Con i Piedi per Terra | 37

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N. 37 - Luglio - Agosto 2020 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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AMBIENTE:

I COLLI EUGANEI RISPONDONO ALLA SICCITÀ

COVID 19:

COME CAMBIA LA SOCIETÀ

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Magazine “Conipiediperterra”


Covid 19

MORATORIE LIQUIDITÀ ANTICIPO CIG Decreti Legge CURA ITALIA n. 18/2020 Decreto Legge LIQUIDITÀ n. 23/2020

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Numero 37

Direttore responsabile: Mauro Gambin

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INGIROPIEDANDO

Editore: Speak Out srl

I Piwi, i vitigni resistenti, anche sugli Euganei

di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) info@speakoutmedia.it

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LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE

Hanno collaborato a questo numero: Silvano Bizzaro Emanuele Cenghiaro Mattia De Poli Michele Grassi Renato Malaman Eliano Morello Ada Sinigalia Roberto Soliman Mario Stramazzo Aldo Tonelli Massimo Trevisan

Fattorie didattiche, l’estate sicura e divertente

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AGRICOLTURA “I vini della solidarietà”, 50 mila euro alla ricerca

Progetto Grafico:

Think! soluzioni creative Piove di Sacco (PD) Tel. 049 5842968 www.esclamativo.info think.esclamativo@gmail.com

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PANORAMA GASTRONOMICO

commerciale@conipiediperterra.it

Come cambia la ristorazione al tempo del Covid

Stampa: Stampe Violato snc

PAESAGGI OFFESI

Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl

Bagnoli di Sopra (PD) Tel 049 9535267 www.stampeviolato.com info@stampeviolato.com

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Noi figli di Palladio e dello Scamozzi?

Giornale chiuso in redazione il 26 giugno 2020

La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana, l’autrice è Sara Piovan

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n° 46) art. 1, 27/02/2004 (conv. in L. - D.L. 353/2003 in abb. post. s.p.a. - Sped. - Poste Italiane

- Febbraio 2020

- Periodico

bimestrale

Natale

www.conip

Editoriale:

iediperterra

.it

LA RICERCA DELLE IDEE COME ANT AI GIOCHI IDOTO DI POTERE Ambiente:

ANCHE GLI CI STANNO UCCELLI AVVISANDO DEL CAMBIO CLIMATICO Tradizioni:

SAN VALENT E CARNEV INO TRA FEDE ALE E FOLKLORE

FESTA DI LUCE, MA NON SPRECHIAMOLA N. 35 - Gennaio

N. 34 - Ottobre - Novembre 2019 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

NE/PD 1, comma 1, 4 n° 46) art. 27/02/200 (conv. in L. - D.L. 353/2003 in abb. post. s.p.a. - Sped. - Poste Italiane bimestrale

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.it iediperterra www.conip perterra” “Conipiedi Magazine

2019 - Periodico

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- Settembre

Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari)

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N. 33 - Agosto

Tiratura: 10.000 copie Diffusione: periodico bimestrale Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013

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EDITORIALE di Mattia De Poli

C’È UN MOMENTO GIUSTO PER TUTTO, ANCHE PER CAMBIARE Prudenza, solidarietà, rispetto: la lezione dei classici al tempo del Covid-19

C

hi non ha mai sentito l’esortazione Carpe diem? Sono parole del poeta latino Orazio che immagina di parlare con una donna di nome Leuconoe, un nome che dice il candore della sua mente, la sua purezza ma al tempo stesso la sua ingenuità. Possiamo immaginarla giovane, forte delle sue certezze, come sanno essere solo le persone non ancora disincantate: affidandosi a misteriosi calcoli astrologici orientali, si illude di poter conoscere in anticipo il futuro proprio e altrui, forse addirittura la morte. Ma la voce disillusa di Orazio esclude ogni possibilità di previsione - scire nefas, “non è dato sapere” - e la esorta ad essere saggia e prudente - sapias - senza fare alcun affidamento sul domani. Oggi sono tante le persone - giovani e meno giovani- che cercano di prevedere quello che succederà, magari affidandosi alle cosiddette scienze esatte, mossi da un’irrazionale bisogno di sapere. Ma quello che occorre è saggezza e prudenza: il poeta consiglia, ad esempio, di non navigare troppo al largo né troppo vicino alla costa, ma di seguire una via intermedia. È il principio dell’aurea mediocritas, del giusto mezzo, della moderazione: “c’è una misura nelle cose” - est modus in rebus - e sta a ciascuno riconoscere questi limiti e rispettarli. Per tenere saldo il timone ed evitare le tempeste e gli scogli ci vuole prudenza sostenuta da una buona dose di forza e perseveranza. Quando si deve badare a non inseguire sogni troppo grandi e progetti a lungo termine, per reazione viene quasi istintivo chiudersi in se stessi, di isolarsi dal resto del mondo (a qualcuno non pesa troppo): niente preoccupazioni, niente pensieri. Il rischio è la disgregazione sociale: alla fine di questa brutta esperienza, l’umanità potrebbe ritrovarsi abbrutita.

“Sono un uomo - scrive il commediografo latino Terenzio - e ritengo che tutto ciò che ha a che fare con l’uomo mi riguardi”. L’uomo non è solo nelle difficoltà: dagli altri si può ricevere aiuto - quanti sono stati i volontari che hanno aiutato le persone anziane o malate a fare la spesa durante la quarantena? - ma agli altri si deve portare rispetto. A volte basta poco: il rispetto è leggero come una mascherina e pulito come le mani sanificate, ma non volatile. Tanti gesti semplici della quotidianità sono prova di umanità, anche quando non abbiamo di fronte un’altra persona. Gesti invisibili, a differenza di altri, magari compiuti di nascosto, che lasciano comunque una traccia dietro al nostro passaggio: l’impronta delle nostre mani e del nostro viso nei guanti e nelle mascherine non smaltiti correttamente, disseminati lungo le strade e nei giardini. Durante la quarantena più rigida ci si è iniziato a chiedere come l’umanità sarebbe cambiata. La distanza, la mancanza di contatto fisico, l’impossibilità di scambiarsi un sorriso: è scattato l’allarme della disumanizzazione e il desiderio di tornare a come eravamo prima. Ma è davvero questa la prospettiva migliore? Il mondo “di prima” è quello che per una somma di fattori - globali e locali - ci ha trascinati in questa situazione. Vogliamo davvero fare come Sisifo? Spingere un macigno su per un ripido pendio, dimostrando la nostra forza, vederlo rotolare a valle, travolgendo tutto quello che incontra nella sua corsa, e di nuovo spingerlo verso una cima, che nasconde comunque un precipizio? I classici ci avevano ammonito. La vicenda che stiamo vivendo ci sta mostrando quanto la natura dell’uomo sia limitata ed effimera. C’è un momento giusto per ogni cosa, anche per cambiare.

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L ’agricoltura L’ELZEVIRO

di Eliano Morello

MOTORE DEL CAMBIAMENTO POST COVID Basterebbe risolvere i problemi endemici che affliggono il settore per una rinascita economica del Paese

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urante il periodo di forzato riposo a causa di Covid-19, ho riempito una cartella di articoli sulle possibili cause di questa pandemia. O meglio: ho cercato di rispondere alla dilagante sequela di opinioni personali, spesso del tutto fuorvianti, che sono state sbandierate ai quattro venti della comunicazione moderna, ossia i social, anche contraddicendo quella che era l’evidenza dei fatti. Ovviamente mi sono concentrato su quelle che toccavano il settore primario, perché a quelli che pensano che il Covid sia stata una montatura o un virus creato in laboratorio per dare un giro di vite alle libertà individuali… non ho ragionamenti, figli di un pensiero razionale, da contrapporgli. A parte gli scherzi, il tema dell’agricoltura per me è importante, ma dovrebbe esserlo per tutti, visto che è il settore che ogni giorno ci fornisce il necessario per tenerci in vita. Eppure anche la particolare situazione creata dal Covid è stata un osservatorio per vedere quanto poco il tema delle nostre campagne rientri nel dibattito quotidiano, e quel poco, spesso, è anche in forma denigrante. Tanto per fare un esempio: una riflessione sulla parola “intensivo”, ormai sempre più sinonimo di forzato, di innaturale, di contrario al benessere tanto che qualsiasi allevamento, qualsiasi coltura, qualsiasi produzione che abbia come

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aggettivo “intensivo” fa accendere una lampadina rossa, magari per via di qualche “servizio” visto alla tv su allevamenti di maiali o polli. Non sono tutti così gli allevamenti intensivi, in linea di massima tutti gli allevatori sono tenuti ad osservare le norme generali per la protezione degli animali da reddito, fondato sul canone delle “cinque libertà”: la libertà dalla fame e dalla sete, la libertà dal disagio, la Si è parlato molto, libertà dal dolore, e giustamente la libertà di espres“degli eroi in corsia” sione del normale pochissimo degli comportamento e la libertà dalla pau- agricoltori che hanno ra e da fattori stresprodotto cibo sano santi. Tuttavia non e a prezzi accessibili è degli allevamenti che volevo parlare in questo articolo, ma più in generale dell’agricoltura al tempo del Covid e stigmatizzare quanto questa abbia avuto una posizione ancillare rispetto ad altri settori lavorativi. Si è parlato molto, e giustamente, “degli eroi in corsia” riferendosi ai medici e agli operatori sanitari che nel pieno della pandemia hanno dedicato anima e corpo alle cure dei tanti che purtroppo hanno contratto il contagio, ma pochissimo


L’ELZEVIRO

Tutti gli allevatori sono tenuti ad osservare le norme generali per la protezione degli animali da reddito, fondato sul canone delle “cinque libertà”: la libertà dalla fame e dalla sete, la libertà dal disagio, la libertà dal dolore, la libertà di espressione del normale comportamento e la libertà dalla paura e da fattori stressanti

di quegli agricoltori e allevatori che altrettanto indefessamente hanno continuato a lavorare per permettere a tutti gli altri di trovare cibo sano e a prezzi accessibili durante il periodo del lockdown. Probabilmente abbiamo visto tutti schizzare in alto i prezzi di mascherine e gel sanificante mentre quelli delle zucchine e piselli del contadino sotto casa rimanere stabili, ma per l’opinione pubblica se si sono visti cinghiali, cerbiatti e altri animali passeggiare per le nostre strade e città è perché si è fermata l’agricoltura. Quando invece è vero il contrario. La Natura non si è reimpossessata dei suoi spazi perché gli agricoltori e gli allevatori erano chiusi in casa, ma perché lo erano tutti gli altri! Se durante questi tre mesi

Durante il Covid il prezzo di mascherine e gel sanificante sono schizzati alle stelle mentre quelli delle zucchine e piselli del contadino sotto casa sono rimasti stabili

è migliorata la quaIl Covid ha sfatato lità dell’aria e delle un’altra leggenda acque, sono diossia che l’agricoltura minuiti i rumori, il sia tra i responsabili traffico, i voli aerei, questo è stato me- dell’attuale situazione rito del coronaviclimatico-ambientale rus. L’agricoltura e la zootecnia hanno continuato senza interruzioni a lavorare, a produrre, a sfamare i molti animali negli allevamenti. Quindi, se ne deduce anche che il covid ha sfatato un’altra leggenda popolare, ossia che l’agricoltura sia tra i principali responsabili dell’attuale situazione climatico-ambientale. I problemi legati all’agricoltura, invece, a mio avviso sono altri e il primo riguarda il mondo del lavoro. La maggior parte delle persone impiegate, infatti, sono lavoratori autonomi e del milione di dipendenti il 97% sono operai, il 90% dei quali sono impiegati a tempo determinato. Emerge dunque un quadro frammentato, fortemente stagionalizzato e dipendente da manodopera estera, visto che un lavoratore su tre proviene da oltreconfine. Se oggi mancano all’appello circa 370mila stagionali (dati Coldiretti) ci sono anche molti neo-disoccupati italiani in cerca di un impiego. Persone che tuttavia, provenendo da altri comparti, devono essere formate, con i tempi e i costi che questo comporta. Va ricordato come dal 1961 ad oggi l’Italia abbia perso quasi la metà della sua superficie agricola e come or-

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L’ELZEVIRO mai da anni il settore sia la Cenerentola dell’encomia italiana, nonostante possa esprimere eccellenze che se debitamente valorizzate potrebbero generare un ritorno economico considerevole. E allora quei 100 miliardi di export che oggi sembrano lontani sarebbero a portata di mano. Soprattutto se l’agricoltura entrasse in risonanza con il turismo e con il tema della sostenibilità, oggi al centro dell’agenda politica economica e sociale del vecchio continente. Ma lo dovrà essere in modo serio, però, perché come scrive Giuseppe Bertoni, “tutti questi proclami nel generale hanno obiettivi condivisibili (sostenibilità, energie rinnovabili, riduzione del gas serra), ma peccano quando questi concetti vengono abusati e impiegati in approcci solo verbosi in contesti, quasi banali, di vita bucolica rappresentata solamente dalla pubblicità”. Sicuramente il periodo di clausura ha permesso a molti di riflettere, ad altri di amplificare i propri disturbi mentali, ma è fuori da ogni dubbio che se vogliamo prendere in considerazione il tema del cambiamento questo dovrà riguardare sia i macro ambiti, dove

Dal 1961 ad oggi l’Italia ha perso quasi la metà della sua superficie agricola. Ormai da anni è un settore “Cenerentola” nell’encomia italiana

vengono prese le decisioni: Comunità Europea, stati nazionali, e amministrazioni locali, sia la sfera individuale come uomini, individui, consumatori. E l’agricoltura con la risoluzione dei sui problemi endemici, compresa l’infelice nomea prodotta per spostare l’accento della sostenibilità ecologica su categorie green insignificanti sul piano dei numeri della produzione, potrebbe essere il settore giusto da cui iniziare un cambiamento, perché se così non fosse potremmo aspettare anche il 2050, ma non vedremo alcun risultato. Possiamo adottare tutti i Green Deal che vogliamo, ma finita l’emergenza torneremo quelli di prima. La speranza, mia personale, è di non peggiorare.

Dei tre milioni di persone che lavorano nel settore primario italiano, un milione sono dipendenti, di cui il 97% operai, il 90% dei quali sono impiegati a tempo determinato. L’offerta occupazionale è molto frammentata, fortemente stagionalizzata e dipendente da manodopera estera: un lavoratore su tre proviene da oltreconfine

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messaggio pubbliredazionale

TUTTA LA FANTASIA, I SAPORI E L’ELEGANZA

dell’Estate

Nel locale di via Pescheria vecchia ad Este l’attenzione rivolta al cliente si concretizza con un’ospitalità aggiornata alle norme anti Covid e ad una proposta enogastronomica creativa e saldamente legata alle eccellenze del territorio Cambiano le stagioni, cambia il menù e cambia an-

gola sarda”, dove le

che il ristorante Le Strie, che da qualche mese ha rin-

cozze di Scardovari

novato i suoi spazi, mantenendo tuttavia inalterata la

trovano esaltazione

qualità dei suoi piatti e l’ospitalità, scrupolosamente

insieme a calama-

aggiornata alle norme anti Covid. La cura dei propri

ri, gamberoni, zen-

clienti del resto è uno dei piatti forti del locale, insieme

zero e la salicornia

a quelli che escono dalla cucina, preparati dalle abili

che nasce sponta-

Una cucina di qualità accompagnata da una cantina che spazia dalle alture euganee alle etichette del buon bere internazionale

mani degli chef: Marina,

nea

Cristian e Andrea. Piatti

oppure

dedicati all’estate, anzi inventati per asseconda-

sulle

barene

le seppie Uno dei piatti in menù: Ravioli rovedi stagione con le sciati con frutta caramellata, petto

d’anitra affumicato e spruzzata di

re le disponibilità del ca-

quali si prepara un moscato passito dei Colli Euganei “Macaron al nero e

lendario con una spesa

trota”. Non mancano le “Bistecche di totano in sal-

quotidiana che predilige

sa solfurea” (con peperoni), il salmone marinato con

il meglio dell’offerta fresca, a parte le verdure che in-

sale bilanciato su una base di riso venere e un pane

vece arrivano in diretta dall’orto del ristorante. Ma è

preparato con l’acqua di cottura del riso e cotto al

il pesce il vero protagonista di questo scorcio d’anno,

vapore o le preparazioni dedicate alle eccellenze

il pescato delle vicine lagune che incontra prepara-

della “terra”, come l’aglio nero di Voghiera che dà

zioni millenarie anche di altre regioni come nella “fre-

colore e profumo di cioccolato e nocciola alla salsa per spaghetti serviti con funghi e foglia d’oro. Ancora di stagione i “fiori di zucca fritti con spuma al caprino”, mentre autentici evergreen nella lista dei dolci della casa è “losanga di crema fritta” e il cheesecake alle ciliegie. Un’estate di sapori ricercati, insomma, quella proposta dal ristorante Le Strie, capace di coinvolgere i sensi dalla vista al palato e capace di giocare anche con gli abbinamenti enologici proposti da Erika, spaziando dalle alture euganee alle etichette del buon bere internazionale. Locale che rispetta le disposizioni al contrasto Covid-19 con distanziamento dei tavoli, sanificazione degli spazi ad ogni servizio e registro dei clienti

Ristorante Le Strie - Via Pescheria Vecchia, 1 - 35042 ESTE (PD) Tel. 0429 94967 - ristorantelestrie@gmail.com - www.ristorantelestrie.it


messaggio pubbliredazionale

CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO

UN PROGETTO SPERIMENTALE PER L’IRRIGAZIONE SUI COLLI EUGANEI A Vo’ verrà realizzato un invaso artificiale con lo scopo di captare le acque meteoriche e quelle portate a fondo valle dai piccoli torrenti. Servirà per i periodi di siccità, ma soprattutto per mettere a punto un modello irriguo collinare Il futuro dell’agricoltura è indissolubilmente legato alla disponibilità d’acqua da destinare alle colture, tanto più sui Colli Euganei dove si concentrano colture di eccellenza, come la viticoltura o l’oleicoltura, diventate vere e proprie immagini dell’abilità a produrre qualità di questa parte del Veneto. Una capacità che però è sempre più messa alla frusta da prolungati periodi siccitosi, durante i quali anche le produzioni che tradizionalmente non richiedono moltissima acqua, entrano in sofferenza. L’allarme è partito da una Zanato: “Pensare quindicina di aziende ed è di poter raggiungere stato prontamente raccolto ogni angolo dei 6.000 dal Consorzio di bonifica ettari collinari con Adige Euganeo e concretizl’acqua dai canali zato nell’avvio di un progetdi pianura è to sperimentale destinato a letteralmente mettere in sicurezza il fuimproponibile: turo delle colture euganee. i costi energetici “Stiamo mettendo a punto e di infrastrutturazione un modello irriguo collisarebbero altissimi” nare - spiega il presidente del Consorzio di bonifica Adige Euganeo, Michele Zanato - insieme alla Regione Veneto, al Parco Colli Euganei, al dipartimento TESAF dell’Università di Padova, per quanto riguarda la consulenza agro-forestale, e al Comune di Vo’ per la realizzazione, nel territorio di quest’ultimo, di un bacino di

raccolta delle acque piovane. L’esposizione a Sud-Ovest del piccolo comune, infatti, lo rende una delle aree che più risentono della scarsità di precipitazioni. Oggi abbiamo già un progetto di fattibilità dell’importo di circa 300 mila euro, che prevede la realizzazione di un invaso artificiale per la captazione delle acque meteoriche e quelle portate a fondo valle dai piccoli torrenti che si formano durante i periodi piovosi”. Si tratta di un sistema di efficientamento della risorsa idrica, una specie di “banca” destinata a conservare una riserva d’acqua direttamente sul territorio euganeo, senza dover ricorrere ad un pompaggio da fondo valle con canalizzazioni in pressione. “Pensare di poter raggiungere ogni angolo dei 6.000 ettari collinari - continua il presidente Zanato - con l’acqua dai canali di pianura è letteralmente improponibile: i costi energetici e di infrastrutturazione sarebbero impossibili da sostenere. Quindi l’idea è quella di aggirare gli ostacoli rappresentati del dislivello e delle pendenze dei nostri Colli facendo arrivare l’acqua dall’alto, ossia preservandola in piccoli bacini a “mezza costa” dove verranno raccolte le acque meteoriche cadute sulle sommità e sui fianchi dei colli per convogliarle, nei momenti di bisogno, verso le colture”. L’aspetto sperimentale riguarda la sostenibilità ambientale e anche gli aspetti tecnici, come il rapporto tra dimensioni e profondità del bacino in relazione al potenziale di captazione e all’evaporazione dell’acqua, ma anche aspetti economici legati alla

Consorzio di Bonifica Adige Euganeo • www.adigeuganeo.it ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054


sua realizzazione e gestione. “Da questo primo invaso sperimentale - continua il presidente Zanato - ci aspettiamo una serie di risposte utili per mettere a punto il modello. Una volta ottenuti i numeri e definito il prototipo, il know how verrà messo a disposizione dei privati, in quanto potranno essere le aziende agricole stesse a decidere la realizzazione di un proprio bacino per la raccolta delle acque. Magari, proprio, usando le risorse del Piano Sviluppo Rurale regionale che fino a ieri venivano impiegate per acquistare rotoloni e pivot e che domani potrebbero essere chieste per dotare la propria azienda di una riserva d’acqua permanente”.

Dal progetto sperimentale usciranno una serie di risposte utili da mettere a disposizione dei privati che potranno realizzare il proprio di bacino per la raccolta delle acque

••• La novità ••• GRAZIE ALLA NUOVA APP TELEFONICA, TANTI SERVIZI A PORTATA DI SMARTPHONE

AVVISO DI PAGAMENTO N. ----------------------Via Augustea, 25 - 35042 Este (PD) Tel. 0429 1906460 Fax 0429 50054 - Codice Fiscale 91022300288

CODICE FISCALE -----------------------------

sito internet: www.adigeuganeo.it e-mail: protocollo@adigeuganeo.it pec: adigeuganeo@pec.it

Consorzio di Bonifica Adige Euganeo Per la gestione delle acque e la tutela del territorio

Il Consorzio di bonifica Adige Euganeo è un ente pubblico economico, istituito dalla Regione Veneto (art. 3 legge regionale n. 12/2009) e amministrato direttamente dai consorziati - cioè da tutti i proprietari di terreni e fabbricati ricadenti nel comprensorio - per la manutenzione, gestione e progettazione di opere finalizzate alla salvaguardia idraulica del territorio, alla gestione delle risorse idriche e alla tutela dell’ambiente. I tributi di bonifica, dovuti per legge, servono a finanziare tutta l’attività del Consorzio per la gestione e la manutenzione di canali, impianti e manufatti.

COGNOME e NOME

SCADENZA DI PAGAMENTO --/--/----

€.-------------

--/--/----

€.-------------

INDIRIZZO

In caso di recapito tardivo è possibile pagare, senza alcuna maggiorazione, entro 15 giorni dal ricevimento della presente

119.207 ettari

DETTAGLIO DEGLI IMPORTI DOVUTI Codice Descrizione TRIBUTO 0630 – CONTRIBUTO DI BONIFICA TRIBUTO 0630 – CONTRIBUTO DI IRRIGAZIONE TRIBUTO 0630 – CONCESSIONI TRIBUTO 0630 – SCARICO

Anno

Importo

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€.-----€.-----€.-----€.------

Importo totale

70 Comuni

Oltre 1855 km

di territorio in cui vivono oltre

260 mila abitanti

tra le Province di Padova, Verona, Venezia e Vicenza

di canali in gestione

64 impianti idrovori

che allontanano attraverso pompe

200.000.000 mc d’acqua all’anno

€.------

Istruzioni per il pagamento: presso gli sportelli di tutti gli istituti di credito o gli sportelli bancomat oppure mediante il remote banking del Suo conto corrente utilizzando l’allegato bollettino MAV (senza commissioni aggiuntive) oppure presso tutti gli uffici postali utilizzando l’allegato bollettino MAV (con applicazione della commissione aggiuntiva stabilita da Poste Italiane pari a €.1,50)

Monitoraggio 24 h su 24

i livelli di canali e impianti con un sistema di telecontrollo e telecomando

Qualora, a decorrere dal prossimo anno, desideri attivare la domiciliazione bancaria automatica è invitato a seguire le istruzioni presenti sul sito del Consorzio www.adigeuganeo.it nella sezione Portale del Catasto alla voce Domiciliazione Bancaria. Non sono consentiti pagamenti parziali o eseguiti con modalità diverse da quelle sopra descritte.

Chiarimenti e informazioni

dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 13.00

Ufficio Catasto consorziale Via Augustea, 25 - Este (PD) tel 0429.1906460 - e-mail: protocollo@adigeuganeo.it Contributi Consortili i proprietari degli immobili (agricoli ed extra agricoli), ricadenti all’interno del perimetro di contribuenza e che ricevono benefici dall’esecuzione, dalla manutenzione, dall’esercizio delle opere e delle attività del Consorzio, sono tenuti obbligatoriamente, ai sensi del R.D.215/33 e della L.R. 12/09, al pagamento dei contributi consortili calcolati secondo i criteri stabiliti dal Piano di Classifica vigente, approvato con D.G.R.V.n.133/2013. Il mancato pagamento del presente avviso comporta l’iscrizione a ruolo con conseguente notifica della cartella esattoriale ed aggravio delle relative maggiorazioni. Contro il presente avviso potrà essere proposto ricorso indicando le motivazioni entro 60 giorni dal ricevimento dell’avviso stesso. Il ricorso dovrà essere inviato con raccomandata AR al seguente indirizzo: Consorzio di Bonifica Adige Euganeo, Via Augustea 25 35042 Este (PD) o tramite casella PEC all’indirizzo adigeuganeo@pec.it Per consultare la propria posizione, accedere a: www.adigeuganeo.it > Portale del catasto > Avvisi di pagamento > Avvisi on line > inserire come Codice Ditta ******* e PIN *******

Rev.2017/4

Sul sito consorziale www.adigeuganeo.it alla voce Portale del catasto sono, inoltre, reperibili informazioni aggiuntive ed è possibile registrare la richiesta recapito avviso di pagamento a mezzo pec o posta elettronica.

Reperibilità h 24 e pronto intervento in caso di emergenze idrauliche

Progettiamo e realizziamo

opere di bonifica e di irrigazione per la sicurezza idraulica del territorio (canali, idrovore, bacini di laminazione e bacini di fitodepurazione) e per il razionale utilizzo della risorsa idrica (impianti, sostegni, canalette irrigue e impianti in pressione)

Forniamo assistenza

ai consorziati per autorizzazioni, concessioni e pareri idraulici

Curiamo la manutenzione

dei canali (taglio della vegetazione, pulizia, riparazione delle sponde franate) e degli impianti (riparazione pompe, motori e quadri elettrici)

Desideri maggiori informazioni?

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Inoltre iscrivendoti alla nostra newsletter, sarai sempre informato sulle attività e sulle iniziative del Consorzio.

Responsabile del Procedimento: Vettorello dr.Stefano - Direttore del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo

Sono stati emessi gli avvisi di pagamento, relativi al contributo consortile annuale, per tutti i proprietari di beni immobili (terreni e fabbricati) che ricadono nel comprensorio del Consorzio di bonifica Adige Euganeo

Il Consorzio di bonifica Adige Euganeo si è dotato di una nuova App telefonica. Si tratta di un importante adempimento nell’ambito delle relazioni con il pubblico, che permetterà un rapporto più diretto con i Consorziati con lo scopo di elevare l’efficacia, l’efficienza, e la tempestività delle azioni, nonché di assicurare il massimo della trasparenza nella gestione dei servizi dell’ente. Si Chiama App Bonifica Adige Euganeo ed è un’applicazione scaricabile da Google Pay o da AppStore, la registrazione è molto semplice, basta inserire il proprio codice (ricevuto insieme all’avviso di pagamento del contributo di bonifica), per accedere ad importanti informazioni: • sullo stato dei lavori del Consorzio: in programmazione, in corso e ultimati • sullo stato dei propri pagamenti o sullo stato di avanzamento di una pratica Oppure accedere ai servizi: • per fissare un appuntamento con gli operatori, scegliendo l’area di competenza (lavori pubblici, catasto, autorizzazioni, etc) e l’incaricato • Per accedere all’agenda e consultare tutte le scadenze o l’avviso di eventi legati alla vita del Consorzio L’App, inoltre, contiene un’importante funzione di “Segnalazione del territorio” grazie alla quale sarà possibile comunicare guasti, avarie o danni provocati alla rete di bonifica inviando la foto e la posizione esatta attraverso il segnale Gps.

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FEASR

FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: L’EUROPA INVESTE NELLE ZONE RURALI

LA SIEPE NEL PAESAGGIO PADANO-VENETO FUNZIONI E BENEFICI PER L’AGRICOLTURA E L’AMBIENTE Un elemento fondamentale della campagna di ieri è andato progressivamente sparendo. Oggi si assiste ad timido ma costante ritorno di queste formazioni nel paesaggio agrario, anche grazie ad un nuovo modo di fare agricoltura, più sostenibile e conservativo La siepe campestre ha rivestito fin da tempi antichi un’importanza centrale nel paesaggio rurale agricolo: al ruolo di semplice componente verde a delimitazione di campi e pascoli, col tempo si sono aggiunte funzioni oggi ben più importanti, come quella ecologico-paesaggistica e sociale. Nonostante dal dopoguerra ad oggi la presenza di siepi si sia drasticamente ridotta nella nostra pianura, negli ultimi anni si sta assistendo ad un timiScriveva Goethe durante do ma costante ritorno di queste il suo “Viaggio in Italia”: formazioni nel paesaggio agrario, “Indescrivibile è anche grazie ad un nuovo modo l’abbondanza con cui piante di fare agricoltura, più sostenibile e frutti si affacciano e conservativo. dai muri e dalle siepi Ai tempi la siepe aveva principalo pendono dagli alberi […]. mente una funzione strutturale Gli alberi succedono agli e produttiva: con gli apparati alberi; le piante alle piante, radicali le piante consolidavale siepi alle siepi” no le sponde di canali e scoline, impedivano l’erosione del suolo e fungevano anche da frangivento. Allo stesso tempo le piante producevano legna da ardere, paleria da utilizzare per la costruzione degli attrezzi da lavoro, fogliame da foraggio (le foglie del gelso per il baco da seta), oppure legname da opera e da falegnameria (specie i noci, di solito piantati vicino Iniziativa pubblicitaria finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020. Organismo responsabile dell’informazione: El Tamiso Società Cooperativa Agricola. Autorità di gestione: Regione del Veneto Direzione AdG FEASR e Foreste

le abitazioni, venivano usati per costruire il mobilio di casa). Le siepi oggi rivestono anche altri ruoli, non meno importanti: la loro presenza concorre alla creazione di corridoi ecologici e nuove nicchie ed habitat per macro e microfauna (funzione ecologico-paesaggistica), al contenimento dell’inquinamento e della deriva dei fitofarmaci ed alla fissazione della CO2 atmosferica (funzione sociale). Se da un lato “sottraggono” terreno fertile potenzialmente coltivabile, dall’altro recenti studi hanno dimostrato che la presenza di siepi arboreo ed arbustive miste (polispecifiche, ossia formate da più specie) contribuisce all’aumento della produzione agricola dei terreni confinanti: basti pensare che l’effetto frangivento di una siepe è ben apprezzato dalle specie agrarie la cui impollinazione è ridotta dai forti venti, oppure al fatto che le siepi possono ospitare numerose specie animali antagoniste di insetti dannosi per numerose colture agricole e frutticole. Beneficiario e capofile del progetto aggregato

Partecipano al progetto aggregato anche i seguenti consorzi


FEASR

FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: L’EUROPA INVESTE NELLE ZONE RURALI

COME PROGETTARE E REALIZZARE UNA SIEPE Per veder realizzata una siepe mista nel proprio appezzamento agricolo, la prima operazione da affrontare è la redazione di un progetto, fatto “su misura” per soddisfare le esigenze e gli obiettivi del richiedente. Il progettista, come ad esempio il dottore agronomo o il dottore forestale, deve valutare i fattori che possono portare al successo dell’impianto e riassumerne nel progetto le scelte tecniche, colturali e gestionali. Tra gli aspetti principali vi è la conoscenza delle caratteristiche ambientali locali: devono essere scelte le specie vegetali più idonee all’habitat nel quale verranno piantate e deve essere stabilita la migliore distanza tra le une e le altre affinché non vi sia eccessiva concorrenza intra-specifica. Benché la fase progettuale rappresenti una tappa fondamentale, non meno importanti sono le successive fasi di realizzazione e cura della siepe. Tra le operazioni da effettuare in sede di impianto vi sono: > I l corretto assetto idraulico dei terreni volto ad evitare ristagni idrici sul terreno o zone a disponibilità idrica ridotta o assente > La concimazione di fondo, specie su terreni poco fertili e meglio se eseguita con concime organico > La lavorazione profonda del terreno (50 cm e oltre), specialmente su suoli pesanti (argillosi), con ripuntatura o aratura profonda

Distanze dai confini. Chi vuole piantare alberi presso il confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti comunali e, in mancanza, dagli usi locali. Se gli uni e gli altri non forniscono alcuna disposizione in merito, devono essere osservate le seguenti distanze dal confine dettate dall’Art. 892 del Codice Civile: tre metri per gli alberi di alto fusto, un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto, mezzo metro per le viti, gli arbusti , le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo Iniziativa pubblicitaria finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020. Organismo responsabile dell’informazione: El Tamiso Società Cooperativa Agricola. Autorità di gestione: Regione del Veneto Direzione AdG FEASR e Foreste

> La lavorazione superficiale del terreno (fresatura o erpicatura), per sminuzzarlo e renderlo idoneo alla piantagione delle piantine forestali > Lo squadro ed il picchettamento dei filari, per replicare correttamente lo schema ed il sesto d’impianto del progetto > La posa di pacciamatura (plastica o biodegradabile) per contenere la competizione delle erbe infestanti e per garantire un microclima del suolo idoneo agli apparati radicali delle giovani piantine. In aggiunta è possibile installare sotto la pacciamatura anche un’ala gocciolante per le irrigazioni localizzate durante i primi anni > La scelta di piantine forestali certificate, idonee allo scopo, esenti da malattie con un ottimo rapporto tra le dimensioni della chioma e delle radici: si tratta di piantine a radice nuda o in pane di terra, di 1-3 anni di età e di altezze variabili dai 30 ai 100 cm > La messa a dimora delle piante su buche idonee a contenerne l’apparato radicale senza danneggiarlo o comprimerlo, da effettuare durante il riposo vegetativo (di norma da fine ottobre a fine febbraio), evitando periodi di caldo o freddo intensi > La messa in opera delle eventuali protezioni individuali, come pali tutori, reti o “shelter” anti-brucamento, in particolare nelle aree dove la presenza di macrofauna (lepri o caprioli) può rappresentare un problema per la sopravvivenza delle giovani piante > L’irrigazione di soccorso post-impianto, sia per sopperire ad eventuali ed inattesi periodi di siccità, sia per assestare correttamente il terreno a ridosso delle radici delle piantine

Beneficiario e capofile del progetto aggregato

Partecipano al progetto aggregato anche i seguenti consorzi


FEASR

FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: L’EUROPA INVESTE NELLE ZONE RURALI

LE SPECIE VEGETALI E LE DISTANZE CONSIGLIATE

OLMO CAMPESTRE

La scelta delle specie da impiegare nella siepe varia in funzione sia dell’ambiente in cui andranno a vegetare, sia delle dimensioni a maturità. In linea di massima, possiamo operare le seguenti distinzioni: > Piante arboree di prima grandezza (con altezza a maturità superiore ai 15-20 m), da utilizzare in pianura o nella bassa collina: Farnia, Rovere, Leccio, Cerro, Olmo campestre, Platano, Frassino meridionale e Frassino maggiore, Bagolaro, Noce I cicli di cui si caratterizza ogni nuovo impianto sono costituiti da tre fasi colturali: la fase di attecchimento, che in genere interessa i primi 2-3 anni dall’impianto e si caratterizza per interventi rivolti a mantenere pulito il terreno e l’irrigazione; la fase di qualificazione, dove l’obiettivo principale è quello di gestire le varie specie a seconda della loro posizione e del ruolo ricoperto: in particolare le piante arboree di prima grandezza vanno potate affinché abbiano tronchi privi di rami per almeno 2,5-3 m di altezza, mentre le specie arboree di seconda grandezza e le arbustive possono essere per il momento lasciate alla libera evoluzione; la fase di dimensionamento, che può consistere nelle potature per contenere le dimensioni della siepe o ceduazioni e capitozzature per la produzione di paleria e legna da ardere. Le specie arbustive vanno invece controllate con leggere potature per consentire di mantenere nel tempo le dimensioni della chioma.

CORNIOLO

CARPINO BIANCO

comune, Ciliegio selvatico e Ciliegio montano, Tiglio nostrale e Tiglio selvatico, Pioppo nero, Pioppo bianco e Pioppo tremulo, Ontano nero, Salice bianco; >P iante arboree di seconda grandezza (ad accrescimento meno sostenuto, con altezza a maturità entro i 10-15 m, che si prestano anche a potature per contenerne le dimensioni): Acero campestre, Carpino bianco, Carpino nero, Ciliegio canino, Orniello, Roverella, Gelso nero e Gelso bianco (eventualmente da governare a capitozza); >P iante arbustive (con altezze a maturità inferiori ai 5 m): Nocciolo, Prugnolo (spinosa), Corniolo, Spincervino (spinosa), Pallon di maggio, Lantana, Sambuco nero, Biancospino (spinosa), Eleagno, Ligustro, Fusaggine, Crespino e Frangola. Per ciò che riguarda le distanze, valgono le seguenti regole: > Le piante arboree di prima grandezza vanno distanziate di circa 6-8 m le une dalle altre > Le piante arboree di seconda grandezza possono essere posizionate tra le precedenti, a 2-4 metri le une dalle altre. > Le specie arbustive possono venire messe a dimora a distanza di 1 m tra le piante. Si ottiene alla fine uno schema come il seguente:

Dr.Forestale Alessandro Pasini, consulente A.Ve.Pro.Bi. Iniziativa pubblicitaria finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020. Organismo responsabile dell’informazione: El Tamiso Società Cooperativa Agricola. Autorità di gestione: Regione del Veneto Direzione AdG FEASR e Foreste

Beneficiario e capofile del progetto aggregato

Partecipano al progetto aggregato anche i seguenti consorzi


INGIROPIEDANDO di Emanuele Cenghiaro

I VITIGNI RESISTENTI… SARANNO IL FUTURO ANCHE SUGLI EUGANEI? Estati sempre più calde e siccitose hanno portato alla sperimentazione di nuovi vitigni anche sui colli Euganei. Garantiscono un impiego minore di fitofarmaci, rese migliori ma il sapore è diverso

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e ne parla ancora sottovoce, ma il brusio pian piano si alza. È quello sollevato dall’impiego in viticoltura di particolari vitigni, chiamati “resistenti”, frutto di ricerca e noti anche come Piwi: un nome che viene dal tedesco pilzwiderstandfähige. Significa “resistente ai funghi”, in primis Oidio e Peronospora, spauracchi dei viticultori. Si tratta di piante “ibride”, frutto di incroci particolari e selezionati, che hanno spesso anche altre caratteristiche ambite in vigna, come quelle di sopportare meglio il caldo, il freddo e la siccità. Secondo Veneto Agricoltura, la prima coltura di questi vitigni nella nostra regione data al 2014: le loro uve, tuttavia, per legge non possono ancora essere impiegate nei vini Doc. Cominciano però a essere numerose le aziende che, dapprima come apripista e poi in maniera sempre più convinta, hanno iniziato a piantare

barbatelle Piwi. Sui colli Euganei, nel 2016 ha iniziato la cantina Parco del Venda, seguita l’anno dopo da Bacco e Arianna, storica azienda a conduzione biologica: i titolari sono convinti assertori che questi vitigni possano essere la strada del futuro, anche per far fronte ai cambiamenti climatici. E così, nomi come Merlot Khorus, Cabernet Volos, Sauvignon Soreli e Kretos, cominciano a diffondersi… Cosa sono queste uve Piwi? Si tratta niente altro che di incroci tra piante di viLa prima coltura tis vinifera, l’uva da vino, e altre varietà come le di questi vitigni americane Labrusca e resistenti nella Riparia, che possiedono nostra regione caratteristiche particoladata al 2014. ri, ad esempio maggioLe loro uve, re resistenza a funghi e malattie, o a condizioni tuttavia, per legge atmosferiche estreme. non possono A livello di ricerca opeancora essere rano in questo campo impiegate attivamente enti come nei vini Doc la Fondazione Edmund Mach - Istituto Agrario San Michele all’Adige, l’Università di Udine e il CRA-Vit di Conegliano; a diffondere le

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INGIROPIEDANDO barbatelle ci pensano i Vivai cooperativi di Rauscedo (Pordenone). “La selezione delle piante resistenti - spiega sempre Veneto Agricoltura - segue uno schema abbastanza semplice: si fanno gli incroci, si ottengono le piantine da seme, le si mettono alla miglior esposizione al fungo e si selezionano solo le piantine resistenti che verranno poi valutate dal punto di vista enologico”. Si tratta di processi che sia l’uomo che la natura fanno da millenni, e nel Veneto li conosciamo bene: ne sono esempi l’uva Isabella (o uva fragola), così come Clinton e Bacò, diffusisi nelle nostre campagne per contrastare le crisi produttive dell’800. Oggi la genetica aiuta ad abbreviare i tempi e a raggiungere risultati più mirati ed efficaci: questi vitigni “potenziati” sono presentati come un valido aiuto per i coltivatori, un baluardo ai cambiamenti climatici Sugli Euganei ma anche un sostei primi impianti gno alla salvaguardia ambientale, visto che di Piwi sono stati promettono minore realizzati dalla impiego di chimica in cantina Parco vigna. del Venda, seguita “Alle viti resistenti - ril’anno dopo da vela Michael Toniolo Bacco e Arianna di Parco del Venda,

I Piwi necessitano solo tre trattamenti all’anno, contro i tredici di media per gli altri vigneti

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Michael Toniolo di Parco del Venda, la sua azienda conta già circa quattro ettari di “vigneti resistenti”

che ne ha circa quattro ettari - facciamo solo tre trattamenti all’anno, il numero consigliato dai tecnici, contro i tredici di media per gli altri vigneti. Abbiamo fatto una prova: piantando dei filari di cabernet normale accanto a quello resistente e facendo lo stesso numero minimo di trattamenti, le piante normali quest’anno hanno reso il 30 per cento di meno. Facendo meno trattamenti si ha anche un minore passaggio di mezzi pesanti in vigna, minori danni ai terreni, meno consumo di carburante e relativo inquinamento”. Tra le caratteristiche di questi vitigni c’è anche una notevole precocità nella maturazione: si vendemmia un


INGIROPIEDANDO

Tra le caratteristiche di questi vitigni c’è anche una notevole precocità nella maturazione: si vendemmia un mese prima uva perfettamente matura

mese prima uva perfettamente matura, con una notevole riduzione dei rischi di produzione. “Il vero vantaggio per un produttore - continua Toniolo - secondo me non è tanto quello economico ma la tranquillità: poter fare pochi interventi e programmati, senza l’ansia di dover correre ai ripari ogni volta che piove perché potrebbe insorgere una malattia e perdere la produzione… questo, veramente, per me non ha prezzo”. Per questi e altri motivi i Piwi sono una possibile soluzione verso una maggiore sostenibilità in viticoltura. Una alternativa, o forse un ausilio, al biologico? Sicuramente aiuta i coltivatori bio a ridurre i rischi di malattie e l’impiego di rame in vigna - unico baluardo chimico loro permesso dalla normativa - ma non tutti sono favorevoli a questa novità. Anche tra di loro, tuttavia, i Piwi si fanno strada, come dimostra la sperimentazione di Emanuele Calaon A livello di ricerca di Bacco e Arianna, operano in questo che nel prossimo campo enti come la autunno presenFondazione Edmund terà il suo primo Sauvignon Kretos. Mach - Istituto Agrario San Michele Pure tra gli appasall’Adige, l’Università sionati degustatori si solleva qualche di Udine e il CRA-Vit perplessità, poidi Conegliano ché i Piwi portano i nomi di vitigni celeberrimi, ma il sapore finale può essere anche parecchio differente da quelli cui siamo abituati. Se un Merlot, un Cabernet o un Sauvignon, i vitigni che vanno per la maggiore, sono la base di

partenza, l’inserimento di piccole percentuali delle altre piante è sufficiente a modificarne profumi e sapori, dando luogo a vini spesso fuori dagli schemi e con sentori meno fini e armonici al naso e al palato. Se tali note organolettiche spiazzano i bevitori più esperti, meno problemi sembrano però sollevare nel consumatore medio, non sempre in grado di apprezzare le differenze: e non a Emanuele Calaon di Bacco e caso il mercato sembra Arianna, il prossimo autunno premiarli. Gli aspetti di presenterà il suo primo Sauvignon Kretos sostenibilità ambientale, su cui l’attenzione è destinata a crescere, potrebbero essere poi un’arma vincente presso il grande pubblico. Come costi, l’investimento dei produttori oggi è maggiore all’inizio, ma poi i risparmi sui fitofarmaci, le maggiori rese e i minori altri rischi dovrebbero permettere loro di recuperare agevolmente la spesa, e quindi di rimanere competitivi con i prezzi. Per capire se i vitigni resistenti saranno un’alternativa al bio, è ancora presto. Se si affermeranno, lo deciderà il mercato. Intanto, quando li incontriamo, è il caso di iniziare ad assaggiarli.

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#RIPARTIAMOSICURI, #RIPARTIAMOSICURI, #RIPARTIAMOSICURI,

ALLASCUOLA SCUOLA ALLA ALLA SCUOLA

DELFARE FARE DEL DEL FARE L’80% DEI NOSTRI STUDENTI, L’80% DEI NOSTRI STUDENTI, TROVA LAVORO ENTRO IL PRIMO ANNO TROVA LAVORO ENTRO IL PRIMO ANNO DAL DIPLOMA DAL DIPLOMA L’80% DEI NOSTRI STUDENTI, TROVA LAVORO ENTRO IL PRIMO ANNO DAL DIPLOMA

CORSI DIPLOMA PROFESSIONALE CORSI DIDI DIPLOMA PROFESSIONALE CORSI DI DIPLOMA PROFESSIONALE

TecnicodidiCucina Cucina Tecnico Tecnico di Cucina Tecnicodei deiServizi ServizididiSala Salae eBar Bar Tecnico Tecnico dei Servizi di Sala e Bar LANOSTRA NOSTRASEDE SEDE LA ENAIP VENETO CHIOGGIA VENETO CHIOGGIA LAENAIP NOSTRA SEDE

Isola dell'Unione, Isola dell'Unione, 1 1 ENAIP VENETO CHIOGGIA 30015 Chioggia (VE) 30015 Chioggia (VE) Isola dell'Unione, 1 Tel: 041/458.22.99 Tel: 041/458.22.99 30015 Chioggia (VE) E-Mail: chioggia@enaip.veneto.it E-Mail: chioggia@enaip.veneto.it Tel: 041/458.22.99

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OPERA IN RAGIONE ALLE ESIGENZE SPECIFICHE DEL TERRITORIO E FORNISCE RISPOSTE CONCRETE CON LA FORMAZIONE AL MONDO DEL LAVORO Enaip Veneto è attivo dal 1951, ha rilevato la gestione del CFP della provincia di Venezia di Chioggia da 4 anni. Le attività nella nuova sede di Isola dell’Unione sono presenti dal 2010 mentre il Centro di Formazione Professionale è storicamente attivo dal 1980. L’Istituto occupa dell’insegnamento e dell’avvio ad una professione di tanti giovani, adulti ed imprese. Non a caso l’impegno didattico è felicemente riassunto nel motto “La scuola del fare”.

guardia, dotati delle più moderne attrezzature. E a fianco dello studio e dei laboratori di pratica l’Istituto cura con attenzione i rapporti con le aziende del settore turistico-alberghiero ed agro-alimentare: alberghi, ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie e mense in quanto partener fondamentali previsti dal percorso di studi per il conseguimento degli stage che accompagnano gradualmente gli studenti verso un inserimento consapevole nel mondo del lavoro”.

“Siamo davvero la scuola in cui si impara a fare un mestiere - spiega il dottor Stefano Cicigoi, responsabile della sede di Chioggia - il nostro Istituto ha instaurato un rapporto profondo con Chioggia e il suo territorio, offrendo formazione professionale in settori strategici dell’economia locale con obiettivi precisi su settori come ristorazione, turismo, pesca con target non solo i giovani ma allargato ad adulti e imprese. Il tema della preparazione e della competenza sono elementi sempre più ricercati nel mondo del lavoro, sono quelli che qualificano l’idoneità di un operatore ma sono anche i presupposti fondamentali per avviare una nuova azienda”.

Tanti anni di formazione significano tante persone preparate, avete avuto modo di appurare quanto i giovani dell’Enaip abbiano inciso nella qualità dell’offerta ristorativa del territorio? “Certo, molti nostri ex allievi hanno aperto attività in proprio e tanti sono anche quelli che con la loro preparazione qualificano cucine e sale dei principali hotel e ristoranti. Pensiamo a Venezia allo sbocco che l’indotto turistico internazionale della città rappresenta. Ha costantemente bisogno di operatori più professionali e continuamente aggiornati sui bisogni e le tendenze che la domanda richiede. È questa la ricchezza che Enaip produce”.

Attraverso quali percorsi preparate i giovani al lavoro? “Enaip offre una serie di percorsi di studio che possono portare sia alla qualifica professionale di Operatore della Ristorazione ad Indirizzo Cucina, Sala e Bar, Pasticceria, Panificazione, sia al diploma di maturità professionale. Percorsi di studio che avvengono in laboratori all’avan-

Ma Enaip non prepara solo i giovani “Certo a fianco dei 200 studenti ci sono altrettanti adulti e poi ci sono le imprese. Perché l’attività di Enaip non è rivolta solo alla formazione di nuove figure professionali, ma anche all’accompagnamento e al perfezionamento di operatori già inseriti nel mondo del lavoro. È il caso della pesca, qui a Chioggia esiste la flotta più grande d’Italia, con tipologie di attività distinte e specializzate e la formazione proposta riguarda tanto la sicurezza in mare, quanto l’imparare a conoscere la risorsa “mare”, il prelievo consentito e poi la vendita dei prodotti, perché la pesca non è sempre possibile e alla stretta attività è necessario aggiungere anche altre iniziative imprenditoriali. Enaip dunque è l’Istituto che opera in ragione alle esigenze specifiche di un territorio e fornisce risposte concrete con la formazione al mondo del lavoro”.


LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE di Ada Sinigalia

Fattorie didattiche: L’ESTATE SICURA E PIENA DI DIVERTIMENTI

Da giugno hanno riaperto le 311 strutture, iscritte all’Elenco della Regione Veneto, abilitate ai servizi per l’infanzia e l’adolescenza

E

state, voglia di libertà e di spazi verdi, dopo un periodo interminabile trascorso in casa, soprattutto per i più giovani, riscoprire la Natura potrebbe essere il “senso” da dare a questo tempo del dopo-epidemia. E in soccorso arrivano le fattorie didattiche che proprio in questi giorni hanno avuto il via libera dalla Regione Veneto per riaprire i battenti e offrire i loro servizi per l’accoglienza dei ragazzi. Una valida opportunità per le famiglie che hanno bambini da accudire, in quanto Le attività proposte la loro ubicazione in fattoria non sono in campagna con solo di tipo ricreativo ampi spazi all’aperto e attività didattima sono anche educative e formative che rendono queste strutture il posto ideale in cui poter meglio applicare le distanze di sicurezza. Le fattorie didattiche sono aziende agricole autorizzate a fare formazione sul campo per le nuove generazioni, puntando sull’educazione ambientale

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attraverso la conoscenza della campagna con i suoi ritmi, l’alternanza delle stagioni e la possibilità di produrre in modo sostenibile. Svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere le famiglie e i genitori al fine di offrire servizi educativi con particolare attenzione al benessere psico-fisico dei bambini e dei ragazzi. I bambini, dopo mesi chiusi in casa e lontano da amici e compagni di scuola, possono così stare all’aria aperta, giocare e allo stesso tempo imparare con i laboratori didattici. Le attività proposte in fattoria non sono solo di tipo ricreativo ma sono anche educative e formative: coltivare un orto presuppone il calcolo delle misure a cominciare dagli attrezzi da usare, alla conta delle piantine da seminare e delle loro distanza, per fare un esempio, e poi tante altre attività come la caccia al tesoro tra i campi, attività con i pony, laboratori alla scoperta dei prodotti della terra e dalla loro stagionalità e poi l’incontro ravvicinato con gli animali della fattoria, un modo, questo, per riallacciare i legami con le tradizioni della nostra terra.


LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE Sono ben due i motivi per i quali l’estate in fattoria didattica potrebbe essere la scelta giusta, la prima è il contributo, previsto dal DL Rilancio, di 1.200 euro per le baby sitter in ogni famiglia, che sarà spendibile anche per i centri estivi e per i servizi all’infanzia, il secondo è proprio la formazione che gli operatori agricoli hanno sostenuto Il Decreto Legge Rilancio nel periodo di prevede un contributo chiusura per di 1.200 euro spendibile perfezionare gli aspetti pedagoper i centri estivi e gici legati alla per i servizi all’infanzia formazione, per imparare nuovi metodi per introdurre i bambini negli spazi aperti della campagna e forme alternative di attenzione alle disposizioni anti-covid. Del resto i gestori delle fattorie si rendono conto della responsabilità sul fronte della sicurezza sanitaria ma allo stesso tempo desiderano fornire un servizio e un’opportunità ai bambini e alle loro famiglie. Un servizio sul quale sarà costante, tra l’altro, anche il monitoraggio da parte della Regione Veneto, così come previsto dall’Ordinanza

Le attività proposte in fattoria non sono solo di tipo ricreativo ma sono anche educative, formative e motorie

del 13 giugno 2020, per esercitare la più scrupolosa osservanza alle disposizioni previste al contenimento del contagio. Nei centri per l’infanzia, infatti, è prevista la misurazione della temperatura non solo ai bimbi ma anche ai genitori che li accompagnano e in più è previsto un preciso rapporto tra operatore e numero di bimbi: 1 a 5 per i piccoli fino a 5 anni, 1 a 7 per quelli da 6 a 11 anni e 1 a 10 per quelli più grandi. Inoltre, l’uso della mascherina (per i bimbi dai 6 anni in su) è obbligatorio solo se è possibile garantire distanziamento, ma non ad esempio quando i bimbi sono seduti ognuno al suo posto. Ed è anche possibile far portare cibo da casa (panino, bevanda o altro), ma solo per il consumo del singolo bambino che lo porta. Inoltre il gestore della fattoria didattica sarà tenuto a trasmettere al Comune nel quale si svolgono le attività, prima dell’avvio del servizio, la dichiarazione di presa visione delle linee di indirizzo regionale e di impegno al rispetto delle stesse e la sottoscrizione con le famiglie del “patto di responsabilità reciproca”.

Le fattorie didattiche sono aziende agricole autorizzate a fare formazione sul campo per le nuove generazioni puntando sull’educazione ambientale attraverso la conoscenza della campagna con i suoi ritmi, l’alternanza delle stagioni e la possibilità di produrre in modo sostenibile

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INGIROPIEDANDO di Mauro Gambin

Cantina Colli Euganei

E VINI DELLA SOLIDARIETÀ, A FINE LUGLIO I PRIMI 50 MILA EURO PER LA RICERCA DEL COVID L’iniziativa rivolta a finanziare l’Università di Padova attraverso la vendita del Serprino Doc e del Rosso Colli Euganei Doc sta avendo un grande successo

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uando la campagna “I vini della solidarietà” è stata lanciata, ossia ai primi di giugno, l’ipotesi più ottimistica vagheggiava l’idea che verso dicembre le vendite avrebbero permesso di raccogliere circa 50-60 mila euro da destinare all’Università di Padova per la ricerca sul Covid. In realtà è bastato un mese per raggiungere la cifra ipotizzata e poter staccare il primo assegno Dei 4,95 euro ai ricercatori dell’Ateottenuti neo patavino. Un ridalla vendita sultato straordinario, delle bottiglie, salutato con estremo un euro è destinato favore dalla Cantina Colli Euganei, ideatriall’Università ce del progetto insiedi Padova me al comune di Vo’ e 10 centesimi e al Parco Regionale al Comune di Vo’ dei Colli Euganei, che

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da luce anche alla bontà dell’iniziativa e al valore della solidarietà come sentimento per la ripartenza. Una delle domande ricorrenti durante il periodo del lockdown, infatti, era “se saremmo usciti migliori, come società, dell’epidemia di Covid 19”. Il tasto batteva indubbiamente sullo sforzo comune che la situazione richiedeva e che il nostro paese avrebbe dovuto compiere scavalcando divisioni e interessi particolari. E la Cantina Colli Euganei non si è fermata alle domande, ma è andata al sodo mettendo a frutto quello che sa fare meglio, ossia il vino, legandoci il nome di Vo’, ormai indissolubilmente legato al Covid, ribaltandone però il valore nel rapporto: da comune vittima dell’epidemia a realtà attiva e fortemente impegnata alla sua lotta. Perché dai 4,95 euro ottenuti dalla vendita del Serprino Spumante Doc Colli Euganei e del Rosso Doc Colli Euganei - a bottiglia - un euro sono stati destinati all’Università di Padova, per contribuire alla ricerca


INGIROPIEDANDO

Il direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova, Andrea Crisanti

Alessio Equisetto, direttore della Cantina Colli Euganei

scientifica, e 10 centesimi al Comune di Vo’ come sostegno alla ripresa economica. “La Cantina Colli Euganei, a causa della pandemia, ha subito una perdita che abbiamo stimato intorno al 40% del fatturato - spiega Alessio Equisetto, direttore della Cantina Colli Euganei - quindi siamo stati fortemente colpiti, ma questo ci ha portato alla convinzione che sarebbe servita un’operazione di rilancio, una ripartenza fondata sulla solidarietà per uscirne. L’esempio è provenuto dalla popolazione stessa di Vo’, che nel periodo di massima virulenza dell’epidemia, di buon grado, si è resa disponibile ad un importante studio epidemiologico, condotto dall’equipe del professor Adrea Crisanti, per fornire tutta la letteratura scientifica alla lotta del virus”. Infatti va ricordato che le risposte necessarie alla formulazione del “modello veneto”, in risposta al Covid, sono state elaborate proprio sui dati raccolti sulla popolazione del piccolo

comune euganeo, il primo a diventare un focolaio del virus e a conoscere l’isolamento del lockdown. “I cittadini - spiega il celebre virologo - si sono sottoposti a più cicli di tamponi per permettere di creare valutazioni medico-scientifiche e statistiche. Hanno dato prova di avere fiducia nella scienza e nelle istituzioni ed è questo che mi rende ottimista per il futuro: abbiamo la capacità di reagire al È stato a Vo’ virus, la rete è preche si sono trovate disposta”. le risposte necessarie “Qui è stata scritalla formulazione ta una pagina di storia - aggiunge del “modello veneto” il prorettore all’orin risposta al Covid ganizzazione e processi gestionali dell’Università di Padova, Antonio Barbonetti - e oggi resta da scrivere una nuova pagina dedicata alla ripartenza. La ricerca e la formazione di

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INGIROPIEDANDO nuovi ricercatori, sono indubbiamente la risposta che il mondo accademico può fornire all’attualità e ai suoi problemi e quindi non può che vederci favorevolmente felici per questo importante risultato ottenuto dalla Cantina Colli Euganei”. Un risultato importante che sicuramente non sfuggirà al presidente Sergio Mattarella, Ai marchi della grande durante la sua visita il prossidistribuzione si è mo settembre. aggiunto Autogrill per “I risultati ottela commercializzazione nuti da Vo’ e del Serprino e del Rosso dalla sua cantina - ha concluColli Euganei nelle so il direttore stazioni di ristoro Equisetto - sadella A4 ranno sicuramente gli argomenti che metteremo all’evidenza del Presidente, il progetto poi continuerà fino a dicembre. Il risultato fin qui raggiunto va condiviso con i marchi della grande distribuzione che si sono resi disponibili alla vendita dei vini della solidarietà, ai quali recentemente si è aggiunto anche Autogrill che esporrà le nostre bottiglie sugli scaffali di 15 posti di ristoro lungo l’autostrada A4. È evidente che stiamo andando sempre più lontano”.

Fondata nel 1049, la Cantina Sociale Colli Euganei è una cooperativa che conta ben 550 soci conferitori. Le loro uve provengono da una superficie totale coltivata di oltre 700 ettari, suddivise in diverse tipologie per una produzione totale annua di circa 9 mila tonnellate. L’azienda ha realizzato un fatturato di 15,5 milioni di euro nel 2019. Il 75% delle vendite delle bottiglie avviene nel mercato italiano (75% GDO e 25% Ho.Re.Ca) e il 25% riguarda export verso 18 paesi europei ed extraeuropei

I due vini della solidarietà

SONO DUE LE ETICHETTE ATTRAVERSO LE QUALI VIENE FINANZIATA LA RICERCA DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA • COLLI EUGANEI SERPRINO, SPUMANTE EXTRA DRY 2019 MILLESIMATO DOC, ottenuto da uva Serprina in purezza, proveniente dai vigneti caratterizzati da una particolare esposizione climatica e da terreni di origine vulcanica che creano i presupposti per i caratteristici profumi fruttati, i sentori aromatici e il piacevole brio per cui è celebrata questa bollicina immagine delle alture euganee.

• COLLI EUGANEI ROSSO 2019 DOC, ottenuto da un insieme di uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, provenienti da vigneti selezionati, vinificate separatamente e assemblate prima dell’imbottigliamento. I terreni di origine vulcanica conferiscono a questo Rosso colore e forza, mentre la particolare esposizione climatica ne caratterizza il profumo intenso e il sapore pieno e avvolgente.

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Un’iniziativa di: Un’iniziativa di: Un’iniziativa di:

Siamo parte della stessa storia. Siamo parte della stessa storia. Siamo Siamo parte parte della della stessa stessa storia. storia. Siamo parte della stessa storia.

Vo’: un apostrofo che unisce. Sosteniamo la ricerca facendo quello che ci riesce meglio: il nostro vino. Il suo sapore Vo’: un apostrofo che unisce. inconfondibile trae origine dall’uva del Colli Euganei, maturata in un territorio ormai Sosteniamo la ricerca facendo quello che ci riesce meglio: il nostro vino. Il suo sapore diventato famoso per la forza dei suoi abitanti e la tenacia delle sue istituzioni. inconfondibile trae origine dall’uva del Colli Euganei, maturata in un territorio ormai Grazie collaborazione tra Cantina Colli Euganei e i più grandi marchi della Vo’: unalla apostrofo unisce. diventato famoso perche la forza dei suoi abitanti e la tenacia delle sue istituzioni. Grande Distribuzione Organizzata, ogni bottiglia a marchio Vo’ destineremo 1 euro Vo’: un apostrofo unisce. Sosteniamo la ricercache facendo quelloper che ci riesce meglio: il nostro Il suo sapore Grazie alla collaborazione tra Cantina Colli Euganei e i più grandivino. marchi della all’Università di Padova per contribuire alla ricerca scientifi ca contro il COVID-19. Sosteniamo la ricerca facendo quellodel che ci riesce meglio: il nostro vino. Il suo sapore inconfondibile trae origine dall’uva un territorio ormai Grande Distribuzione Organizzata, perColli ogni Euganei, bottiglia amaturata marchioin Vo’ destineremo 1 euro www.unipd.it/covid19/ inconfondibile traeper origine dall’uva delabitanti Colli Euganei, maturata sue in un territorio ormai Vo’: un apostrofo che unisce. diventato famoso la forza deicontribuire suoi e la tenacia istituzioni. all’Università di Padova per alla ricercadelle scientifi ca contro il COVID-19. diventato famoso per la forza dei suoiche abitanti e la meglio: tenacia delle suevino. istituzioni. Sosteniamo la ricerca facendo quello ci riesce il nostro Il suo sapore Grazie alla collaborazione tra Cantina Colli Euganei e i più grandi marchi della www.unipd.it/covid19/ Grazie collaborazione tra Cantina imarchio più grandi marchi dellaormai inconfondibile trae origine dall’uva del Euganei, in un territorio Grandealla Distribuzione Organizzata, perColli ogni Euganei bottiglia eamaturata Vo’ destineremo 1 euro Grande Distribuzione ogni bottiglia a marchio Vo’istituzioni. destineremo euro diventato famosodiper laOrganizzata, forzaper deicontribuire suoiper abitanti e la tenacia delle sue all’Università Padova alla ricerca scientifi ca contro il1COVID-19. all’Università di Padova per contribuire alla ricerca ca contro Grazie alla collaborazione tra Cantina Colli Euganei e i più scientifi grandi marchi della il COVID-19. www.unipd.it/covid19/ Con la partecipazione di: www.unipd.it/covid19/ Grande Distribuzione Organizzata, per ogni bottiglia a marchio Vo’ destineremo 1 euro Con la partecipazione di: all’Università di Padova per contribuire alla ricerca scientifica contro il COVID-19. www.unipd.it/covid19/ Con la partecipazione di: Con la partecipazione di: Con la partecipazione di:

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FEASR

FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: L’EUROPA INVESTE NELLE ZONE RURALI

Questo articolo è stato scritto dal giornalista Giorgio Vincenzi

DALL’UE LE STRATEGIE PER FERMARE LA PERDITA DI BIODIVERSITÀ E COSTRUIRE UN SISTEMA AGROALIMENTARE SOSTENIBILE Iniziativa pubblicitaria finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020. Organismo responsabile dell’informazione: El Tamiso Società Cooperativa Agricola. Autorità di gestione: Regione del Veneto Direzione AdG FEASR e Foreste

Per ottenere tutto ciò si prevede, entro il 2030, che almeno il 30% della superficie terrestre e dei mari d’Europa siano zone protette, la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi, di almeno il 20% l’uso di fertilizzanti e il raggiungimento del 25% dei terreni agricoli coltivati biologicamente Un programma ambizioso quello che la Commissione europea ha adottato il 20 maggio scorso per arrestare la perdita di biodiversità animale e vegetale e per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente (“Dal produttore al consumatore”, in inglese “Farm to Fork”). Il tutto entro il 2030. Secondo la Commissione europea - il braccio esecutivo dell’Ue, con il compito anche di redigere le proposte di nuovi atti legislativi europei - le due strategie, che definiscono quale sarà il ruolo dell’agroalimentare nel Green Deal (la tabella di marcia per rendere sostenibile l’economia dell’Ue), pongono il cittadino in posizione centrale, impegnandosi ad aumentare la protezione della superficie terrestre e del mare, ripristinando gli ecosistemi degradati e dando all’Europa un ruolo guida sulla scena internazionale sia per la protezione della biodiversità sia per la costruzione di una catena alimentare sostenibile. Beneficiario e capofile del progetto aggregato

Partecipano al progetto aggregato anche i seguenti consorzi


FEASR

FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: L’EUROPA INVESTE NELLE ZONE RURALI

LA NUOVA STRATEGIA SULLA BIODIVERSITÀ Lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, l’inquinamento e le specie esotiche invasive stanno compromettendo in maniera preoccupante la nostra biodiversità. Inoltre, un ecosistema danneggiato, sostiene la Commissione, è un ecosistema più fragile, con una capacità limitata di reagire a eventi estremi e nuove malattie. Per contro, un ecosistema equilibrato ci protegge da catastrofi impreviste e, se ne facciamo un uso sostenibile, ci offre valide soluzioni alle sfide più pressanti. Quindi, per ovviare a tutto propone, tra l’altro, di stabilire obiettivi vincolanti per ripristinare gli ecosistemi e i fiumi che hanno subito danni, migliorare la salute degli habitat e delle specie protette, riportare gli impollinatori nei terreni agricoli, ridurre l’inquinamento, aumentare le superfici a foreste, inverdire le nostre città, rafforzare l’agricoltura biologica e altre pratiche agricole rispettose della biodiversità. La strategia europea prevede, entro il 2030, che almeno il 30% della superficie terrestre e dei mari d’Europa siano zone protette efficacemente e di destinare almeno il 10% delle superfici agricole a elementi caratteristici del paesaggio con elevata biodiversità. È stato fissato anche come obiettivo, sempre per il 2030, che nell’Ue vengano piantati tre miliardi di alberi e che almeno 25mila km di fiumi siano recuperati eliminando le barriere e ripri-

DAL PRODUTTORE AL CONSUMATORE (FARM TO FORK) Questa strategia consentirà, stando sempre alle proposte della Commissione, di passare a un sistema alimentare caratterizzato dalla sostenibilità, salvaguardando la sicurezza alimentare e

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Un ecosistema danneggiato è un ecosistema più fragile, con una capacità limitata di reagire a eventi estremi e nuove malattie

stinando le pianure alluvionali. Le azioni previste per la protezione, l’uso sostenibile e il ripristino della natura apporteranno, sempre secondo la Commissione europea, benefici economici alle comunità locali creando posti di lavoro e crescita sostenibili.

Entro il 2030 la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi, di almeno il 20% l’uso di fertilizzanti e del 5% le vendite di antimicrobici nello stesso tempo garantendo il sostentamento degli operatori economici. In pratica si prevede nell’Unione europea entro il 2030 la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e di almeno il 20% l’uso di fertilizzanti, del 5% le vendite di antimicrobici (antibiotici) utilizzati per gli animali d’allevamento e l’acquacoltura. Ma c’è di più. L’obiettivo è anche quello di raggiungere il 25 % dei terreni agricoli coltivati secondo le regole dell’agricoltura biologica. Per raggiungere questi traguardi, molto ambiziosi, gli agricoltori, ma anche i pescatori e gli acquacoltori, beneficeranno del sostegno della politica agricola comune (pac) con adeguati finanziamenti. “La strategia Dal produttore al consumatore - secondo Stella Kyriakides, Commissario per la salute e la sicurezza alimentare - influirà positivamente e a largo spettro sui nostri modi di produzione, acquisto e consumo alimentari, a vantaggio della salute dei cittadini, delle società e dell’ambiente. Ci offrirà l’opportunità di conciliare i nostri sistemi alimentari con la salute del pianeta, di garantire la sicurezza alimentare e di rispondere ai desideri degli europei che aspirano a prodotti alimentari sani, equi e rispettosi dell’ambiente”.

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FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: L’EUROPA INVESTE NELLE ZONE RURALI

IL PARERE DI ENRICO MARIA CASAROTTI, PRESIDENTE DI AVEPROBI Per Enrico Maria Casarotti, presidente di Aveprobi (Associazione veneta dei produttori biologici e biodinamici), gli “obiettivi della strategia Farm to Fork sono importanti in quanto propongono sistemi di approvvigionamento alimentari resilienti e robusti fondamentali per ridurre gli input produttivi, aumentare il benessere animale e fermare la perdita di biodiversità: principi peculiari dell’agricoltura biologica. La transizione verso l’agricoltura biologica prevista dalla Commissione da alcuni è vista come un insostenibile aggravio di costi”. “A nostro avviso invece si tratta di un’importante occasione per ridurre l’impronta ecologica della produzione alimentare e di una nuova opportunità per le imprese più virtuose e innovative. Serve cambiare paradigma e rivedere il sistema non nell’ottica di sostituire le tecniche, ma di modificare il modo di consumare, acquistare, vendere, produrre, programmare. Bisogna continuare a produrre

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“Un’importante occasione per ridurre l’impronta ecologica della produzione alimentare e una nuova opportunità per le imprese più virtuose e innovative” cibo di bell’aspetto, buono e salubre, che permetta di ottenere un reddito dignitoso per l’agricoltore e che sia accessibile: un connubio - conclude il presidente di Aveprobi - che non sembra essere possibile invece con l’attuale sistema agroalimentare”. Anche la coalizione #CambiamoAgricoltura plaude all’iniziativa della Commissione europea per aver avviato la transizione verso un sistema agroalimentare più sostenibile anche se a detta loro c’è un punto debole nelle proposte e riguarda il settore zootecnico con il suo contributo alle emissioni climalteranti, in quanto non sono stati fissati degli obiettivi di riduzione vincolanti, insieme alla necessaria promozione della progressiva riduzione e qualificazione dei consumi di prodotti di origine animale. Le prossime tappe: ora tocca al Parlamento europeo e al Consiglio approvare le due strategie.

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è arrivato il “tempo del mare” Nello storico locale condotto dalla famiglia Antico l’estate si apre all’insegna della “sicurezza” e delle migliori preparazioni a base di pesce Nel menù la qualità di sempre e nuovi piatti che guardano al vicino mare. A fianco di piatti di confermato successo come gli “spaghetti allo scoglio”, le tre versioni di baccalà (mantecato, lesso e alla vicentina), il risotto agli scampi e limone o di seppie nere; l’immancabile grigliata e la frittura di pesce e l’insalata di mare, la cucina propone per l’estate 2020 la tartare di tonno fresco e la catalana di pesce, tutto accompagnato da una carta di vini che contempla le migliori etichette locali e quelle del buon bere internazionale.

LE PIZZE, eccellenze “della casa” • Con impasto tradizionale • Piuma, con una prima cottura a vapore • Rustica “in pala alla romana” Tutte con impasti al altissima digeribilità e con ingredienti preparati direttamente in cucina. Tra le nuove proposte Piuma da non perdere: la “Caprese”, con pomodoro confit, mozzarella di bufala, basilico, e la “Tagliata di tonno”

MENÙ DI LAVORO A mezzogiorno l’offerta è sempre all’insegna del territorio e della qualità con un piatto unico che coniuga: • Un primo a scelta tra due proposte tra carne e pesce • Un secondo a scelta tra quattro proposte tra carne e pesce Al prezzo di 12 euro, bevande escluse

Asporto il ristorante-pizzeria è attrezzato anche per preparare piatti da consumere a casa. il menù è invariato rispetto al ristorante. Basta prenotare il pranzo o la cena e passare per il ritiro

Locale che rispetta le disposizioni al contrasto Covid-19 con distanziamento dei tavoli, sanificazione degli spazi ad ogni servizio e registro dei clienti

TRATTORIA PIZZERIA “AL CACCIATORE” Via Villa del Bosco, 268 - Pontelongo (PD) - I mestoli riposano il lunedì Tel. 049 591367 - tratt.cacciatore@libero.it - http://www.trattoriaalcacciatore.altervista.org È possibile seguire le novità della trattoria-pizzeria anche su Facebook


LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman

DA UNA CRISI UN RINNOVAMENTO TECNICO DEL PASSATO

FORD DEXTA E MORRIS MINI-MINOR

Il Super Dexta è stato un vero bolide della strada, capace di raggiungere i 37 km all’ora quando la maggior parte degli altri trattori toccava appena i 15

In campo automobilistico la rivoluzione dei consumi venne vinta dall’Inghilterra dove nel 1959 venne messa in commercio la rivoluzionaria Morris Mini-Minor, progettata dall’ing. Alec Issigonis

Dopo la crisi petrolifera di SUEZ, del 1956, l’innovazione ha portato sul campo e per strada nuovi mezzi performanti, dal peso e dai consumi ridotti. Fu una vera e propria epoca di modernizzazione

passando dalla stretta produzione del fabbisogno familiare alla vendita delle eccedenze, con conseguente necessità di trasportare con mezzi propri i prodotti. I zuccherifici funzionavano a pieno regime, ma la fila per la consegna delle barbabietole era chilometrica, così pure verso le cantine sociali appena sorte. Perciò si correva con il trattore verso questi luoghi nel tentativo di arrivare prima di altri, trascinando dei rimorchi che spesso erano dei carri agricoli precedentemente trainati dai buoi, modificati e gommati per le nuove velocità; ma i sorpassi erano impossibili dato che tutti i trattori avevano le stesse prestazioni: da campo. Ma sul finire degli anni ‘50 arriva un trattore rivoluzionario: con il baricentro basso, leggero ma potente, veloce e maneggevole, con 6 marce avanti e 2 retromarce! Una vera Formula 1 rurale! Era il FORD Dexta, capace di andare ben oltre i 30 km all’ora, con una potenza di 2 cavalli per quintale di peso, mentre gli

S

ul Landini 25-30 che dovevo, mio malgrado, guidare da bambino, c’era una targhetta in bella vista con su scritto: “Non fate curve strette quando la trattrice marcia in quarta velocità!”. Il pericolo era il ribaltamento anche se la velocità massima di quel trattore, e di molti altri dell’epoca, era di 15 Km all’ora! Era una velocità decisamente più elevata del tiro con i buoi o con le vacche, ma lenta per la velocità dello sviluppo di allora. Già dagli anni ‘50, infatti, l’agricoltura stava conoscendo una trasformazione profonda,

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LA MEMORIA DI CARTA Negli anni ‘50 l’agricoltura stava conoscendo una trasformazione profonda, passando dalla stretta produzione del fabbisogno familiare alla vendita delle eccedenze altri trattori presenti sul mercato non andavano oltre a un cavallo per quintale, perché vigeva il principio che per “tacare par tera” bisognava avere peso sulle ruote! Figuriamoci quando, qualche anno dopo, è uscito il Super Dexta, capace di ben 37 km all’ora, con una potenza di 45 cavalli per un peso di soli 15 quintali, riducendo notevolmente i consumi! Una rivoluzione che ha diviso il mondo agricolo: da un lato i conservatori e dall’altro gli innovatori, in genere i più giovani che avevano scelto di rimanere a lavorare i campi e di non emigrare verso le città del triangolo industriale! Questo trattore rivoluzionario arrivava dall’Inghilterra che, come tutta l’Europa, aveva subito una preoccupante scarsità di petrolio, con relativo incremento del prezzo, a causa della crisi di Suez del 1956. La necessità quindi di progettare nuovi motori a alto rendimento e di alleggerire trattori e automobili derivava dalla necessità di diminuirne il consumo di carburante. In campo automobilistico l’Inghilterra esordì, nel 1959, con la rivoluzionaria Morris Mini-Minor, progettata dall’ing. Alec Issigonis, dove in appena 303 centimetri di lunghezza, e con un peso di soli 617 kg, trovavano posto 4 persone. Per far questo Issigonis posizionò le ruote agli angoli estremi della vettura e vi montò un piccolo motore anteriormente e trasversalmente, dotandola di trazione anteriore, soluzione che ha fatto scuola per tutte le vetture di modesta e media cilindrata, da allora ai giorni nostri. E siccome si guidava come un go-kart, e dava numeri a vetture più blasonate e sportive, le sono state affiancate le versioni Cooper 1.0 e Cooper S, vere icone per noi giovani del tempo e vincitrici dei più blasonati Rally degli anni ‘60, come quello di Montecarlo! Tornando al nostro FORD Dexta, ricordo quante accese discussioni ha suscitato in quelli anni tra contadini tradizionalisti ed innovatori, arrivando persino a sfidarsi, a suon di acceleratore e di bloccaggio del differenziale, sul campo. Si perché per strada non c’era storia! In qualche corte la sfida vedeva il Dexta in gare di trazione dove veniva collegato a un altro trattore molto più pesante e di pari potenza con una corda di acciaio negli attacchi posteriori. E si muoveva un gran polverone dalle ruote impazzite nelle corti contadine teatro di tali disfide, dove ognuno aveva vinto o trovava qual-

In appena 303 centimetri di lunghezza, e con un peso di soli 617 kg, trovavano posto 4 persone. Le ruote vennero posizionate agli angoli estremi della vettura e venne dotata di trazione anteriore, una soluzione che ha fatto scuola per tutte le vetture di modesta e media cilindrata fino ai giorni nostri

che scusa per la triste performance! Sul campo poi il confronto era più articolato. Ricordo un cugino di mio padre, Onofrio, possessore del Dexta, che sfidava i confinanti in motoarature con tanto di tenute dei tempi per vedere chi arava più terra, considerando anche la profondità della “làghena” misurata in “schèi” (“centimetri agricoli veneti”); o in gittata del cannoncino per l’irrigazione, contandone i tubi dell’impianto da questo bagnati. Erano decisamente altri tempi, con più speranze per l’agricoltura allora in crescita. Ricordo, con profonda delusione ora, che con 15-20 campi a seminativo una famiglia ci viveva e mandava pure i figli a scuola, ora per lo stesso tenore di vita, che è migliorato per tutti, è stato calcolato da esperti che di campi a seminativo ce ne vogliono almeno 20 volte di più! (sic!). Dicevamo che su strada il Dexta non aveva rivali! C’erano dei sorpassi tra mezzi destinati allo stesso luogo (cantina, consorzio agrario o zuccherificio) per guadagnare posizioni nelle lunghe code in attesa di scarico,

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LA MEMORIA DI CARTA

con forme di superiorità dei giovani verso la tradizione impersonificata dai possessori di: Landini, OM, FIAT, manifestata con sorrisi di quasi compatimento in fase di sorpasso Un reddito dignitoso da parte dei e la modernizzazione possessori di delle macchine agricole Dexta e Super rallentarono l’emorragia Dexta, con podi giovani che negli anni lemiche serali nelle spartane ‘50 e ‘60 emigravano osterie di paverso le città ese! Anche un del triangolo industriale mio “sàntolo”, pardon, padrino di battesimo: “Neri Pancàna” aveva comperato il Ford Dexta, e lo vedevo passare saltellante sulle buche stradali di ritorno dalla cantina o dal mercato delle tegoline di Marega, a tutta velocità, salutando orgogliosamente i conoscenti. Era pelle e ossa e un fascio di nervi per 45 chili di peso; la pelle scura per la lunga permanenza al sole, uno sguardo vivo anche se impegnato alla guida del trattore, che mi sembrava di intravvedere Tazio Nuvolari, immortalato nei giornali d’epoca, in gara con la sua Alfa Romeo mentre dava la polvere alle potenti Auto Union e Mercedes tedesche, sul circuito del Nurburgring nel Gran Premio di Germania del 1935, con gran disappunto dei gerarchi nazisti! Tutte le aziende agricole, anche le piccole, acquistarono uno o più trattori nuovi in quegli anni, dotati di Il cardano venne inventato nel sollevamento idrau‘500 da un medico lombardo, Gelico, così si poterorolamo Cardano, che abitò anche no trainare attrezzi a Piove di Sacco

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come l’aratro e la seminatrice senza bisogno di una seconda persona a condurli; con la presa di forza dove attaccare uno spandiconcime o una pompa di irrigazione mediante l’albero con giunto cardanico (inventato nel ‘500 da un medico lombardo, Gerolamo Cardano, che abitò anche a Piove di Sacco sposando inoltre una del paese); con la messa in moto con il motorino elettrico e non più a forza di braccia; con i sedili imbottiti e molleggiati, il contagiri, il termometro dell’acqua e l’indi-

Il mito degli esordi dell’automobilismo, Tazio Nuvolari

catore del livello di gasolio, si perché si è progressivamente abbandonato, come combustibile in agricoltura, il petrolio e la nafta, rendendo sempre più moderne e versatili le trattrici. Questa modernizzazione, assieme al reddito “dignitoso” in agricoltura hanno rallentato l’emorragia di giovani negli anni ‘50 e ‘60. Tuttavia, i rimasti, dovettero combattere internamente alla famiglia, dove i “vecchi” difficilmente cedevano il “comando”, rallentandone lo spirito innovativo e lo sviluppo rurale. Ora dell’agricoltura di quel periodo rimane il ricordo nelle esposizioni nostalgiche di vecchi trattori, che a volte hanno ancora voglia di sfidarsi sul campo in motoarature “fonde” per dimostrare ai moderni e mostruosi trattori ultrapotenti d’oggi il loro ruolo determinante nel passaggio da un’agricoltura di fabbisogno famigliare a quella odierna specializzata, che è chiamata a “nutrire il mondo” per sopravvivere! Sopravvivere per far vivere! E la crisi “Covid-19” a cosa ci stimolerà?


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Questo articolo è stato scritto dal giornalista Renato Malaman

Bigoli di Monterosso TRENT’ANNI DI TRADIZIONE Il piatto tipico di Abano Terme, reso celebre dalla famosa sagra di San Bartolomeo e tutelato da un marchio DeCo, d’ora in poi sarà reso inimitabile dall’Olio d’oliva extravergine Veneto DOP. Il Comune approva il nuovo regolamento e i pastifici - Artusi in testa - sono pronti a “moltiplicarne” la bontà Bigoli di Monterosso DeCo, è stata alzata l’asticella della qualità. Il Consiglio comunale di Abano Terme ha approvato nei giorni scorsi il nuovo regolamento per produrre i decantati Bigoli di Monterosso anche nei pastifici della provincia di Padova, nel rispetto della tradizione, ma con il chiaro intento di “moltiplicarne” la bontà. Tra le novità che il piatto tipico di Abano Terme, reso celebre dalla grande sagra di Monterosso (dove il prodotto è nato trentuno anni fa e tuttora viene prodotto in diretta con il torchio L’introduzione dell’Olio a trafilatura in Veneto Dop nel disciplinare bronzo, anzi: da tanti torchi - o bidi produzione è stata fortemente voluta per dare golari - azionati a forza di bracunicità al prodotto cia), figura l’indal Pastificio Artusi troduzione fra gli ingredienti base di Casalserugo dell’impasto l’Olio Extravergine di Oliva Veneto DOP. Ovvero dell’olio extravergine di oliva che si produce nei territori (ognuno dei quali si caratterizza per cultivar di olive diversi) oggi riuniti sotto la tutela di un unico marchio, ovvero Colli

Iniziativa finanziata dal PSR per il Veneto 2014-2020 Organismo responsabile dell’informazione: Consorzio di Tutela Olio extra vergine d’oliva Veneto DOP Autorità di gestione: Reg. Veneto - Direz. AdG FEASR e Foreste

Euganei e Berici, Valpolicella e Grappa. Un passo avanti di notevole portata che non solo garantirà al prodotto caratteristiche inimitabili, ma che attiva anche sinergie significative per il bene del prodotto. All’insegna del “fare squadra”, che è uno dei valori che sostiene questa difficile fase del post emergenza da Covid-19.

FEASR

Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

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Enrico e Alberto del rinomato pastificio Artusi di Casalserugo, il capofila dei pastifici che finora hanno aderito al progetto. La loro è una realtà aziendale molto dinamica e attenta alle eccellenze del territorio, con negozi specializzati sotto il Salone di Padova. Loro l’idea di diffondere il prodotto Bigoli di Monterosso DeCo anche in corner specializzati della grande distribuzione

L’introduzione dell’Olio Veneto Dop nel disciplinare di produzione è stata fortemente voluta per dare unicità al prodotto dal Pastificio Artusi di Casalserugo, il capofila dei pastifici che finora hanno aderito al progetto. Gli altri due sono La Ghirlandina di Abano Terme e La Casalinga di Padova. Artusi, dinamica realtà aziendale con negozi specializzati sotto il Salone di Padova, punta in un prossimo futuro a diffondere il I Bigoli di Monterosso, prodotto Bigoli di grazie al nuovo Monterosso DeCo regolamento, potranno anche in corner specializzati della essere prodotti con varie modalità anche dai grande distribuzione. Quest’anno i Bipastifici padovani che goli di Monterosso richiederanno il marchio sarebbero stati la pasta ufficiale della Maratona del Santo, ma l’evento è saltato a causa del lockdown. In dubbio è pure la sagra, per la prima volta dopo tanti anni. Ma conosciamoli più da vicino i Bigoli di Monterosso, che alla sagra di San Bartolomeo di fine agosto richiamano ogni anno almeno diecimila estimatori, disposti anche a sorbirsi due ore di coda alla cassa dello stand pur di assaggiarli e vedere all’opera i volontari alle leve dei grandi torchi da cui fuoriescono i bigoli freschi. Tanti e buoni. Persino gli alpini coprono i turni ai bigolari! Di prodotto ne serve Alberto Elardo, tantissimo alla sagra. pastificio La Casalinga

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I Bigoli di Monterosso DeCo (la denominazione comunale creata dal grande Gino Veronelli) sono stati scelti come piatto tipico di Abano Terme lo scorso anno, su indicazione di una commissione di esperti presieduta dal sindaco Federico Barbierato e di cui hanno fatto parte il giornalista Renato Malaman, il preside dell’Istituto Alberghiero “Pietro d’Abano” Carlo Marzolo, il delegato dell’Amira Veneto Lorenzo Demarco e il presidente della’Associazione Cuochi Terme Euganee Filippo Bondi. Commissione che non ha avuto il minimo dubbio di indicare nei Bigoli di Monterosso il piatto tipico che meglio rappresenta il territorio di Abano Terme, Stefano Borsari, per tradizione consolidata pastificio La Ghirlandina e per bontà, individuando nel contempo un percorso per valorizzare il prodotto anche in ambito turistico. Esigenza che oggi acquista un valore ulteriore vista la necessità di rilanciare il settore alberghiero-termale messo in difficoltà dal periodo di lockdown. Un modo anche per far risaltare la passione, l’impegno e il grande lavoro svolto dagli organizzatori della Sagra di Monterosso in questi ultimi trent’anni. I Bigoli di Monterosso, grazie al nuovo regolamento approvato di recente dal Comune di Abano Terne, potranno essere prodotti con varie modalità anche dai pastifici padovani che richiederanno il marchio. Tra le novità, appunto, c’è l’utilizzo dell’olio extravergine di oliva Veneto Dop (uno dei territori di provenienza è quello dei Colli Euganei, dove le varietà di olive indicate in disciplinare sono il Leccino e la Rasara, storici cultivar euganei). Ma


novità non meno importante è la possibilità di produrre i bigoli anche nella versione ‘fresco artigianale confezionato’. Il prodotto potrà essere essere commercializzato anche in un raggio più ampio e diventare, per esempio, anche un gustoso souvenir per i turisti delle Terme Euganee. I Bigoli di Monterosso sono un piatto della tradizione capace di “raccontare” un territorio. Piatto che bene rappresenta i valori salute, benessere e gusto che sono in sintonia con il messaggio che lanciano le Terme. Il piatto affonda le sue radici addirittura nel 1604, quando Bartolomeo Veronese ottenne la licenza per costruire un macchinario - l’ormai leggendario bigolaro - da destinare a questa produzione, utilizzando frumento locale. Curiosa coincidenza il nome Bartolomeo, visto che la sagra di Monterosso è dedicata proprio a San Bartolomeo. Il piatto è protagonista come detto da trent’anni della sagra di Monterosso, dove è stata coniata la ricetta attuale capace già nel 2014 di meritarsi la De.Co, il cui regolamento è stato aggiornato proprio in questi ultimi giorni con l’introduzione dell’Olio Veneto Dop. Genuini , preparati con prodotti di alta qualità, proposti con sugo di pomodoro, ragù tradizionale di carne, ragù di anatra e sugo alla contadina (a base di salsiccia piccante), i Bigoli di Monterosso rappresentano un primo piatto che ben si sposa con l’ideale di vita genuina che contraddistingue e ha reso famoso il territorio euganeo. I bigoli vengono prodotti con materiali del territorio semplici e genuini: farina di grano tenero 00 granulare (nel nuovo regolamento è stato specificato con grano italiano) e uova di filiera italiana, a pasta gialla, lavorate a freddo fino a creare un impasto

consistente. E ora c’è pure l’Olio extravergine Veneto Dop, prezioso prodotto di tre territori veneti di lunga tradizione olearia. L’idea di promuovere i “Bigoli di Monterosso” attraverso un logo e un’immagine coordinata è nata per valorizzare il prodotto, le tipicità agro-alimentari del territorio di Abano Terme e creare un vero e proprio brand che funga da volano per lo sviluppo economico e la promozione turisti-

Ecco le proporzioni per la cottura dei bigoli: 1, 10, 100, vale a dire, su 1 litro di acqua vanno 10 grammi di sale e 100 grammi di pasta. Riempite la pentola d’acqua e ponetela sul fuoco, quando inizia a bollire aggiungete il sale e buttate i bìgoli. Mescolate a intervalli regolari di 1 minuto e per i primi 5 minuti. La bollitura serve a reidratare i granuli di amido contenuti nei bìgoli. 12-15 minuti e i bìgoli sono già cotti “al dente” e pronti per essere scolati. Attenzione, i bìgoli non devono essere crudi, sarebbero difficili da digerire, perché poco attaccabili dagli enzimi digestivi, neanche troppo cotti, perderebbero le loro sostanze nutritive nell’acqua.

ca della destinazione. Le Terme Euganee sono il bacino termale più grande d’Europa, con 120 hotel, 3,5 milioni di presenze all’anno, 5000 addetti e un territorio di particolare pregio ambientale, che comprende anche il Parco naturale regionale dei Colli Euganei, i cui prodotti simbolo sono da secoli il vino e, appunto, l’olio d’oliva extravergine Dop, prodotto attualmente da quattro frantoi, apprezzatissimi anche dai turisti dell’area termale. D’ora in poi firmerà e renderà unici e irripetibili anche i Bigoli di Monterosso.

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ALIMENTAZIONE E SALUTE a cura del Prof. Antonio Mollica

FARE LA SPESA

in modo sicuro Il covid-19 si diffonde per contagio tra persona e persona. Non vi sono evidenze di trasmissione alimentare associata agli operatori del settore alimentare o agli imballaggi per alimenti

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onsiderando la recente epidemia di covid-19, è quanto mai necessario porre una particolare attenzione all’ igiene personale, lavandosi spesso le mani, ma anche verso l’igiene alimentare. È stato accertato da numerosi studi scientifici, che il covid-19 si diffonde per contagio tra persona e persona, veicolato per lo più dal droplet (goccioline di saliva o muco), e non vi sono evidenze di trasmissione alimentare associata agli operatori del settore alimentare o agli imballaggi per alimenti. La sicurezza degli alimenti è normalmente garantita dalle norme di buona fabbricazione e dalle norme haccp praticate dalle filiere agroalimentari. L'HACCP (acronimo dall'inglese Hazard Analysis and Critical Control Points, traducibile in sistema di analisi dei pericoli e punti di controllo critico) è un insieme di procedure, mirate a garantire la salubrità degli alimenti, basate sulla prevenzione anziché l'analisi del prodotto finito. Nel corso dell’epidemia di COVID-19, tuttavia, la tutela dell’igiene degli alimenti richiede azioni aggiuntive mirate a circoscrivere il rischio che deriva dalla presenza di soggetti potenzialmente infetti, so-

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prattutto asintomatici, in ambienti destinati alla produzione e commercializzazione degli alimenti. Nelle condizioni di criticità determinate dell’epidemia, il consumatore è sollecitato a cooperare in prima persona alla tutela dell’igiene degli alimenti sia in fase di

La sicurezza degli alimenti è un obiettivo che richiede, anche in condizioni normali, la partecipazione attiva del consumatore, solitamente mediante il rispetto delle norme igieniche durante le fasi di acquisto, come ad esempio l’uso di guanti monouso, e la corretta conservazione degli alimenti una volta portati a casa


ALIMENTAZIONE E SALUTE acquisto, mediante adesione alle linee guida rilasciate dall’ISS del distanziamento sociale. Inoltre in ambito domestico, deve porre particolare cura all’igiene degli ambienti, delle superfici e degli utensili destinati alla manipolazione degli alimenti, al lavaggio dei prodotti destinati ad essere consumati crudi e, possibilmente, alla cottura dei prodotti di origine animale. La sicurezza Nei reparti con vendita alimenti di alimenti sfusi utilizzare degli è un obiettisempre i guanti monouso vo che richiemessi a disposizione de, anche in dagli esercenti oppure, condizioni normali, la laddove sia presente, p a r t e c i p a delegare all’addetto zione attiva alle vendite il compito del consudi imbustare e pesare matore, soliil prodotto tamente mediante il rispetto delle norme igieniche durante le fasi di acquisto, come ad esempio l’uso di guanti monouso, e la corretta conservazione degli alimenti una volta portati a casa. In periodo di epidemia di COVID-19, tuttavia, il momento dell’acquisto alimentare si connota necessariamente come uno dei momenti in cui viene a determinarsi la compresenza di molti individui tra i quali possono esservi soggetti più sensibili come gli anziani. Tale situazione di carattere straordinario richiede pertanto l’attuazione di precauzioni aggiuntive da parte dei consumatori per garantire la sicurezza degli alimenti, per sé e per gli altri. Di seguito si forniscono alcune indicazioni e suggerimenti sui comportamenti più idonei da tenere durante l’acquisto e il consumo dei generi alimentari. PRIMA DI USCIRE DI CASA Misurarsi la temperatura e non recarsi presso gli esercizi commerciali in presenza di una sintomatologia compatibile con COVID-19 (es. tosse o febbre maggiore di 37,5°C). Prima di uscire per recarsi ad effettuare acquisti alimentari, compilare una lista dettagliata della spesa per trattenersi all’ interno dell’esercizio commerciale il solo tempo necessario alle operazioni di acquisto. NEL PUNTO VENDITA Nei tempi di attesa prima dell’ingresso negli esercizi di vendita, rispettare rigorosamente le norme di distanziamento. All’in-

terno dei locali commerciali è obbligatorio l’uso di mascherine facciali poiché l’uso delle mascherine minimizza l’escrezione delle droplets respiratorie da parte dei soggetti inconsapevolmente infetti, ed è sconsigliato l’utilizzo di mascherine facciali munite di valvola (le mascherine FFP con valvola proteggono se stessi ma non proteggono gli altri) e pur essendo sicure non rispondono allo scopo richiesto. All’ingresso dell’esercizio commerciale, utilizzare i gel/spray sanificanti messi a disposizione dagli esercenti per la disinfezione dei manici dei carrelli/cestelli. Dopo la sanificazione delle mani è importante non toccarsi bocca, viso, occhi ed evitare di toccare altri oggetti (cellulare, borsa, ecc.) in modo da preservare l’igiene delle mani e degli oggetti di uso personale per il tempo necessario agli acquisti alimentari.

Dopo la sanificazione delle mani è importante non toccarsi bocca, viso, occhi ed evitare di toccare altri oggetti (cellulare, borsa, ecc.) in modo da preservare l’igiene delle mani e degli oggetti di uso personale per il tempo necessario agli acquisti alimentari

Per prevenire la trasmissione, mantenere la distanza di almeno 1 metro e mezzo tra se stessi e gli altri acquirenti. Evitare di stringersi le mani, abbracciarsi o altri contatti fisici. I negozianti dovrebbero inoltre disinfettare frequentemente le superfici più toccate, come i carrelli della spesa. Questi comportamenti dovrebbero ridurre il rischio di venire infettati, ricordarsi e ricordare agli altri di mantenere il distanziamento sociale e rispettare, laddove ve ne siano, i percorsi obbligati definiti dagli esercenti o dai gestori dell’area di mercato. Nei reparti con vendita di alimenti sfusi (es. ortofrutta, panetteria, ecc.), utilizzare sempre i guanti monouso messi a disposizione dagli esercenti oppure, laddove sia presente, delegare all’addetto alle vendite il compito di imbustare e pesare il prodotto. Laddove si indossino già dei guanti, sovrapporre il guanto monouso a quello già indossato. Giunti in cassa, rispettare il distanziamento dagli altri clienti e mantenere la distanza dal personale di cassa.

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ALIMENTAZIONE E SALUTE UNA VOLTA A CASA Al rientro a casa, avere cura di non poggiare le borse (sacche) utilizzate per il trasporto della spesa, che sono state poggiate nelle aree di imbustamento e/o per terra, su superfici con cui verranno in contatto alimenti. Prima di riporre la spesa e dopo averla riposta, lavare accuratamente le mani con acqua calda e sapone, per 40-60 secondi. Studi recenti hanno dimostrato che il virus può rimanere attivo sulle superfici degli oggetti fino a 72 ore, ma verosimilmente il virus si inattiva già in 24 ore. Con molta probabilità il virus che potrebbe essere stato depositato sulla superficie dei generi alimentari, diventerà inattivo nel tempo che l’alimento è stato immagazzinato, acquistato e portato nelle nostre case. Il contenuto interno dei contenitori sigillati non può essere assolutamente contaminato. Non si ravvisa quindi la necessità di una disinfezione delle confezioni alimentari al rientro a casa. Ma è necessario ricordare che gli alimenti devono essere sempre toccati con mani o utensili puliti. Disporre gli alimenti all’interno del frigorifero rispettando il principio di separazione fra i prodotti crudi e i prodotti cotti, che devono essere sempre preservati da eventuali contaminazioni all’interno di recipienti chiusi o mediante idonea copertura.

Studi recenti hanno dimostrato che il virus può rimanere attivo sulle superfici degli oggetti fino a 72 ore, ma verosimilmente il virus si inattiva già in 24 ore. Non è necessaria la disinfezione delle confezioni alimentari al rientro a casa

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PREPARAZIONE DEI PASTI Prima e dopo la preparazione degli alimenti, lavare accuratamente le mani secondo le modalità già illustrate. Prima e dopo la preparazione dei pasti, detergere le superfici della cucina e le altre superfici con acqua e sapone e igienizzarle, in base al tipo di superficie, con alcool etilico al 75% o con una soluzione a base di ipoclorito di sodio allo 0,1%. Per una efficace disinfezione delle superfici, lasciare agire le soluzioni per un minuto. Dopo detersione e disinfezione, risciacquare con acqua in modo da rimuovere i residui di disinfettante, ed asciugare le superfici. PrefePrima del consumo di alimenti cruribilmente cuocere di, come ad esempio frutta e vergli alimenti. Prima dura, è necessario sciacquarli ridel consumo di petutamente sotto acqua corrente alimenti crudi, come ad esempio frutta e verdura, sciacquarla ripetutamente sotto acqua corrente o utilizzare dell’acqua contente dei disinfettanti alimentari a base di cloro, seguendo attentamente, per concentrazioni, tempi di utilizzo e modalità di risciacquo, le indicazioni riportate sul prodotto (non utilizzare per la disinfezione degli alimenti disinfettanti o detergenti non approvati per uso alimentare!). Prima di iniziare il pasto è buona norma lavarsi le mani, non dividere i piatti con altri né le posate.


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LA FORMA DEL LATTE

Montasio di Michele Grassi

UN FRIULANO CHE HA TROVATO CASA ANCHE IN VENETO

Un formaggio storico, se ne ha notizia dal XVIII secolo, oggi realizzato con un rigido disciplinare che prevede l’affioramento del latte con rinfrescamento in acqua di sorgente, l’innesto di fermenti naturali e un’umidità massima non superiore a 36,72 %

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ino a non molti anni fa l’allevamento del bestiame era fortemente condizionato dalla pratica del pascolo: di fondovalle nei mesi autunnali e in quelli della prima primavera e di media o alta quota durante l’estate. L’inverno, invece, gli animali lo trascorrevano in stalla, alimentati prevalentemente con fieno. Nella vicina regione del Friuli Venezia Giulia queste pratiche erano avvantaggiate forse dalla vicinanza dell’Adriatico, che mitigava il clima delle vallate prealpine o alpine, in quanto solo la neve obbligava le vacche a rimanere in stalla, ma spesso l’allevatore era uso lasciarle uscire all’aria fredda per una Oggi la pratica breve sgambata. della monticazione Ma la priorità dell’alsta riprendendo levatore era quella di grazie all’impegno monticare le proprie di molti allevatori, vacche agli alpeggi, luoghi in cui il malgaro gratificati dalla ricerca dei prodotti poteva gestire le mandrie di più proprietari, tipici da parte magari con l’aiuto di dei turisti giovanissimi pastori, e contemporaneamente occuparsi dello sfalcio dei prati. Parlare sempre al passato, tuttavia, non è del tutto corretto perché anche se oggi la zootecnica di fondovalle o meglio alpina, è quasi scomparsa, la pratica della monticazione sta riprendendo, per l’impegno di molti allevatori gratificati in particolare dalla ricerca dei pro-

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dotti tipici da parte del turista. Gli animali all’alpeggio vengono munti nella stalla delle strutture malghive e, in funzione delle esigenze alimentari del territorio se ne ricavano i prodotti caseari. Certo è che in ambiente alpino il clima era ed è di fondamentale importanza per cui i prodotti delle malghe come quelli dei caseifici di fondo valle erano studiati e trasformati proprio per le esigenze di chi li consumava. E come nella maggior parte del territorio alpino italiano, da est a ovest, il formaggio che ne derivava era fatto con il latte parzialmente scremato e il residuo grasso, prodotto dell’affioramento, diventava burro.


LA FORMA DEL LATTE

Oggi che il burro non è utilizzato come lo era anche solo alcuni decenni fa, molti formaggi tradizionali vengono fatti con il latte intero, anche perché così si dice, diventano più buoni. Alla monticazione friulana si deve la nascita del formaggio tipico del territorio, il Montasio oggi registrato come denominazione di origine protetta. Ho fatto molte volte, soprattutto in alcune delle mie malghe, un formaggio dalla tecnica molto simile a quella del Montasio, sfruttando ogni elemento essenziale della filiera, l’alimentazione libera degli animali,

Oggi il Montasio, di indiscussa origine friulana, può essere prodotto anche in Veneto, nelle provincie di Treviso e Belluno e in parte delle provincie di Padova e Venezia, ma la sua forza imprescindibile sta nel marchio PDM, ovvero prodotto della montagna

con integrazione di solo fieno durante il riposo delle vacche in stalla, e poi l’affioramento del latte raffrescato dentro bacinelle di rame stagnato poste all’interno di vasche dove correva l’acqua della vicina sorgente. E poi naturalmente tutta la fase della trasformazione che inizia, se si desidera ottenere risultati di ottima qualità, dall’innesto dei fermenti naturali che si predispongono in caseificio con lo stesso latte utilizzato per fare il formaggio.

La tradizione dei formaggi d’alpe porta a utilizzare una tecnica particolare durante la trasformazione, quella della semicottura o cottura della cagliata E così il formaggio friulano viene ancora prodotto in malga, magari proprio in quella che gli ha concesso la denominazione, posta sull’omonimo altopiano, parlo appunto della malga Montasio, un simbolo fra tutte le malghe italiane. I primi documenti scritti che parlano di questo formaggio sono quelli del preziario di San Daniele, attorno all’anno 1775, che esclude questo prodotto dai formaggi di autoconsumo anche per il suo prezzo, più elevato degli altri formaggi locali. Si dice che ciò dipendeva dal fatto che era il più buono o quello che poteva stagionare maggiormente. Oggi il Montasio, di indiscussa origine friulana, può essere prodotto anche in Veneto, nelle provincie di Treviso e Belluno e in parte delle provincie di Padova e Venezia, ma la sua forza imprescindibile sta nel marchio PDM, ovvero prodotto della montagna. Il suo disciplinare di produzione è molto rigoroso soprattutto in riferimento alla quantità di acqua che il formaggio deve contenere, che ne delinea la sua tipologia e categoria iscrivendolo nei formaggi a pasta semidura o a pasta dura con il protrarsi della stagionatura. Il disciplinare infatti recita testualmente: “Al sessantesimo giorno di stagionatura il formaggio DOP «Montasio» deve presentare le seguenti caratteristiche: umidità massima non superiore a 36,72 %...”. Il formaggio deriva quindi dal latte munto entro 48 ore dalla trasformazione e una parte di esso, spesso quello della munta serale, viene scremato per affioramento. La tradizione dei formaggi d’alpe porta a utilizzare una tecnica particolare durante la trasformazione, quella della semicottura o cottura della cagliata che viene perpetrata una volta effettuata la rottura del coagulo

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LA FORMA DEL LATTE presamico, ovvero ottenuto con l’immissione di caglio nel latte. La fase di riscaldamento è regolamentata da precise temperature che hanno lo scopo di eliminare, in tempi più o meno stabiliti, il contenuto di acqua dalla cagliata. Nel caso del Montasio non è solo questa l’operazione meccanica di regolamentazione dell’umidità nella pasta caseosa, infatti, in seguito all’estrazione della cagliata, la pasta viene pressata, oggi con presse prevalentemente meccaniche o oleodinamiche, mentre un tempo semplicemente posizionando sulle forme assi di legno e pesi, che potevano essere solo grossi sassi. Queste azioni tecnologiche vanno a influire moltissimo non solo su quell’umidità tanto importante da mantenere nel formaggio, ma anche sulle sue caratteristiche organolettiche. È doveroso ricordare che il formaggio, qualsiasi sia la Un prodotto che sua derivazione e tranquillamente può tipologia, è un proessere consumato dotto fermentato e quindi, nel caso del senza marmellate, Montasio le fermenconfetture o miele, perché un formaggio tazioni sono lasciaai microrganismi veramente buono si te del latte crudo e accompagna da solo dal supporto dei microrganismi inoculati come il lattoinnesto o i fermenti selezionati autoctoni. Da ciò ne derivano prevalentemente le caratteristiche organolettiche, che vanno decisamente a migliorare se il latte ha origine da animali liberi di alimentarsi con erba fresca, verde. Il formaggio arriva al consumatore che, seppure ignaro del note-

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Il formaggio ha preso il nome della malga dove veniva storicamente prodotto, che a sua volta ha ereditato il nome dall’Altipiano di Montasio. Situata a 1500-1800 metri sul livello del mare oggi è un simbolo della produzione casearia italiana

vole lavoro dei casari friulani e veneti, ne assapora il gusto, l’aroma e l’unicità. E dai formaggi che scendono dalle malghe più che da quelli di pianura i sentori sensoriali sono davvero “intriganti”. Solo annusandoli questi formaggio ricordano in pieno la loro origine, il buon odore del latte naturale, delle erbe che gli animali hanno assunto all’alpeggio, una miscela di fiori ed erbe che riassunta può essere considerata il profumo del pascolo, sensazioni ben percepibili di frutta secca e tanto altro che induce chi si appresta a mangiare tale eccellenza a lasciare sul tavolo le marmellate, le confetture il miele, preparati per degustare eccellenti abbinamenti, perché se il formaggio è veramente buono si accompagna da solo.


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Caseificio Ai Prà

dal foraggio al formaggio per una vera produzione artigianale Vengono lavorati circa 6-7 quintali di latte vaccino al giorno, trasformandolo in diversi tipi di formaggio, impiegando solo caglio naturale di vitello, fermenti e sale Formaggi ottenuti dalla mungitura quotidiana delle cinquanta mucche pezzate italiane allevate da Pier Giorgio e dal latte lavorato artigianalmente da Antonella. Una produzione che ha un nome, un volto e le mani di chi ama la campagna e per questo la sa rispettare. FRA I NOSTRI PRODOTTI ABBIAMO: nostrano, affinato con miele

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magro e delicato come uno yogurt. Stagionato minimo 60 giorni

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con dieci mesi di stagionatura è il formaggio che ama anche la grattugia

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dal sapore di latte appena munto, morbido con note dolci e lievemente acidule

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Con l ’arrivo dell ’estate… ... l’offerta raddoppia con tante idee genuine da portare in tavola senza cucinare e i nostri formaggi freschi o i semi stagionati da accompagnare a confetture e miele

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Un formaggio fresco e leggero proposto con pomodorini e rucola

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Il semi stagionato ispirato ai colori della bella stagione con zafferano e curcuma

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IL PANORAMA GASTRONOMICO di Mario Stramazzo

Sicurezza

IL NUOVO SERVIZIO CHE ACCOMPAGNA L’OFFERTA ENOGASTRONOMICA C’è da inventare un “post covid” a tavola: distanziati e igienizzati, ma pur sempre con la voglia di mangiare e bere bene

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on sono ancora così esperto e famoso da essere subissato di domande o da richieste di pareri su come sarà il mondo della ristorazione fuori casa da qui in avanti, tuttavia, alla mia fonte di canuto scribacchino di vino e cibo, nonché di ristoranti o trattorie e storie gastronomiche, qualcuno, è venuto. Risposte, a dire il vero, non facili da dare in quanto nei tre mesi di lockdown in poi non ho mai smesso di arrovellarmi sul tema. Parto, in ogni caso, dalla constatazione di come si sono comportati gli italiani durante la segregazione.

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Rispondendo: bene! L’ordine di stare rinchiusi in casa lontani da aperitivi, spritz, senza pranzi, senza cene, convivi, pizze, gelati, birre, fast food, pic nic e scampagnate con frittate…non è da sottovalutare. Non ci è stato chiesto poco, soprattutto per il fatto che da molto tempo nessun governo ci aveva chiesto di modificare le nostre scelte sociali. Bisogna tornare ai tempi dello “stragismo” o più indietro al “ventennio” per trovare limitazioni allo stare assieme tra persone. Un popolo, va detto, di santi, poeti e navigatori ma anche di gaudenti clienti delle circa 336 mila imprese registrate alle ca-


IL PANORAMA GASTRONOMICO mere di commercio con codice di attività 56. Specifico che il numero è quello con il quale vengono classificati i servizi di ristorazione, al quale aggiungo anche il 56.3 cui fanno riferimento le circa 149 mila imprese appartenenti alla categoria bar e altri esercizi simili, ma senza cucina. Vogliamo prendere in considerazione, anche solo per un attimo, quanto questi esercizi commerciali sono entrati a far parte della nostra modernità? O meglio quanto la loro offerta incida nelle nostre abitudini contemporanee? Basterebbe prendere in mano un telecomando e schiacciare qualche tasto a caso per veder passare ogni due o tre canali uno chef, o sedicente tale, un pasticcere, una competizione attorno ai fornelli. Il Sono circa 336 mila, cibo, insomin Italia, le imprese ma, oggi viedeputate alla ristorazione ne servito anche in tv, che registrate alle camere di commercio con codice non è proprio il posto più di attività 56 adatto per consumarlo…se non altro per il semplice fatto che è difficile stabilire se è buono... ma vogliamo parlare degli “happy hour”? Ci siamo abituati a stare intere serate sottozero senza calze, ma con il bicchiere di “spritz” in mano, in piedi, sotto tristi lampade a gas che intiepidiscono appena gli angoli fuori dai tanti locali delle nostre belle città storiche. E quanto è bella tra i giovani “l’apericena”? Al tempo stesso preludio di una cena più strutturata in ristorante, magari celebrato gourmet,

o come fine giornata con amici senza perdere l’occasione della pancia piena? Ecco solo per dire che non c’è “habitat” al quale il consumatore di vino e cibo non possa adattarsi e anzi nel quale possa creare una nuova “tendenza”, una “moda”, un nuovo modo di stare assieme. Una conferma che trova suffragio anche nei numeri, tanto che quelli degli esercizi pubblici, degli hotel, dei ristoranti, delle trattorie, al di là del valore in miliardi di fatturato, attorno agli 84 secondo gli ultimi dati FIPE, sono diventati storia gastronomica, stili di vita, consuetudini. Forti del loro valore assunto nel mercato dei consumi alimentari dove, il 36 per cento dei 236 miliardi spesi in totale dalle famiglie per prodotti alimentari, transita fuori casa. Con l’aggiunta che mentre i consumi nella ristorazione prima del coronavirus erano tendenzialmente in crescita, quelli casalinghi, fino a nuovi dati post pandemia, scendevano. Quindi non ci può

Il rito dell’aperitivo ha dimostrato che non c’è “habitat” al quale il consumatore di vino e cibo non possa adattarsi trovando nuove “tendenze”, “mode”, e forme dello stare assieme

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IL PANORAMA GASTRONOMICO essere ombra di dubbio che la ripresa di queste attività ci sarà, se volete si può parlare di quale potrà essere la forma, in ragione ai plexiglass, al distanziamento o alle mascherine che, ormai, sono da considerarsi alla stregua delle mutande: da abbassare per motivi ovvi e noti a tutti quanto le circostanze. Perdonerete l’ironia, ma non credo saranno questi i motivi che faranno corrucciare la fronte al settore, come non lo sarà l’obbligo di detergersi le mani con le più eterogenee misture sanificanti e disinfettanSe c’è un aspetto ti, anche se alcune in cui il nostro popolo tutt’altro che invitanti può fare davvero e anzi, appiccicose. Lavarsi le mani prima la differenza è la creatività nel trovare di mettersi a tavola soluzioni alla perdita era un’ottima regola anche prima del Codi posti a tavola vid19. Capisco che oggi sia scoppiata la sindrome del “maestro Manzi”, indimenticato docente del programma televisivo “Non è mai troppo tardi”, e che ci sia un proliferare di insegnamenti sul corretto modo di igienizzarsi… anche se stiamo parlando di una pratica che conosciamo più o meno dell’età dei tre anni! Ecco, saranno le abitudini che ognuno di noi acquisirà a far evolvere la ristorazione. Almeno finché una vaccinazione di massa non debelli questa sorta di peste 4.0. E giocoforza cambierà anche l’arte dell’ospitalità che dovrà essere, la immagino così, una sorta di servizio

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Non sarà l’obbligo di detergersi le mani con le più eterogenee misture sanificanti e disinfettanti, alcune tutt’altro che invitanti e anzi e appiccicose, a far desistere gli italiani ad andare al ristorante

suppletivo. Se fino ad oggi a portare in alto le quotazioni di un locale sono state la cucina, la fornita cantina e un buon rapporto qualità prezzo è da ipotizzare che chi riuscirà a trasmettere anche “sicurezza”, in relazione al Covid, otterrà il plauso della propria clientela e magari ad allargarla. La convivialità e l’affabilità del padrone di casa, c’è da scommetterci, non resterà nascosta dietro ad una mascherina o ad un foglio di plexiglass. Siamo italiani, la contagiosità del nostro carattere non si perderà in un metro e non risentirà della mancata stretta di mano. Anzi se c’è un aspetto in cui il nostro popolo può fare davvero la differenza è la creatività che sarà necessaria, questo sì, per superare la perdita di posti a causa del distanziamento. Può aiutare il fatto che siamo in estate e che quindi quello che oggi viene perso all’interno del ristorante potrà essere recuperato all’esterno grazie a verande, dehor, parchi e spazi all’aperto, a patto che chi di competenza possa mettere a disposizione questi spazi tenendo conto delle difficoltà che il settore ha comunque subito. Immaginare città che cenano “al lume di una candela” sotto ai portici delle città storiche, nelle calli delle città di mare, nei parchi e nelle zone verdi dei nostri paesi di campagna o di montagna, potrebbe essere una delle immagini che renderanno questa estate indimenticabile. C’è poi tutta la partita del “delivery”, che anche qui potrà trovare soluzioni originali: dell’asporto della semplice cena o del pranzo fino al recapito del cuoco in persona. Mi rendo conto che le mie osservazioni potranno offrire il fianco a mille considerazioni di senso opposto, e non vorrei banalizzare un problema serio, però, ecco, ribadisco il punto dal quale sono partito: siamo il paese che ha fatto della cucina e del buon bere una forma d’arte, troveremo ancora un modo per essere primi nel mondo. E poi c’è l’aspetto antropologico perché il piacere di stare assieme è nel DNA della nostra specie.


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FEASR

Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

TORTELLI DI RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP, VERDE DI MONTEGALDA, SPINACINO E MANDORLE TOSTATE

Chef Simone Camellini

L’estate, si sa, porta al desiderio di sapori nuovi, di piatti leggeri, disinvolti, e che tuttavia mantengano la promessa di un gusto legato al territorio. E il Radicchio di Chioggia Igp è una delle immagini più fedeli del nostro Veneto, un prodotto figlio del lavoro di generazioni di ortolani che hanno saputo adattarlo ad un ambiente particolare come quello lagunare. E proprio la sua provenienza mi ha offerto lo spunto per una nuova ricetta, ma anche per un gioco geografico: mettere insieme un sapore che proviene dal littorale Adriatico con quello di un formaggio prodotto in una fertile vallata vicentina. Ingredienti per il ripieno > Ricotta di bufala 300 g > Radicchio di Chioggia 350 g > Sale, q.b > Vino Bianco qb > Parmigiano 70 g

Ingredienti per la pasta > Farina di semola 1 kg > 5 uova > 3 tuorli

Ingredienti per la salsa > Verde di Montegalda 350 g > Panna 150 g > Mascarpone 300 g

Guarnizione > Radicchio di Chioggia Igp > Mandorle senza buccia > Spinacini 50 g

PROCEDIMENTO Preparare la pasta unendo la farina e le uova. Sarà necessario amalgamare l’impasto per almeno 5 minuti per ottenere un panetto sodo e consistente. Quando sarà pronto dovrà essere fatto riposare, avvolto in una pellicola, per circa un’ora in frigo. Da parte tagliare il radicchio a julienne (tenetene da parte qualche foglia per guarnire il piatto), metterlo a cuocere in padella con un filo d’olio, sfumarlo con un po’ di vino bianco e completare la cottura facendo attenzione a far asciugare bene il liquido in eccesso. Quando sarà pronto, andrà messo in un cutter con la ricotta, il parmigiano e il sale, per frullare il tutto e ottenere un ripieno omogeneo. La nostra ricetta continua riprendendo la pasta dal frigo, stendendola con il mattarello, o con la macchinetta, per formare dei dischi (con un bicchiere o con un coppapasta) del diametro di 7 cm. Mettere al centro dei dischi il ripieno e chiudere a tortello. La salsa è molto semplice da preparare, basta porre tutti gli ingredienti in una pentola e fare sciogliere a fuoco lento. Se necessita, legare il composto con un po’ di fecola di patate.

Un tocco d’arte sarà possibile perdendo qualche minuto per la guarnizione: basterà tagliare a striscioline il radicchio avanzato e sbollentarlo in acqua, sale e aceto rosso, (su un litro d’acqua un cucchiaio di aceto e 20 grammi di sale) e spadellarlo con un filo d’olio. L’ultimo passaggio della preparazione sarà dedicato alle mandorle, che andranno tagliate a pezzettini e passate in padella calda fino ad ottenere una leggera tostatura. Non resta che cuocere i tortelli in acqua bollente salata; scolarli e versarli in una padella con burro fuso per spadellarli con poco parmigiano. Prima di servirli aggiungere gli spinacini. Per l’impiattamento, perché anche l’occhio vuole la sua parte, procedete in questo modo: sul fondo del piatto versate la salsa verde a strisce irregolari, adagiatevi sopra i tortelli con la loro salsina di burro e parmigiano (lasciate sulla padella gli spinacini per dopo). Successivamente, vicino ad ogni tortello, magari aiutandoci con una pinza, fate degli “spuntoni” di spinacini e Radicchio di Chioggia Igp all’aceto, versateci sopra ancora qualche schizzo di salsa verde e per ultimo le mandorle tostate.

Partecipano al progetto aggregato: Iniziativa finanziata dal PSR per il Veneto 2014-2020 Organismo responsabile dell’informazione: O.P.O. “Veneto” S.C.A. Autorità di gestione: Reg. Veneto - Direz. AdG FEASR e Foreste


LA RECENSIONE di Renato Malaman

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PERCHÉ

Recensione

Osteria del Gallo

Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta

DÀ ANIMA ALLA TRADIZIONE CON GUSTO E STILE

Il locale si affaccia sotto i portici del centro di Badia Polesine e propone una cucina originale frutto di passione e di ricerca

O

steria del Gallo, un luogo così familiare che ti sembra di esserci già stato. Perché nel tuo immaginario un’osteria la dipingeresti proprio così, un po’ naïf, rustica quanto basta ma anche con un tratto raffinato, capace di fartene cogliere l’anima. L’osteria delle favole in fondo, ma proiettata in chiave contemporanea. L’Osteria del Gallo si trova in quel salotto liberty che è il centro storico di Badia Polesine. Naturalmente si affaccia sotto il portico come nella miglior tradizione e accanto alla porta c’è pure la lavagnetta che, scritte con il gesso, riporta le proposte del giorno. Dettagli che ti fanno venire l’acquolina in bocca. L’Osteria del Gallo ha alle spalle un progetto dalle forti connotazioni culturali. Chi se ne intende lo coglie subito. Ilaria Canali e il compagno Luca Romagnolo hanno fatto, fin dall’apertura del locale (nel 2004), una scelta di campo che rifugge la banalità, preferendovi una cucina semplice ma raffinata. Da quando nel 2019 nel progetto è confluito anche il cuoco Adriano Bimbati il profilo della proposta si è arricchito, perché in fondo l’unione fa la forza. “Noi e Adriano - osserva Ilaria Canali - abbiamo unito le nostre esperienze nel 2009. Lui per quel che riguarda la cucina, noi per la sala, uniti dalla stessa idea di ristorazione, frutto di passione e confronto continuo di idee. Una cucina che poi ci piace raccontare al cliente per dare il giusto valore al grande lavoro di chi sta dietro le quinte”. Nella foto Renato Malaman con Ilaria Canali e lo chef Adriano Bimbati

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Con il calice giusto si rischia davvero di fare le ore piccole… in attesa che il gallo canti


LA RECENSIONE Ilaria Canali e Luca Romagnolo con lo chef Adriano Bimbati hanno fatto una scelta di campo che rifugge la banalità

Al Gallo (osteria di cui si sono accorte anche le guide Osterie d’Italia Slow Food ed Espresso) cibi e vini, accoglienza e cura del dettaglio, sono specchio di sensibilità ed esperienza. E generano suggestioni. Il cuoco Adriano Bimbati, polesano di cuore e ferrarese di nascita, attinge dalla tradizione e trasforma i concetti in piatti originali, con uno sguardo al nuovo e al bello. Adriano è da tanti anni amico fraterno di Davide Filippetto, il collega che ha regalato la stella Michelin allo ‘Storie d’amore’ di Borgoricco. Un sodalizio di passione che continua: i due si aiutano nelle rispettive attività, dando spessore a due lunghe esperienze professionali parallele. Al “Gallo” si sta bene. Quasi si respira quel legno del locale e si entra in punta di piedi dentro a quelle foto d’epoca appese alle pareti. L’arte c’è nel piatto, frutto di equilibrio di sapori e tecnica evoluta. E c’è pure nelle opere di Maura Mattioli, pittrice di Pontecchio Polesine dal tratto delicato. Nella ripartenza dopo l’emergenza Covid l’Osteria del Gallo ha deciso di non fare retromarcia rispetto alla linea tracciata, proponendo (a un prezzo onesto) la propria cucina d’autore. Grande il tonno scottato con bietina, funghi in tempura, aglio nero e bergamotto; nonché gli gnocchi di patate ripieni di gamberi e la loro essenza. Nel “benvenuto” polenta di Storo fritta con baccalà mantecato, petalo di cipolla in agrodolce e rametto d’aneto. Piccola pasticceria fatta di ricami golosi. Piatti che rivelano equilibri nuovi, fatti di accostamenti originali. La ricerca si diceva.. parola magica. Anche nelle scelte fatte in carta dei vini, con ricerca del giusto rapporto qualità prezzo. Con il calice giusto si rischia davvero di fare le ore piccole… in attesa che il gallo canti. Bel locale.

La Pagella

di Con i piedi per terra

⊲ Uso di materie prime del territorio

⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività ⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo


AD OGNUNO IL SUO CALICE… di Silvano Bizzaro - Sommelier silvanobizzaro@alice.it

SOAVE

CHARDONNAY

ROSÈ

BONARDA

NERO D’AVOLA

MERLOT

PINOT NERO

PASSITO

PORTO

CHAMPAGNE PROSECCO

MOSCATO

CINQUE BOTTIGLIE PER CINQUE VINI DA “BERE CON IL NASO” L’estate risveglia la voglia di profumi e le “etichette” buone, a volte, stanno in cantine piccole

D

urante il mio peregrinare tra le cantine in questo primo scorcio d’estate, ho deciso di proporvi cinque nuove bottiglie che ho scelto in ragione certo alla stagione, che privilegia vini da “bere con il naso”, ossia i bianchi di cui si apprezzano soprattutto profumi e aromi, ma anche privilegiando alcune realtà aziendali vitivinicole non necessariamente legate a schemi o istituzioni consolidate come Consorzi di tutela, Doc provinciali, ecc., del variegato e complesso mondo del vino.

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Ho scelto invece realtà a dimensione prettamente territoriale, che raramente appaiono sotto i riflettori della filiera vitivinicola, perché a mio avviso meritevoli di considerazione, attenzione e visibilità. Del resto in un detto popolare legato al vino si dice “che nella botte piccola sta il vino buono” e quindi il vino buono non è una questione di dimensioni, ma di amore, di esperienza, di conoscenza che parte direttamente dal vigneto, perché e lì che nasce la bottiglia che poi portiamo a tavola.


AD OGNUNO IL SUO CALICE… UN GRANDE CLASSICO - CANDINA (PD) CABERNET SAUVIGNON IGT VENETO 2018 - AZIENDA AGRICOLA PASQUALE ROSSO Il “rosso” della tradizione Azienda di piccole dimensioni per quanto riguarda la produzione di uva e vino, situata nella campagna candianese al confine con Bovolenta, nella bassa padovana. Attiva dagli anni ‘90, ha avuto l’autorizzazione ad operare tra il 2011-2012. I vigneti si estendono su 10 ettari di superfice, la produzione di uve per l’80% viene conferita ad una Cooperativa della zona e il restante 20% lavorata in proprio per la produzione di vini in parte sfusi, e Bel colore rosso in parte per una prorubino con note duzione media annua purpuree di circa 2000-2500 e una certa bottiglie nelle vabrillantezza; rie tipologie. I vini al naso lieve nota prodotti sono i vinosa e sentori tipici vitigni di di frutta rossa dove questo territorio spicca l’amarena vale a dire: Merlot, Cabernet Sauvignon, Carménère, Refosco dal P.R., Chardonnay, Glera. Pasquale lavora anche uve Raboso Piave e Pinot Bianco acquistate da aziende dei Colli Euganei secondo le annate di suo interesse per produrre e vinificare bottiglie in proprio. Tutti i suoi vini derivano da monovitigni (1), nessun blend (2). Il vino che più rappresenta la sua produzione è il Caber-

net Sauvignon 2018 che nell’occasione dell’intervista ho degustato. Bel colore rosso rubino con note purpuree e una certa brillantezza; al naso lieve nota vinosa e sentori di frutta rossa dove spicca l’amarena; al palato buona armonia, secco con discreta rotondità e morbidezza; non particolarmente strutturato; fresco, sapido e tannino vivo ma sul viale della morbidezza. Retrogusto sufficientemente persistente. Il classico vino da pasto di tutti i giorni, non particolarmente impegnativo ma neanche banale. Io l’ho abbinato con un pollo alle verdure in stufato; ma potrebbe andare bene anche con carne alla griglia o salumi e formaggi di media stagionatura. Servire sui 18-20°C.

(1) Monovitigno: quando nella bottiglia è presente un solo tipo di vitigno (es. Merlot, Cabernet, Sauvignon, Chardonnay, ecc.) (2) Blend: assemblaggio di due o più vini.

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AD OGNUNO IL SUO CALICE… UN VINO COLORATO - BRENDOLA (VI) “ROSA DEI BERICI” SPUMANTE EXTRA DRY - CANTINA LE PIGNOLE La versione “easy” del Tai Rosso Colli Berici L’azienda “Le Pignole” è un produttore di vini del comune di Brendola, nel vicentino. Una realtà giovane, a conduzione famigliare che ha nel rispetto del territorio uno dei punti di forza della propria produzione. Il concime usato nei vigneti, ad esempio, proviene dagli allevamenti della Un ottimo bicchiere, stessa azienda. disimpegnato con E malgrado questa eleganti fragranze sia una terra di vini fresche di ciliegia e rossi, l’etichetta bacche selvatiche che vi propongo

per restare in linea con l’impegno che mi sono dato, ossia presentare vini estivi e di piccole cantine, in realtà è un rosè. Si tratta uno spumante extra dry dal nome semplice, “Rosa dei Berici”, ottenuto da uve Tai Rosso. Un ottimo bicchiere, disimpegnato con eleganti fragranze fresche di ciliegia e bacche selvatiche. Al palato pulito, armonico, fresco e fruttato con sentori di melograno e mandorle dolci. Un vino dal buon contenuto alcolico, 11,5 vol, che si abbina felicemente fresco con antipasti e primi piatti, magari a base di frutti di mare.

UN VINO SOCIAL - VO’ (PD) “PRIMALUCE” BIANCO IGT TRE VENEZIE 2019 - AZ. VITIVINICOLA LA COSTA - FACCHIN Il buon giorno si vede dal mattino… La storia della vite e del vino nei Colli Euganei può essere raccontata dalla famiglia Facchin che da quattro generazioni coltiva la vite sui dolci pendii, con amore e profonda dedizione alla propria terra. Un vino che nasce alle prime luci dell’alba in quel di Vo’ con vendemmia a mano che permette di preservarne la carica aromatica e la freschezza delle uve. È un blend di Tai (60%) e Pinot Bianco (40%). In cantina si esegue la diraspa-pigiatura con mantenimento della temperatura attorno agli 8-9 °C. Il mosto che ne esce viene convogliato in vasca di acciaio iniziando la fermentazione con lieviti selezionati. Segue una leggera filtrazione prima dell’imbottigliamento e il riposo in bottiglia, per qualche mese, prima dell’immissione in commercio. Ne esce un bel vino giallo paglierino, decisamente intriso di aromi e con un gradevole bouquet. Al naso spiccano note di gelsomino, giglio e acacia, insieme a toni fruttati di mela Golden e banana. Al sorso raffinato, di carattere e spiccata persistenza gustativa e un piacevole retrogusto finale.

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Un vino che vi accompagnerà per tutta l’estate; un bianco pensato sia come aperitivo che in abbinamento ad antipasti e primi piatti a base di pesce; curioso se lo si vuol provare con zuppe di verdure e pesce. Se il buon giorno si vede dal mattino…

Un vino che vi accompagnerà per tutta l’estate; un bianco pensato sia come aperitivo che in abbinamento con piatti di pesce


AD OGNUNO IL SUO CALICE… UN VINO RARO - FAEDO DI CINTO EUGANEO (PD) “SIOR PINELLO” BIANCO VENETO FRIZZANTE IGT AZIENDA AGRITURSITICA PODERE VILLA ALESSI Il ritratto liquido dei Colli Euganei Vitigno raro e autoctono dell’area dei Colli Euganei, il Pinello, viene coltivato prevalentemente nei comuni di Vo, Cinto Euganeo e Rovolon. È un vino da uve a bacca bianca prodotto in versione frizzante e spumante charmat. Impiegato in passato (tra gli anni ‘70-‘80) come vino da taglio, oggi viene vinificato in purezza per un vino giovane, tipicamente primaverile-estivo che si beve “con il naso” nel senso dell’apprezzamento degli aromi. In passato avevo conosciuto il vino prodotto nella zona nord (Rovolon), in questo numero ho scoperto quello di Podere Villa Alessi di Cinto Euganeo dove il suolo cambia dalla zona nord, grazie a terreni prevalentemente argillosi, medio impasto e media fertilità. Il “Sior Pinello” si presenta giallo paglierino brillante; il profumo è delicato con note floreali di acacia, fiori di campo, successive note agrumate e di frutta matura (pera e mela). Vino secco, fresco, sapido, leggermente

acidulo e frizzante al palato, arrotondato da un velo di morbidezza. Vinificazione e fermentazione classica in bianco in acciaio inox a temperatura controllata; successivo riposo in bottiglia per alcuni mesi e poi immissione in commercio. Servito tra gli 8 e10 °C. è compagno ideale per aperitivi, pietanze a base di pesce, senza disdegnare primi piatti leggeri, carni bianche, frittate e formaggi delicati. Un sorso tira l’altro… davvero gradevole, non ci si accorge neanche di finirlo!

UN VINO PROMESSA - CONSELVE (PD) “QUARANTIA” SILVANUM VENETO IGT 2018 - CONSELVE VIGNETI E CANTINE SCA Medaglia d’oro al concorso di Lyon sui vini bianchi fermi Nella Venezia di fine XII secolo il Consiglio dei Quaranta, detto Quarantia, esercitava ampi poteri con funzioni sia politiche che di governo accanto al Maggior Consiglio. Viene da qui, dalla storia veneziana del territorio conselvano, il nome di questo vino presentato al pubblico lo scorso dicembre. Il nome per esteso è “Quaranrtia” Silvanum Veneto IGT 2018 un vino ottenuto dall’eleganza e finezza delle uve Chardonnay (70%) unite a quelle più strutturate del Raboso (30%) vinificato in bianco. Di un bel colore giallo paglierino/dorato intenso, brillante e trasparente emana sentori di acacia e note di frutta gialla (pesca e nespola) con sensazioni esotiche (frutti della passione). Al palato caldo, rotondo e secco, armonico e vellutato. Fresco e sapidamente gradevole.

Buona struttura generale e grande bevibilità. Vino elegante e fine, grazie alla maturazione in botti di rovere e acacia. Bene come aperitivo; da provare con piatti a base di pesce dall’antipasto al secondo; carni bianche e formaggi freschi. Un vino che mi sento di consigliare e, che tra l’altro, è reduce da una recente affermazione al concorso enologico internazionale di Lyon su vini fermi bianchi, dove a ha vinto la medaglia d’oro.

Un vino ottenuto dall’eleganza delle uve Chardonnay (70%) unite a quelle più strutturate del Raboso (30%) vinificato in bianco 51


STORIA E DINTORNI di Roberto Soliman

le “ore canoniche ”

TEMPO DIMENTICATO: Ideate per ritmare lo scorrere del giorno dei monaci con la pratica benedettina “Ora et Labora”, hanno accompagnato le giornate del nostro passato contadino, per essere riformate con il Concilio Vaticano II (1962 - 1965) e dimenticate 52


STORIA E DINTORNI

S

ull’antico e singolare campanile di Urbana in Padovanabassa, che porta incastonati marmi romani e medievali lisci ed incisi, fa bella mostra di se una meridiana in marmo bianco, che in passato divideva il tempo della luce del giorno secondo il canone benedettino, in abbinata con le ore “temporali”. Quando sia stata messa li, a circa 7 metri di altezza nella facciata rivolta al sole, è difficile determinarlo, ma probabilmente proviene, come le altre pietre incastonate nella torre campanaria, dalla primitiva chiesa romanica altomedioevale, che a sua volta era stata costruita anche con materiale di risulta di qualche casa del tardo impero, abitate San Benedetto da famiglie di disciplinò la liturgia origine romana delle ore dando forma e poi abbandoalle “Ore Canoniche” nate e demodistinguendo i tempi lite. Per inciso Urbana risulta della giornata portare il nome monastica, dedicati alla preghiera e alla vita della V legione romana, chiacomunitaria in 7 fasi mata “Vrbanae”, che si insediò nel territorio della Giurisdizione di Este dopo la Battaglia di Azio del 31 a.C. I soldati che vi parteciparono divennero coloni e la terra divenne la pensione per permettere loro di vivere con la propria famiglia. Allora il concetto del tempo partiva dal fatto che il sole fosse mosso dal Dio Sole (Sol invictus) che dettava misteriosamente il ritmo del giorno e della notte, delle stagioni e degli anni, convinti, come erano gli antichi, che esso girasse attorno alla terra, e dalle ombre generate l’uomo incominciò a dividere il tempo della luce in ore. Ma essendo il tempo della luce maggiore d’estate rispetto all’inverno le ore risultarono ineguali o

Sebbene oggigiorno siano una rarità, un tempo gli orologi solari tracciati sulle pareti esterne degli edifici esposte a sud erano comuni, poiché visibili a distanza ed economici da realizzare. Il quadrante era semplicemente dipinto sul muro oppure ricavato su una lastra di marmo o pietra. Lo gnomone era uno stilo di ferro o di ottone, oppure un tripode di metallo, per maggiore robustezza.

“temporali” e avevano una durata diversa secondo le stagioni. Le ore temporali rimasero in uso per secoli finchè San Benedetto (480 - 547) disciplinò la liturgia delle ore dando forma alle “Ore Canoniche” (da canon, regola) distinguendo i tempi della giornata monastica, dedicati alla preghiera e alla vita comunitaria in 7 fasi, come la pratica ebraica riportata nel salmo 119 degli Atti che recita: “Sette volte al giorno Ti lodo per la Tua giusta legge”.

LE ORE CANONICHE Le fasi che riportiamo sono con orario approssimativo, variando la lunghezza delle ore del giorno secondo le stagioni All’alba (0re 5.00) Alle 6.00 Alle 9.00 Alle 12.00 Alle 15.00 Al tramonto Alle 21.00

Mattutino e Lodi Ora Prima Ora Terza Ora Sesta Ora Nona Vespri Compieta

Le ore canoniche introdotte da San Benedetto ricalcavano l’uso di recitare preghiere, in modo particolare i salmi del salterio, ad ore prestabilite: ad esempio nel libro degli Atti si riporta che Pietro e Giovanni andavano al tempio per la preghiera pomeridiana. Il salmo 119 dice: Sette volte al giorno ti lodo per la tua giusta legge.

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STORIA E DINTORNI In pratica vennero divise le ore temporali in gruppi di tre ore ciascuna e le Ore Canoniche rimpiazzarono le ore ereditate dai romani anche nelle vita pubblica che le adottò, e soprattutto ritmarono il lavoro dei campi allorquando, al suono della campanella, ci si fermava per una preghiera di ringraziamento, un segno di croce, una merenda o il pasto a mezzogiorno, e un breve riposo e così via. Anche il salario dei braccianti agricoli rispettava questi intervalli, venendo pagati di tre ore in tre ore, fino a non molti decenni fa. Mi ricordo la sveglia e il vociare leggero dei miei genitori al suono del “mattutino” e degli altri componenti la famiglia per: vestirsi, lavarsi il viso in camera, scendere lesti le scale, fare colazione con latte, caffè di orzo e pane raffermo e, dopo la recita dell’Angelus con i miei nonni, gli uomini di Nessuno portava casa raggiungere orologi da taschino le “opere” che già o da polso; erano presenti in corte, per partire la giornata era regolata dal cammino per il lavoro nei campi. del sole e dal suono Intanto io, che delle campane che durante il lieve venivano azionate trambusto facevo dal campanaro finta di dormire

Jean-François Millet, “L’Angelus”, 1857-1859, conservato al Museo d’Orsay di Parigi. Le Ore Canoniche ritmarono il lavoro dei campi. Al suono della campanella ci si fermava per una preghiera di ringraziamento, un segno di croce, una merenda, il pasto a mezzogiorno o un breve riposo

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Il Riposo, GIOVANNI FATTORI, 1887, conservato alla Pinacoteca di Brera, Milano

nascosto dalle coperte, giravo fianco alla ricerca di riprendere un leggero sonno! Durante le vacanze scolastiche venivo svegliato verso le otto da mia madre per far colazione e portare la sporta con la merenda a mio padre in fondo ai campi per la sosta delle nove, dopo tre ore di lavoro suo, di Ivano l’operaio, e delle vacche che finalmente, tolta la museruola, potevano brucare l’erba fresca della capezzagna ancora umida di “sgoazza”. Dopo un segno della croce rivolti verso il campanile, si sedevano in riva al fosso e facevano “marenda” con quello che di stagionale offriva la cucina. Il classico bottiglione di vino annacquato dava il resto di energia per arrivare a mezzogiorno, riportare in stalla le vacche, rinfrescarsi con l’acqua del pozzo e sedersi a tavola per il pranzo, recitando prima una breve preghiera insieme a tutta la famiglia. E poi il riposo, questa volta a letto! Il sole era ancora a picco, quando alle 15.00 (Ora nona, sempre segnalata dalla campanella) si riprendeva il lavoro, senza le vacche che continuavano il riposo in stalla, in attesa di allattare il vitello e di essere munte verso le 18.00. E lì ci stava un’altra “marenda”, con zucca cotta o con gli avanzi del mezzogiorno, per completare il lavoro fino a quasi il tramonto, in vista dei Vespri che preannunciavano la buia notte. Nessuno portava orologi da taschino o da polso; la giornata era regolata dal cammino del sole e dal suono delle campane che venivano azionate quando il campanaro vedeva il gnomone (l’indice o asta in ferro) della meridiana proiettare la sua ombra sul segno delle ore canoniche. Solo quando c’era la trebbia in corte il “macchinista” usava l’orologio per le soste, dato che il frastuono del Landini e della trebbiatrice non consentivano di sentire le campane, ma anche senza orologi e senza rintocchi gli operai, all’avvicinarsi della sosta, avevano già rallentato il ritmo! Erano ormai programmati a sopportare la fatica a tempo! Tre ore! A complicare questo mondo “eterno” ci si è messo, a


STORIA E DINTORNI

All’ora terza i contadini facevano la prima pausa. Dopo il segno della croce rivolti verso il campanile, si sedevano in riva al fosso e facevano “marenda” con quello che di stagionale offriva la cucina

periodi alterni, lo Stato Italiano, con le Ore Legali. Nate nel lontano 1916, pur con periodi di non applicazione, hanno disturbato il mondo contadino che per decenni non le ha mai accettate preferendo continuare con i ritmi che oramai erano naturali del sole e delle secolari ore canoniche, per cui i campanili di campagna suonavano mezzogiorno due volte, a mezzogiorno legale (ma nessuno lo considerava!), e a mezzogiorno solare, quello giusto! Ma i tempi stavano cambiando anche nei campi, intanto a scuola bisognava rispettare l’orario ufficiale che non variava col variare della luce; dalla Cresima il regalo che noi abbiamo ricevuto dal “santolo” è stato un orologio da polso placcato d’oro, quasi per introdurci in un mondo suddiviso artificialmente; con l’arrivo della meccanizzazione e dei trattori con i fari, anche l’uomo-contadino si è impadronito della notte; la televisione è entrata pian piano nelle case con programmi a orari prestabiliti, uguali tutte le stagioni; i momenti di ringraziamento al Sole, a Dio: dimenticati; e anche la riforma delle Ore Canoniche operata dal Concilio Vaticano II per renderle più vicine all’uomo che voleva diventare moderno, è scivolata nel dimenticatoio e nell’oblio che sembra guidare il momento attuale, che

non riconosce più le La giornata gesta, giuste o sbadella campagna gliate ma sopratutto veniva scandita legate alla natura e alla stagionalità, di chi in gruppi di tre ore, allo scadere ci ha generato! Ma la Storia si ripete, dei quali era ci dicevano, chissà! prevista una sosta Intanto, in questa precon un pasto visione, ad Urbana la frugale per meridiana c’è già, basta installare il gnomo- recuperare le forze ne e trovare il campanaro disposto a suonare il “Mattutino” delle 5.00, e non ditemi che ci sono le campane elettriche programmabili. Non sarebbe la stessa cosa!

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PAESAGGI OFFESI di Massimo Trevisan

CON LA PERDITA DEL PAESAGGIO SI PERDE ANCHE L’IDENTITÀ DELLA SUA GENTE Malgrado il Veneto sia la terra di Palladio e dello Scamozzi l’architettura e l’urbanistica moderna non paiono affatto risentire della loro formidabile lezione. Dagli anni ‘50 del Novecento regna una generale schizofrenia edificatoria che ha portato ad un landscape senza armonia e con pochi valori utili al vivere quotidiano

L

a convenzione europea sul paesaggio definisce quest’ultimo come “una porzione di territorio, così com’è percepita dalla popolazione, il cui carattere deriva dall’ azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”. Per paesaggio non deve dunque intendersi il bel panorama o l’ameno scorcio naturale, ma l’insieme dei segni, dei manufatti e delle trasformazioni che l’opera umana ha impresso nel territorio “naturale”. Sicché i valori che esso trasmette non sono puramente estetici, ma toccano l’economia la tecnica, la cultura, l’organizzazione sociale quanto l’arte e l’architettura. La premessa è tanto più necessaria quando si parli del “paesaggio palladiano”. Il termine deriva dal titolo di un importante testo del geografo Denis Cosgrove e designa ormai l’insieme degli interventi intrapresi sulla Terraferma dalla nobiltà veneziana a partire dalla metà del ‘500, che comportarono massicce operazioni di regolamentazione delle acque e bonifica, di colonizzazione e valorizzazione dei terreni agricoli e di insediamenti produttivi. Il progressivo restringersi dello “Stato da Mar” a causa dell’avanzata turca e l’aumento della popolazione (la Repubblica raggiunge l’autosufficienza alimentare sola alla metà del ‘600) sono tra le cause che spingono Venezia ad investire sempre più

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capillarmente nella terra ferma. Il movimento, tuttavia, si connotò per lo spessore degli attori coinvolti e dei contenuti culturali che mobilitò, “in cui convergono i temi forti della visione umanistica occidentale... il tentativo di collegare intellettualmente il microcosmo del vivere quotidiano con l’armonia della grande ‘machina’ del mondo... la creazione di un mondo nuovo, perfetto, armonico...” (Vallerani). La “santa agricoltura”, per usare un’espressione di Alvise Cornaro, strappa la natura dall’arido caos del “vegro” e dall’insana palude per transitarla all’ordine delle colture (alberate, broli, campi di grano e mais, filari di vite e frutteti a quinconce), offrendo “scene” e “spettacoli” che Charles de Brosses ha ancora l’occa-

Guido Piovene: “Si avverte frequentemente... una rottura tra le tradizioni, lo sfondo, e la vita di oggi... La civiltà diventa endemica, senza giungere più all’intelligenza e all’amore; gli abitanti assomigliano ad ospiti occasionali, senza storia, su un fondale storico”


PAESAGGI OFFESI sione di annotare, transitando nel 1739 da Vicenza a Padova. L’amenità naturale dei siti (le colline euganee e dell’asolano, le acque di fiumi e canali...) è accortamente valorizzata nella costruzione delle ville, dove la razionalità e le necessità economiche legate alla conduzione del fondo (barchesse ed annessi rustici) si legano senza soluzione di continuità all’esibizione del prestigio signorile e alla celebrazione delle famiglie che le possiedono. Non a caso gli affreschi interni spesso celebrano le delizie del vivere in villa, come a villa Caldogno, nel vicentino. Si tratta di un “progetto” elitario, che, l’ha ricordato più volte il compianto storico dell’arte Lionello Puppi, ha come controparte la miseria, le malattie, le carestie patite dai contadini, la cui testimonianza letteraria più alta è nelle commedie del Ruzante, ed il cui sogno di evasione si concretizza nell’immagine “altra” e chimerica del paese di Cuccagna. Malgrado la caduta della Serenissima ed il venir meno delle varie Magistrature che per secoli avevano sovrinteso al funzionamento di questa economia, si può dire che l’eredità palladiana sopravviva ben dentro il Novecento. Ed esiste una certa continuità ideologica di essa con “l’affezione ruralistica di matrice borghese” dell’Ottocento (Vallerani). Bastano a testimoniarla la creazione di grandiosi parchi da parte dell’aristocrazia imprenditoriale e terriera nel corso di quel secolo: dal Treves di Padova a quello di villa Comello di Galliera Veneta al Rossi di Santorso di Vicenza, dal parco Revedin Bolasco di Castelfranco a quello Centanini di Stanghella. Ma i più sensibili osservatori cominciano a sottolineare vistose crepe in questo quadro a partire dagli anni 50 del ‘900. Nello stesso momento in cui Giuseppe

Veduta di Montorio (VR) - particolare. Incisione di J.A. Delsenbach da “Continuation der Nürmbergischen Hesperidum” di J. Ch. Volckamer, 1714. Un esempio tipico del “paesaggio palladiano”, dove l’elemento naturale si sposa armoniosamente con l’attività trasformativa dell’uomo: le alberate, i filari di cipressi, la villa sulla destra e le più modeste case coloniche al centro e a sinistra

Uno scorcio del Parco Treves a Padova con la collinetta-ghiacciaia e il tempietto greco in una veduta litografica di G.B. Cecchini (1842) e oggi

Mazzotti lancia il suo grido di allarme sullo stato deplorevole di molte ville venete, Guido Piovene, nel suo “Viaggio in Italia” del ‘57, attraversando il Veneto nota le costruzioni volgari e le brutture edilizie che deturpano un paesaggio che peraltro altrove (come presso Asolo) continua a mostrare “un massimo di equilibrio e di grazia”. Concludendo: “Si avverte frequentemente... una rottura tra le tradizioni, lo sfondo, e la vita di oggi... La civiltà diventa endemica, senza giungere più all’intelligenza e all’amore; gli abitanti assomigliano ad ospiti occasionali, senza storia, su un fondale storico”. A partire da quella data, ma con accelerazione progressiva negli ultimi quattro decenni, le esigenze dell’industrializzazione e del riscatto sociale si sono scontrate con la realtà di un territorio caratterizzato storicamente da un policentrismo scarsamente gerarchizzato, causando, soprattutto nell’area centrale tra Treviso Venezia Padova e Vicenza, la proliferazione delle case sparse e dei piccoli insediamenti artigianali. Città diffusa, agripolitano, rururbano sono termini che, col loro carattere ossimorico, descrivono bene la struttura schizofrenica di questi insediamenti, connotata dalla dispersione edilizia, con cortine quasi ininterrotte di edifici residenziali che si affiancano alle costruzioni commerciali, agli uffici alle fabbriche, attestandosi lungo le principali direttrici di traffico, mentre sul retro si intravedono ancora scampoli di una campagna sempre più marginalizzata ma che pare tornare a dominare non appena si imbocchi qualche strada secondaria.

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PAESAGGI OFFESI

L’immagine fa parte di un album (1871), illustrato da Carlo Matscheg (1831-1901) e dedicato all’inaugurazione del Lanificio Rossi di Schio. Qui è raffigurata la villa di Alessandro Rossi, a Santorso (Vi), poco lontana dallo stabilimento. L’esuberanza della natura accortamente organizzata nel giardino appare in continuità con quella incolta dello sfondo, entrambe controllate dalla mole della villa e dal geometrico filare di cipressi. Due chiese vegliano sulla pacifica scenetta dove convivono borghesi e popolani, che riflette lo spirito filantropico e riformatore dell’industriale. Anche la morbida pastosità della litografia contribuisce alla armoniosa e romantica aria di tempo sospeso

Se disordine, incoerenza ed un rumore di fondo sono le conseguenze di questo processo sul piano urbanistico e figurativo, quelle sul piano culturale sono l’appiattimento e la incapacità di leggere le forme dei luoghi, la “scarsa attitudine a leggere in esse la stratificazione di processi, significati, valori, cultura. Ogni luogo diventa ‘normale’, privo della sua specificità e unicità, privo della sua storia, privo della sua caratterizzazione”, sicchè si è autorizzati ad interventi anche vistosi, privi di qualsiasi rapporto spaziale o qualitativo con il contesto (Castiglioni). Non sono mancate nel passato iniziative volte a contenere questa deriva, nate da una sensibilità “ecologica” proveniente dal territorio e volte a preservare paesaggi specifici, caratterizzati da peculiarità geomorfologiche, ambientali, colturali ed edificatorie. Mi riferisco in particolare, per le aree a noi più vicine, alla creazione nel 1989 del Parco dei Colli Euganei, e nel 1997 del Parco del Delta del Po. Si tratta tuttavia di iniziative che riguardano piccole porzioni del territorio veneto, per di più spesso percepite come burocratizzate o addirittura vessatorie. Oggi, una sensibilità vieppiù crescente nel pubblico verso le questioni ambientali, assieme ai segni di crisi del “modello veneto” ed alla necessità di prevenire catastrofi naturali inducono a pensare che la ricomposizione del paesaggio non possa passare che attraverso un Piano Paesaggistico regionale, che si faccia

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carico, con un adeguato apparato normativo e di monitoraggio e verifica degli esiti, di connettere tra loro le problematiche relative alla preservazione dei cicli ecologici fondamentali, ai flussi di materie prime e di energie, all’approvvigionamento ed alla gestione dei rifiuti, alla messa in sicurezza del territorio, alla organizzazione dei trasporti, alla formazione di infrastrutture verdi. Piano che prevederebbe la riaggregazione degli insediamenti residenziali e produttivi; la ricostruzione dei margini urbani con cinture verdi che “ricucissero” campagna e verde cittadino; il potenziamento e la valorizzazione degli enti-parco esistenti, assieme alle riserve naturali ai bacini idrografici ed i fiumi, anche in vista di un turismo sostenibile; la riqualificazione dell’agricoltura (Lironi). La Regione in questi anni ha avviato diversi Piani Paesaggistici, ma ancora una volta relativi solo a porzioni circoscritte del territorio veneto; ha pure avviato l’iter per la stesura del Piano Paesaggistico Regionale, a tutt’oggi però lettera morta. La stessa Regione che si è mostrata sollecita nella gestione dell’emergenza appare incapace di un disegno ambizioso ed a lunga scadenza per la ricomposizione e la valorizzazione del suo territorio, al di là della difesa di interessi particolari o dei localismi che ancora paiono caratterizzare la società veneta.

Le due immagini mostrano il paesaggio urbano moderno caratterizzato da una sostanziale assenza di valori estetici, dalla dispersione edilizia con cortine quasi ininterrotte di edifici residenziali che si affiancano alle costruzioni commerciali, agli uffici alle fabbriche, attestandosi lungo le principali direttrici di traffico Per approfondire: L. Puppi: L’ambiente, il paesaggio e il territorio, in “Storia dell’arte italiana”, 4, To, 1980 B. Castiglioni, V. Ferrario: Dov’è il paesaggio veneto?, in “Ars”, 114, 2007 * F, Vallerani: Paesaggio postpalladiano tra utilitarismo privato ed eticità dei beni comuni, in “Le trasformazioni dei paesaggi e il caso veneto” ( a cura di G. Ortalli), Bo, 2010 * S. Lironi: Paesaggio e consumo del suolo nel Veneto, 2011 * A.R. Candura, E. Poli: Sviluppo ed evoluzione del paesaggio veneto: per un’efficace geografia economica nel territorio, in “Commons/Comune”, 14, 2016 * * disponibili in rete.


SCOPRIRE IL TERRITORIO a cura della redazione

Guida

AGLI ITINERARI DEL PRINCIPE ROSSO Sette percorsi da fare in bicicletta nella terra del Radicchio di Chioggia Igp, tra paesaggio, storia e natura

U

n progetto di promozione e di visitazione, realizzato da Speak Out, dedicato alla terra del Radicchio di Chioggia Igp. Ossia all’area di produzione che racchiude 10 comuni tra 3 provincie: Venezia, Padova e Rovigo, incorporando pure grandi aree di estrema suggestività come l’area padovana della Fogolana, la Laguna Sud e il grande Delta del Po. Una terra del lavoro dove da secoli l’uomo ha instaurato un rapporto con la natura all’insegna del reciproco rispetto, raggiungendo un equilibrio che è visibile nelle valli da pesca, nelle lagune, negli orti; dove nessuno degli elementi prevale e il risultato è quello di una bellezza unica a rara. Una terra, va aggiunto, straordinaria per i valori geomorfologici che hanno portato alla sua formazione nei millenni, per la storia, la cultura, il paesaggio e la biodiversità che la caratterizza. Si tratta di una sorta di “museo diffuso” che merita di essere visitato attraverso il turismo lento. Il tempo, infatti, è il piccolo investimento che questi luoghi richiedono per essere completamente esperiti e per

gustare anche le distanze e i silenzi di cui sono costituiti. Lungo i percorsi che vi proporremo in questo numero e nelle prossime edizioni di Con i piedi per terra troverete musei, aree naturalistiche, zone strutturate per il birdwatching, ma anche tante aziende che con il loro lavoro si sono rese custodi dei luoghi. Ognuno di loro ha una storia da raccontare, ognuno lo fa con la propria voce: chi con la cucina, chi con l’ospitalità, chi con i propri prodotti o con l’offerta di servizi. Fotografando con il tuo smartphone il Qr-Code qui a fianco potrai accedere alla road-map del percorso e alle schede di presentazione dei siti di interesse storico, architettonico e paesaggistico, nonché alle aziende aperte per lo shopping e le loro proposte merceologiche

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SCOPRIRE IL TERRITORIO

ROSOLINA TRA VALLI, ORTI E DUNE FOSSILI

PRESENTAZIONE DEL PERCORSO L’itinerario permette di conoscere da vicino flora e fauna di un territorio estremamente mutevole, così è facile passare dai prati aridi e dai cespugli caratteristici della macchia mediterranea alle piante alofile, caratteristiche di aree umide come le valli da pesca. Un paesaggio in cui l’uomo si è adattato senza stravolgere le regole della natura. Compagni di questa pedalata saranno sicuramente gli uccelli, il Delta del Po infatti, è un mondo ornitologico straordinario dove è sempre possibile l’avvistamento di anatidi, trampolieri, limicoli compresi i grandi fenicotteri rosa.

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I SITI DI INTERESSE STORICO E CULTURALE INTERCETTATI DAL PERCORSO ⊲ LE DUNE FOSSILI A ricordarci che un tempo questo paesaggio era notevolmente diverso concorrono le dune fossili, ossia i depositi sabbiosi formati dai venti e dall’azione del mare che in tempi diversi segnavano la linea di costa. Oggi le dune sono tutelate come Siti di Interesse Comunitario, in quanto sono veri e propri ecosistemi di biodiversità, in cui convivono orchidee, prugnoli, ligustri, biancospini e grandi alberi come i lecci o i pini marittimi.


SCOPRIRE IL TERRITORIO ⊲ TORRE CIVICA CON OROLOGIO E ANTIQUARIUM La torre civica o dell’orologio risalente al XVIII secolo ospita oggi l’Antiquarium ossia un piccolo museo realizzato con i reperti di epoca romana rinvenuti a Corte Cavanella nel territorio di Loreo. Si tratta perlopiù di vasellame da cucina, oggetti di lusso, e oggetti d’arredo. Una seconda sala, invece, è dedicata a reperti di imbarcazioni e testimonianze della tradizione di carpenteria navale e degli antichi traffici sul Canal Naviglio.

⊲ I FENICOTTERI Nei grandi specchi d’acqua che costeggiano i lati di Via Valli non è difficile avvistare i fenicotteri rosa durante tutti i mesi dell’anno. Sono diventati stanziali dagli anni ’90, si spostano solo per piccole migrazioni interne che sono state seguite e monitorate dall’Ispra e hanno permesso di conoscere da vicino la vita e le abitudini di questi straordinari uccelli.

⊲ GLI UCCELLI Il birdwatching è una delle proposte che integrano le attività possibili su Via delle Valli. Oltre ai fenicotteri, infatti, dalle torrette, possono essere avvistate centinaia di specie di uccelli adattati a questo particolare ambiente vallivo. Il fraticello è tra questi, come del resto lo è la sterna comune o la zampenere, il beccapesci, la pettegola, il cavaliere d'Italia e l'avocetta, l'ibis mignattaio e la volpoca. ⊲ LE VALLI Nelle Valli l’acqua salata del mare incontra quella dolce dei fiumi creando un paesaggio senza uguali. Sulle barene crescono il limonio e la salicornia, mentre i bassi fondali offrono riparo e cibo a centinaia di specie di uccelli. Ma questa è anche una terra dell’uomo, qui si pratica da secoli la pesca delle anguille, dei cefali o delle spigole.

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AMICI CON LE ALI Foto di Elena Rizzo

di Aldo Tonelli

IL VIAGGIO DELL’AQUILA MICHELE DURANTE IL LOCKDOWN Nato lo scorso anno tra la Puglia e la Basilicata ha raggiunto l’Africa per trascorrere l’inverno e a primi di aprile ha ripreso il viaggio di ritorno: 7.000 chilometri in volo con scalo sui Colli Euganei

N

el periodo in cui eravamo tutti chiusi in casa per la pandemia di Covid-19 c’era chi, invece, faceva un viaggio di migliaia di chilometri. In quei mesi era infatti in atto la migrazione primaverile degli uccelli e potevamo solo immaginarne il volo dai quartieri africani verso le nostre terre. Le tecnologia però c’è ed è stata di d’aiuto quando mi è stato segnalato che il Biancone di nome Michele stava passando la notte tra il 7 e l’8 maggio nei Colli Euganei. Com’era possibile sapere queste cose? Il Biancone, nome derivante dal colore chiaro che lo distingue, fa parte della famiglia delle aquile e si ciba quasi esclusivamente di rettili e specialmente serpenti che rappresentano il 90% della sua dieta, cosa che gli ha fatto attribuire anche il nome di Aquila dei serpenti europea. L’associazione Medraptors in collaborazione con il Parco Regionale Gallipoli-Cognato Piccole Dolomiti Lucane, l’Osservatorio Faunistico della Regione Basilicata e l’Università di Alicante (Spagna) ha iniziato per la prima volta in Italia nel 2010 uno studio, grazie a trasmittenti satellitari appo-

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ste a dei Bianconi, per raccogliere dati sull’affascinante migrazione che effettuano questi rapaci. Amante dei climi temperati e degli ambienti mediterranei ricoperti da arbusti e aree aperte, il Biancone è un uccello migratore che sverna in Africa e torna sui cieli d’Europa con l’arrivo Tra l’8 e il 9 maggio della priha trascorso una notte mavera. sui Colli Euganei, Dal 2010 al 2013 su set- tra Galzignano e Torreglia, te giovani il giorno dopo si è messo sono state nuovamente in viaggio applicate, con direzione Sud con una specie di piccolo zainetto, piccole trasmittenti satellitari dal peso di circa 45 grammi, compreso il piccolo pannello solare di alimentazione. Queste inviano dati importanti come coordinate, data e ora e grazie al sistema GPS è possibile localizzarli e valutare le rotte di migrazione e di sosta. Il Biancone può percorrere ben


200 km e più al giorno durante la migrazione, con soste dove trova un ambiente tranquillo dove passare la notte. Lo studio di questi dati ha permesso negli anni ai ricercatori di descrivere il percorso compiuto appurando che migrano in una direzione opposta a quella seguita dagli altri uccelli migratori nell’emisfero nord: vanno in direzione nord in autunno e in direzione sud in primavera. Il motivo di questa rotta inversa sta probabilmente anche nelle loro ali larghe che sfruttano le correnti termiche. Essendo queste assenti sull’acqua, una traversata marittima è molto costosa dal punto di vista energetico, evitare il passaggio faticoso e rischioso del Canale di Sicilia (150 km sul mare) per il più sicuro stretto di Gibilterra (14 km), anche se il volo via terra diventa molto più tortuoso e lungo, diventa preferibile. Nel 2019 un giovane Biancone è stato dotato della trasmittente a pochi mesi dalla nascita, prima della sua partenza autunnale. Battezzato “Michele”, in ricordo dell’ornitologo Michele Panuccio autore di notevoli studi sui rapaci e scomparso a soli 43 anni, la sua prima migrazione era consultabile giorno per giorno sul sito: http://www.raptormigration.org/project/ short-toed-eagle-tracking/.

Foto di Antonio Bossi

AMICI CON LE ALI

Il “Biancone” fa parte della famiglia delle aquile e si ciba quasi esclusivamente di rettili e specialmente serpenti che rappresentano il 90% della sua dieta, cosa che gli ha fatto attribuire anche il nome di Aquila dei serpenti europea. Amante dei climi temperati e degli ambienti mediterranei ricoperti da arbusti e aree aperte, il Biancone è un uccello migratore che sverna in Africa e torna sui cieli d’Europa con l’arrivo della primavera

Foto Medraptors

Il nostro rapace è stato battezzato “Michele”, in ricordo dell’ornitologo Michele Panuccio autore di notevoli studi sui rapaci e scomparso a soli 43 anni

Le trasmittenti dal peso di 45 grammi, compreso il piccolo pannello solare di alimentazione, vengono applicate sulla schiena degli uccelli con una specie di piccolo zainetto. Queste inviano dati importanti come coordinate, data e ora degli spostamenti e grazie al sistema GPS è possibile localizzarli e valutare le rotte di migrazione e di sosta

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AMICI CON LE ALI

Nella cartina i due viaggi compiuti da Michele: andata e ritorno. Un Biancone può percorrere ben 200 km e più al giorno durante la migrazione, con soste in ambienti tranquilli dove passare la notte. Lo studio di questi dati ha permesso ai ricercatori di appurare che questa specie migra in una direzione opposta a quella seguita dagli altri uccelli migratori nell’emisfero nord, ossia vanno in direzione nord in autunno e in direzione sud in primavera. Il motivo di questa rotta inversa sta probabilmente nelle loro larghe ali che sfruttano le correnti termiche. Correnti che essendo assenti nei tratti di mare hanno portato i Bianconi ad evitare il passaggio sul Canale di Sicilia (150 km sul mare) preferendo il più breve stretto di Gibilterra (14 km). In questo modo il volo diventa molto tortuoso e lungo, ma sicuro

Partito alla fine di settembre dalla terra natia in Lucania è giunto in Burkina Faso e in Mali per svernare. Qui la sua trasmittente, che non aveva dato segnali per lungo tempo, ha ripreso fortunatamente a funzionare inviando la nuova posizione. Non tutti i Bianconi nel primo anno tornano ai luoghi di nascita ma passano un anno nei quartieri africani. Michele invece ai primi d’aprile è partito e ha superato lo stretto di Gibilterra il 19 aprile, passando la notte a Siviglia. Ha seguito la costa mediterranea, dopo aver superato i Pirenei, la valle del Rodano fino in Svizzera, ha valicato le Alpi entrando in Italia sull’Alpe Devero il 5 maggio. L’8 ha sorvolato Lecco, Bergamo, Brescia, la periferia di Verona arrivando in zona Delta del Po. Probabilmente spaventato dal mare è tornato un po’ indietro per trascorrere la notte sui Colli Euganei, tra Galzignano e Torreglia, a pochi chilometri da casa mia dove posso solo immaginare il suo arrivo e la sua sosta notturna. Il giorno dopo è ripartito verso sud e posso anche qui solo vedere sulla cartina il suo sorvolo, dato che i dati lo segnalano

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proprio sul mio paIl 12 Michele ese. Il 12 maggio ha raggiunto dopo un viaggio di finalmente il luogo più di 7000 km Midella sua nascita chele ha raggiunto finalmente il luogo e dove probabilmente della sua nascita e rimarrà, tra la Puglia dove probabilmene la Basilicata, te rimarrà, tra la Puin cerca di un suo glia e la Basilicata, in cerca di un suo territorio da occupare territorio da occupare. Un’epica avventura tra realtà e fantasia coronata dal successo grazie all’impegno degli studiosi che permettono e condividono le loro ricerche su questo affascinante mondo. Un particolare ringraziamento per la stesura di quest’articolo va a tutto il gruppo Medraptors e in particolar modo a Ugo Mellone, naturalista, fotografo e studioso di rapaci e delle loro migrazioni fin dal 2003.



Guardiamo oltre il mare…

L’immagine della pesca che sa rispettare l’ambiente e sa qualificare il proprio prodotto anche attraverso il valore dei suoi pescatori O.P. I Fasolari significa pesca, ma anche cooperazione, commercializzazione e promozione di un prodotto esclusivo del nostro mare. O.P. I Fasolari è sinonimo di guardare al domani di questo settore, con la consapevolezza che solo un modello come l’Organizzazione dei Produttori può fare rete con gli altri enti della pesca, promuovere l’aggregazione dell’offerta e crescere sui mercati. O.P. I Fasolari è l’immagine della pesca che sa rispettare l’ambiente e sa qualificare l’immagine del proprio prodotto anche attraverso il valore dei suoi pescatori Una rete di imprese: associati tutti i pescatori veneti e friulani specializzati nella pesca del “fasolaro” L’esclusiva di un prodotto nostrano: la flotta è composta da un numero consistente di pescherecci attivi nei principali porti dell’Alto Adriatico: Grado, Marano Lagunare, Caorle, Cavallino-Treporti e Chioggia

Una pesca amica dell’ambiente: il prelievo avviene esclusivamente in relazione alla quantità di prodotto richiesta dal mercato Freschezza Sempre garantita: l’organizzazione e la filiera garantiscono tempestività nello smistamento del prodotto pescato

O.P. I Fasolari Soc. Coop. - Via Maestri del Lavoro, 50 - 30015 Chioggia (VE) - tel. 041 403317 - www.fasolari.it


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