N. 34 - Ottobre - Novembre 2019 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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FESTA DI LUCE, MA NON SPRECHIAMOLA
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Natale
Buono pane come il
Lo si dice per esprimere la genuinità del carattere, l’anima leggera, la bellezza essenziale delle cose semplici
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Numero 34
Direttore responsabile: Mauro Gambin Editore: Speak Out srl
Nasce un’economia dalla sostenibilità ambientale
di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) info@speakoutmedia.it
Silvano Bizzaro Emanuele Cenghiaro Mattia De Poli Enzo Gambin Michele Grassi Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Anna Maria Pellegrino Ada Sinigalia Roberto Soliman Mario Stramazzo Aldo Tonelli
A Natale cotechino sì, ma con le lenticchie
INGIROPIEDANDO Montagna città del grano nel segno di Giorgione
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La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana. Titolo dell’opera: “Il Natale è una festa di luce”
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Editoriale:
- D.L. 353/2003 in abb. post.
- D.L. 353/2003
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Attualità:
- Giugno 2019
- Periodico
- Poste Italiane - Settembre
bimestrale
2019 - Periodico
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N. 33 - Agosto
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27/02/200
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N. 32 - Maggio
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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE
Hanno collaborato a questo numero:
Giornale chiuso in redazione il 28 novembre 2019
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LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE
CAMPAGNA ABBONAMENTI 2020 COLLEGATI AL NOSTRO SITO WWW.CONIPIEDIPERTERRA.IT/ABBONATI A TUA SCELTA PUOI PAGARE ATTRAVERSO: PAYPAL (PAGAMENTO SICURO E PROTETTO) BONIFICO BANCARIO INTESTATO A SPEAK OUT SRL IBAN: IT 88 A 03069 62492 100000001975 (INDICA I TUOI DATI PER LA SPEDIZIONE) BOLLETTINO C/C POSTALE N. 1018766889 (INDICA I TUOI DATI PER LA SPEDIZIONE)
EDITORIALE di Mattia De Poli
IL FUTURO Le iniziative volte a contrastare il cambiamento climatico resisteranno alla prova del tempo?
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e IL BAMBINO
iglio di una ragazza-madre, con un padre adottivo di umili condizioni, è nato in condizioni di emergenza ma ai suoi piedi si sono prostrati i grandi della Terra e molte altre persone semplici. Appena venuto al mondo ha rischiato di essere ucciso ed è dovuto emigrare all’estero attraversando il deserto, prima di tornare in patria. Ancora bambino, ha parlato di fronte ai sapienti che ne sono rimasti ammirati, lasciando increduli i genitori. Ma quando è diventato più grande, le sue parole hanno iniziato ad essere troppo dure per chi le ascoltava, soprattutto per i suoi conterranei: è stato confermato il fatto che nessun profeta è gradito in patria. Eppure, la sua nascita e la sua vita hanno segnato una svolta importante nella storia del bacino del Mediterraneo, dell’Europa e infine del mondo intero. Indipendentemente dagli usi strumentali della religione e da certe storture, piaccia o non piaccia, Gesù ha cambiato il volto della storia. Oggi, una società laica e multietnica come quella del mondo occidentale a chi guarda? A chi presta ascolto? Di nuovo a bambini e ragazzi. Una decina d’anni fa è salita alla ribalta di fronte a un pubblico internazionale Malala Yousafzai, una ragazzina di 11 anni, pakistana, che ha raccontato su un blog il regime dei talebani nel suo paese: sopravvissuta ad un attentato ordito contro di lei, nel 2014 ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Meno eclatante ma non meno popolare è stata
alla metà degli anni Novanta la figura di Zlata Filipovic, una tredicenne bosniaca che ha raccontato in un diario la guerra in Bosnia vista attraverso lo sguardo di un’adolescente. La nuova emergenza mondiale è il cambiamento climatico ed anche in questo caso la denuncia è affidata ad un’adolescente: la sedicenne svedese Greta Thunberg. Lentamente è riuscita a mobilitare milioni di persone in tutto il mondo nell’ambito delle manifestazioni “Fridays for Future” (venerdì per il futuro), è stata ascoltata dal Parlamento europeo, è intervenuta al Forum economico mondiale di Davos, e lo scorso settembre ha parlato all’Assemblea generale delle Nazioni unite. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: la campagna “plastic free”, che mira a eliminare oggetti di plastica usa-e-getta, sta influenzando anche le politiche di varie istituzioni, non ultima l’Università di Padova. Viene da chiedersi quanto durerà questa nuova tendenza e se ci sarà un cambiamento significativo nelle abitudini quotidiane della gente oppure se sarà un fenomeno mediatico passeggero. In pochi ricordano il nome di Zlata, e il volto sfregiato di Malala è relegato in un angolo recondito della memoria collettiva. Quanti sapranno fare tesoro dei moniti di Greta? Anche lei diventerà una persona adulta e perderà fatalmente quell’aura di innocenza e sincerità che ancora le si riconosce. Inizieranno a prevalere i sospetti di interessi personali, secondi fini, faziosità, ed anche le istanze più giuste finiranno per essere guardate con sospetto. Solo il futuro potrà dire quanto profonda è l’impronta che i suoi appelli stanno lasciando nella società odierna.
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A GENNAIO IL VIA AI LAVORI PER AUMENTARE LA PORTATA IDRICA DEL LEB Lavori solo durante la stagione invernale, per un periodo di 5 anni
CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO È previsto a gennaio l’avvio dei lavori per la sistemazione delle sponde del LEB, e il risezionamento dell’alveo per aumentarne la portata idrica a scopi irrigui. Con i suoi 48 km di lunghezza, infatti, è l’unica fonte che garantisce l’irrigazione su 82.675 ettari di territorio, servendo le province di Verona, Vicenza, Padova e Venezia svolgendo, inoltre, un’importante ruolo di tutela del territorio e di beneficio ambientale. Attraverso la distribuzione d’acqua a favore dei Consorzi elementari che lo costituiscono (Consorzio di bonifica Bacchiglione, Alta Pianura Veneta e Adige Euganeo), il LEB provvede alla vivificazione dei fiumi e dei corsi che lo intersecano con l’immissione di acqua prelevata dell’Adige. L’importo dell’intervento ammonta a circa 20 milioni di euro, messi a disposizione attraverso il Piano degli invasi, e la durata dei lavori sarà piuttosto prolungata. Proprio per la strategica funzione irrigua del corso d’acqua i lavori saranno possibili solo durante l’inverno, da ottobre a marzo, intervenendo, con il risezionamento e la sostituzione delle piastre sulle sponde, su tratti della lunghezza di un chilometro, un chilometro e mezzo, a stagione per la durata di cinque anni.
ELEZIONI PER IL RINNOVO DELL’ASSEMBLEA E AVVIO DEI LAVORI DI MIGLIORAMENTO DELLA RETE IRRIGUA PER PIÙ DI SESSANTA MILIONI DI EURO Il prossimo 15 dicembre si terranno le elezioni per il rinnovo dei componenti dell’Assemblea del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo di Este. Come previsto dalla vigente legislazione regionale in materia, ogni cinque anni, i consorziati sono chiamati ad eleggere i 20 membri elettivi in rappresentanza degli stessi Consorziati, che affiancheranno i Rappresentanti dei Comuni eletti dai 68 sindaci del territorio, i rappresentanti nominati dalle Province di Verona, Vicenza, Venezia e Padova (4 soggetti) e i Rappresentanti della Regione del Veneto. Ad avere diritto di voto sono tutti i proproprietari di beni immobili iscritti nel catasto consortile e quindi contribuenti del Consorzio. Per esprimere il proprio voto, il Contribuente, dovrà recarsi nel luogo individuato come Seggio, munito di carta d’identità o di altro valido documento di identificazione munito di fotografia. Nel caso di persone giuridiche, muniti anche di visura camerale o provvedimento di nomina del rappresentante legale. I Seggi rimarranno aperti dalle ore 8.00 alle ore 20.00
Consorzio di Bonifica Adige Euganeo • www.adigeuganeo.it ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054
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ECCO LE LISTE CON I CANDIDATI DELLE TRE FASCE DI CONTRIBUENZA Ogni elettore dispone di un voto di lista e ha la facoltà di attribuire fino a tre preferenze scegliendo tra i candidati della lista votata
PRIMA FASCIA
SECONDA FASCIA
TERZA FASCIA
COLDIRETTI, CIA AGRICOLTORI ITALIANI, CONFAGRICOLTURA Bertipaglia Davide Conselve Bonello Emanuele Conselve Calaon Marco Vo’ Rango Matteo Monselice Zambon Marco Monselice CITTADINI NEI CONSORZI Muraro Simone Este Boscarolo Diego Bagnoli Di Sopra Dall’armellina Maria Pia Padova Rossetto Dario Monselice Paganizza Lodovico Sant’Urbano
COLDIRETTI, CIA AGRICOLTORI ITALIANI, CONFAGRICOLTURA Bertin Fabrizio Correzzola Bertin Lorenzo Monselice Bertin Mauro Padova Capuzzo Stefano Monselice Marcon Renzo Roveredo Di Guà Zambolin Francesco Padova Ovi Paolo Este FUTURO PER IL CONSORZIO Mori Bruno Ponso Mingardo Antonio Monselice Fratucello Cristian Este Zandolin Massimo Este Zontini Emanuela Viadana Trivellin Clara Osp. Euganeo Masola Guerrina S. Pietro Viminario Baraldo Michele Monselice
COLDIRETTI, CIA AGRICOLTORI ITALIANI, CONFAGRICOLTURA Barbetta Michele Carceri Ferro Roberto Legnago Gemmo Carlo Montagnana Finesso Onorio Conselve Menesello Marco Este Negretto Michele Vo’ Rossetti Enrico Noventa Vicentina Zanato Michele Este
Giuliani Angelo
Monselice
Mazzucco Silvano
S. Pietro Viminario
Martinello Luca
Solesino EUGANEI
Bottaro Francesco
Carceri
Alfieri Claudio
Montagnana
Stevanin Romeo
Montagnana
Zoia Roberto Mazzucco Monia
Bolzano Montagnana
RETE IRRIGUA LIBERA DA PFAS, pronta la gara per l’assegnazione dei lavori
Totale trasparenza per un progetto da 42 milioni di euro Il prossimo 13 gennaio scadrà il termine di presentazione delle offerte per la realizzazione di una condotta di adduzione, lunga circa 19 km, in grado di collettare le acque del Canale L.E.B. ai sistemi irrigui dei distretti Guà, Monastero e Fratta. L’opera, da tutti ribattezzata “il tubone”, una volta completata, permetterà di superare il problema legato all’uso delle acque del Fratta/ Gorzone per scopi irrigui. Come noto il fiume che attraversa buona parte della Bassa Padovana è risultato essere inquinato da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), un problema che ha creato allarme per la salute in un’area in cui risiedono circa 300 mila persone. E il pericolo da scongiurare è che il coinvolgimento possa estendersi ulteriormente attraverso la catena alimentare, a causa di coltivazioni irrigate con le acque del fiume. Il Consiglio dei Ministri ha risposto all’emergenza, evidenziata dal Consorzio, attraverso il Piano Irriguo Nazionale con uno stanziamento di 42 milioni di euro, a tutti gli effetti si tratta del più grande progetto irriguo nazionale finanziato negli ultimi
L’Assemblea Consortile è l’organo di indirizzo delle politiche gestionali del consorzio. È composta da 20 membri elettivi in rappresentanza degli stessi Consorziati, che affiancheranno i Rappresentanti dei Comuni eletti dai 68 sindaci del territorio, i rappresentanti nominati dalle Province di Verona, Vicenza, Venezia e Padova (4 soggetti) e i Rappresentanti della Regione del Veneto
anni, già destinato alla realizzazione di una condotta che permetterà una disponibilità di acqua “sicura” di 2.500 l/s per una superficie complessiva di circa 8 mila ettari. Il nuovo impianto non avrà alcun impatto ambientale in quanto avrà uno sviluppo interamente sotterraneo. La presa delle acque sarà possibile direttamente dalla condotta grazie a sei derivazioni che saranno a servizio dell’intero territorio interessato. Per la valutazione delle proposte afferenti realizzazione dell’opera, sarà nominata una commissione esterna che oltre a giudicare la migliore offerta sul piano economico vigilerà sulla congruenza degli interventi proposti. Il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo, inoltre, ha predisposto un regolamentazione di totale trasparenza ponendo l’intero iter sotto la vigilanza dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Per tenerti informato sull’operatività del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo e sui progetti che riguardano il territorio, iscriviti alla newsletter settimanale, basta entrare nel sito www.adigeuganeo.it, cliccare sul tasto “Contatti” e registrarsi
L’ELZEVIRO di Eliano Morello
IL CLIMA CAMBIA, NON È UNA NOVITÀ
TRANNE CHE PER L’UOMO Fino a che punto ci “tocca” il tema delle trasformazioni ambientali? Siamo tutti consapevoli che il pianeta sta diventando sempre più inospitale per la nostra specie, ma come stiamo reagendo?
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utti oramai ne parlano, tutti hanno ricette, tutti sanno cosa dovrebbero fare “gli altri” per arginare il fenomeno. Parlo, ovviamente, del cambiamento climatico. In particolare, vorrei analizzare il movimento e l’impatto mediatico che esso sta ottenendo sull’opinione pubblica. Ormai non ci sono dubbi che, rispetto al passato, qualcosa sia cambiato nel clima: temperature più alte delle medie mai registrate, piogge torrenziali che determinano vere e proprie alluvioni, ghiacciai che si sciolgono preannunciando il famigerato innalzamento delle acque, Polo Nord e Siberia che si riscaldano tanto da poter diventare luoghi di villeggiatura. Tuttavia, mi vorrei soffermare su un aspetto di cui sento poco, o per nulla, parlare. Siamo proprio sicuri che il nostro Pianeta non abbia mai conosciuto cambiamenti simili? In altre parole, possiamo dire con certezza che il riscaldamen-
Secondo due studiosi, Vladimir Zikin e Giora Shaviv, l’aumento della temperatura globale è da imputare per il 60% all’attività umana e per il 40% all’attività solare 6
to globale non si sia verificato altre volte nel corso dei 4,54 miliardi di anni dalla formazione della Terra? La risposta è sì, la terra su cui noi oggi della Bassa Padovana mettiamo i piedi era un mare calmo e caldo. Quaranta milioni di anni fa i Colli Euganei erano degli atolli che spuntavano da una grande laguna in cui nuotavano pesci tropicali. Il punto è, che al tempo, l’uomo non c’era. Questo clima fa male a noi, non alla natura, eppure in gran parte siamo noi a provocarlo. Secondo due studiosi (Zikin e Shaviv, 2012), infatti, l’aumento della temperatura globale è da imputare per il 60% all’attività umana e per il 40% all’attività solare. L’aumento della temperatura, dovuta all’aumento atmosferico del gas CO2, a sua volta derivante dall’attività umana, ha fatto coniare il nuovo termine “antropocene” o “era dell’uomo” per evidenziare l’impatto che la nostra esplosione demografica, economica e consumistica ha, e sta tuttora, causando. Ma come molti sanno, l’effetto serra non è determinato solamente dall’anidride carbonica, ma anche dal metano, dal biossido di azoto, dalle polveri sottili (i famosi PM5 e PM10), solo per citarne alcuni. Quindi, l’equazione del momento, ossia CO2 = cambiamento climatico, è davvero troppo riduttiva e semplicistica. Tuttavia, questa è solo una piccola parte dell’iceberg.
L’ELZEVIRO Il giornalista scinetifico Sid Perkins in un articolo ha analizzato la produzione di anidride carbonica di ogni continente CONTINENTE
Consumo di CO2 procapite
Contributo mondiale alla produzione di CO2
Consumo di CO2 procapite entro il 2030
STATI UNITI
15 tonnellate
15,00%
2,1 tonnellate
CINA
7,7 tonnellate
27,00%
2,1 tonnellate
7 tonnellate
9,00%
2,1 tonnellate
INDIA
N.D
N.D
2,1 tonnellate
ALTRI
N.D.
N.D.
2,1 tonnellate
EUROPA
Come tutti dovremmo sapere, le piante verdi sono il polmone della Terra: esse producono ossigeno come prodotto di scarto della fotosintesi clorofilliana, permettendoci di respirare. Ma se l’ossigeno è il prodotto di scarto, di cosa hanno bisogno le piante per nutrirsi e crescere? Esse necessitano di anidride carbonica, come principale nutrimento, azoto, fosforo, potassio, acqua e microelementi. Tutta la cellulosa di cui sono composte le piante e le alghe marine è formata da carbonio (C) che viene catturato (attraverso la fotosintesi clorofilliana) dall’atmosfera. Per questo motivo le piante e le alghe marine sono considerate i maggiori sequestratori di anidride carbonica. Quindi è chiaro che un primo passo contro l’aumento dell’anidride carbonica atmosferica, e conseguentemente dell’innalzamento globale della temperatura, sarebbe quello di fermare la deforestazione, gli incedi boschivi dolosi e, al contrario, di incentivare la preservazione delle aree verdi del pianeta. È talmente semplice e banale che nessuno ci ha pensato, o almeno, nessuno è intenzionato a farlo. Stiamo tutti a chiederci chi ci sia dietro la ragazzina svedese con le trecce, chi la muove come un burattino per fare i suoi sporchi comodi. Ma chi mai ci dovrebbe essere? E se anche ci fosse qualcuno, dato che non possiamo fare altro che pensare come menti complottiste, non mi pare che questo qualcuno abbia delle idee poi tanto malsane. Abbiamo tutti sofferto l’afa della torrida estate appena trascorsa, quindi chi potrebbe negare che le temperature siano effettivamente diverse da quelle di una volta? Desidero lasciare a Greta le sue battaglie, che testardamente e coraggiosamente porta avanti a favore di tutto il genere umano, e vorrei concentrarmi su quanto sia in nostro potere fare, a breve termine, per invertire la tendenza. Ho già dato uno spunto sulla deforestazione, ma intervistando un campione di individui si può intuire come tutti abbiano un’idea precisa della giusta medicina per la nostra malattia. E così, c’è chi propone di fermare il traffico, chi sostiene di dover fermare l’e-
rosione del suolo, coloro che affermano che la ricetta giusta sia lo stop alla cementificazione, chi lancia l’idea di controllare l’inquinamento industriale, chi ancora desidera arrestare il consumismo e gli sprechi, chi si accanisce contro l’agricoltura che ci avvelena e gli allevamenti intensivi... Ovviamente, si tratta di spunti molto interessanti, se non per la pecca di essere destinati agli “altri”. Se si chiede a un industriale da che cosa sia prodotto il riscaldamento globale, probabilmente risponderà che sia l’agricoltura; un agricoltore risponerà che è il traffico, un cittadino risponderà traffico, industria, agricoltura, allevamenti ma non il turismo, i condizionatori, il riscaldamento domestico, l’illuminazione (solo per fare alcuni esempi). Abbiamo tutti la ricetta perfetta, ma nessuno vuole cambiare il suo stile di vita e rinunciare ai suoi privilegi: la ricetta va somministrata agli altri, perché sono gli altri che devono modificare le loro abitudini. Noi stiamo bene così. C’è un’altra cosa però che vorrei sottolineare. Gli accorgimenti che tutti noi, e intendo proprio tutti, possiamo mettere in pratica per salvare il pianeta per i nostri
Quaranta milioni di anni fa i Colli Euganei erano degli atolli che spuntavano da una grande laguna in cui nuotavano pesci tropicali. Il punto è, che al tempo, l’uomo non c’era
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L’ELZEVIRO figli e nipoti, non sono poi così fantascientifici. È chiaro che non possiamo comprare ettari di terreni in Amazzonia e piantare alberi, ma possiamo fare comunque qualcosa nel nostro quotidiano, ovviamente modificando le nostre abitudini. A cosa mi riferisco? A tutte quelle attività antropiche inquinanti e produttrici di gas serra che possono essere limitate con le giuste accortezze: il riscaldamento degli ambienti pubblici e privati (combustione di legna, pellet e gasolio), il traffico quotidiano (automobili e camion), il turismo (inquinamento aereo, navale, immondizia per le strade) ecc. Dite che queste attività sono necessarie o giustificate dal lavoro, dalla produzione di reddito o trasporto di merci (alimenti compresi)? Lo so, ma allora rispondo con un’altra domanda: da dove partiamo? Chi deve fare il primo
L’uomo è da sempre un perturbatore di ambienti, un inquilino scomodo del pianeta Terra. Nessuna altra specie ha modificato l’ambiente tanto quanto la nostra
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L’effetto serra non è determinato solamente dall’anidride carbonica, ma anche dal metano, dal biossido di azoto e dalle polveri sottili passo? Il Cittadino, il Comune, la Regione, lo Stato, il Continente o il Mondo? Non è che facendo finta che non ci sia, il cambiamento climatico sparirà come per magia. Chi sostiene che si debba fare qualcosa (Greta docet), non lo fa perché vuole che passiamo l’inverno al freddo senza accendere la stufa per non inquinare. Ma è chiaro che qualcosa va fatto, e tutti possiamo fare la nostra parte. Perché il cambiamento climatico investirà tutti noi e le generazioni future, i nostri discendenti, il nostro sangue. Greta e i suoi seguaci vogliono un mondo migliore in cui vivere, non una specie di grande forno in cui arrostire come carne alla brace. L’uomo è da sempre un perturbatore di ambienti, un inquilino scomodo del pianeta Terra. Nessuna altra specie ha modificato l’ambiente tanto quanto la nostra. La Terra e la Natura hanno sempre trovato le contromisure per adattarsi ai cambiamenti, anche gravi, avvenuti nel corso della sua lunga storia (pensate solo alla distruzione del 90% di tutte le forme viventi avvenuto circa 65 milioni di anni fa, in cui si estinsero i dinosauri). È giunto il momento di non essere più inquilini scomodi, di non essere più la causa della nostra stessa estinzione. I dinosauri hanno dovuto ringraziare un meteorite; i nostri nipoti ringrazieranno noi per il loro futuro negato. È questo il ricordo che vogliamo lasciare?
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AGRITURISMO TENUTA CIVRANA
I SAPORI AUTENTICI DELL’INVERNO Qualità delle materie prime e una cucina volutamente mantenuta semplice fanno trionfare la genuinità e il sapore dei piatti tradizionali
L’inverno ha di buono che sa accorciare le distanze, riesce a far incontrare e riunire le persone attorno a spazi piccoli, caldi e decisamente conviviali come il tavolo di un ristorante. Fateci caso, le feste invernali quasi sempre richiedono ottimo cibo a fianco del buon umore. Questo perché l’inverno ha i suoi riti, ma soprattutto esige sapori che all’agriturismo Tenuta Civrana sono di casa. Perché qui alla qualità delle materie prime, prodotte direttamente nella grande campagna di 365 ettari con un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, si accompagna la schiettezza e la genuinità di una cucina volutamente mantenuta semplice. I pranzi e le cene della domenica di un tempo, per intenderci. Quindi: paste e risotti, zuppe e minestre, per assecondare le inclemenze del termometro, non mancano mai le verdure di stagione, ma il posto d’onore nel menù invernale spetta alle carni per le quali non è nemmeno possibile parlare di chilometri zero in quanto: selvaggina, faraone, quaglie, galli e galline arrivano in cucina direttamente dai boschi, dove sono stati allevati in completa libertà. Anche i maiali vengono cresciuti esclusivamente con i prodotti coltivati in campagna e le loro carni, oltre a diventare tra i piatti più richiesti alla cucina, un vero cavallo di battaglia e la braciola con la costina, vengono lavorate per diventare salami,
Il Pranzo di Natale e il Cenone di Capodanno saranno allietate con musica dal vivo. Il 22 dicembre sarà una serata dedicata ai canti Gospel
sopresse, pancette, ossocolli e cotechini, anche insaporiti con il radicchio “Rosso Civrana”, altra produzione di eccellenza della campagna invernale. Al nobile suino, inoltre, vengono dedicate vere e proprie serate a tema per degustarne i tradizionali “ossi” o le altre produzioni della norcineria, per restare informati sulle date basta seguire la pagina Facebook di Tenuta Civrana. Discorso a parte meritano le conserve, perché dalla dispensa non mancano mai i vasetti di vetro con la passata di pomodoro, la giardiniera, ideale compendio per lessi e salumi affettati a coltello, o le marmellate che vengono servite con i formaggi o arricchiscono i dolci della casa.
TENUTA CIVRANA È : • Azienda Agricola • Spaccio prodotti produzione propria con cui si preparano ceste e idee regalo • Fattoria didattica • Agriturismo aperto dal venerdì sera alla domenica, disponibilità tutta la settimana per gruppi, cerimonie e cene di lavoro • Area naturalistica attrezzata per il Birdwatching, Nordic Walking e Mountain Bike • Tanti ambienti per feste e compleanni
Pegolotte di Cona (VE) Via della Stazione, 10 Agriturismo 327 7363681 • Punto Vendita 333 6662584 Roberto 347 2220023 • prenotazionitenutacivrana@gmail.com www.tenutacivrana.it
TENUTA CIVRANA
LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE di Ada Sinigalia
LA “SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE”
STA FACENDO NASCERE UNA NUOVA ECONOMIA Secondo i dati raccolti dall’indagine Coldiretti/Ixè “La svolta green degli italiani” è crescente il numero di persone disposte a cambiare le proprie abitudini di vita per rispettare maggiormente l’ambiente. Dallo scaffale del supermercato, alle nuove auto fino alla campagna, cambia il modo di produrre e di “consumare”
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ai come in questo periodo l’ambiente e la sua salvaguardia sono al centro del dibattito pubblico e politico nel mondo. La consapevolezza dell’impatto che l’uomo ha sull’ambiente è cresciuta notevolmente negli ultimi anni. A convincerci, più dei costanti richiami dei climatologi o delle immagini televisive che mostrano i ghiacciai che letteralmente evaporano, è forse l’esperienza diretta che ognuno di noi ha fatto guardano la colonnina di mercurio. Fa sempre più caldo. I picchi estivi mettono a dura prova chi vive in case non climatizzate e anche la stagione calda sta trovando estensione verso mesi che, solo
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qualche anno fa, richiedevano vestiti pesanti e riscaldamenti accesi. Ma non c’è solo il caldo: i cambiamenti climatici causano eventi estremi che sempre più spesso portano nubifragi, tornado, grandinate, tempeste di vento e provocano danni a coltivazioni, strutture e purtroppo anche vittime fra la popolazione. La preoccupazione cresce, come attesta una recente indagine di Coldiretti/Ixè su “La svolta green degli italiani”. Fra gli interventi considerati più urgenti per limitare i problemi ambientali, ci sono la raccolta differenziata (52%), la depurazione dei corsi d’acqua e delle falde (37%). E non a caso, visto che questi due temi ambientali lasciano parecchio a desiderare nel nostro paese, tanto che l’Italia risulta essere tra gli stati messi in procedura di infrazione da parte della UE proprio perché 237 centri urbani, in 13 regioni, non dispongono di adeguati sistemi di raccolta e trattamento delle acque di scarico urbane. Sempre dallo stesso report emerge che dagli italiani è l’industria ad essere ritenuta la principale responsabile dei problemi ambientali, con il 76% dei giudizi, seguita dai trasporti con il 43% e dal settore energetico con il 23%, mentre l’agricoltura prende solo il 14% dei giudizi negativi.
LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE L’IMPEGNO DI OGNUNO DI NOI Ma, insieme ai settori economici del nostro paese, l’indagine Coldiretti/Ixè ha preso in esame anche l’impegno personale con il quale gli italiani conducono la loro battaglia a favore dell’ambiente. La ricerca riscontra che la sensibilità ambientale è in crescita, ma esiste anche la consapevolezza che non tutti hanno lo stesso livello di preoccupazione. Infatti più di 1 italiano su 3 (36%) ritiene che in genere le persone si comportino male o siano poco attente all’ambiente, mentre l’8% è ancora più pessimista e crede che nessuno stia facendo niente per la natura. Il 44% degli intervistati, tuttavia, ha dichiarato il suo impegno nel modificare le proprie abitudini soprattutto quando fa la spesa, riducendo gli acquisti di prodotti con imballaggi eccessivi. Infatti, oltre la metà dello spazio della pattumiera nelle case è occupato da scatole, bottiglie, pacchi ossia con i prodotti dell’agroalimentare che è il maggior responsabile della produzione di rifiuti da imballaggio. Per questo sono stati considerati positivamente dagli intervistati i vari bonus per i negozianti che attrezzano spazi dedicati alla vendita di prodotti sfusi o alla spina.
Fra gli interventi considerati più urgenti per limitare i problemi ambientali, ci sono la raccolta differenziata (52%), la depurazione dei corsi d’acqua e delle falde (37%)
Il 44% degli intervistati da Coldiretti ha dichiarato il suo impegno nel modificare le proprie abitudini soprattutto quando fa la spesa riducendo gli acquisti di prodotti con imballaggi eccessivi
Per il 76% degli italiani ritengono sia l’industria la principale responsabile dei problemi ambientali
7 italiani su 10 si schierano per la produzione di energia solare, 1 su 3 punterebbe sull’idroelettrico e 1 su 10 sulle biomasse
MOBILITÀ E FONTI ENERGETICHE Se poi si guarda alle scelte che ognuno è disposto a fare per tutelare l’ambiente l’indagine Coldiretti/Ixè evidenzia che esiste una schiacciante maggioranza, del 72%, disposta a ridurre gli spostamenti in auto, scooter e motocicletta mentre più di 6 su 10 (64%) potrebbero rinunciare all’aria condizionata. Sul fronte della gestione dei rifiuti il 52% ritiene urgente potenziare la raccolta differenziata, mentre per la produzione di energia 7 italiani su 10 (71%) si schierano per quella solare, 1/3 (32%) punterebbe sull’idroelettrico e un altro 10% sulle biomasse. Il 61% si dice molto o abbastanza favorevole a sovvenzionare le rinnovabili: dal fotovoltaico al biogas. Gli incentivi del biometano dovrebbero prevedere bonus o meccanismi in grado di premiare l’origine agro-zootecnica della materia prima e tenere in debito conto le differenze, in termini di costi di gestione, rispetto all’impiego dei rifiuti. Anche l’applicazione delle tecnologie in grado di facilitare il trasporto del biocarburante dal luogo di produzione al luogo di distribuzione (liquefazione), da parte delle imprese agro-zootecniche che operano distanti dalla rete o dagli impianti di distribuzione, dovrebbe essere opportunamente oggetto di sostegno.
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LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE IL MONDO AGRICOLO Parte significativa della ricerca di Coldiretti è stata ovviamente rivolta al mondo agricolo dove sono emerse preoccupazioni significative nei confronti dei mutamento climatico. Il 65% degli agricoltori, infatti, pensa che il tema sia trattato troppo poco nel dibattito pubblico, mentre una fetta ancora più alta (66%) ritiene che debba essere una priorità della politica intervenire con misure appropriate ai danni che tali sconvolgimenti stanno arrecando al settore. Tra gli intervistati, infatti, l’81,4% ha dichiarato di aver dovuto affrontare i problemi creati da tempeste, frane e inondazioni, il 64,5% si è trovato a gestire periodi siccitosi e il 58% combatte contro insetti e parassiti che prima non c’erano. È il mondo agricolo, infatti, a subire maggiormente gli effetti di un clima che cambia quando non più spesso le diverse forme di inquinamento che riducono il valore e la fertilità della terra o dell’acqua penalizzando le produzioni. I RIFIUTI: DA PROBLEMA A RISORSA Nel mondo dell’agricoltura, tuttavia, si stanno sperimentando con più successo nuove forme di produzione a basso impatto sull’ambiente. Il caso più evidente è l’economia circolare in quanto riduce drasticamente gli scarti e anzi trasforma questi in materie prime da inserire nel ciclo di produzione o addirittura in altri prodotti da destinare alla vendita. È ormai largamente condivisa anche in campagna l’idea che è necessario passare da un sistema che produce rifiuti e inquinamento verso un nuovo modello economico in cui si produce valorizzando anche gli scarti con una evoluzione che L’Italia risulta essere tra gli stati messi in procedura di infrazione da parte della UE perché 237 centri urbani, in 13 regioni, non dispongono di adeguati sistemi di raccolta e trattamento delle acque di scarico urbane
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L’81,4% degli agricoltori intervistati ha dichiarato di aver dovuto affrontare i problemi creati da tempeste, frane e inondazioni, il 64,5% si è trovato a gestire periodi siccitosi e il 58% combatte contro insetti e parassiti che prima non c’erano
Entro i prossimi 5 anni si prevede un aumento di circa due milioni di tonnellate all’anno di raccolta differenziata del rifiuto organico rappresenta una parte significativa degli sforzi per modernizzare e trasformare l’economia italiana ed europea, orientandola verso una direzione più sostenibile in grado di combinare sviluppo economico, inclusione sociale e ambiente. A tale proposito, ci sono imprenditori agricoli che hanno fatto del riciclo delle produzioni un business. Ad esempio, c’è chi utilizza gli scarti delle cipolle oppure di carciofi, peperoni e olive per produrre colori anti-allergici per la decorazione di foulard, stole, maglioni e persino scarpe. Oppure, chi, anche in Veneto, realizza interamente a mano borse artigianali, cesti, paralumi e vassoi da portata intrecciando le foglie recuperate dalle pannocchie del mais. Ma nel novero dell’economia circolare vanno considerati anche i mini impianti per il biometano presso gli allevamenti, la cui produzione può arrivare a raggiungere il 12% del consumo di gas in Italia. Inoltre, sempre più utilizzato è il compost, proveniente dai rifiuti organici raccolti nei centri urbani e trasformati per concimare in modo naturale e sostenibile i campi agricoli. Entro i prossimi 5 anni si prevede un aumento di circa due milioni di tonnellate all’anno di raccolta differenziata del rifiuto organico rispetto ai quantitativi attuali con un sistema di riciclo che si stima possa creare alcune migliaia di nuovi posti di lavoro diretti oltre all’indotto. I sistemi alimentari e le pratiche agricole sono elementi cruciali di un nuovo modello di sviluppo che permetta di vivere nei limiti della natura puntando sulla qualità del cibo e dei terreni che lo producono. Il suolo è una risorsa non rinnovabile e per questo c’è bisogno di pratiche rigenerative per evitare la perdita di fertilità.
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Ha il sapore dei prodotti locali il Natale al
Ristorante La Torre Con l’abbassarsi delle temperature l’atmosfera dello storico ristorante si riscalda nel colore e nei sapori della tradizione La stagione fredda assume forme e riti che vanno cercate proprio all’interno dei ristoranti, perché non c’è posto più adatto di una cucina per rispondere alle rigidità invernali e trovare quella convivialità che rende magica un’atmosfera, magari proprio quella natalizia che ormai incombe dalle pagine del calendario. Il ristorante La Torre di Monselice è il luogo perfetto per trovare quel preciso contrappunto tra gli scorci del paesaggio collinare e i sapori che a buon diritto appartengono allo stesso panorama. Qui è ancora possibile alzarsi da tavola con una sensazione di festa, conquistati da quello che non è stato solo un pasto, ma un’esperienza. Un locale che unisce, in una atmosfera calda e rilassante, i piatti della tradizione più schietta a proposte gastronomiche raffinate e interpretate con una creatività sempre nuova.
E sono il Radicchio tardivo di Treviso, i funghi e il tartufo i veri protagonisti del menù che La Torre dedica all’inverno. Il primo trovando esaltazione alle braci o fritto, i funghi per preparazioni che vanno dall’antipasto al contorno e il tartufo come componente aristocratico della battuta di filetto e burrata, oppure in abbinamento ai Ravioli fatti in casa con il Taleggio, oppure alla foglia di verza con Taleggio. E dal menù non mancano mai le specialità del mare, perché fa parte della classe di questo storico locale trovare sempre un compromesso tra i sapori che provengono dal territorio collinare con quelli dell’altrettanto nostrana laguna, magari con una magica liaison che proviene dalla fornitissima cantina che sa coniugare alle ottime etichette del territorio quelle del buon bere nazionale.
Piazza Mazzini, 14 - 35043 Monselice (PD) • Tel. 0429 73752 www.ristorantelatorremonselice.it
PAESAGGI SONORI di Mauro Gambin
LA CULTURA MULTITASKING
DELLA CIVILTÀ CONTADINA, UNA RISPOSTA AI GUAI DELL’AMBIENTE DI OGGI Siamo nipoti e bisnipoti di uomini ecologicamente sostenibili, recuperare un po’ di quel loro sapere potrebbe essere l’inizio di un’economia nuova
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rima di immaginare quali azioni i politici del mondo dovrebbero intraprendere, per risolvere i problemi che l’uomo moderno sta causando al pianeta, dovremmo domandarci quale rapporto abbiamo noi con il paesaggio in cui viviamo. Perché è lì che inizia il problema. Il problema in realtà è una distanza che è misurabile con la confidenza che abbiamo con ciò che ci circonda. Il paesaggio, appunto, allontanarcene significa perdere l’abitudine a saperlo leggere, interpretare e servircene. Più pensiamo che la nostra vita non dipenda da
Notoriamente del maiale non si buttava nulla, ma non perché la povera bestiola fosse un animale fortunato dotato solo di valori positivi, piuttosto perché l’uomo aveva imparato a sfruttare ogni risorsa che l’animale poteva offrire
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ciò che ci sta attorno, più il nostro stile di vita sarà ecologicamente insostenibile. Perché c’è un rapporto tra ciò che prendiamo dalla natura, ciò che ne facciamo e la durata degli effetti che tale uso determina. La civiltà contadina, ad esempio, ha lasciato impronte leggere. Quasi impalpabili. Le pagine di quella storia, del resto, sono fatte di pietre, campi, di duro lavoro. Raccontano di saperi inscritti nel territorio, di una sapienza ambientale che si è formata in tempi lunghi, di una continuità millenaria di conoscenze ed esperienze condotte a stretto rapporto con solo ciò che era strettamente necessario, indispensabile e, per questo, la costrizione e il senso del limiC’è un rapporto te erano sempre tra ciò che prendiamo presenti. Si acdalla natura, cettavano i limiti concreti perché si ciò che ne facciamo sentiva che erano e la durata degli effetti necessariamente che tale uso determina imposti dalle condizioni naturali. I vincoli, le limitazioni avevano però un corrispettivo: l’aderenza alla concretezza della vita e un senso di equilibrio complessivo. Oggi non abbiamo tanti limiti fisici e strutturali concreti ed è quindi più facile delirare, uscire dal solco di quell’antico aratro. L’uomo semplice del passato, insomma, “scriveva” col suo lavoro, con la sua attività fisica, con la sua costante necessità di ottenere il massimo dalla materia che lo circondava impiegando le energie che il suo corpo rendeva spendibili. Il rapporto tra spesa (fatica) e risul-
PAESAGGI SONORI
Il riciclo di plastica, vetro, lattine è una delle risposte che la nostra economia sta dando ai problemi del pianeta
tato doveva essere sempre favorevole. Era una questione di sopravvivenza. Non è raro, infatti, studiando la storia dei contadini, imbattersi in straordinari esempi di ottimizzazione che rendevano pressoché inesistente lo spreco. È il caso del maiale, del quale - notoriamente - non si buttava nulla, ma non perché la povera bestiola fosse un animale fortunato dotato solo di valori positivi, ma perché l’uomo aveva imparato a sfruttare ogni risorsa che l’animale poteva offrire. Di suo il maiale aveva la qualità di essere onnivoro, o meglio di essere di bocca buona, tanto che qualsiasi avanzo gli veniva comodo come nutrimento. E in cambio di qualche scorza di zucca, qualche foglia di olmo o, quando andava bene, un po’ di brodaglia calda fatta con semole ammuffite, riusciva a restituire una discreta quantità di carni, che i contadini avevano imparato a conservare in varie forme di insaccati; degli ottimi grassi che in cucina venivano impiegati per conservare, come condimento o per friggere; frattaglie che le donPiù pensiamo ne del tempo combiche la nostra navano in mille ricette vita non dipenda per renderle gradevoli, e giù fino alle ossa da ciò che ci sta attorno, più il nostro o alle setole. Il maiale, insomma, costituiva stile di vita sarà un moltiplicatore di ecologicamente valore, ma la pecoinsostenibile ra non era di meno,
anzi più del maiale offriva latte e lana, e l’oca ci andava dietro con tutte le sue piume. Animali multitasking, potremmo definirli oggi, animali leggeri, poco impattanti sulla magra economia delle famiglie del tempo, ma capaci di rendere dieci/cento volte il valore dell’investimento che il loro mantenimento richiedeva. Del resto l’aia era il centro commerciale del tempo, quello che serviva per mettere insieme il pranzo con la cena veniva di lì… o al massimo da poco più in là, se qualcuno aveva un pezzetto di campo sul quale far crescere un po’ di frumento; l’immancabile mais, che serviva da alimento tanto alla casa come al pollaio; dei legumi o le vigne per produrre un po’ di vino. Che importanza aveva il vino nel passato? Per dare una risposta potrebbe essere interessante osservare che nelle nostre
Il riciclo di plastica, vetro, lattine è una delle risposte che la nostra economia sta dando ai problemi del pianeta
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PAESAGGI SONORI fattorie la cantina non c’era, esisteva invece la caneva, ossia il deposito della canapa, per ricoverare botti e fiaschi. Ma non esistevano nemmeno i vigneti, la vite faceva parte di un sistema promiscuo dove l’uva non era l’unico “frutto” atteso dal contadino. Questo sistema è passato alla storia con il nome di “piantata padana” e nella fattispecie si concretizzava con la collocazione ai bordi del campo destinato alla cerealicoltura di alberi e viti, ossia di viti “maritate” ad un sostegno vivo, in genere all’olmo, all’acero campestre, al salice, al pioppo, ai gelsi o non più raramente a qualche albero da frutto, come nel caso del ciliegio o del pero. I vantaggi che tale sistema comportava erano molteplici, visto che contemporaneamente venivano sviluppate I prodotti usa e getta erano praticamente inesistenti fino a qualche decina di anni fa diverse colture: certamente l’uva, di impiegarla, di ridargli continuamente un’utilità, una ma anche i frutti degli alberi reggi-vigna e le foglie, che nuova vita senza mai, o quasi, farla diventare scarto. spesso venivano raccolte ancora verdi per essere deAltro che usa e getta… stinate all’alimentazione invernale degli animali della Oggi la povertà delle campagne è stata sconfitta e tutstalla o ai bachi da seta, nel caso del gelso. Gli alberi tavia la sostenibilità continua a rimanere un argomento poi fornivano tavole per realizzare mobili e arredi, o di attualità. Perché lo scarto continua a rimanere un con le specie forti e da cima, come la farnia, venivano costo e se non lo è per tasche lo è sicuramente per prodotte travi e il legname da opera. l’ambiente. La materia inutilizzabile sta iniziando ad ocGli scarti, ovviamente, diventavano fascine da desticupare troppo spazio e la nostra impronta diventa ogni nare al riscaldamento o alla cucina. Non va tralasciato giorno sempre più profonda. Ecco: magari il passato poi che sotto ai filari si stendevano spazi erbosi (strenon è un tempo del quale si deve avere necessariane, rivali) utili per lo Gli uomini del mente nostalgia, però, il non tagliare completamente i sgrondo delle acque passato avevano fili con quel modo di vivere potrebbe essere un modo piovane verso fossati imparato a vedere per continuare ad appartenere alla civiltà dalla quale e scoline e utili pure il riutilizzo di una discendiamo. Il riciclo di plastica, vetro, lattine è sicuper ottenere una morisorsa oltre la sua desta produzione fo- ramente una delle risposte che la nostra economia sta dando ai problemi del pianeta, però in questo tempo raggera da destinare primaria funzione, ad immaginare uno, agli animali della cor- in cui si fa un gran parlare di identità veneta, di radici, di salvare il dialetto ricordiamoci che uno dei valori te. Il vino, dunque, era due, tre modi diversi importante come lo più alti prodotti da quella triste arcadia è stato il modo di impiegarla sostenibile con cui è stata al mondo. E chissà che erano le altre produnell’intraprendenza che ha sempre contraddistinto il zioni, né più né meno, fondamentale invece era questo manifatturiero di questa nostra terra, non vi sia spazio sistema di appoderamento multitasking che consentianche per un prodotto progettato per andare oltre alla va di ottimizzare spazi, rese e gestione con una produsua primaria funzione, che possa avere uno, due, tre zione di scarti prossima allo zero. modi diversi di impiego, che nasca con la possibilità di Era l’endemica miseria del passato ad imporlo. La vita ridargli continuamente un’utilità, una nuova vita senza andava condotta così, in una forma altrettanto multimai, o quasi, diventare scarto. Potrebbe essere l’inizio tasking grazie alla quale gli uomini avevano imparato di una nuova economia, anzi del riciclo di una vecchia a vedere il riutilizzo di una risorsa oltre la sua primaciviltà. ria funzione, ad immaginare uno, due, tre modi diversi
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I sapori tradizionali del mio Natale, solo da Gran Carni Group La storica macelleria propone per pranzi e cenoni delle Feste i sapori tradizionali della cucina della Pianura Padana. Prodotti realizzati come un tempo: con solo carni di suino italiano e aromi naturali
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IL PIACERE DEI SAPORI GENUINI Da quarant’anni l’offerta è caratterizzata dalla ricerca delle materie prime di qualità e da una cucina convintamente artigianale Il ristorante pizzeria “Al Cacciatore” di Pontelongo è uno dei pochi posti dove davvero ogni piatto è fatto in casa. Pizze, pane, pasta, dolci e molti ingredienti sono figli delle mani e dell’esperienza della famiglia Antico, da generazioni alla guida del locale, non dei confezionati della grande distribuzione. L’offerta, infatti, è totalmente incentrata sulla qualità delle materie prime, accuratamente scelte tra i prodotti del territorio secondo la stagionalità,
e la rigorosa preparazione in cucina. In questo modo i buoni palati ringraziano e quelli più esigenti trovano pane per i loro denti, perché l’offerta punta su una cucina decisamente tradizionale, ma aggiornata con originalità al gusto moderno. Piatti come la guancia di manzo o la tagliata di anatra sono autentici cavalli di battaglia della cucina, e a fianco del tradizionale baccalà o del fegato alla veneziana non possono mancare il pesce o i bigo-
Cucina tradizionale dalla cacciagione al pesce con prodotti locali
Degustazione menù pizza a tutto pasto, croccanti ad alta digeribilità
Birre artigianali, alla spina e le migliori etichette dell’enologia locale
Lina, Erika ed Elia Antico
TRATTORIA PIZZERIA “AL CACCIATORE” Via Villa del Bosco, 268 - Pontelongo (PD) - I mestoli riposano il lunedì
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I piatti di mare sono la proposta natalizia de Al Cacciatore
ANTIPASTI • Insalatina di piovra con noci, pinoli, melagrana • Polentina con le seppie nere • Tris di mare: crema di baccalà, carpaccio di pesce spada, capasanta gratin PRIMI PIATTI • Zuppa di pesce • Risotto scampi e limone
li in salsa, visto che la laguna non è lontana, o autentiche ricercatezze, come la cacciagione (realizzata solo su prenotazione) o i piatti della civiltà contadina come l’oca in onto, per ricordare che la cucina sa guardare anche alla terra ferma e alla sua millenaria tradizione. Lo stesso scrupolo viene esteso alla pizzeria a cominciare dalla farina, per gli impasti è in uso esclusivamente la tipo 1 macinata a pietra, agli ingredienti, tanto che anche il pomodoro è una ricetta della casa, la mozzarella arriva praticamente da dietro l’angolo e il prosciutto di spalla viene cotto in cucina a bassa temperatura e con tempi che ne sanno preservare il sapore. Uno dei segreti del pizzaiolo sta nella pastificazione, con tempi lunghi di lievitazione, e nel rapporto di impiego tra le materie prime dell’impasto, tanto che con gli stessi ingredienti vengono realizzati diverse tipologie di pizza: dall’impasto tradizionale all’interpretazione della napoletana, dalla “piuma”, con una prima cottura a vapore e farcita con i prodotti del ristorante, alla rustica “in pala alla romana”. La “carta” permette di poterle assaggiare tutte, grazie al menù "Degustazione Pizza", ed è possibile farsele portare al tavolo come fossero le portate di un pranzo, partendo da una pizza antipasto fino alla desset, piccola specialità della casa, quest’ultima, realizzata con una pasta leggera integrale e servita con cioccolata alle nocciole e frutti di bosco. In ogni caso ogni pizza mantiene le stesse caratteristiche qualitative. Da bere ci sono delle ottime birre artigianali; eccellenti birre alla spina e la proposta del beverage si estende anche ai vini, grazie ad una serie di etichette selezionate dalla migliore enologia locale e nazionale per accompagnare ogni tipo di impasto e, ovviamente, i piatti della cucina.
SECONDO PIATTO • Filetto di orata, salmone e spiedino di gamberi • Verdure di stagione
8 • Dolce natalizio
• Spiedino di frutta • Torrone VINI DELLA CANTINA • Prosecco Montelvini extra dry • Soave Classico Doc di Gianni Tessari • Acqua e caffè
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Anche i dolci sono espressione della creatività della casa, Tiramisù, Millefoglie, biscotti sono rigorosamente fatti a mano
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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE
COTECHINO sì del Prof. Adriano Mollica
s s ma olo e CON LE LENTICCHIE Uno dei piatti più tradizionali del Natale rivela che le associazioni degli ingredienti a volte non nascono solo dal loro sapore. In questo caso le proprietà prebiotiche dei piccoli legumi favoriscono la crescita di batteri che contrastano il colesterolo dei grassi animali
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l cotechino è un insaccato che va consumato cotto, originario del nord Italia (fu inventato intorno al 1500 e diffuso successivamente in tutta l’Italia). Il suo nome deriva dalla cotica o cotenna del maiale che è l’ingrediente più rappresentativo. L’impasto originariamente era costituito per metà di cotenna e per metà di nervetti e carne magra. Il cotechino è riconosciuto come il padre dello zampone, che invece è insaccato nella zampa, ma dal punto di vista nutrizionale sono poco differenti. Oggi l’impasto del cotechino prevede il 60% di carni magre fresche selezionate (polpa di spalla, gamba e collo), il 20% di cotenna tenera e il 20% di gola, guanciale e pancetta. Tutto ovviamente assemblato dopo accurate operazioni di pulizia della cotenna. Sono inoltre aggiunte diverse spezie ed aromi in maniera variabile a seconda del
gusto del produttore che ha la sua propria miscela, tra i quali cannella, pepe nero, garofano, noce moscata ecc. I valori nutrizionali del cotechino sono strettamente collegati al rapporto tra massa magra e massa grassa al momento della scelta delle parti del maiale che costituiscono l’impasto. Il cotechino è comunque un alimento molto ricco di nutrienti e calorie, avendo alla fine della produzione un tenore di grassi che va dal 35 al 45% del peso. È un cibo quindi fortemente energetico (circa 380 kcal /100g), sconsigliato a chi soffre
Il cotechino è un alimento molto ricco di nutrienti, presenta una percentuale di grassi che va dal 35 al 45% del peso 21
ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE di dislipidemie, difficoltà digestive e obesità. Fortunatamente, in questo come anche in altri innumerevoli casi, la tradizione contadina ci viene in soccorso in quanto il cotechino e anche lo zampone sono cibi consumati a Natale o Capodanno con lenticchie. Le lenticchie, fin dal’ epoca dei Romani, erano già considerate un simbolo della ricchezza e regalarle voleva dire augurare che ogni lenticchia si trasformasse in moneta. La lenticchia è uno dei primi legumi coltivati nella storia dell’uomo, testimonianze del suo uso alimentare risalgono a 10.000 anni fa. I legumi, sono anche soprannominate “la carne dei poveri” in quanto hanno un ruolo importantissimo nella nutrizione umana, poiché è una fonte ricca di proteine, calorie, vitamine e sali minerali, in particolare il ferro. Essi migliorano il contenuto proteico di una dieta basata sui cereali. Le La lenticchia è uno dei primi legumi coltivati nella storia dell’uomo, proteine dei testimonianze del suo uso alimentare cereali sono risalgono a 10.000 anni fa mancanti di alcuni amminoacidi essenziali, ad esempio la lisina, mentre i legumi ne contengono in quantità adeguata, ma sono carenti in aminoacidi contenenti zolfo come la metionina e la cisteina. Le lenticchie inoltre hanno proprietà prebiotiche, favoriscono la crescita dei batteri del genere Bifidus (fermenti lattici), e l’abilità di ridurre il colesterolo plasmatico, aumentando l’HDL e abbassando l’LDL. Bisogna inoltre considerare, che non solo gli zuccheri semplici, ma anche la continua assunzione di proteine animali è fortemente correlato con l’insorgenza del diabete di tipo 2. Anche in questo ambito, il consumo concomitante di proteine vegetali e fibre sono in grado di prevenire questa patologia. Dunque, per la presenza di legumi, anche il cotechino servito assieme alle lenticchie diventa un piatto accettabile dal punto di vista nutrizionale che potrebbe anche svolgere la funzione di piatto unico. Il cotechino e lenticchie apporta principalmente lipidi, una buona quantità e proteine ad alto valore biologico e una certa quantità di carboidrati complessi e fibre. Le fibre sono importanti, in quanto possono combattere l’assorbimento a livello intestinale del colesterolo, purché siano preparate senza l’aggiunta di ulteriori grassi animali. Certamente il cotechino con le lentic-
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L’impasto del cotechino prevede il 60% di carni magre, come i tagli della spalla, del collo o della gamba, il 20% di cotenna tenera e il 20% di gola, guanciale e pancetta
chie non è un alimento idoneo ad essere consumato costantemente, né è idoneo alla terapia alimentare di chi soffre di sovrappeso o malattie metaboliche, si raccomanda quindi di mangiarne porzioni piccole abbondando con le lenticchie, prezioso legume che a parità di peso del cotechino ha circa un quarto delle sue calorie.
I legumi in genere sono soprannominati “la carne dei poveri” poiché sono una fonte ricca di proteine, calorie, vitamine e sali minerali, in particolare il ferro
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MERLOT STRADELLA 2017 PRIMO PREMIO ALLA 50° MOSTRA DEI VINI DOC E DOGC DEI COLLI EUGANEI Nove annate imbottigliate, dal 2005 al 2017
Foto di Andrea Boaretto
“Dal1860, ossia da quando i conti Corinaldi ne avviarono la coltivazione nei loro vigneti di Lispida, il Merlot è una delle immagini enologiche dei Colli Euganei e dell’intera Bassa Padana. Noi produciamo due tipi di Merlot: uno giovane e uno al quale chiediamo di più che prende il nome di “Stradella” da una piccola capezzagna che passa nei pressi dei vigneti. Le sue uve le lasciamo sui tralci due o tre settimane in più rispetto all’altro Merlot, aspettiamo che aumenti la concentrazione degli zuccheri e i tannini si facciano più morbidi. È questa l’unica accortezza che usiamo nella vinificazione, insieme a una produzione volutamente tenuta bassa e ad un morbidezza ottenuta con un passaggio in barrique, per almeno un anno, che una volta in bottiglia accontenta sia chi ama le note fruttate dei vini giovani sia gli appassionati dei vini un po’ più strutturati. Così, con la sua semplice purezza, è diventata una delle bottiglie più rappresentative de La Mincana, tanto che chi lo conosce non usa più chiederci un Merlot ma ci domanda direttamente uno “Stradella”. Ma non è l’unica soddisfazione che ci da questa bottiglia, da anni concorre nell’aggiungere riconoscimenti alla bacheca della cantina e da tre edizioni si aggiudica il primo premio della “Mostra dei vini Doc e Docg dei Colli Euganei nella “Selezione Vini Rossi Doc, categoria Merlot ultime due annate”. Che dire? Ve lo consigliamo per le tavole delle imminenti feste natalizie, mettetelo in dialogo con i bolliti e gli altri piatti della tradizione... darà, come a noi, convinte certezze...” Famiglia Dal Martello La Mincana - Via Mincana, 52 - 35020 Due Carrare (PD) - Tel. 049 525559 - Fax 049 525499 www.lamincana.it - info@lamincana.it Cantina La Mincana-Dal Martello
PAESAGGI SONORI di Enzo Gambin
“Chiaro di luna” TEMPO PROPIZIO PER LA RACCOLTA DELLE OLIVE Alla Luna Ascolta, dea regina, portatrice di luce, Luna divina, mene dalle corna di toro, che corri di notte, ti aggiri nell’aria, notturna, portatrice di fiaccole, fanciulla, Mene dai begli astri, crescente e calante, femmina e maschio, splendente, ami i cavalli, madre del tempo, portatrice di frutti, luminosa, triste, che rischiari, ti accendi di notte, che tutto vedi, ami la veglia, ti circondi di begli astri, godi della tranquillità e della notte felice, Lampetie, dispensatrice di grazia, porti a compimento, ornamento della notte, guida degli astri, dall’ampio manto, dal moto circolare, fanciulla sapientissima, vieni, beata, benevola, dai begli astri, del tuo splendore rifulgente, salvando i tuoi nuovi supplici, fanciulla. (Inno Orfico - Grecia VI sec. a.C.)
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PAESAGGI SONORI Il territorio di Padova ha un feeling particolare con l’astrologia a cominciare dal quel Pietro d’Abano che diede inizio alla corrente filosofica dell’Aristotelismo padovano che pose le basi della scienza moderna. Un rapporto con gli astri che ancora continua ad Arqua’ Petrarca per la realizzazione di un extravergine dal nome “Moonlight”
L’
occasione di parlare di Luna e della sua influenza sulla natura, pure sull’uomo, mi è data dall’amico Roberto Callegaro del Frantoio Evo del Borgo che, nella notte ottobrina di Luna Piena, raccoglie le olive per ottenere un olio particolare, il Moonlight, vale a dire il “Chiaro di luna”. Parlare di Luna e dei suoi poteri sembra un argomento vecchio e superato ma, non appena si accenna, diventa incredibilmente attuale. Il perché forse sta in quelle credenze che sono il bagaglio di ogni tradizione popolare, che portiamo dentro di noi e che consideriamo frutto di osservazioni e d’esperienze di contadini. Si tratta quindi di un complesso d’informazioni che hanno creato la cultura tradizionale, ben definita in una scienza allo stato embrionale. In effetti, il movimento degli astri attrasse gli uomini nel momento in cui volsero gli occhi verso il cielo, lo scrutarono e furono colpiti, forse preoccupati, dalle rivoluzioni della Luna, come pure del Sole. Le inquietudini sul mistero della Luna crebbero particolarmente quando l’uomo iniziò a far produrre la terra e lo spinsero a studiare, in modo più profondo e sistematico, i movimenti celesti e il loro influsso sulle piante, sulle stagioni e sul clima. Così, presso i Caldei, gli Assiro Babilonesi e gli Egiziani, le osservazioni del cielo rappresentarono uno dei principali compiti della casta sacerdotale. Alcuni templi erano dei veri e propri osservatori astronomici. Diodoro Siculo (90 a.C.–27 a.C.), storico greco della Sicilia e autore di una monumentale storia universale, la Bibliotheca historica, ci da un’idea delle conoscenze del tempo “… gli osservatori abili
Le inquietudini sul mistero della Luna crebbero particolarmente quando l’uomo iniziò a far produrre la terra e lo spinsero a studiare, in modo più profondo e sistematico, i movimenti celesti e il loro influsso sulle piante, sulle stagioni e sul clima
Diodoro Siculo (90 a.C.-27 a.C.), storico greco della Sicilia e autore di una monumentale storia universale, la Bibliotheca historica, ci da un’idea delle conoscenze del tempo “…gli osservatori abili possono trarre presagi dal sorgere, dal tramontare e dal colore di questi astri, essi annunciano le piogge, i caldi eccessivi e le tempeste…”
possono trarre presagi dal sorgere, dal tramontare e dal colore di questi astri, essi annunciano le piogge, i caldi eccessivi e le tempeste”. È fondamentale poi l’Enūma eliš, “Quando in alto” un racconto mitico sulla nascita del cosmo appartenente alla tradizione religiosa babilonese, che descrive il momento in cui il Signore pose la Luna in Cielo a regolare il giorno, assieme al Sole: “Egli fece brillare Sin, gli affidò la notte, ne fece un corpo notturno, per regolare i giorni. Ogni mese, sempre, gli dette la forma di una corona: all’inizio del mese per brillare sul paese (disse): delle corna tu mostrerai per sei giorni. Al settimo giorno, dividi in due le corna, al quattordicesimo giorno, metti di fronte… la metà. Quando il sole, nel fondo dei cieli, ti divide … brilla dietro di lui...”. Probabilmente anche da questa narrazione Aristotele (384 a.C. o 383 a.C) dichiarò: “La Luna è quasi un altro piccolo Sole e per questo contribuisce a tutti i processi di riproduzione e di compimento... sono i movimenti di questi astri che determinano (nei corpi) il limite dell’inizio e della fine”. Galeno di Pergamo (129 d.C-210 D.c.), medico greco, la cui scienza ha dominato la medicina occidentale fino al Rinascimento, asserì: “... la Luna fa tutto ciò che fa il Sole, sebbene più debolmente.” Claudio Tolomeo, o Tolemeo (100 d.C.- 175 d.C.), astrologo, astronomo e geografo greco antico, raccolse la conoscenza astronomica Galeno di Pergamo (129 d.C-210 D.c.), medico del tempo basandosi sul lagreco, la cui scienza ha voro svolto tre secoli prima dominato la medicina oc- da Ipparco, anche lui astrocidentale fino al Rinasci- nomo e astrologo greco, e mento, asserì: ” .. la Luna per quanto attiene la Luna fa tutto ciò che fa il Sole, sebbene più debolmen- raccontò: “Rispetto alle loro configurazioni con il Sole, la te”
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PAESAGGI SONORI
La raccolta notturna delle olive al Frantoio Evo del Borgo oltre ad essere un rito estremamente affascinante e suggestivo condiziona il prodotto finale il quale acquisisce magiche tonalità di profumi e sapori
Luna e i tre astri erranti (le stelle di Saturno, di Giove e di Marte) assumono un’intensità ed un allentamento delle loro proprie virtù. La Luna infatti dal suo primo sorgere fino al primo quarto produce soprattutto un aumento dell’umidità; indi, dal primo quarto al plenilunio, del calore; dal plenilunio all’ultimo quarto della secchezza; e dall’ultimo quarto fino alla sua occultazione del freddo” Le esposizioni di Tolomeo furono il riferimento di tutti gli astrologi sino alla fine del XVI secolo, i quali accomunarono le fasi della Luna alle quattro stagioni, in considerazione che la primavera è umida, l’estate calda, l’autunno secco, l’inverno umido. Questa similitudine fu applicata anche al Sole, considerando che le quattro fasi di illuminazione del Sole nei quattro quadranti dell’anno sono uguali ai modi di illuminazione della Luna. A tale proposito, Auguste Bouché-Leclercq (1842–1923), storico francese, nel suo studio su “Astrologia greca” scriveva: “L’Astrologia non è una superstizione popolare: i suoi dogmi sono stati creati in Grecia come in Caldea, da un’élite d’intellettuali che hanno provveduto nel corso dei secoli a difenderli dagli assalti critici”. Ora possiamo ben pensare che di questa cultura il Roberto Callegaro ne è un erede e, per questo, anche in questo 2019 ha eseguito la magica avventura della raccolta delle olive al chiarore di Luna Piena. Roberto, la mattina precedente la raccolta, aveva già visitato l’oliveto e aveva valutato che le olive avevano raggiunto un’ottimale maturazione, ma rimanevano occultati alcuni umori, che si sarebbero creati solo al chiarore della Luna Piena. Non si ha conoscenza come si generano questi misteriosi liquidi che si sintetizza all’interno delle olive, forse è dovuto per un nascosto innesco del debole bagliore lunare, forse sono legate ai Gli antichi Romani consideravano a Luna Piena una divinità impersonandola in Pandia, una fanciulla di straordinaria bellezza, figlia di Selene, la Luna dei Greci, e di Zeus. Pandia ha sempre rivestito un ruolo importante nel determinare possibili influenze sul comportamento della natura, collocandosi a metà strada tra il mito e la cultura popolare
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Presso i Caldei, gli Assiro Babilonesi e gli Egiziani, le osservazioni del cielo rappresentarono uno dei principali compiti della casta sacerdotale. Alcuni templi erano dei veri e propri osservatori astronomici campi energetici della diafana luce, aspetti ancora da definire e capire. Quello che è certo è l’olio che se ne trae ha delle magiche tonalità di profumi e sapori e che la raccolta delle olive ai raggi della Luna Piena è uno spettacolo bellissimo, con il disco lunare, plumbeo e luccicante, che illumina maestoso lo scuro cielo e ispira una trepidazione rispettosa. Fu certamente questa visione che esortò gli antichi Romani a considerare la Luna Piena come divinità, impersonandola in Pandia, una fanciulla di straordinaria bellezza, figlia di Selene, la Luna dei Greci, e di Zeus, il padre degli dei, oltre che sorella di Erse, la rugiada. Pandia ha sempre rivestito un ruolo importante nel determinare possibili influenze sul comportamento della natura, collocandosi ora a metà strada tra il mito e la cultura popolare. Una cultura popolare che è tradizione, che va considerata nel senso latino del termine “tràdere”, tramandare, quindi da conservare e portare avanti. E questo è il secondo motivo per il quale Roberto Callegaro non poteva esimersi dal creare anche in questo 2019 un Olio extra vergine d’Oliva “Moonlight”. Un terzo motivo per la realizzazione di quest’olio particolare, sta nel fatto che gli olivi destinati alla raccolta notturna delle olive sono collocati a poca distanza da Padova, città dove dal 1300, s’insegna l’Astronomia e tutto ebbe inizio da quel Pietro d’Abano (1250-1315), astrologo, chiamato nel 1307 come professore presso l’Ateneo patavino, che diede il via a quella corrente filosofica definita come “Aristotelismo padovano”, che pose le basi della scienza moderna. Vi transitò pure l’astronomo Niccolò Copernico, 1473-1543. Da Padova Galileo Galilei, 1564-1642, osservò il cielo con il suo telescopio. Nel 1767 l’Università di Padova creò con Giuseppe Toaldo, 1719-1797, la fondazione della Specola, un osservatorio astronomico che, durante l’Ottocento, divenne un riferimento internazionale, quindi, a Padova non poteva mancare un Olio extra vergine d’Oliva al Chiaro di luna.
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CLASSICO EVO È un olio caratterizzato da un fruttato leggero-medio, prodotto con le olive coltivate in azienda, dal colore verde oro e da un gusto equilibrato
È pronto l’olio novello:
extravergine di grande qualità Goccia dopo goccia la stagione olearia è arrivata agli sgoccioli, il frutto degli olivi che la famiglia Callegaro da generazioni coltiva alle pendici del monte Bignago, ad Arquà Petrarca, è diventato verde e profumato EVO: l’extravergine ottenuto da diversi cultivar tutti autoctoni dell’area Euganea. Ogni fase della lavorazione è stata seguita con puntualità e precisione, compresa la frangitura che qui, oltre all’abilità e all’occhio esperto del “pestrin”, è data da un impianto all’avanguardia studiato appositamente per una vera spremitura a freddo, tra i 23 e i 24 gradi, e per conservare ad ogni passaggio tutte le qualità organolettiche e sensoriali della materia prima. Perché la velocità di lavorazione è determinante per un ottimo risultato finale: la spremitura di un’oliva appena raccolta e nel perfetto stato di maturazione permette
di produrre un olio ricco di sapore dal gusto deciso ed equilibrato. L’olio EVO è ricco di sostanze polifenoliche antiossidanti, fondamentali per la salute, grazie alle proprietà antinfiammatorie, antiallergiche e antivirali; contiene anche omega 3 e vitamine E e K. Qualità, tracciabilità e salute, del resto, sono i tre valori attorno ai quali ruota la produzione del Frantoio Evo del Borgo e che può essere trovata all’interno di ogni bottiglia.
EXTRAVERGINE DOP È un olio ottenuto da varietà di olive autoctone dei Colli Euganei, dal gusto deciso e persistente con un fruttato medio e di colore verde intenso MOONLIGHT Si ottiene dalla selezione di olive Rasara raccolte esclusivamente di notte, al chiaro di luna piena. Un Extravergine dal gusto travolgente e con un fruttato medio verde con sentori di erba appena falciata e carciofo EXTRAVERGINE BIOLOGICO Ottenuto con olive 90% Leccino. Si caratterizza per un fruttato leggero con sentori di mandorla. Ideale per i piatti delicati
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INGIROPIEDANDO a cura della redazione
LA STORIA CEREALICOLA DELLA CITTÀ MURATA PROSEGUE NEL NOME DI GIORGIONE Dalla Società Grano Padovano del Frassine, al brand Montagnana Sementi, ai 70 anni della Sezione Frassine fino ad una varietà di frumento destinata a rivoluzionare il mercato dei grani di teneri di forza. Tutto in cento anni esatti-esatti
U
na nuova varietà di grano porta avanti la storia della cerealicoltura di Montagnana, nel nome di Giorgione. La firma del celebre pittore di Castelfranco, infatti, lasciata agli inizi del XVI secolo sui due affreschi che adornano la controfacciata del duomo cittadino, è diventata anche il nome di un frumento che sta rivoluzionando il mercato dei grani teneri di forza, grazie a potenzialità produttive significative e ad una qualità che caratterizza le Farine Due Passi, prodotte dal Consorzio Agrario del Nordest. Una bella storia a filiera corta, per identificare un prodotto figlio della Bassa PaGiuditta, uno dei due dovana, ma che in realtà ha affreschi lasciati da radici lontane nel tempo e Giorgione agli inizi del XVI forse anche poco conosciusecolo nella controfacciata te. Perché la terra di Montadel Duomo
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gnana è da circa un secolo deputata alla cerealicoltura, la data certa è fornita dalla nascita della Società Grano Padovano del Frassine nel 1920. Erano gli anni in cui l’Italia si trovava in un grave deficit granario, il saldo in negativo toccava i 30 milioni di quintali. Per far fronte al fabbisogno non c’era altra strada che ricorrere all’importazione dall’estero, con tutte le conseguenze negative che ne derivavano. Nel 1920 l’Italia La situazione, inoltre, era si trovava in aggravata dal fatto che le un grave deficit coltivazioni in Italia utilizzagranario, il saldo vano spesso terreni poco idonei con rese di molto inin negativo feriori anche in confronto a toccava i 30 quei Paesi dalle condizioni milioni colturali nettamente pegdi quintali giori rispetto alle nostre (come l’Irlanda, la Norvegia, la Germania e il Belgio). Il Paese pagava le conseguenze di metodi obsoleti e tecniche arretrate, lavorazioni e concimazioni insufficienti e, non ultimo, l’uso di sementi inadatte. L’intensi-
INGIROPIEDANDO ficazione della produzione delle sementi veniva vissuta, dunque, come una “imprescindibile necessità”. La scelta di Montagnana si giustificava per un concorso di cause che facevano riferimento alla storia economica del comprensorio, ma anche alle caratteristiche pedoclimatiche e geologiche dell’area. Il territorio Montagnanese, infatti, formato dagli apporti detritici portati qui dall’area delle Prealpi Venete attraverso una complessa rete fluviale a carattere torrentizio, presenta una composizione analoga a quella dell’altopiano di Rieti (con una giusta proporzione di calcare e un notevole contenuto di anidride solforica) dove al tempo si coltivava il famoso frumento “Rieti”. Una qualità particolarmente pregiata che oggi non esiteremmo a chiamare “grano antico” e che rappresentò il punto di partenza degli studi di Nazareno Strampelli per lo sviluppo delle cosiddette “sementi elette”. Il celebre agronomo e genetista agrario, forse il più grande che il nostro paese abbia conosciuto, stava ottenendo proprio in quegli Nell’area di Montagnana anni i risultati più importanti era diffusa una varietà della sua ridi grani detta “Cologna” cerca, rivolta coltivata per la prima a selezionavolta a Merlara re tipologie di frumento a metà dell’800
Nazzareno Strampelli fu un agronomo e genetista agrario
resistenti alle principali patologie che affliggevano la produzione. Ricerche che portarono a quadruplicare le rese per ettaro e nel 1933 a dichiarare vinta la “Battaglia del grano” in quanto l’Italia aveva raggiunto l’autosufficienza nella produzione del cerale. Nell’area di Montagnana al tempo era diffusa una varietà detta “Cologna” le cui origini risalgono alla metà dell’Ottocento, coltivata per la prima volta a Merlara dal sig. Finzi, affittuario dei Da Zara, una di quelle ricche famiglie ebraiche che si erano stabilite nel Veneto ed avevano raggiunto una posizione economica e sociale preminente solo dopo la caduta della Repubblica di Venezia, con la conseguente abrogazione del divie-
Nel 1924 il Consorzio Agrario Cooperativo di Montagnana inizio a produrre grano da seme in un piccolo stabilimento allestito nei locali del Castello di San Zeno
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INGIROPIEDANDO
IL GRANO GIORGIONE
La cinta muraria di Montagnana
to per i membri della comunità israelitica di acquistare beni immobili. La qualità andò diffondendosi in tutta la zona di Lonigo, Cologna e Montagnana e naturalmente sorsero dispute tra i paesi per il primato nella produzione del pregiato grano. Fu il Sindacato colognese e poi la Società dei produttori di frumento Colognese di Pressana, Cologna, Guà e Zimella a lanciare il grano sul mercato imponendogli il nome di “Cologna”. Ma le contese finirono presto in quanto le positive ricadute della produzione (il frumento La storia cerealicola Cologna o del Frassidi Montagnana ne, e più in specifico delle famiglie derioggi viene portata vate e selezionate avanti dalla “Sezione Frassine”, proprio nella zona di Montagnana, era l’associazione molto ricercato per dei riproduttori la panificazione in costituita nel 1949 Veneto, Piemonte, con 26 iscritti Lombardia ed Emilia) convinsero che la strada giusta da intraprendere era quella di un consorzio che prese subito il nome di “Società Grano Padovano del Frassine”. Un cartello formato dai Consorzi Agrari Cooperativi Distrettuali di Cittadella, Camposampiero, Conselve, Piove di Sacco, Este-Monselice e Montagnana, e dal Sindacato Agricolo Cooperativo di Padova. Il primo obiettivo fu la realizzazione di un impianto al passo con le moderne tecnologie di selezione fisiologica e meccanica. Nel 1924 il Consorzio Agrario Cooperativo di Montagnana, per rispondere alle esigenze dei propri Soci, provvide alla produzione di grano
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Giorgione è una varietà derivata dal rinomato grano Bologna, dall’eccellente qualità molitoria della granella, caratterizzata da una straordinaria produttività (superiore a quella del Bologna) e dalla spiccata capacità di adattamento a tutti gli areali di coltivazione. È stato il primo grano di forza selezionato e coltivato in Italia, capace di garantire costantemente standard molitori così alti (in termini di forza e di elasticità) tali da permettere la realizzazione di lievitati complessi come panettoni e pandori. da seme in un piccolo stabilimento, allestito nei locali del Castello di San Zeno, presi in affitto dal Comune. Nel 1927 la produzione di Montagnana raddoppiò raggiungendo i 9.357 quintali (rispetto ai 4.822 dell’anno precedente), ma era solo l’inizio in quanto nel 1933 le sementi prodotte a Montagnana venivano distribuite in 34 province italiane ed esportate in Romania, Albania e Grecia. Le varietà principali prendevano il nome di Villa Glori, Mentana e Damiano Chiesa, tutte selezionate da Nazareno Strampelli. L’attività si protrasse anche nel secondo dopoguerra sotto l’egida del Consorzio Agrario Provinciale di Padova che nel 1950 proponeva agli agricoltori il suo catalogo di sementi elette, controllate in campo e di sicura purezza, votate al miglioramento della produzione identificate dal marchio registrato “Montagnana Sementi”. La storia cerealicola di Montagnana oggi viene portata avanti da una realtà che vide la nascita proprio in quegli anni, ossia la “Sezione Frassine”, l’associazione dei riproduttori, fortemente sostenuta dal Consorzio Agrario per coordinare al meglio le attività colturali, che venne costituita nel 1949 con 26 iscritti. Si tratta degli ultimi 70 anni di questa lunga storia, la “sezione” ha tagliato proprio quest’anno l’importante traguardo, che non ha tuttavia esaurito la sua spinta, perché il lavoro viene portato avanti ancora a pieno regime e con in suoi 45 produttori riproduce, su una superficie di 600 ettari, oltre 40.000 quintali di sementi, compreso la rivelazione Giorgione, destinate ai centri di lavorazione del Consorzio Agrario e distribuite. Questo articolo è stato realizzato riportando parte dei testi pubblicati in “La Grande Storia del Grano di Montagnana”, a cura del Consorzio Agrario del Nordest per i 70 anni della Sezione Frassine
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INGIROPIEDANDO di Emanuele Cenghiaro
Un caffè sotto l ’albero
Nell’immediato Dopoguerra regalare una buona miscela da preparare con la moka era un segno di riscatto, il segno che denotava una certa tranquillità economica e il ritorno ad una vita ordinata e ai suoi riti. Oggi lo stesso regalo sta trovando un significato nuovo, legato alla scoperta di nuovi sapori
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n mio ricordo d’infanzia è quando, a Natale, nonna era solita regalare alle figlie dei pacchetti di caffè. Io non lo bevevo, a quel tempo, e mi sembrava un regalo strano, cose da grandi. Invece, per chi veniva da tempi bui come quelli delle guerre mondiali, in cui anche un semplice pacchetto di caffè era un lusso o proprio non si trovava se non forse nel mercato clandestino, quel dono aveva un particolare significato. Poterlo regalare era, probabilmente, anche un segno di riscatto. Nel 2019, si regala ancora caffè a Natale? Sembrerà strano, la risposta è sì. Sull’onda dell’attenzione verso doni utili e di qualità, come gli alimentari, sta ritornando di moda anche l’offrire confezioni di questa seducente
La moda della tazzina di caffè è arrivata in Europa tramite i veneziani, alla fine del Cinquecento, ma già da almeno un secolo la bevanda, proveniente dall’Africa orientale, aveva avuto successo nel medio Oriente 32
bevanda. Si possono trovare pacchetti in versione natalizia, magari accompagnate a qualche altro prodotto d’eccellenza, tanto nei supermercati quanto nei negozi altamente specializzati. In grani, in polvere con ogni tipo di miscele, in cialde, in capsule… la scelta è molto varia. “L’usanza di regalare caffè in realtà non è mai cessata, ma oggi è di nuovo in crescita - conferma Luca Pasin, “sommelier” del caffè e titolare del negozio Salus Caffè di Noventa Padovana - e io la trovo una bella cosa. Si regala qualcosa di utile e di pregio, in un barattolo di metallo che è completamente riciclabile. Un dono mol- Luca Pasin, “sommelier” del caffè e titolare to gettonato come, del resto, lo del negozio Salus Caffè di Noventa Padovana sono le macchine per il caffè espresso”. Prima di arrivare all’oggi, con addirittura l’espresso fatto in casa, il caffè ha però dovuto effettuare un lungo
La nuova moda è quella per infusione: sempre più caffetterie la propongono anche in Italia. Richiede qualche tempo in più per la preparazione e anche per la degustazione viaggio, nel tempo e nello spazio. In Europa è arrivato tramite i veneziani circa alla fine del Cinquecento, ma già da almeno un secolo la bevanda, proveniente dall’Africa orientale, aveva avuto successo nel medio Oriente. A metà Seicento vi sono già coffeehouses a Londra e Oxford, mentre nel 1684, con i sacchi abbandonati dai turchi durante l’assedio di Vienna, un soldato aprì il primo locale nella città asburgica. Il successo fu tale che il porto di Trieste fu invaso da carichi caffè e nella città giuliana sorsero presto numerose torrefazioni. Il vero boom il caffè lo fece nel Settecento: a Venezia aprirono le prime “botteghe del caffè” di goldoniana memoria, come il celeberrimo Florian; a Padova aprì il Pedrocchi. Erano i secoli in cui gli abitanti del vecchio continente venivano a contatto anche con un’altra bevanda “esotica”, proveniente stavolta da oltreoceano: il cacao, portato in Spagna già nel Cinquecento e diffusosi nei secoli successivi nelle altre corti europee. A quel tempo il cacao era utilizzato infatti come bevanda e non ancora per fare il cioccolato “solido” come lo conosciamo oggi. Caffè e cacao divennero antagonisti, prima che i due prodotti prendessero strade differenti, entrambe di successo. Da allora, come detto, di strada ne è stata fatta tanta. In Italia, soprattutto a sud, del caffè se ne è fatto un
Il boom il caffè lo fece nel Settecento: a Venezia aprirono le prime “botteghe” di goldoniana memoria, come il celeberrimo Florian
vero culto, ma c’è da dire che ogni paese ha le sue abitudini, e ognuno pensa che il proprio modo di degustare il caffè sia quello migliore. Moka, espresso, in cialda, caldo o freddo… La nuova moda, preferita dagli esperti, è quella per infusione: sempre più caffetterie la propongono anche in Italia. Richiede qualche tempo in più per la preparazione e anche per la degustazione: è un’alternativa al “caffettino al volo” troppo in uso nella nostra frenetica società. Per il resto, sono tutti buoni metodi, se si prepara la bevanda con accortezza e tenendo conto che per
Nel 1684 cessò l’assedio dei turchi alla città di Vienna e fu con sacchi lasciati da quest’ultimi che nacque il primo locale nella città asburgica. Il successo fu tale che il porto di Trieste, allora austriaco, fu invaso da carichi di caffè e nella città giuliana sorsero presto numerose torrefazioni. Ancora oggi Trieste è una delle capitali italiane dell’espresso
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INGIROPIEDANDO
ogni tipologia di preparazione c’è una miscela apposita. Insomma, non si può pensare di preparare un buon espresso con una miscela pensata per l’infusione, e viceversa! Il metodo più diffuso dalle nostre parti è ancora la classica vecchia moka e Luca Pasin non si sottrae alla richiesta di sintetizzarci alcune semplici regole per preparare un buon caffè fatto in casa. Il primo segreto sono i “7 grammi” per tazza, che poi sono anche quelli contenuti in quasi tutte le principali cialde da espresso. È la dose giusta, né più né meno. Una seconda regola è non pressare mai la polvere, non serve. Si deve poi avere l’accortezza di tenere una fiamma moderata e di togliere la caffettiera dal fuoco appena il liquido è uscito. Lo zucchero è un esaltatore degli aromi e del gusto, chi vuole può aggiungerlo senza esagerare, ma ci sono delle miscele che anche chi è abituato al caffè dolce riuscirà a bere senza mettercene neanche un cucchiaino.
Ci sono caffè con profumi forti e dosi elevate di caffeina che vanno bene al mattino, appena alzati, e altri più delicati, che ne contengono pochissima, da sorbire magari dopo cena Una cosa che molti trascurano sono l’igiene e la conservazione: si deve sempre pulire accuratamente la caffettiera, ma senza fare uso di detersivi; la polvere di caffè non usata va conservata in un vaso di vetro o ceramica, meglio se in freezer o in frigorifero. La fragranza è assicurata. Ma torniamo, ormai, al nostro regalo. E impariamo intanto a scriverlo correttamente: si scrive caffè. Proprio così, con l’accento grave (e non acuto) sulla “e”. Assodato questo, sulla marca, le miscele, i colori dei barattoli, c’è da sbizzarrirsi. Un primo dubbio che potrebbe assillare chi intende regalare, o regalarsi, una macchina da espresso domestica, riguarda il sistema da preferire: cialde o capsule? Non intendiamo offrire
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soluzioni che vadano bene per tutti, ognuno ha le sue preferenze, è bene però sapere che per le cialde esiste uno standard, il sistema aperto Ese (Easy Serving Espresso), che non obbliga a legarsi ad alcun produttore essendo perfettamente compatibili. Si scelgano di preferenza, come detto, quelle da 7 grammi di caffè. Esistono anche cialde totalmente biodegradabili. Per le capsule non esiste invece un sistema simile, ogni produttore ha le proprie, anche se ormai non è difficile trovarne di compatibili sul mercato. Anche la polvere di caffè contenuta in cialde e capsule non è tutta uguale, una non vale l’altra: chi riconosce la qualità sa di cosa stiamo parlando. Ma non è solo questione di gusto e sapore. “Ogni miscela - conclude Pasin - contiene centinaia di sostanze, tra cui caffeina in percentuali differenti. Questo non significa che siano migliori o peggiori: come il vino, hanno ognuna la propria destinazione. Ci sono caffè con profumi forti e dosi elevate di caffeina che vanno bene al mattino, appena alzati, e altri più delicati, che ne contengono pochissima, da sorbire magari dopo cena. Informarsi su queste caratteristiche e dotarsi di prodotti differenti permette di poter bere il caffè giusto in ogni momento, e anche più di qualcuno al giorno, come si fa durante le feste, senza timore di avere esagerato”.
Il primo segreto per preparare un buon caffè sono i “7 grammi” per tazza, la seconda regola è non pressare mai la polvere e poi serve l’accortezza di tenere una fiamma moderata e di togliere la caffettiera dal fuoco appena il liquido è uscito
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L ’originalità servita per le Feste
Per il periodo più bello dell’anno, il calore dell’accoglienza e la creatività ai fornelli Per sconfiggere le rigidità dell’inverno l’Hostaria Zanarotti ha una ricetta tanto semplice quanto efficace: il calore di un ambiente domestico e una cucina pensata per accendere i sapori. Ospitalità, del resto, significa sentirsi come a casa e qui la sala da pranzo è un insieme di piccoli angoli, che donano l’esclusività di stare in due tra quattro pareti, destinati a ritrovare confidenza con i gesti della tavola, compresa la possibilità di parlare a bassa voce. Un’intimità da rivolgere alla convivialità e alla scoperta dei sapori genuini che ai fornelli trovano creatività e fantasia, perché dall’osteria è bandita la banalità e anche i piatti più tradizionali sono oggetto di una rivisitazione all’insegna del gusto. La tradizionale oca, ad esempio, trova qui la sua migliore stagione: petto e coscia sono associate alla zucca in tempura, alla patata al gorgonzola e tartufo, oppure con i piselli, nel caso il nobile pennuto diventi il ragù di
A Gennaio e Febbraio l’Hostaria sarà il centro di un ciclo di incontri e degustazioni dedicate al vino. Per restare aggiornati basta seguire la pagina Facebook
morbide tagliatelle fatte in Da provare i tortellini casa. Al calendario si lega ripieni di prosciutto serviti con un doppio ristretto anche il gran bollito misto, di brodo preparato con cotechino, lingua e capel la moka. Ovviamente del prete, servito con cren, serviti in tazza pearà o purè di sedano rapa e in periodo di festività natalizie non possono mancare i tortellini ripieni di prosciutto serviti al doppio ristretto. Che cosa si intenda con doppio ristretto è tutto da raccontare, in quanto si tratta di brodo concentrato fatto in moka con carni e verdure macinate al posto del caffè. Ovviamente servito in tazza, tanto per ribadire l’originalità dell’Hosteria. E dalla lista mancano ancora i dolci, dove il tradizionale panettone è sostituito dalla più nostrana “fugassa” e la pasticceria secca o i biscotti sono figli della stessa mano che da quasi cento anni fa dei Zanarotti la principale forneria della Città Murata. E il vino? In un’osteria non può mancare quello della casa e al frizzante Morbin e agli amabili Sata, Garganega e Merlot, si accompagnano i nuovi Cabernet e Marzemino: 100% naturali, prodotti con fermentazione spontanea e nessun filtraggio. Altra novità: il sistema Coravin con il quale è possibile mescere un bicchiere senza stappare la bottiglia, così anche le annate più importanti possono arrivare sul tavolo senza incidere più di tanto sul conto finale. Che cosa ci potrebbe essere di meglio per un brindisi?
HOSTARIA ZANAROTTI • via Matteotti, 3 • 35044 Montagnana (PD) • Tel. 0429 800383 Cell. 335 7788130 • arturo@zanarotti.it • www.zanarotti.it • Hostaria Zanarotti
DOMENICA 19 GENNAIO MERCATO DEI TIPICI E DEGUSTAZIONI
Festa del Radicchio di Maserà Torna ad animarsi la piazza del Comune padovano con l’offerta dei prodotti del territorio
Torna la festa del “Radicchio di Maserà”, un prodotto di straordinaria eccellenza che rappresenta anche l’unica specie tra le cicorie coltivate nella provincia a portare il nome di un comune padovano. Ma non si tratta di questioni geografiche, lo sforzo che da 21 anni il Consorzio Ortofruticoli e Tipici Padovani si propone di portare avanti è quello della salvaguardia di un prodotto
locale, che a buon diritto può essere definito storico, conservando quelle qualità e quelle tipicità che lo rendono completamente diverso dai radicchi che si possono trovare sui banchi della grande distribuzione. Freschezza, croccantezza e delicatezza sono prerogative di questa cultivar, insieme al metodo di lavorazione, che i membri del cartello locale ostinatamente hanno preservato, anche andando contro a quelle logiche del mercato che altrove suonano come una lusinga, in tempi decisamente non semplici per l’orticoltura. Ecco, dunque, che la festa del Radicchio di Maserà è certo una festa dei prodotti della terra, ma soprattutto una festa che si lega all’identità di questa specifica parte della provincia padovana e alla sua secolare storia che tuttavia non rimane confinata nel passato, ma continua a rivivere grazie a questo prodotto, al Consorzio che tante energie vi dedica non dimenticando mai che la sopravvivenza dei prodotti della terra è sempre legata alla qualità.
STORIA di una eccellenza La storia del Radicchio di Maserà inizia agli albori del Novecento, quando arrivarono i primi cespi di variegato di Castelfranco dalla vicina provincia di Treviso. Un variegato che comunque non sarebbe rimasto tale per molto tempo, in quanto il sistema di produzione locale aveva peculiarità proprie. Gli inverni a quel tempo avevano rigidità ben più marcate di quelli attuali e i contadini di allora, per salvare il loro raccolto, alla fine di novembre o ai primi di dicembre, quando i cespi erano già quasi sviluppati, asportavano le piante dal pieno campo, con una discreta zolla di terra che ne permettesse la sopravvivenza, per collocarle in cassette di legno al caldo nella stalla. Al caldo, ma soprattutto al buio e in presenza di ammonica e prendeva avvio quel processo di sbianchimento che conferisce tutt’oggi le caratteristiche di dolce e croccante al Radicchio di Maserà.
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Sono tre le tipologie di Radicchio coltivate: MASERÀ D’ALTRI TEMPI Fresco, croccante, dalla foglia sottile di color bianco burro screziato di macchie violacee. Il sapore è delicato, non amaro, perfetto per essere servito fresco.
FIOR DI MASERÀ Foglie larghe e tondeggianti, con variegatura di colore di lievi tonalità: dal giallino al verde, screziato di marrone, rosso porporato e viola. Ha un sapore delicato, leggermente dolce, ma con un fondo amarognolo.
IL ROSA DI MASERÀ Ossia la nuova varietà di radicchio ottenuta dall’ibridazione tra il radicchio di Verona e il Variegato di Castelfranco. Rosa, perché il suo colore è inconfondibile come del resto lo è il suo sapore dolce e la costa croccante.
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INTERVISTA AL SINDACO GABRIELE VOLPONI
IL FUTURO DEL RADICCHIO DI MASERÀ Secondo il Primo cittadino la strada da intraprendere è quella di coinvolgere un numero maggiore di operatori e di sviluppare un nuovo sistema di produzione, che riduca i tempi della lavorazione mantenendo le caratteristiche tradizionali del prodotto Sindaco Volponi, lei è un uomo dell’agricoltura. La sua famiglia ha un passato importante nel settore primario e oggi in qualità di amministratore è chiamato a condividere idee e scelte che riguardano il futuro del Radicchio di Maserà. Ma prima di tutto, ci spieghi che cosa rappresenta questo prodotto per la comunità di Maserà? “È a tutti gli effetti l’immagine della nostra agricoltura, non solo per il nostro Comune, ma dell’intera provincia. Nel Veneto dei radicchi, il Maserà, è l’unico a portare il nome di un territorio padovano. Poi non va dimenticaIl primo cittadino di Maserà, Gabriele Volponi to che si tratta di un marchio comunale che compie quest’anno vent’uno anni di storia insieme ad disciplinare che ne regola la produzione secondo tecniche e modalità rivolte a preservarne sia il valore organolettico e qualitativo, sia le caratteristiche di produzione. Il processo di sbianchimento, infatti, è un valore identitario in quanto appartiene alla storia di questa terra nella produzione di radicchi”. Nel “Veneto dei Radicchi”, come l’ha definito Lei, il Maserà è la realtà produttiva più piccola. Nel futuro esiste l’idea di far crescere il Consorzio o la dimensione in qualche modo si lega a una qualità che necessariamente può vivere solo nei piccoli numeri? Insomma, quale direzione prevedete per il futuro di questo prodotto? “Sì la qualità è sicuramente uno dei valori che del nostro radicchio va tutelata. Su questo non ci sono dubbi, ma non dipende dalle dimensioni dell’area di produzione e nemmeno dal numero di operatori che si occupano della produzione. Il problema semmai è che la coltivazione del Maserà è piuttosto laboriosa, i cespi crescono in pieno campo, poi devono essere prelevati per il processo di sbianchimento e collocati in appositi spazi, con temperature idonee... tutti passaggi che ad un ortolano risultano laboriosi e risultano costosi. È vero che questo processo trova comunque una buona soddisfazione sul mercato, in termini di valore del nostro prodotto, tuttavia l’agricoltura moderna richiede pratiche più veloci e che richiedono meno passaggi. Per questo insieme al Consorzio Ortofrutticoli e Tipici Padovani stiamo studiando un sistema per lo sbianchimento direttamente in campo, attraverso tunnel che dovrebbero accorciare anche il
tempo del processo. Credo che questa potrebbe essere la strada giusta per coinvolgere un numero maggiore di produttori”. Come si chiamerà questo nuovo Maserà? “Il nome ancora non c’è, lo decideremo insieme al Consorzio. È deciso invece un progetto per la commercializzazione del nostro Radicchio: coinvolgeremo tutti e tre i negozi di ortofrutta comunale: affinché il Radicchio di Maserà venga sempre proposto alla vendita e promozionato attraverso un’immagine da mettere in evidenza. Si tratta di avere una filiera corta, con venditori che sanno raccontare le caratteristiche qualitative e la storia del nostro prodotto a chi ancora non lo conosce”. Un manifesto promozionale già l’avete, è la Fiera del Radicchio di Maserà... “Si, da vent’uno anni la terza domenica di gennaio è dedicata alla nostra Festa. È il momento promozionale per eccellenza che coniuga ai prodotti del territorio il commercio di vicinato, nell’accezione di offerta locale. Ma è anche un momento in cui tante persone della nostra comunità si danno da fare, lavorano, organizzano, si impegnano. Sono tante le associazioni coinvolte per questa data: dall’Associazione Alpini alla Fidas, dalla Protezione Civile ai Carabinieri in Congedo, al Centro Anziani, la Federcaccia, ovviamente il Consorzio Ortofrutticoli e Tipici Padovani. E non dimentico di sottolineare anche gli scopi di beneficenza della Festa, ogni anno con la vendita del risotto al radicchio riusciamo a raccogliere una discreta somma da destinare alla Città della Speranza, per la ricerca sulla malattie dei bambini. Quindi è anche questa immagine “social” del nostro Radicchio che ci sta a cuore preservare e far conoscere”.
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Gastaldi Gabriele AZIENDA AGRICOLA VITIVINICOLA
Vini nel rispetto della tradizione Qui il tempo sembra trascorrere più lentamente perché è ancora quello della Natura, della tradizione e dell’amicizia
La vendemmia è alle spalle, il lungo autunno caldo ha permesso di raccogliere i grappoli nel momento della loro perfetta maturazione. La cura, del resto, è uno dei valori che caratterizzano l’Azienda Agricola Vitivinicola Gastaldi Gabriele perché qui regna la filosofia che il buon vino, ossia quello veramente artigianale, si inizia a fare quando ancora l’uva si trova in campagna. Il rispetto dell’ambiente, pur trattandosi di un’azienda che porta avanti l’agricoltura in forma convenzionale, è l’altro aspetto che qualifica la produzione: nei sei ettari e mezzo di vigneto si interviene con i fitofarmaci solo quando serve e la pratica del sovescio è un modo per conservare in equilibrio la fertilità della terra. La Natura poi sa diventare complice e come quest’anno, grazie a giornate calde seguite da notti
fresche, regala ai vini profumi intensi e accattivanti, gelosamente conservati durante le operazioni di cantina e pronti ad essere sprigionati facendo saltare il tappo. I nuovi vini bianchi: Glera, Sauvignon e Chardonnay, infatti, sono già pronti per la vendita e magari il Natale che incombe potrebbe essere il momento giusto per portarli in tavola insieme ai piatti che sottolineano le festività. Alla Cantina dell’Azienda Agricola Vitivinicola Gastaldi Gabriele la varietà non manca e spazia dai vini rossi ai bianchi, dai fermi alle bollicine, realizzati tutti nella propria cantina e commercializzati in proprio. La vendita avviene direttamente in azienda, anche di vino sfuso, e una parte della distribuzione viene fatta a domicilio in un rapporto trasparente e di amicizia con l’intera clientela.
“Nelle nostre bottiglie il frutto del vigneto, ottenuto da una vendemmia a mano selezionata e da un lavoro in cantina condotto nel rispetto della materia prima. Perché siamo convinti che il vino buono si faccia nel vigneto… noi lo facciamo come una volta, è lo stesso vino che facciamo per noi …” Gabriele Gastaldi AZIENDA AGRICOLA VITIVINICOLA GASTALDI GABRIELE Via Motte, 7 - Candiana (PD)
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PASSITO SILIO, il dolce calice che riscalda dalle rigidità invernali È uno dei vini immagine della cantina e del territorio in quanto si tratta di un Raboso della varietà Piave, ossia lo stesso vitigno dal quale si ottiene il Friularo. I grappoli migliori vengono vendemmiati a novembre e conservati in cassettine fino a febbraio-marzo, per essere successivamente pigiati. Da questa prima lavorazione esce un nettare che poi viene fatto ulteriormente affinare con due anni di maturazione in barrique di legno pregiato. Rispetto ai tradizionali “passiti” si contraddistingue per il colore rosso granato, caratteristico del
vitigno, un corpo ben strutturato, il boccato caldo, morbido con note speziate che lo rende compagno ideale di formaggi serviti con marmellate ai frutti rossi, con la biscotteria caratteristica delle feste oppure come vino da medit a z i o n e. Sorseggiato davanti al camino è in grado di riscaldare le lunghe serate d’inverno.
I NOSTRI VINI TIPICI IGT E DOC CORTI BENEDETTINE DEL PADOVANO ◆ CABERNET DOC: Un grande classico dal buon
◆ PINOT GRIGIO IGT: Con il suo profumo di frut-
◆ RABOSO FRIZZANTE IGT: Il Raboso qui è nella sua terra di origine e in questa versione frizzante trova la sua natura più vivace. Un vino dalle note minerali, ideale con gli antipasti o la pizza
◆ MOSCATO SPUMANTE: È il nostro vino pensa-
bere locale. Un vino di grande consistenza, asciutto, corposo che volentieri si sposa con carni, cacciagione e formaggi stagionati
ta matura e grazie al sapore morbido, strutturato e perfettamente equilibrato è un vino poliedrico che si accompagna a piatti leggeri
to per accompagnare frutta e dolci. Ha uno straordinario spessore e allo stesso tempo è molto fresco e piacevole
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CHARDONNAY IGT: Un vino lieve e delicato con gradevole persistenza aromatica. Da il meglio di se negli aperitivi, con gli antipasti, i secondi a base di pesce o con le minestre
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PROSECCO DOC SPUMANTE EXTRA DRY: Giallo paglierino brillante con perlage fine e persistente. Gradevole, leggero, fresco ed armonico. Il calice perfetto per l’aperitivo Tel e fax 049 5349478 - ggastaldi@tiscali.it -
Per il periodo natalizio vengono realizzate confezioni e idee regalo con le bottiglie da mettere sotto l’albero Azienda Agricola Gastaldi Gabriele
LA FORMA DEL LATTE di Michele Grassi
LA PECORA UN ANIMALE RICCO CHE IL MERCATO HA RESO POVERO In passato uno dei punti di forza di questo animale era rappresentato dal vantaggioso rapporto tra ciò che consumava e ciò che produceva: bastava un basso pascolo con sterpi ed erbacce per avere in cambio lana, latte e carne. Oggi la specializzazione dell’allevamento porta ad avere un solo prodotto, il latte, e tutto il resto diventa scarto da smaltire
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lacide e ordinate sul presepe contribuiscono a rendere la nascita di Gesù un momento di grande armonia, di pace e di fratellanza. Le pecore, cosi di rado incontrate nella vita di tutti i giorni da noi in questo secolo, in passato erano una presenza quanto mai diffusa, anche nella nostra campagna non solo nelle radure della Giudea. Basta sfogliare qualche censimento sugli animali da corte di un secolo fa, o valutare gli affitti che venivano regolarmente richiesti ai pastori, spesso provenienti dall’Altopiano di Asiago o da Castel Tesino, che sfruttavano i pascoli di pianura per far svernare le loro greggi, per accorgersi che quel nostro mondo, infondo, non era così diverso da quello raccontato dalle sacre scritture. E tuttavia queste ultime sono di fondamentale importanza per capire la pastorizia e il rapporto che l’uomo aveva con la pecora nel suo viaggio per la sopravvivenza. “Due uomini erano nella stessa città - racconta la Bibbia -
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Samuele 2,12-2 - uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina, che egli aveva comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era per lui come una figlia”. Samuele parla della povertà dell’uomo che possedeva una sola pecorella, addirittura piccina, ma la presenta come una vera ricchezza, in quanto convivente nella famiglia. Una ricchezza che dipendeva anche dal valore intrinseco dell’animale, capace non solo di apprezzare la compagnia dell’uomo ma di soddisfare molte sue necessità. Siamo soliti pensare che gli animali allevati, le pecore ma anche capre e vacche, siano specializzati alla produzione di carne e latte. In effetti oggi è così, tanto che, se facciamo riferimento alle bovine, i generi di allevamento sono due:
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LA FORMA DEL LATTE da carne o da latte. Gli studi della genetica e la sua applicazione hanno fatto notevoli progressi, più o meno condivisibili, tanto che le razze sono state modificate per adattarle a una specifica funzione. Infatti gli animali da latte non hanno alcuna resa in carne e le razze da lavoro, capostipiti di molte razze moderne, non esistono più. La duplice o triplice funzione degli animali è quindi scomparsa.
Anche le interiora della pecora trovano largo impego in cucina, ne rimane traccia nelle ricette tradizionali soprattutto del Sud d’Italia, come l’abbuoto fatto con diversi tipi di frattaglie e cotto sulla brace
Se poi si pensa alla pecora, simbolo antico che abbracciò insieme ai pastori, la nascita del Messia, oggi non sono note le molteplici funzioni che questo umile e povero animale possedeva. L’unico bene che viene riconosciuto all’ovino è il formaggio, il pecorino. Per fortuna è ancora prodotto in Italia questo nobile e biodiverso formaggio, perché alla pastorizia è stato tolto molto. E così, come i pastori vagavano nelle desolate terre della Palestina, anche oggi le pecore camminano
La lana e il vello dell’agnello che si ottengono con la tosatura, quando non vengono regalati rappresentano per l’allevatore un rifiuto speciale e quindi un costo per lo smaltimento dalla valle alla montagna o nella piatta pianura accontentandosi della poca erba che trovano sul ciglio della strada o sull’argine del canale dove, passando lasciano pulito e concimato il suolo. Un tempo era un animale sul quale si poteva contare davvero per la sua multifunzionalità, era un bene primario in quanto concedeva risorse importantissime. L’avvento dei tessuti sintetici ha dato il colpo di grazia alla primissima funzione della pecora, la lana. Un bene che veniva utilizzato per gli indumenti dell’uomo e della donna, che la lavoravano sapientemente e spesso la pigmentavano con i frutti della natura. E non costava nulla averla era la prima risorsa dell’animale vivo, la seconda, considerata tale, era il latte, determinante per la crescita dell’agnello e che, come la lana, non comportava alcuna fatica all’uomo se non l’atto della mungitura. Quindi dall’animale vivo le risorse erano lana, agnello e latte. Oggi è rimasto, per la pastorizia italiana solo il latte. Dall’animale macellato, si consumava la carne, e non si buttavano neppure le ossa e le corna dalle quali si ottenevano piccoli oggetti da lavoro. Ciò che rimaneva erano le interiora, delle quali una buona parte era utilizzata come alimento. Si pensi all’abbuoto, fatto
La pastorizia non è sparita del tutto, lungo gli argini dei grandi fiumi è ancora abbastanza frequente incontrare greggi che svernano grazie alla vegetazione invernale
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LA FORMA DEL LATTE
Ancora oggi le pecore si accontentano di spazi abbandonati e secondari per la vita dell’uomo come pascolo
Gli animali da latte non hanno alcuna resa in carne e le razze da lavoro, capostipiti di molte razze moderne, non esistono più. La duplice o triplice funzione degli animali è scomparsa con diversi tipi di frattaglie e cotto sulla brace. Sempre dalle interiora si sfruttava l’abomaso, il quarto stomaco dell’agnello, che contiene gli enzimi determinanti per la coagulazione del latte. Veniva salato, essiccato e triturato proprio per lo scopo caseario, oppure utilizzato per fare otri. Le restanti viscere venivano lasciate sul terreno e consumate del tutto dagli animali selvatici, i corvi, le cornacchie, le gazze, e pure i cani al seguito delle greggi. Della pecora non rimaneva nulla, proprio nulla, tutto consumato e riciclato. Oggi all’insegna dello spreco tutto ciò è impossibile. Una delle più importanti necessità, per il benessere
Molto scarto si ha anche con il prodotto finito. La crosta del formaggio ad esempio non è edibile, pochi produttori, la dichiarano tale, e se pensiamo che per alcun formaggi il volume della superficie esterna può raggiungere anche il 18% del volume complessivo della forma lo spreco è evidente
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della pecora, è la tosatura. Il pastore deve provvedere in primavera a liberare il vello dalla lana, incaricando specialisti spesso provenienti dalla Nuova Zelanda. E la lana? La lana quando non è regalata diventa un rifiuto speciale, e quindi un ulteriore costo per lo smaltimento. Anche il vello dell’agnello, se non è richiesto è un rifiuto speciale. Un tempo veniva usato per indumenti, calzature, suppellettili per la casa. La carne della pecora è sottoutilizzata, il suo gusto non è molto apprezzato dal consumatore che già fatica ad associarla al prodotto della tradizione abruzzese, l’arrosticino. Le carcasse delle pecore non hanno scampo sono un rifiuto da smaltire. E non è tutto, oggi non si può consumare neppure la crosta del formaggio, nessuno, o pochi produttori, la dichiarano edibile. La crosta appagava non solo il gusto del consumatore ma anche la sua fame, visto che in alcuni casi il volume della superficie esterna può raggiungere anche il 18% del volume complessivo del formaggio, si immagini lo spreco. Dalla produzione del formaggio ne deriva il siero e la scotta che un tempo erano riciclati completamente, essendo carichi di proteine, sali minerali e pochi grassi, per l’alimentazione degli animali, le stesse pecore e i maiali. Oggi vengono spesso dispersi nell’ambiente e seppure si tratti di sostanze organiche le normative le considerano rifiuti speciali. È ridondante affermare che viviamo nell’era dello spreco, ma è meglio ripeterlo che tacere. Utilizzare dunque come un tempo? Si, certo, con le attuali conoscenze e cultura non dovrebbe poi essere così complicato. Dall’antica pastorizia potremo tornare al riutilizzo, come una sorta di spirale che porta all’esaurimento di tutto ciò che consumiamo, così come l’erba ingerita dalle pecore diventa sangue e il sangue diventa latte e poi formaggio, così come la pecora che appariva povera ma era ricca. Della pastorizia quindi rimane la povertà, l’umiltà del pastore e delle sue pecore.
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INGIROPIEDANDO a cura della redazione
SETTE PERCORSI PER INTEGRARE IL TURISMO Lo scorso 8 novembre si è tenuto presso l’Ortomercato di Brondolo un convegno per presentare il Radicchio di Chioggia come driver per lo slow turism
Le principali ciclovie che attraversano il Nord Italia hanno come terminal l’area della Laguna Sud e del Delta del Po. I sette percorsi del Radicchio di Chioggia Igp costituiscono un collegamento tra queste e un prolungamento verso le aree più interessanti
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gricoltura e turismo, un binomio che può fare crescere l’economia della Laguna Sud e del Delta del Po. È stato questo il tema del convegno “Gli itinerari del Radicchio di Chioggia IGP” che si è tenuto lo scorso 8 novembre all’Ortomercato di Chioggia, per illustrare i risvolti del progetto che porterà alla realizzazione di sette percorsi ciclabili all’interno dell’area di produzione del celebe “Principe Rosso”. “Il turismo lento - ha spiegato Elena Viani, ricercatrice dell’Università di Bergamo, redattrice del “Primo rapporto sul Turismo Enogastronomico in Italia 2018” - è uno dei fenomeni maggiormente in crescita in questi ultimi anni e i prodotti tipici sono stanIl presidente del Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia no diventando dei punti Igp, Giuseppe Boscolo Palo di riferimento per l’individuazione delle destinazioni. Erano il 21% tre anni fa quelli che per nelle loro vacanze inserivano la visita di musei del gusto, l’escursione lungo le strade del Vino o il soggiorno in agriturismo, sono diventati il 48% nel 2018”. E l’area di produzione del Radicchio di Chioggia Igp è perfetta per diventare una di queste destinazioni. Il fascino della Laguna Sud e l’unicità naturalistica del Delta del Po sono valori poco sfruttati dal turismo balneare e per questo il turismo rurale, quello naturalistico e il cicloturismo possono contribuire nell’integrare le presenze e gli arrivi degli attuali centri turistici. Il turismo rurale e più in generale quello culturale, inoltre,
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Tra i relatori del convegno, oltre al Presidente del Consorzio di tutela, Giuseppe Boscolo Palo, Elena Viani, redattrice del “Primo rapporto sul Turismo Enogastronomico in Italia 2018; il vicepresidente della Regione Veneto Gianluca Forcolin; l’assessore al Turismo del Comune di Chioggia Isabella Penzo e il vicesindaco del Comune di Rosolina Daniele Grossato
possono rappresentare anche una concreta opportunità per aumentare la spesa media del turista. I dati contenuti in “Analisi del Sistema turistico del Veneto: la domanda, l’offerta, l’impatto economico, sociale e ambientale. Nov. 2018”, informano che la spesa più bassa si riscontra per la vacanza al mare (circa 67€ al giorno) mentre le vacanze per cui giornalmente si spende di più sono quelle culturali (134€ al giorno) e enogastronomica o green (circa 132€). In questo tipo di viaggi, inoltre, si evidenzia un maggiore coinvolgimento delle classi centrali della vita con una prevalenza della mezza età: circa il 20% ha 25-34 anni, il 30% ne ha 35-44 e quasi il 40% è tra i 45 e i 64 anni. È questa la fetta che potrebbe essere ampliata, proponendo al turista non solo le località più rinomate, ma attirandolo verso le altre preziose e molteplici destinazioni di cui l’area di produzione del Radicchio di Chioggia Igp è punteggiata.
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TORTELL AIO MATTO
PASTA FAT TA A… La produzione è “su misura” sia per i ristoranti che per le botteghe, con forniture già in porzioni e paste ripiene pastorizzate e in ATM per gestire meglio le scadenze, e per le famiglie, perché qui ogni ricetta trova l’entusiasmo per il gusto della genuinità e la certezza del prodotto fresco
Le mille e una sfoglia… preparate con solo uova fresche e farine di altissima qualità, impastate e tirate a mano, farcite con i migliori ripieni di stagione preparati come a casa PASTE RIPIENE, PER PRANZI E CENONI La pasta fresca ripiena è immancabile sulla tavola natalizia. Sia che stiate preparando il pranzo di Natale che la cena della Vigilia il Tortellaio Matto propone dai classici tortellini ripieni di carne, parmigiano, crudo e mortadella, alle caramelle o i tortelloni ripieni di baccalà, radicchio, zucca, formaggio Piave, cavolo nero. Oppure la pasta al forno, i tortelloni, le crespelle preparate con zucca, formaggi o i funghi pioppini, basta riscaldarli e sono pronti da portare in tavola. Non il classico take away ma il sano gusto di mangiare slow, prodotti di qualità
LE NOSTRE PROPOSTE • PASTA TRAFILATA: Bigoli, linguine, maccheroncini, caserecce, bigoli mori (con farina macinata a pietra), spaghetti alla chitarra • PASTA LAMINATA: Tonnarelli, papardelle, tagliatelle, taglioni, tagliatelline da brodo • PASTA COLORATA: Nero di seppia, Cacao, Pasta verde (spinaci, basilico, prezzemolo), Pasta rossa (bietola, pomodoro, peperoncino) • GNOCCHI: In diversi sapori. Di patate, di zucca, con le patate americane, con scamorza • SUGHI: All’amatriciana, al pomodoro, alla puttanesca, all’arrabbiata. Ragù alla bolognese, d’anatra, di cinghiale
“Lavoriamo per assecondare ogni richiesta, lavoriamo ogni giorno perché sulla vostra tavola arrivino solo prodotti freschi” DOVE TROVARCI Tutti i prodotti possono essere acquistati presso il punto vendita di via I Maggio, 57 a Boara Pisani, tutte le mattine dalle 8.30 alle 12.30 e dal giovedì al sabato anche al pomeriggio con orario dalle 16.30 alle 19.30 e presto anche on-line visitando il sito: www.iltortellaiomatto.it Aperto anche la domenica dalle 9.00 alle 12.30, Il laboratorio è sempre operativo per ordini e prenotazioni.
IL TORTELLAIO MATTO Sas via I Maggio, 57 - Boara Pisani (PD) - Cell. 345 1060541 www.iltortellaiomatto.it - info@iltortellaiomatto.it - Seguici su Facebook e Twitter per tutte le novità
LA CUCINA DI Q.B. di Anna Maria Pellegrino
IL KRINGLE ESTONE,
IL DOLCE DEGLI AUGURI CHE ARRIVA DAL NORD Il Kringle è un dolce molto diffuso in tutto il Nord Europa, dove pare sia arrivato nel XIII secolo dal Mediterraneo, portando con sé i profumi delle spezie, e conquistando subito le dispense di Norvegia, Svezia e Danimarca. La parola Kringle in norvegese significa “chiocciola” anche se si possono trovare normalmente in commercio Kringla (al plurale) a forma di pretzel o di ferro di cavallo.
KRINGLE Difficoltà: media
Preparazione: Cottura: 30 minuti 30 minuti più lievitazione
INGREDIENTI per la pasta • 200 g di farina 00 • 100 g di farina di manitoba • 5 g di lievito di birra secco • 120 ml di latte intero a temperatura ambiente • 50 g di burro a temperatura ambiente • 50 g di miele di acacia • 1 uovo a temperatura ambiente • un pizzico di sale INGREDIENTI per la farcia • 80 g di burro a temperatura ambiente • 80 g di zucchero di canna • 60 g di uvetta sultanina • 30 g di noci • 30 g di nocciole • 1 cucchiaio raso di cannella • 3 semi di cardamomo • 1 uovo • 1 cucchiaio di latte • zucchero a velo per la finitura
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In una planetaria con la frusta a gancio oppure in una ciotola impasta tutti gli ingredienti a temperatura ambiente per 10’, aggiungendo verso la fine il sale così da non rendere inattivo il lievito, fino ad ottenere una palla tonda e liscia. Trasferisci l’impasto in una ciotola, coprilo con pellicola e lascia lievitare per almeno 2h o fino al raddoppio. Stendi l’impasto con un matterello, così da ottenere un rettangolo di circa 35x25 cm, distribuisci spalmandolo il burro morbido, spolvera con lo zucchero mescolato alle spezie e termina con l’uvetta (ammollata per 10’ in acqua tiepida e ben strizzata), noci e nocciole tritate al coltello. Arrotola strettamente l’impasto, partendo dal lato più lungo, taglialo a metà (come fosse un paio di pantaloni) ed arrotola i due capi come fosse una treccia. Unisci le due estremità dando una forma di cerchio, posiziona il kringle sopra una teglia coperta da carta forno, avvolgi con pellicola e lascia lievitare per almeno un’altra ora o fino al raddoppio. Accendi il forno statico a 180°, spennella la superficie della treccia con l’uovo sbattuto con il latte e cucina per 30’ o fino alla doratura della treccia. Fai raffreddare sopra una gratelle e servi Il Kringle spolverato di zucchero a velo.
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Lo spirito enologico del Natale
Pranzi, cene e cenoni sono momenti fondamentali delle Feste di Natale. Rappresentano la famiglia che si riunisce attorno ad un tavolo, la gioia di condividere momenti di allegria con gli amici, un rito che trasmette positività e sentimento. L’abbondanza è garantita da una tradizione gastronomica che da luogo a luogo esige i suoi piatti e le sue preparazioni piene di gusto e sapori a patto, però, che trovino l’esatto compendio enologico. E la Cantina Colli Euganei di Vo’ con la sua vasta scelta di bottiglie è in grado di assecondare qualsiasi esigenza: dall’antipasto al dolce.
ANTIPASTI
LASAGNE
RISOTTO
TORTELLINI
Due vini immagine del territorio, con i loro brio dato dalle bollicine accompagnato da tenui profumi, sono perfetti per antipasti leggeri o a base di pesce
Con i primi piatti della tradizione, due vini altrettanto tipici delle nostre tavole: due rossi rubini vivaci e speziati per alleggerire carboidrati e besciamelle
Per rispettare la delicatezza di risotti alla veneta o con i funghi un vino dal profumo intenso e aromatico di frutta fresca, asciutto e di buona intensità gustativa
Con i sapori aristocratici delle paste in brodo, anche quello di cappone, un vino bianco di alto lignaggio, ma docile con i sapori, gradevole e morbido
Serprino Brut Fior d’Arancio secco
Merlot Biologico Cabernet Doc
Pinot Grigio
Bianco Doc
N OTTE DI
G ALILEO GRAPPA BARRIQUE
G R A P PA
BARRIQUE INVECCHIATA Prodotta e imbottigliata per CANTINA COLLI EUGANEI SCA da U.B. S.p.A. nello stabilimento di Mestrino (PD) ITALIA
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Codice Accisa: IT00PDA00024N
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BOLLITO MISTO
ARROSTI
DOLCI
FINE PASTO
Il piatto forte di ogni banchetto va accompagnato con un vino dinamico, brioso e strutturato grazie ad un affinamento di sei mesi e passaggio in botte grande
Tre assi della Cantina Colli Euganei, vini dalla struttura decisa ed equilibrata. Il Notte di Galileo è un “taglio bordolese” con passaggio di 15-18 mesi in barriques di rovere pregiato
Per i dolci più tipici del Natale serve il grande classico dei Colli Euganei, magari in versione biologica, mentre per la biscotteria la proposta cade su una sicurezza: il Passito
Per chiudere ogni banchetto con la giusta nota di spirito
Merlot Rialto
Notte di Galileo Chardonnay Rialto Cabernet Sauvignon Palazzo del Principe
Fior d’Arancio Biologico Fior d’Arancio Passito
Grappa Notte di Galileo Grappa Fior d’Arancio
la vendita è anche on-line
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LA RICETTA DELLO CHEF di Piergiorgio Siviero del ristorante Lazzaro 1915 di Pontelongo
PASTA DI CASTAGNE RIPIENA CON RAGÙ DI RIGAGLIE D’OCA, MELA COTOGNA E GRASSO DI MONTE, CICCIOLE CROCCANTI
È
in arrivo il Natale: un tempo di Feste, ma anche di rigidità invernali. Una stagione dell’anno in cui la tavola diventa particolarmente importante per ritrovarsi e condividere i momenti di gioia, ma anche per assecondare i nuovi gusti portati dalla nuova stagione. Il ristorante Lazzaro 1915 propone una ricetta che coniuga quasi tutti i sapori più tradizionali del-
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la stagione invernale: dall’oca alle castagne e dalla mela cotogna alle cicciole. Una ricetta che i ricorda gli antichi sapori del passato contadino di questa terra, ma che nella creatività degli accostamenti fa emergere l’intelligenza e la mano di uno dei più grandi chef veneti: Piergiorgio Siviero.
LA RICETTA DELLO CHEF
LA RICETTA DELLO CHEF PER L’IMPASTO In un tavolo di marmo porre le farine “a fontana”, i tuorli al centro ed impastare energicamente per 10/15 minuti. Coprire con un panno e far riposare almeno un ora.
Difficoltà: media
Preparazione: 1 ora e 1/2
PER LA MELA COTOGNA: Cuocere 2 mele in forno a 180°C per 1 ora. Pelare e tritare le polpe. Setacciare. Cottura: PER IL RIPIENO DI RAGÙ ASCIUTTO: 6 minuti Lavare le verdure e tagliarle a mirepoix. Porre in una casseruola coperta con 100ml d’acqua e far stufare per 30 minuti fino ad assorbimento totale del liquido. Porre la carne d’oca e le sue frattaglie che avremmo tagliato in bocconcini. Rosolare a fuoco vivo, sfumare poi con il vino ridotto e coprire infine con 2 litri di brodo d’oca o acqua. Aggiungere gli aromi. Salare. Far cuocere coperto fino a completa asciugatura. Togliere dal fuoco e tritare finemente. Aggiungere la polpa cotta di mela cotogna e il grasso di monte tagliato a cubetti piccolissimi. Regolare di sale la farcia se necessario. PER LE CICCIOLE: Tagliare a cubetti di 1 cm di lato. Cucocere in forno a 185°C per 30 min. Scolare il grasso e asciugare bene. Tritare nuovamente fino ad ottenere una polvere grossolana. PER IL FONDO DI COTTURA: Lavare le verdure e tagliare il tutto a mirepoix. Stufare a fuoco dolce. In un’altra casseruola, tostare le ossa precedentemente spaccate a pezzettini piccoli. Scolare il grasso in eccesso e unire con le verdure. Coprire con acqua ghiacciata, far bollire dolcemente, schiumare continuamnete dalle impurità. Ridurre fino ad ottenere un liquido denso e cremoso. Filtrare con una garza. Mantenere a caldo. PER IL CONFEZIONAMENTO: Tirare la pasta sottile. Tagliare dei rettangoli di 20 cm di lunghezza e 4 cm di larghezza. Farcire, sigillare e arrotolare le corone di pasta ripiene. Cuocere in acqua bollente e salata per 6 minuti. Saltare in padella con burro arrostito e sfumare con l’aceto di mele. Porre in una fondina, nappare con la sua salsa, il fondo di cottura e le cicciole croccanti. Finire con dragoncello spezzato.
INGREDIENTI per l’impasto • 350 gr di semola rimacinata di grano duro • 150 gr farina di castagne • 300 gr tuorlo d’uovo INGREDIENTI per la mela cotogna • 2 mele cotogne non trattate (300 gr frutta cruda) • Grasso di Monte 100 gr INGREDIENTI per il ripieno di ragù asciutto • 300 gr cosce d’oca disissate e private della pelle • 140 gr durelli d’oca puliti • 70 gr fegati d’oca puliti • 70 gr cuori d’oca puliti • 80 gr cipolla bianca • 50 gr porro • 40 gr sedano bianco • 40 gr sedano rapa • 30 gr patata pasta bianca • 2 spicchi d’aglio privati dell’anima • 5 foglie di limone • 20 bacche pepe nero Sarawak • 1 litro di vino rosso Cabernet Sauvignon ridotto per metà • 10 gr sale INGREDIENTI per le cicciole • 300 gr di pelle d’oca INGREDIENTI per il fondo di cottura • 1 kg ossa d’oca • 100 gr carote • 100 gr cipolla bianca • 80gr sedano verde • 80 gr pomodorino datterino • 80 gr finocchio • 80 gr porro • 15 steli prezzemolo • 10 foglie alloro • 10 bacche pepe Sichiuan ALTRI INGREDIENTI • 80 gr burro di malga • 40 ml aceto di mele • 10 gr dragoncello fresco
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LA RECENSIONE di Renato Malaman
All ’Osteria dal Nonno
I PIACERI DI UNA VOLTA Il locale di Legnaro, affacciato sulla “Piovese”, propone una schietta cucina di tradizione dove la carne - declinata in più modi - e la pasta fatta in casa esprimono anche passione per il territorio
?
PERCHÉ
Recensione
Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta
C
arne, tanta carne. Declinata in più modi, da cuocere alla griglia in tanti tagli diversi o da sminuzzare cruda per farne della tartare. Carne bella da vedere e buona da mangiare. Fabio Schiesari la sua scelta l’ha fatta e i risultati sembrano dargli ragione: l’Osteria dal Nonno di Legnaro, affacciato lungo la Sr 516 Piovese, è un locale che lavora - è proprio il caso di dire - a ritmo continuo, senza fermarsi mai. Sette giorni su sette. Tovaglie a quadretti bianchi e rossi, grande focolare sempre acceso, lavagne alle pareti e un grande scaffale ricco di bottiglie di vino. Osteria vera, insomma, come l’iconografia tradizionale comanda. Un luogo che invita a sedersi e scambiare due parole anche con il personale di sala. Non sorge in un luogo qualsiasi l’Osteria dal Nonno: era in origine il ristorante di Baretta, aperto da Toni Baretta, imprenditore che a Legnaro è ancora un personaggio nel mondo della ristorazione. Fabio Schiesari e i suoi ragazzi - che il ristorante lo hanno rilevato dopo un paio di altre gestioni - gli hanno semplicemente cambiato l’anima, trasformandolo in un’osteria. Un’osteria di stile contemporaneo, ma “calda” e ricca di tentazioni, che Schiesari ha posizionato in un segmento di mercato medio, per tutte le tasche. Per dirla in altre parole, con uno scontrino medio sui 30 euro. Di Osteria dal Nonno (nonno che esisteva davvero: è Francesco Chellin, l’ex oste del bar davanti al liceo di Piove di Sacco, che poi ha gestito il locale di Legnaro fino a due anni fa) colpiscono l’atmosfera semplice e accogliente, nonché il “ritmo” e il dinamismo che c’è fra i tavoli. In cucina Carmine Giovinazzo (ex “Meridiana”, locale stellato di Piove di Sacco ora chiuso) sa tenere ritmi alti. Certo è meglio arrivare quando in sala c’è un po’ di calma. La sosta lo merita. Ai calici pensa Riccardo Manfrinato, un ragazzo uscito dall’Alberghiero Adria: se non si è ‘abbonati’ allo sfuso, Riccardo sa presentare bene la variegata proposta di etichette in carta, tra le quali non mancano alcuni must, specie fra le bollicine
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Un’osteria di stile contemporaneo, ma “calda” e ricca di tentazioni
LA RECENSIONE Dalla carta dei vini spiccano quelli di buon lignaggio dei Colli Euganei
italiane d’autore e i grandi rossi. Accanto alla carne alla griglia (i tagli vengono eseguiti direttamente da Giovinazzo) non si possono trascurare i bigoli cacio e pepe, la versione veneta dei pici cacio e pepe toscani. La pasta è fatta in casa e si sente. Piatto gustoso e - come tutti gli altri in menu - dalle proporzioni generose. Buoni anche i risotti, preparati con gli ingredienti di stagione. In questo periodo, dopo i funghi, arriva la zucca. Se si sceglie la tartare, questa viene preparata al momento, davanti al cliente, con l’aggiunta degli aromi che si preferiscono. Anche il baccalà recita la sua parte, sia mantecato che alla vicentina in bianco. E fra i dolci dà spettacolo il tiramisu “a sece” (a secchi): una tradizione di questo locale che - va ribadito - in quanto a porzionatura dei piatti è decisamente generoso. Va detto che la stagionalità della proposta più che una regola dal “Nonno” è una necessità, perché tanta clientela è fidelizzata e bisogna preoccuparsi di stimolarla sempre con qualche piatto nuovo. C’è in ogni caso tanta tradizione veneta nel menù. Come nelle sarde in saor, negli gnocchi al ragù d’anitra o nel filetto d’oca. Prezzi: antipasti sugli 8 euro, primi sui 9 e secondi sui 15-16. Anche nella carta dei vini spicca qualche buon frammento del territorio. Colli Euganei specialmente, ben rappresentati da vini di buon lignaggio, come il pluripremiato Gemola di Vignalta (proposto a 32 euro). Nel complesso una sosta piacevole e un’esperienza gustativa che riporta gradevolmente indietro nel tempo con semplicità. Fabio Schiesari e i suoi collaboratori ci mettono passione e impegno senza risparmiarsi mai. Magari prima o poi arriverà anche il tempo in cui l’Osteria dal Nonno si concederà un meritato turno Fabio Schiesari e il suo staff in compagnia di chiusura alla settimana… di Renato Malaman
La Pagella
di Con i piedi per terra
⊲ Uso di materie prime del territorio
⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività ⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo
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Un “ecopensiero”
IL PANORAMA GASTRONOMICO di Mario Stramazzo
NATALIZIO Il Natale è una festa di luce, ma anche di tanti sprechi, soprattutto alimentari. Il “Premio Vivere a Spreco Zero” 2019 ha premiato molte realtà italiane che stanno letteralmente aprendo nuove strade per il consumo sostenibile
A
l gran pranzo di Natale manca ormai poco e se fino a qualche anno fa, in questo ultimo tempo dell’anno, la frenesia all’acquisto arrivava a procurare persino crisi ansiogene, cibi, vini e leccornie comprese, da mettere in tavola nel giorno dedicato a Gesù Bambino, oggi, le crisi ansiogene magari si scatenano perché nelle tasche della maggior parte degli italiani ci sono sempre meno contanti, e non solo per colpa di tessere bancomat, carte di credito e tracciabilità. A ciò, non dimenticando la forma fisica ad ogni
Nella categoria Imprese ha vinto il Premio Vivere a Spreco Zero 2019 la FIPE, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, per il capillare impegno nella prevenzione degli sprechi focalizzato sul settore della ristorazione, con 35mila bag di recupero pasti consegnate in un anno
costo, va aggiunto un sempre più pressante e comune sentire determinato dall’attenzione per l’ambiente. Un ecopensiero, se è permesso il neologismo, che pian piano sta imbrigliando anche le voglie gastronomiche più irrefrenabili. Quelle, per capirci che possono assalire ogni buon palato davanti ad un plateau di tartufi, un vaso di porcini sottolio, un coscio di animale selvatico brandito da un beccaio tentatore, un raro e pesante dentice gibboso pescato all’amo, offerto dal fido pescivendolo che magari propone pure una ricca confezione di ostriche di Bluff. O ancora, uno scintillante cesto di dolci leccornie, con tanto di bottiglie di Champagne e ricercati Metodi Classici italiani. Insomma un trionfo di gusti e sapori frutto di chilometri e chilometri di viaggio compiuti per arrivare alla nostra attenzione prima di, e se, finire in tavola, che fanno segnare su un ipotetico registro dei conti della spesa già il primo costo assai rilevante. Ma stiamo parlando di un atteggiamento da era consumistica, di un’epoca da collocare alla fine del secondo millennio, perché oggi invece è proprio la riduzione degli sprechi un valore da tenere in considerazione. Un cambio di passo non solo formale ma anche sostanziale se è vero, come è vero, che il Premio Vivere a Spreco Zero, giunto alla settima edizione, ha fatto registrare un numero di partecipanti che sono andati ben oltre le attese, interessando: enti locali, associazioni di categoria, scuole e associazioni. E allora per fare qualche nome partiamo dal comune di
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IL PANORAMA GASTRONOMICO Torino, che si è aggiudicato il premio Vivere a Spreco zero edizione 2019 per il supporto capillare alle iniziative di prevenzione e riduzione degli sprechi alimentari, o la Sardegna, alla quale è stata riconosciuta la menzione d’onore per aver contribuito alla prevenzione dello spreco alimentare attraverso il progetto consolidato di mense sostenibili in 75 Comuni, con iniziative di educazione alimentare e sensibilizzazione e con il supporto degli enti locali per l’acquisto di prodotti bio, di stagione e di filiera corta. E ancora: nella categoria Imprese ha vinto il Premio Vivere a Spreco Zero 2019 la FIPE, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, per il capillare impegno nella prevenzione degli sprechi focalizzato sul settore della ristorazione, con 35mila bag di recupero pasti consegnate in un anno in 875 ristoranti di 22 città italiane (Aosta, Torino, Genova, Varese, Bergamo, Mantova, Vicenza, Pordenone, Ferrara, Firenze, Grosseto, Ancona, Ascoli Piceno, Chieti, Roma, Rieti, Foggia, Catania, Palermo, Ragusa, Cagliari e Sassari). Ristoranti ancor di scena, poi, grazie alla menzione a ENIservizi per il progetto sui servizi di ristorazione nel segno della sicurezza alimentare, della stagionalità dei prodotti, della prevenzione degli sprechi e sensibilizzazione all’economia circolare. Per la categoria Prevenzione sprechi Ortofrutta si è distinta AFE, Associazione Frutticoltori Estensi Ferrara, per l’adozione di una tecnologia altamente innovativa che consente di commercializzare lungo tutta la filiera, e di gestire poi nelle case, in modo ottimale la frutta con lo stesso grado di maturazione, evitandone lo spreco. Per la ca-
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Natura Sì ha fatto suo il premio della categoria No Plastic Food&Drink con un progetto di erogazione idrica plasticfree per un risparmio di quasi 1 milione e 300 mila bottiglie di plastica e una diminuzione di oltre 190 tonnellate di CO2 tegoria Scuole ha vinto il progetto Mense Scolastiche del Comune di Caggiano (Salerno). Per la categoria legata alla Cittadinanza Attiva, il Premio 2019 va all’Associazione Assffron di Trento e nella categoria No Plastic Food&Drink si è imposta Natura Sì per il progetto di erogazione idrica plasticfree per un risparmio di quasi 1 milione e 300 mila bottiglie di plastica e una diminuzione di oltre 190 tonnellate di CO2 equivalente nell’atmosfera. Infine, nella categoria InnovAction il Premio Vivere a Spreco Zero va alla Piattaforma pugliese Avanzi Popolo 2.0 Bari, ideata per condividere le eccedenze del cibo fra privati e il recupero delle eccedenze di imprese ed eventi. Insomma un variopinto mondo di consumatori che stanno letteralmente aprendo nuove strade per il consumo e chissà che a fianco della ricerca della qualità, un altro motivo di scelta non possa essere quello della sostenibilità, anche per chi i suoi pranzi e cenoni li trascorrerà al ristorante con l’auspicio che tutti si possa avere l’accortezza di ordinare non con gli occhi, ma con il sano appetito.
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AZIENDA AGRICOL A
Fontolan Per le feste, e non solo, le migliori carni allevate e preparate in azienda. Al bancone varietà, cortesia e i tanti consigli per portare in tavola i gusti genuini della tradizione
Il Natale è la festa della famiglia che si riunisce, per tradizione, attorno ad una tavola imbandita. Il cibo fa parte dello stare assieme, è la nota che sottolinea la Festa: per questo è importante che i piatti siano di grande qualità. All’Azienda Agricola Fontolan qualità significa natura, rispetto dei cicli di allevamento, attenzione nelle lavorazioni per carni morbide e gustose, un risultato che qui si ottiene con il massimo controllo su tutta la filiera, dalla terra al piatto del consumatore.
“Le nostre carni sono ottenute da “sorane” di razza charolaise francese, carni tra le più tenere, dalla grana fine e con pochissimo grasso di copertura” L’azienda aderisce al disciplinare di Unicarve per l’allevamento a cereali. Benessere degli animali, pulizia e filiera sicura attestano il marchio “Carne di qualità”
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LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman
L’ASINO MALGRADO LE BASTONATE, RIMANE AMICO DELL’UOMO
San Francesco ne ha tramandato la presenza umile in tutti i presepi, tuttavia l’asino è stato un’animale da fatica vilipeso e maltrattato per diventare, in anni recenti, prezioso collaboratore dell’uomo in programmi di interesse sociale ed economico, dal Pet Therapy al turismo a dorso d’asino, dall’Onoterapia alle fattorie didattiche. È cambiato lui o siamo cambiati noi?
N
ei giorni di vacanze scolastiche, passati nella casa materna costruita lungo la strada che porta alle “Valli de mejaìn”, ospite di mia zia Ester, venivo svegliato di buon’ora da un rotolare lento di cerchioni metallici che schiacciavano e proiettavano ai lati della strada la ghiaia con un rumore stridente. Era una teoria di carretti, trainati da asini, che si portava lentamente dal centro alle valli per coltivare la “Parte de vale” assegnate dal comune ai poveri del paese. Avvicinandomi alle fessure del balcone osservavo che ogni traino era composto dall’asino, dal carretto, da due persone (marito e moglie) sedute con le gambe penzoloni che, per lo sguardo perso nel nulla di una vita grama e per le vesti grigio scuro, sembravano più vecchie della loro età. Sul carretto due zappe consunte dal contatto con la dura terra delle Valli e, appesa al carretto dalla parte dove non batteva il sole mattutino, una sporta di paglia da dove uscivano i colli di due bottiglioni tappati con un torsolo di granoturco (el castelòn). In uno acqua fresca, nell’altro un vino più simile alla “graspìa” che a quello che degustiamo oggi. E dentro la sporta, avvolte in un tovagliolo, poche fette di polenta abbrustolita e del salame ormai rancido
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data la distanza dall’inverno e la mancanza di frigoriferi. Una volta giunti all’appezzamento loro assegnato (un “quartiero”, nemmeno 1.000 mq), sistemavano l’asino all’ombra a brucare l’erba del fosso, mettendo all’ombra anche la sporta con il pranzo del giorno e, marito e moglie, si mettevano a zappare il granoturco da poco germogliato. Fino a sera, per poi fare ritorno lentamente alla povera casa sulla strada che l’asino ormai conosceva a memoria, tanto che non bisognava guidarlo con le redini. È un’immagine che ricordo con
LA MEMORIA DI CARTA
La pet-therapy è entrata prepotentemente tra le nuove attività previste dalla legge sull’agricoltura sociale, dove l’asino è parte integrante di un percorso curativo diventando un vero e proprio amico dei malati
grande tristezza di un tempo fortunatamente passato! Giunti nella povera casa, una volta staccato il carretto sotto il piccolo portico, l’asino entrava dalla stessa porta dei padroni per sistemarsi nella stanza-stalla sotto il fienile, mentre i padroni occupavano l’altra stanza dalla parte opposta, sotto la camera da letto. I due locali erano uguali, e anche il pavimento delle due stanze era uguale: in terra battuta. Era tutto quello che avevano, assieme al carretto e alle zappe, e a quelle pannocchie di granoturco che sarebbero cresciute e maturate nella “Parte de vale” loro assegnata, con le quali avrebbero ricavato farina gialla per farsi la polenta tutto l’anno. E mangiavano poco altro: qualche gallina troppo vecchia per fare uova, e perciò buona per il brodo, e qualche salame ricevuto in cambio di lavoro nei campi del proprietario terriero o fittavolo vicino. Passavano gli anni e l’asino invecchiava e bisognava sostituirlo con uno più giovane così, dopo l’uccisione, si vendevano parte delle carni e la pelle da concia per contribuire all’acquisto del nuovo animale. Le carni rimaste venivano cotte a lungo con aromi dell’orto, per consumarle con la polenta, chiamando ancora una volta per nome il docile servitore finito nel piatto. Un’altra parte veniva Dopo un periodo in cui l’asino ha rischiato l’estinzione, perché non più necessario in agricoltura, è tornato ad essere prezioso collaboratore dell’uomo in programmi di interesse sociale ed economico, e la sua crescita demografica è in netta controtendenza rispetto agli altri animali della fattoria, segnando il record di + 337 % in Italia negli ultimi 10 anni (dati Coldiretti), con oltre 60.000 capi stimati
L’asino ha dato molto nel passato rurale di questa terra. Da piccolo faceva compagnia ai bambini, da adulto veniva impiegato nei campi e nei trasporti stradali, concimava la terra con il suo letame, l’asina dava il suo prezioso latte e, dopo la sua dipartita, nutriva il suo padrone insaccata con carne di maiale per fare dei saporiti e sodi “Salàdi de musso”, che secondo me dovrebbero essere presenti nel menù delle sagre locali assieme alla ottima e tradizionale “Carne de musso”. È stato, senza che gli venissero riconosciuti i meriti, un’animale generoso e multifunzione. Da piccolo faceva compagnia ai bambini tanto che è stato inserito nel presepe vicino al Bambino Gesù. Da adulto lavorava nei campi e nei trasporti stradali, concimava la terra con il suo letame, l’asina dava, e da, il suo prezioso latte e, dopo la sua dipartita, nutriva chi a volte lo aveva bastonato! Più che le comiche ed imprevedibili “Corse dei mussi”, trasformate oggi in “Palio dei mussi” forse per risollevare questo paziente quadrupede, mi ricordo il dramma di qualche mio compagno delle elementari che, non per colpa sua dato che al pomeriggio molti di noi contribuivano con il lavoro al piccolo bilancio famigliare, aveva saltato di fare i compiti per casa e così vi tornava con le “Rece da musso” ben piantate in testa. E guai a toglierle per paura che venisse a saperlo la maestra, così arrivava a casa in lacrime e ad aspettarlo severe punizioni, come saltare il pasto, o assaggiare la cinghia dei pantaloni del padre-padrone. E per giunta, all’indomani, doveva riportare le “Rece da musso” a scuola e consegnarle al bidello! Inaudito! E la mia scuola era, ed
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LA MEMORIA DI CARTA
Asini e bambin,i un rapporto che nel tempo è cambiato
è, intitolata a Maria Montessori! E così l’asino è stato per sempre relegato a un ruolo secondario, non nobile come quello del cavallo, e la sua pazienza considerata come un ritardo mentale, si da costruirne un’immagine sviata e riportata in frasi passate alla storia, come: “Raglio d’asino non sale al cielo”, ma anche con rassegnazione: “Meglio un asino vivo che un dottore morto”, o come scrisse il grande W. Shakespeare: “Può ben dire la sua un leone, quando a dir la loro ci sono tanti asini in giro”, e così via, fino all’asino di Buridano per indicare chi è sempre incerto tra due cose! Ma ora anche per l’asino le cose sono cambiate! Dopo un periodo in cui ha rischiato l’estinzione perché non più necessario in agricoltura, è tornato ad essere prezioso collaboratore dell’uomo, non più come animale da fatica ma in programmi di interesse sociale ed economico, e la sua crescita demografica è in netta controtendenza rispetto agli altri animali della fattoria, segnando il record di + 337 % in Italia negli ultimi 10 anni (dati Coldiretti), con oltre 60.000 capi stimati. E sono nati, anche in Veneto e nel Padovano, allevamenti con produzione del prezioso latte d’asina, fattorie didattiche con presenze di asini, centri con animali amici dei bambini ai quali viene affidata una funzione curativa con la pet-therapy che è entrata prepotentemente tra le nuove attività previste dalla legge sull’agricoltura sociale, dove l’asino è parte integrante di un percorso curativo, diventando, un vero e proprio amico dei malati. Ne cito due per tutti di questi centri: la “Terra degli asini” di Mestrino (PD) e “La Città degli asini” di Polverara (PD), dove i nuovi utilizzi dell’asino sono in ambito didattico, ludico, turistico, zooantropologico e co-terapeutico, in collaborazione con ULSS,
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Associazioni, Cooperative sociali, Gruppi scout, sezioni CAI, ecc. Scrive Lorena Lelli nella presentazione del suo centro: “L’asino, se coinvolto mediante operatori qualificati, diventa “trasduttore” convertendo le emozioni da una forma a un’altra, in modo che queste possano essere rielaborate dall’uomo.” A questo punto bisogna risolvere il dilemma iniziale: è cambiato lui o siamo cambiati noi? Non credo che in 50-60 anni sia cambiato l’asino, lui resta sempre l’amico dell’uomo umile e paziente di un tempo, e allora cosa è cambiato in noi? La vita frenetica vissuta nell’illusione delle città, in appartamenti dove non c’è colloquio con il vicino; caotico e nervoso percorso verso e dal lavoro o le ferie; lavoro tra colleghi a volte indisponenti; supermercato anonimo ed impersonale che ti sembra sfidare alla “Caccia al tesoro” mentre sei alla ricerca dell’“offerta”; ristorante o pizzeria per essere finalmente “serviti”; divertimenti programmati e prenotati via web, e quant’altro ci obbliga la società moderna massificante, hanno condizionato noi, i nostri figli e nipoti negativamente, con il bisogno di ritrovare la nostra individualità soffocata. Il rapporto con la natura elementare, e l’asino rappresenta pienamente questa condizione, è diventato necessario per gestire le nostre emozioni. E i piccoli sono quelli a trarne maggiore vantaggio. Tutto risolto allora? Il genere umano ha trovato le medicine giuste contro lo stress? Potrebbe essere così se non si ripetesse quanto scritto da W. Shakespeare secoli fa: Possiamo ben dire la nostra, quando a dir la loro ci sono tanti asini in giro! E chissà quante “Rece da musso” ci vorrebbero per svergognarli! Ma l’uomo-asino continuerebbe imperterrito nel suo ragliare!
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L’ABBINAMENTO IDEALE DI PRANZI E CENONI
L
con 5 vini padovani
e feste natalizie si stanno avvicinando. È il periodo della convivialità, degli amici, della famiglia che di solito si rincontra attorno ad una tavola imbandita per consumare pranzi e cenoni nel rispetto dell’ortodossia del Natale. Ossia: paste al forno, risotti, lessi e arrosti che, serviti in ristoranti o nella sala da pranzo di casa, hanno sempre bisogno del giusto compendio enologico per sprigionare sapori e quelle note di calore che servono per riscaldare l’ambiente. E allora ecco l’idea: per questo numero anziché le consuete categorie dedicate ad un “grande classico”, ad un “vino nuovo” etc, etc, ho pensato di proporvi cinque bottiglie della nostra terra per accompagnare ogni piatto dall’antipasto al brindisi.
Mi pare una proposta veramente natalizia, perché questo è il momento dell’anno in cui dovrebbero prevalere i buoni sentimenti, si dovrebbero accorciare le distanze tra le persone: il Natale è la festa della famiglia! E allora facciamo un regalo anche al territorio in cui viviamo, facciamo sedere a tavola con noi la ricchezza che abbiamo a poca distanza da casa. Di più: visto che il periodo permette di avere anche qualche giorno di ferie, magari andate ad incontrare di persona produttori e cantinieri, organizzate una piccola gita tra le cantine, raccoglierete storie e atmosfere che è importante conoscere per capire cosa sta veramente sotto ad un tappo. Poi liberi di farlo saltare, il tappo, e scambiarci, con un brindisi, i migliori auguri e auspici.
UN VINO DA ANTIPASTI (TORREGLIA - PD) PROSECCO BRUT DOC - AZIENDA AGRICOLA QUOTA 101 Informale e spensierato come una bollicina Questo gradevole Prosecco DOC versione brut (Glera 100%) prodotto nella zona di Luvigliano/ Torreglia, nel Parco Regionale Colli Euganei dalla giovane Azienda Quota 101, si presenta informale e spensierato con una bollicina fine e persistente, versatile negli abbinamenti e nel carattere. Non banale se si pensa alla miriade di prosecchi prodotti in zona. Giallo paglierino brillante con riflessi verdolini presenta al naso note di fiori di campo e mela Golden. Al palato morbido e ben equilibrato; fresco, sapido e minerale tipico dei Colli Euganei, con un finale persistente e lungo. Ve lo propongo per antipasti e primi piatti di pesce anche crudi, oppure carni bianche spadellate. Con il pesce potrebbe anche essere
Giallo paglierino brillante con riflessi verdolini presenta al naso note di fiori di campo e mela Golden 60
consumato a tutto pasto. Sempre per “l’overture” di pranzi e cenoni vi segnalo anche il Brut Nature Metodo Classico VSQ (Friularo) di Vignalta e il Serprino Spumante Extra Dry Millesimato Charmat 2018 di Vigne al Colle.
AD OGNUNO IL SUO CALICE… IL CALICE PER RISOTTI E PASTE (MONSELICE - PD) SAUVIGNON BLANC IGT 2018 - AZIENDA BORIN VINI&VIGNE Il francese che parla in italiano Storica Azienda della DOC Colli Euganei di quel Gianni Borin che, insieme al fratello Giorgio titolare del Ristorante La Montanella, ha fatto dell’enogastronomia uno dei capisaldi della pluriennale attività. Attualmente i figli Francesco e Gianpaolo stanno portando avanti l’Azienda con pregio e maestria straordinaria, enologi e winemaker, rap-
Profumi eleganti con note di erbe officinali e frutta esotica. Al palato è caldo, rotondo, con finale lungo e persistente presentano la nuova forza aziendale. Alle pendici del Monte Archino in località Monticelli, viene coltivato un piccolo appezzamento con vigneti Sauvignon Blanc, una selezione francese, dal quale si ottiene un vino dai profumi eleganti con note di erbe officinali e frutta esotica. Al palato è caldo, rotondo, sapido con finale lungo e persistente. Si abbina molto bene a primi piatti strutturati come risotti e paste con besciamella, al pesce, meglio se crostacei. Vino alternativo, per restare in azienda, l’Archino Colli Euganei DOC Pinot Bianco.
UN VINO PER I GRANDI PIATTI DELLA TRADIZIONE (CARBONARA - PD) COLLI EUGANEI ROSSO IGT 2017 - AZIENDA AGRICOLA COLLE MATTARA Caldo e rotondo come il Natale L’azienda Colle Mattara si tramanda da padre in figlio il lavoro della vite con grande rispetto per il territorio. Una delle bottiglie più rappresentative della loro produzione è il Colli Euganei Rosso IGT 2017 (da uve Merlot 65% e Cabernet 35%), una delle migliori annate per i rossi di queste ultime vendemmie. Di un bel colore rosso rubino intenso, al naso si presenta fine ed elegante con spiccate note di frutta rossa con sentore di amarena e marasca. Caldo e rotondo al palato è il vino perfetto da portare in tavola insieme ai piatti importanti della tradizione, penso ai tortellini, ai cappelletti in brodo o il gran bollito con gallina, lingua e cotechino che non manca mai tra le
portate del pranzo di Natale. Si presta ad accompagnare anche le carni arrosto o al sugo e nella sua versalità trova armonia pure con i formaggi di media-lunga stagionatura. Vini alternativi della stessa azienda sono il Colli Euganei Cabernet IGT 2017 o il Merlot dalle stesse caratteristiche di vinificazione e affinamento.
Il vino perfetto da portare in tavola insieme ai piatti importanti della tavola rurale come i tortellini, i cappelletti in brodo o il gran bollito 61
AD OGNUNO IL SUO CALICE… PIATTI DI MARE (ARQUÀ PETRARCA - PD) CHARDONNAY IGT TRE VENEZIE 2018 - CANTINA TERRA FELICE La leggera sapidità che conquista Sono sempre di più quelli che decidono di orientarsi verso il mare per i piatti forti di cene e cenoni delle Feste e anche per loro ho una proposta: lo Chardonnay Igt le Tre Venezie 2018 della Cantina Terra Felice. Un vino solido, nel senso che a produrlo è una famiglia che ha alle spalle cinque generazioni di vignaioli e quando si tratta di conservare inalterati i valori di un territorio, lo sanno fare con grande maestria. E questo è uno dei capisaldi dell’enoFiglio del lavoro logia euganea, i di una famiglia cui vitigni crescocon alle spalle no sulle alture cinque generazioni che circondano di vignaioli che la casa del Poeta, sanno conservare tra pendi scosceinalterati i valori si fatti di marne, del territorio con gesso e argilla. La sapidità è la grande maestria
nota distintiva. Come lo è, del resto, il bel colore giallo paglierino dai riflessi verdognoli che anticipa al naso profumi di fiori gialli di campo, note di vaniglia e sensazioni burrose. Al palato è rotondo e secco, fresco e per questo perfetto per accompagnare i pesci del nostro Adriatico, i mitili che hanno nella cozza Dop di Scardovari un’eccellenza dei nostri orti di mare o i più intriganti crostacei.
L’ACCORDO CON PANETTONE E PASTICCERIA (BAGNOLI DI SOPRA - PD) BAGNOLI DOC FRIULARO PASSITO “CLASSICO 2011” - IL DOMINIO DI BAGNOLI Dolce, ma non stucchevole. Decisamente social I dolci tipici del Natale sono il panettone oppure il pandoro con i quali normalmente si abbinano degli spumanti o dei vini dolci. Anche in questo caso il territorio è ben fornito di proposte che possono spaziare dal Torcolato di Breganze, al Recioto di Soave o a quello di Gambellara, spumante dolce. L’unico accorgimento che vi suggerisco è quello di accordare l’intensità del vino in relazione al sapore del dolce: con i dolci a base di creme è preferibile
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servire degli spumanti, per via delle bollicine, con la pasticceria secca, invece, sono più indicati i passiti. E a proposito di vini dolci e fruttati una bottiglia che non può mancare, per riscaldare le serate invernali, è il Bagnoli Doc Friularo Passito, prodotto esclusivamente da uve “Friularo”, un autoctono presente nel conselvano da oltre cinque secoli. Lo considero un vino speciale. Rosso rubino molto intenso con riflessi tendenti al granato. Al naso straordinariamente intenso dove prevale la nota di confettura rossa con note speziate. Al palato risulta morbido, rotondo, dolce, ma non stucchevole. È un vino che dialoga volentieri con i dolci al cioccolato, o con il cioccolato al 70% cacao amaro, ma lo consiglio anche come vino da compagnia, da sorseggiare in totale relax davanti ad un caminetto. Va servito ad una temperatura tra 14-16 °C, e stappato almeno un’ora prima di versarlo nel calice, per apprezzarne da subito le caratteristiche.
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Per chi cerca qualcosa in più del solito Natale
Lo storico ristorante di Torreglia propone un’esperienza che parte dagli occhi e arriva al palato Le grandi vetrate del ristorante Al Pirio meritano l’appellativo di “terrazza sulle terme” e concorrono nel creare un suggestività paesaggistica che dall’occhio arriva al palato, perché gli Euganei sono l’ingrediente fondamentale dell’offerta. I dolci profili collinari, infatti, rientrano nella proposta ma non si tratta solo di cibo o di vini, il menù accompagna verso una vera esperienza dei sensi e conduce al valore salutistico che materie prime ben selezionate sprigionano insieme al gusto. Del resto mangiare bene significa cibarsi di prodotti sani, ma anche preparati bene, ossia cotti con le giuste temperature per preservarne le caratteristiche nutrizionali e i valori identitari in quanto questa terra, c’è poco da fare, ha il suo inconfondibile sapore.
Il resto è creatiOltre a quei valori vità, perché ol- convenzionalmentechiamati tre a quei valori tradizione,c’è ancora spazio che convenzioper la creatività e i sapori nalmente vengono chiamati tradizione c’è ancora spazio, lo spazio appunto di chi ai fornelli ci sa fare e sa interpretare in chiave “gourmet” anche una vesta selezione di piatti gluten-free, vegetariani e vegan. Un’attenzione unica tra i ristoranti degli Euganei. Il piacere poi è prolungato dalla carta dei dolci, rigorosamente fatti in casa, dalla selezione di birre artigianali e dalla lista dei vini in cui è contemplata ogni area di pregio enologico italiana ed estera.
DURANTE IL PERIODO NATALIZIO UN’ATMOSFERA CALDA E CONVIVIALE INSIEME AD UNA SELEZIONE DI PIATTI TRADIZIONALI E VEGANI
Menù Vegano
Menù tradizionale
ANTIPASTO Millefoglie farcito con hummus di ceci e radicchio rosso PRIMI Risotto alle pere, burro di mandorle, zenzero e granella di nocciole Canederli di rapa rossa su vellutata di porcini e tartufo nero SECONDO Rollè di lenticchie con purè alla zucca CONTORNO Carciofi all’arancia e mandorle DOLCE Strudel alle pere con crema alla vaniglia e cannella I VINI “Antenore” Bianco Colli D.O.C.G. Az. Fattoria Eolia “Stema” Pinot nero I.G.T. Az. Terre Gaie Fior d’Arancio Spumante D.O.C.G. Az. Veronese
ANTIPASTO Millefoglie al salmone, crema mascarpone e fichi PRIMI Risotto alle pere, Biancone padovano al profumo di zenzero e granella di nocciole Crêpe alla rapa rossa con ragù d’anatra e tartufo nero su mousse giallo zafferano SECONDI Arrostino natalizio con ripieno di canditi e salsa alla “saba” Cotechino con purè alla zucca e lenticchie CONTORNO Carciofo all’arancia e mandorle DOLCE Bavarese al mandorlato di Cologna Veneta e gelè di lampone su crema Moscato e vaniglia I VINI “Antenore” Bianco Colli D.O.C.G. Az. Fattoria Eolia “Stema” Pinot nero I.G.T. Az. Terre Gaie Fior d’Arancio Spumante D.O.C.G. Az. Veronese
TRATTORIA AL PIRIO SNC di Lionello Giuliano & C. Via Pirio, 10 - 35038 Torreglia (PD) tel. 049 5211085 - info@alpirio.com - www.alpirio.com
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Ristorante Pizzeria
Il mare a Natale:
un viaggio nei sapori dell’Adriatico con la cucina del Minerva
Il posto giusto dove trovare sapori e profumi ricercati oppure il calore della convivialità, che aiuta a contrastare l’inclemenza del termometro Anche lontani dalla stagione balneare Chioggia mantiene intatta la sua bellezza e la sua ospitalità di città di mare. Ma mantiene inalterati anche i suoi sapori, perché è pur sempre il piacere della tavola uno dei rimedi all’inclemenza del termometro. Soprattutto durante il periodo delle festività natalizie, quando la ricerca del gusto si orienta verso la tradizione e il calore della convivialità, tra amici o con la famiglia, diventa uno dei momenti che caratterizzano il periodo. Cene e cenoni al Ristorante Pizzeria Minerva sono indubbiamente uno dei modi di vivere la gioia del Natale a Chioggia, ma l’invito rimane buono per tutta la stagione fredda perché è proprio questo il periodo in cui la pesca dà il meglio di se e nella cucina del Minerva trova perfetto pendant con i frutti sovrani dell’inverno, come il locale Radicchio di Chioggia Igp, i funghi della non lontana Treviso o i carciofi adriatici dell’isola di Sant’Erasmo. E allora è il palato il primo a ricevere il piacevole tepore di fumanti zuppe di pesce, oppure la confortante pienezza degli “gnocchi fatti in casa ripieni di capesante e porcini”. Tra i secondi non mancano autentiche ricercatezze come i “gamberoni in camicia di San Daniele”, gli “scampi e burrata” o il “branzino e carciofi”. Piatti che tro-
vano compendio nella fornitissima cantina, non mancano le bollicine per i brindisi, e assolutamente da provare sono i dolci, anch’essi figli delle creatività del cuoco e non dell’industria dolciaria. Armido e Fabrizio Per chi, invece, cerca insieme alle rispettive pranzi o cene più dimogli, Daniela e Nadia simpegnate allora corre sono ristoratori di l’obbligo di segnalare conclamata fama e di grande esperienza, sanno sempre la pizza. In questa staproporre il piatto giusto gione, sugli impasti per sottolineare ottenuti dalle migliori importanti ricorrenze farine e da lievitazioni di almeno 38 ore, impera quella zucca che nelle commedie di Goldoni è motivo di aspre “baruffe” e che qui, invece, trova formidabili accordi con gli altri prodotti della dispensa.
IL RISTORANTE È ATTREZZATO PER BANCHETTI E CERIMONIE Lungomare Adriatico - Lato Nord, 30015 - Sottomarina Mob. 339 6684500 - Tel. 041 4965367 ristorante.minerva@libero.it - www.ristorantepizzeriaminerva.it - Seguici su Facebbok e Twitter Aperto tutti i giorni dalle 12.00 alle 14.30 e dalle 18.30 alle 23.30. Il lunedì i mestoli riposano
AMICI CON LE ALI di Aldo Tonelli
Gli Uccelli,
INDICATORI AMBIENTALI
I cicli vitali dei nostri amici con le ali, soprattutto dei migratori, sono strettamente legati al mutare delle stagioni. Partenze e arrivi, gli accoppiamenti o anche la deposizione delle uova avvengono in relazione ad un calendario che tiene conto delle temperature. Negli ultimi anni è stato osservato che alcuni uccelli hanno cambiato alcune loro abitudini per un nuovo adattamento che, tuttavia, non è sempre possibile
L
a presenza di specie di uccelli sempre più comune in aree dove fino a qualche decennio fa erano rare o addirittura assenti dovrebbe far riflettere, essendo gli uccelli tra gli indicatori più precisi del cambiamento o, se vogliamo essere più precisi, della crisi climatica in atto che potrebbe avere effetti ben maggiori della classica perdita di habitat. Prima di iniziare vorrei chiarire l’uso di determinate parole ed espressioni, prendendo spunto da articoli pubblicati sull’autorevole giornale britannico Guardian su come e perché questi abbia scelto di parlare più esattamente di “crisi climatica” piuttosto che di “cambiamento climatico”. Partendo dal principio secondo cui le parole e le rappresentazioni che definiscono i cambiamenti climatici modellano anche il modo in cui le cose sono capite e contrastate, l’obiettivo dichiarato dal Guardian è di al-
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largare le conoscenze attraverso l’accuratezza con cui si parla delle cose e modificare la consapevolezza delle persone stimolando, di conseguenza, azioni e pratiche più informate e coscienti. Dal punto di vista del linguaggio dunque, invece che “cambiamento climatico” il Guardian ha scelto di usare “emergenza climatica”, “crisi climatica” o “catastrofe” perché l’espressione “cambiamento climatico” suona come piuttosto passiva e blanda. Gli stessi scienziati che si occupano di clima stanno usando un linguaggio più forte per descrivere la situazione in cui realmente ci troviamo. I cicli
Negli ultimi 30 anni i migratori europei mediamente hanno anticipato di un giorno ogni 3 anni il loro arrivo nei territori riproduttivi
AMICI CON LE ALI I migratori a lungo raggio non riescono ad allineare il loro comportamento alle alterazioni degli habitat provocate dal cambio del clima vitali e il comportamento degli uccelli sono strettamente legati al mutare delle stagioni, le variabili stagionali quali temperatura e precipitazioni influiscono anche sulla disponibilità di fiori, semi, insetti e altre fonti alimentari. Lo studio della stagionalità dei fenomeni naturali ricorrenti come le migrazioni, la costruzione del nido e la deposizione delle uova viene chiamato “fenologia” e il cambiamento climatico può spingere la fenologia delle specie fuori sincronia con i cicli degli ecosistemi e delle comunità di cui ciascuna specie fa parte. Al crescere delle temperature la migrazione primaverile viene anticipata, mentre quella autunnale può essere anche ritardata. I migratori europei arrivano nei territori riproduttivi mediamente 1 giorno prima ogni 3 anni dagli ultimi 30 anni e la deposizione anticipata delle covate in risposta al cambiamento climatico è ampiamente documentata. I Fringuelli in Inghilterra anticipano la data di riproduzione al crescere della temperatura primaverile ma alcune specie, soprattutto i migratori a lungo raggio, non riescono ad allineare il loro comportamento conseguentemente alle altera-
Le Balie nere in Olanda sono diminuite del 90% dal 1987 al 2003 perché arrivano troppo tardi rispetto al picco della disponibilità di larve di cui si nutrono
zioni degli habitat: le Balie nere in Olanda sono diminuite del 90% dal 1987 al 2003 perché arrivano troppo tardi rispetto al picco della disponibilità di larve di cui si nutrono. La regione Mediterranea, ad esempio, è a rischio desertificazione dove l’acqua diverrà un bene sempre più raro e prezioso. Di quanto sarà tale diminuzione molto dipenderà dal cambiamento climatico che
Gli Usignoli di fiume hanno spostato il loro habitat 30 km più a Nord negli ultimi 20 anni
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AMICI CON LE ALI
Gli uccelli che vivono sulle Alpi italiane, come il Fringuello alpino, il Sordone e il Codirosso spazzacamino, stazionano a quote più alte rispetto al passato
si verificherà, ma non occorre immaginarsi in un futuro lontano per vedere gli effetti dei cambiamenti climatici sugli uccelli legati agli ambienti più freddi perché essi sono visibili già da alcuni decenni. All’aumentare delle temperature le specie si spingono più a nord, come gli Usignoli di fiume che hanno spostato i loro territori 30 km più a Nord negli ulIl cambiamento timi 20 anni, o più in quodel clima è ta se possibile come per estremamente esempio gli uccelli che rapido e lascia vivono sulle Alpi italiane alle specie molto come il Fringuello alpino, poco tempo il Sordone e il Codirosso spazzacamino. C’è però per adattarvisi un limite fisico al loro spoe sopravvivere stamento e potrebbero subire quindi una forte contrazione di areale nel corso dei prossimi decenni con conseguenze disastrose per la loro sopravvivenza. Segni questi che dobbiamo saper riconoscere, ricordiamoci l’aneddoto del canarino in miniera. Una volta i minatori portavano nella miniera un canarino dentro una gabbietta poiché questi era particolarmente sensibile al metano e al monossido di carbonio e quindi diventava un sistema d’allarme. Quando la concentrazione di gas nocivi superava il livello di guardia smetteva di cantare e spesso moriva rapidamente ma questo permetteva ai minatori di allertarsi e cercare di porsi in salvo. Il cambiamento del clima è estremamente rapido e lascia alle specie molto poco tempo per adattarvisi e sopravvivere. La
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crisi climatica e della biodiversità sono le due maggiori sfide che si dovranno affrontare nei prossimi decenni e sono sfide che si dovranno affrontare congiuntamente poiché dobbiamo ricordare che la nostra specie è in gran parte responsabile della perdita di biodiversità: ci stiamo accorgendo dei segnali lanciati dal canarino?
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