione, direttamente dai tre mila metri dell’orto di famiglia. Un posto di riguardo, inoltre, avrà il pesce, perché storicamente Noventa, attraverso il Brenta e il Piovego, è stata e continua ad essere il punto di incontro tra la laguna veneziana e l’entroterra padovano. E di sicuro troveranno posto tutti quei sapori che fanno dell’autunno il trionfo dell’abbondanza: dalla zucca mantovana ai funghi, porcini, finferli e ovuli, per diventare condimenti speciali per paste rigorosamente fatte in casa, come i celebri bigoli rustici, insieme ai piatti che hanno reso celebre Boccadoro come il baccalà, la pasta e fagioli o la “galina imbriaga”, vera identità del locale, tanto da essere l’immagine che campeggia dal

Il ristorante dispone di diverse sale: piccoli e accoglienti per rispettare l’intimità della clientela o grandi e strutturate per accogliere gruppi numerosi e convention Piatto del Buon Ricordo. Perché al Boccadoro con il menù degustazione, dedicato ai piatti storici e a quelli di stagione, ci si può portare a casa un piccolo souvenir, un oggetto da collezione, un pezzo dell’identità del locale. E sempre assecondando il calendario dalla carta delle pietanze, non ci si può far scappare i dolci, anch’essi figli della maestria del pasticcere di casa e non dell’industria dolciaria. Un discorso a parte meritano anche i vini, la cantina è fornita con oltre 450 etichette, dalle migliori produzioni del territorio veneto alle bottiglie importanti del buon bere internazionale, ma la cosa interessante è che la cantina è visitabile, ed è un luogo veramente suggestivo.

Il ristorante Boccadoro vanta più di 20 anni di esperienza nel mondo del catering e per questo è in grado di declinare qualsiasi cerimonia, dal matrimonio al banchetto famigliare o di lavoro, in un evento suggestivo e affascinante. Tre sono le location disponibili, oltre a tutte quelle che la clientela può suggerire: Casa Bragato, Barchessa Polani e la grande Villa Valmarana


LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman

UN TRATTORE “SALVA-PECCATORI” IL LANDINI A “TESTA CALDA” Ha rivoluzionato l’agricoltura dopo gli inaffidabili “trattori a petrolio”, istigatori di improperi da “Terzo Girone dantesco”. Il Landini era si difficile da mettere in moto ma poi non si fermava più, sollevando i nostri nonni e genitori da ignobili “peccati mortali”! E quante storie fantasiose ha suscitato il mitico “Super Landini”!

C

apita a tutti, andando alle Fiere o alle Sagre paesane, di imbattersi in una serie di enormi trattori moderni dotati di tutti i confort e con una strumentazione elettronica aereospaziale! Alla fine di questa teoria di costosi prodigi della tecnica è facile imbattersi nei modesti trattori d’epoca, modesti solo nelle dimensioni, nei colori, negli allestimenti, ma con tanta storia alle spalle, consapevoli, nella loro aria quasi dimessa, di aver trasformato l’agricoltura dell’altro ieri, passata dalla trazione animale, soprattutto bovina, a quella dei cavalli-motore. Fra questi destano particolare attenzione i mitici “Landini a Testa Calda”, soprattutto se con il motore in moto, con gli “scoppi” che, al minimo, si possono facilmente contare, quasi come un battito di un cuore tachicardico! È forse questa similitudine ritmica che lo ha avvicinato, e lo avvicina, all’uomo; sentimento che non può suscitare un moderno 6 cilindri turbo intercooler il cui potentissimo brusìo si confonde con quello di qualsiasi camion o pullman, dato che spesso montano gli stessi motori! Certo che installare un motore monocilindrico

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di grossa cilindrata, come quello dei mitici Landini, su camion o pullman, neanche in passato sarebbe stato accettabile date le vibrazioni generate da questi motori, ma in agricoltura ha trovato il suo inserimento ottimale, in tempi eroici, dove l’affidabilità e la proverbiale robustezza erano doti essenziali! Ricordi d’infanzia mi portano al primo trattore di famiglia, un FIAT a petrolio, inaffidabile e reo di aver suscitato imprecazioni, anche da peccato mortale, agli uomini della corte! E la cosa era generalizzata a tutti i sfortunati possessori di simili trattori! La messa in moto era a manovella, e dopo aver girato il rubinetto del doppio serbatoio “a benzina” si tentava la messa in moto con sforzi sovraumani e pericolosi contraccolpi, dove gli uomini della corte si alternavano nel

Anche altre case usarono il motore a “testa calda” nei loro trattori, come la Orsi, ma solo la Landini riuscì a diffonderne l’uso in agricoltura


LA MEMORIA DI CARTA Il consumo di nafta non era facile da calcolare, ma trattandosi di un motore a due tempi ora lo si potrebbe considerare “Euro sotto zero”

Il Super Landini, conosciuto anche con la sigla S.L. 50, costruito dalla nello stabilimento di Fabbrico (Reggio Emilia) dal 1934 a 1951 per un totale di circa 3.200 esemplari

tentativo di far pronunciare al motore la sua rauca voce. A miracolo avvenuto mio zio Livio, l’esperto di motori, attendeva il tempo ritenuto necessario per girare il rubinetto “a petrolio” e così, se il motore rimaneva in moto, partiva verso i campi trainando l’aratro guidato da Ciro il bovaro. Spesso, ad aratura inoltrata, il motore del FIAT a petrolio inspiegabilmente si spegneva, lasciando mio zio e Ciro in mezzo al campo e nella delusione più cocente che le belle e terse giornate primaverili ed estive di allora non riuscivano lenire! Così mio padre, che non aveva dimestichezza con i mezzi meccanici, andava loro in soccorso con due coppie di vacche, trascinando prima in corte il Fiat a petrolio e poi sostituendolo nella trazione dell’aratro con i suoi affidabili bovini! Stanchi di simili sofferenze, a metà anni ‘50, grazie a una buona annata agraria, a casa mia hanno deciso di sostituire il vecchio FIAT a petrolio con un fiammante LANDINI 25-30, forse anche per far contento il prete chiamato ad assolvere le eresie che il vecchio trattore suscitava. Penso che la fortuna dei Landini a testa calda sia dipesa anche da questo fattore: era sì difficile metterli in moto ma poi non si fermavano più, così anche i preti di campagna si sentivano sollevati nel riferire al vescovo, durante le visite pastorali, che i bestemmiatori in parrocchia erano calati di numero! Il motore a “testa calda”, usato dalla Landini di Fabbrico (Reggio Emilia) fin dagli anni ‘30, aveva nella semplicità meccanica il suo punto di forza. Invece i motori a petrolio, usati allora in agricoltura perché il petrolio costava poco, avevano le candele che si sporcavano facilmente e il magnete per la loro accensione inaffidabile che, inoltre, bisognava togliere dal trattore e custodirlo in casa per paura dei ladri di

magneti! Altri tempi! Anche altre case usarono il motore a “testa calda” nei loro trattori, come la Orsi, ma solo la Landini riuscì a diffonderne l’uso in agricoltura, al punto che superò nelle vendite di trattori la grande FIAT. Il “testa calda” è un motore a due tempi (quindi senza valvole in aspirazione e scarico e con uno scoppio ogni giro del motore) a ciclo misto denominato di Sabathè, dove la camera di scoppio è una protuberanza della testa e dove la temperatura deve essere sempre elevata per favorire la combustione della Il “testa calda” è un motore a due nafta spruzzata den- tempi (quindi senza valvole in tro di essa all’arrivo aspirazione e scarico e con uno scoppio ogni giro del motore) dell’enorme pistone a ciclo misto denominato di al punto morto supe- Sabathè, dove la camera di riore. Usa nafta e non scoppio è una protuberanza il gasolio richiesto dal della testa e dove la temperatura deve essere sempre elevata per più sofisticato motofavorire la combustione della re a ciclo Diesel. Le nafta spruzzata dentro di essa masse in gioco sono all’arrivo dell’enorme pistone al notevoli e per vince- punto morto superiore re l’inerzia del pistone nei punti morti inferiore e superiore, l’albero motore viene dotato di adeguati volani esterni. Per la messa in moto la testa deve venire

Per la messa in moto la testa veniva preriscaldata con una fiamma a gas, fino a portarla a 4-500 gradi centigradi. Poi si iniziava a far ruotare a mano i pesanti volani avanti e indietro fino a far superare al pistone il punto morto superiore, tentando così la manovra di messa in moto. Ai più forti ed esperti questo gioco riusciva al secondo o terzo tentativo

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LA MEMORIA DI CARTA preriscaldata con una fiamma a gas, fino a portarla a 4-500 gradi centigradi. Poi si inizia a far ruotare a mano i pesanti volani avanti e indietro fino a far superare al pistone il punto morto superiore, tentando così la manovra di messa in moto. Ai più forti ed esperti questo gioco riusciva al secondo o terzo tentativo, salvo far avviare il motore in senso contrario (nel 2 tempi è possibile), e riprendere quindi l’operazione. La potenza del Landini comperato dalla mia famiglia era di 25-30 cavalli, dove 25 erano quelli a disposizione alle ruote, tolti gli attriti della trasmissione, e 30 quelli alla puleggia. La puleggia era montata su uno dei due volani laterali e da lì si prendeva il movimento per far girare, con una cinghia, la trebbiatrice o la pompa per l’irrigazione dei campi.

La puleggia che permetteva la trasmissione agli attrezzi esterni, come la trebbiatrice o la pompa per l’irrigazione dei campi, era montata su uno dei due volani esterni

La cilindrata era di ben 4.312 cm3, i giri al minuto massimi erano 880, mentre il consumo di nafta non era dato a sapere, tanto questo combustibile costava pochissimo, ma trattandosi di un motore a due tempi ora lo si potrebbe considerare “Euro sotto zero”. Io purtroppo ho dovuto guidarlo già all’età delle elementari a tagliare l’erba medica per ore, e vi assicuro che aveva uno sterzo durissimo per la mia gracile costituzione di allora, un sedile in ferro anti-confort, una

Aveva uno sterzo durissimo, un sedile in ferro anti-confort, una frizione durissima e vibrazioni pari al rumore e al calore prodotto dal motore frizione che non riuscivo ad azionare tanto era dura e vibrazioni pari al rumore e al calore prodotto dal motore! Robe da telefono azzurro! Ecco perché alle Fiere preferisco guardare i trattori moderni, che non so usare, e non ho nessuna nostalgia per il Landini a “testa calda” che purtroppo ho dovuto usare! Nella gamma della Landini spiccava il Super Landini 55-60, di 11.309 cm3 (il pistone era grande come un secchio!), usato nelle grandi aziende agricole e dai primi contoterzisti per la sua elevata potenza, tanto che si vagheggiava sulle possibilità estreme del mezzo meccanico che permetteva di “arare fondo”, e da lì sono nate leggende campagnole come quella che vado a raccontarvi. In un paese vicino al mio c’era un uomo che andava ad arare e a preparare le terre per la semina dagli altri, un contoterzista si direbbe oggi! Ha coronato il suo sogno comperandosi il Super Landini 55-60; in zona non lo aveva nessuno, così lo chiamavano ad arare nelle valli, dove la terra è più tenace. Arava giorno e notte con il suo Super Landini, instancabile come lui. Era uno di poche parole ma è riuscito lo stesso a trovarsi una mezza-morosa, proprietaria di campi in valle. Quando si incontravano si davano del “voi” senza però guardarsi negli occhi per rispettosa timidezza, e le poche volte che il nostro uomo andava a casa di lei gli raccontava del Super Landini, di quanti campi, letamati e non, aveva arato e dove sarebbe andato ad arare all’indomani. In un momento di silenzio, o di sonno di quest’uomo, lei, dal momento che era stata dalla parrucchiera per la messa in piega e aveva letto i fotoromanzi del “Bolero”, gli disse con trasporto: “Lo salo ca lo-amo!” E lui, con il pensiero fisso al Super Landini: “E cussì dopo mi vegno a aràre!”. Alcune locandine d’epoca del Landini. È evidente che il messaggio trasferito al pubblico era quello del superamento di un lavoro pesantissimo, com’era l’aratura con i buoi, tanto che anche una donna con il suo trattore poteva riuscirci

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Osteria Vineria

Onestamente la tradizione!

Un locale originale che al bancone di una fornitissima macelleria coniuga l’ospitalità e la buona cucina locale con lo scopo di regalare “solo grandi soddisfazioni” C’è una luce diversa nell’autunno. C’è una velleità di tregua, un bisogno di lasciare le folle estive e avvolgersi nei colori e nell’intimità. È il tempo di ritrovare i sapori autentici della propria terra, sapori che la cucina tradizionale ha concentrano in questa stagione per il semplice fatto che è tempo di raccolto, è il tempo della disponibilità, ed è il momento in cui i prodotti assumono il gusto pieno della maturazione. Fateci caso i colori e sapori autunnali sono intensi e hanno la capacità di catturarci, di darci un senso di appagamento, di stimolare in noi il desiderio di momenti conviviali da trascorrere con la famiglia o con gli amici di sempre. E allora il posto giusto in cui cercare questo stato di “soddisfazione” non può che essere l’Osteria Vineria Le Carni di Borsea. Un locale unico nel suo genere, che mette insieme il fornitissimo bancone di una macelleria - da decenni crogiolo delle migliori selezioni di carni, salumi e formaggi - un locale curato fin nel dettaglio dove l’ospitalità è di casa e la cucina è perfettamente intonata su quei valori del gusto che l’olfatto riconoscere come “la tradizione”... all’istante. La trippa, il baccalà, i tortellini fatti a mano in brodo di carni scelte e cappone, sono i veri must del menù. Ovviamente insieme alle migliori carni, che provenendo dal ceppo in legno “del bècaro” vantano sempre quel taglio fresco che è impensabile trovare nei ristoranti. La dispensa contiene solo quello che rende disponibile la stagione tranne che per le marmellate, da accompagnare ad attente selezioni di formaggi e torte, in quanto sono il frutto del lavoro dell’estate. Anche i dolci sono quelli genuini delle tavole della domenica contadina e l’offerta dei vini e da tener in gran considerazione: i prediletti sono quelli locali delle alture Euganee, Beriche e della Valpolicella, compreso il suo “Amarone”, ma non mancano i capisaldi del buon bere italiano con in testa i grandi toscani. La nota che regna su tutto è quella di sentirsi come a casa, contornati da facce amiche e sorridenti, appagati dai sapori a cui si è affezionati senza però fare un torto al portafogli. OSTERIA VINERIA LE CARNI via Savonarola, 60/C - 45030 Borsea (RO) - marcoverza@libero.it -

- Tel. 0425 474 760


8 Novembre,

CHIOGGIA

Brenta

la data del primo passo sulla strada del Radicchio di Chioggia Igp

Adige Rosolina Mare

ROSOLINA

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Via d

Laguna Caleri

Po di Levante Po di Maistra

PORTO VIRO

Po di Pila

PORTO TOLLE

Po di Tolle

Po di Gnocca Po di Goro

La Strada del Radicchio di Chioggia Igp L’itinerario si sviluppa a ridosso della linea di costa dalla Laguna Sud al Delta del Po, toccando i comuni di: • CORREZZOLA

• ROSOLINA

• CODEVIGO

• LOREO

• CONA

• PORTO VIRO

• CAVARZERE

• ARIANO

• CHIOGGIAÙ

• TAGLIO DI PO

All’area di produzione del Radicchio di Chioggia IGP appartengono 10 comuni delle provincie di Venezia, Padova e Rovigo

Nella sala convegni dell’Ortomercato di Brondolo verrà presentata la prima parte del progetto che porterà alla realizzazione di una serie di percorsi destinati alla visitazione dell’area di produzione del celebre Principe Rosso Il Radicchio di Chioggia IGP grazie alla sua riconoscibilità internazionale può diventare il trait d’union turistico di un territorio diviso tra: Venezia, Padova e Rovigo. Tre provincie, in cui ricade l’area di produzione, che non sono mai state unite se non, appunto, nel colore rosso intenso degli orti in cui cresce il loro prodotto più rappresentativo. Il celebre Radicchio di Chioggia, insomma, potrebbe dare un nuovo nome a questa terra, il suo, proponendone le peculiarità non solo attraverso i valori organolettici, che la storia di produzione e le caratteristiche pedoclimatiche gli hanno conferito, ma anche attraverso un itinerario che permetterà di integrare all’offerta turistica già esistente, tra Chioggia, Rosolina e Porto Viro, altre forme di visitazione, necessariamente lente quel tanto da permettere di scoprire, vivere e godere le tante bellezze artistiche e paesaggistiche della Laguna Sud e del Delta del Po. Un percorso, o più percorsi, fuori dalle ordinarie vie di comunicazione, che portano nei luoghi più riposti della campagna, tra dune fossili, casotti e casoni dal tetto di canna, giardini litoranei, musei e i tanti ristoranti che custodiscono le tradizioni enogastronomiche locali. “L’area di produzione del Radicchio di Chioggia Igp - spiega il presidente del Consorzio di tutela Giuseppe Boscolo Palo - è una terra ricca, generosa nel dare sostanza al nostro Radicchio, ma può dare ancora molto in termini di fascinazione e qualità della vita. Così dopo 10 anni di incessante lavoro speso nella tutela e nella promozione del celebre “Principe Rosso” oggi il nostro impegno si estende anche al suo regno”.


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Rosolina,

quando la stagione balneare finisce, resta un luogo ricco di fascino Birdwatching, mountain bike, escursioni guidate per assistere al grande spettacolo della Natura A certe località turistiche resta appiccicata la stagione di frequentazione e così ai nomi delle città marittime è inevitabile associare la stagione balneare. Non dovrebbe essere così per Rosolina perché, anche quando finiscono le vacanze e vengono chiusi gli ombrelloni in spiaggia, questa parte del Delta rimane un luogo mozzafiato. Anzi forse è proprio in questa stagione che il territorio torna ad assumere i suoi veri lineamenti di terra viva, dove la Natura la fa ancora da padrona. Acqua, spiagge, dune fossili, parchi litoranei e valli che accolgono migliaia di specie di uccelli prima che questi spicchino il volo, verso i luoghi per lo svernamento, oppure vi approdino, in fuga dalle terre fredde del Nord Europa. “Gli animali sono una componente importante del nostro territorio – spiega l’assessore al Patrimonio, all’Agricoltura e all’Ambiente, Stefano Gazzola - costituiscono sicuramente uno dei motivi turistici ma vanno tutelati, su questo ci responsabilizza anche lo status di Riserva di Biosfera (MAB - Man and Biospere) che l’Unesco ha conferito al Delta tre anni fa. Il nostro impegno è rivolto a fare in modo che natura e turismo possano convivere e lo facciamo anche grazie al contributo di molti volontari, WWF in testa, che ci aiutano in questa impresa. Un esempio rappresentativo è sicuramente l’iniziativa “Una spiaggia per il Frattino” che vede il periodo di cova, di questo piccolo trampoliere, sulla spiaggia libera di Caleri, vigilato dai volontari, in modo che i turisti non gli arrechino disturbo, garantendo però, a questi ultimi, la disponibilità a godere del mare”. Anche i rilasci degli animali che vengono curati dai veterinari locali diventano occasione per coinvolgere i turisti. Durante l’estate, infatti, si sono susseguite liberazio-

ni di tartarughe e diversi rapaci. “Ma è soprattutto d’autunno - continua Gazzola - che le specie animali costituiscono una grande attrazione per un certo tipo di turismo. Durante questa stagione la bellezza del paesaggio e la presenza di molte specie di uccelli richiamano gli amanti del birdwatching e della natura in generale. Per loro sono previste passeggiate guidate lungo i percorsi del Giardino botanico litoraneo di Porto Caleri, il grande polmone verde, di 24 ettari, riconosciuto come Sito di Interesse Comunitario”. “Inoltre - continua l’assessore al Turismo, Daniele Grossato - il Delta è un paradiso per gli amanti della mountain bike e del Cicloturismo. Le grandi strade asfaltate a basso scorrimento, i lunghi stradoni bianchi o le sommità arginali sono piste ciclabili ideali per respirare aria sana e rimanere a contatto della natura. Come Amministrazione stiamo lavorando molto, insieme all’Ente Parco, per estendere questo tipo di percorsi e renderli sempre più sicuri. Le due ruote, infatti, rappresentano uno strumento ideale per scoprire gli angoli più nascosti del nostro territorio e riuscire a coprire le grandi distanze che le separano”.


STORIA E DINTORNI di Federica Guerra

DALLA CAMPAGNA DEL XVII SECOLO:

LAVORO, RAPPORTI SOCIALI E CURA DELLE ANIME L’arrivo della famiglia veneziana dei Grimani a Masi porta alla nascita di un piccolo centro, alla costituzione di una società e alla necessità di assolvere al suo bisogno di partecipare ai riti religiosi

N

el 1570 una “cordata” di nobili veneziani, con a capo la potente famiglia Grimani, acquista dalla Serenissima Repubblica i campi posti “in territorio Villa Mansorum districti Castribaldi” del defunto Pietro Michiel, nipote di Bartolomeo Michiel da Castelbaldo, che li aveva acquistati nel 1417 dalla stessa Repubblica all’indomani della caduta della Signoria carrarese, dopo che il Senato Veneto decise di liquidare i residui delle proprietà dei defunti signori padovani sparsi nel territorio. Si trattava di una grossa porzione di campagna situata oggi nella frazione delle Colombare di Masi, nel padovano, ancora identificabile grazie alla presenza del complesso San Felice, ossia una grande azienda agricola con annesse pertinenze e oratorio, che continua ad essere un punto di riferimento nel paesaggio tra Adige e Fratta. Nel panorama del 1570, però, ancora non c’era, gli stesi Grimani lo faranno costruire al termine del secolo successivo per sopperire alle necessità spirituali di

tutte quelle persone a cui la loro campagna aveva iniziato a dare lavoro. Con la metà del XVI secolo, infatti, siamo negli anni della grande espansione veneziana in terraferma, gli anni delle bonifiche e della messa a coltura delle nuove terre retratte dalle acque. Anni in cui la disponibilità di campi buoni da seminare aumenta e di conseguenza la richiesta di manodopera, facendo lievitare anche il numero della popolazione, e il centro rurale messo in piedi dalla famiglia veneziana non fa eccezione. Con la presenza dei Grimani Masi conosce un forte incremento durante tutto il XVII secolo1. Pian piano, quindi, si creano i presupposti di una vera e propria economia rurale, incentrata

Il XVI secolo è caratterizzato dalla grande espansione veneziana in terraferma, gli anni delle bonifiche e della messa a coltura delle nuove terre retratte dalle acque

Nella foto in alto: Il complesso rurale di San Felice a Masi. Foto di Antonello Zamboni 1. A. Gloria, Il territorio padovano illustrato, Atesa Editrice, Padova, 1862, Vol II, pag. 336

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STORIA E DINTORNI sul piccolo centro di San Felice dove oltre ai fabbricati deputati al ricovero degli animali e degli attrezzi e ai granai per lo stoccaggio del raccolto, iniziano a trovare posto le abitazioni dei coloni che vi lavoravano. La lettura dei contratti d’affitto per gli anni che vanno dal 1637 al 1678, ci permette di comprendere quali rapporti intercorressero tra chi possedeva la campagna e chi la rendeva produttiva. 2Escludendo l’unico contratto decennale, gli altri sono compresi fra uno a cinque anni, con possibilità di subentro di parenti o soci. Il contenuto degli accordi è sempre lo stesso: il nobile Grimani, nella persona del suo fattore (il più citato è Tomio Parisato) o di chi in quel momento ne fa le veci, concede ai coloni, l’uso di terre, campi, valli, pascoli, in cambio del pagamento dell’affitto da corrispondere parte in denaro e parte in natura3, oltre all’obbligo della bonifica e del mantenimento in buono stato dei campi, valli e pascoli concessi. Alcuni documenti richiamano l’attenzione ai possibili casi di tempesta o rotte dell’Adige. In quel caso il proprietario, richiamandosi agli statuti del Comune di Padova in vigore, si impegna a valutare i danni e ad andare in

La situazione della campagna di Masi al momento dell’acquisto da parte dei Grimani nel 1570

contro alle necessità dei coloni. Questi ultimi, laddove indicato, sono di Masi, uno di Villa Bona (l’attuale Villa d’Adige), oltre ai pastori dell’altopiano di Asiago, che con contratti stagionali da Ottobre ad Aprile, passavano l’inverno nelle pianure per poi rientrare in altura durante l’estate. In particolare, si nota la pre-

Il piccolo sacello fatto costruire nel 1694 da Pietro Grimani ad uso del popolo, intitolato al Beato Felice da Cantalice cappuccino e alla Vergine Maria

senza costante per gli anni dal 1674 al 1678 dei fratelli Zamaria e Giacomo Gheller dell’Altopiano di Asiago. La famiglia Gheller è tutt’ora una delle più antiche famiglie di Foza Vicentina. Il cognome, di origine cimbra, significa: “coloro che provengono da Gallio” e mantennero l’antica provenienza come patronimico anche una volta stabilitisi a Foza. E per tornare alla nostra campagna tra Adige e Fratta, la forte concentrazione di famiglie,4 che era andata costituendosi, diede vita ad un vero e proprio paese lontano circa 3 chilometri dallo storico centro abitato di Masi e dalla sua parrocchia. Ovviamente le distanze vanno lette con gli occhi di allora. Considerando che le strade in certi periodi dell’anno quasi non esistevano e i mezzi di trasporto erano gli animali, tre chilometri da percorrere non dovevano essere pochi. Per queste famiglie, raggiungere la chiesa per le funzioni non era affatto facile. Fu così che alla fine del XVII secolo (Andrea Gloria precisa l’anno 1694 5), Pietro Grimani decise di far costruire una piccola chiesa ad uso del popolo intitolata al Beato Felice da Cantalice cappuccino e alla Vergine Maria. Nel 1702 chiese fosse istituita parrocchiale proprio adducendo l’argomento della distanza dalla parrocchia di San Bartolomeo e le pessime condizioni delle strade, ma non ottenne

2. ASVe, Archivio Marcello Grimani Giustinian, 383/g, f.20, b1e b5, Libri delle affittazioni de fuora 3. ASVe, Fondo Marcello Grimani Giustinian, 383/g, f.20, Libri delle affittazioni de fuora. 4. Possiamo identificarlo nell’attuale frazione delle Colombare di Masi. Abbiamo già detto che i Grimani costruirono diverse abitazioni per i coloni. 5. A. Gloria, Il territorio padovano illustrato, Atesa Editrice, Padova, 1862, Vol II, pag. 336-337

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STORIA E DINTORNI il permesso. In una lettera del 1708, un incaricato del nobile Grimani, gli comunica di essere riuscito ad ottenere dal vicario foraneo: “che per quest’anno non s’opponga alla celebrazione della messa nel giorno solenissimo della Santa Pasqua nel privato oratorio di Vostra Eccellenza, quando vi sia l’accennato pericolo, che la distanza dalla parrocchiale e le male strade presenti possino impedire gl’abitanti di quel vicinato dall’adempimento del precetto d’ascoltarla” 6, ricordandogli inoltre: “Per altro, come tutti gli oratori privati, o siano entro alle case […] ò […] per quelli che son fuori dalle case con porta sopra la pubblica strada, portano la restrizione impeditiva per i giorni delle maggiori solennità […], così il Vescovo non può dispensare sopra così giusta limitazione, non da lui, ma dalle sacre costituzioni proveniente, se non in caso d’urgenza presentanea, e cognita causa. Potrà l’E.V. rendersi assicurata di ciò solo col rivedere la concessione ottenuta […] per cotesto suo oratorio de Masi, dalla quale saranno certamente escluse le giornate più solenni di Pasqua e Pentecoste, che dall’autorità del Vescovo non potevano essere permesse”. Viene negata quindi, la possibilità di esecuzione delle funzioni più importanti, che dovevano essere svolte nella chiesa principale del paese. Tuttavia il piccolo oratorio funzionò a pieno regime in tutti i giorni rimanenti e le attenzioni rivolte dalla famiglia Grimani al piccolo sacello, anche in termini economici, ci informano dell’importanza della fede anche nel stringere rapporti tra il signore e i popolani. In un punto del testamento di Pietro Grimani, infatti, veniamo a sapere quali erano le attività che si svolgevano: “…ho fatto celebrare ogni giorno la s. messa e due nelli giorni festivij per comodo maggiore di quel popolo; pubblicar con l’assenso del parroco le feste

PROPIETARIO Giovanni Francesco Grimani Giovanni Francesco Grimani MA Grimani MA Grimani MA Grimani

ANNO

NOME

DA

ZONA

ANNI

1637

Bartolomeo Brindo

Masi

Fosson Grimani

5

1639

Bastian Regin

Piero Grimani Piero Grimani

1659 Stievano de Pase 1662 Marchioro Bianchi 1662 Zuanne Mallari e Francesco suo figlio Marco Galvan 1671 (poi subentra Bernardo Golin) 1672 Donà e nipote Golin??? 1677 Bernardo Golin

Piero Grimani

1674

Piero Grimani

Piero Grimani

Donna Catarina Barbiera Menego Luchetta q. Antonio Andrea e fratelli Bontempi e Zennaro Moretto Moro dalla fora??? Moro dalla fora??? (subentro ai Bontempi) Tognetto Franchin e suo fratello e Anzolo Zamaria (poi Anzolo si esclude) Zamaria Franchin Tognetto Franchin e suo fratello

Piero Grimani

1674

Piero Grimani

1675

Piero Grimani

1676

Piero Grimani

1675

Piero Grimani Piero Grimani

1675 1677

Piero Grimani

1675 Vinciguerra e Mattio Roman suo figlio

Piero Grimani

1676

10

d.12

Arzere Fratta Nova campi nella Valle Barbariga contrà della Dozza

3+5 5 3

L112 L50 L112

pascolo alla risara Vecchia Cason Vecchio alla Fratta Nova presa tra le fratte della risara Vecchia seconda presa fra le fratte della risara vecchia

3

L70

1 cappone, 1 anara

d 48 L74

12 bottiro? 2 capponi, 2 anare

d.36 L31

contrà della Dozza

1

L112

Masi

contrà della Dozza

1

L62?

2 capponi

Masi

contrà della Dozza

1

Masi

valle della Risara Vecchia

3

L74:8

Masi Masi

cason valle della Risara Vecchia

1 1

L74:8 d.13

2 capponi, 2 anare

canali in capo ai pralonghi

1

d7

pesce

2

d.10,5

1

d.25

Piero Grimani

1677

Piero Grimani

1680

Piero Grimani

1674

Zamaria e Giacomo fratelli Gheleri

Foza V.na casa in contrà della Risara Vecchia

Piero Grimani

1675

Zamaria e Giacomo fratelli Gheleri

Foza V.na

Piero Grimani

1676

Piero Grimani

1677

Piero Grimani

1678

Zamaria e Giacomo Gheller

25 uova, 1 polastro, 6 quaglie 2 capponi 2 capponi 2 capponi

2

Masi

Francesco Negri Zuanne Balzan e Zuanne Brindo e Pietro Zuanne brindo Paolo Ghinato

Zamaria e Giacomo fratelli Gheleri (pietro contri subentra da Foza) Pietro Contri de Alvise (subentra ai fratelli gheller)

REGALIE 10 capponi

casa vicino alla Fratta Nova

cason alla Fratta Nova pastori

PAGA

Masi Villa Bona

valle

3 capponi, 2 migliara di pezzolati

3 L62 d.12

1 agnello, 1 libra ordo sotile 2 agnelli grassi 6 panni di ordo sottile 3 agnelli grassi 6 panni di ordo sottile

casa in corte

1

Foza V.na

casa in corte

1

d.12

Foza V.na

metà casa solita dei pastori

1

d.20

2 agnelli grassi

Foza V.na

casa in corte

1

d18

3 agnelli grassi 6 panni di ordo sottile

L’elenco degli affittuari dalla campagna di San Felice dal 1637 al 1678 e le regalie previste insieme al fitto

e vigilie che cadono fra la settimana, insegnar dopo pranzo la dottrina cristiana, recitar una parte di rosario con le litanie et il venerdì la corona del signore in quell’ora che il cappellano ha creduta più comoda per il maggior concorso del popolo…”.7 Lo Stato inoltre, obbligò Pietro Grimani a mantenere l’oratorio nella privata proprietà e a sottoporlo al pagamento delle gravezze ordinarie e straordinarie. Tuttavia, proprio riconoscendo la funzione sociale che svolgeva, il Senato concede con decreto dell’11 Agosto 1720 a Pietro Grimani la possibilità di istituire delle rendite per il mantenimento in perpetuo della chiesetta e dei sacerdoti che vi officeranno le funzioni religiose, sempre con l’obbligo di dichiarare gli incassi e di pagarvi le tasse che Venezia richiedeva.

6. ASVe, Archivio Marcello Grimani Giustinian, 383/g, f.185, c. 2 r/v. Aggravi mansioneria e cappellania nella chiesa campestre di Masi 7. AsVe, Archivio Marcello Grimani Giustinian, 383/g, f.185, c 26 r-v. Ed è proprio a causa dell’obbligo di celebrare le funzioni più importanti dell’anno nella chiesa principale che nel 1734, i rappresentanti del comune di Masi chiedono ed ottengono dal podestà di Padova l’autorizzazione ad aumentare l’altezza del campanile della chiesa di San Bartolomeo perché con l’attuale altezza era impossibile per il suono delle campane raggiungere i luoghi più lontani dal paese. F. Guerra, L’Adese, pubblicazione periodica del Sodalizio Vangadiciense di Badia Polesine, Maggio 2018, pag.6

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Foto di Antonello Zamboni


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L ’Averla piccola, AMICI CON LE ALI di Aldo Tonelli

UN PASSERIFORME DAL CARATTERE RAPACE Nelle nostre campagne è conosciuta con il nome di “redéstola” o “reséstola”, un tempo molto presente soprattutto tra le siepi poste ai margini di aree coltivate, dove nidifica, oggi il suo numero è in costante diminuzione. Nella Pianura Padana è quasi estinta

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AMICI CON LE ALI

F

ino a qualche decennio fa in ogni vigneto e frutteto era comune avvistare la redéstola: l’Averla piccola. Lunga circa 18 cm con un’apertura alare di poco inferiore ai 30 cm, presenta un piumaggio particolarmente elegante. Il maschio ha dorso bruno-rossiccio, testa grigia con mascherina nera attraverso gli occhi, parti inferiori chiare con sfumature argentate sul capo e sulla coda, ali tendenti al bruno-rossiccio mentre le femmine sono per lo più marroni con disegni a forma di lunetta su petto e fianchi. Caratteristica che la fa assomigliare a un piccolo rapace è il becco uncinato e nonostante le sue modeste dimensioni è un formidabile predatore. Parte fondamentale della sua dieta sono infatti non solo insetti di ogni tipo ma anche piccoli mammiferi, piccoli uccelli, rane e lucertole. Degna di nota è la tecnica di caccia: attende a lungo in un posatoio “panoramico”, per poi avventarsi sulla preda e divorarla sul terreno ma quando si tratta di prede grandi le becchetta a lungo con il becco uncinato per finirle e infilzandole poi su spine dei rovi, su cespugli spinosi o sul filo spinato, una specie di dispensa, spesso posizionata vicino al nido, da cui attingere per più giorni la riserva di cibo così accumulata. Il nome tedesco dell’averla piccola è Neuntöter (letteralmente 9 assassinii) dalla credenza popolare secondo cui questo uccello avrebbe dovuto infilzare nove animali prima di poterli mangiare. Come postazione di caccia, l’Averla piccola, sceglie di solito proprio i cespugli che ospitano il nido, oppure siepi e alberelli posti ai margini di aree coltivate. Ecco spiegata la sua presenza nei luoghi dove abbondano gli insetti e il suo ruolo di insetticida naturale e aiutante degli agricoltori. Non è difficile intuire come lo sfalcio e l’e-

liminazione di boschetti, siepi e roveti ai margini dei campi possa compromettere del tutto la riuscita della covata, così come l’abuso di pesticidi che causa la scomparsa dei Becco uncinato grandi insetti, parte fondamentale della dieta di questo piccolo passeriforme predatore. È un migratore transahariano, cioè attraversa il Sahara durante le migrazioni, ed è ampiamente diffuso in Italia ma al Sud è meno frequente e manca nel Salento, ben diffusa in Sardegna è assente dalle altre isole. Nell’Europa centro-settentrionale l’areale e la popolazione sono in diminuzione da quasi cento anni. Il maggiore declino è avvenuto negli anni ‘60 e ‘70 in seguito all’eliminazione delle siepi e alla diffusione dell’uso di pesticidi in agricoltura. Dopo oltre un decennio (anni ‘80) di apparente stabilità numerica della popolazione, la specie ha subito nuovamente un

Il nome tedesco dell’averla piccola è Neuntöter, letteralmente 9 assassinii, in quanto esiste una credenza popolare secondo la quale avrebbe dovuto infilzare nove animali prima di poterli mangiare

Averla piccola maschio e femmina

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AMICI CON LE ALI forte e costante declino, soprattutto nel corso della seconda metà degli anni ‘90. Sicuramente gravano sulla specie anche fattori limitanti quali la trasformazione degli ambienti di svernamento e l’uso massiccio di pesticidi nei quartieri di svernamento in Africa la cui entità è però per il momento difficilmente valutabile. La popolazione italiana appare in calo nell’ultimo ventennio; a livello di areale si nota una generale rarefazione della specie, in alcuni casi conclusasi con l’estinzione locale. Per l’intero territorio italiano, nel corso del progetto MITO2000, viene stimata una diminuzione del 45% nell’arco temporale 2000-2010 (LIPU & Rete Rurale Nazionale 2011, www.mito2000. it). Resiste ancora in zone collinari e montane mentre nella Pianura Padana si può dire che ormai è in via d’estinzione. In questi giorni in cui si parla di invasioni devastanti per la frutta di insetti come le cimici asiatiche ricordiamo che i predatori naturali c’erano e che la soluzione prospettata nell’introduzione di un inset-

Il maggiore declino di questo piccolo uccello è avvenuto negli anni ‘60 e ‘70 in seguito all’eliminazione delle siepi e alla diffusione dell’uso di pesticidi in agricoltura to antagonista non autoctono tipo la vespa samurai, come dimostrato nel passato con l’introduzione di specie aliene nei nostri ecosistemi, potrebbe portare a conseguenze non valutabili. Il rischio è che la vespa samurai vada ad aggredire specie autoctone non dannose, di fatto peggiorando il problema e c’è poi una questione di non secondaria importanza: il divieto di introduzione nel territorio dell’Unione Euro-

Averla piccola con preda

pea di specie non autoctone contenuto nella Direttiva Habitat (Direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992) recepita dal nostro Paese. Studi recentissimi (2019) hanno dimostrato che antagonisti naturali autoctoni possono essere ancora la soluzione, logicamente comprendere in modo esaustivo l’attività dei nemici naturali rappresenta una sfida importante per gli studi futuri affinché si possano programmare strategie di difesa puntuali e perciò maggiormente sostenibili, riducendo la quantità di insetticidi ad ampio spettro impiegati in agricoltura e diminuendo gli effetti negativi arrecati all’ambiente e all’entomofauna utile. Così forse potremmo rivedere ancora la redéstola nelle nostre campagne, segnale di un ritrovato equilibrio nei nostri ambienti. Coppia di averle piccole

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