Con i Piedi per Terra | 24. BASSA PADOVANA

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N. 24 - Ottobre - Novembre 2017 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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Direttore responsabile: Mauro Gambin

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Editore: Speak Out srl

STORIA E DINTORNI

Numero 24

di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) - speakout@live.it

Storia amara dello zucchero veneto

Hanno collaborato a questo numero: Silvano Bizzaro Emanuele Cenghiaro Alessia Crivellaro Luana Deiana Mattia De Poli Maurizio Drago Michele Grassi Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Anna Maria Pellegrino Roberto Soliman Mario Stramazzo Aldo Tonelli Martina Toso

Progetto Grafico:

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Stampa: Stampe Violato snc Bagnoli di Sopra (PD) Tel 049 9535267 www.stampeviolato.com info@stampeviolato.com Giornale chiuso in redazione il 20 Novembre 2017 Tiratura: 5000 copie Diffusione: periodico bimestrale Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013 Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari)

La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana

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PANORAMA GASTRONOMICO

Che vita sarebbe senza dolci?

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Natale, festa del cibo

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LA MEMORIA DI CARTA

Gente di strada

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MESI DELL’ACQUA E DEL FUOCO

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LA BOSCHETTONA,

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N. 7 - Novembre 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

LA TERRA SOTTO IL DOMINIO DEGLI ASTRI

IL MITO DELLA CAMPAGNA

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N. 5 - Giugno 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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N. 3 - Febbraio 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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N. 4 - Maggio 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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EDITORIALE

Le ombre del Natale di Mattia De Poli

La storia di Gesù offre spunti di riflessione su questioni di grande attualità

I

l Natale è ogni anno la solita storia: Gesù che nasce, Dio che si fa uomo per salvare l’umanità. Per alcuni è solo un’iniezione zuccherosa di buonismo. Per tutti, credenti e non credenti, è un’occasione di festa che spesso induce alla corsa agli acquisti e al consumismo, croce e delizia della società contemporanea. Eppure, se si ritornasse all’origine, cioè al testo dei Vangeli che raccontano “la solita storia”, ci si accorgerebbe quanto è intrigante e attuale quella storia. Dal Kurdistan alla Catalogna passando per i referendum di Veneto e Lombardia si continua a dibattere, con varie sfumature, di identità di popolo, di nazione, di autonomia e di indipendenza. A più di duecento anni dal Congresso di Vienna. Al tempo di Gesù non c’erano le tensioni odierne fra Palestinesi e Israeliani, ma fra Romani ed Ebrei i rapporti erano piuttosto tesi e anche fra la Galilea a nord, la Samaria al centro e la Giudea a sud, con la città di Gerusalemme, non correva buon sangue. Divisioni, diffidenze, disprezzo, ostilità in cui la religione era - come spesso accade ancora oggi - per lo più un pretesto o uno strumento nelle mani del potere. Vari momenti della predicazione del maestro fanno emergere queste problematiche: basta ricordare il rifiuto dei Samaritani di accogliere Gesù perché era diretto a Gerusalemme oppure la provocazione implicita nella parabola del buon Samaritano raccontata a un dottore della Legge o, infine, il ruolo di Pilato nella condanna alla crocefissione. Poco prima della fine di questa storia, quando Gesù a Gerusalemme viene interrogato dal Sommo sacerdote, Pietro - uno dei personaggi secon-

dari più importanti - rinnega per tre volte il suo maestro: alcune persone, infatti, lo avevano riconosciuto come uno dei seguaci del “Nazareno”, e tale sospetto era avvalorato dal fatto che anche Pietro era un “Galileo”. Ora questo episodio ci riporta alla nascita di Gesù. Gesù nasce a Betlemme, un villaggio della Giudea: Giuseppe, suo padre, si è recato lì dalla Galilea per rispondere al censimento indetto dall’imperatore romano Augusto, in quanto era discendente di Davide, e quindi Giudeo. Poco dopo la nascita, però, il re della Giudea, Erode, fa uccidere i neonati e la famiglia di Gesù - padre, madre e bambino - fugge all’estero, in Egitto, per mettersi in salvo. Alla morte di Erode pensano di tornare tutti in patria, in Giudea, ma il governo del nuovo re non offre sufficienti garanzie di sicurezza e allora migrano a nord, di nuovo in Galilea, a Nazareth. Lì Gesù cresce, da lì andrà con i genitori in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme, da lì si recherà in Giudea per essere battezzato da Giovanni con le acque del fiume Giordano, da lì inizierà la sua predicazione che lo porterà a Gerusalemme. Secondo i racconto di Giovanni, sulla croce dove viene inchiodato Pilato fa appendere una tabella con la scritta: “Gesù nazareno, re dei Giudei”. Inutile dire quanto potesse suonare beffardo il riferimento contestuale a Nazareth di Galilea e alla Giudea. Tutta questa storia, fatta di migrazioni prima ancora che di viaggi, offre spunti di riflessione anche sul tema della cittadinanza e dell’accoglienza. Ad un’attenta lettura le risposte ci sono, per chi le vuol vedere dietro le luci del Natale.

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CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO

quando il risparmio diventa investimento La mancanza di precipitazioni durante l’estate ha fatto risparmiare all’ente quasi quattrocento mila euro, cifra subito investita nella redazione di un progetto esecutivo inerente all’estensione della rete irrigua Non sempre la siccità è una sciagura, per il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo l’estate trascorsa, quasi senza precipitazioni di rilievo, ha permesso un risparmio di quasi 400 mila euro di energia elettrica. Energia che sarebbe servita per l’alimentazione del sistema di idrovore, sono ben 58 gli impianti controllati dall’ente, grazie al quale vengono sollevate le acque piovane e immesse nel Fratta/ Gorzone. Ma di temporali non ce ne sono stati e al Consorzio è rimasta nel portafogli una discreta somma che è subito stata destinata, come investimento, per il miglioramento della rete irrigua. Gli andamenti siccitosi degli ultimi anni, infatti, hanno posto la disponibilità di acqua pulita in campagna una vera e propria priorità per l’ente di bonifica e la somma risparmiata è stata destinata alla realizzazione del progetto esecutivo, che riguarda la realizzazione di un canale sotterraneo lungo 23 chilometri, in estensione al Leb, da Cologna Veneta a Castelbaldo, per l’alimentazione di una rete in parte già esistente e in parte da eseguire ex novo, alimentata

Il progetto esecutivo riguarda la realizzazione di un canale sotterraneo lungo 23 chilometri, in estensione al Leb, da Cologna Veneta a Castelbaldo, per l’alimentazione di una rete in parte già esistente e in parte da eseguire ex novo

Il presidente del Consorzio di bonifica Adige Euganeo Michele Zanato, in carica dal febbraio 2015

dai vari sifoni e capillarizzata nelle campagne attraverso canalette e condotte in cemento. L’impianto garantirebbe la disponibilità di acqua a scopi agricoli a tutta la parte meridionale del territorio di competenza del Consorzio Adige Euganeo, acqua, va precisato, pulita e che quindi andrebbe a servire quelle aree attraversate dal Fratta Gorzone, dove un prelievo di acqua direttamente dal fiume rischierebbe estendere a dismisura il problema di inquinamento derivanti da Pfas, se le sostanze perfluoroalchiliche entrassero nella filiera alimentare. “Destinare queste risorse al progetto lega-

Consorzio di Bonifica Adige Euganeo • www.adigeuganeo.it ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054


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to all’estensione della rete irrigua è quasi un obbligo - specifica il presidente del Consorzio, Michele Zanato - in quanto oggi la concessione di finanziamenti per la realizzazione di interventi infrastrutturali, è totalmente legata alla presentazione di un progetto esecutivo. Un tempo per la richiesta bastava un preliminare, oggi invece bisogna presentarsi con un progetto già all’ultimo stadio di programmazione, il cui costo di realizzazione è a totale carico dell’ente richiedente. Cioè, in questo caso, noi”. I quasi 400 mila euro necessari per stendere il progetto esecutivo, dunque, sono uno “step” obbligato per poter accedere ai 25 milioni di euro del bando nazionale sull’irrigazione, ai quali il Consorzio aspira, insieme al Consorzio Leb, per poter realizzare l’opera.

I 400 mila euro investiti sono uno “step” obbligato per poter accedere ai 25 milioni di euro del bando nazionale sull’irrigazione, ai quali il Consorzio aspira, insieme al Consorzio Leb, per poter realizzare l’opera “Questo intervento - continua il Presidente - ci permetterebbe di continuare sulla strada del risparmio, strada sulla quale stiamo concentrando tutte le nostre forze. Intervenire sulla rete irrigua ci permetterebbe un’economia di acqua pari al 25%. Non poco se consideriamo le difficoltà che abbiamo avuto nell’approvvigionamento dall’Adige negli ultimi tempi. Ma in generale la via dell’efficientamento è il futuro del nostro ente, un futuro che abbiamo già intrapreso con il telecontrollo di buona parte degli impianti idrovori e irrigui e che è in estensione su tutti mezzi in uso dal Consorzio”. Oggi, infatti, il monitoraggio di più della metà degli impianti di bonifica e della rete irrigua avviene attraverso avanzati sistemi tecnologici, gli operatori possono controllare gli impianti a distanza e su alcuni di questi è già possibile l’intervento attraverso computer o smartphone per anticipare le piene, ovvero per modulare le portate in particolare nei canali di scarico in concomitanza con i picchi di marea. Per rilevare il funzionamento di un’idrovora o per aprire una paratoia, dunque, non è più necessario che un operatore prenda l’auto e si rechi sul posto, tutto può essere fatto a distanza e in presa diretta. Questo oltre a consentire economie importanti permette di agire con tempestività o addirittura in anticipo quando le previsioni delle precipitazioni impongono allerta. “Il telecontrollo - conclude Michele Zanato - è in via di estensione anche ai mezzi operativi attraverso l’istallazione di un satellitare. In questo modo avremo in presa diretta la situazione reale dell’attività svolta da ogni operatore. Sapremo a che ora sono state accese le macchine al mattino, il loro avanzamento, il consumo di nafta e rileveremo anche i casi di avaria o di incidente, attraverso un pulsante l’operatore potrà segnalare immediatamente la propria situazione, migliorando così anche la sicurezza sul lavoro. Tutto questo va considerato anche in chiave di trasparenza nei confronti dei consorziati, ogni cittadino potrà monitorare il servizio direttamente dal sito www.adigeuganeo.it, e avere un’idea precisa di quanto lavoro venga affrontato dal nostro ente ogni giorno”.

Il sistema di telecontrollo monitora 24 ore al giorno 32 impianti idrovori, di cui 15 telecomandati, 4 impianti di sollevamento irriguo tre dei quali sono gestiti a distanza, 5 sostegni idraulici, di cui 3 sono telecomandati, e invia automaticamente messaggi di allerta ai dispositivi mobili del personale reperibile al verificarsi di particolari condizioni critiche nella rete (livelli anomali, malfunzionamenti negli impianti ecc.). Nei prossimi mesi saranno attivati ulteriori 4 impianti idrovori, 2 sostegni idraulici e 1 impianto irriguo, tutti con telecomando.

Per tenerti informato sull’operatività del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo e sui progetti che riguardano il territorio, iscriviti alla newsletter settimanale, basta entrare nel sito www.adigeuganeo.it, cliccare sul tasto “Contatti” e registrarsi


COME CAMBIA IL PANORAMA di Eliano Morello

VALORI NUTRIZIONALI 1 Pomodoro (150 gr) Grassi

0,3 gr

Carboidrati

5,25 gr

Proteine

1,5 gr

Fibra

3 gr

Kcal

28,5

Vitamina A

915 µg

Vitamina C

37,5 mg

Potassio

445,5 mg

ATTENZIONE

alle “palle” di Natale Il tema dell’informazione alimentare non ha trovato ancora un compiuto sviluppo tra i consumatori. Le attese di solito riguardano salubrità, sanità, bontà, sicurezza e qualità senza sapere bene, però, cosa questo significhi

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d eccoci qui anche quest’anno: le Festività Natalizie sono arrivate! È un periodo “magico”, in cui tutti siamo più felici. Siamo felici se siamo credenti, siamo felici per il periodo di meritato riposo che il Natale porta con sè, siamo felici per la neve (se cade) e, perché no, pure per tutti quei pranzi e quelle cene organizzate da famigliari e amici. Perché, siamo sinceri, mangiare (e bene) ci rende davvero felici. Non a caso tutte le pubblicità inerenti il Natale ci mostrano tavole imbandite e facce sorridenti, bimbi e adulti estasiati di fronte a ricche pietanze, cioccolato, frutta secca ed esotica, Pandori e Panettoni, dolci di tutti i tipi... Un altro motivo per cui il Natale è così amato da tutti, grandi e piccini, è proprio il fatto che è molto diverso dal resto dell’anno. Molti italiani, infatti, per motivi di lavoro ad esempio, sono costretti a consumare i pasti

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fuori da casa per gran parte dell’anno, non a caso il settore della ristorazione è in forte espansione. Ma ecco che il freddo, le giornate più corte e le Feste Natalizie ci invogliano a rimanere tra le calde mura domestiche e a consumare pietanze più ricercate del solito panino. Questo nostro rallentare, poi, ci impone di prestare più attenzione a ciò che mangiamo: vi siete mai chiesti come mai il periodo natalizio è proprio quello, durante l’intero anno solare, in cui il cibo diventa davvero il protagonista indiscusso delle nostre giornate? Il cibo unisce e rallegra. Ma siamo realmente così attenti a quello che mangiamo? Forse in questo periodo sì, perchè il momento di riscoprire pietanze che normalmente non gustiamo, o che richiedono tempi di preparazione molto lunghi. Durante il resto dell’anno invece, ci rifugiamo in fast foods e tavole calde, piadinerie e pizzerie, luoghi in


COME CAMBIA IL PANORAMA cui pranzare o cenare velocemente e possibilmente a cifre modiche. Ecco, in questi casi, siamo così sicuri di sapere cosa mangiamo? Certe persone leggono le etichette in modo quasi maniacale quando si recano al supermercato, poi in pizzeria trangugiano qualsiasi cosa, diventando improvvisamente consumatori per nulla esigenti in fatto di informazione. In una pizzeria il menù espone l’elenco delle pizze con gli ingredienti, ma nulla viene detto su di essi: da dove provengono le spezie? Di che prosciutto si tratta? Le melanzane dove sono state coltivate? La burrata con quale latte è stata creata? Mangiamo davvero ingredienti italiani? Non resta altro da fare: o ci fidiamo ciecamente, o è meglio dire addio a pizzerie e affini. E nel caso dei fritti? Si tratta di patatine surgelate o fresche? La risposta sembra quasi scontata. Quale olio viene usato

Recentemente è stato inserito l’obbligo di inserire nell’etichetta dei prodotti in vendita la provenienza, il luogo di produzione/ coltivazione, di lavorazione e di preparazione/confezionamento per friggerle e quante fritture si fanno prima di buttarlo? Recentemente, tutti abbiamo esultato alla notizia che sull’etichetta di alcuni prodotti - per il momento - corre l’obbligo di indicarne la provenienza, il luogo di produzione/coltivazione, di lavorazione e di preparazione/confezionamento. Ma il consumatore chiede salubrità, sanità, bontà, sicurezza, quantità: in sostanza chiede qualità in generale senza sapere bene cosa questo significhi. Per esempio molti consumatori non conoscono le direttive comunitarie emanate con lo scopo di tutelare la salute dei cittadini (molti non conoscono ancora l’esistenza dell’Efsa e i suoi compiti). Vi porto un esempio sui prodotti biologici (largamente osannati dai media). Molti consumatori sono convinti che biologico sia sinonimo di qualità, sicurezza, bontà e tanti altri aggettivi positivi. Ai più sfugge però un piccolo particolare: un conto è “il metodo di produzione”, un altro è parlare di tutto ciò che ci aspettiamo dal prodotto. Al giorno d’oggi, con tutta l’informazione a portata di click, non è possibile che le differenze tra questi concetti siano appannaggio dei soli addetti ai lavori. Quando parliamo di residui da fitofarmaci (non pesticidi) o di metalli pesanti nessuno spiega

che non è possibile distinguere frutta o verdura ottenuta con metodo biologico da quella ottenuta da lotta integrata a “residuo zero”. Nonostante ciò, si continua con allarmismo e comunicazione torbida. L’ultimo caso riguarda un’insalata in busta accusata di contenere la mandragora, un principio attivo allucinogeno, poi rivelatasi falsa. La notizia è il sequestro del lotto di produzione, non l’errore commesso. In sostanza il danno è fatto, e quel che è peggio è che chi ha commesso lo sbaglio non paga per il disagio creato. Ricordiamoci che l’informazione alimentare è efficace non solo se fornita in modo chiaro e preciso, ma anche se i destinatari dell’informazione stessa (i consumatori) dimostrano un impegno nel documentarsi, nel compiere scelte consapevoli magari valorizzando le azioni di produzione e consumo alimentare che migliorano il futuro di tutti: tutela dell’ambiente, biodiversità, energie rinnovabili. Dobbiamo evitare gli sprechi e ricercare la sicurezza alimentare con senso critico e intelligenza (ciò significa riuscire a distinguere la vera informazione dalla pubblicità ingannevole). Vi propongo infine tre testi se qualcuno volesse approfondire i temi trattati nel presente articolo.

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IL BUONO CHE FA BENE “10 anni, 10 campagne olearie: un tempo lungo e coperto da tante soddisfazioni che ci porta ad essere orgogliosi dei nostri prodotti figli delle terra e della nostra passione. Per noi la terra è un qualcosa di vivo, che ci parla attraverso il frutto dell’albero che amiamo di più. La nostra missione è di offrirvi un prodotto sempre più buono e controllato dai più alti standard qualitativi internazionali”

Gli extravergini prodotti dal Frantoio di Cornoleda sono stati premiati nei principali concorsi nazionali ed interazionali. Nel 2017 hanno ottenuto il primo premio al Concorso oleario Internazionale Aipo di Verona nelle categorie Dop e 100% Italiano, oltre alle medaglie d’oro al concorso Leone d’oro di Milano e al concorso Domina di Palermo. Sono per il quinto anno consecutivo nella guida oli del Gambero Rosso ottenendo ancora una volta le tre foglie, sono presenti con un punteggio altissimo nella guida ai migliori oli del mondo Flos Olei, nonché nelle guide SlowFood, Bibenda e Top Italian Food & Beverage in lingua inglese

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SALUMIFICIO BERTELLI E TIGELLA BELLA,

PRODUZIONE E DEGUSTAZIONE DI AUTENTICHE ECCELLENZE Gesti antichi, profumi di spezie, sapori genuini per salumi di eccellenza prodotti come una volta I salumi Bertelli sono un’eccellenza nel panorama gastronomico del territorio, da più di trent’anni la passione per la tradizione e il valore genuino delle “cose” ancora fatte a mano sono gli ingredienti speciali di una produzione vastissima di insaccati e stagionati: dai salami in diverse varianti, alle sopresse con il filetto e dalle coppe ai prosciutti, passando per pancette arrotolate, steccate e affumicate, guanciali, cotechini, zie e bondiole il comune denominatore è sempre la genuinità.

Il posto giusto per assaggiare i prodotti del salumificio Bertelli è Tigella Bella di Este, un originale locale dove in accompagnamento alle tradizionali tigelle e al gnocco fritto si può trovare una selezione dei prodotti della casa accompagnati da formaggi, salse salate, creme dolci e le famose Creme di Piera. Le vie della degustazione sono ben quattro: il menù Classico, il Selezione Bertelli, il Vegetariano e il Premium con tutti i salumi premiati del celebrato salumificio.

Il lardo è la vera specialità della casa. Qui si produce in diverse forme: da quello classico a quello da spalmare o da usare per condire verdure e arrosti, ma il vero “capolavoro” anche per l’occhio è quello arrotolato. Premiato a Expo 2015

Orari d’apertura: da mercoledì a domenica dalle 19:00 alle 24:00 TIGELLERIA DA “BERTELLI” Este (PD) via Argine Restara 2/C (zona mulini) Tel. 0429 635891 - Cell. 333 8838634 dabetellisrl@gmail.com

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È tornata la stagione del Radicchio di Maserà

Il Radicchio di Maserà è reperibile direttamente presso i produttori o presso i mercati al dettaglio della zona di produzione Torna la stagione del Radicchio di Maserà, un prodotto di straordinaria eccellenza che rappresenta anche l’unica specie tra le cicorie coltivate nella provincia a portare il nome di un comune padovano. Ma non si tratta di questioni geografiche, lo sforzo che da diciotto anni il Consorzio Ortofruticoli e Tipici Padovani si propone di portare avanti è quello della salvaguardia di un prodotto locale, che a buon diritto può essere definito storico, conservandone quelle qualità e quelle tipicità che lo rendono completamente diverso dai radicchi che si possono trovare sui banchi della grande distribuzione. Freschezza, croccantezza e delicatezza sono prerogative di questa cultivar e del metodo di lavorazione del radicchio che i membri del cartello locale ostinatamente hanno preservato, continuando la pratica dello “sbiancamen-

to”, ossia asportando dal pieno campo i cespi quasi del tutto sviluppati con una buona zolla di terra e collocarli in cassoni al chiuso ma soprattutto al buio e ad una temperatura di 12-13 gradi. Le foglie esterne, in questo modo, marciscono coprendo il cuore del radicchio di una patina semi impermeabile che non permette la filtrazione della luce al cuore del cespo. È questo cuore il nostro radicchio, che porteremo a casa per essere preparato, ovviamente dopo una lavorazione della quale si occupa il produttore mondando le foglie più esterne, tagliando tre quarti della radice e reidratando il prodotto con acqua fredda. Dei due quintali e passa del cassone rimangono circa 10-12 chili di prodotto finito. Ma che prodotto!

I TRE ASSI DI MASERÀ MASERÀ D’ALTRI TEMPI Fresco, croccante, dalla foglia sottile di color bianco burro screziato di macchie violacee. Il sapore è delicato, non amaro, perfetto per essere servito fresco.

FIOR DI MASERÀ Foglie larghe e tondeggianti, con variegatura di colore di lievi tonalità: dal giallino al verde, screziato di marrone, rosso porporato e viola. Ha un sapore delicato, leggermente dolce, ma con un fondo amarognolo.

IL ROSA DI MASERÀ Ossia la nuova varietà di radicchio ottenuta dall’ibridazione tra il radicchio di Verona e il Variegato di Castelfranco. Rosa, perché il suo colore è inconfondibile come del resto lo è il suo sapore dolce e la costa croccante.

L’appuntamento da non perdere con il Radicchio di Maserà

è il 21 GENNAIO 2018, quando in piazza del comune torneranno le bancarelle dell’angolo dei sapori del territorio

Azienda agricola Rigato Cesare e Roberto s.s. Via Bolzani, 64 - Maserà di Padova (PD) - Tel. 049 8861456


La storia amara dello zucchero

STORIA E DINTORNI di Alessia Crivellaro

NELL’INDUSTRIA SACCARIFERA VENETA

Una produzione importante che per decenni ha dato lavoro a migliaia di persone è stata quasi arrestata del tutto nel 2006 con una riforma dell’Unione Europea. 17 zuccherifici su 19 sono stati chiusi in Italia. La nazione ha accettato una decurtazione del 50% delle quote produttive, accanto a una riduzione del 35% del prezzo dello zucchero

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rima dell’avvento dell’era industriale, le sole fonti di sapore dolce nel mondo erano il miele e la canna da zucchero. Utilizzata nella cultura mesopotamica e giunta sulle tavole europee per mezzo delle Crociate, la canna nel XII secolo viene venduta a caro prezzo nelle farmacie. Il saccarosio, infatti, è un conservante naturale conosciuto fin dall’antichità che, disidratando l’alimento, crea un habitat non idoneo alla crescita batterica. In competizione con il dolce succo di questa pianta tropicale giunge la barbabietola da zucchero, presente in Europa fin nel 1600, e seminata, più tardi, su 32.000 ettari di terre francesi per volere di Napoleone. Mentre nell’Europa Centrale lo zucchero prodotto da questo tubero conosce un forte sviluppo, in Italia il primo vero impulso al commercio saccarifero avviene parecchi anni dopo, ad opera di Emilio Maraini che nel 1887 mette in effettiva produzione lo stabilimento

di Rieti. Cinque zuccherifici sorgono in Emilia e ben otto in Veneto con l’avvento del fascismo, per giungere al 1923 anno in cui Ilario Montesi crea la Società veneta per l’industria degli zuccheri operante nello zuccherificio di Este. Coraggioso ed esperto, il manager di Ancona nel 1927 prende il controllo azionario anche dell’impianto di Pontelongo di proprietà della società belga Sucrérie et Raffinerie, portando la città al centro di una rete di impianti saccariferi e distillerie con “sugodotti” che vanno da Cartura a Pontelongo e da Ariano a Bottrighe. 52 sono gli zuccherifici attivi in Italia in quegli anni, l’economia galoppa e dallo zucchero si estrae l’alcol Barbabietola da zucchero: La barbabietola da zucchero è stata introdotta in Europa nel XVII secolo. Nella Pianura Padana trovò larga diffusione in campagna grazie alla grande presenza di acqua, al fatto che si prestava ad aumentare la produttività delle altre coltivazioni in avvicendamento e gli scarti venivano impiegati nell’alimentazione di ruminanti e suini

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STORIA E DINTORNI

etilico utile nella fabbricazione di esplosivi, gomma sintetica e carburante: nel 1939 l’accisa sullo zucchero è la seconda voce attiva più importante del bilancio statale. Nel periodo tra le due guerre vengono costruiti o rifatti numerosi zuccherifici, tra cui gli impianti veneti di Cervignano, San Michele al Tagliamento, Ceggia, Cavarzere, Sanguineto, Montagnana, Este, Cartura, Porto Tolle, Lama, Arquà Polesine, Costa, Badia Polesine e Polesella. Il successo di questa polvere zuccherina - il cui nome deriva dal sanscrito “sarkara” e significa sabbia - è legato, nella Bassa Padovana e nel Polesine, alla vasta presenza d’acqua e all’alto tasso di umidità che rende la Pianura Padana territorio ideale per la crescita della barbabietola. Va detto inoltre che questa coltura è ottima per aumentare la produttività delle altre coltivazioni in avvicendamento, ridurre la presenza di erbe infestanti e parassiti e integrare la dieta di ruminanti e suini. È evidente che la coltivazione e la trasformazione industriale della barbabietola da zucchero hanno portato con sé un patrimonio culturale, sociale, economico e scientifico davvero significativo. Gli zucche-

Negli anni ‘20 sono 52 gli zuccherifici attivi in Italia, l’economia galoppa e dallo zucchero si estrae l’alcol etilico utile nella fabbricazione di esplosivi, gomma sintetica e carburante: nel 1939 l’accisa sullo zucchero è la seconda voce attiva più importante del bilancio statale 12

rifici un tempo funzionanti davano lavoro stagionale a moltitudini di operai e di studenti ed è proprio in questo settore che il Polesine ha rappresentato, fin dagli inizi, un vero e proprio punto di riferimento. Fin dal 1901, in occasione del “Primo Congresso Nazionale dei Bieticoltori”, a Rovigo vengono poste le basi della bieticoltura e dell’industria saccarifera; situata all’incrocio degli assi produttivi Mantova-Venezia e Ferrara-Verona, la città - sede della “Regia Stazione Sperimentale di Bieticoltura” dal 1910 - contribuisce in modo tangibile alla ricerca e al miglioramento genetico delle varietà di barbabietola coltivate in tutto il mondo. Tuttavia lo zucchero non serve a niente, quando è il sale che manca. Con la riforma operata dall’Unione Europea nel 2006 il nostro Paese è stato quello che ha maggiormente ridotto la propria capacità produt-

Zuccherificio di Pontelongo. Una vecchia foto dello stabilimento di Pontelongo. È uno dei quattro rimasti attivi in Italia


STORIA E DINTORNI Nel periodo tra le due guerre vengono costruiti o rifatti numerosi zuccherifici, tra cui gli impianti veneti di Cervignano, San Michele al Tagliamento, Ceggia, Cavarzere, Sanguineto, Montagnana, Este, Cartura, Porto Tolle, Lama, Arquà Polesine, Costa, Badia Polesine e Polesella tiva. Se oltre 100 zuccherifici sono stati smantellati in Europa, 17 su 19 sono stati chiusi in Italia. La nazione, infatti, ha accettato una decurtazione del 50% delle quote produttive, accanto a una riduzione del 35% del prezzo dello zucchero per equilibrare il livello dei prezzi dello zucchero europeo rispetto a quello dei paesi industrializzati extra europei. Le decisioni prese a Bruxelles sul mercato comunitario dello zucchero hanno così dimezzato, in un colpo solo, la bieticoltura. Rispetto ai 19 del 2005, in Italia sono operativi attualmente solo quattro zuccherifici. Se l’Italia rinunciasse anche agli ultimi presidi produttivi rimasti, sarebbe uno dei pochissimi paesi al mondo, insieme con Nigeria, Malesia, Corea del Sud e Arabia Saudita, a non disporre di una produzione nazionale, pur essendo il terzo mercato di consumo in Europa. Consapevoli del ruolo prezioso della bietola, i coltivatori hanno accelerato lo sviluppo della filiera in tutti i suoi comparti. Con la migliore tecnologia oggi a disposizione, le aziende italiane possono produrre fino al 50% in più di barbabietola rispetto alla media. D’altra parte prosegue il lento recupero e riutilizzo degli zuccherifici veneti dimessi che ha visto la completa riedificazione dell’impianto di Montagnana, la trasformazione in centro direzionale di quello a Stanghella mentre Este, Cartura e Cavarzere si intende

Zuccherificio di Lama Polesine oggi completamente abbandonato

destinarli all’artigianato e a spazi incubatori d’impresa; pensando soprattutto a Pontelongo, uno dei più attivi d’Europa, forse uno dei pochi che di fatto continuerà a produrre zucchero viene da chiedersi se per i bieticoltori italiani, che dal 30 settembre 2017 si trovano per la prima volta a competere in un mercato europeo senza barriere, questi cambiamenti in atto stanno segnando la fine di un’era produttiva o l’inizio di una nuova dolce storia.

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PONTELONGO: APPUNTAMENTI DOLCI COME LO ZUCCHERO Tre date da segnare sul calendario per il Festival della Dolcezza: Domenica 26 Novembre, Mercoledì 30 Novembre e Domenica 3 Dicembre Con l’arrivo della stagione fredda e con l’incombere delle festività natalizie, si sa, la voglia di dolce e di calore si fa importante e allora il posto giusto in cui soddisfare entrambi i desideri è Pontelongo dove sta per prendere il via la decima edizione del “Festival della dolcezza”. Una serie di appuntamenti organizzati e curati dalla locale Pro Loco in sinergia con l’amministrazione comunale per la promozione dei prodotti dolciari, immagine del paese, e non solo. Perché se in origine il compito dell’associazione comunale era quello di valorizzare e sostenere la secolare presenza dello zuccherificio in paese e del Molino Rossetto, con i suoi prodotti dolciari della tradizione, con il passare degli anni il Festival è diventato anche la cornice che contiene la giornata dedicata all’antica Fiera Franca di Sant’Andrea, storica fiera mercato dei prodotti locali, e la rassegna delle Associazioni di volontariato e promozione sociale.

APPUNTAMENTO QUINDI DA NON PERDERE:

CULTURA, GIOCHI, EVENTI FIERISTICI E GRANDE LUNA PARK

Associazione Pro Loco di Pontelongo • Largo Cavalieri di Vittorio Veneto, 3 • 35029 Pontelongo (PD)


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FESTA DELLA DOLCEZZA Un’intera giornata dedicata ad iniziative ludiche e culturali nonché espositive riconducibili al tema dolciario e dello zucchero in particolare. Una delle iniziative che maggiormente caratterizzano la giornata e che riscuote sempre un grande successo è rappresentata dalla possibilità di visitare lo stabilimento saccarifero a bordo del “Trenino Lillipuziano”. Molto interessante e singolare è pure il raduno nazionale di collezionisti di bustine di zucchero che vede la partecipazione di numerosi appassionati provenienti da molte regioni italiane. Abitualmente presso la tensostruttura allestita per l’occasione nel corso della giornata vengono realizzate delle opere artistiche con lo zucchero e si tengono dei simpatici laboratori di pasticceria per grandi e piccini.

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ANTICA FIERA FRANCA DI SANT’ANDREA

L’antica fiera franca si tiene annualmente il giorno della festa del Santo Patrono. Le fiere franche risalgono al Medioevo, il termine “franca” si riferisce al fatto che erano affrancate dai dazi, e di solito, per le famiglie dei contadini del nostro passato, erano il momento giusto per vendere i prodotti in eccedenza della stagione agricola conclusa con San Martin. E la Fiera Franca di Sant’Andrea rispecchia ancora questo antico passato, infatti, le merci in vendita lungo le vie del centro storico sono gli animali da cortile, i prodotti tipici agroalimentari oltre a quelli del mercato ambulante e la mostra delle macchine agricole.

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“TraVolGente”

ASSOCIAZIONI IN FESTA

La manifestazione è caratterizzata da un’ampia rassegna delle associazioni di volontariato operanti principalmente nel territorio della Saccisica le quali espongono i loro prodotti e promuovono le loro attività all’interno degli spazi messi a loro disposizione all’interno del padiglione riscaldato allestito dalla Pro Loco. Durante la giornata si svolgeranno: • La tradizionale “Quattro passi tra sucaro e farine”, marcia podistica non competitiva • “La Dolce Solidarietà” concorso di disegno rivolto ai ragazzi della scuola primaria • Vendita dei “Dolci Solidali” che nel corso delle precedenti edizioni ha permesso la raccolta fondi da destinare a sostegno di persone in difficoltà

info@prolocopontelongo.it • segreteria@prolocopontelongo.it • presidenza@prolocopontelongo.it


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PANORAMA GASTRONOMICO

Storia

di Luana Deiana

della Pasticceria

DA CIBO ELETTO A PRODOTTO DELL’INDUSTRIA Non sappiamo realmente quando il gusto “dolce” iniziò ad entrare nella dieta dell’uomo, tuttavia deve considerarsi una conquista nel segno della civiltà, come la musica, come l’arte, una perfezione raggiunta nel tentativo di migliorare il gusto del cibo

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he vita sarebbe senza dolci? E che “giro vita” sarebbe senza dolci? Difficile decidere e difficile resistere, il supplizio di Tantalo i greci lo hanno inventato proprio grazie a loro. I dolci. I greci. Anche se non sappiamo realmente quando il gusto “dolce” iniziò ad entrare nella dieta dell’uomo, in quanto non esistono testimonianze degli albori, deve, tuttavia, considerarsi una conquista nel segno della civiltà, come la musica, come l’arte, una perfezione raggiunta nel tentativo di migliorare il gusto del cibo. Cioè, quando, il solo sfamarsi non bastava più e, dunque, i morsi dell’appetito erano placati ma non il desiderio del tutto, restava la voglia di qualcosina di buono… come recitava la celebre signora in una pubblicità di qualche anno fa. Il dolce, la forma eletta del buon mangiare, il peccato, la piccola trasgressione, il vizio: ai dolci vengono associati termini

che sono delle religioni e non a caso visto che i dolci rientravano come offerta nei riti più antichi e spesso facevano parte del “viatico”, della scorta di cibo che veniva deposta nelle tombe per permettere al morto di sfamarsi durante il suo viaggio nell’aldilà. In quella del Faraone Ramsete III, databile al XIII secolo a.C, tra le decorazioni spiccano le immagini di un forno per la produzione di pane e dolci sacri, confezionati con miele, latte, uva e datteri, indici di una tecnica dolciaria già avanzata. Nella Roma antica i dolci erano già affidati alle mani di professionisti, una poesia di Marziale è titolata al Pistor dulciarius, ossia il pasticcere, il quale viene descritto solo attraverso le sue mani che “…confezionano per te mille e più dolci. Per lui solo lavora la laboriosa ape”. L’ape sta per la parte dolce, lo zucchero non era ancora arrivato in Italia, e come edulcorante veni-

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PANORAMA GASTRONOMICO Nelle decorazioni della tomba del Faraone Ramsete III spiccano le immagini di un forno per la produzione di pane e dolci sacri, confezionati con miele, latte, uva e datteri, indici di una tecnica dolciaria già avanzata va usato il miele di cui i romani facevano un gran uso, anche per «allungare» il vino, in quanto gli venivano attribuite qualità curative. L’eredità latina sopravvisse nella prima parte del Medioevo, soprattutto grazie all’attività dei monaci: risale a quest’epoca, infatti, l’origine della prima pasticceria secca. Nei monasteri si continuò la preparazione di dolci a base di miele, perché i monaci allevavano le api per ottenere la cera per le candele: la fabbricazione di dolciumi al miele si accompagnò così alla fabbricazione delle candele e, per tutto il periodo del Rinascimento, i fabbricanti di candele e quelli di dolci furono sempre uniti in una sola Corporazione. Lo zucchero lo portarono in Italia gli Arabi nel IX secolo d. C. con la canna da zucchero. Erano abilissimi pasticceri e nella loro dispensa c’erano anche: il gelsomino, l’anice, il sesamo, la cannella e lo zafferano, tutti prodotti che rientrarono come ingredienti base della pasticceria tradizionale. In Sicilia lasciarono in eredità il “cannolo”, elabora-

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to poi dalle donne di Caltanissetta ospiti dell’Harem “Kalt El Nissa”, il Castello delle donne. L’influenza araba portò ad una innovazione nella realizzazione dei dolci, costituita dall’aggiunta di droghe ed essenze, come l’acqua di rose, l’essenza di muschio, i pistacchi ed i pinoli. In seguito alle Crociate, nei monasteri giunsero nuove spezie e soprattutto il già ricordato zucchero di canna, che andò a sostituire il miele e gli altri dolcificanti, costituiti, fino ad allora, soprattutto dal mosto d’uva, dalla frutta matura, dai rarissimi datteri, dai fichi secchi e dall’uva zibibbo. Fu una rivoluzione seguita nel giro di qualche secolo da quella del cacao. Con la scoperta delle Americhe nel 1492 iniziarono ad arrivare in Europa nuovi ingredienti, tra cui quelle fave scure da cui ancora oggi si ottiene il cioccolato. Il Rinascimento, infatti, si caratterizzò per un crescente tripudio di sapori e di scoperte gastronomiche. Nel 1565, ad esempio, alla corte di Caterina de’ Medici a Firenze, venne inventato il gelato a base di latte per merito dell’architetto Bernardo Buontalenti, che in occasione di un banchetto realizzò un gelato utilizzando neve, sale, limoni, zucchero,

Lo zucchero lo portarono in Italia gli Arabi nel IX secolo d. C. con la canna da zucchero. Nella loro dispensa c’erano anche: il gelsomino, l’anice, il sesamo, la cannella e lo zafferano, tutti prodotti che rimasero come ingredienti della pasticceria tradizionale


PANORAMA GASTRONOMICO bianco d’uovo e appunto latte. L’architetto Bernardo Buontalenti, certo. Stupisca quanto si vuole che la paternità del primato vada ad un tecnico, ma se l’Italia avesse continuato ad avere professionisti del genere, non avremmo i problemi di urbanistica che conosciamo oggi. E tra l’altro non fu il solo. Nel 1680 un ottico olandese, Antoni Van Leeuwenhoek, scoprì il ruolo delle cellule di lievito come principio lievitante, riuscendo ad evidenziarle osservando al microscopio i residui della lavorazione della birra. Il lievito, composto da microorganismi - detti saccaromiceti - che in determinate condizioni ambientali si riproducono e provocano la trasformazione degli zuccheri in anidride carbonica, facendo di conseguenza rigonfiare gli impasti, è utilizzato in molti dolci, come ad esempio il pandoro e il panettone. Dovremmo sempre ricordare quanto la scienza sia debitrice nei confronti della pasticceria, soprattutto per mettere a tacere chi ci limita nel piacere di degustare torte, creme e biscotti. E del resto il male è lo zucchero, il suo abuso soprattutto. Fino all’inizio del secolo XIX era rimasto un prodotto raro e di lusso, poiché veniva estratto esclusivamente dalla canna. Ma nei primi anni del secolo successivo

sorse in Europa l’industria per l’estrazione dello zucchero dalla bietola e quindi la sua diffusione aumentò in modo considerevole raggiungendo anche le masse. E questa fu l’ultima rivoluzione nella produzione di dolci, una rivoluzione che unendosi con l’impiego delle nuove tecnologie nell’industria alimentare non si limitò, come in precedenza, ai laboratori degli chef’s pâtissier ma assunse una dimensione democratica e popolare. È qui che la pasticceria si divide tra quella artigiana, in cui viene mantenuto il suo antico alone di emozione domestica e simbolica, e industriale, nella sua accezione più generica e anonima. Forse è proprio qui, in questo appropriarsi da parte dell’industria del lato dolce della storia che i prodotti della pasticceria iniziano ad essere dei nemici della salute, quando cioè iniziarono a perdere la loro posizione rara ed elevata per diventare ingredienti dell’estremismo alimentare. Si perde sempre qualcosa quando dalla ricetta si passa alla catena di lavorazione, al prodotto o meglio ai “pezzi”, anche se preparati secondo i dettami più scrupolosi dell’igiene e della moderna dietetica. Del resto oggi chi metterebbe una merendina confezionata nella tomba di un proprio caro?

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PASTICCERIA, CAFFÈ E PANE Un angolo esclusivo e assolutamente originale in cui è possibile dedicarsi il meglio: dalla prima colazione alla merenda e dal pranzo all’aperitivo. Un posto giovane, bello, totalmente vocato alla qualità della sua offerta e semplicemente senza eguali… È il posto del “desiderio”, per davvero. Unico nel suo genere perché è pasticceria, e che pasticceria, ma non solo. Un luogo dove trascorrere ogni momento della giornata: dalla colazione alla merenda e dal pranzo all’aperitivo, sempre con prodotti esclusivi e di grande qualità. La grande eleganza è anche nell’ospitalità, nel servizio e nella varietà dell’offerta che arriva direttamente dal cuore pulsante di questa originale offelleria ossia il laboratorio di produzione, improntato alla pasticceria moderna ma con solide basi nella tradizione. Qui sono di casa autentici maestri “dell’arte dolce” come Achille Zoia, perché il motto dell’azienda è “imparare dai migliori”, e i frutti di una filosofia ispirata all’assoluta qualità si uniscono con la creatività e a materie prime di eccellenza per risultati che hanno il fascino in-

trigante del desiderio. Dolci, pasticceria, pasticceria mignon, biscotti è difficile chiamarli prodotti, perché sono piccole opere d’arte, concentrati di maestria realizzati con le migliori materie prime. Proprio la scelta delle farine è uno dei punti di forza della pasticceria Desideria, scelte tra i grani migliori e solo tra i pochi mulini che lavano con acqua potabile i frumenti prima della lavorazione. Per il burro è la stessa cosa, entrano nella in pasticceria solo i prodotti che provengono dai paesi con i disciplinari di produzione più ferrei e i lieviti, sono solo quelli naturali. Frutto di un’attenta selezione sono anche le nocciole, solo piemontesi, i pistacchi, rigorosamente siciliani, la cioccolata, belga, e grande attenzione viene riservata anche ai prodotti del territorio come la frutta di stagione,

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il Fior d’Arancio o il Friularo con il quale vengono prodotti deliziosi biscotti e il panettone. E visto l’incalzare delle festività non è possibile non spendere due righe sull’immagine dolciaria di questo periodo, ossia i panettoni che qui portano un altro nome, ossia “Desideri di Natale”, perché il panettone ha una sola ricetta e qui invece esistono diverse varianti per la farcia, dal pistacchio e amarena, a quello con mele e cannella, quello appunto al “vin moro” ossia il Friularo, ai tre cioccolati…solo per citarne alcuni e lasciare spazio a veneziane, pandori, cornetti, biscotti, torte tradizionali ed innovative, vasta gamma di cioccolato, cioccolatini e ogni bendidio nato apposta per ingolosire occhi e palati sopraffini. La Pasticceria Desideria realizza anche confezioni regalo di raffinata eleganza, pensate apposta per soddisfare i gusti più esigenti e lo sfrenato desiderio di originalità.

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Natale festa di luce

ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE del Prof. Adriano Mollica

Esiste una vera e propria statistica che dimostra come durante le vacanze natalizie vi sia un’impennata delle malattie proprio a causa degli eccessi, soprattutto di bevande alcoliche

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ibo e bevande giocano un ruolo fondamentale nelle celebrazioni natalizie e non solo. Da sempre il consumo di particolari alimenti rappresenta il modo di appartenere al rito e il fatto che i cibi delle feste siano “tradizionali”, ossia sempre gli stessi, denotano una codificazione, una sorta di formulario che è proprio del rito e della collettività che ne condivide e celebra i significati. I cibi infatti, spesso, sono simboli o elementi che richiamano la natura della festa stessa: ad esempio in Francia le persone si scambiano pesciolini di cioccolata a Pasqua, questo perché il pesce è il simbolo di Cristo fin dal tempo delle repressioni romane dei cristiani quando, cioè, il nome di Cristo non poteva essere pronunciato e in sua vece veniva usato “ichthýs”, ossia la traslitterazione in caratteri latini della parola graca “ Ἰχθύς” che significa appunto pesce ma che nel suono è simile a

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Cristus. La stessa cosa accade anche per altre religioni, come nel caso dell’hanukkah, il festival più importante dell’ebraismo, che commemora la rivendicazione del tempio di Gerusalemme. In questa ricorrenza le persone mangiano “latkes”, una sorta di “pancakes” di patata, e altri cibi fritti in olio, e appunto l’olio allude a quello miracoloso delle lampade del tempio che la tradizione vuole abbia bruciato per otto giorni, anche se le lampade ne contenevano appena per alimentare la fiamma una giornata. Il cibo quindi appartiene al rito e molto spesso anche il suo consumo in eccesso, essendo espressione di abbondanza e momento di festa, ossia di tempo “straordinario” per il quale non è il caso di badare a spese. Il Natale non fa eccezione anzi, per gli occidentali, è forse la festa in cui il consumo di cibi e di alcolici si fa decisamente importante. E la salute?


ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE Beh: se il consumo di cibi rituali può far bene all’anima, la stessa cosa non si può dire per il corpo. Esiste una vera e propria statistica che dimostra come durante le vacanze natalizie vi sia un’impennata delle malattie proprio a causa degli eccessi, soprattutto di bevande alcoliche. Ma in generale è anche la tipologia di cibi che deve essere tenuta sotto controllo. Durante cene e cenoni i piatti sono spesso grassi, i dolci tra i più ricchi di carboidrati, a causa della compresenza di grassi e zuccheri in dosi massicce, e le portate numerose. Tutti fattori che conducono ad un elevato stress ossidativo, ossia a una condizione patologica causata dalla rottura dell'equilibrio fisiologico che ha come conseguenza una produzione di radicali liberi in eccesso, provocando danni alle molecole biologiche come DNA, lipidi, proteine. Molti studi hanno mostrato un aumento del livello di biomarkers dello stress ossidativo in soggetti con rischio cardiovascolare, (dislipidemia, ipertensione, fumo, diabete, sindrome metabolica) quindi, soprattutto per queste persone, non è il caso di esagerare. Tuttavia esistono delle contromisure che possono essere trovate direttamente sulle tavole delle feste, si tratta della frutta secca, della cioccolata, dell’olio di oliva, per i quali è stato dimostrata un’associazione negativa con i livelli di stress ossidativo, questo è dovuto alla presenza di vitamine (A-C-E, flavonoidi, carotenoidi) che sono in grado di combattere i radicali liberi, e sono antiossidanti naturali. Infatti, la frutta secca, in particolare noci, mandorle e nocciole, pistacchi, sono stati correlati ad un effetto generalmente protettivo contro lo stress ossidativo, contro la perossidazione lipidica. Tra la frutta fresca di stagione spicca su tutti il melograno, il suo succo è difatti un concentrato di sostanze benefiche. L’olio di oliva, è naturalmente ricco

Il cibo appartiene al rito e molto spesso anche il suo consumo in eccesso, essendo espressione di abbondanza e momento di festa

Esistono delle contromisure allo stress ossidativo che possono essere trovate direttamente sulle tavole delle feste, si tratta della frutta secca, della cioccolata, dell’olio di oliva che sono in grado di combattere i radicali liberi

di antiossidanti, diversi trial clinici hanno dimostrato infatti le sue proprietà benefiche sull’ organismo, in particolare sui livelli di colesterolo. Il cacao, infine, è ricco di polifenoli, e quindi è considerato un alimento sano, certamente i suoi derivati come la cioccolata al latte, creme al cacao, e dolci vari, essendo ricchi di grassi e zuccheri, contribuiscono a rendere inefficaci i suoi benefici. Anche il vino rosso è un potente antiossidante che combatte la formazione di radicali liberi, essendo ricco di polifenoli. In via generale, dunque, la regola consiglia morigeratezza a tavola anche durante le feste di Natale, magari preparando cibi a basso contenuto di grassi, sostituendo la “tradizione” dei cibi grassi con la “tradizione” della dieta mediterranea, essendo questa unanimemente considerata una delle più sane, e più efficaci nella prevenzione delle malattie cronico-degenerative, ed ha una grande capacità antiossidante, naturalmente associata ad un po' di esercizio fisico, anche leggero, visto che durante le vacanze il tempo libero non dovrebbe mancare. Concludendo, possono o no le abbuffate natalizie essere fonte di problemi di salute? A questa domanda ci si risponde con il buon senso. Grandi abbuffate, cibi troppo calorici, salati, grande eccesso di alcool possono essere effettivamente pericolose, soggetti a rischio sono specialmente persone già in sovrappeso, soggetti ipertesi, diabetici, o prediabetici. Inoltre, anche nelle persone apparentemente sane, grandi abbuffate ed eccessi culinari possono a lungo termine portare inevitabilmente allo sviluppo di patologie dismetaboliche, colesterolo alto, iperglicemia, ipertensione, con eventuali problemi di circolazione, arteriosclerosi e malattie cardiovascolari. Insomma: Natale rimane una bella festa anche senza abbuffate, purché ci sia famiglia e si brindi alla luce della vita.

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, Menu di Natale con sorpresa In via Pescheria Vecchia a Este bolle qualcosa di nuovo in pentola e del resto qui la magia è di casa e l’incantesimo si concretizza con lo stregare i palati con emozioni e inediti sapori Nel calderone di Natale avrebbero voluto metterci i

servono prodotti freschi, offerti direttamente dalla Na-

funghi, ma le gelate di novembre se li sono portati e

tura sia che si tratti dell’orto, sia dell’alta montagna.

allora addio al risotto liquido con speck croccante,

Scatolame e preconfezionati neanche a farli vedere

salvia fritta e morbidi porcini. Al ristorante Le Strie di

in cucina, per non far bollire il sangue a chi si occu-

Este funziona così: se manca un ingrediente la pozio-

pa dei fornelli, ossia Enzo, Cristian e Marina. La ricerca

ne non riesce e non si prova nemmeno a ripiegare

della ricetta perfetta, invece, nasce dalla passione,

su surrogati. Perché per stregare e ammaliare i palati

dal cuore, dall’alchimia di sapori e profumi che solo

Ristorante Le Strie - Via Pescheria Vecchia, 1 - 35042 ESTE (PD)


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la magia riesce a mettere insieme. Una ricerca lunga che a volte non porta da nessuna parte, ma quando riesce: Pim, Pum, Pam … il piatto è un vero incantesimo: nascono così i piatti celebri del ristorante come il “Salmone fresco marinato con equiseto, fiori di camomilla, malva, scorze di limone e arancia”, o il “Biscotto salato con crema di Asiago, petto d’anitra affumicato e cipolla di Tropea”, l’”Albero di Natale con gli gnocchi”, la “Pasta e fagioli” o il “Primo sale in crosta di carbone vegetale fritto”, per il quale va precisato che si tratta di un formaggio direttamente prodotto nella “caldiera” del ristorante. Lo chef Cristian Fantin esce dalla cucina, si rifornisce di latte fresco appena munto, in una delle ultime stalle di Este, armeggia con caglio naturale e sale e produce il morbido cacio che poi trova affinamento con fieno, rosmarino e altri aromi dello “speziere” de Le Strie. Non c’è limite alla creatività e alla fantasia, spesso uno dei divertimenti più in voga è quello di tramutare gli alimenti. E se Circe trasformò in porci i compagni di Ulisse qui è il “musso” a trovare nuova forma, uscendo dallo spezzatino della tradizione per acquisire le forme di una morbida “tartare” servita con senape e l’immancabile polenta, ripassata. Stessa sorte ai “torresani” che dallo spiedo diventano saporito ripieno di ravioli di farina di castagne, spadellati con un ristretto di Notte di Galileo, cioccolato fondente e uva, e anche i “zaeti” da semplice biscotto diventano prezioso ingrediente di una sbrisolona con zucca, gelatina di passito e fichi caramellati. Servita con un calice di Fior d’Arancio. La cantina del resto è uno dei fiori all’occhiello del ristorante, e qui è Erika a gestire le etichette delle “pozioni”: quelle delle dolci alture locali, ma anche quelle del buon bere internazionale. Cosa volete che sia se mancano i porcini dal menù, non se ne accorgerà nessuno…magia del Natale!

Se Circe trasforma in porci i compagni di Ulisse, qui e, il “musso” a trovare nuova forma, uscendo dallo spezzatino della tradizione per acquisire le forme di una morbida “tartare” servita con senape e l’immancabile polenta, ripassata Tel. 0429 94967 - ristorantelestrie@gmail.com - www.ristorantelestrie.it


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Nero d’Abano il vero pane padovano Il recupero dell’antico grano Timilia ha portato alla produzione di farine totalmente naturali e a basso contenuto di glutine. Grazie alla sua alta qualità questa antica varietà si è presa la rivincita su quelle moderne, molto spesso realizzate solo per garantire alte rese e facilità di impiego nell’industria alimentare Alberto Zambon era ancora bambino quando il suo sguardo si posò su tre spighe in un campo di grano. Tre spighe che rispetto al giallo sterminato delle altre, che gli stavano tutt’attorno, erano appena più alte e avevano un’inflorescenza di colore più scuro… chissà perché erano lì, chissà come ci erano arrivate. Forse proprio per essere notate e per far tornare in vita un’antica varietà di grano che le logiche dell’agricoltura moderna, fondata sulle alte rese, aveva confinato nell’oblio. Ma in quell’incontro di Alberto c’era tutta la forza rivoluzionaria delle scoperte, l’eccitazione per una nuova prospettiva, probabilmente non molto dissimile da quella provata dalle prime società del neolitico che appreserro i vantaggi dell’agricoltu-

Pane di farina di Timilia in purezza, con una lavorazione dell’impasto totalmente naturale studiata alfine mantenere preservare le proprietà organolettiche e sensoriali tipiche della varietà di grano. Di bassa lievitazione ma naturale, a basso contenuto di glutine, più duraturo nel tempo senza l’aggiunta di conservanti; a basso contenuto di sale in quanto la farina di Timilia è ricca di sali minerali

ra, dieci mila anni fa. Di fatto un’epoca zero, un inizio, una nuova storia per Alberto che gli diede il motivo, il senso, il passo per superare le quattro generazioni di agricoltori che l’avevano preceduto in famiglia e affrontare il proprio futuro professionale con uno scopo: riportare in vita non solo un vecchio prodotto della campagna, ma anche la cultura che l’aveva selezionato perché ancora attuale. In agricoltura guardare al futuro affacciandosi dalle finestre del passato si può. È ancora possibile, anche perché il presente è piuttosto intangibile, e allora la custodia dei luoghi, la salvaguardia delle tradizioni rientrano nella “visione” dell’agricoltura, ossia in quel motore del cambiamento oggi più che mai necessario, perché un’idea nobile del prodotto della campagna è indispensabile per accendere il domani e per contrastare la logica della ricetta apolide, del protocollo seriale, della prospettiva mercantile. L’industria e il buon prodotto sono davvero agli antipodi, così come sono lontani scienza e complessità. Il buono ha davvero poco a che vedere con la perfezione genetica e microbiologica, un pane buono deve saper trattenere almeno un breve soffio di vento del suo luogo di origine, perché ormai è solo questo che un laboratorio non riesce a ricostruire artificialmente. E nelle tre spighe trovate da Alberto c’è molto di più di un soffio di vento, c’è la storia di un grano durata secoli, il “Timilia”, portato sulle alture Euganee e Beriche dalla Serenissima Repubblica, quando nella campagna cercò quella ricchezza che nel Mediterraneo le stavano sottraendo i turchi prima di Lepanto, un grano che aveva prosperato in tutta Europa per essere precoce: tre mesi, adatto alle semine primaverili riusciva ad essere l’alternativa agli autunni piovosi e a marzo era pronto per la falce. Grano Marzuolo, infatti, era il suo antico nome, oppure Tumminia veniva

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chiamato in Sicilia, Tremelia a Napoli, Trèmois in Francia, Dreimonatweizen in Germania, ossia grano dei tre mesi, alludendo al tempo necessario alla sua maturazione. Un grano che oggi si porta dietro tutta la sua storia naturale, scampato alla modernità non risente degli artifici della chimica: delle irradiazioni con i raggi gamma, delle ibridazioni del DNA che hanno reso il grano moderno un prodotto dell’industria e non più della campagna. Insomma è un grano che, per sua natura, non sta dalla parte delle rese, ma semmai da quella della qualità. Per questo ci è voluto coraggio e tempo per trasformare quei pochi chicchi incapsulati nelle tre spighe in una coltivazione, anche perché la loro semina è avvenuta ad Abano, in un piccolo lotto di campagna, perché non c’era nessuno tra gli agricoltori disposto a mettere a coltura nella propria terra un prodotto di cui non si sapeva cos’era e cosa valeva. Altro tempo Alberto Zambon

Il valore di coltivare antiche varietà di grano

Farina di grano duro Timilia, macinata a pietra ed integra ossia che è composta solo dall’ intero chicco di grano; attualmente in fase di studio nel progetto DIANA 5 dell’istituto Tumori di Miano.

è servito per arrivare ad un marchio “Nero d’Abano” che designa un pane. E tempo ancora è stato necessario per mettere a punto il sistema di molitura, che non poteva che essere a pietra, e una ricetta per lavorazione degli impasti totalmente naturale, studiata insieme all’esperta di panificazione Simona Lauri, al fine di mantenere e preservare le proprietà organolettiche e sensoriali tipiche della varietà di grano. Insomma tempo per dire che si fa presto a dire pane, ma che c’è una bella differenza tra quello prodotto ovunque e da chiunque e quello nostrano. Perché non è la dimensione ma la visione dell’approdo finale che traccia la differenza tra un’ipotesi e l’altra, tra il prodotto vivo e quello morto, tra l’alto e il basso, tra il buono e il banale. È in questo infatti che risiede il senso di una certificazione come prodotto autoctono, diversamente non avrebbe senso una distinzione tra qui e l’altrove se nel qui non fosse implicato il raggiungimento anche di un riscatto per la bellezza di questa terra, per la sua storia, per la gente che la popola. Ecco è questo il gusto profondo che lascia in bocca il Nero d’Abano è un sapore che va oltre il semplice pane.

La crescita della pianta nella sua spontaneità con genoma antico e derivante dalla natura, adattabilità ambientale in maniera naturale permettono di ottenere grani particolarmente ricchi di sali minerali, vitamine, sostanze fotochimiche naturali, garantendo una miglior efficienza dell’uso dell’acqua, assenza di concimazione chimica del terreno, miglior resistenza alle malattie per una maggior aereazione tra le spighette con un minor ricorso ai fitofarmaci; farine con minori percentuali di glutine (W circa a 100) da cui ne derivano prodotti sicuramente molto più digeribili

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A Natale, IL PANORAMA GASTRONOMICO

di Mario Stramazzo

PAESE CHE VAI TRADIZIONE CHE TROVI Ogni angolo del mondo ha i propri piatti per onorare la Santa Festa, dal pesce alla renna e dell’oca al panettone… la tavola è il trait d’union che lega le famiglie

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arà Natale e nel pieno rispetto dei tempi di attesa previsti da centinaia di secoli e non come la nota fabbrica di salotti che ha lanciato spot natalizi a settembre. Comunque sia, s’è fatto il tempo di pensare al menù e a cosa mettere in tavola per la festa del Bambin Gesù. Una ricorrenza, quella del Natale, che per quanto riguarda il piacere del convivio nel giorno di festa per eccellenza non conosce confini, men che meno quelli che segnano le basse terre padovane e del Veneto intero. Ed ecco che allora, per questa volta, usciamo dai confini regionali per inoltrarci in tradizioni e ricorrenze che allietano il palato e gli spiriti nei giorni di Natale in giro per il mondo. Nel nord del globo, in Finlandia, a Rovaniemi, terra lappone dove risiede Babbo Natale, in tavola compare il “gravlax”: una marinatura a base di sale, zucchero e aneto che viene usata in particolare per il salmone. Il pesce, infatti, è il re dei pranzi di Natale a queste latitudini, comprese le sue uova, accompagnato spesso da patate dolci, stufati di carote, insalate di barbabietola o alla russa e, vera leccornia tra le “carni rosse” la renna accompagnata “puolukat” (salsa di mirtilli rossi). Ma in Finlandia i pranzi non finiscono mai senza

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i tradizionali biscotti chiamati “piparkakku”: paste a forma di stella di Natale guarnite con marmellata. Anche qualche meridiano più a Ovest, in Svezia, il pesce è la materia prima prevalente nei banchetti, magari accompagnato con prosciutto cotto, riso al latte e polpettine sempre al prosciutto. La bevanda tradizionale, come in Finlandia, anche qui è il “Glögg”: una sorta di vin brulé con mandorle, uva sultanina e cannella; come dolce natalizio: biscotti allo zenzero e cannella. Ben più sostanziosi i dolci sulle tavole d’Inghilterra dove spicca il “Christmas pudding”. Una ricetta dalle origini molto antiche che prevede l’inserimento nell’impasto anche di monetine di buon auspicio e l’uso di servire questo dolce insieme al rum o al “brandy butter” alla fine di un pranzo che di norma comincia nella prima mattinata, così da finire in tempo per il discorso della Regina alle tre del pomeriggio.

La bevanda tradizionale, in Svezia come in Finlandia, è il “Glögg”: una sorta di vin brulé con mandorle, uva sultanina e cannella


IL PANORAMA GASTRONOMICO

Carne di renna e orso in scatola. Normalmente la carne di renna viene accompagnata “puolukat”, ossia da una salsa di mirtilli rossi

Sočivo. È una sorta di pappa a base di grano cotto, dolcificata con il miele cui viene aggiunto il latte di papavero ottenuto pestandone i semi e infine le noci

Prima del dolce viene servita l’anatra arrosto, talvolta sostituita dal tacchino, e le “chipolatas”, salsicce avvolte nel bacon, vero e proprio must della tradizione. “Escargot”, ostriche, salmone e grandi vini, invece, sulle tavole di Francia, dove compaiono pure carni di “poulet rôti”, il nostro pollo arrosto, e l’oca o il tacchino servito con le castagne. Il dolce tipico è il “buche de Noel”, che noi chiamiamo tronchetto di Natale. Molto diffuso però è pure la “galette des Rois”, la torta dei re: un dolce di pasta sfoglia ripieno di crema di mandorle che nasconde all’interno una figurina di gesso colorata. Chi la trova diventa regina o re di casa per un giorno. In Spagna, le pietanze tradizionali del Natale vanno da una ghiotta zuppa a base di carne e verdure, la “escudella y carn d’olla”, al tacchino al forno con frutta glassata. Tra i dolci, il torrone e il “polvorones”, un dolcetto di pasta friabile fatto con il cocco. Anche in terra di Croazia, a nordest del nostro Veneto, il Natale è una festa importante e il cenone è particolarmente ricco: frittelle con grappa e limone, ad esempio, o “salata za zrno u hrvatskoj” (insalata di cereali e legumi) prima di passare alle carni di tacchino e pollo serviti con gli involtini di cavolo. Ancora a Nordest, oltre le Alpi, dove a Natale e Capodanno ancora aleggia lo sfarzo Austro-Ungarico, ogni cena o pranzo di Natale inizia sempre con una buona zuppa come la “frittatensuppe” (zuppa di frittatine), oppure

In Inghilterra di norma il pranzo di Natale comincia nella prima mattinata, così da finire in tempo per il discorso della Regina alle tre del pomeriggio

Gli stati Uniti hanno adottato la tradizione del panettone di Natale, mentre in Italia si sta espandendo il tacchino sulle tavole a Natale, magari cotto al forno con patate e condito con salsa di mirtilli e verdure

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IL PANORAMA GASTRONOMICO una “griessnockerlsuppe” (zuppa di gnocchetti). Il tutto prima della tradizionale “leberknodelsuppe” (zuppa di canederli al fegato) che precede l’oca (gans) o la carpa (karpfen) e il salmone (lachs). Da non dimenticare il contorno, che trionfa con la classica “erdäpfelsalat” (insalata di patate). Come dolce le “bratäpfel” (mele al forno) o un classico “kaiserschmarren” senza dimenticare i “weihnachtskekse” (biscotti di Natale). Più oltre, in quel che fu la terra della grande madre Russia, dove per gli ortodossi il Natale si festeggia 13 giorni dopo il 25 dicembre, in tavola, oltre alla “zalivnoje iz yazyka s khrenom”, la lingua di manzo salmistrata o lo “sterliadj zalivnaja” (storione bollito in salsa di cipolle fritte, funghi e carote) e “ugorj v vine” (anguilla cotta in vino rosso, cipolle e succo di limone), va messo il “sočivo”, una sorta di pappa a base di grano cotto dolcificata con il miele cui viene aggiun-

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to il latte di papavero ottenuto pestandone i semi e infine, le noci. Il piatto deve essere succulento, non denso, non liquido, e il grano non scotto ma morbido. Forse una squisitezza ma non per noi veneti che abbiamo la fortuna di un fine pranzo con panettoni e pandori. Dolci che stanno conquistando anche le terre oltre oceano come l’America, da dove, in direzione contraria, l’Europa sta importando la tradizione del tacchino, magari cotto al forno con patate e condito con salsa di mirtilli e verdure. Per il dessert anche qui il “Christmas pudding”, i “brownies”, pezzetti di torta di cioccolato e i “mince pies”, tortine di frolla condite con frutta secca. Nel sud del mondo, nei paesi del medio oriente, in Cina e in Giappone il Natale, più che altro, è visto solo come occasione di celebrazioni provenienti dall’occidente e la storia del menù di Natale proprio non c’è.


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VIAGGIO NEI SAPORI PIÙ AUTENTICI DELLE MATERIE PRIME Ristorante e pizzeria dove all’esperienza e all’ospitalità nel servizio si coniuga l’intelligente scelta di puntare sui prodotti del territorio Un locale originale, giovane e moderno dove il buon cibo è un imperativo. Pizzeria e ristorante dove la cura parte dalla selezione delle materie prime, acquistate quotidianamente nei negozi e nei mercati del territorio, si unisce al piacere di un’offerta pensata per assecondare qualsiasi desiderio. Sono più di 150 le pizze inserite in menù, tutte realizzate con farine di prima qualità, anche per gli impasti light, integrale e con grano khorasan, lievito madre e ingredienti di prima scelta. Gli impasti vengono fatti lievitare dalle 70 alle 130 ore, in maniera che amidi e zuccheri vengano eliminati quasi completamente a vantaggio di una pasta croccante, leggera e ad alta digeribilità. Una cura che viene estesa ai grissini, al pane ai dolci: perché tutto qui è a chilometri zero e i prodotti sono figli delle mani e dell’esperienza, non dei confezionati della grande distribuzione. La freschezza, infatti, è l’ingrediente speciale, la burrata, per esempio viene realizzata appositamente per la pizzeria, in porzio-

ni monodose in modo da evitare sprechi e cattive conservazioni. Le verdure sono quelle del mercato rionale, gli affettati solo quelli del territorio ad eccezione del crudo che è l’eccellente Ferrari di Parma. E padovana è anche la mozzarella. Lo stesso scrupolo viene usato nei piatti del ristorante tra cui autentiche specialità sono gli spaghetti cacio, pepe e gamberoni; la fiorentina di manzo; la frittura di pesce; il gnocco fritto da degustare accompagnati dalle ottime etichette di cui è fornita la cantina, da dove non mancano le etichette più importanti di Veneto e Friuli e tra le birre c’è solo l’imbarazzo della scelta: dalle birre d’abbazia elle trappiste e dalle weizen alla birra Italiana servita alla spina. La cura dell’offerta si estende al dopo pasto con ricca selezione di caffè monorigine che, a differenza delle comuni miscele, provengono esclusivamente da una singola piantagione e berli in purezza permette di ritrovare in tazza le caratteristiche uniche e peculiari di ogni terreno d’origine.

Tutte le selezioni di pizza possono essere anche da asporto, comprese le preparazioni del ristorante Il locale è aperto tutti i giorni dalle 18.30 alle 24.00 tranne il lunedì Piazza del Donatore, 6C - Maserà di Padova - Tel. 049 8860023 6persempre


ARQUÀ, VAL POMARO PUNTA IN ALTO COL SUO DOLCE LIEVITATO Il rinomato ristorante posto sulla sommità della Città del Poeta, immerso nell’atmosfera del Natale, aggiunge la prelibatezza del panettone artigianale a un menu nel quale tradizione e innovazione vanno a braccetto Quassù, oltre all’abitato di Arquà Petrarca, sotto le tonde cime che incorniciano il borgo del poeta, ci si arriva appositamente per Val Pomaro, per i suoi sessant’anni di storia e di ospitalità, per la cucina degli chef Andrea Cesarone e del suocero Orazio Bonello che, con le rispettive mogli Lazzarina e Anna, hanno creato un luogo davvero speciale, dove si respira l’amore per il buon cibo. Tradizione e innovazione vanno a braccetto e a fianco dei tipici insaccati, del Bacalà, il ristorante e membro della confraternita Vicentina, delle paste rigorosamente fatte a mano, ai piatti con i prodotti di stagione e alla selvaggina, ligi all’ortodossia euganea, in menù si trovano piatti più moderni e rivisitati tra i quali non manca nemmeno il pesce. Ovviamente materie prime del territorio: questo è l’obbligo, tanto che praticamente tutto è di loro produzione. Compreso l’olio. Compresi i dolci. Compreso il pane. Il pane, certo, perché uno dei punti di forza della cucina sono proprio i prodotti lievitati: le pizze, gourmet, ma ne parliamo nel prossimo numero, e il panettone. Un lavoro di ricerca fatto per preservare i sapori della tradizione, selezionando solo ingredienti naturali. Un lavoro di pasticceria che negli ultimi anni ha riscosso un tale successo da richiedere un marchio tutto per sé.

RISTORANTE VAL POMARO Via Scalette, 19 - Arquà Petrarca (PD) - Tel. 0429 718229 - Cell. 320 6650364


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L’IMMAGINE DEL NATALE DA REGALARE O DA MANGIARE DIRETTAMENTE NEL LUOGO DI PRODUZIONE Un dolce goloso ma perfettamente digeribile. Il segreto della sua bontà? Ce ne sono diversi, ma il primo è sicuramente la passione del suo autore, Andrea, che anno dopo anno ha messo a punto la ricetta scegliendo solo materie prime di qualità: farina biologica, lievito madre, uova, zucchero, burro, canditi, pasta d’arancia e le preziosissime bacche di vaniglia. Il secondo segreto è la lievitazione. Il panettone Val Pomaro, infatti, richiede dalle 35 alle 40 ore di lavorazione. L’impasto viene lasciato lievitare per 15 ore, tra un impasto e l’altro, e poi lasciato riposare un’intera notte prima di essere infornato. Il risultato è pura leggerezza intrisa di straordinari profumi e sapori.

Per soddisfare sia i palati semplici che quelli sopraffini la scelta va dal panettone del Petrarca tipico con fichi, uvetta, mandorle e farina integrale a quello prelibato con marasche e cioccolata, dalla semplice Veneziana al panettone raffinato con albicocche e fiori di lavanda per concludere con quello classico con i canditi www.ristorantevalpomaro.it - valpomaro@gmail.com


OLTRE L’ORIZZONTE di Anna Maria Pellegrino

Viaggio

DALLA CULTURA ALIMENTARE EBRAICA A QUELLA VENEZIANA “Ma non mangerete quelli che ruminano soltanto o che hanno soltanto l’unghia bipartita, divisa da una fessura e cioè il cammello, la lepre e l’irace, che ruminano ma non hanno l’unghia bipartita; considerateli immondi; anche il porco, che ha l’unghia bipartita, ma non rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri.. Non mangerete alcuna bestia che sia morta di morte naturale; la darai al forestiero che risiede nelle tue città, perché la mangi, o la venderai a qualche straniero, perché tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio. Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre.” Deuteronomio, 14, 7-8 e 21

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OLTRE L’ORIZZONTE

E

siste una cultura alimentare ebraica? Dalla Bibbia si apprende che Adamo era vegetariano e il permesso di mangiare carne fu dato solo dopo il Diluvio Universale, a patto che l’animale fosse morto, e non per atto casuale, ma per mano dell’uomo. Successivamente Mosè, ritornato dal monte Sinai, perfezionò le regole alimentari sottolineando che i pesci devono essere provvisti di squame e di spine (che devono essere anche facili da togliere) e che i volatili non devono avere gli artigli e il becco ricurvo come i rapaci.

La tavola viene vista come un altare e le regole che normano la preparazione di un pasto concorrono a costruire una guida per l’esistenza con modelli di comportamento Le regole alimentari ebraiche sono stabilite dalla Torah, i cinque libri biblici (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), che riportano le norme che si applicano anche a tutti gli aspetti della vita e trasformano l’atto del cibarsi da un atto di semplice sopravvivenza ad un rito sacro, un momento della quotidianità che aiuta a percorrere la via della perfezione. La base della codificazione delle regole alimentari stabilite dalla Torah si trova nel concetto di kasherut, che significa adeguatezza e che indica la possibilità o meno di un cibo ad essere consumato da un ebreo osservante e, attenzione, la norma non è una critica nei confronti dell’animale. L’irace, per esempio, è il mammifero più simpatico del mondo, ma non è puro e quindi non si può mangiare. Perché tutto questo? La tavola viene vista come un altare e le regole che normano la preparazione di un pasto, unitamente a tutte le regole che normano la quotidianità, concorrono a costruire una guida per l’esistenza con modelli di comportamento che, se osservati, porteranno alla qedushah, la perfezione, la santità. Un’aspirazione raggiungibile da ogni singolo membro della comunità. Molte quindi sono le regole che normano un atto indispensabile come quello del cibarsi e sono così scrupolose che a prima vista potrebbero far considerare la cucina ebraica una delle più monotone del mondo. Niente di più errato. La diaspora, ovvero il fatto che per migliaia d’anni gli ebrei non potessero raccogliersi in un determinato luogo, dando vita ad una nazione collocata in una specifica area geografica, ha fatto sì che le innumerevoli comunità ebraiche sparse

nei cinque continenti abbiano prodotto innumerevoli consuetudini gastronomiche, offrendoci una incredibilmente ricca tavolozza di colori e di sapori. Provate a pensare ad un ortaggio come il carciofo e in quanti modi diversi viene preparato e condiviso a Venezia, a Roma o a Livorno. Ed ho citato un solo ortaggio! I CONTATTI CON VENEZIA Grande centro di scambi fra l’oriente e l’occidente Venezia accolse gli ebrei fin dagli inizi del XI sec. e in un alternarsi di divieti e permessi divennero un nucleo così importante che il 29 marzo 1516 il governo della Repubblica stabilì che dovessero tutti risiedere in un’unica zona della città, in un’area in cui anticamente avevano sede le fonderie, “geti” in dialetto. Le sinagoghe, o “Scole”, del ghetto veneziano vennero fatte costruire, tra la prima metà del 1500 e la metà del 1600: sorsero così le Scole ashkenazite Tedesca e Canton, la Scola Italiana, le Scole sefardite Levantina e Spagnola. Con la “contaminazione” tipica di una città cosmopolita come Venezia parlare di “cucina ebraica” è indubbiamente complesso ma è grazie ad un unico ingrediente che oggi Venezia può vantare la più variegata e virtuosa fusione tra la severa cucina ashkenazita del Nord Europa con quella sefardita, deliziosamente speziata e dall’impronta mediterranea ovvero l’aper-

Le sinagoghe, o “Scole”, del ghetto veneziano vennero fatte costruire, tra la prima metà del 1500 e la metà del 1600 35


OLTRE L’ORIZZONTE tura verso il “diverso”. Gli ebrei ashkenaziti introdussero a Venezia l’oca declinata nella famosa “Oca in onto”, nei pasticci di frolla ripieni di pasta e ragù d’oca e anche nella golosissima “Fugazza cole gribole”, una focaccia impastata con pezzetti di pelle d’oca fritti . Le spezie trasformarono il riso nel “Riso zalo”, preparato con il preziosissimo zafferano e servito con l’uvetta e zucca “baruca” (da barùkh: santo, benedetto) non mancherà mai nei ricettari di famiglia come l’agrodolce che diventa ancora più intrigante se abbinato all’uvetta ed ai pinoli. Infine la pasticceria, ricchissima di mandorle ed aromi, accompagna ancor oggi ogni singolo momento della quotidianità, dal “bolo”, una morbida focaccia dalla lunga lavorazione, alle azzime dolci, dalle “bìse” ai “sucarìni”, dalle “impàde” alle “recie de Aman”. Golosità che si possono ancora oggi gustare nel panificio Volpi, l’unico presente nel Gheto.

Hannukkah (Festa delle luci) Oca in onto

Come si diceva prima, se la tavola corrisponde all’altare, le feste religiose sono fondamentali per la vita ebraica e comportano la preparazione e il consumo di piatti particolari, rispettando un simbolismo che corrisponde alla festa medesima e alla stagionalità, essendo anche molte feste pagane assorbite successivamente dalle consuetudini religiose. La Festa delle Luci è una festa che cade verso la fine di dicembre e ricorda la vittoria dell’esercito guidato da Giuda Macabro che sconfisse le truppe seleucidi che erano entrate in Gerusalemme, nel 165 a.C., profanando il tempio, che doveva quindi essere purificato, e la Menorah (candelabro) doveva restare accesa sempre. Purtroppo non c’era olio a sufficienza, ma quel poco rinvenuto fra le macerie bruciò per ben otto giorni. Per commemorare questo miracolo è tradizione accendere ogni sera della festività una luce dell’hannukah, il tradizionale candelabro a nove bracci e il cibo rituale, visto l’importanza dell’olio, non può che essere fritto! Largo quindi al pollo fritto ed alle frittelle di mele che verranno accompagnati dai più leggeri ravioli di spinaci e dalla minestra di ceci o di lenticchie, oltre all’immancabile l’oca ripiena. E quindi “bete’avòn” buon appetito! E Buone Feste.

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Per chi cerca qualcosa in più del solito Natale Un luogo speciale immerso tra i Colli Euganei e un’atmosfera calda ed elegante per un viaggio sensoriale tra piatti ricercati e ottimi vini

Menù Vegano

Menù tradizionale

ANTIPASTO Tortina salata con broccoli, zucca, uvetta e pinoli tostati su vellutata di carote all’arancia

ANTIPASTO Muffin ai carciofi e pancetta su fonduta e frutta candita

PRIMI Grano saraceno risottato ai cardi, pere e gherigli di noci

PRIMI Risotto ai cardi, Verde di Montegalda, pere e noci caramellate

Crépe alla farina di castagne ripiena di cavolfiore alla curcuma

Lasagnetta verde con salmone selvaggio e finocchio alla sambuca, su zabaione salato all’arancia

SECONDO Rollè di legumi farcito al radicchio brasato con salsa di soia al curry

SECONDI Rollé di cappone farcito alla zucca, zenzero e cavolo nero

CONTORNO Finocchio alla sambuca

Flan alle due patate con cuore di cotechino

DOLCE Semifreddo al pistacchio e crema Fior d’Arancio I VINI “Maeli” Bianco Igt - Az. If-Zen “Sparviere” Cabernet Doc 2015 - Az. Reassi Spumante Fior d’Arancio Docg - Az. Veronese

CONTORNO Tortino di cavolfiore gratinato DOLCE Semifreddo al pistacchio e crema al Fior d’Arancio con briciole di mandorlato I VINI “Maeli” Bianco Igt – Az. If-Zen “Sparviere” Cabernet Doc 2015 – Az. Reassi Spumante Fior d’Arancio Docg – Az. Veronese

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Se da sempre le grandi regine della storia hanno usato il latte d’asina per la cura della propria bellezza un motivo ci sarà, anzi in realtà ce n’è più d’uno. Il latte d’asina, infatti, contiene un sufficiente quantitativo di lipidi tale da consentire il nutrimento della pelle rendendola morbida e ben idratata. La presenza di acidi grassi, in particolare Omega-3 ed Omega-6, e vitamine A, B, C, D, ed E che proteggono e ripristinano le cellule cutanee oltre a svolgere un’azione anti ossidante e anti invecchiamento. La pelle risulta molto elastica e la presenza di sali minerali contribuisce all’eliminazione delle cellule morte e al ripristino di quelle nuove. Inoltre, il latte d’asina e i suoi nutrimenti aiutano a prevenire la comparsa di alcune malattie della pelle come la psoriasi, l’eczema o la dermatite.

L ’asina non è la fabbrica del latte

La mungitura parte dopo un mese dal parto, in modo da lasciare al piccolo tutto il latte di cui necessita per crescere forte, e dura per un periodo di 6 mesi. Un’asina può produrre al massimo un litro un litro e mezzo di latte al giorno e non avendo una cisterna mammaria come le mucche, secernere il latte all’istante e quindi deve avere il cucciolo a fianco e deve sentirsi tranquilla.

ASINA

MUCCA

DONNA

1,20% per litro

3,50% per litro

3,38% per litro

Proteine 1,75% per litro

3,43% per litro

1,64% per litro

Lattosio 6,23% per litro

4,71% per litro

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LA RECENSIONE di Renato Malaman

ARMIDO BOSCOLO ESALTA

gli umili fasolari

C

PERCHÈ

Recensione

Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta

Al ristorante Minerva di Sottomarina il buon mollusco dell’Alto Adriatico viene declinato in più modi. Punto forte del locale anche la tradizionale “Luserna incovercià”

on i fasolari realizza piatti originali. Sì perché il buon mollusco dell’alto Adriatico è ancora tutto da scoprire nella nostra cucina di tradizione. Gran parte del prodotto, raccolto in profondità, finisce al Sud… e da noi in genere viene consumato soltanto crudo (buonissimo, peraltro). Armido Boscolo Camiletto è un ristoratore che ama la storia del proprio territorio, ma che non disdegna qualche leggera rivisitazione. Lui “marinante”, ovvero chioggiotto di Sottomarina, dopo il diploma all’Alberghiero di Adria e un lungo peregrinare nella zona (prima al Granso Stanco, poi al Grande Delta e in altri locali di Rosolina) è approdato, quasi fosse un segno del destino, a Sottomarina, dove proprio a due passi dalla spiaggia quattro anni fa ha preso in gestione il ristorante “Minerva”. Al suo fianco la moglie Daniela, che è pordenonese di Andreis, borgo famoso per gli alberi di Natale. Collaborano anche la sorella gemella Nadia e il marito Fabrizio. Locale di tono molto estivo che però d’inverno (è aperto tutto l’anno) regala un’intimità particolare. Dalla terrazza si sente il frangersi delle onde. In menu c’è tutta la tradizione e anche di più. Così non ci sono equivoci, una scelta di campo che paga sempre. Lo ammette lo stesso Boscolo: “Qui arrivano anche da Ferrara e da Verona per gustare le vongole in “cassopipa”, gli spaghetti allo scoglio e la grigliata di mare”.

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Piatti semplici che parlano alla memoria


LA RECENSIONE I tagliolini alla “granseola” serviti nel carapace

Scegliamo un percorso di tradizione, naturalmente, con le varie declinazioni dei fasolari. Prima fritti con la polentina bianca morbida (che delizia, davvero, anche per il gioco di consistenze), poi in polpettina servita nella conchiglia e insieme a delle deliziose seppie al nero; quindi in saor. Un trittico nel complesso interessante. Seguono i taglioni del pastificio artigianale Garbin con la polpa di granseola, serviti nel carapace del grande crostaceo: ottimi. Infine il piatto che entusiasma di più il cuoco “marinante”: la “luserna incovercià”, prelibatezza della più schietta tradizione chioggiotta. Armido Boscolo Camiletto sa come trattare la gallinella di mare, la “luserna” appunto: prima viene passata per qualche minuto sulla griglia e poi tagliata per lungo a filetti viene sottoposta a una cottura lenta (fornello al minimo) in una grande padella coperta (per “pipare” il giusto), impreziosita dal proprio sugo, d ‘ aceto e vino bianco, e poi profumata con dell’aglio e infine del prezzemolo a fine cottura. Non manca la polenta. Oltre alla gallinella servite anche due trigliette fresche di mercato. Infine il dolce di zucca, buonissimo e anche bello da vedere. Ripetiamo: cose semplici fatte bene. Sei piatti sono sufficienti per capire che il cuoco del Minerva vuole mostrarsi per quello che è: un appassionato cultore delle cose semplici e genuine. Pesci, crostacei e molluschi del proprio mare. Il prodotto lo conosce bene e le tecniche di cottura tradizionali pure. Nessuna volontà di stupire con effetti speciali, semmai di emozionare con piatti e prodotti in voga un tempo, che parlano alla memoria e talvolta emozionano. La carta dei vini è quanto basta per accompagnare le pietanze in menu. I prezzi sono nella media, onesti, non proibitivi dunque. Una bella esperienza. Da tornarci per assaggiare anche altri piatti che ricordano Chioggia a noi gente di pianura, che il mare lo vediamo una volta tanto. Sognando Il giornalista Renato Malaman con Armido Boscolo Camiletto e la moglie Daniela ad occhi aperti, anche d’inverno.

La Pagella

di Con i piedi per terra

⊲ Uso delle materie prime del territorio

⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività ⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo


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Tardivo di Treviso e Tartufo: i due re del menù invernale del Ristorante La Torre Con l’abbassarsi delle temperature l’atmosfera dello storico ristorante di Monselice si colora con il rosso del celebre radicchio e con il profumo intenso dello “scorzone” La stagione fredda assume forme e riti che vanno cercate proprio all’interno dei ristoranti, perché non c’è posto più adatto di una cucina per rispondere alle rigidità invernali e trovare quella convivialità che rende magica un’atmosfera, magari proprio quella natalizia che ormai incombe dalle pagine del calendario. Il ristorante La Torre di Monselice è il luogo perfetto per trovare quel preciso contrappunto tra scorci del paesaggio collinare e i sapori che a buon diritto appartengono allo stesso panorama. Qui è ancora possibile alzarsi da tavola con una sensazione di festa, conquistati da quello che non è stato solo un pasto, ma un’esperienza. Un locale che unisce, in una atmosfera calda e rilassante, i piatti della tradizione più schietta a proposte gastronomiche raffinate e interpretate con una creatività sempre nuova. E sono il Radicchio tardivo di Treviso e il tartufo i veri protagonisti del menù che La Torre dedica all’inverno. Il primo trovando esaltazione alle braci o fritto, il secondo come componente aristocratico della battuta di filetto e burrata, oppure in abbinamento a tortelli fatti fare direttamente a Bologna oppure alla foglia di verza con taleggio e appunto: tartufi. Malgrado la stagione, a La Torre, non mancano. Come non mancano mai le specialità del mare, perché fa parte della classe di questo storico locale trovare sempre un compromesso tra i sapori che provengono dal territorio collinare con quelli dell’altrettanto nostrana laguna, magari con una magica liaison che proviene dalla fornitissima cantina.

Il Radicchio tardivo di Treviso in menù è quello prodotto dall’Azienda Agricola Ca’ Tognai di Pernumia, un prodotto eccellente, figlio del territorio

Norberto Gallo e Franca Borin dal 1978 portano in tavola il meglio delle stagioni attraverso la qualità delle materie prime servite con il gusto dell’ospitalità

Piazza Mazzini, 14 - 35043 Monselice (PD) • Tel. 0429 73752 www.ristorantelatorremonselice.it


NUOVA STAGIONE, NUOVE STRUTTURE, NUOVI PRODOTTI E LA QUALITÀ DI SEMPRE Lo storico allevamento di Pontecasale di Candiana dal 18 di novembre ha aperto le porte del nuovo punto vendita dove oltre alla tradizionale offerta di carni bianche si possono trovare prodotti lavorati e già cotti: pronti per portare in tavola i sapori genuini della campagna

Quarant’anni di storia alle spalle e una nuova stagione davanti, questo è il presente dell’azienda Scudellaro. Un marchio già leader nel settore dell’allevamento di animali di bassa corte grazie alla qualità dei suoi prodotti, già scelti da oltre 100 punti vendita in Veneto, ma che da oggi diventeranno molti di più grazie al nuovo macello Cee.

AZIENDA AGRICOLA SCUDELLARO S.AGR.S. - VIA VALLI PONTECASALE, 16 - 35020 CANDIANA (PD)


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“C’È UNA BELLA DIFFERENZA... MAGARI NEL PIATTO NON SI NOTA, MA IL PALATO E LA SALUTE SE NE ACCORGONO!”

IL NUOVO MACELLO

Una struttura di 1600 mt quadri che rappresenta l’avanguardia del settore, assemblata mettendo insieme le migliori attrezzature italiane con quelle francesi per garantire il massimo livello di qualità nella macellazione. A tutti gli effetti si tratta del primo macello in Italia con queste caratteristiche, dove grande efficienza e massima attenzione agli aspetti legati alla sicurezza sul lavoro e all’igiene, rientrano nei primi obbiettivi della lavorazione da affiancare alla qualità delle carni.

NUOVO PUNTO VENDITA

L’azienda Scudellaro si è dotata di un proprio negozio in cui presentare l’intera linea di prodotti e creare una clientela fidelizzata anche tra i consumatori. Un modo per accorciare le distanze e fornire tutte quelle garanzie, sempre più indispensabili, sulla sicurezza delle carni. Le aziende che seguono l’intero corso della produzione: dal seme che diventerà il cereale per l’alimentazione degli animali alla loro preparazione e cottura, offrono quella certezza nella tracciabilità che è sempre più richiesta dal mercato

NUOVI PRODOTTI

Tutta la fatica necessaria per allevare un animale e preservarne la qualità durante la macellazione non può essere sprecata proprio in cucina, magari a causa del poco tempo che le famiglie moderne hanno a disposizione per preparare pranzo e cena. L’azienda Scudellaro, dunque, ha puntato su una nuova linea di prodotti già pronti per essere portati in tavola o semplicemente da riscaldare. Prodotti pensati per andare incontro alle esigenze della vita moderna, ma soprattutto per mantenere alta la qualità di sempre. Per questo la trasformazione non è stata affidata ad una ditta esterna, ma viene realizzata direttamente in azienda e non attraverso macchine, ma da cuochi preparati e seguiti da uno chef stellato come Pierangelo Barontini. Prodotti realizzati con cotture sottovuoto e a bassa temperatura, come nei migliori e più aggiornati ristoranti, per preservarne profumi e valori nutrizionali.

“CARNI BIANCHE A EFFETTO SALUTE. PERCHÉ NOI SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO...”

T. 049 5349944 - E MAIL INFO@SCUDELLARO.IT - WEB WWW.SCUDELLARO.IT


LA FORMA DEL LATTE di Michele Grassi

MALGA BELLUNESE E AGORDINO DI MALGA Grazie al progetto PAT, Produzioni Agroalimentari Tradizionali, sono state condotte ricerche in 33 delle 47 malghe bellunesi. I due formaggi stanno diventando rari, i malgari producono formaggi a pasta molle o semidura che hanno poco a spartire con i prodotti della montagna

L

a materia “malghe” mi è molto cara e devo dire rappresentativa, per le mie esperienze proprio in alpeggio dove ho operato per fare il formaggio della tradizione e dove ho studiato con molta passione tutte quelle azioni tecnologiche che portano il meraviglioso latte d’alpeggio a diventare formaggio di altissima qualità. Ma, da alcuni anni nelle malghe sta accadendo qualcosa: si stanno abbandonando le tecniche dei formaggi della tradizione a favore di formaggelle a pasta molle poco significative sia del punto di vista storico che organolettico. Essendo le Dolomiti venete il cuore della mia attenzione ho iniziato a verificare, acquistando i prodotti, quanto vere erano le mie impressioni basate in primo luogo sui metodi di allevamento e di alimentazione delle bovine, ma soprattutto sulla tecnologia che viene utilizzata nei caseifici delle malghe. Certo le visite effettuate non potevano essere esaustive, si doveva procedere in modo ben più professionale per capire. E così per poter giungere a una corretta rappresentazione di ciò che viene prodotto nelle malghe ho studiato, predisposto e attuato, un progetto che mirava alla ricerca del formaggio tradizionale nelle malghe del bellunese, la cui tecnologia è davvero antica e viene tramandata da padre in figlio. Prodotti che proprio per essere l’espressione più genuina della tradizione ora vengono iscritti alle liste dei PAT, Produzioni Agroalimentari Tradizionali, e corrispondono ai nomi di “Malga bellunese” e l’“Agordino di malga”. Il primo può essere prodotto in tutta la provincia mentre il secondo in parte, ovvero nei territori dell’Agordino che consta di 12 comuni. Il progetto prevedeva, per raggiungere alle finalità di verificare se i formaggi tra-

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Malga Bellunese: Formaggio semigrasso, di breve, media o lunga stagionatura, a pasta semidura o dura. La crosta è dura, segnata dai teli dell’estrazione, di colore paglierino o giallastro, tendente al rossiccio e al marrone con la stagionatura. La pasta è abbastanza elastica, compatta, di colore paglierino chiaro che scurisce con la stagionatura.

dizionali fossero ancora prodotti, la visita alle malghe e quindi l’approccio diretto con il malgaro e i suoi collaboratori. Il viaggio stava per iniziare. Le malghe del bellunese sono tante, 173, un numero che potrebbe sembrare enorme, ma si pensi che agli anni ‘60 gli allevatori facevano davvero conto economico sulla monticazione e che all’epoca esistevano micro allevamenti di pochissimi capi. A oggi sono 47 le malghe attive dal punto di vista della trasformazione casearia, davvero poche. E così, l’estate 2017 mi ha visto a volte in auto e a volte a piedi, viaggiare sulle strade e sui sentieri che conducono a malghe con la speranza di trovare formaggi tradizionali, quelli a cui l’uomo ha dedicato tanto lavoro e passione. Giunto alle malghe il mio comportamento è stato quello di un qualunque visitatore che chiede di acqui-


LA FORMA DEL LATTE

A RISCHIO ESTINZIONE stare il formaggio. Avevo però bisogno di conoscere alcuni aspetti, come il nome del formaggio caratterizzante la malga, se il latte utilizzato per farlo era quello dell’estate in corso e se lavorato intero o parzialmente scremato e naturalmente il tempo di maturazione. Per ogni malga erano state predisposte, anticipatamente alla visita, schede monografiche di censimento delle informazioni soprattutto per poter giungere e archiviare i dati utili alla risultanza finale del progetto. Delle 47 malghe nelle quali il latte viene trasformato in formaggio ne sono state visitate 33, corrispondente al 70% del totale, un campione molto rappresentativo e utile agli scopo progettuali. Uno degli aspetti più significativi della ricerca è stato quello del riconoscimento del formaggi tradizionale da parte dei “malgari” ovvero solo un operatore ha dimostrato di conoscere l’esistenza del Malga bellunese e dell’Agordino di malga. Gli altri non identificano i loro formaggi nei prodotti PAT oggetto del progetto. Già da questa informazione si evidenzia quanto difficile è

Agordino di Malga: Un prodotto dell’alpeggio, ottenuto con latte di vacca prodotto solo in estate, quando le vacche oziano nei pascoli alti. Le erbe e le fioriture spontanee lasciano nel latte, e di conseguenza nel formaggio, aromi unici, appassionanti per il degustatore. La crosta è dura, liscia, con i segni del telo, di colore paglierino o marrone-rossastro. La pasta è semidura, elastica nel formaggio meno stagionato, dura nello stagionato, il colore è paglierino o paglierino grigio.

per l’operatore in malga comprendere l’importanza del formaggio tradizionale. Il viaggio era al termine, era giunto il momento delle conclusioni. Numericamente parlando il 27% delle malghe visitate produce il Malga bellunese, ma se si considera che questo formaggio può essere prodotto in tutto il territorio della provincia, solo il 18,75% del totale delle malghe visitate si preoccupa di fare questo formaggio. Per quanto riguarda l’Agordino di malga il 50% delle malghe visitate nel territorio di produzione produce tale formaggio. Nonostante il numero più limitato di malghe, l’Agordino vede ancora una discreta percentuale d’interesse alla produzione. Considerazioni numeriche a parte, i due formaggi in oggetto risultano davvero rari, ma ciò che determina preoccupazione è che sempre più il malgaro si occupa di trasformare il latte per fare formaggi a pasta molle o semidura che non hanno nulla a che fare con quelli tradizionali. Il progetto è stato pubblicato (integralmente su www. michelegrassi.net) e inviato alla provincia di Belluno, alla Regione Veneto, alla Strada dei Formaggi e dei sapori delle Dolomiti bellunesi e a altre realtà che si occupano di questa materia, come Slow Food. Le motivazioni di quanto sta accadendo sono da ricercare in alcuni fattori di natura culturale, molti operatori non conoscono i prodotti tradizionali, si sta perdendo l’uso del lattoinnesto e del sieroinnesto a favore di fermenti selezionati che spesso non hanno nulla a che fare con i formaggi di tipologia d’alpe, le attrezzature in dotazione a molte malghe sono più adatte per produrre formaggi a pasta molle che non formaggi storici e altre motivazioni puramente tecniche. In brevissimo tempo, se si continua su questa strada, i formaggi d’alpeggio saranno diversi dal Malga bellunese e dall’Agordino di malga, che non esisteranno più, ciò a discapito delle qualità organolettiche di un prodotto, quello dell’alpeggio, che rappresenta un’eccellenza gastronomica.

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Salumificio macelleria

Caseificio Salvò, qualità garantita a Km zero Il sapore della tradizione, dal produttore al consumatore

Fare la spesa direttamente nell’azienda di produzione ha diversi vantaggi e il più importante è sicuramente quello di conoscere realmente da dove proviene la merce che portiamo in tavola alla nostra famiglia. Chi vende direttamente ci mette la propria faccia sui prodotti e questo è senz’altro un valore di garanzia, non è poco in un tempo in cui contraffazioni e manipolazioni delle merci sono all’ordine del giorno. All’azienda agricola Renato Salvò di Maserà di Padova la genuinità è di casa, c’è chi viene qui perché trova una fornitissima macelleria, chi una provvista salumeria e chi ci viene per i raffinati formaggi prodotti dal caseificio, ma tutti vengono per lo stesso motivo: la qualità!

IL CASEIFICIO Dalle 20-25 pezzate rosse in lattazione si ottengono 5-6 quintali di latte ogni giorno che vengono trasformati immediatamente in diverse tipologie di formaggio: dai freschissimi come il mascarpone, la burrata, la stracciatella o il Verde prodotto con lo yogurt a formaggi di media stagionatura come le caciotte, cremose e speziate in mille varianti, agli stagionati e affinati. Dalla produzione è bandito qualsiasi ingrediente che non sia il caglio naturale e il sale.

NOVITÀ IL FORMAGGIO ALLA SPIRULINA Tra le novità della produzione di quest’anno c’è il formaggio all’alga spirulina, che ai carboidrati e alla proteine del latte aggiunge un’alta concentrazione di vitamine (complesse B, D, E, K), minerali (calcio, magnesio, ferro, potassio, zinco, rame, manganese, cromo, selenio) e betacarotene. La spirulina è, inoltre, ricca in antiossidanti naturali in grado di contrastare i radicali liberi e l’invecchiamento delle cellule dell’organismo. Grazie alle sue proprietà immunomodulatrici aiuta e rinforza il sistema immunitario nelle sue funzioni di difesa. È inoltre un ottimo depurante e disintossicante dell’organismo; aumenta la resistenza fisica e lo sviluppo muscolare.

Caseificio Salvò - 35020 Maserà di Padova, via Bolzani 28


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SALUMIFICIO Un tempo i salami si facevano solo acconciando le carni di maiale con sale, pepe, aglio e all’azienda Salvò continuano ad essere fatti ancora in questo modo. Qui fieramente si continua a difendere il passato in quanto ritenuto un valore e quindi, con tutti gli adeguamenti che le normative vigenti impongono, sia la lavorazione che i tempi per la stagionatura non si discostano da quel lontano sapere della civiltà contadina. Quindi niente addensanti, niente conservanti o coloranti. Solo tanta passione che parte dall’allevamento degli animali, alimentati solo con il mais coltivato nei campi dell’azienda, seccato al sole e macinato con crusca e soia nazionale, e si concretizza nella realizzazione, perché nei salami Salvò ci finiscono tutte le parti del maiale, compreso il prosciutto.

MACELLERIA

Salami, cotechini, salsicce, soppresse, pancette, coppa, culatelli rigorosamente al naturale

La lavorazione delle carni viene eseguita in maniera artigianale nel rispetto della tradizione, per fornire un’ampia gamma di tagli capaci di soddisfare anche la clientela più esigente, pur lavorando solo su ordinazione. Il nostro punto di forza è la straordinaria morbidezza delle carni di “sorane” razza “Blu belga” e “Pezzata Rossa” ottenuta grazie a una frollatura minima di 40 giorni. I nostri tagli vengono confezionati sottovuoto per migliorarne la conservazione e il valore alimentare inalterato.

PER NATALE REALIZZIAMO CESTE E CONFEZIONI REGALO CON I NOSTRI PRODOTTI REGALA IL TUO TERRITORIO, C’È PIÙ SAPORE! I prodotti possono essere acquistati nel nostro punto vendita: Martedì e Giovedì dalle 15.00 alle 19.00 Sabato dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.30 Mercoledì: Mercatino di P.zza Borgato Soti di Saonara Mercato del Contadino di Vigorovea Sabato: Mercatino di piazza Cuoco nel quartiere Guizza Mercato del Contadino di Vigorovea mail: info.salvorenatoefigli@gmail.com mobile: Renato 328 1848171 - Michael: 345 5948062


Già che ci sei pizza buona come il pane Nello storico locale di Cartura la qualità è figlia della scelta delle migliori materie prime e di una passione che ormai dura da più di vent’anni

Se fare la pizza è semplice, farla bene è un’arte. Cominciamo col chiarire i concetti di arte e di semplicità perché se col termine semplicità intendiamo che la pizza ha una lavorazione relativamente semplice e veloce, impiega ingredienti poveri, e che chiunque può cimentarsi con un discreto margine di successo nella sua preparazione, allora questa interpretazione ci trova pienamente d’accordo, e difficilmente potrà essere smentita. Tuttavia non basta impastare farina, acqua, lievito, aggiungere pomodoro e mozzarella per ottenere una buona pizza, questo perché la professione del pizzaiolo appartiene a quella categoria di mestieri ancora artigianali, dove il sapere si arricchisce in anni di lavoro e lo sanno bene alla pizzeria Già che ci sei di Cartura, dove a questa nobile arte hanno dedicato più di vent’anni di carriera. Ma qui oltre all’esperienza conta anche la scelta delle materie prime a partire dalle farine selezionate accuratamente tra le migliori macinate a pietra, dalla grana grezza, ricche di fibra come quelle per il pane. Il lievito e solo il “madre” e i pomodori vengono scelti ancora quando si trovano nel campo. La stessa cosa vale per il resto degli ingredienti, per i quali la preferenza si lega alla stagionalità e ai prodotti nostrani. La sua importanza ha anche il forno a legna e soprattutto le buone pratiche di pastificazione: 36 ore di lievitazione sono il minimo per rendere croccante una pizza, ma importante è anche la maturazione dell’impasto, soprattutto per evitare una digestione difficile o una forte sete, che qui è un rischio da escludere. Da bere ci sono invece delle ottime birre tradizionali alle quali si accompagnano i vini locali nel caso alla pizza si preferisse il ristorante. La cucina, improntata al tradizionale, ha i suoi cavalli di battaglia negli gnocchi e nei bigoli fatti in casa al ragù di anatra e manzo, nel risotto al nero di seppia e nei piatti di pesce dove la grigliata e il gran fritto sono tra i più gettonati.

RISTORANTE PIZZERIA GIÀ CHE CI SEI via Padova, 104 - Cartura Tel. 049 955 6070


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Pizze

lievitate più di 36 ore con lievito madre e le migliori farine macinate a pietra

Comoda

in posizione strategica sulla strada che da Conselve porta a Padova

180 posti a sedere e un servizio veloce e sempre impeccabile

La cucina improntata al tradizionale, ha i suoi cavalli di battaglia negli gnocchi e nei bigoli fatti in casa al ragù di anatra e manzo, nel risotto al nero di seppia e nei piatti

Il segreto del pizzaiolo Spesso dopo aver mangiato una pizza si digerisce con una certa difficoltà o viene una forte sete. La causa di questi disagi non risiede, come si crede, in una lievitazione incompleta, quanto piuttosto in una “maturazione” insufficiente. Con la lievitazione l’impasto aumenta di volume grazie all’azione fermentativa del lievito che trasforma gli zuccheri disaccaridi in monosaccaridi, liberando acqua e anidride carbonica che rimane intrappolata nella struttura proteica del glutine. Contemporaneamente a questo processo avviene quello di maturazione. Qui gli enzimi idrolitici, presenti nella farina e attivati dall’acqua aggiunta all’impasto, scompongono gli amidi e il glutine. Questo processo è condizionato da diversi fattori, tra cui: tipo di farina usata, temperatura dell’ambiente e tempo di lievitazione. Il lavoro degli enzimi si conclude quando gli amidi della farina diventano zucchero semplice. Un lavoro che, se non vengono rispettati i tempi limite di preparazione dell’impasto, continua nel nostro stomaco, dove gli enzimi continuano a cercare acqua.

a base di pesce SIAMO APERTI Pranzo: da lunedì a domenica dalle 10:00 alle 15:00 (eccetto sabato) Cena: da martedì a domenica dalle 18:00 alle 00:00 www.ristorantegiachecisei.it - Seguici sui Social Facebook e Instagram


PAESAGGI SONORI di Martina Toso

UNA DELLE STRADE DELL’EMIGRAZIONE PORTA

al Circo

Tra Settecento e Ottocento le forme più diffuse dell’emigrazione si legano ai mestieri più vari: dal commerciante al minuto di piccoli oggetti come aghi, fili, pettini, almanacchi al suonatore di pive e ghironde, al commediante che improvvisava esibizioni con orsi e altri animali

L’

emigrazione veneta ha date ben precise che si legano, come tutte le emigrazioni, a situazioni insostenibili per la popolazione. E fu principalmente la mancanza di lavoro il motivo scatenante delle peregrinazioni che portarono molti conterranei a scavalcare l’oceano per trovare nuove opportunità di vita in America Latina. Ma prima delle grandi partenze in massa con il piroscafo, esisteva una emigrazione interna, transregionale, che permetteva soprattutto ai braccianti, allora i quattro quinti della popolazione, di trovare un salario nei tempi in cui i lavori in campa-

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gna erano fermi. Esistono documenti che ci informano che nel 1880 erano già in un numero cospicuo i braccianti di Monselice, Este, Montagnana costretti a raggiungere le valli veronesi o la Romagna per trovare lavoro. Nel Conselvano, secondo le stime del delegato di pubblica sicurezza, erano circa 3500 gli scariolanti che vagavano stagionalmente fuori provincia alla ricerca di assunzione. E per trovare lavoro i viaggi iniziarono ad essere sempre più lunghi: in Svizzera, in Germania, in Francia per occupazioni nell’industria, nell’agricoltura, nelle miniere. Ma nelle terre più


PAESAGGI SONORI Già alla metà del Settecento gli artisti di strada avevano raggiunto le piazze dell’Inghilterra o dei Paesi Scandinavi, dell’Egitto o della Russia zarista e ancora alla metà dell’Ottocento i valligiani impressionavano per la loro abilità nella doma di animali pericolosi ma destarono anche scandalo per l’impiego dei fanciulli nelle loro attività di strada dure della nostra regione, soprattutto quelle della montagna, anche del vicentino, dove la coltivazione della terra, lo sfruttamento del bosco per i suoi frutti, per la legna o l’allevamento del bestiame non consentivano alla di Tra le merci del commercio al minuto popolazione raggiungere il livi erano i piccoli prodotti dell’artigianato locale come i cucchiai o le cio- vello di sussistentole di legno. Oppure bottoni, aghi, za, il fenomeno stampe o almenacchi dell’immigrazione rimase una costante anche nei secoli precedenti. Le peculiarità dovute ai luoghi, ma in parte indotte anche dal carattere della sua gente, che da sempre ha dovuto convivere con una terra dura e decisamente poco fertile, diede luogo a emigrazioni stagionali condotte praticando i mestieri più vari. Mestieri, bisogna dire, non sempre legali, spesso legati al contrabbando, come ci informa Mario Rigoni Stern nel suo romanzo dedicato a Tönle Bintarn, il contadino di Asiago il cui percorso di redenzione passa dal mercato nero alla vendita di stampe in Europa, oppure alla vendita di piccoli oggetti dell’artigianato come cucchiai e ciotole di legno. Mestieri improvvisati come il commerciante al minuto di piccoli oggetti come aghi, fili, pettini, almanacchi, il suonatore di pive e ghironde o commedianti che improvvisavano esibizioni con orsi e altri animali. Già alla metà del Settecento, questi ultimi, avevano raggiunto le piazze dell’Inghilterra o dei Paesi Scandinavi, dell’Egitto o della Russia zarista e ancora alla metà dell’Ottocento i valligiani impressionavano per la loro abilità nella doma di animali pericolosi ma destarono anche scandalo per l’impiego dei fanciulli nelle loro attività di strada. Si trattava di ragazzi che le famiglie, in condizioni di estrema povertà, erano costrette a cedere in affitto a girovaghi, spesso loro compaesani, per avviarli alle attività di suonatori di organetto ma molto più spesso venivano

destinati all’esercizio dell’accattonaggio e non mancarono veri e propri episodi di maltrattamento. Qualcuno ricorderà la storia di “Remì” il cartone animato che seppur prodotto dalla Tokyo Movie Shinsha era, in realtà, una storia europea, tratta dal romanzo “Senza Famiglia” dello scrittore francese Hector Malot. E come nel cartone animato la vita dell’artista di strada era dura, un mestiere che comunque era destinato a sparire nel breve di qualche decennio, in parte per l’atteggiamento proibizionista che gli stati iniziarono a tenere nei confronti degli “artisti di strada” ma in buona ragione anche perché sulle piazze dell’epoca fecero la loro comparsa i primi circhi. Il mutato gusto della clientela, tuttavia, non colse di sorpresa i versatili girovaghi che approfittando della nascita della

Alla fine dell’Ottocento gli spettacoli improvvisati per strada con gli animali iniziano a sparire sia per l’atteggiamento proibizionista che gli stati iniziarono a tenere nei confronti degli “ammaestratori” sia anche perché sulle piazze dell’epoca fecero la loro comparsa i primi circhi

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PAESAGGI SONORI

produzione industriale del ghiaccio si trasformarono da domatori in gelatai. Il bisogno del resto aguzza l’ingegno, ma di più contavano le doti di adattamento di questi uomini, capaci, per esigenza, di inventarsi nuovi mestieri. Forse erano già allora i “cervelli in fuga” di cui tanta cronaca contemporanea ci dà informazione, anche perché, del resto in un’Italia ancora analfabeta, erano a tutti gli effetti dei poliglotti. Persone abituate

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ad attraversare la Penisola e preparati ad affrontare anche le barriere linguistiche degli stati europei, a piedi, in costante viaggio per sfuggire alla miseria con la sola compagnia dei loro orsi, dei loro cammelli o delle loro scimmie. Il loro viaggio si fermò agli inizi degli anni ‘50 del Novecento quando il sopraggiunto benessere rese inutile il loro pellegrinaggio.


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Caseificio AI PRÀ A Natale portate in tavola la genuinità Dall’antipasto al brindisi nel segno della qualità e della certezza alimentare perché l’intera filiera di produzione viene seguita in azienda, dal seme che diventa foraggio per la mucca al latte che viene trasformato in formaggio

Formaggi per Natale. Purché siano genuini e purché siano quelli prodotti del Caseificio Ai Prà di Maserà di Padova dove alla genuinità del latte, ottenuto dalla mungitura quotidiana delle cinquanta mucche pezzate italiane allevate da Pier Giorgio, si aggiunge solo il lavoro e l’esperienza della “casara” Antonella. La filiera di produzione è cortissima e ha un nome, un volto e le mani di chi ama la campagna e per questo la sa rispettare. Parliamo di una produzione di eccellenza, una produzione che nasce ogni giorno da appena 6-7 quintali di latte vaccino con l’impiego di solo caglio naturale di vitello, fermenti e sale. Niente conservanti, niente acido citrico (nemmeno nelle mozzarelle), niente che non sia totalmente naturale rientra nel ciclo di produzione di formaggi freschi, stagionati e semi stagionati come le caciotte, vero punto di forza del caseificio per essere prodotte in mille aromatizzaAZIENDA AGRICOLA AI PRÀ

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antbus973@gmail.com

www.aziendaagricolacaseificio.padova.it Azienda Agricola Ai Prà

zioni: dalle noci al miele, e dalle vinacce alle erbe aromatiche. Ma non mancano le toselle, eccellenti anche grigliate, e i freschissimi come le mozzarelle o la ricotta. Tra gli stagionati spicca Il Nostrano, che qui viene affinato con il miele di castagno o in barrique di legno riempite di fieno, Il “Vecchio” con dieci mesi di stagionatura; Il celebrato Ai Prà dal sapore di latte appena munto che si scioglie in bocca, liberando una nota dolce e lievemente acidula. E dal bancone non mancherà un formaggio espressamente realizzato per il Natele 2017, sarà rosso, sarà una sorpresa. Formaggi straordinari eccellenti da portare a tavola durante le Feste tra gli antipasti ma perfetti anche per introdurre a tavola le note dolci che anticipano il classico panettone giocando con la frutta fresca e secca, mostarde e marmellate. Formaggi che onorano la tavola e anticipano i brindisi con i migliori auspici. Il banco dei prodotti del caseificio Ai Prà si sposta durante la settimana: • MARTEDÌ dalle 17.00 alle 20.00 in piazza di Due Carrare • MERCOLEDÌ mattina al mercato di Conselve • VENERDÌ aperto tutto il giorno il punto vendita aziendale • SABATO mattina a Sottomarina al mercatino dei tipici • DOMENICA ai mercatini di Campagna Amica o alle fiere promozionali del territorio


L´OCA

e` buona a San Martin, a Natale e anche dopo Da quando la versatilità delle sue carni in cucina ha affascinato anche gli chef più blasonati del nostro paese il nobile pennuto si candida ad essere il cibo delle Feste

Con l’avvicinarsi del Natale e delle Feste di Capodanno c’è già qualche casalinga, ma anche qualche buona forchetta e appassionato gourmet, che sta pensando al menù di cene e cenoni. Magari a qualcosa che non sia nemmeno lontano parente dei soliti piatti e dalle solite preparazioni, qualcosa, certo, che sappia soddisfare la voglia di raffinata originalità, di tradizione e, fatto tutt’altro che di poco conto, che insieme alla grande qualità degli ingredienti ci sia anche la convenienza di un giusto costo. Michele Littamé ha senz’altro la risposta giusta a queste legittime esigenze: da anni le sue oche sono un prodotto ricercato dagli chef più blasonati del nostro paese, con in testa quel Massimiliano Alajmo che anche quest’anno è stato premiato dalla Guida de l’Espresso con i cinque cappelli. Le oche allevate in via Dosso a

Sant’Urbano, del resto, sono una delle eccellenze del territorio, riconosciute anche con il marchio di presidio Slow Food dal 2008, grazie ad un sistema di allevamento improntato totalmente sul pascolo all’aria aperta, su un’alimentazione basata esclusivamente sui cereali prodotti in azienda e a sistemi di preparazione e cottura rivolti alla preservazione di sapori e valori nutritivi. Le carni, infatti, vengono preparate con lunghe cotture e commercializzate in sacchetti sottovuoto, così da rendere veloce il preparare la cena, anche quando a tavola si vuole portare un piatto raffinato. Bastano cinque minuti a bagnomaria o due di microonde e si è pronti ad affrontare anche il più esigente dei commensali. Pranzi e cenoni di Natale non sono più un problema.

AZ AGR. LUCA E MICHELE LITTAMÉ via Dosso, 2 • 35040 Sant’Urbano (PD) tel. 0429 693292 • fax 0429 695091 • www.michelelittame.it • info@michelelittame.it • ildosso@virgilio.it


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La proposta riguarda una linea completa con 23 prodotti COSCIA O PETTO O ALETTE D’OCA IN ONTO Presidio Slow Food La carne viene preparata con il metodo del sotto “onto” con sale di Cervia, pepe, spezie, aromi naturali. Per consumarla basta riscaldare la confezione senza aprirla, in acqua calda per almeno 20 minuti.

TAGLIATA DI PETTO D’OCA carne d’oca, sale di Cervia, pepe, spezie, aromi naturali. Il prodotto è già cotto, basta affettarlo e servirlo freddo con olio d’oliva extra vergine.

PORCHETTA D’OCA Carne d’oca e di carne di maiale (sale, pepe, scorzette di limone, aromi naturali, spezie) cotte in bassa temperatura. La porchetta va affettata fredda o saltata in padella con aceto balsamico.

COLLO D’OCA RIPIENO carne di maiale, carne d’oca, fegato d’oca, pane, formaggio grana, cipolla, aglio, sale, pepe, aromi naturale. Per consumarlo basta riscaldare la confezione senza aprirla, in acqua calda per almeno 20 minuti

OCA FARCITA L’oca viene farcita con della carne di maiale, pane, formaggio grana, cipolla, aglio, sale, pepe, aromi naturale. Il prodotto è sottovuoto basta semplicemente riscaldarlo per consumarlo

PATÈ DI FEGATO D’OCA fegato grasso d’oca, lardo di maiale, vino di Porto, sale, aromi naturali. Va servito su crostini di pane

SALSICCIA D’OCA macinato d’oca, macinato di maiale, sale, pepe, aromi naturali. Per la preparazione può essere saltata sulla piastra, è ottima alla griglia, oppure può essere la base per risotto

SPECK DI PETTO D’OCA Il prodotto è stagionato, per servirlo basta affettarlo e servire con olio d’oliva extra vergine.

Per i menu´ informali invece la novita´ l´OCA BURGER con solo ingredienti di altissima qualita I prodotti possono essere acquistati presso il punto vendita aziendale dal lunedì al sabato dalle 8:00 alle 12:00 e dalle 14:30 alle 19:30



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Carni di chianina Per cene e cenoni , porta in tavola l eccellenza A STANGHELLA L’ALLEVAMENTO E LA VENDITA DIRETTA CHE GARANTISCE TRACCIABILITÀ CERTA E GRANDE QUALITÀ

Le carni di Chianina sono l’ideale per realizzare bolliti, stracotti e arrosti, grazie al basso contenuto di colesterolo e all’alta presenza di Omega 3 al quale si aggiunge il valore di una carne elegante, dalla grana fine, la cui morbidezza è garantita da un grasso di superficie

naturale favorito da un’alimentazione sana. E per la stagione fredda il cotechino di chianina è un’autentica bontà, realizzato con i tagli magri dell’animale è un trionfo di sapori e un piatto di alta digeribilità.

La macellazione avviene in stabilimenti selezionati e la frollatura in azienda, in modo da controllare nelle cinque settimane di procedimento la perfetta morbidezza delle carni

L'Az. Chianina e il suo chef suggeriscono un piatto natalizio: "Ravioli delle festa con ripieno e ragu' di brasato" INGREDIENTI PER 8 PERSONE • 1 kg di carne chianina (sottofesa, campanello, fesa di spalla, cappello del prete) • 2 carote, due coste di sedano • 1 scalogno • 1 cipolla • 2 uova • parmigiano 36 mesi • noce moscata • vino bianco e rosso • olio evo qb, sale e pepe nero

Preparate 6 etti di carne brasandola, con sedano carota e cipolla, il vino bianco , lo scalogno. Una volta cotta tritare il tutto aggiungendo 3 rossi d’uovo, il parmigiano, la noce moscata, e far riposare. Con la sfoglia precedentemente tirata, lasciandola un po’ più spessa, fate i ravioli, di misura media , per gustargli al meglio. Con il rimanente del pezzo di carne preparate il ragù, tritandola a piacimento, e sfumandola su un trito di sedano, carota , cipolla, vino rosso. Lasciate andare per almeno tre ore a fuoco lento , aggiungendo man mano del brodo vegetale regolando di sale. Buon appetito e Buone feste

AZIENDA AGRICOLA CAPPELLO MATTIA - Via Canaletta Superiore, 92 - Stanghella (PD) Tel. 339 3271753 - www.lachianina.eu


LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman

Gente di Strada

PICCOLI VIAGGI DI UN MONDO DIMENTICATO Arrotini, pescivendoli, robivecchi, ambulanti, spazzacamini, questuanti, zingari, cacciatori di talpe, pastori: queste erano le presenze nelle strade di campagna, nel tentativo di “sbarcare il lunario” affidandosi alle corti contadine. Avevano imparato l’arte di “arrangiarsi” in tempi privi di Servizi e di Pensioni Sociali, ma anche liberi da Partita IVA e Studi di Settore

A

l lunedì arrivava a piedi, in corte, “San laoratì”, così lo aveva soprannominato mio padre, ma non abbiamo mai saputo il suo vero nome anche perché i soprannomi affibbiati da mio padre erano così azzeccati che identificavano perfettamente il malcapitato di turno. Chiedeva la carità in ogni corte contadina con un fare bonario e furbo. Mia nonna, lusingata nel sentirsi dire: “Me fàla la carità paròna?”, mi mandava a prendere mezza sessola di farina gialla dalla madia per versargliela in un sacchetto chiaro che sembrava la federa di un cuscino e che poi lui si caricava in spalla, allontanandosi dalla corte con un servile: “Grazie paròna!” l martedì e giovedì era la volta del “casolìn”, un’ambulante che vendeva generi alimentari sfusi, trasportati con un carretto trainato dal cavallo nelle polverose strade di allora. Vendeva cose che non venivano prodotte nelle case contadine, come riso, pasta, olio di semi, sarde sotto sale, baccalà, sale e pepe, candeg-

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LA MEMORIA DI CARTA gina, Miscela Leone e Olandese per il caffè di orzo, zucchero, etc… debitamente impolverate, e in pagamento riceveva il corrispondente in uova rigorosamente di gallina non fecondata! Al mercoledì o al sabato passava in bicicletta “la colomba”, perché cantava incessantemente “Vola colomba bianca vola” di Nilla Pizzi, gridando nelle vicinanze delle case: “Ossi, strazze e fero vècio done!” Al che qualcuna si arrabbiava e non la accoglieva in corte, mentre il più delle volte veniva accettata per la sua simpatia e le veniva “venduto” le poche cose che venivano scartate come ossa e setole di maiale, lenzuola sdrucite e ferro arrugginito, che lei riusciva caricare nella bicicletta e portare nella umile casetta e a mantenere la famiglia con quel genere di commercio. Faceva la differenziata porta a porta ed era lei che pagava! Spesso mi domando dove è finito il rispetto per la gente della Bassa, dal momento che qualcuno ha fatto milioni Il “casolìn”, di debiti con le vendeva cose che immondizie che noi abbiamo non venivano prodotte pagato e che nelle case contadine, dovevano dare come riso, pasta, olio di un ricavo con il semi, sarde sotto sale, riciclo! baccalà, sale Il venerdì mattino immancabile e pepe, candeggina, arrivava “el peMiscela Leone scadore” guie Olandese dando insicuro per il caffè di orzo una bicicletta

La bici dell’arrotino

più grande di lui, dove, su una cassetta di legno fissata davanti al manubrio, trasportava, coperti da un vecchio sacco, dei poveri pesce gatti e dei gamberi del Fratta (non c’era ancora l’inquinamento delle concerie vicentine causato da industriali da Far-West e dai Pfas di recente attualità). Scendeva dal cavallo d’acciaio con un salto quasi acrobatico, appoggiando la bici con tutta la stanca mercanzia al muro della casa. Anche lui, pur con il tasso alcolico da ritiro di patente ai giorni nostri, chiamava con voce annodata la “paròna”, cioè mia nonna, che mossa a compassione comperava qualche gambero, pagando con le uova e un bicchiere di vino. Poi “El pescadore” ripartiva felice con la sua bici per la strada di ghiaia delle Grompe, zizzagando da destra a sinistra, alla ricerca dell’equilibrio perduto nel vino. Faceva il pescivendolo, ma scavava anche pozzi e li puliva dalla melma

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LA MEMORIA DI CARTA del fondo quando veniva chiamato dai proprietari, e così ha mantenuto una famiglia numerosa. Si raccontava in paese, che durante l’occupazione tedesca, nella Seconda Guerra Mondiale, vendesse salami ai soldati di stanza in loco, salami molto apprezzati dai teutonici, solo che “el pescadore” non allevava nessun maiale ma catturava dei bei gatti pasciuti e con questi confezionava, nella sua povera cucina, questi saporiti insaccati! Accanto agli habituè, arrivavano dalla strada dei personaggi “stagionali” come l’arrotino e gli zingari. Quest’ultimi fermavano la “Carovana” trainata da un cavallo fuori dal portone, facendo entrare in corte solo una donna con due-tre bambini. La signora, dalla pelle scura che sembrava arruffata, con una cadenza particolare di un dialetto stentato chiedeva agli uomini della corte: “Me dàlo ‘na brànca de fen?”. Evidentemente era per il cavallo, mentre per i bambini chiedeva un pezzo di pane e poi se ne tornava alla carovana, che ripartiva verso un’altra corte. Era povertà vera, d’altri tempi! In primavera e in autunno, arrivava “el stazàro”, un’ambulante mantovano con un vecchio furgone, forse un residuato bellico, stracolmo di scampoli di tessuto, spagnolette, pizzi, e ogni genere di materiale da confezionare e desiderato dalle donne di casa. Parcheggiava davanti alla finestra dove era di vedetta mia nonna, vicino alla stufa, e scendendo gridava: “Oggi si regala!” E ancora: “Tutta merce di mio zio, morto lui la vendo io!”. Mia nonna usciva quasi di corsa da casa, accompagnata dalla figlia ancora da sposare e da una delle nuore e trattava la merce da comperare, soprattutto per completare “La Dota” della figlia, e qui doveva pagare con soldi che teneva nascosti nell’armadio, perché non si “contava” di chiederli a mio nonno, e nemmeno poteva pagare con le uova! I “topinaròi” passavano per strada in bicicletta al lu-

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nedì di buon mattino, in tardo autunno, per recarsi nel mantovano a caccia di talpe per poi vendere le pelli essiccate per farne pellicce, e anche i pastori transitavano con i primi freddi, provenienti dai monti, alla ricerca dell’ultima erba delle rive dei fossi o di quella rimasta sotto le vigne di pianura. Si vedeva passare l’11 di novembre qualche carretto, trainato dal cavallo, carico di povera mobilia, con una famiglia completa seduta dove poGli spazzacamino Era “El San arrivavano con i primi teva. Martìn” di qualfreddi, a piedi, in che bovaro che coppia. Venivano di si trasferiva in un’altra corte a solito dal bellunese, prendere servisi presentavano nelle zio nella relativa case già anneriti dalla stalla. Era una fuliggine, chiedendo se visione carica c’era da pulire il camino di tristezza e di consapevolezza della fortuna di poter disporre di una residenza stabile anche se povera! Anche gli spazzacamino arrivavano con i primi freddi, a piedi, in coppia. Venivano di solito dal bellunese, si presentavano nelle case già anneriti dalla fuliggine, chiedendo se c’era da pulire il camino. Di solito la risposta era affermativa, così si mettevano all’opera, uno sul tetto vicino al comignolo, l’altro da basso, nel focolare, tirando su e giù una spazzola d’acciaio attaccata a una corda. Per evitare che la fuliggine invadesse la cucina, la bocca del camino veniva avvolta da un vecchio lenzuolo. Poi si puliva tutto il camino dalla polvere nera scesa dalla canna fumaria e il fuoco poteva essere riacceso tutte le sere, fuoco che scoppiettando avvisava che di lì a poco sarebbe arrivato Natale, ma per noi bambini di allora la pulizia del camino era importante perché era così favorita la discesa della “vecèta”, la notte dell’Epifania, che avrebbe messo nella calza appesa, in premio della nostra bontà, pochi mandarini, caramelle ed amaretti!


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CAPPONI IL CORTILE DE MARCHI, il vero gusto del Natale Celebri sono i capponi che il Renzo Tramaglino regalò all’avvocato Azzeccagarbugli ne I promessi sposi, ma celebri sono anche quelli allevati dalla famiglia De Marchi, soprattutto per la loro qualità che deriva dal fatto di essere allevati a terra, liberi di muoversi e di razzolare. Il cappone, del resto, è buono se è allevato come un tempo, soprattutto a Natale dove la rigida ortodossia di pranzi e cenoni richiede esplicitamente la tradizione Cinque le varietà allevate: • PESANTE: Grigio maculato, rosso pesante e il collo nudo che raggiungono i 4,5/5.0 kg di peso • MEDIO: Eureka che raggiunge i 3,5/4.0 kg di peso • LEGGERO: Francese 3.0/3,5 kg di peso Gli animali hanno tutti 6-7 mesi di vita e sono stati allevati solo con cereali prodotti in azienda.

CAPPONE DELLA TRADIZIONE Ingredienti: • 1 Cappone di taglia media • 1 Cipolla • 1 Spicchio d'aglio • Olio extravergine di Oliva • Vino Bianco • Rosmarino e Salvia Tagliare a pezzi il Cappone lavarlo. In un tegame far soffriggere la cipolla con un po’ di olio extravergine di oliva, aggiungere quindi il cappone a pezzi e far rosolare a fuoco vivace su tutti i lati. Bagnare con il vino bianco e far sfumare aggiungendo gli aromi (salvia e rosmarino). Continuare la cottura per circa 1 ora e mezza aggiungendo, se necessario, del brodo vegetale. Finire in forno per circa 10 minuti fino ad ottenere un completa rosolatura.

Oltre alla vendita di polli, galline e faraone vivi e macellati, dal bancone di vendita non mancano oche, anatre, conigli, uova freschissime di giornata e i ragù già pronti

DOVE TROVARCI

Oltre al punto vendita aziendale in via Sabbionara, 1651 a Merlara (PD) puoi trovare i prodotti Il cortile De Marchi nei mercatini di: • Monselice il lunedì mattina, il mercoledì pomeriggio e il sabato mattina • Quartiere Forcellini il martedì pomeriggio • Rubano il mercoledì mattina • Legnago e Cittadella il giovedì mattina • Noventa Padovana il giovedì pomeriggio • Bussolengo il venerdì mattina • Vigonza e Pescantina il sabato mattina • Verona (zona fiera) il venerdì pomeriggio e il sabato mattina • Castelnuovo domenica mattina

Il Cortile De Marchi via Sabbionara, 1651 - Merlara (PD) - Tel. 0429 85468 www.ilcortiledemarchi.it - Facebook: Il Cortile De Marchi


ARTERRA di Loredana Pavanello

VIAGGIO

seguendo la cometa

NELLA STORIA DELL’ARTE La Vergine con il Bambino, san Giuseppe, la mangiatoia, i pastori, la stella, i Re Magi sono parte di quell’affascinante microcosmo che nel Presepio costituiscono un’armonica unità, ma che non lo sono nella storia del tema figurativo. Sono infatti entrati nell’iconografia un po’ per volta e per ragioni diverse, seguendo l’evoluzione delle feste liturgiche del Natale e dell’Epifania

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uci profumi colori. Le note armoniche del tempo di Natale si riflettono anche nell’arte, come componente essenziale fra le innumerevoli interpretazioni dedicate al grande momento della liturgia cristiana. Il tema iconografico della Nascita di Cristo è presente nella cultura figurativa da moltissimi secoli, carico di suggestioni e pregnanza sacrale. Tuttavia la diffusione del soggetto non coincide con lo sviluppo del Cristianesimo: la prima arte cristiana è infatti altamente simbolica, ancora legata al divieto biblico di rappresentare la divinità, secondo il passo di

Esodo 20, 3-5. Non troviamo quindi nella produzione artistica dei primi secoli cristiani vere e proprie “narrazioni” del Natale: è infatti un’arte essenzialmente aniconica, cosparsa di “immagini-segno”, talvolta desunte dal repertorio iconografico della tradizione classica, dal valore allusivo. Ne è un esempio la celebre iconografia del Buon Pastore, presente dal II secolo d.C. nelle catacombe e nei più antichi luoghi di culto, ma anche in pitture, medaglie, bassorilievi, e che riallacciandosi alle figurazioni pastorali pagane - come ad esempio nella pittura pompeiana - ne dà

Le figure dei Re Magi sono attestate per la prima volta nel III secolo presso la Cappella Greca delle Catacombe di Priscilla, per diffondersi poi nella raffinatissima scultura dei sarcofagi. Inizialmente il numero dei Magi era due, per diventare poi variabile fino a fissarsi nell’iconografia dei Tre Magi, sapientissimi sacerdoti persiani venuti dall’Oriente guidati dalla stella cometa per adorare il Cristo, portando oro incenso e mirra

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ARTERRA un nuovo significato, quello naturalmente del Cristo Pastore della Chiesa, come si vede ad esempio nel mosaico delle Catacombe di Priscilla a Roma (III secolo d.C.). Fra i diversi motivi iconografici paleocristiani di questo genere - come il pesce, allusivo all’acronimo del nome di Cristo in greco, o il sole simbolo della sua regalità o, ancora, l’agnello a evocare il martirio - manca in origine l’iconografia della Nascita del Bambino. Bisognerà aspettare prima di assistere alla piena evoluzione in senso narrativo dell’arte religiosa occidentale, e dunque alla rappresentazione vera e propria del Natale. Si tratta infatti di un’iconografia che ha trovato una definizione “per gradi”, arricchendosi di elementi nel corso del tempo. La Vergine con il Bambino, san Giuseppe, la mangiatoia, i pastori, la stella, i Re Magi sono infatti parte di quell’affascinante microcosmo che è il Presepio, nato in senso vero e proprio solo con san Francesco nel Medioevo: elementi, beninteso, che se nel Presepio costituiscono un’armonica unità, altrettanto non lo sono nella storia del tema figurativo. Sono infatti entrati nell’iconografia un po’ per volta e per ragioni diverse, seguendo l’evoluzione delle feste liturgiche del Natale e dell’Epifania. A sottolineare la nascita povera del Salvatore, accolto “in una mangiatoia perché non c’era per essi posto nell’albergo” (Lc, 2,7), è certo l’umile presenza dei pastori, all’origine della stessa iconografia dell’Adorazione dei pastori. A partire dal IV secolo la Natività divenne uno dei temi più frequentemente rappresentati nell’arte religiosa, come attestano i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero di Venezia e delle basiliche di Santa Maria Maggiore e di Santa Maria in Trastevere a Roma. In queste opere la scena

La Natività non viene mai rappresentata nei primi secoli del Cristianesimo, solo a partire dal IV secolo divenne uno dei temi più frequentemente rappresentati nell’arte religiosa si svolge in una rustica grotta, utilizzata per il ricovero degli animali, con Maria distesa e Giuseppe assorto in un angolo, fuori dallo spazio sacro in quanto “semplice uomo” e gli Angeli che portano l’annuncio ai pastori. Il centro della composizione è costituita dal Bambino Gesù, posato nella “culla-mangiatoia” che a volte ha le sembianze di un sarcofago, a prefigurare la sua morte e risurrezione. Si tratta di una scena diffusissima e oggetto di una profonda devozione

Corteo dei magi Benozzo Gozzoli. Nella cappella di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, Benozzo Gozzoli (1459) descrive il fastosissimo corteo dei Magi, fra i più preziosi che si siano mai visti, con una chiara allusione alla ricchezza e potenza dell’aristocratica famiglia fiorentina che lo aveva commissionato.

popolare, presente anche in molte chiese del nostro territorio, come si vede ad esempio nell’Arcipretale di Villa Estense, nel cuore della bassa padovana, dove è custodito un suggestivo brano di scuola bassanesca, ricordato anche nel “Viaggio per l’antico territorio di Padova” di Giannantonio Moschini (1809), che ne registra la presenza nel luogo originario, ossia “nella chiesetta privata de’ Conti Sanbonifacio […] sopra l’altare”, qualificandolo “opera egregia di Francesco Bassano”: attribuzione che è stata in seguito spostata in direzione del fratello minore Leandro, noto per l’abilità ritrattistica, che insieme ai fratelli Francesco e Girolamo aveva ereditato la laboriosa bottega del padre Jacopo. Attingendo ai Vangeli dell’infanzia, la produzione figurativa si è concentrata anche su un altro momento della Natività: l’Adorazione dei Magi, simbolo dei pagani che riconoscono la divinità di Cristo. Il tema è attestato per la prima volta nel III secolo presso la Cappella Greca delle già citate Catacombe di Priscilla, per diffondersi poi nella raffinatissima scultura dei sarcofagi. Inizialmente il numero dei Magi era due, come si nota nelle Catacombe dei Santi Pietro e

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ARTERRA

L’Adorazione dei Magi (oggi conservato a Padova, Museo Diocesano) proveniente dalla chiesa di San Sabino in Torreglia, è un piccolo quadro di devozione privata, realizzato probabilmente a inizio ‘500 da un pittore veneziano riprendendo l’opera dello stesso soggetto realizzata da Andrea Mantegna per Isabella d’Este

L’iconografia della Natività ha trovato una definizione “per gradi”, arricchendosi di elementi nel corso del tempo: la Vergine con il Bambino, san Giuseppe, la mangiatoia, i pastori, la stella, i Re Magi Marcellino, per diventare poi variabile fino a fissarsi nell’iconografia dei Tre Magi, sapientissimi sacerdoti persiani venuti dall’Oriente guidati dalla stella cometa per adorare il Cristo, portando oro incenso e mirra, e ricordati nella letteratura apocrifa con i nomi di Baldassarre, Melchiorre e Gaspare. Così li vediamo nella pagine più sontuose della pittura medievale e rinascimentale, quando il tema diventa uno strumento di rappresentazione auto-referenziale presso le famiglie di alto lignaggio. Un esempio per tutti è certamente quello di Palazzo Medici Riccardi a Firenze in cui l’elegante linearismo di Benozzo Gozzoli (1459) descrive il fastosissimo corteo dei Magi, fra i più preziosi che si

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siano mai visti, con una chiara allusione alla ricchezza e potenza dell’aristocratica famiglia fiorentina che lo aveva commissionato. Più sobri sono gli esempi di poco successivi in area veneta, forse perché segnati dalla più intima religiosità della devotio moderna. C’è bisogno di un rapporto più diretto con la fede: il devoto vuole “entrare” nella storia sacra e immedesimarvisi, per poterla contemplare. Le storia diventa dunque essenziale, depurata dagli elementi di contorno: un’operazione di sintesi che possiamo apprezzare nella splendida versione di Andrea Mantegna per Isabella d’Este, nel quadro (1497-1500) ora al Getty Museum di Los Angeles: quasi un close-up, vista l’inquadratura ravvicinatissima. Sembra guardare al nuovo modello “abbreviato” l’Adorazione dei Magi (Padova, Museo Diocesano) proveniente dalla chiesa di San Sabino in Torreglia, un piccolo quadro di devozione privata, realizzato probabilmente a inizio ‘500 da un pittore veneziano e donato alla parrocchia dal sacerdote Jacopo Facciolati (1682-1769), che era nato nel grazioso borgo euganeo: un delicato tassello di memoria che va ad arricchire il profilo di un patrimonio comune.


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Azienda Agricola Fontolan A NATALE PORTA IN TAVOLA CARNI DI QUALITÀ E GARANTITE Le migliori carni allevate e macellate in azienda, al bancone varietà, cortesia e i migliori consigli per preparare al meglio i vostri piatti per le Feste Il Natale è la festa della famiglia che si riunisce, per tradizione, attorno ad una tavola imbandita. Il cibo fa parte dello stare assieme, è la nota che sottolinea la Festa: per questo è importante che i piatti siano di grande qualità. Ma perché realmente lo siano è fondamentale la materia prima. All’Azienda Agricola Fontolan qualità significa natura, rispetto dei cicli di coltivazione e allevamento, attenzione nelle lavorazioni per carni morbide e gustose, un risultato che qui si ottiene con il massimo controllo su tutta la filiera, dalla terra al piatto del consumatore. E per rispettare la tradizione del Natale il bancone è fornitissimo: dai tagli nobili della coscia e delle lombate, con fiorentine, costate e filetti, ai tagli dell’anteriore per spezzatini, brasati, arrosti e bolliti, tutti ottenuti da “sorane” di razza charolaise francese, carni tra le più tenere, dalla grana fine e con pochissimo grasso di copertura. E non mancano i ruspanti di bassa corte, i tagli del maiale e ovviamente gli insaccati, tutti allevati e prodotti in azienda con metodi tradizionali. L’azienda aderisce al disciplinare di Unicarve per l’allevamento a cereali. Benessere degli animali, pulizia e filiera sicura attestano il marchio “Carne di qualità”

Con l’arrivo delle Festività il punto vendita è attrezzato per preparare

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IL LARDO, stagionato sei mesi con sale, pepe, rosmarino e foglie di salvia e alloro

PROSCIUTTO, ottenuto dalla noce della coscia di maiale, salato, pepato, aromatizzato con cannella e chiodi di garofano e insaccato in budello naturale, asciugato per 15 giorni e stagionato per sei mesi

BRESAOLA DI SCOTTONA AI CEREALI, ricavata dal girello di coscia, speziata con sale e aromi, insaccata in budello naturale e stagionata con metodo tradizionale circa 45 gg

AZIENDA AGRICOLA FONTOLAN Via Argine Sx, 61 - 35024 Bovolenta (PD) Tel 049 5347142 - info@aziendaagricolafontolan.it - www.aziendaagricolafontolan.it ORARI D’APERTURA: VENERDÌ 15.30 - 19.30 e SABATO 9.00 - 12.15 e 15.30 - 19.30


BOTTIGLIE PER LE FESTE E PER TUTTO L’ANNO Negli impianti di via Marconi aVo’ Euganeo sono già in vendita le bollicine euganee: Fior d’Arancio, Prosecco, Serprino, Chardonnay, Pinot e il Notte di Galileo 2015

La vendemmia è finita, anche quest’anno la magia che trasforma l’uva in vino si è compiuta, malgrado una stagione non certo da incorniciare, e profumi e sapori hanno trovato il loro posto, in bottiglia. Anzi dentro le bottiglie visto che gli ottanta mila quintali di uve conferite qui, in via Marconi, vengono vinificati e e messi sotto vetro in un numero che supera abbondantemente i due milioni di unità, destinati a raggiungere sia il mercato interno che quello estero. Usa, Canada, Cina, Sud Korea ed Europa, infatti, si confermano buoni mercati per le etichette con su impresso “Cantina Colli Euganei”. Insomma l’offerta legata alla vendemmia 2017 sarà di grande qualità come conferma i feedback del Fior d’Arancio, del Prosecco del Serprino Frizzante dello Chardonnay, che qui si chiama Rialto, e del Pinot, ai quali è già stato messo il tappo e le bottiglie già campeggiano dagli scaffali della vendita insieme a quella del Notte di Galileo 2015, ossia l’etichetta ammiraglia della cantina, la “riserva”, ottenuta con Merlot al 60% e Cabernet Sauvignon al 40%, sottoposte a leggero appassimento. E per le imminenti festività natalizie la bottiglia da non dimenticare è quella del Fior d’Arancio spumante e passito, il vino ideale con cui accompagnare panettoni e pandori e brindare al nuovo anno.

LA CANTINA La Cantina Colli Euganei è una società cooperativa agricola fondata nel 1949, nata per volontà di un gruppo di viticoltori che si sono associati per poter raccogliere, vinificare e commercializzare il vino della zona Dop e Igp dei Colli Euganei. Oggi raggruppa circa 600 produttori, disseminati all’interno del territorio protetto dal Parco dei Colli. Per gli associati la cantina è un punto di riferimento quotidiano: consulenza enologica, assistenza tecnico-formativa per i viticoltori, grande attenzione alle scelte di qualità, in vigna come in cantina. E’ un’azienda certificata, che impiega tecnologie all’avanguardia in tutte le fasi della lavorazione. Aggiornamento costante, cultura tecnica e competenza caratterizzano lo staff che si impegna per dare la certezza di una filiera totalmente controllata, dal grappolo alla bottiglia. Con 8 milioni di chili d’uva raccolta, 6 milioni di litri di vino prodotto e 2 milioni di bottiglie distribuite la Cantina Colli Euganei è il maggiore produttore dell’area. Oltre ai punti vendita di Vo’, Limena e Selvazzano e Galzignano terme è possibile acquistare i prodotto della Cantina Colli Euganei anche on-line. Basta una mail all’indirizzo info@cantinavo.it per entrare in contatto con un operatore e poter accedere al acquisti e ricevere entro 48 ore il vino desiderato direttamente a casa cantina colli euganei s.c.a. via marconi, 314 - vo’ euganeo (pd)


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NOTTE DI GALILEO 2015,

LA RISERVA DA REGALARE

IL PUNTO VENDITA PER IL VOSTRO NATALE Nel Punto vendita della Cantina non è solo la rivendita delle bottiglie prodotte qui è, invece, un posto in cui si possono trovare le migliori eccellenze dell’agroalimentare nazionale: pasta, pomodori, olio, miele e ovviamente i dolci. Per Natale è il posto giusto in cui cercare originali idee da regalare insieme alle bottiglie della cantina e alle pregiate grappe ottenute dalle vinacce delle uve lavorate qui come l’Acqua vite di Moscato, la Grappa di Fior d’Arancio e la barricata con il Notte di Galileo.

Notte di Galileo è la “riserva della cantina” prodotto con uve Merlot e Cabernet Sauvignon, provenienti da aziende selezionate nella zona DOC Colli Euganei aderenti al Progetto Qualità, è il risultato di un procedimento di vinificazione condotto attraverso un prolungato contatto a temperatura controllata tra mosto e bucce, per permettere il completo rilascio di tutte le caratteristiche. Al termine delle fermentazioni il vino sosta in barriques di rovere pregiato per 15-18 mesi durante i quali si affina in modo completo, acquisendo profumi e morbidezza. Un’ulteriore permanenza in bottiglia ne completa la maturazione, predisponendolo ad una degustazione ottimale.

I NOSTRI PUNTI VENDITA • LIMENA via Buccia, 1 Tel. 049 8843803 - Fax 049 76 62 081 • CASELLE DI SELVAZZANO via Nazzario Sauro, 2 Tel. 049 8978378 • GALZIGNANO TERME via Valli, 55 Tel. 049 525384 tel. 049 9940011 - fax 049 9940497 - www.cantinacollieuganei.it - info@cantinavo.it


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Villa Momi�s ristorante ∙ pizzeria

BEAUTIFUL DAY Villa Momi's è il luogo ideale per matrimoni, cresime ed ogni altro tipo di ricorrenza. Per gli sposi e i loro invitati è riservata un'ospitalità particolare, con aree e intrattenimenti privati. Villa Momi's permette anche cene e pranzi di lavoro, con la massima tranquillità e distensione per i propri colloqui d'affari. Alla sera i locali sono destinati anche a chi desidera un po' di intimità, con un armonia che solo il lume di candela riesce a creare Due sale separate in due piani. Giardino estivo. Oltre 300 posti a sedere Locale rustico in chiave moderna unico nel suo genere, immerso nel verde

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Carni di maiale e insaccati di altissima qualità Animali allevati direttamente in azienda e prodotti genuini, realizzati secondo tradizione I segreti della norcineria, il legame profondo con il territorio e le ricette di un tempo, abbinati all’attenta ricerca di offrire al cliente un prodotto senza l’aggiunta di conservanti o additivi, sono oggi, il punto di partenza della nostra linea di salumeria. Ciò passa attraverso una altissima selezione della materia prima, utilizzando solo ed esclusivamente carni provenienti da suini allevati in azienda e alimentati con prodotti di grande qualità. Solo così si possono ottenere carni di eccellenza. Segue poi una scrupolosa, selezione dei tagli migliori e una lavorazione senza utilizzo di conservanti o additivi, come richiede ora un consumatore attento alla qualità di ciò che consuma e alla sua salute.

Vendiamo anche maialini vivi e animali già maturi. Durante la stagione fredda la nostra offerta si completa con faraone, capponi e anatre allevati a terra Siamo presenti al mercato domenicale di Camisano Vicentino

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INGIROPIEDANDO di Maurizio Drago

DUE PAROLE CON

Franco Zanovello, PRESIDENTE DELLA “STRADA DEL VINO COLLI EUGANEI”

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Nella foto: Franco Zanovello

Da due anni alla guida dell’associazione abbiamo chiesto qualche informazione sui progetti futuri: Vulcanei e il Parco Biologico d’Italia


INGIROPIEDANDO

Franco Zanovello, presidente della Strada del Vino: perché? Cosa l’ha portato ad accettare questo incarico? “Sono presidente da due anni. Per 3 volte sono “scappato”, alla quarta volta ho detto sì, subentrando a Francesca Salvan che ha svolto un buon lavoro. Io sono per la squadra e cerco di coinvolgere il maggior numero di persone e strutture che sono orientate al comune obiettivo di valorizzare un territorio rispettoso dell’ambiente e della qualità della vita”. Un bilancio di questi due anni di attività? “Un bilancio positivo che guarda in avanti. Il primo evento che ho voluto “creare” è Vulcanei, la rassegna nazionale dei vini provenienti da uve coltivate in terre vulcaniche. I Colli Euganei sono l’emblema di questo, la loro forma conica è un unicum, basterebbe questo a renderli un’attrattiva turistica”. Fortunatamente c’è anche molto di più: arte, storia, paesaggio e ovviamente il vino. Una produzione che negli anni è cresciuta soprattutto in qualità. Fino a non molto tempo fa il vino dei Colli Euganei veniva venduto sfuso, in tanica, oggi invece le bottiglie trovano consenso in importanti concorsi nazionali? Inequivocabilmente c’è stato un cambio di marcia… “Il cambio di marcia lo ha dato il mercato e la qualità. Si produce meno vino ma di qualità. Il vino sfuso veniva venduto nelle damigiane (una volta non c’erano le taniche, almeno questo era un aspetto “romantico”). Ora il vino dei Colli Euganei si fa conoscere in Italia e all’estero e riceve sempre più riconoscimenti a livello nazionale e internazionale”.

Il sogno di Franco Zanovello? “Il mio sogno? Che i Colli Euganei possano diventare il primo Parco Biologico d’Italia, 180 km quadrati. Le premesse ci sono tutte: i Colli Euganei sono Parco Regionale, hanno un terreno vulcanico, è riserva di biosfera e dallo scorso anno alcuni comuni si sono riuniti per costituire il biodistretto. Il biodistretto è un’area geografica in cui gli operatori locali stringono un accordo per produrre e rendere le loro attività “sostenibili”, costituendo filiere locali, gruppi di acquisti in collaborazioni con le amministrazioni locali e le scuole, privilegiano i prodotti biologici ogni qualvolta siano disponibili, aiutando le aziende (anche finanziariamente) a convertirsi in “biologiche”. È già in cantiere la terza edizione di Vulcanei? “Direi di sì, abbiamo già le date: si terrà dal 12 al 14 maggio 2018 al Castello di Lispida, ma non solo. Verranno coinvolte anche altre importanti dimore storiche come il Giardino di Valsanzibio, il Catajo e altre nel comune di Monselice. Saranno la sede di “eventi nell’evento”: un modo per coivolgere l’intero comprensorio euganeo. L’edizione di quest’anno, inoltre, avrà un’altra novità, oltre alle date destinate ad appassionati winers, durante il fine settimana, ci sarà una giornata in più, il lunedi, dedicata agli addetti ai lavori (produttori e buyers), esclusivamente dedicata agli incontri commerciali”.

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INGIROPIEDANDO

COS’È LA

“Strada del Vino Colli Euganei” La Strada del Vino Colli Euganei è nata nel 2002. Il suo obiettivo è la promozione del territorio dove viene prodotto il vino. Con il vino si promuove anche l’olio e altri prodotti coltivati, la ristorazione e l’ospitalità. L’associazione conta oltre cento soci divisi tra produttori vitivinicoli, agriturismi, produttori di olio e altri. Da poco sono entrate 4 strutture del golf e 6 musei della provincia di Padova.

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A OGNUNO IL SUO CALICE… di Emanuele Cenghiaro

SOAVE

Banchetti e brindisi…

CHARDONNAY

ROSÈ

BONARDA

NERO D’AVOLA

MERLOT

PINOT NERO

PASSITO

PORTO

CHAMPAGNE PROSECCO

MOSCATO

ECCO LA SCELTA GIUSTA Cinque etichette regionali per una proposta enologica da coniugare ai riti delle Feste

P

ossiamo accompagnare un menù natalizio con “i soliti vini”, oppure continuare il nostro viaggio tra etichette rappresentative della nostra regione, tutte da scoprire. In questo numero abbiamo pensato di ricercare qualche vino che possa essere degustato durante cene e cenoni del periodo delle feste, che sia Natale, Capodanno o l’Epifania. Sono solo cinque suggerimenti, altri li potrete avere nelle

enoteche o nelle cantine che nel periodo prenatalizio saranno ben felici di farvi provare le loro proposte, e in qualche caso anche i vini della nuova vendemmia. Ecco quindi - al posto delle consuete “categorie” Celebrità, Tradizione, Riscoperta e così via - una proposta di bollicine per gli antipasti, un bianco per i primi, un rosso per i secondi, un’altra bollicina per il brindisi di mezzanotte e una per il dolce.

PER GLI ANTIPASTI DI PESCE (TREVISO) RIVA MORETTA, Prosecco bio una bollicina per delicatezze croccanti e frittini Il Prosecco Doc o Docg, ma in versione frizzante: quelli con lo spago sul tappo. Sono perfetti per accompagnare le delicatezze croccanti, i frittini di verdure o i crostini che potreste trovare nel piatto di pranzi e cenoni. Quale marca suggerire? Ce ne sono tantissime, ormai: avete mai provato un Prosecco bio? Quello, ad esempio, della cantina Perlage di Soligo: il Riva Moretta. Se preferite più bollicine, la cantina propone una vasta scelta di spumanti tra cui quello biodinamico o senza solfiti aggiunti. C’è anche il Prosecco pensato per i vegani.

La cantina propone una vasta scelta di spumanti tra cui quello biodinamico o senza solfiti aggiunti. C’è anche il Prosecco pensato per i vegani

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A OGNUNO IL SUO CALICE… PRIMI PIATTI (VENEZIA) INCROCIO MANZONI ORNELLA BELLIA, la migliore tradizione vitivinicola veneta Nel cuore dell’area del Lison Pramaggiore, terre di natura alluvionale al confine tra Veneto e Friuli, l’azienda di Ornella Bellia è arrivata alla terza generazione di viticultori dopo il nonno Aurelio e il padre Giovanni e porta ancora avanti la migliore tradizione vitivinicola veneta. Abbiamo scelto l’Incrocio Manzoni, vino adattabile a molti primi piatti, dalle creme e vellutate ai soufflè di verdure e di pesce, ma anche i risotti di pesce. In alternativa, l’autoctono Tai, abbinabile come vino fermo agli antipasti e ai primi a base di pasta.

Dall’area del Lison Pramaggiore un accostamento per creme e vellutate, soufflè di verdure e di pesce e risotti di pesce

SECONDI PIATTI (PADOVA) FRIULARO DOMINIO DI BAGNOLI, calice sontuoso per piatti pieni di gusto “Vin da viajo” lo chiamavano i veneziani 500 anni fa, per via di un’acidità quasi doppia che lo rendeva idoneo alle grandi trasferte nel Mediterraneo La cantina “Il dominio di Bagnoli” è sinonimo di Friularo, celebre vino che deriva da un clone del raboso del Piave coltivato a Bagnoli (Pd) da almeno 500 anni e oggi riconosciuto come Docg. Noto per essere un vino aspro e per pochi, oggi è invece un prodotto fresco e piacevole. Al Friularo Classico si può sostituire, nel caso di un piatto più complesso (brasati e carni in umido o formaggi mediamente stagionati, ad esempio), il più corposo Friularo Riserva, che matura 15 mesi in botti grandi. Più su, c’è anche il “Vendemmia tardiva”.

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A OGNUNO IL SUO CALICE… PER IL DOLCE (PADOVA) CON PANDORE E PANETTONE: IL PIANZIO MOSCATO FIOR D’ARANCIO spumante dei Colli Euganei Docg e si va su sicuro Se volessimo dare ascolto ai sommelier (come io sono…), arrivati al dolce dovremmo stappare un vino dolce. Qualcuno storcerà il naso: ma questa è la regola, poi ognuno faccia come crede. Quindi, per pandoro o panettone, un bel Moscato Fior d’arancio spumante dei Colli Euganei Docg! C’è l’imbarazzo della scelta: di recente ho assaggiato con piacere quello dell’azienda Il Pianzio di Galzignano, profumatissimo. L’azienda spumantizza anche il moscato bianco: ma il colore dorato, bello nel bicchiere, è il più appropriato da accostare a quello dei dolci natalizi.

L’azienda spumantizza anche il moscato bianco: ma il colore dorato, bello nel bicchiere, è il più appropriato da accostare a quello dei dolci natalizi

PER IL BRINDISI DI MEZZANOTTE (VICENZA) CÀ ROVERE DI ALONTE, top per i Brut, Extra dry e Demisec Vitigni “internazionali” e autoctoni “Made in Colli Berici” rigorosamente spumantizzati con il “metodo classico”

Quale idea per non ritornare al Prosecco? L’azienda Cà Rovere di Alonte si è specializzata in spumanti prodotti nei Colli Berici utilizzando sia vitigni “internazionali” che autoctoni. Tutti rigorosamente spumantizzati con il “metodo classico”. Il Brut (Chardonnay 70 % Garganega 30 %) è disponibile anche in formato magnum, perfetta per il brindisi di compagnie numerose: affina almeno 36 mesi sui lieviti. In alternativa, il Brut blanc de blancs (solo uve Chardonnay), l’Extra dry e il Demisec (ovvero piuttosto dolce).

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Natale

di tradizione Nello storico e giustamente celebrato ristorante di Lusia è arrivato il tempo di portare in tavola i piatti più autentici della civiltà contadina, quelli che un tempo differenziavano i giorni normali dai dì di festa Il Natale è un momento speciale, un rito che richiede calore e intimità. Per questo ci piace creare la giusta atmosfera e portare in tavola i piatti classici dei giorni di festa. La Vigilia da noi è la Vigilia ed è d’obbligo il magro: baccalà alla capuccina e spaghetti con le “sardelle” come pretende la più ferrea tradizione, mentre il giorno di Natale è semplicemente la Festa e il menù è una vera e propria istituzione non possono mancare i tortellini fatti a mano in brodo di cappone o la nostrana “bondola”, quella, per intenderci, che i nostri nonni un tempo mettevano via proprio per essere mangiata nel dì più solenne. Profumi, gusti e sapori sono il nostro modo di vivere la gioia, l’ospitalità e lo splendore di questa importante ricorrenza, senza dimenticare mai di alzare il bicchiere al momento giusto per il brindisi, ovviamente, con le migliori etichette.

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vigneto in buone mani TUTTI I SERVIZI • Rilievo in campo con sistema GPS ultima generazione • Studio e progettazione dell’impianto con sistema AutoCad • Messa a dimora delle barbatelle con trapiantatrice Wagner Champion a guida GPS • Distribuzione e impianto pali intermedi con piantapali cingolato leggero a guida a GPS • Allestimento testate, stesura e fissaggio fili, impianto e fissaggio tutori • Realizzazione impianti a goccia e subirrigazione con servizio di noleggio gruppo motopompa e filtri • Si eseguono potature verdi e secche • Lavorazioni interfilari • Interventi fitosanitari • Vendemmia e trasporto

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Agnese…

di Silvano Bizzaro - Sommelier s.bizzaro@alice.it

il BioVegano Rosato dei Colli Euganei

H

o conosciuto recentemente L’Azienda Agricola Terre preziose, di Galzignano Terme, che produce vini Vegani da Agricoltura Biologica fin dal 2012, ossia dal primo anno di vita della cantina. Una realtà florida, cresciuta sulle ali della passione smisurata che si coglie anche nello sguardo convinto di Stefano Picello, titolare dell’azienda. È la centunesima azienda entrata nel Consorzio Colli Euganei - Distretto Biologico; la quarta nel Veneto certificata per produzione di vini bio-vegani. L’Azienda produce anche olio extravergine di oliva e altri vini DOC Colli Euganei per un totale di sedici etichette registrate, tutti vini certificati “Bio Vegan”. In occasione delle Degustazioni Panoramiche al castello del Catajo di Battaglia Terme dello scorso agosto ho avuto modo di assaggiare l’ultima nata dell’azienda, ossia “Agnese”, un rosato veneto IGT da Pinot Grigio 100%, vendemmia 2016; 13% vol. L’uva impiegata per la sua vinificazione arriva dalle terre pianeggianti-collinari limitrofe alla cantina, la vendemmia è manuale e la raccolta avviene nella prima decade di agosto. Pigia diraspatura soffice con vinificazione in bianco. Il colore in realtà è una scelta della cantina,

lo si ottiene regolando il tempo di contatto del mosto con le bucce, a Stefano piace il “buccia di cipolla”, alla francese, un colore non tradizionale nei rosati dei Colli Euganei e in altri rosati italiani. Stoccaggio in vasi vinari di acciaio a temperatura termo-controllata per circa 4 mesi e imbottigliamento nella prima quindicina di dicembre. Bassissimo contenuto di solforosa (60 mg/lt contro i 70 mg/lt mediamente utilizzati nei vini biologici e i 210/lt nella produzione convenzionale). Essendo la prima produzione la quantità è stata bassa (1500 bottiglie) vendute in pochi mesi, tanto è stato il successo tra i suoi clienti! DEGUSTAZIONE All’analisi visiva ottima trasparenza e brillantezza. Al naso si percepiscono sentori di vegetali, fiori di campo e una spiccata nota di mandorla. Al palato una piacevole nota di freschezza, sapidità, lieve nota tannica, il tutto conduce ad un gusto aromatico ed equilibrato. Retrogusto persistente.

La Scheda di Con i piedi per terra ⊲ ANALISI VISIVA

Trasparente e brillante. Color buccia di cipolla

⊲ ANALISI OLFATTIVA

Complesso con note vegetali, fiori di campo e una spiccata nota di mandorla

⊲ ANALISI GUSTATIVA

Caldo e avvolgente con buona freschezza e sapidità; lieve nota tannica, grande bevibilità. Complessivamente armonico ed equilibrato. Retrogusto persistente

⊲ ABBINAMENTO

Accattivante come aperitivo con spuncioni e spuntini. Antipasti all’italiana. Primi piatti leggeri a base di carni bianche e pesce

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Natale a Corte Bonicella, agriturismo, B&B e fattoria didattica Un luogo ideale per pranzi e cene in cui è possibile uscire dai soliti schemi e ritrovare il piacere dei piatti tradizionali, ma rivisitati secondo il gusto moderno La pastorizia è l’arte che la famiglia Morandi si tramanda di generazione in generazione e che oggi continua ad essere il centro di un’offerta che spazia dalla vendita di carni fresche, pecora, agnello, agnellone e castrati, all’ospitalità in agriturismo con fattoria didattica. Corte Bonicella, infatti, è luogo ideale per pranzi e cene in cui è possibile uscire dai soliti schemi e ritrovare il piacere di antichi sapori, preparati con ricette tradizionali, ma dal gusto moderno. Au-

tentiche specialità sono gli insaccati e gli stagionati come il salame, la passita, il lonzino, il fiocco e il prosciutto di pecora, venduti anche sottovuoto per ricette veloci e facili da preparare a casa, e tipicamente legati alle Feste sono gli arrosti, le costolette di agnello o gli arrosticini qui serviti con una salsa menta che ne esalta profumi e sapori. Da provare e riprovare è il formaggio, ovviamente pecorino fresco o stagionato nella baita dell’alpeggio in abbinamento alle marmellate, sempre prodotte dalla casa. Non manca l’ospitalità e quel calore che dà il senso vero alle Feste.

Gli arrosticini sono una delle specialità della casa La linea di insaccati è uno dei fiori all’occhiello della produzione di casa, la bresaola di pecora è stata insignita dell’ambito premio Golosario

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AMICI CON LE ALI di Stefano Bottazzo e Aldo Tonelli

IL RITORNO DEL GHEPPIO NEL PADOVANO MA VA A VIVERE IN CITTÀ Dopo decenni di assenza il piccolo rapace, delle dimensioni di una tortora, sta tornando a popolare la nostra provincia. Un tempo prediligeva gli ambienti rurali, ora pare preferire gli ambienti urbani per nidificare

F

alchèto de tòre, così in dialetto è denominato il gheppio, il falco più diffuso in gran parte d’Europa e negli ultimi anni fa onore al nome preferendo nidificare su edifici in ambiente urbano. Rapace dalle dimensioni di una tortora, marrone chiaro superiormente e ali appuntite nere, la femmina è più grande del maschio e quest’ultimo è inconfondibile per la colorazione grigia di capo e coda. Di norma predilige ambienti di campagna ma lo si ritrova sempre più nei centri abitati, indice del peggioramento dei nostri ambienti: basti riflettere che negli ultimi decenni nella Pianura Padana sono scomparsi il 50% degli insetti e di conseguenza, essendo questi un anello fondamentale nella catena alimentare, la loro diminuzione va di pari passo con il diminuire della qualità ambientale: ricordiamo che nel 2016 in Italia si è avuto un crollo di produzione di miele del 70% causato dalla

scomparsa delle api. Il gheppio ha un ampio spettro alimentare, legato all’ambiente, con preferenza per piccoli roditori, rettili, insetti e di conseguenza ci indica molte cose con questo suo inurbamento. Cattura

Gheppio femmina

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AMICI CON LE ALI

Il gheppio cattura le prede volando rapidamente e soffermandosi sopra il terreno con rapidissimi battiti d’ala e coda aperta a ventaglio in una posizione tipica chiamata “spirito santo”

le prede volando rapidamente e soffermandosi sopra il terreno con rapidissimi battiti d’ala e coda aperta a ventaglio in una posizione tipica chiamata “spirito santo”, ricordando l’iconografia sacra in cui lo Spirito Santo scende sotto forma di colomba ad ali aperte, e che permette al falco di rimanere immobile in un punto per poter osservare con maggior precisione e sferrare rapidamente l’attacco con una picchiata verticale. Presente su gran parte del territorio italiano, nel Veneto, fino agli anni ‘80 del secolo scorso, era distribuito irregolarmente e mancava quasi totalmente in numerose zone. In seguito ebbe inizio una fase di espansione nelle varie provincie venete con esclusione, curiosa e in un certo senso preoccupante, di quella padovana. Nei primi del novecento era considerato “comune” dal padovano Ettore Arrigoni degli Oddi (1867-1942), uno dei più grandi ornitologi italiani, e fino agli anni ‘50 del secolo scorso era ancora ricordato come nidificante in alcune località dei Colli Euganei. Il declino iniziò in quegli anni e il trend negativo proseguì fino alla fine degli anni ‘80, con la totale scomparsa della specie nel periodo riproduttivo. Le cause di questo drastico declino sono note e si possono riassumere nella distruzione o riduzione degli habitat, nell’uso dei pesticidi in agricoltura, nella persecuzione diretta e nella scomparsa di siti idonei per la nidificazione. Una ricerca dei primi anni ‘90 portò a risultati totalmente negativi su eventuali coppie nidificanti nella provincia di Padova e solo nel 1997 si ebbe finalmente la prima nidificazione di gheppio nel Padovano dopo decenni di assenza! Segno dei tempi, il nido era posto in una finestra di un capannone in costruzione in una zona fortemente industrializzata alle porte di Padova: in fondo quel periodo era caratterizzato dall’espandersi, caotico e devastante dal punto di vista ambientale, di industrie ed economia del “ricco Nord-Est”. Finalmente dal 2000 le osservazioni sembravano indicare un modesto ma costante

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incremento delle coppie che vennero confermate da una nostra indagine specifica e accurata effettuata nel 2003. Trenta furono le coppie individuate in tutto il territorio padovano: metà aveva scelto come sito una cavità in un manufatto umano (chiese, mura, casolari), l’altra metà invece aveva occupato nidi di corvidi, in particolare di gazza, su alberi e tralicci delle linee elettriche. Un piccolo paese, Creola di Saccolongo, assurse agli onori della cronaca per avere 3 coppie con i nidi posti a pochi metri l’uno dall’altro e con 16 piccoli gheppi coccolati e controllati a distanza, fino alla loro felice partenza, dagli abitanti del luogo che li avevano per così dire adottati, avvertendo prontamente i Vigili del fuoco per rimettere nel nido un piccolo caduto dal rosone della chiesa parrocchiale. Oggi la situazione è positiva per il piccolo falco e tra i rapaci diurni è la specie più comune anche per la provincia di Padova. Non si deve tuttavia abbassare la guardia poiché le condizioni che hanno portato a questo suo ritorno possono mutare anche in modo rapido e pur tenendo conto, come dimostrato dalla nostra esperienza, della sua adattabilità all’ambiente si deve sottolineare che la specie è considerata in declino dal 2000 in molti paesi europei. In fondo non sono passati che pochi anni da quando ci telefonavamo emozionati: “Non ci crederai, ma oggi ho visto un gheppio!”.

Un piccolo paese, Creola di Saccolongo, assurse qualche tempo fa agli onori della cronaca per avere 3 coppie con i nidi posti a pochi metri l’uno dall’altro e con 16 piccoli gheppi coccolati e controllati a distanza, fino alla loro felice partenza, dagli abitanti del luogo che li avevano per così dire adottati


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“Il Friularo con i suoi toni persistenti, rispecchia la quiete della nostra campagna. Un vino da introspezione capace però di accompagnare anche piatti di carne rossa, selvaggina, formaggi saporiti e cioccolato amaro, per questo è la bottiglia giusta da mettere in tavola durante le Feste. È quello che ci vuole per accompagnare i giusti sapori e per scaldare il cuore!”


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