Con i Piedi per Terra | 03. AI PIEDI DEI COLLI EUGANEI

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N. 3 - Febbraio 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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arte storia e natura prodotti tipici

GENNAIO E FEBBRAIO

MESI DELL’ACQUA E DEL FUOCO

IL MITO DELLA CAMPAGNA

ARCADIA FELIX SOLO PER IL ROMANTICISMO


GEOMETRA

loris destro

Progettazione Architettonica | Direzione Lavori | Studio d’interni Consulenze Tecniche | Catasto, Successioni e Regolamento di Confini Sistemazioni Agrarie e Fabbricati Agricoli

via Giuseppe Mazzini, 343 | Pontelongo (PD) | Cell. 334 8810729 | geom.destro@alice.it


Numero 3 - Febbriao 2014

Direttore responsabile: Mattia De Poli Editore: Speak Out srl Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere - VE speakout@live.it

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Alluvione, la Bassa preda dell’acqua

Hanno collaborato a questo numero: Mauro Gambin Claudio Giulivo Loredana Pavanello Francesco Selmin Mario Stramazzo Alessandro Tasinato Aldo Tonelli Progetto Grafico: Think! soluzioni creative Piove di Sacco (PD) think.esclamativo@gmail.com Tel. 049 5842968 Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl speakout@live.it Stampa: E-Graf srl via Umbria, 6 - Monselice (PD) grafica@e-graf.it Tel. 0429 73735 Giornale chiuso il 26 febbraio 2014

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RNI

O STORIA E DINT

Il museo che non ti aspetteresti

PERCORSI

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(più spese spedizione)

Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013

In copertina il “Carnevale surreale” di Marcello Zanin

L’0ttocento, secolo lungo come la fame

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Tiratura: 5000 copie Diffusione: periodico bimestrale Sped. in abb. post. € 25,00

Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari)

ATTUALITÀ

Il fuoco nella fede e dei Santi ARTE E SACRO

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L’antico mestiere della frittolera

CON I PIEDI SOTTO LA TAVOLA


EDITORIALE

TRA FUOCO E COLORI Un ballo di carnevale… in attesa della primavera di Mattia De Poli

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istrugge e incanta. Cosa, meglio del fuoco, riassume in sé poteri così diversi, opposti? È naturale, istintivo, ritrarsi spaventati davanti allo “sputafuoco” ma la sua magia affascina. E anche quei bambini, che cercano un riparo sicuro tra le braccia dei genitori, subito sono naturalmente portati a guardare, divisi tra curiosità e aspettativa, se quel prodigio si ripeterà nuovamente davanti ai loro occhi. C’è qualcosa di mostruoso in quest’arte. C’è qualcosa di super-umano nell’affrontare la “prova del fuoco”: qualcosa di primitivo ma anche di sacro. C’è qualcosa di sensuale nel movimento della lingua di fuoco: quella in cui Dante Alighieri imprigiona nell’Inferno i fraudolenti, coloro che - come Ulisse e Diomede - hanno utilizzato proprio la lingua per accendere gli animi di altre persone e con un uso sapiente della parola le hanno tratte in inganno. Da piccolo ho assistito un’unica volta, in occasione dell’Epifania, alla “brusavecia” (chiamato in alcune località anche “panevin”): un gioco vivace di luci ed ombre, il calore della vampa, il rumore, il crepitio della legna che brucia, l’odore acre, le “bronze” (le braci) e, prima dalla fine, prima della cenere, una girandola fantasmagorica di faville, quasi una danza. A distanza di anni nel rivedere quello spettacolo magico si è riaccesa nella memoria la stessa curiosità, mista a paura e condita da un pizzico di nostalgia. Di quel fuoco che si va consumando cosa resta? Resta il ricordo e resta la speranza. Il ricordo dei bambini e la speranza

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dei grandi: se il fumo che sale dalla pira prende una certa direzione, l’annata sarà buona; diversamente i mesi a venire saranno faticosi e il raccolto e i guadagni saranno magri. Ma per tutti l’impressione - indubbiamente forte, intensa - è di breve durata. La mente sale in alto, seguendo il movimento irregolare e imprevedibile delle faville che sprizzano via dai tizzoni scoppiettanti. E nessuno pensa più al futuro: ci si gusta la gioia e la carica che trasmettono quei brevi istanti di vivace calore e colore. Allora avviene una trasformazione: è il canto del cigno, ma non ha importanza. Tutti sappiamo che arriverà il mercoledì delle ceneri e arriverà la quaresima, ma ugualmente ci lasciamo sedurre dai colori e dall’allegria del carnevale. Ha una natura mutevole: la sua durata varia di anno in anno. Ma la sua intensità, la sua travolgente energia è sempre la stessa. Tra il fuoco vivo e il grigio della cenere si apre un ventaglio colorato, animato da maschere, coriandoli e stelle filanti, che invita a gridare: “Viva Bacco e viva Arianna!”. È un verso famoso della poesia carnascialesca di Lorenzo de’ Medici, ripreso in modo originale dal veneto Carlo Goldoni nella commedia di ambientazione fiorentina “La locandiera”. Vino, amore, e ognuno aggiunga quello che vuole. Ma delle gioie e dei piaceri della vita - ci domandiamo ancora - cosa resta? Forse, proprio il piacere di essere stati sedotti e la speranza che un giorno possa capitare nuovamente lo stesso fortunato accidente.



ELZEVIRO

Un tempo

PER SCONGIURARE DANNI ALLA CAMPAGNA SI ADAGIAVANO SUL FUOCO RAMETTI DI ULIVO In quattro anni la Bassa Padovana ha conosciuto due alluvioni le cui conseguenze avrebbero potuto essere anche ben più gravi. Forse ci è andata bene ma per quanto andrà avanti così?

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cco la valle della sciagura: fango, silenzio, solitudine e capire subito che tutto ciò è definitivo; più niente da fare o da dire. Cinque paesi, migliaia di persone, ieri c’erano, oggi sono terra e nessuno ha colpa; nessuno poteva prevedere. In tempi atomici si potrebbe dire che questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani: tutto è stato fatto dalla natura che non è buona e non è cattiva, ma indifferente. E ci vogliono queste sciagure per capirlo!... Non uno di noi moscerini vivo, se davvero la natura si decidesse a muovere guerra...”. Queste sono le parole che Giorgio Bocca ha usato mezzo secolo fa per commentare una tragedia ben più grave di quella accaduta nel

Il Terrazzo ai confini tra padovano e veronese è uscito dagli argini

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padovano agli inizi di febbraio. Bocca, infatti, parlava del Vajont, la sciagura ricordata appena un anno fa con solenni cerimonie in occasione del cinquantesimo anniversario. Sono state messe all’inizio di questo articolo, oltre che per la loro bellezza, perché parlano di acqua di natura e di colpa: “Tutto - scrive Bocca è stato fatto dalla natura, che non è buona e non è cattiva, ma indifferente”. La natura è sempre tirata in ballo quando si parla di acqua, sia nelle piccole che nelle grandi sciagure. Ricordare la sua indifferenza equivale al ritenere che le calamità siano punizioni mandate in terra del divino. Un tempo in campagna per scongiurare grandinate e trombe d’aria si prendevano i rametti di ulivo benedetti la domenica delle palme e si bruciavano davanti ad un’immagine della Vergine, forse era un rito apotropaico di memoria pagana, comunque un modo per reagire all’imponderabile. Anche le crocette fatte con due rami di salice e piantate in campagna, all’inizio del filare, erano un modo per ingraziarsi le forze superiori e riporre qualche speranza in un raccolto generoso. Con l’invocazione alla fortuna, insomma, l’auspicio era rivolto proprio alla natura con la speranza che la sua proverbiale indifferenza la tenesse lontana dal campo e comunque, se poi alla fine il danno ci fosse stato, sarebbe stato più facile accettarlo come figlio dell’insensibilità piuttosto che dell’astio o dell’accanimento di un Santo. La natura quindi centra con le sfortune dell’uomo ed è giusto stupirsi quando la natura


ELZEVIRO diventa innaturale o addirittura snaturata. Quest’inverno, ad esempio, è stato qualcosa di anomalo per temperature e per precipitazioni. Il mese di gennaio è stato il più caldo a Padova da quando esistono le rilevazioni ovvero dal ‘700, l’anomalia nelle nostre zone è stata tra i 4 e i 5 gradi superiori alle medie storiche. Per capirci un simile discostamento di valori termici era stato registrato nel terribile agosto del 2003. Per capirci ancora meglio: pur trovandoci di fronte a fenomeni diversi (nel 2003 si trattava di siccità, ora di precipitazioni che in montagna hanno superato fino a 5 volte quello che cade normalmente durante questo periodo), ricorrente sta diventando l’intensità di questi fenomeni. È evidente che non ci troviamo più di fronte al clima al quale ci eravamo abituati. Questo di adesso ha oscillazioni del tutto imprevedibili e l’estensione dell’anomalia arriva a un limite che ci mette in difficoltà. Resta da capire se queste anomalie siano da attribuire all’indifferenza della natura o piuttosto a responsabilità dell’uomo. Qui le scuole di pensiero si dividono e non è da escludere che perduri in qualcuno la convinzione che si tratti di punizioni del divino. L’atteggiamento remissivo e fatalista con la quale si attendono questi fenomeni lo lascia presagire. Come nel 2010 anche a febbraio l’acqua è tornata a fare paura, a minacciare la tenuta degli argini e a far temere per il peggio più o meno negli stessi comuni di allora. “Se piove - recita un detto popolare - a fèmo come quelli de Este: la lassemo vegnere...”. E così in 51 paesi del padovano si è fatto, prima l’acqua la si è guardata scendere dal cielo e poi risalire lungo gli argini dei fiumi fino all’emergenza, per 600 cittadini è stato necessario ricorrere allo sfollamento, nelle campagne l’acqua ha raggiunto e superato il metro, nelle valli di Megliadino San Vitale è stato inaugurato un nuovo sport: il kitesurf. “E no - vien da dire - non ci sono più la stagioni di una volta”... “qua un tempo era tutta campagna”. Ma se per l’acqua che scende del cielo l’atteggiamento non può essere molto diverso da quello dei cittadini di Este, per quella che sale lungo gli argini dei fiumi fino all’emergenza cosa si può sicuramente dire che rispetto al 2010 le cose sono cambiate poco o niente. Il rischio idrogeologico è stato percepito poco tra le istituzioni e niente tra gli stessi cittadini. Basti pensare che gli stanziamenti ap-

Le Valli di Megliadino San Vitale per qualche giorno sono tornate ad essere un grande lago

provati a dicembre dalla Regione, per la progettazione esecutiva di appalto dei lavori per la riduzione del rischio idrogeologico del territorio, hanno privilegiato fiumi che non si sono dimostrati pericolosi negli ultimi anni. Dei circa 20 milioni di euro disponibili, infatti, 2 milioni sono stati destinati tra Piave e Livenza, solo 400 mila euro invece per il Frassine che quattro anni fa spaccò gli argini tra Saletto ed Este, altri 1,5 milioni di Euro sono stati indirizzati al Piave per il consolidamento degli argini e il taglio degli alberi dell’alveo e solo 500 mila euro per il Roncajette che quattro anni fa insieme al Bacchiglione mandò sotto acqua Ponte S. Nicolò, Casalserugo e Bovolenta e stride anche il milione di euro per il trevigiano Monticano contro i 450 mila euro per la sicurezza del Bisatto - Battaglia a Monselice che, manco farlo apposta, ha esondato proprio quest’anno. Difficile risolvere la questione giustificandosi con ragioni attinenti al clima, forse centra di più il peso e la rappresentanza politica che la Bassa può vantare nelle istituzioni, ma è anche del tutto inutile indignarsi e urlare “piove, governo ladro!” quando l’acqua entra nello scantinato, perché il 40% di rete di scolo secondaria (la cui competenza è privata) che risultava interrata ed ostruita prima del 2010, è rimasta interrata e ostruita anche dopo. Certo dell’indifferenza della natura non ci si può fidare ma a volte, magari, ascoltando i segnali che ci invia, ci si accorgerebbe che è molto ma molto meno cinica di quanto ci abbiano abituato a credere.

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Emergenza idraulica, il Consorzio chiede il tempestivo intervento della Regione

È oramai accertata la scarsa capacità dei fiumi regionali di recepire le portate d’acqua afferenti al bacino idraulico, creando un elevato rischio idraulico nel territorio, non solo per gli allagamenti che si verificano, ma anche per il pericolo di rotture arginali Gli eventi piovosi che hanno interessato il territorio di competenza del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo di Este ma, in particolare le continue precipitazioni degli ultimi due mesi nell’area pedemontana vicentina e veronese (anche in aree esterne al comprensorio del Consorzio) hanno causato una situazione di emergenza idraulica su tutta la rete dei collettori di bonifica e dei fiumi regionali con un innalzamento dei livelli idrometrici generalizzato, mai registrato storicamente negli ultimi 20 anni. Il quantitativo di pioggia caduto cumulativamente nei territori pedemontani vicentini e veronese ammonta a oltre 550 mm in due mesi (all’incirca pari alla metà della pioggia annua media) e queste aree - pur esterne al comprensorio - gravitano idraulicamente sul sistema Agno-Gua’-Frassine - S.Caterina , sul sistema Fratta Gorzone e sullo scolo di Lozzo, deter-

minando uno stato di piena su tutta la rete di fiumi regionali (oltre ai citati Frassine-S.Caterina e Fratta Gorzone, anche del Canale Bisatto, del Canale Vigenzone, del Canale Bagnarolo e del Canal Morto) e, per l’impossibilità di scarico ordinario, anche di tutti i canali e degli scoli consortili.

I livelli dei Fiumi regionali sono rimasti elevati fino a metà febbraio, impedendo il funzionamento a pieno regime delle pompe idrovore La situazione di criticità per gli eccezionali livelli idrometrici dei fiumi che fungono da ricettori delle acque scaricate dalle 58 idrovore consortili, è stata ulteriormente accentuata dalle difficoltà di riversamento in mare a causa delle alte maree registrate nello stesso periodo temporale - afferma il Presidente del Consorzio Antonio Salvan - e il rischio di collassamenti

La situazione dell’Idrovora Cavariega a Vighizzolo d’Este durante i giorni dell’alluvione

arginali dei Fiumi Fratta e Frassine, in particolare, hanno comportato la parzializzazione del funzionamento degli impianti idrovori e addirittura il fermo degli impianti per più di sei giorni, con progressivo innalzamento dei livelli idrometrici dei collettori di bonifica consortili ed esondazione degli stessi con allagamenti delle aree più depresse del territorio (prevalentemente dei terreni più prossimi agli impianti idrovori). I livelli dei Fiumi regionali sono rimasti elevati fino a metà febbraio, impedendo il funzionamento a pieno regime delle pompe idrovore e rallentando perciò anche i prosciugamenti dei territori allagati. Nel Comprensorio del Consorzio - continua il Presidente Salvan - sono stati allagati per esondazione oltre 7.000 ettari e sono soprattutto concentrati nei Comuni di Agugliaro, Lozzo Atestino, Casale di Scodosia, Megliadino San Vitale,

l poligono di tiro ad Albettone

Consorzio di Bonifica Adige Euganeo www.adigeuganeo.it


messaggio pubbliredazionale

Nonostante l’operatività continua del personale consortile i danni e i disagi per la collettività sono ingenti Il Presidente Salvan, ricordando che analoghi allagamenti si sono ripetuti con frequenza negli ultimi sei anni, sostiene che è orami accertata la scarsa capacità dei fiumi regionali (soprattutto del Fiume Fratta Gorzone) di recepire le portate d’acqua afferenti al bacino idraulico, creando un elevato rischio idraulico nel territorio, non solo per gli allagamenti che si verificano ma anche per il pericolo di rotture

Località Forni di Albettone

CC

HIGL IONE

E ON RZ E GO

FIUM

E AD IGE

(+8,00) (+7,00)

LIVELLO MAX PIENA DELLʼACQUA

(+6,00)

LIVELLO NORMALE DELLʼACQUA

C. DEI CUORI

(+4,00) (+3,00) (+2,00)

BARBEGARA

(+5,00) REBOSOLA

FIUM

F. BACCHIGLIONE

BA

F. GORZONE

F. ADIGE

FIU ME

SEZIONE SCHEMATICA

Case sommerse a Campiglia dei Berici

IMMAGINE 2

IMMAGINE 1

Aree rurali a Vighizzolo

arginali con conseguenze ancora più gravose. “È necessario ed improrogabile che vengano posti in atto interventi strutturali da parte della Regione del Veneto per evitare il ripetersi di situazioni di crisi e di emergenza su un territorio di quasi 120.000 ettari (che presenta oltre 20.000 ettari sotto il livello del medio mare e che è servito da 58 impianti idrovori); aumentando le portate idrauliche dei Fiumi, creando bacini di laminazione e di invaso, realizzando opere di diversione idraulica e ponendo in essere ogni altra azione per potenziamento degli impianti e dei sistemi di bonifica”. Gli eventi che pesantemente colpiscono queste aree, sono tali da compromettere il grado di sicurezza del territorio e, oltre a determinare danni e costi sociali, costituiscono anche un fattore limitante dello sviluppo economico.

dovana del Consorzio, gli allagamenti più estesi hanno riguardato Casale di Scodosia con 412 ettari, Lozzo Atestino con 900 ettari, Megliadino S.Vitale con 584 ettari, Piacenza d’Adige con 780 ettari, Vighizzolo d’Este con 755 ettari, Galzignano Terme con 174 ettari e Correzzola con 127.

S. SILVESTRO

Merlara, Montagnana, Piacenza d’Adige, Vighizzolo d’Este e Pontelongo e hanno interessato terreni agricoli, fabbricati agro-industriali, strade e infrastrutture pubbliche oltre ad alcune unità abitative. Nonostante l’operatività continua del personale consortile (unitamente al Genio Civile e alla Protezione Civile), i danni e i disagi per la collettività sono ingenti e hanno spinto la Regione del Veneto a chiedere lo stato di calamità, viste anche analoghe situazioni in altri territori della Regione. In particolare, nell’area vicentina sono stati allagati circa 64ettari in comune di Agugliaro, 194 ettari in Comune di Albettone, 60 ettari in comune di Campiglia dei Berici e 143 ettari in Comune di Noventa Vicentina per l’esondazione dei collettori di bonifica Hellman, Frassenelle e scolo di Lozzo, con ristagni d’acqua che sono perdurati per i primi dieci giorni di febbraio. Mentre nell’area pa-

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LIVELLO MEDIO DEL MARE

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SEZIONE SCHEMATICA Zona Conselvano-Cavarzerano

Consorzio di Bonifica ADIGE EUGANEO – Uff. CONSELVE – Viale dellʼIndustria,3 – Tel. 049.9597424 – Fax 049.9597480 Sito: www.adigeuganeo.it - E-Mail: protocollo.conselve@adigeuganeo.it

Immagine 1: L’area interessata dal consorzio di Bonifica Adige Euganeo, su 95 mila ettari di superficie (colorati in azzurro) le acqua piovane possono essere allontanate e portate al mare solo grazie agli impianti idrovori (segnati in rosso) Immagine 2: Fiumi e canali arginati del territorio. Come si può constatare quasi tutti i corsi d’acqua sono pensili, ossia il loro alveo è più alto del piano campagna. Questo li rende particolarmente pericolosi in quanto le loro acque si riverserebbero quasi completamente fuori dagli argini in caso di una rotta

ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054 CONSELVE Viale dell’Industria, 3 - Tel. 049 9597424 Fax 049 9597480


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L’ARIA

CHE RESPIRIAMO Il riscaldamento domestico e le emissioni di inquinanti nell’aria in Veneto

Le industrie ed il traffico veicolare sono responsabili dell’emissione di sostanze inquinanti in atmosfera, ma anche il riscaldamento domestico contribuisce, in alcuni casi per una quota consistente, all’inquinamento dell’aria che respiriamo. Questa circostanza emerge dai bilanci che vengono periodicamente prodotti a livello nazionale e regionale/ provinciale dalle Agenzie per l’ambiente (ISPRA e ARPA/APPA), i cosiddetti Inventari delle emissioni in atmosfera. Questi bilanci mirano a quantificare, in tonnellate/anno, le emissioni derivanti dalle attività produttive industriali ed agricole, dalla mobilità e dalle abitazioni in un ambito territoriale definito (ad es. una regione, una provincia, un comune) e sono utili, assieme ad altri strumenti tecnici di valutazione, ad individuare politiche di miglioramento della qualità dell’aria. Laddove le stazioni di controllo della qualità dell’aria rilevano superamenti delle concentrazioni di legge degli inquinanti atmosferici (misurate in milligrammi o microgrammi/metro cubo d’aria), è necessario mettere in atto politiche di risanamento che si orientano, sostanzialmente, sulla riduzione del quantitativo di inquinanti emessi in atmosfera. In Veneto assistiamo durante il periodo invernale a superamenti delle concentrazioni dei limiti di legge (i cd. valori limite) di PM10 e durante la stagione estiva di quelle relative all’ozono: ciò è dovuto alla presenza nel nostro territorio di un’intensa attività antropica che produce emissioni di inquinanti atmosferici. Inoltre, l’insieme delle emissioni si colloca in un territorio, quello della pianura padana, che presenta condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti. Una porzione rilevante del PM10 che respiriamo non è emesso direttamente dalle fonti emissive ma si produce in atmosfera per reazione chimi-

LA RETE DI MONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DELL’ARIA

Complessivamente la rete è costituita da oltre 40 stazioni di misura, di diversa tipologia, a cui si aggiungono i laboratori mobili per campagne di monitoraggio della qualità dell’aria in zone non coperte da rete fissa.

Tutte le info su www.arpa.veneto.it

ca degli inquinanti precursori, successivamente alla loro emissione. Gli inquinanti precursori che contribuiscono, in misura più o meno importante, al cosiddetto inquinamento di natura secondaria che caratterizza la pianura padana, sono il biossido di zolfo, gli ossidi di azoto e l’ammoniaca per quanto riguarda le polveri PM10 e gli ossidi di azoto, oltre ai composti organici volatili ed al monossido di carbonio per l’ozono estivo. L’Inventario delle emissioni in Veneto L’inventario regionale delle emissioni in atmosfera (INEMAR Veneto) stima che in Veneto circa la metà delle emissioni annuali di polveri atmosferiche (il PM10) e di monossido di carbonio (CO) sia-


no prodotte dai riscaldamenti domestici, ed anche per altri inquinanti il loro ruolo non sembra essere trascurabile, con il 14% delle emissioni regionali di composti organici volatili (COV), il 9% del biossido di zolfo (SO2) ed il 7% degli ossidi di azoto (NOx). Nel caso del PM10 (ed in larga misura anche del CO) tali emissioni si stima derivino dalla combustione di legna per riscaldare le abitazioni e per cucinare. Le stime di emissione si basano su statistiche di consumo di combustibili ad uso domestico disponibili nel sito web del Ministero dello Sviluppo Economico, con particolare riguardo a gas naturale e prodotti petroliferi (gasolio e GPL).

IL MINISTERO DELL’AMBIENTE SCEGLIE L’ECCELLENZA DEL LABORATORIO ARPAV PER CONTROLLARE L’ARIA A LIVELLO NAZIONALE

Il Dipartimento Regionale Laboratori è stato individuato quale Laboratorio unico per eseguire le analisi sulla qualità dell’aria delle reti speciali nazionali dalla Direzione Generale per le Valutazioni Ambientali del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Questo importante obiettivo è stato raggiunto grazie all’eccellenza delle risorse umane e strumentali, riconosciuta con l’accreditamento di numerose prove di analisi aria in conformità alla norma internazionale UNI CEI EN ISO IEC 17025. Tutte le info su www.arpa.veneto.it

Per quanto attiene alla legna, le stime sono basate sui dati di consumo e sul parco di impianti domestici censito per il Veneto in un’indagine campionaria condotta da APAT (ora ISPRA) ed ARPA Lombardia e riferita all’anno 2006. Se in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la diffusione della legna in ambito domestico ha un impatto sicuramente positivo ed è di conseguenza incentivata dalle politiche comunitarie, rispetto all’inquinamento atmosferico rimane una delle fonti sulle quali è necessario intervenire con adeguate politiche di risanamento. I combustibili ma anche le tecnologie di riscaldamento in uso nelle abitazioni e le loro modalità di impiego da parte dei singoli sono i fattori che de-

terminano l’impatto del riscaldamento domestico sulla qualità dell’aria. La combustione di biomassa legnosa presenta quantitativi medi di emissione di inquinanti per unità di energia termica sviluppata superiore rispetto a quella, ad esempio, del gas naturale; ma anche considerando la gamma di impianti domestici di combustione della legna vi sono grandi differenze, con un impatto maggiore in termini emissivi degli impianti più obsoleti (caminetto aperto, stufa tradizionale) rispetto a quelli più avanzati tecnologicamente (caldaia e stufa innovativa, stufa a pellet). L’impatto della combustione della legna è maggiore di quello del gas naturale anche rispetto al benzo(a)pirene, che è un inquinante di natura primaria e che in concentrazione presenta in Veneto numerose situazioni di superamento della soglia di legge. Carlo Emanuele Pepe ARPAV – Direttore Generale Salvatore Patti ARPAV – Dirigente del Servizio Osservatorio Aria

PER APPROFONDIRE

L’inventario delle emissioni in Veneto: http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/aria/ emissioni-di-inquinanti/inventario-emissioni APAT/ARPA Lombardia, Maggio 2008. “Stima dei consumi di legna da ardere per riscaldamento ad uso domestico in Italia”: http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/ rapporti/stima-dei-consumi-di-legna-da-ardereper


STORIA E TERRITORIO

La scoperta dell’acqua calda

Una conquista recente di Alessandro Tasinato

Per molto tempo si è creduto che l’origine delle acque termali fosse in qualche modo collegata alle rocce magmatiche che trenta milioni di anni fa, sollevando il fondo del mare, avevano dato origine ai nostri Monti. Le cose stanno esattamente così?

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sao Hashimoto è un artista giapponese. Il suo ultimo lavoro consiste in un filmato che riproduce la sequenza dei test nucleari effettuati nel nostro pianeta tra il 1945 e il 1998. Dal primo test condotto dagli americani a Los Alamos nel New Mexico, ai più recenti condotti dagli indiani nel deserto del Rajastan ai confini col Pakistan. Il video nella sua semplicità è agghiacciante. Mostra un planisfero che al passar dei secondi (ogni secondo nel filmato corrisponde a un mese sulla scala del tempo reale) si accende di lampi in corrispondenza dei luoghi in cui gli esperimenti vennero svolti. All’inizio l’attesa tra un lampo e il successivo dura diversi secondi, il che contribuisce a creare una certa suspense. Ma a partire dagli anni cinquanta il planisfero di Hashimoto diviene un pullulare di test. I lampi si accendono freneticamente,

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l’uno accavallandosi agli altri. La terra è tutta un baluginare di esperimenti atomici che fa accapponare la pelle. Sono gli anni della guerra fredda e alla fine del video, di esperimenti atomici Hashimoto ne conta ben 2.054. L’intensificarsi degli esperimenti atomici nel nostro pianeta ha costituito un punto di riferimento nel determinare una teoria, tuttora la più accreditata, circa l’origine delle acque termali dei Monti Euganei. Per molto tempo si è creduto che l’origine delle acque termali - la cui temperatura, tanto per dare un’idea, può raggiungere gli 85°C - fosse in qualche modo collegata alla presenza di un calore latente all’interno delle rocce magmatiche che trenta milioni di anni fa, sollevando il fondo del mare, avevano dato origine ai nostri Monti (vedi Euganei, azzurre isole di terraferma


STORIA E TERRITORIO 16 milioni di metri cubi che vengono emunti ogni anno da 130 stabilimenti e 220 piscine distribuite tra Battaglia e Abano nel numero 2 di Con I piedi per terra). Una di queste ipotesi affermava che le acque termali erano dovute alla condensazione di gas e di vapori provenienti dai magmi ancora caldi. Un’altra ipotesi affermava addirittura l’esistenza nel sottosuolo di una laguna fossile le cui acque erano riscaldate dalle rocce magmatiche. Nonostante fosse difficile da sostenere che un qualche calore potesse ancora sopravvivere in rocce così tanto antiche, tali teorie rimasero in circolazione fino a alla metà degli anni ‘70, quando alcuni ricercatori dell’Università di Padova e dell’ENEL decisero di prendere in considerazione gli isotopi dell’idrogeno e dell’ossigeno presenti nell’acqua. Cos’è un isotopo? È un atomo di un elemento chimico che però ha un diverso contenuto di neutroni. L’idrogeno (H) ad esempio è un elemento che compone l’acqua (H2O). Esso ha un protone e un neutrone. Il suo isotopo trizio (H3) invece, ha un protone e due neutroni. Un fatto particolare del trizio è che durante gli esperimenti nucleari ne venne liberata in atmosfera una quantità davvero notevole.

Isao Hashimoto non c’entra con questi studi. Ma il suo video aiuta senz’altro a comprendere come la liberazione del trizio nell’aria, concomitante all’intensificarsi dei test nucleari a partire dagli anni cinquanta, sia stata di dimensioni tali da contaminare l’intera atmosfera del nostro pianeta. Al punto che anche le acque superficiali ne furono contaminate, col risultato che molta parte di quell’idrogeno che costituisce la molecola dell’H2O presente sul nostro pianeta è costituita da trizio. La sorpresa che ebbero i ricercatori nel misurare la presenza del trizio nelle acque termali, fu che la sua concentrazione era drasticamente inferiore a quella che invece caratterizzava le acque presenti sulla superficie terrestre. Come se le acque termali fossero riuscite a sottrarsi alla contaminazione dei test nucleari. Com’era stato possibile? Evidentemente le acque termali erano già presenti nel sottosuolo quando iniziarono i test, e quindi almeno da 25 anni. Ulteriori analisi sugli isotopi ripetute negli anni a venire riproposero sostanzialmente lo stesso tipo di ri-

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STORIA E TERRITORIO sultato, contribuendo ad avvallare l’idea che l’età di e acquisendo quel contenuto di cloro, sodio, potaspermanenza delle acque termali nel sottosuolo fosse sio, magnesio, zolfo, bromo, iodio, silicio che conferiprobabilmente ancora maggiore. sce alle acque le tipiche proprietà terapeutiche. Posto allora che le acque termali rimangano nel sotLe acque, una volta raggiunta la “radice” sotterranea tosuolo per così tanto tempo, rimane da chiedersi: da dei Monti Euganei si troverebbero costrette a risalire dove provengono? Qual è l’origine di quei circa 16 in superficie in maniera molto repentina (conservanmilioni di metri cubi che vengono emunti ogni anno do in tal modo un grado di temperatura elevato) e da 130 stabilimenti e 220 piscine distribuite tra Battaciò a causa sia della presenza di alcune faglie che glia e Abano? Un indizio è fornito da un paio di isotopi contraddistinguono la zona orientale dei Monti sia dell’ossigeno presenti nell’acqua, quello con diciotto per il carico idrostatico che le acque piovane filtranti neutroni (O18) e quello con le rocce intruL’acqua piovana si infiltrerebbe attraverso sedici neutroni (O16). Il rapsive tipiche degli Euganei porto tra l’uno e l’altro nella nel sottosuolo fino a raggiungere eserciterebbero nei loro composizione dell’acqua è confronti. Le acque termali 2.500 - 3.000 metri diverso a seconda dell’altiavrebbero quindi un perdi profondità, aumentando metria alla quale l’acqua si corso molto lungo, profonla propria temperatura forma. Quello rilevato nelle do e antico. acque termali ne riconduce l’origine ad una quota di È esattamente così? Certo, questa è la teoria che oggi almeno 1.500 metri sul livello del mare, situazione che trova maggiori riscontri. La conferma però non l’avreguardando alla geografia e alla geologia della nostra mo mai, a meno di percorrere fisicamente a ritroso il regione coinciderebbe con le Piccole Dolomiti (Monpercorso di una goccia di H2O. Ciò di cui invece abte Pasubio, gruppo del Carega). Lì l’acqua piovana si biamo fisicamente riscontro è che lo sfruttamento e infiltrerebbe nel sottosuolo fino a raggiungere 2.500 un generale abbassamento del loro livello di falda ha - 3.000 metri di profondità, aumentando la propria determinato la scomparsa di molte sorgenti termali temperatura per mero gradiente geotermico (vale a che ai piedi dei Monti affioravano naturalmente in sudire per quel fenomeno naturale in base al quale ogni perficie. E questo in un arco di tempo di gran lunga 30 metri di profondità la temperatura sale di circa 1°C) inferiore all’età posseduta da queste acque.

Acqua da 0°C a 20°C Acqua da 20°C a 30°C Acqua da 30°C a 50°C Acqua oltre i 50°C Fonti: • “La geologia dei Colli Euganei” di Astolfi - Colombara; Parco Colli Euganei-Canova-Cierre • http://www.parcocollieuganei.com/

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Alle Origini: rispetto e passione per la campagna È l’uomo che deve adattarsi ai tempi della natura, non il contrario “Se la terra è coltivata bene e con passione, la campagna sa dare grandi soddisfazioni”. È questa la regola che guida Vinicio e Alessandro Zaggia nella gestione della propria azienda agricola biologica di Bovolenta, regola nata da una profonda consapevolezza su ciò che significa “terra” e da una pratica condotta da quasi vent’anni con passione ed energia. “La nostra è un’azienda storica - spiega Vinicio - e l’agricoltura biologica, che abbiamo abbracciato dal lontano ’95, è l’unico modo che ci consente di portare avanti la campagna con i metodi della tradizione: a noi non piace affidare le sorti dei nostri raccolti alla chimica, preferiamo interrogare

la natura, ogni giorno, come si faceva un tempo, per decidere il momento giusto della semina, scegliere il giusto rapporto di aria e acqua nel terreno, stabilire le giuste colture per aiutare la terra a rinnovarsi. Questo ci consente di avere le migliori rese e la certezza che i nostri animali mangiano solo prodotti naturali. Come agricoltori abbiamo l’obbligo di ottenere il massimo dalla terra, ma lasciandone invariata la fertilità per le generazioni che verranno dopo di noi”. L’agricoltore deve saper leggere i segni della natura, interpretarli e mettere in campo l’intervento più idoneo con tempestività e precisione.

“Siamo degli imprenditori - continua Alessandro - le scelte sono alla base del nostro mestiere: più attenzioni si usano e più si diventa percettivi. Il biologico è tutto qui, non sottomettiamo ai prodotti di sintesi le nostre conoscenze millenarie. Con il sistema biologico si può arrivare ad avere la stessa quantità di prodotto che si ottiene usando i fertilizzanti o gli antiparassitari chimici, ma con una qualità e salubrità alimentare molto superiore; questo dovrebbe giustificare i prezzi anche per l’incidenza della manodopera che ha un impatto superiore sui prodotti bio, appunto perché c’è meno uso della tecnologia e più ricorso al valore umano.”

FATTORIA ALLE ORIGINI - Azienda agricola: Via Navegauro, 32 - 35024 Bovolenta (PD) - Tel. 049 5383921 - Fax 049 5383202


Cos’è il biologico? “La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali”. (Fonte: Reg. CE n. 834/07)

La “Fattoria alle Origini” è un’azienda a ciclo chiuso. Gli oltre 200 ettari di campagna lavorati ogni anno, servono principalmente per l’alimentazione di 400 capi di bestiame, di razze italiane e francesi, allevate rispettando i ritmi naturali di crescita degli animali in ambienti spaziosi e areati. In azienda, infatti, vengono prodotte, con metodi biologici, le materie prime che entreranno a far parte della razione alimentare: orzo, mais, soia, erba medica, fieno, questo per garantire la salute degli animali e l’alto valore nutritivo delle carni. Gli animali allevati bio, infatti, mangiano più foraggio che cereali e questo oltre ad aumentare la percentuale di acidi grassi e Omega3, riduce la percentuale di acqua nelle carni. Più carne significa più valore nutritivo e meno acqua che evapora durante la cottura. Per quanto riguarda la morbidezza delle carni la frollatura ha la sua importanza e le mezzene della “Fattoria alle Origini” vengono lasciate riposare in ambienti controllati almeno 10-15 giorni dopo la macellazione per garantire un adeguato e graduale processo di maturazione che esalta le caratteristiche di tenerezza e gusto delle carni. Alla fattoria “Alle Origini” viene gestita e controllata tutta la catena di produzione: dall’allevamento alla macellazione, dal sezionamento al confezionamento, fino alla vendita al dettaglio del prodotto.

Dove acquistare i prodotti

Le carni della “Fattoria alle Origini” possono essere acquistate presso il primo punto vendita, nel cuore di Padova, “Sotto il Salone”, nel secondo punto vendita all’interno del negozio Natura Sì, sempre di Padova, e nel terzo punto vendita, prossimo all’inaugurazione prevista entro la fine di marzo, sito in Roncaglia a Ponte San Nicolò. • MACELLERIA PIAZZA DELLE ERBE Sottosalone 1/2 - Padova - Tel. 049 654380 • BIO NATURASÌ (all’interno del Supermercato) Via Vicenza, 12 - Padova - Tel. 049 8711568 - Fax 049 8711593 • NUOVO PUNTO VENDITA RONCAGLIA via G. Parini, 2 - Ponte San Nicolò - Tel. e fax 049 8961534

L’agricoltura biologica è un metodo di produzione agricola: •c he esclude l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi come fertilizzanti, diserbanti, insetticidi e anticrittogamici per la concimazione dei terreni, per la lotta alle infestanti, ai parassiti animali e alle malattie delle piante. • di tipo estensivo che - attraverso la rotazione delle colture, l’utilizzo di sostanza organica, le ridotte lavorazioni - si integra nei processi naturali in modo compatibile e rispetta l’ambiente (il terreno, l’acqua, l’aria), la salute degli agricoltori e quella dei consumatori. • pone elevata attenzione alla salvaguardia dei sistemi e dei cicli naturali, al benessere e al rispetto delle esigenze etologice degli animali e all’equilibrio tra essi. Agli animali viene garantita una vita conforme alle esigenze specifiche delle singole specie, avendo quindi cura del loro benessere. L’allevamento con metodo biologico rispetta le esigenze nutrizionali degli animali nei vari stadi fisiologici. L’alimentazione degli animali, a base di prodotti bio, è finalizzatala ad una produzione di qualità e non a massimizzare la resa. Nei rari casi di malattia l’animale viene curato con prodotti fitoterapici, omeopatici e oligoelementi.

Lavorazione carni: via degli Artigiani, 1 - 35025 Cartura (PD) Tel. 049 9556362 - Fax 049 9559525


STORIA E DINTORNI

C’era la fame ad attendere i braccianti alla fine delle stagioni andate storte

“Principiano a farsi sentire le conseguenze funeste della scarsezza del raccolto di quest’anno. Il formentone seminato nel fango e nell’acqua restò impietrito e si ebbe quasi nessun raccolto. L’uva ebbe la malattia già incominciata fino dal 1851 e andò tutta perduta. Nel corso della stagione estiva si dovettero soccorrere i poveri con i fondi dell’Istituto elemosiniere”

di Mauro Gambin

“S

i stava meglio quando si stava peggio”. In tempo di crisi è legittima qualche reminescenza del passato, oggi poi: in un mondo che pare capovolto incontrare i valori del mondo contadino, la semplicità della vita rurale, le piccole cose “fatte bene”, possono essere l’antidoto al “logorio della vita moderna”. Non è raro che ai ritmi frenetici della contemporaneità vengano anteposti i cicli stagionali della vita bucolica e giustamente, verrebbe da dire, ma attenzione a non scadere nell’eccessivo romanticismo. Potrebbe far male! Creare un’immagine troppo “allegorica” della campagna, associare la vita beata del passato all’ingenuità salutistica della vita

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rustica, significherebbe riprodurre gli stilemi che il mondo pubblicitario usa per reclamizzare i propri prodotti industriali: i mulini bianchi, le ricette della nonna, la gallina “Rosita” di Banderas. Insomma ci dovremmo far convinti che il nonno quando, come un mantra, ripete il rammarico per il passato perduto, alluda più alla sua giovinezza che all’età storica in cui ha vissuto. Perché non c’è proprio paragone con “il logorio della vita moderna”. Prima si stava decisamente peggio. Quanto peggio? Basterebbe prendersi in mano qualche dato un po’ più solido del ricordo del nonno, per capire che con Banderas non c’era niente da spartire. L’arciprete di Merlara, don Giovanni Morello,


STORIA E DINTORNI

Banderas sul set dello spot di una celebre marca di frollini

ad esempio, lascia registrata tra le pagine del suo registro parrocchiale, nel novembre 1853, una breve cronaca del quale fu testimone. “Principiano a farsi sentire le conseguenze funeste della scarsezza del raccolto di quest’anno. Le continue piogge che durarono precisamente fino al 20 giugno, impedirono che si potessero seminare le terre basse e vallive, ed anche quelle alte furono seminate a formentone in mezzo all’acqua e al fango. La raccolta del frumento fu scarsissima e tutta piena di zizzania. Una siccità terribile cominciò dopo il 20 giugno e continuò fino a quasi tutto il mese di agosto, per cui il formentone seminato nel fango e nell’acqua

“Il contadino piangeva la vacca morta ma si rassegnava più facilmente alla perdita della moglie” restò impietrito e si ebbe quasi nessun raccolto. L’uva ebbe la malattia già incominciata fino dal 1851 e andò tutta perduta. Nel corso della stagione estiva si dovettero soccorrere i poveri con i fondi dell’Istituto elemosiniere”. Più che di una cronaca si tratta di un’istantanea, una foto, che lascia sullo sfondo tutte le tensioni politiche che contornano la vicenda, che pure andrebbero inserite nel quadro del tempo, e ci racconta che c’era la fame ad aspettare le persone alla fine delle stagioni andate storte. L’arciprete Morello parla di Merlara, ma è un esempio che può essere esteso a tutta la Bassa Padovana e, tra l’altro, non solo all’anno 1853. Infatti, le calamità di quell’anno non sono le sole cause della povertà diffusa del tempo. La miseria, invece, era endemica nelle nostre campagne fino al ‘900 inoltrato e la causa sarebbe più giusto ricercarla nella stessa struttura economica legata alla terra, che allora occupava l’80% della popolazione ma era in mano a pochissime persone. La campagna del tempo, infatti, era in larga parte costituita dal latifondo, poche persone detenevano la maggior parte delle terre coltivabili: “Gli Zara avevano proprietà a Codevigo, Pontelongo, Piove e Bovolenta. A Corezzola la tenuta del duca Melzi d’Eril copriva

il 90% del paese. Nel Conselvano la grande proprietà rappresentava all’incirca l’80% del territorio. Si segnalavano tenute con un’estensione di 700 ettari ad Arre e di 400 a Pontecasale. A Bagnoli di Sopra la proprietà più estesa (circa 600 ettari) era quella del principe D’Aremberg, a Sant’Elena il conte Miari possedeva il 90% del paese (1). Terra che veniva condotta “In economia” ossia i lavori venivano affidati a personale stabile (gli obbligati) oppure ad avventizi, chiamati a fornire manodopera stagionalmente e pagati con salari di pochi centesimi. Erano questi a costituire il maggior numero della popolazione. Stefano Jacini nell’Inchiesta commissionatagli dal neo Parlamento Italiano nel 1877, definisce il bracciante “una vera infermità morale ed economica” (2), ricordando la sua endemica miseria e il continuo ricorso al debito per sopravvivere”. “Gli avventizi che nei mesi invernali restavano senza cibo, si riunivano sotto ai municipi per chiedere lavori o sussidi, oppure uscivano dal distretto per farsi assumere come scariolanti in qualche opera di bonifica. In una cronaca del 1882, riportata sul giornale “Il Bacchiglione”, per quanto riguarda Castelbaldo, si parlava di 200 capifamiglia incapaci di sfamare i propri figli, “col solco della vergogna sulla fronte per dover chiedere da mangiare”. Nel caso il bracciante chiedesse grano o farina ai proprietari terrieri, era tenuto a ripagare quanto ottenuto con interessi del 50, del 100 o anche del 200%”. (3)

Gli avventizi che nei mesi invernali restavano senza lavoro e quindi senza cibo, abbandonavano il loro paesello per farsi assumere come scariolanti nei cantieri delle opere di bonifica

Lo stesso Stefano Jacini, negli “Atti della Giunta per la inchiesta Agraria” indica nella scarsa fertilità della campagna, causata dall’eccessivo sfruttamento e alla scarsa concimazione dovuta all’esigua presenza di animali” (4), la causa per le basse rese che non assicuravano raccolti così soddisfacenti nemmeno per i proprietari. “Secondo stime del 1873, i fertili campi del padovano avrebbero potuto arrivare ad una resa di 40 ettolitri per ettaro di frumento ma nel distretto di Piove la resa media era di soli 10 ettolitri; era di 13-

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STORIA E DINTORNI 14 in quello di Conselve; ad Este si raggiungevano i 20 e a Montagnana le rese superavano appena i 10 ettolitri”. “I prezzi dei grani variavano da distretto a distretto, da cantone a cantone, il prezzo del frumento era in generale inferiore a quello del granoturco … e nell’anno 1815 le infelici plebi rurali erano costrette a ricorrere alla rimanete provvista di frumento tenuto in serbo nei granai dei grossi proprietari o degli speculatori. Questi coglievano allora il destro della mancanza di frumentone per fare aumentare artifi-

200 capifamiglia “col solco della vergogna sulla fronte per dover chiedere da mangiare” ciosamente, a danno soprattutto dei contadini, anche il prezzo del frumento e delle altre derrate e così le plebi rurali erano sempre le prime a sentire gli effetti dei cattivi raccolti e dell’ingordigia di quelli che speculavano sulla miseria altrui”. (5) Stefano Jacini nell’Inchiesta Povertà, dunque, signicommissionatagli dal neo ficava davvero fame Parlamento Italiano nel ma anche collera ver1877, definisce il bracciante so un mondo ingiusto. “una vera infermità morale Miseria era sinonimo e ed economica”, ricordando la sua endemica miseria e sintomatico di abbruttiil continuo ricorso al debito mento, perdita di fede per sopravvivere e dei valori umani. Secondo quanto testimoniato dal Pretore di Montagnana in una relazione, “Il contadino piangeva la vacca morta ma si rassegnava più facilmente alla perdita della moglie”. (6) Forse anche per questo il contadino era visto con una certa diffidenza tra i benestanti, era forse abominevole nel suo aspetto fisico ma probabilmente preoccupava molto più la sua latente aggressività causata dalla denutrizione. “Ad Occhiobello, a Monselice a Montagnana i contadini erano trattati come vile servidorame”. (7) “Molte delle malattie che affiggevano la popolazione contadina erano rafforzate dalla malnutrizione. Nel distretto di Padova, l’ordinaria alimentazione era costituita principalmente dalla polenta composta dalla farina di mais, fagioli e acqua non sempre sana”. (8) “Il vino mancava quasi assolutamente e il riso o la “risetta” era cibo esclusivo della domenica. A Natale o a Pasqua poteva apparire in tavola anche la carne”. (9) “Per avere idea della malnutrizione nella nostra regione di

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La malnutrizione e le prima di case infestate di umidità e di insetti costituivano le cause e gli incubatori di malattie come il tifo, la malaria il vaiolo. Malattie che minavano in profondità l’aspetto fisico se non più di frequente quello psichico, come nel caso della pellagra

allora, basti pensare che nelle cause di riforma dal servizio militare dei coscritti nel periodo 1863-1876, il contingente del Veneto denota il peggior regime alimentare e i maggiori stenti di vita tra tutti quelli delle altre regioni”. (10) La denutrizione, spesso legata a malattie come il tifo, la malaria il vaiolo minavano in profondità l’aspetto fisico di queste persone se non più di frequente quello psichico, come nel caso della pellagra. Le case infestate di umidità e di insetti, poco illuminate e nelle stagioni fredde per niente riscaldate, costituivano gli incubatori di queste malattie. “Alcuni, d’inverno, giravano lungo siepi e fossati per sradicare qualche pianta giudicata inutile... costeggiavano gli stagni per tagliare le canne inaridite e luccicanti per il gelo, o le “brecane” sparse lungo i fossati... persone miserabili giravano per campi brulli per sradicare i resti delle canne del granoturco che poi portavano ancora ghiacciati a bruciare sui poveri focolari”. (11) Note (1) D avide Gobbo “Campagne e contadini nella seconda metà del secolo” da “L’atlante Storico della Bassa Padovana, l’800” Cierre Edizioni, ottobre 2013. Pag 118 (2) J acini S. Atti della Giunta per la inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola, Volume IV, Arnaldo Forni Editore 1978-1988. Ristampa dell’edizione di Roma, 1882. Pagg 64 (3) D avide Gobbo “Campagne e contadini nella seconda metà del secolo” da “L’atlante Storico della Bassa Padovana, l’800” - Cierre Edizioni, ottobre 2013. Pag 120 (4) J acini S. Atti della Giunta per la inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola, Volume IV, Arnaldo Forni Editore 1978-1988. Ristampa dell’edizione di Roma, 1882. Pagg 64 (5) P iva L. - “O soldi o vita! Brigantaggio in Bassa Padovana e nel Polesine alla metà dell’Ottocento”. Este Grafica Atestina 1984. Pagg. 15 (6) M orpurgo E. - Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola. Roma - Forzani e C. - Tip. Del Senato 1882. - Pagg.39 (7) Morpurgo E.- Op cit. Pagg 56 (8) Jacini S. - Op. Cit. Pagg 155 (9) Piva L. - Op cit. Pagg 22 (10) Jacini S. - Op. Cit. Pagg 165 (11) Piva L. - Op cit. Pagg. 22


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LiTTAME´ L'oca da tradizione diventa gusto moderno

Una linea di prodotti preparati con lunghe cotture, per preservarne il sapore e i valori nutritivi, e commercializzata in confezioni pronte all’uso, così da rendere veloce la cena, anche quando a tavola si vuole portare il gusto della tradizione

Che siano state le oche del Campidoglio a salvare Roma dall’assedio di Brenno pare sia solo una leggenda, ma come si sa in ogni storia c’è un fondo di verità. La morale della favola potrebbe essere che dell’oca ci si può fidare, tanto più se l’oca in questione è quella allevata da Michele Littamé, la sua azienda è la prima e unica in Veneto a filiera cortissima: allevamento, lavorazione e anche cottura dei prodotti avvengono nello stabilimento di via Dosso a Sant’Urbano. Si tratta di una delle eccellenze del territorio, riconosciute anche con il marchio di presidio di Slow Food dal 2008. Gli animali sono nutriti con farine fatte direttamente in azienda e i prodotti, pur essendo l’espressione più popolare della campagna, sono reinterpretati per essere adatti ai gusti moderni. COSCIA O PETTO O ALETTE D’OCA IN ONTO - Presidio Slow Food: La carne viene preparata con il metodo del sotto “onto” con sale di Cervia, pepe, spezie, aromi naturali. Per consumarla basta riscaldare la confezione senza aprirla, in acqua calda per almeno 20 minuti.

TAGLIATA DI PETTO D’OCA: carne d’oca, sale di Cervia, pepe, spezie, aromi naturali. Il prodotto è già cotto, basta affettarlo e servirlo freddo con olio d’oliva extra vergine.

PORCHETTA D’OCA: Carne d’oca e di carne di maiale (sale, pepe, scorzette di limone, aromi naturali, spezie) cotte in bassa temperatura. La porchetta va affettata fredda o saltata in padella con aceto balsamico.

COLLO D’OCA RIPIENO: carne di maiale, carne d’oca, fegato d’oca, pane, formaggio grana, cipolla, aglio, sale, pepe, aromi naturale. Per consumarlo basta riscaldare la confezione senza aprirla, in acqua calda per almeno 20 minuti

OCA FARCITA: L’oca viene farcita con della carne di maiale, pane, formaggio grana, cipolla, aglio, sale, pepe, aromi naturale. Il prodotto è sottovuoto basta semplicemente riscaldarlo per consumarlo

SPECK DI PETTO D’OCA: Il prodotto è stagionato, per servirlo basta affettarlo e servire con olio d’oliva extra vergine.

SALSICCIA D’OCA: macinato d’oca, macinato di maiale, sale, pepe, aromi naturali. Per la preparazione può essere saltata sulla piastra, è ottima alla griglia, oppure può essere la base per risotto

PROSSIMI APPUNTAMENTI • Gusto in scena, alla scuola di San Giovanni Evangelista a Venezia il 16-17-18 marzo • Festa dei bisi di Baone, dal 30 maggio al 3 giugno 2014 • Sapori di primavera, in Prato della Valle a Padova

AZ AGR. LUCA E MICHELE LITTAMÉ via Dosso, 2 • 35040 Sant’Urbano (PD) tel. 0429 693292 • fax 0429 695091 • www.michelelittame.it • info@michelelittame.it • ildosso@virgilio.it Ci puoi trovare in azienda dal lunedì al sabato dalle 8:00 alle 12:00 e dalle 14:30 alle 19:30... ma visto che spesso siamo nell’allevamento ad accudire le oche, può accadere che arrivati al nostro spaccio aziendale, non ci trovate... non vi allarmate!!! Chiamateci al cellulare 338 6161094. Chiamarci vi può essere utile anche per avere indicazioni stradali corrette per arrivare nella nostra azienda. INOLTRE CI TROVATE PRESSO: MERCATO DEL CONTADINO Vendita diretta dei produttori agricoli a Vigorovea di S.Angelo di Piove (PD) Mercoledì e sabato mattina

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Bastia e Rebuli,

una simbiosi che dura da secoli a tutto vantaggio del prosecco Valdobbiadene è universalemente conosciuta come la patria del prosecco, questa parte della provincia di Treviso del resto è il “terroir” perfetto per le bollicine. L’anfiteatro naturale delle Prealpi mette al riparo dalle fredde correnti i vigneti che crescono sui ripidi e scoscesi fianchi delle colline, qui la particolare costituzione chimico-fisica del terreno è la madre della struttura del vino mentre il padre è il vitigno Glera, che al Prosecco ha ceduto il nome e che qui garbatamente invitano a chiamare Valdobbiadene D.O.C.G. Al centro di questo lembo di terra si trova Saccol, una piccola “borgata” sovrastata dalla celebre collina denominata Bastia che da la patria e il nome ai vini dell’azienda oggi condotta da Michele, l’epigono della famiglia Rebuli che da due secoli coltiva queste terre che lambiscono la zona del Cartizze. Il vino, infatti, da queste parti è una questione di famiglia.

“Ho iniziato l’attività di viticoltore da ragazzo, seguendo mio padre “Toni” nei meravigliosi quanto difficili vigneti di Valdobbiadene. Mi ha insegnato a piantare una vite, a seguirne la crescita sapendola aspettare e rispettare e a svolgere tutti i lavori che un vigneto richiede con grande passione e meticolosità e soprattutto mi ha preparato ad accettare tutto ciò che la natura riserva. Questa passione e spirito di sacrificio derivano da quattro generazioni, famiglie dedite al lavoro legato alla terra e alla cultura contadina. Il bisnonno Gaetano agli inizi dell’800 cominciò a produrre i suoi primi tini d’uva (prosecco), azienda portata avanti dal nonno Adorno e dalla nonna Maria che ci ha aggiunto le sue conoscenze e le sue tradizioni campagnole per arrivare a mio padre che ha deciso di concentrare tutta l’attenzione sul vigneto, abbandonando l’agricoltura di sussistenza tipica del passato che riguardava anche l’allevamento. Ora dopo circa 2 secoli l’anima dell’azienda si è evoluta ma allo stesso tempo è rimasta intatta, rigorosamente a conduzione familiare, che mi vede impegnato a far crescere un progetto di filiera, dal vigneto alla bottiglia, a coltivare la mia terra non solo come produttore ma specialmente come consumatore prestando molta attenzione a come la lavoro, a ciò che uso per mantenerla sana e viva, rifiutando le varie etichettature che impone la moda ma fidandomi solo di ciò che la natura ci dona”.


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VALDOBBIADENE CARTIZZE SUPERIORE D.O.C.G. SPUMANTE DRY Si tratta della “Cru” del Valdobbiadene D.O.C.G., di colore giallo paglierino scarico, un perlage molto fine e persistente, ha un gusto equilibrato e molto elegante con una moderata amabilità ed un’ottima persistenza che lo rendono uno spumante di elevatissima qualità.

FRIZZANTE FII SPAGO Il vino frizzante ottenuto da uve Glera al 100% prende il nome, Fii, dal vigneto. Si tratta della tipologia più versatile della produzione della cantina Bastia, riconoscibile oltre che per le particolari note del gusto, ampio e sapido, dallo spago con il quale il tappo viene assicurato alla bottiglia, conferendole un aspetto retrò legato alla tradizione.

VALDOBBIADENE SPUMANTE EXTRA-DRY Dalle migliori uve selezionate di Saccol e San Pietro di Valdobbiadene, Michele ottiene questo Spumante superiore dal colore paglierino, dal perlage fine e persistente con note di fiori di campo e sfumature fruttate. Il suo gusto equilibrato sapido e persistente lo rende uno spumante di grande prestigio.

FRIZZANTE “CAPO DEGLI ONESTI” È il prosecco della tradizione, in dialetto locale è chiamto anche “vin col fondo”. Il vino, infatti, fermentando in bottiglia lascia un “fondo”, un deposito, costituito dai lieviti propri che, una volta terminato il loro compito, quello di trasformare gli zuccheri in alcol, si adagiano sul fondo della bottiglia donando al vino un’impronta gusto-olfattiva tipica e decisa. È un vino che ricorda anche nei profumi la tradizione. I sentori di lievito, di crosta di pane e di frutta gialla matura sono gli altri tratti distintivi dei bicchieri riempiti con questo bianco frizzante.

La Bottiglia

DEL VALDOBBIADENE E DEL CARTIZZE La bottiglia Valdobbiadene Spumante D.O.C.G. è stata ideata e realizzata dalla confraternita di Valdobbiadene Questa bottiglia è riservata esclusivamente all’imbottigliamento del Valdobbiadene D.O.C.G. (Prosecco Superiore) e del Cartizze D.O.C.G. dalle aziende autorizzate dalla Confraternita. È un simbolo che identifica il territorio, la storica zona denominata Conegliano-Valdobbiadene. Garantisce la reale provenienza del vino.

Azienda Agricola Rebuli Michele via Strada di Saccol, 30 - Saccol di Valdobbiadene (Tv) - Tel/fax: 0423 975113 - info@rebulibastia.it www.rebulibastia.it - Facebook: Bastia Rebuli Michele Az. Agr. Valdobbiadene


STORIA E DINTORNI

Briganti

per necessità non per frode Alla metà dell’Ottocento nella Bassa Padovana le tristi condizioni vissute dalle fasce meno abbienti della popolazione portarono allo scoppio del fenomeno del brigantaggio. Armate di fucili, pistole, armi da taglio, brigate di individui partivano di notte per assediare le case dei possidenti

S

ullo sfondo della campagna basso-padovana re tassazione. Dunque “il pan ci manca” e il morbo di metà ottocento, si stagliavano gli eventi delinfuria . Il morbo era il colera, diffuso soprattutto tra la storia. Il Veneto di allora era austriaco, Napole classi meno abbienti a causa delle precarie condileone con il Trattato di Campoformio lo aveva ceduto zioni sanitarie delle case. Stefano Jacini nell’Inchiein cambio del riconoscimento la Repubblica Cisalpina sta commissionatagli dal neo Parlamento Italiano nel e Venezia conosceva il suo ‘48, innestandosi nel più 1877, per definire le case dei nostri poveri contadini ampio contesto Risorgimenparla di “tane”, di “spelonche”: “Piove, governo ladro!” tale che ambiva ad un’Italia mal riscaldate e sovraffollate, unita. Alle tensioni politiche probabilmente deriva dalle infestate di umidità e di insetsi univano quelle economiti, una situazione drammatica invettive dei contadini nei che al tempo era stata ritenuta che legate ad una campagna, per certi versi, ancora legata confronti dell’alta tassazione anche la causa del diffondersi al latifondo sul quale gravava della “pellagra”. Poi si scoprì del governo austriaco ogni sorta di tassazione. Basti che invece dipendeva dalla capensare che le imposte “speciali” varate dal governo renza di vitamine presenti in genere nei prodotti freaustriaco in seguito alla rivolta di Venezia del ‘48 porschi: latte, verdure, cereali: generi rari per popolazioni tarono negli anni 1850-1851-1852 l’imposta prediale che invece mangiavano quasi esclusivamente polenad essere calcolata con un’addizionale del 50% in più ta ottenuta con un mais di pessima qualità e da acqua rispetto agli anni precedenti al ‘48. Già prima di tale raramente pulita. Sui cereali, che di solito erano gli data l’imposta era elevata. “Il morbo infuria, il pan ci alimenti alla portata dei più poveri, si consumavano manca sul ponte sventola bandiera bianca - ricordava vere e proprie speculazioni, i prezzi dei grani variavaal tempo il poeta Arnaldo Fusinato -”. Infatti la tassa no da distretto a distretto, da cantone a cantone e il sul macinato era la più avversata nelle campagne, prezzo del frumento variava in base alla sua quantità, soprattutto tra i braccianti. Di fatto lasciava la gente così le plebi rurali erano sempre le prime a sentire gli senza cibo. Questa tassa pare stia anche all’origine effetti dei cattivi raccolti e dell’ingordigia di chi approdell’invettiva: “Piove, governo ladro!”, perché le abfittava della miseria altrui. Povertà significava davvebondanti precipitazione avrebbero dato luogo ad un ro fame ma anche collera verso un mondo ingiusto. maggiore raccolto e di conseguenza ad una maggioMiseria era sinonimo e sintomatico di abbruttimento,

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STORIA E DINTORNI animali o la stessa casa. Altre volte per conoscere perdita di fede e dei valori umani. Il contadino era vila collocazione dei preziosi ricorrevano ad intimidasto con una certa diffidenza tra i benestanti, era forse zioni, raramente alla tortura, più raramente ancora abominevole nel suo aspetto fisico ma probabilmenagli stupri o agli omicidi. La refurtiva era composta te preoccupava molto più la sua latente aggressività da tutto ciò che avesse valocausata dalla vita di stenti che “Chi nasce su questa terra re: soldi, oro, salami, frumento, era costretto a condurre. “A Montagnana i braccianti avdeve pur venirvi col diritto biancheria, vestiti... Tra i briganti rimasti famosi, il ventizi sono la disperazione di averne la sua parte... più temerario fu probabilmendei proprietari; a Monselice il non è giusto che gli uni te Francesco Tenan di Guarda contadino s’inchina alla legge a malincuore; a Piove si cre- s’impinguino perché gli altri Veneta, soprannominato “Pippone”. Davanti al giudice che de Jugulato dal proprietario; languiscano” gli intimava di confessare furti a Cittadella si ricorda ben più e sodali manifestò di non essere per nulla uno sprovdei suoi diritti che dei suoi obblighi; a Camposanpieveduto e soprattutto di possedere valori e ideali. ro c’è un sentimento latente di invidia che è frenato “Dovrei essere io tanto vile da manidal timore della legge…; a Badia non esiste rancore, festare tutti i miei proseliti? … Chi nama invidia naturale e a Lendinara si avverte: “a prosce su questa terra deve pur venirvi prietario umano, contadino rispettoso”. E se questa col diritto di averne la sua parera la norma, una carestia, un’epidemia, un’invernata te … non è giusto che gli uni più rigida del solito o magari semplicemente un po’ s’impinguino perché gli altri più prolungata, faceva sì che venisse dato fondo alle languiscano ed io con la mia misere riserve di cibo e la disperazione, unita al sencompagnia ho sempre colpito quei so di non avere più niente da perdere, portava le pervampiri che studiavano di sfruttare sone a superare ogni paura e a darsi al brigantaggio. tutto per sé e noi veramente fumSquadre composte anche da 30-40 sparute persone, mo vendicatori delle offese recate capitanate da sedicenti agitatori, iniziarono a dare all’umanità. Chi da voi il diritto di luogo a sistematiche razzie, che dopo il 1849 dilagafucilare? La Forza! Questa non rono più senza freno a Este, a Montagnana a Piazbada a misura!”. zola e Camposanpiero a Ceneselli, a Vo, a Noventa Caricatura Vicentina. Capitava che tra questi “brigate” di ladri ci di un soldato austriaco fossero anche donne o membri della stessa famiglia: Note: fratelli, padri con i figli, marito e moglie. Armati: di fuEmilio Morpurgo - Atti della Giunte per l’inchiesta cili, pistole, armi da taglio, partivano di notte per l’asagraria e sulle condizioni della classe agricola. sedio delle case dei possidenti. Il colpo avveniva con Roma - Forzani e C. - Tip. Del Senato 1882 - pag. 50 l’irruzione in casa oppure anche attraverso trattativa, Giuseppe Chimelli - Storia del grande processo di Este al malcapitato veniva intimato di calare dalla finestra contro i ladroni a ripulsa di ingiusto appunto al principale Giudice Istruttore dello stesso. Este 1887, pag. 62 gli averi pena vedersi bruciare la stalla con dentro gli

“Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L’assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante”

“In alcune delle nostre province specialmente dove grande è la miseria e dove grandi sono le ingiustizie che opprimono ancora le classi più diseredate dalla fortuna, è una legge triste e fatale: o emigranti o briganti”

Fëdor Dostoevskij, L’idiota, 1869

Francesco Saverio Nitti, L’emigrazione italiana e i suoi avversari, 1888

“Un brigante onesto è un mio ideale, come il dittatore onesto nelle Babilonie, suscitate dal dottrinarismo e dalla violenza” Giuseppe Garibaldi, Lettera all’Avv. Petroni, 1871

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STORIA E DINTORNI

Il “Giudizio statario” la macchina della morte

Per condannare i reati commessi dai “briganti della Bassa Padovana”, venne istituito, con proclama del 10 marzo 1849, del feld-maresciallo Radetzky un tribunale speciale che in soli 4 anni comandò la morte per più di 400 persone

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Le tre litografie pubblicate appartengono alla serie “Giudizio Statario”. Furono disegnate dal tenente J. Wolf, litografate da A. Nardello e stampate dalla tipografia G. Kirchmayr di Venezia nel 1852

di Francesco Selmin

A

ll’alba del 18 giugno 1850 nell’antica città di Este, diciassette individui, sedici uomini e una donna, furono prelevati da due distinte prigioni nelle quali erano rinchiusi da qualche settimana: quella ricavata nei granai Papafava, ubicati nei pressi della Torre della Porta Vecchia, e quella, molto più capiente e affollata, ospitata nell’ex convento di San Francesco. In quest’ultimo imponente edificio, abbellito da un magnifico chiostro e trasformato in caserma austriaca, il 3 giugno era stata insediata una commissione inquirente che, assistita dall’autorità militare, avrebbe dovuto investigare sui delitti commessi nel distretto di Este e in quelli limitrofi dopo il 10 marzo 1849. Era questa la data del proclama emanato dal feld-maresciallo Radetzky in cui si notificava che tra i crimini da punirsi secondo le leggi militari, mediante “consigli di guerra” o “giudizi statari”, con la morte o con anni di lavori forzati, rientravano, oltre ai reati propri dei tempi di guerra, anche le rapine e i furti pericolosi. In quell’antico convento i 17 erano stati interrogati dal giudice istruttore Giuseppe Chimelli. Era ancora mattina quando i prigionieri, con i ceppi ai piedi e scortati da soldati, arrivarono alla villa Bojani, un tempo Contarini Da Mula, dove li attendeva il Tri-


STORIA E DINTORNI La condanna fu eseguita “mediante polvere e piombo”, dopo che a tutti erano stati bendati gli occhi bunale Statario a cui erano stati trasmessi anche gli atti istruttori predisposti da Chimelli. Il tribunale lavorò con speditezza perché, come recitava l’articolo 500 del Codice penale austriaco del 1803, il giudizio statario consisteva “nella più breve inquisizione del delitto, nella pronta condanna del colpevole e nella immediata esecuzione della pena”. Non contemplava il ricorso né la richiesta di grazia. Alle 16 il processo arrivò a compimento. Per tutti fu pronunciata all’unanimità sentenza di morte, da eseguirsi mediante la forca, per aver preso parte alla rapina ai danni di Francesco Turetta, oste e possidente di Boccon, la notte del 7 aprile. La sentenza fu rassegnata per la conferma al Comandante militare della città e provincia di Padova, cui il feldmaresciallo Radetzky aveva conferito lo jus gladii et aggratiandi, il “diritto di spada e di grazia”. Dopo un paio d’ore, intorno alle 18, alcuni graduati austriaci, giunti in carrozza, consegnarono al Presidente del Tribunale la sentenza definitiva. La condanna a morte risultò confermata per dieci imputati, per gli altri sette, tra cui una donna, fu commutata in 20 anni di carcere duro. POLVERE E PIOMBO Alle 18,30 la sentenza definitiva fu letta ai detenuti. Subito dopo i condannati a morte, scortati dai soldati, lasciarono la villa Bojani. Preceduti dal suono dei tamburi e seguiti da un congruo numero di bare, raggiunsero il vicino Campo della Mostra dove, in mancanza del boia, la condanna fu eseguita, come precisa la sentenza, “mediante polvere e piombo”, dopo che a tutti erano stati bendati gli occhi. Erano le 19,15 del 18 giugno. In poco più di 12 ore si era consumata la prima tornata di quello che sarà chiamato comunemente il Giudizio Statario di Este o anche il “grande processo contro i ladroni”. Il processo destinato a stroncare quella criminalità che nella Bassa padovana era sì da tempo endemica, ma che in concomitanza con la rivoluzione del ’48 aveva registrato un aumento significativo, per poi dilagare senza freno alcuno nel 1849. La seduta del 18 giugno fu solo la prima di una lunga serie che si dipanò nell’arco di ben quattro anni. Cominciò così una lunga peregrinazione che negli anni seguenti avrebbe portato il “Giudizio Statario” in decine e decine di località in obbedienza al principio

del cosiddetto “esempio in luogo”, per cui il processo e la sentenza si eseguivano di norma nel paese dove il delitto era stato commesso. Nei giorni seguenti il tribunale fece tappa a Teolo. In agosto vagò tra Monselice, Conselve, Piove di Sacco, spingendosi a nord fino a Voltabarozzo, alle porte di Padova. Per quattro anni funzionò senza tregua e solo agli inizi del 1854 il ricorso alla “polvere e piombo” si fece meno sistematico. “L’ultimo supplizio dev’essere applicato con parsimonia – scrisse il presidente della Commissione civile alle autorità superiori – onde non abituarvi le popolazioni e renderlo meno orribile; questa massima pare debba aver luogo segnatamente nel caso nostro […] dopo ché nelle tre provincie di Padova, Rovigo, Mantova, con una popolazione in complesso di soli 728.000 abitanti, nel periodo di anni tre e mezzo, furono eseguite per delitti comuni 430 pene capitali e gli altri, cui la morte fu condonata, ne sostennero per più giorni i timori e le angosce”. La svolta avvenne il 1 maggio 1854 con una risoluzione sovrana che abrogò lo stato d’assedio. Aveva così fine la Commissione militare inquirente la cui attività si concluse con i processi tenutisi in Este tra il 27 marzo e il 9 aprile 1854. La Commissione civile invece continuò a operare fino al 15 marzo 1856, ma nei due anni e mezzo di attività emanò soltanto due sentenze di morte

La seduta del 18 giugno fu solo la prima di una lunga serie che si dipanò nell’arco di ben quattro anni

Secondo i dati raccolti dalla documentazione conservata nell’Archivio di Stato di Venezia il bilancio finale della Commissione d’Este è il seguente: 414 esecuzioni e 781 condanne al carcere. Solo nove imputati ebbero la sospensione del processo. In totale i processati furono 1204. Leggermente inferiori i dati forniti da Chimelli: 385 le condanne a morte di cui due inflitte dalla Commissioni civile.

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Corte Bonicella e Allevamento Veneto Ovini, alla scoperta di sapori moderni La storica azienda di Anguillara da un anno si è dotata di un agriturismo per far conoscere i propri prodotti e per intercettare il turismo di visitazione

Il pastore è forse il mestiere più antico del mondo e i Morandi lo fanno da molto, molto, tempo. Il Capostipite Erardo arrivò dall’Appennino Modenese subito dopo l’ultima guerra. Con i suoi otto figli si stabilì da prima in Polesine, poi nel veneziano nella zona di Borgoforte, dove la presenza degli argini del Gorzone e dell’Adige garantiva distese verdi e spazi per il pascolo. Qui la famiglia crebbe, tutti i figli rimasero nel settore specializzandosi. Ottaviano si dedicò all’allevamento di ovini e caprini da carne, non abbandonò mai il rito delle transumanze tra pianura e montagna, dove d’estate gestisce una malga. Ora tocca ai figli Davide, Luca e Andrea portare avanti la tradizione e l’impegno c’è già tutto. L’Allevamento Veneto Ovini continua a produrre agnelli, agnelloni, pecore e castrati per la produzione di carne e di latte di altissima qualità. La carne di agnello, spiedini di pecora, vengono vendute direttamente nello spaccio aziendale mentre il pecorino è ordinabile sia fresco che stagionato durante il periodo dell’alpeggio in Malga Faverghera, Nevegal. Vero fiore all’occhiello dell’azienda Morandi è la produzione di “arrosticini” e la linea di prodotti di insaccati con i quali raggiungere il gusto dei più giovani, legando sapori decisi a cibi di facile preparazione. “Stiamo lavorando su un’offerta legata ai nuovi sapori, ad un gusto più moderno. In un’offerta gastronomica - spiega Davide Morandi - dove la ricerca di nuovi sapori è fondamentale, pensiamo che la riscoperta della carne di pecora possa essere una piacevole sorpresa non solo per i così detti palati fini”. Del resto stiamo parlando di prodotti innovativi di altissima qualità e dalla tracciabilità certa. “La Corte Bonicella di Pegolotte - continua Davide - è il nostro agriturismo con il quale vogliamo far conoscere i nostri prodotti e per intercettare quel turismo di visitazione che da queste parti è proprio legato alla terra, alla sua bellezza e al suo passato. Ah…a proposito, siamo anche fattoria didattica. Chi volesse diventare pastore per un giorno... da noi può farlo…”

CORTE BONICELLA Via Cavarzere, 28 - 30010 Cona (VE) • Tel. 0426 59298 • Cell. 349 3680371 info@cortebonicella.it • www.cortebonicella.it


SALAME DI PECORA Il magro della carne di pecora viene miscelato con il 40% di pancetta di maiale magra. La carne viene condita secondo la ricetta del salame tradizionale veneto con: sale, pepe, aglio e vino rosso, insaccata e lasciata asciugare per un periodo di 40-50 giorni

FIOCCO Taglio della coscia (la fesa) che viene preparato con lo stesso procedimento del lonzino ma viene insaccata in un budello e poi fatta stagionare una quindicina di giorni. È più morbida del lonzino, buonissima servita in carpaccio o con le verdure

PASSITA Stesso procedimento del salame ma è più piccolo. Si tratta di salumi particolarmente adatti da servire da aperitivo magari in abbinamento ad un buon vino bianco

LONZINO È la specialità della casa. La lombata di pecora viene salata e profumata con spezie e fatta asciugare per una ventina di giorni. È ottima servita in carpaccio

PROSCIUTTO La coscia intera della pecora viene salata, asciugata e stagionata

• RICETTA •

ARROSTO PASQUALE

Ingredienti: ello • Un cosciotto o una spalla di agn • Lardo o pancetta • Vino bianco liva • Timo, rosmarino, sale olio d’o

LA PECORA BERGAMASCA Il gregge dell’Allevamento Veneto Ovini, è formato da pecore di razza “biellese” o “bergamasca”, comunemente definita il “gigante d’Europa”. Il gregge di circa duemila capi viene portato in alpeggio nel periodo estivo nelle zone del Colle del Nevegal, Malga Faverghéra, Rifugio Bristot; in autunno il trasferimento delle pecore avviene tramite autoarticolati fino alla pianura veneta dove viene effettuata una transumanza invernale fra le campagne di Chioggia, Cavarzere, Anguillara Veneta e lungo il Canale Nuovissimo e dei fiumi Brenta, Bacchiglione e Gorzone, sino agli inizi di giugno quando il gregge rientra alle montagne Bellunesi. Le età della pecora: • Da 40 giorni fino a 2 mesi, agnello da latte o abbacchio • Da 6 mesi fino ad un anno e mezzo, agnellone • Dopo l’anno e mezzo, pecora

Procedimento: con il lardo (o della Picchettare la carne di agnello Rosolare, a fuoco pancetta) e le erbe aromatiche. bi i lati, il trancio di vivace, in olio d’oliva su entram nco. carne, e sfumare con del vino bia trattandosi nto La carne non va marinata in qua corre il rischio di di prodotto freschissimo non si vole. (Di solito le carni imbattersi in alcun sapore sgrade i in quanto essendo di agnello presentano odori molest deteriorano facilmente carni bianche molto delicate si e di produzione. Per durante i lunghi trasporti dalle ere sempre carni allevate questo è preferibile consumare nella zona) temperatura attorno ai Finire la cottura al forno, ad una endono dalle dimensioni 175 ° (tempo e temperatura dip a quando le carni si del cosciotto o della spalla) fino staccano dall’osso.

ALLEVAMENTO VENETO OVINI Via Porcaro, 1 - 35022 Anguillara Veneta (PD) • Tel. 347 0326458 • Fax 049 0994675 info@veneto-ovini.com • www.veneto-ovini.com


STORIA E DINTORNI

Il museo

Tino sega seduto sulle scale che portano al suo museo

che non ti aspetteresti Ad Ariano nel Polesine esiste un museo molto particolare. Tino Sega nel sottotetto della sua casa ha raccolto ogni oggetto caro alla civiltà contadina. Ogni elemento sta vicino agli altri o per parentela oppure per assonanza e quindi questo specialissimo luogo e un posto della poesia, della metrica, del sentimento crepuscolare dove ogni cosa piuttosto che struggersi per la perdita della propria funzionalità è diventata oggetto artistico, ready-make, come la famosa fontana di Marcel Duchamp di Mauro Gambin

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i musei della civiltà contadina ce ne sono tanti e a volte, davvero, pare non sia rimasto altro del passato di questa terra. Gli anni del benessere hanno fatto dimenticare in fretta che cos’era il Veneto prima delle due guerre, il passato contadino è stato letteralmente buttato a mare insieme ai ritmi delle stagioni, alla conoscenza dei cicli degli astri, insieme ad una millenaria fatica che è servita all’uomo per continuare a vivere della terra e del proprio lavoro. Forse non è stata nemmeno una questione di me-

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moria, con il boom si è voluta buttare via la povertà e con essa è stato come buttare via il bambino con l’acqua sporca. I musei della civiltà contadina dunque sono diventati luoghi dell’anamnesi ai quali l’anziano si accosta con nostalgia e il giovane con distratta superficialità. Come non comprendere le ragioni di entrambi? E come dare torto a chi è ormai abituato a ragionare in 3D e si trova a disagio tra arnesi dai nomi improbabili e si fa fuorviare da nomi che sembrerebbero indicare cose e invece sono altre? “Sapete cosè


STORIA E DINTORNI la munega? - chiede Tino”. “Certo, una suora - qualcuno abbozza come risposta”. “No - riprende Tino - la munega è la nonna dello Scaldasonno. Era uno scheletro di stecche di legno che al centro ospitava un piccolo scaldino con braci e cenere, posizionato sotto alle coperte nei mesi più rigidi permetteva ai nostri contadini di trovare un po’ di tepore”. Tino Sega è il valore aggiunto della propria esposizione permanente, mostra con orgoglio e conoscenza ogni oggetto che compone la sua casa-museo e lo racconta come nessuna guida del Metropolitan o del Louvre può fare per le opere dei grandi artisti del passato o dell’arte contemporanea. Nel sottotetto della vecchia casa, in cui abita con la moglie, ha creato un allestimento per ogni oggetto del passato, una specie di wundercammer. Lui lo chiama museo ma è più vicino ad un “Merzbau” perchè proprio come per Kurt Schwitters è l’opera della sua vita. Ci ha messo anni a mettere insieme ogni pezzo ma la cosa che emoziona è come è stato posizionato ogni pezzo. Il solaio che Tino volentieri apre al pubblico e agli avventori che lo vanno a trovare, infatti, non va visto come un’esposizione, una mostra, va invece esperito come fosse una scultura o un’installazione. Ogni elemento sta vicino agli altri o per parentela oppure per assonanza e quindi questo specialissimo luogo e un posto della poesia, della Nella foto l’opera “Merzbau” e nel tondo il suo autore Kurt Schwitters

metrica, del sentimento crepuscolare dove ogni cosa piuttosto che struggersi per la perdita della propria funzionalità è diventata oggetto artistico, ready-make, come la famosa fontana di Marcel Duchamp. Forme per le scarpe, nasse, reti, falci, falcetti, martelli: gli oggetti sono mestieri il cui impiego oggi non è più oscuro del significato di un’opera di Ulrike Buhl, ma ci sono anche le opere concettuali, come le bombe, ossia le borse dell’acqua calda ottenute reimpiegando i bossoli di ottone dei proiettili sparati dai cannoni nella seconda guerra mondiale e riciclati secondo quel razionalismo che fece della parsimonia l’arte dello sopravvivere. Ci sono gli oggetti dell’ingegno, strumenti modificati per nuove funzioni, oggetti rari, preziosi, giochi di latta, soldatini, biglie in mezzo agli anni, agli anni, agli anni...

MUSEO DELLA CIVILTÀ CONTADINA via Maragna, 21 - 45012 - Araino nel Polesine - info 0426 71828

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Pollo, latte e miele, benessere per tutti ... anche per il pollo Nel 2004, dopo essere stata riconosciuta come eccellenza del territorio padovano da parte della Camera di Commercio, l’azienda Antichi Sapori è stata scelta per portare avanti una sperimentazione che coinvolse anche l’Università di Padova e il rinomato gastronomo Pierangelo Barontini. Uscì un prodotto magro, nostrano e dal gusto pregiato. Il suo posto era al centro della tavola, la domenica. Sia a pranzo che a cena il sapore del pollo arrosto coincideva con quello del dì di festa, anzi ne era la sottolineatura nobilitante. Poi però il pollo venne a perdere la sua importanza, l’allevamento industriale gli sciupò gusto, consistenza e valore, tanto da essere associato più spesso agli alimenti per le diete o per gli ammalati piuttosto che alle pietanze per le grandi ricorrenze. “Serviva una “cura” riabilitante per il pollo spiega Mirco Scudellaro - così è nato il “latte e miele”. L’idea era quella di allevare un pollo di altissima qualità che fosse immagine del territorio, sulla scorta di quanto accadeva in Francia con il “pollo di Bresse”. Il brevetto risale al 2007 ma la fase sperimentale ha richiesto tutti e tre gli anni precedenti e tutta la pazienza della famiglia Scudellaro, visto che per lo sviluppo del progetto, la Camera di Commercio, l’Università di Padova e il rinomato gastronomo Pierangelo Barontini, avevano scelto, su consiglio di Massimiliano Alajmo,

lo chef de “Le calandre” giustamente celebrato come uno dei migliori cuochi d’Italia, proprio la loro azienda. “La sperimentazione - continua Mirco - ha richiesto scelte e tempo. È venuta a Barontini l’idea di aggiungere all’alimentazione dei polli una percentuale di latte e miele. Fu l’idea giusta, il nostro pollo già eccellente per essere allevato a terra, con un accrescimento lento e con prodotti di grande qualità, trovò nel sapore una nuova intensità grazie alla combinazione dei due nuovi alimenti”. È da sfatare l’idea che si tratti di un pollo dolce, il “latte e miele” aumenta la gustosità delle carni e la morbidezza delle stesse senza alterarne il sapore. “I vantaggi di questa alimentazione non vanno tutti in gusto - conclude Mirco - ne guadagna anche il pollo in salute e benessere. Il miele, infatti, aumenta le difese immunitarie dell’animale, tanto che non viene sottoposto ad alcun trattamento. Altro aspetto fondamentale è che il miele deve essere rigorosamente il “mille fiori” dei Colli Euganei, il disciplinare lo prevede esplicitamente.

Il miele aumenta le difese , immunitarie dell’animale osto tanto da non venire sottop ad alcun trattamento

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POLLO ''LATTE E MIELE'' SCUDELLARO • Il pollo “latte e miele” è un collo-nudo label a lento accrescimento • Viene allevato all’aperto • Il periodo di allevamento è di 5 mesi (la vita media per un pollo allevato industrialmente è di 45 giorni) • Almeno negli ultimi due mesi l’alimentazione base, cereali, crusca ed erba fresca prodotti prevalentemente in azienda, viene integrata con latte e miele dei Colli Euganei • Macellato in azienda, evitando agli animali lo stress di lunghe trasferte che spesso ne causano l’intossicazione delle carni • Spiumato manualmente, evitando i colpi dell’azione meccanica che potrebbe comprometterne l’integrità delle carni (una macchina industriale spiuma 80-90 mila capi in sei ore, nello stesso tempo all’azienda Antichi Sapori 6 persone spiumano 200 polli) • La carne è magra, la pelle sottile, il gusto intenso e morbida anche se i mesi di maturazione tenderebbero a renderle notevolmente consistenti, la pelle è ottima da degustare in quanto i profumi del miele tendono a trasferirsi proprio nelle parti grasse dell’animale. Ottimo per qualsiasi tipo di cottura, ideale da friggere.

E FRITTO POLLO LATTE & MIEL produzione Antichi Procuratevi un pollo Latte&Miele di di tagliarlo Sapori di Scudellaro; spolpatelo avendo cura in un contea pezzettini, salatelo e mettetelo a riposo tità della nitore con rosmarino, paprika e curry (la quan se vi nda seco a o ment gradi Vs. a è paprika e del curry nte). piace più o meno picca

Pastella

Le nostre produzioni La nostra attività è incentrata nel rispetto della salute dell’animale e dell’uomo. Vendiamo pulcini di polli, faraone, anitre, oche, germani reali, capponi e tacchinelle. Macelliamo e vendiamo i nostri prodotti, pronti al consumo.

Produciamo salami, culatelli, speck, salamelle, il tutto di anatra e oca

di semola di Usate 3 parti di farina “00”, 2 parti di farina farina fecoo grano duro, una parte di farina maizena ottenere una la, aggiungete sale e acqua fredda fino ad e un dito consistenza liquida ma non troppo (immerget lla deve nella pastella e dopo averlo tirato fuori la paste del pelle la arire trasp r lascia deve rimanere attaccata ma no alme per frigo in rto cope dito), fate riposare il tutto due ore.

Cottura

fredda soPrendete il pollo e versate tutta la pastella teglia abpra in modo da coprire bene il tutto. In una non extra bastanza profonda mettete dell’olio di oliva ungere la raggi a fino atela scald a, vergine oppure di palm ra proeratu temp la rare misu Per temperatura di 165°C. dopo se lio, nell’o lla paste di vate a buttare delle gocce l’olio rficie supe in o aver toccato il fondo risalgono subit il pezzo per pezzo è pronto. A questo punto prendete a lio, nell’o lo pollo sgocciolato dalla pastella e immergete doratura media estraetelo.

Tel. 049 5349944 - Fax 049 9550942 - E-mail: info@scudellaro.it


STORIA E DINTORNI

Nostalgici sentimenti in giardino A spasso tra ville e parchi “romantici” dell’Ottocento

É. Manet, Le déjeuner sur l’herbe, olio su tela (1862-1863), conservato al Musée d’Orsay di Parigi

di Mauro Gambin

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l Basso Veneto dell’800 non era attraversato solo da schiere di briganti, da epidemie di colera o dai lutti causati dalle esecuzioni, a base di “polvere e piombo”, impartite dagli austriaci. L’Ottocento fu anche un secolo di grandi trasformazioni economiche, sociali e politiche: pensiamo alla nascita del Socialismo. Un secolo pure di scienza e tecnologia, benedette entrambe dal “Positivismo”, che non mancò di fare del bene anche alle nostre latitudini. Le idrovore a vapore, ad esempio, erano quanto di più avanzato le nostre bonifiche avessero conosciuto e permisero di vincere una volta per tutte la titanica lotta contro le acque, consentendo la messa a coltura di nuove terre. L’Ottocento, insomma, ci consegnò la campagna così come la conosciamo oggi, anche se lo spettro della miseria continuò ad aleggiare tra le nostre case fin tra le due guerre del secolo successivo. Eppure sono questi gli anni in cui si forma quell’immagine “allegorica” di campagna felice, quell’idea di vita beata e ruspante, quel vago e nostalgico sentimento legato all’arcadia felix e quel presupposto di malinconico affetto per la vita rustica, a cui si faceva riferimento qualche capitolo fa. Un idea che non nasce a caso, ma che trova genesi in un’immagine tutta letteraria, ossia in quel movimento artistico etichettato come “Romanticismo” con radici tanto profonde da ridisegnare il rapporto tra uomo e natura. Quale fosse questo rapporto lo dice il nome stesso affibbiato alla nuova corrente di pensiero: Romanticismo deriva dall’inglese “romantic”, da “romance”, traducibile in italiano come “romanzesco” nel senso di “non reale” e dunque il “paesaggio” viene letto come l’espressione del divino in terra, l’immanenza dell’assoluto nel mondo sensibile, di cui l’uomo non è che una caduca manifestazione. La natura con la sua bellezza fa scaturire nell’uomo sentimenti contrastanti in grado di terrorizzarlo quanto di rasserenarlo. Il catastrofismo, in particolare, suscita nell’animo umano un senso di inquietudine misto a orrore, ma là dove l’uomo riesca

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a cogliere in tutto ciò una qualsivoglia forma di bellezza, si realizza il concetto di sublime. L’esotismo, altra parola chiave per intendere il sentimento del Romanticismo, è una fuga dalla realtà, che può essere sia temporale che spaziale e perciò rivolge il proprio interesse verso mete esotiche o comunque lontane dai luoghi di appartenenza, oppure ad un’epoca diversa da quella attuale, come il Medioevo o l’età classica antica. Il paesaggio della Bassa Padovana non rimase immune a questo nuovo “sentire”, che influenzò tutte le “arti”, anche se può stupire che tutto questo popò di “pensiero romantico” sia finito soprattutto in giardino. Eppure fu una rivoluzione! La villa veneta che fin dal ‘500 era stata una sorta di casa-azienda, ossia di centro organizzativo e logistico della campagna e per questo abitata solo nel periodo dei lavori campestri, il resto dell’anno i ricchi veneziani tornavano in città a godersi il carnevale che normalmente durava da ottobre a marzo, con la caduta della Serenissima, invece, gli abitanti delle ville divennero stanziali, ma così tanto stanziali che anche il gusto per la casa virò verso scelte più permanenti. E che cosa c’è di più “fisso” di un giardino? E cosa di più idoneo di un giardino per esprimere il nuovo rapporto tra uomo e natura? Il cosidetto “giardino all’inglese” veniva proprio allora studiato e discusso a Padova per superare gli stilemi del giardino all’italiana e uniformarsi al nuovo sentire. Così al rigore delle geometrie delle siepi e delle prospettive vennero a sostituirsi accostamenti naturali e artificiali fortemente evocativi: ruscelletti, grotte, cespugli, alberi secolari, in un insieme che suggerisce una dimensione di selvaggio, mai lasciata al caso e anzi sapientemente orchestrata. É quanto accade anche a Sant’Elena nel parco di villa Miari de’ Cumani, dove alla fascinazione romantica dei toponimi - Lago scuro, Piano delle streghe, Colle degli ulivi - si sovrappone la religione laica del nuovo Stato italiano con la celebrazione di Cavour nel tempietto a lui dedicato nel mezzo del parco.


STORIA E DINTORNI

Villa Papafava a Frassenelle I fratelli Papafava, Francesco e Alessandro, amici di Canova, Angelica Kaufmann e Giuseppe Jappelli decisero di trasformare il casino di caccia cinquecentesco in una villa di stile neoclassico; la villa è corredata da un bel parco romantico, progettato da Alberto Papafava nel 1860: grazie alle sue doti di pittore, particolarmente attratto dalle bellezze naturali, ha dipinto la sua opera più bella dando vita a questo parco. Trasse ispirazione dai giardini inglesi ampi e spaziosi, ricreando in tutto e per tutto quell’atmosfera romantica che solo la natura riesce a regalare, come la costruzione della grotta artificiale presente al suo interno e il piccolo laghetto, Il parco privato di Frassanelle, che circonda Villa Papafava è caratterizzato dal susseguirsi di immensi prati e graziose colline per una superficie di ben 120 ettari. Villa Selvatico Emo Capodilista a Battaglia Terme Sulla sommità dello storico colle di Sant’Elena, noto anche come monte della stupa per la presenza di un’antica grotta sudorifera che ne deteminò la fortuna, alla periferia sud di Battaglia, si innalza, sapientemente restaurata e incorniciata da splendide piante secolari, la Villa Selvatico - Sartori le cui origini risalgono al 1593. Nel 1814 le proprietà dei Selvatico sul colle di Sant’Elena vengono acquistate da Agostino Meneghini il quale affida all’ architetto e ingegnere idraulico Giuseppe Jappelli (1783-1852) l’incarico di trasformare il parco, caduto in disordine, in un giardino all’inglese attorno ai laghetti termali. Sono passati di qui letterati illustri come Michel de Montaigne, Stendhal e Heine. Villa Kunkler, Este Più nota come villa Byron o dei Cappuccini ad Este sorge sul sentiero del Principe, il viottolo che prima del castello porta verso i colli. Costruita nel 1820 sul luogo di un convento di Cappuccini, è valorizzata da un bel parco che la circonda sui tre lati. Tradizione vuole che Byron e Shelley con la moglie Mary siano stato ospiti qui come testimoniano alcuni versi di Shelley: “Isole in fiore sì, si trovano/nel mare della vasta Angoscia./ Fu ad una di esse che stamane/ giunse la mia barca/ da delicati venti pilotata. Fra i monti Euganei mi trovai/ e ascoltavo il peana/ che legioni di cornacchie alzavano/al maestoso sorgere del sole”. A fianco della villa si nota una strana costruzione in legno che venne edificata su modello di un’isba russa per ospitare il cavallo preferito di uno dei baroni Kunkler. Villa Miari de Cumani, Sant’Elena d’Este La villa è circondata da una cinta muraria merlata ed è composta da più corpi collegati tra loro. All’interno si può ammirare una notevole biblioteca con l’arredamento originale del XVIII secolo, una bella sala “dei Ventagli” decorata agli inizi del Novecento da Achille Casanova ed altre sale tra cui quella detta “del Palma” dove sono custodite le tele attribuite a Palma il Giovane. Il vasto parco di circa otto ettari è stato ideato e realizzato da Giuseppe Jappelli attorno al 1860 in perfetto stile romantico e vi sono sistemate piante esotiche, piccole costruzioni di gusto eclettico, una grotta e un laghetto.

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2014 PROGETTI per il Turismo Rurale

I RISULTATI DEL GAL Antico Dogado Il GAL Antico Dogado è operativo nella programmazione 2007-2013 dal 2010 e in questi tre anni di intensa attività ha assegnato contributi per quasi 6 milioni di euro pari a un volume di investimenti nel territorio che superano gli 11 milioni.

Percorsi e punti d’informazione è arrivato il tempo di conoscere il territorio, le sue bellezze e i suoi protagonisti

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na terra che lotta contro l’acqua e tuttavia l’acqua è la risorsa più importante di questa terra. Non è facile spiegare dove s’incontrino gli equilibri di una simbiosi ed è certo che è stata la bonifica dell’800, quella fatta con le prime macchine a vapore, a rendere più stabile questo rapporto. Ne ha giovato l’agricoltura, ma anche il paesaggio, un paesaggio particolare: caratterizzato da argini e idrovore, puntinato da secolari ville e qualche museo che oggi ha iniziato ad ospitare la storia dell’uomo da quando ha principiato ad affacciarsi nelle prossimità e sui bordi della laguna veneziana. 13 comuni, di cui 6 in Provincia di Venezia e 7 in Provincia di Padova (Campagna Lupia, Campolongo Maggiore, Cavarzere, Chioggia, Cona, Mira e Arzergrande, Bovolenta, Candiana, Codevigo, Correzzola, Pontelongo, Terrassa Padovana) questo è l’ambito sul quale si impernia l’a-

zione del Gal Antico Dodado e dove l’azione si fa intensa per strutturare il territorio di una rete integrata di collegamento che consenta un’ampia fruizione di tutte le risorse del territorio, per renderlo più attraente e diversificare l’economia rurale. Il GAL, infatti, si pone l’obiettivo di intercettare i flussi turistici, legati sia ai centri storici (Venezia-Padova) sia ai centri balneari, e convogliarli verso l’entroterra. In tal modo è possibile aumentare l’attrattività dei luoghi di elevato interesse garantendone la fruibilità attraverso la valorizzazione dei percorsi e/o itinerari con particolare attenzione a quelli enogastronomici, agrituristici e ambientali. Consolidare questi percorsi significa migliorare la qualità della vita delle zone rurali attraverso una diversificazione delle attività agricole e la promozione dei prodotti del territorio.

ITINERARIO “NAVIGLIO DEL BRENTA” Un importante intervento qualificherà l’Itinerario “Naviglio del Brenta”, si tratta di una pista ciclabile che costeggiando parte del “Canale nuovissimo” pone il suo start ideale a Chioggia e collega i comuni di Campagna Lupia, Campolongo, “Porto Menai”, raggiungendo il Brenta e Mira. Si tratta di un suggestivo percorso che mette insieme la bellezza del paesaggio fluviale con quella dei manufatti per la gestione delle acque, fino alle nobili residenze estive veneziane nelle quali Carlo Goldoni ha ambientato diverse celebri commedie, come ad esempio la trilogia “Smanie per la villeggiatura”. Nel corso del 2014 l’affascinate tragitto verrà ulteriormente qualificato grazie ad una nuova segnaletica e la realizzazione di una passerella a Porto Menai.

Lungo il percorso...

L’imponente quinta scenografica delle ville sul Brenta, tra le quali la palladiana Villa Foscari, detta la Malcontenta

La località Porto Menai, poco a sud di Mira Taglio

L’idrovora di Lova detta “El macchinon”

G.A.L. Antico Dogado - Via C. Colombo, 4 - 30010 Lova di Campagna Lupia (VE) - Tel. 041 461157 - Fax 041 5184086 mail: info@galdogado.it - PEC: galdogado@pec.it - www.galdogado.it


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ITINERARIO CHIOGGIA - CAVARZERE - CONA Un altro itinerario sul quale si stanno concentrando gli sforzi del Gal è quello già esistente denominato “Le terre di Chioggia e Bosco Nordio tra i fiumi Brenta e Adige”, si tratta di un percorso di 35 chilometri che unisce la cittadina Clodiense all’entroterra veneziano fino a collegare Cavarzere, Cona spingendosi pure a lambire il Delta polesano. Un viaggio tra i corsi d’acqua che caratterizzano il territorio, fiumi importanti ma anche canali come la “Fossetta” un tempo via del sale che metteva in comunicazione con la vicina Ravenna, e porti come Brondolo, un tempo caposaldo del sistema difensivo veneziano e oggi snodo fluviale strategico tra Bacchiglione e Brenta. Il percorso non trascura il paesaggio, quello della bonifica con le sue idrovore ma anche quello palustre un tempo sfruttato per la lavorazione della canna palustre per produrre stuoie, arelle, graticci come nel caso del famiglia De Piccoli che continua la sua storica attività alla foce dell’Adige. Vale da solo la fatica della pedalata Bosco Nordio, a una decina di chilometri da Chioggia, in località Sant’Anna, dal ‘59 Riserva Naturale Integrale. Nel corso del 2014 il percorso sarà oggetto di una massiccia campagna di promozione è strutturato con la realizzazione di un attracco in località Corte Salasco, mentre esiste per l’idrovora di Punta Busiola un progetto per la realizzazione di un museo della bonifica da realizzarsi nell’ex casa del custode.

Lungo il percorso...

Bosco Nordio

Corte Salasco

Punta Busiola

ITINERARI CICLABILI COLLEGATI AL FIUME BACCHIGLIONE Sono ben tre invece le progettualità che riguardano il versante padovano del territorio del GAL Antico Dogado. Si tratta della realizzazione e certificazione di tre itinerari tra “terra e acqua” che avranno l’obiettivo di intercettare il grande turismo veneto che gravita attorno alle città storiche (come quella del Santo) o ai centri balneari per convogliarli verso l’entroterra rurale. Un turismo che pur contando su numeri inferiori rispetto ai grandi centri potrà avere ricadute positive per le aziende o le attività enogastronomiche, agrituristiche e ambientali, arricchendo e diversificando l’economia dei territorio Pista delle Ville: Il primo percorso è denominato “delle Ville” in quanto lungo i suoi 19 chilometri incontra opere di grande importanza architettonica. Partendo dalla pista ciclabile del fiume Bacchiglione a Pontelongo sarà possibile raggiungere Candiana e il suo Duomo e proseguendo lungo la pista ciclabile che costeggia la SP14 raggiungere Pontecasale dove si trova Villa Garzoni. Il percorso prosegue sulle strade comunali di via Viona, di via Dossi e di via Cavena verso Arzercavalli e Fossaragna dove confluisce sulla SP9 poco prima di Bovolenta. Attraversato il centro del paese e il ponte sulla SP35 il percorso si ricollega alla pista ciclabile del fiume Bacchiglione. Pista dei Casoni: Il facile e corto percorso di 8 chilometri si dirama dalla pista ciclabile del fiume Bacchiglione a Correzzola, prosegue lungo sommità arginali e corsi d’acqua di scolo, come il Castelcaro o lo Schilla, per raggiunge la località Vallonga in cui si trova l’omonimo casone. Pista delle Bonifiche: Sempre dalla pista ciclabile del fiume Bacchiglione presso l’oasi di Ca’ di Mezzo, nel comune di Codevigo, prende origine il tracciato che prosegue lungo canale Morto fino all’idrovora da dove si prende il canale S. Silvestro per raggiungere Corte Priula e proseguendo il centro di Civè. Dopo l’abitato il percorso attraversa il ponte sul canale Barbegara e prosegue in direzione nord verso Porte Palà dove si innesta nuovamente sul canale Morto per poi tornare all’Oasi di Ca’ di Mezzo sul fiume Bacchiglione.

Punti Informativi Tra gli interventi che il Gal Antico Dogado porterà a compimento entro il 2014 c’è la realizzazione dei punti informativi a Mira, all’Ostello di Giare e alle scuderie di Villa Levi-Morenos; Chioggia alle porte del centro storico; Campolongo in via Bosco di Sacco vicino al percorso dell’ippovia; Arzegrande vicino al Casone Azzurro e alla loggetta di Pontecasale, grazie ai quali sarà più semplice reperire le indicazioni inerenti ai percorsi strutturati questi anni.


Comune

di Candiana

C ANDIANA VINUM, volano per la promozione del territorio Le Amministrazioni comunali hanno sempre più un ruolo importante nella promozione del territorio e dei suoi prodotti. Il Comune di Candiana è tra i più dinamici in questo senso e da undici anni, attorno all’iniziativa Candiana Vinum, sta costruendo una rassegna di vini locali e una proposta di visitazione imperniata sui prodotti tipici e sulle bellezze storiche e architettoniche della cittadina

L’Assessore all’Agricoltura Fabrizio Guasti

Undici anni di storia significano undici anni di impegno, di lavoro e di idee che finalmente sono diventate proposte e che oggi rappresentano un’opportunità anche sotto il profilo turistico, per una cittadina che sicuramente non era nata con questa vocazione. Ne abbiamo parlato con l’assessore all’Agricoltura Fabrizio Guasti: allora che cos’è Candiana Vinum e dove volete arrivare? “Nel volantino promozionale della rassegna dei vini dello scorso anno abbiamo inserito questo passaggio: Un viaggio attraverso le migliori produzioni vitivinicole e gastronomiche della Regione, ricco di proposte tipiche e tradizioni locali. Candiana Vinum nasce dall’incontro tra l’amore per il territorio in cui viviamo e la voglia

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di valorizzarne gli aspetti caratteristici. Il Comune di Candiana, del resto, è geograficamente compreso nella strada dei vini denominata “Stradon del Vin Friularo”, vino tipico del nostro territorio che dal 2011 ha ottenuto la denominazione di origine controllata e garantita. Con l’affermarsi di una cultura in cui la qualità prevale sulla quantità, emerge la necessità di garantire l’origine e la qualità dei prodotti, rappresentativi di un territorio e della sua identità. In tale contesto si inserisce il Vino Friularo e la “Rassegna dei vini dello Stradon del Vin Friularo e delle migliori aziende vinicole del Veneto” è nata con lo scopo di promuovere proprio la produzione vitivinicola locale; tuttavia negli anni, si è cercato e sviluppato anche un confronto con le altre produzioni provinciali e regionali non disdettando qualche ospitata di importanti aziende piemontesi, toscane, trentine, friulane, ecc. Ereditando questa “base”, assieme al gruppo di amici e collaboratori che ringrazio pubblicamente per le idee, la passione e il tempo che gratuitamente mettono a disposizione per la riuscita di questa manifestazio-

ne, ho cercato di sviluppare e arricchire un evento che quest’anno è giunto all’11esima edizione”. Candiana Vinum, tuttavia, è anche una competizione, una gara per l’individuazione del migliore Friularo “Varie aziende vitivinicole provenienti da tutto il Veneto propongono un massimo di 3 vini, suddivisi nelle varie categorie come da regolamento, all’insindacabile giudizio di ben 3 commissioni di giudici-sommeliers - AIS, FISAR e ONAV - : i risultati e le conseguenti premiazioni si svolgono nel pomeriggio della domenica (giorno clou della manifestazione). Nella stessa occasione si premia anche il “miglior Friularo di Candiana” ovvero il miglior Friularo prodotto in piccole quantità, ad uso domestico, dagli agricoltori di Candiana e Pontecasale: è il premio più ambito, ricercato e inseguito per un anno intero e che per l’anno a seguire diventa argomento di conversazione e, perché no, di paesane e innocue polemiche”. Non solo vino però… “Candiana e il suo circondario sono depositarie di una storia affascinante, di secolari tradizioni e


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E fece Jacopo Tatti il palazzo di messere Luigi de’ Garzoni più largo per ogni verso che non è il Fondico dei Tedeschi tredici passa, con tante comodità. che l’acqua corre per tutto il palazzo, il quale palazzo è a Pontecasale in contado… Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori di bellezze architettoniche uniche come Villa Garzoni e Villa Renier a Pontecasale o il Duomo di Candiana, il Monastero o il Borgo Littorio. Bellezze che in occasione del Candiana Vinum abbiamo iniziato a proporre attraverso visite guidate gratuite condotte da abili accompagnatori, che ringrazio, ottenendo validi riscontri sia in termini di presenze che di interesse. Lo stupore è spesso sottolineato dalla frase: “Non conoscevo questa villa” oppure “Non sapevo di questa storia”. Ma neanche solo cultura… “Sempre in occasione della rassegna, la Pro Loco propone “il Girone dei Golosi”, un tour guidato in sella alla propria bici alla scoperta del territorio e delle aziende agricole locali produttrici di tipicità: in queste occasioni si fondono insieme l’attenzione, lo stupore, la curiosità di chi magari non ha mai visto una stalla o una gallina con l’ospitalità e l’accoglienza familiare dei nostri agricoltori nell’offrire un assaggio di formaggio o un pezzetto di frittata alla comitiva su due ruote. Questa amministrazione crede fermamente nelle potenzialità turistiche di Candiana e Pontecasale: da subito si è favorita la nascita della Pro Loco, si è entrati a far parte del Bacino Turistico della Saccisica che, oltre a pubblicizzare nel territorio provinciale (essendo collegato con lo iat di Padova e della zona termale) qualsiasi manifestazione

culturale, ha permesso a Candiana di essere una delle “tappe” del Festival dei Casoni e delle Acque: manifestazione itinerante di prima estate che propone un susseguirsi di spettacoli teatrali all’interno di contesti storico-architettonici di assoluto pregio. Nel 2011, per i 150 anni dell’Unità d’Italia, in Villa Garzoni abbiamo ospitato con Reteventi la prima regionale de “Le donne nel Risorgimento” di e con Ivana Monti: uno straordinario successo di pubblico immerso in uno straordinario scenario d’altri tempi”. Ecco appunto: “scenario d’altri tempi”, che progetti ci sono per il futuro turistico di Candiana e Pontecasale? “A breve inizieranno i lavori di restauro dell’edificio settecentesco “la Loggetta” nel centro di Pontecasale. Finalmente, si metteranno in cantiere una serie di interventi per risanare l’edificio nei suoi elementi strutturali e, soprattutto, si agirà con lavori finalizzati a darne finalmente una fruizione pubblica: la Loggetta diverrà punto di accoglienza turistica poiché Candiana e Pontecasale sono tappe di un percorso ciclo-turistico che segue le vie fluviali (il Bacchiglione nel nostro caso) e che accompagnano il turista dalle montagne al mare dandogli la possibilità di conoscere borghi e territori rurali tenuti, purtroppo finora, fuori dalle proposte dei tour operator”.

Villa Garzoni è stata progettata da Jacopo Sansovino nel 1540, la famiglia si rivolse a lui perché questi desse lustro, con l’edificazione di una dimora, all’impresa di prosciugamento e bonifica di gran parte della zona paludosa che circondava Pontecasale

La storia del Duomo di San Michele è la storia di Candiana, giacchè le prime informazioni archivistiche sul comune coincidono con l’atto di fondazione del monastero cluniacense nel 1097 L’interno impressiona per l’impatto scenografico dei decori, dell’altar maggiore e degli affreschi eseguiti da Girolamo Mengozzi Colonna e di Giovanni Maria Morlaiter, mentre tra le sculture c’è la mano di Giovanni Bonazza

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Salvan Vigne del Pigozzo

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Ai piedi dell’imponente Catajo, una stradina scende dalla Statale per introdurre in una signorile dimora di campagna, dove gli edifici, l’aia in trachite, le barchesse parlano di un’antica fedeltà della famiglia Salvan alla Terra. All’interno del cortile cantine. Tutto intorno vigneti. Qui si trasferì Dionisio Salvan proveniente dalla “Grompa”, localita vicina a Villa Estense. La sua attività di agricoltore si estese poi alla Tenuta Sabbioni in Rottanova di Cavarzere dove mise a punto ed applicò innovative tecniche di coltivazione del pioppo per produrre legno da opera. Lunghi filari di pioppo e viti Bacò disegnavano i campi e stabilizzavano il terreno sabbioso. I prati producevano fieno e foraggi per i bovini da lavoro e da carne. L’opera fu poi continuata dal figlio Urbano con l’impianto di vigneti Merlot e Friularo, l’ammodernamento della cantina e la costruzione di una rete di canalizzazioni sotterranee per distribuire l’acqua di irrigazione e in seguito dal nipote Antonio con la costruzione di un sistema centralizzato di irrigazione e la risistemazione dei terreni. Oggi l’azienda produce legname di alta qualità, cereali leguminose ed energia da fonti

rinnovabili.

Az. Agr. Salvan Via Mincana, 143 - 35020 Due Carrare (PD) - Tel 049 525841


Da generazioni gli abitanti del luogo hanno coniugato con competenza il sapere accademico con la concretezza contadina; non stupisce perciò trovare qui i più moderni mezzi e le tecniche più avanzate di vinificazione. Il dottor Giorgio Salvan accoglie il visitatore tra i vigneti e, in cantina, mesce per assaggio il vino dei grandi contenitori, ma poi mostra con orgoglio le piccole botti di legni diversi dove fa invecchiare il vino “che sa lui”. È un cultore: racconta la storia del luogo, consiglia il vino giusto per i vari piatti, per capire, per imparare ancora, per offrire agli amici un sorso di piacere. Rosanna vi accoglie in cantina e Francesca, agronomo di quarta generazione, vi guida nelle degustazioni aiutandovi a scoprire il suono del vino, ad abbinarlo, oltre che ad un cibo, anche una musica adatta. Francesca si occupa anche degli eventi in cantina, volti a far conoscere il vino divertendosi, come la sfida di degustazione “Indovina Chi?” e “Benvenuta Vendemmia” giornata di festa in cui provare la pigiatura dell’uva con i piedi... Il nome dell’azienda deriva da quello della vicina Chiesetta del Pigozzo, nome dialettale del Picchio. È una parte di un più articolato complesso abaziale che un tempo ospitava un monastero di monache pizzocchere. Qui ogni anno, il 25 marzo, si festeggia l’Annunciazione della Vergine Maria. La Sagra del Pigozzo è la prima sagra di Primavera, La tradizione impone Cuchi, fischietti in terracotta, “tiramolla e fave”. Qualche anno anche “Salami e Vin Bon”. www.salvan.it - info@salvan.it


STORIA E TERRITORIO

Friularo o Raboso Piave? Malgrado alcune pretese campanilistiche, alla domanda quali sono le differenze tra queste denominazione si deve rispondere: nessuna! A cura del professor Claudio Giulivo

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anche da quanto afferma Marescalchi. Scrive infatti el Registro Nazionale delle vaquest’autore: da un prospetto del signor Pierietà di vite i due termini sono tro Sette, pubblicato nella statistica agraria sinonimi. Così è scritto in quedell’anno 1867, risulta che la “Friulara di sto Registro secondo quanto riportato Bagnoli” fu introdotta nella provinda Cosmo e Polsinelli (1960). “La perfetta cia di Padova da oltre un secolo identità tra “Raboso Piave” e “Friularo” è stata e mezzo dalla famiglia De Vidipiù volte controllata negli stessi luoghi di coltivazione mali che dal Friuli la trapiantò nella Villa di ed in quella circostanza venne pure constatato che Bagnoli, dove vegeta a meraviglia. Da notare che vi la distinzione tra “pécol rosso” attribuita al primo e fu un tempo in cui si attribuiva il nome di Friuli a tut“pécol verde” al secondo non è né costante né speto il territorio che arriva sino al Piave: il Friuli storico cifica”. “Raboso Piave” e “Friularo” rappresentano un stendesi dal Piave all’Arse, dal Dravo all’Adriatico; il unico vitigno - come del resto era stato segnalato da Friuli geografico o naturale s’allarga dal Livenza al Carpenè fin dal 1873 e successivamente confermato Timavo..., scrive G. Ciconj. Il nome “Raboso” potrebda vari altri autori, tra cui Marzotto, Dalmasso e Miotto be invece derivare da un toponimo per quanto nella - bisogna ammettere che le eventuali minime diffezona dove oggi scorre il torrente Raboso, affluente renze morfologiche, in qualcuno dei loro organi aedel Piave, non si trovi traccia rei, siano dovute all’ambiente alquanto diverso nel quale si Nella statistica agraria dell’anno del vitigno di cui trattasi. Te1867, risulta che la “Friulara nuto però conto della forte coltivano anche con forme di allevamento molto diverse. di Bagnoli” fu introdotta nella acidità di cui è caratterizzata, Il “Raboso Piave” ha infatti provincia di Padova da oltre un anche a perfetta maturazione, l’uva di “Raboso Piave”, la sua patria di elezione nei secolo e mezzo dalla famiglia è più probabile che il nome terreni alluvionali, ciottolosi e De Vidimali che dal Friuli la di “Raboso” derivi dalla voce siccitosi; il “Friularo” si coltiva invece nelle terre piuttosto trapiantò nella Villa di Bagnoli, dialettale “rabiosa” adoperata per indicare un frutto poco pesanti o decisamente argildove vegeta a meraviglia gradevole. Questa ipotesi lose, compatte, fertili; il primo potrebbe trovare conferma nella sinonimia tra poi si alleva secondo il classico sistema a “rag“rabose, rabosine e rabióse” citata da Pirogi”, spesso in consociazione al gelso (sistema na. Per distinguere poi questo vitigno da altri Bellussi), il secondo invece a “cassone” su “Rabosi” la denominazione base potrebbe tre “rotaie” distanti tra loro m 1,20-1,50 ed a essere stata completata dal nome del fiupalo secco”. me - il Piave - lungo il quale la coltura si era Attualmente queste storiche forme di allevaandata maggiormente diffondendo. Con troppa mento sono in via di sostituzione o estinzione facilità si considerano viceversa ancor oggi dai pracon altre a spalliera più economicamente gestibili tici come caratteri distintivi, nell’ambito di una stessa anche se non sempre è possibile mantenere le tipivarietà in senso orticolo - per cui si vorrebbero intravche caratteristiche qualitative delle uve e del vino. vedere altrettante sottovarietà - quelle che, invece, Come si è arrivati ad attribuire il nome di “Friularo” sono soltanto delle semplici variazioni morfologiche dato - secondo Poggi impropriamente - nel Padovano dovute all’ambiente: fenomeno sul quale già Pulliat al “Raboso Piave” viene ricordato dal Registro nazioe Di Rovasenda avevano richiamata l’attenzione dei nale: questa attibuzione “fa pensare all’importazione viticoltori vari decenni or sono”. dal Friuli di quel vitigno, ciò che del resto risulterebbe

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Via Umbria, 26/B - 35043 MONSELICE (PD) Tel. 0429 73735/780835 - Fax 0429 780836


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Cantina Colli Euganei tra i protagonisti del Vinitaly Il prossimo 6 al 9 aprile la cantina sarà presente con il proprio stand all’evento dedicato al vino che daVerona è riuscito ad imporsi sull’intera scena nazionale ed internazionale Dal 6 al 9 aprile rimarranno aperti i battenti di Vinitaly, l’evento dedicato al vino che da Verona è riuscito ad imporsi sull’intera scena nazionale ed internazionale. È qui, infatti, che i bicchieri si incontrano in un simbolico brindisi attorno alle più prestigiose etichette del mondo enologico. Da tre anni anche la Cantina Colli Euganei vi partecipa con un proprio stand, ottenendo grandi risultati in termini di apprezzamenti e dimostrando che la nostra terra non è seconda a nessuno, quando si parla di vini di grande qualità. Etichet-

te come il “Fior d’Arancio” secco e spumante, o “Notte di Galileo” e ancora la linea “Palazzo del principe”, sono quanto di più alto il particolare “terror” euganeo sa esprimere e che nella cantina di Vo trovano sostanza e valorizzazione attraverso un’esperienza pluri-decennale e una passione che qui è di casa. Si tratta di vini seguiti nel dettaglio a partire dalla campagna e si compiono in passaggi e affinamenti che oggi li rendono autentici vini di rango.

La nostra terra non è seconda a nessuno, quando si parla di vini di grande qualità NOTTE DI GALILEO

Sotto l’etichetta con lo “Zodiaco” si cela un vino prodotto con uve provenienti da aziende selezionate nella zona DOC Colli Euganei aderenti al Progetto Qualità attivato da Cantina Colli Euganei nel 1998. Si tratta di un “taglio bordolese” 60% Merlot e 40% Cabernet Sauvignon affinato per 15-18 mesi in barriques di rovere pregiato. Ne esce un rosso porpora con riflessi tendenti al granato, dal profumo ampio ed intenso con note speziate e di vaniglia. In evidenza i sentori di frutta rossa matura mentre il gusto è intenso e persistente, ma morbido ed avvolgente al palato con un’ottima persistenza retro-gustativa che ben si abbina a carni rosse, formaggi stagionati oppure anche dopo pasto, come vino “da meditazione”.

FIOR D’ARANCIO SECCO E SPUMANTE

Il fior d’Arancio e il vino “immagine” dei Colli Euganei. Brillante, inconfondibile per via delle suo spiccato aroma di fiori bianchi, di erbe aromatiche e di albicocca, spicca e stacca ogni altro vino moscato. Nella versione spumante e secca, invece, l’abbinamento risulta perfetto con antipasti dal gusto dolce, risotti o pasticceria a base di frutta e ovviamente per ogni brindisi.

CANTINA COLLI EUGANEI s.c.a. - Via Marconi, 314 - Vo’ Euganeo (PD) Tel. 049 9940011 - Fax 049 9940497 - www.cantinacollieuganei.it - info@virice.it


LA CANTINA La Cantina Colli Euganei è una società cooperativa agricola fondata nel 1949, nata per volontà di un gruppo di viticoltori che si sono associati per poter raccogliere, vinificare e commercializzare il vino della zona Dop e Igp dei Colli Euganei. Oggi ragruppa circa 680 produttori, disseminati all’interno del territorio protetto dal Parco dei Colli. Per gli associati la cantina è un punto di riferimento quotidiano: consulenza enologica, assistenza tecnico-formativa per i viticoltori, grande attenzione alle scelte di qualità, in vigna come in cantina. È un’azienda certificata, che impiega tecnologie all’avanguardia in tutte le fasi della lavorazione. Aggiornamento costante, cultura tecnica e competenza caratterizzano lo staff che si impegna per dare la certezza di una filiera totalmente controllata, dal grappolo alla bottiglia. Con 7 milioni di chili d’uva raccolta, 5 milioni di litri di vino prodotto e 2 milioni di bottiglie distribuite la Cantina Colli Euganei è il maggiore produttore dell’area. LA VENDITA È ANCHE ON-LINE Oltre ai punti vendita di Vo’, Limena e Selvazzano è possibile acquistare i prodotto della Cantina Colli Euganei anche on-line. Basta una mail all’indirizzo info@virice.it per entrare in contatto con un operatore e poter accedere al acquisti e ricevere entro 48 ore il vino desiderato direttamente a casa. PUNTI VENDITA: • Vo’- tel. 049 9940011 int. 212 • Limena - tel. 049 8843803 - limena@virice.it • Selvazzano- tel. 049 8978378 - selvazzano@virice.it • Galzignano Terme - Via Valli, 55 - Tel. 049525384

LE PRINCIPALI FIERE NAZIONALI E INTERNAZIONALI PARTECIPATE DAI VINI DELLA CANTINA COLLI EUGANEI • UVIVE, la fiera internazionale dell’Unione Consorzi Vini Veneti • CIBUS, il salone internazionale dell’alimentazione di Parma • TUTTO FOOD, l’esposizione internazionale dedicata agli operatori del settore agroalimentare a Milano • VINI SUD, salone internazionale del Vino e dei Liquori Mediterranei di Montpellier • PROWEIN, fiera Internazionale dei vini e liquori di Düsseldorf

LINEA PALAZZO DEL PRINCIPE

La linea Palazzo del Principe è una triade vini selezionati dalla storia e dalle caratteristiche molto differenti. • Il CABERNET SAUVIGNON ad esempio viene prodotto con le uve della zona sud occidentale dei Colli Euganei, dove i terreni sono più sassosi e poco profondi. La vendemmia avviene a mano con selezione delle uve dalla terza settimana di settembre fino ai primi giorni di ottobre. Il vino viene affinato in botti di rovere francese da 20 hl, e in barriques (20%) per una maturazione in legno di circa 9 mesi che ne esaltano i profumi fini e fruttati di frutti di bosco, come cassis e mora. • Il CHARDONNAY arriva dai vigneti esposti a sud-est e sud-ovest dei Colli Euganei, con fondi argillosi e calcarei che conferiscono a questo vino un profumo intenso con sentori di miele e vaniglia e un sapore pieno di struttura decisa ed equilibrata. Le uve, raccolte e selezionate a mano la prima settimana di settembre, dopo pigiatura vengono macerate per tre/quattro ore a 10 °C. Successivamente il mosto viene fatto fermentare in botti di rovere francese della capacità di 500 litri. In seguito viene travasato in serbatoi in acciaio Inox ed imbottigliato nei mesi di marzo-aprile. • MOSCATO DOLCE. Le uve di questa selezione speciale provengono dai vigneti a 150-300 metri di altezza sul livello del mare. Vengono raccolte in epoca più tardiva rispetto alla normale maturazione e subiscono un leggero appassimento in pianta. Il vino è di color giallo con riflessi oro zecchino, dal profumo di frutta esotica, mentre il sapore dolce è perfetto per accompagnarsi ai dolci nelle varie tipologie, ottimo l’abbinamento con il cacao.

Punto vendita di Galzignano Terme via Valli, 55 - Tel. 049 525384


ARTERRA

Geometrie Il fuoco appartiene alla simbologia ed entra in molti dei riti di quasi tutte le religioni: l’Epifania, Santa Candelora, il Carnevale, si basano tutti sul concetto di rigenerazione di Loredana Pavanello

I Il “fuoco di Sant’Antonio”: Tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco vengono posti sotto la protezione di sant’Antonio, in onore del racconto che vedeva il santo addirittura recarsi all’inferno per contendere al demonio le anime dei peccatori. Per questo, tra i molti malati che accorrevano per chiedere grazie e salute, molti erano afflitti dal male degli ardenti, conosciuto anche come fuoco di Sant’Antonio, o herpes zoster, Si manifesta sotto forma di eritemi e vescicole con un decorso di poche settimane. Gli animali domestici: Sant’Antonio tuttavia è considerato anche il protettore degli animali domestici, tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella. Il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo. La tradizione deriva dal fatto che l’ordine degli Antoniani aveva ottenuto il permesso di allevare maiali all’interno dei centri abitati, poiché il grasso di questi animali veniva usato per ungere gli ammalati colpiti dal fuoco di Sant’Antonio. I maiali erano nutriti a spese della comunità e circolavano liberamente nel paese con al collo una campanella. Secondo una leggenda del Veneto (chiamato San Bovo o San Bò, la notte del 17 gennaio gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio.

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l culmine dell’inverno, quando il gelo cade immobile sopra le terre, rappresenta un tempo nuovo: quello dell’anno che inizia, con lo sguardo dritto nel futuro, e quello del mondo naturale, in continua metamorfosi. Sotto il ghiaccio la terra si purifica, preparandosi piano al fervore della primavera, e la ripresa della vita attiva, protetta - per gli antichi romani, dal più ardente degli dei, Marte, dio guerriero del tuono e della natura. Nella stessa cultura arcaica va ricercato il profondo significato dei riti legati a questo periodo dell’anno, migrati nella tradizione cristiana e scanditi dal simbolo purificatore per eccellenza: il fuoco. Con il fuoco si chiude il giorno della Befana, memore di lontani riti di passaggio, per lasciare alle spalle il vecchio anno, letteralmente bruciato, nell’ottica di propiziarsi quello entrante. E ancora, a febbraio - mese purificatorio, secondo l’etimologia latina, la liturgia cristiana celebra la Candelora raccogliendo, con la benedizione delle candele, l’eredità delle antiche Feste di Luce, nel giorno della Presentazione al Tempio, che è anche il giorno della Purificazione di Maria. Il fondamento ebraico della ricorrenza condivide qualche tratto con la tradizione romana dei Lupercalia, che insieme ai Saturnalia è considerata una sorta di precedente del Carnevale: la festa è anch’essa fondata sul concetto di rigenerazione e fissata in quello stesso torno di tempo. Il calendario romano riservava inoltre un posto particolare a Giunone/Februa festeggiata il primo di febbraio come Iuno Seispes, cioè Sal-


dello Spirito vatrice, affinché bruciasse i mali portati dall’inverno, e in particolare le febbri di natura paludosa. Il fuoco dei ceri cristiani e delle fiaccole pagane, centro simbolico di questo suggestivo mondo rituale, è anche protagonista del giorno di sant’Antonio abate, che si colloca a metà strada tra Epifania e Candelora, il 17 gennaio: occasione che in alcuni paesi coincide con l’inizio del Carnevale, e che spesso si accende del bagliore dei fuochi in una variante infinita di tradizioni. Fra i santi più amati nella cultura popolare, Antonio abate “protettore del fuoco” è presenza fissa di una sterminata produzione iconografica che lo vede ritratto nelle vesti dell’eremita, con tanto di croce a forma di tau e campanello, immancabilmente accompagnato da un piccolo maiale. Questo perché sin dal Medioevo i monaci antoniani potevano allevare l’animale, da cui si sarebbe ottenuto il lardo, medicamento prezioso contro il fuoco di sant’Antonio, il male degli ardenti. Dolce e benevolo, indurito nella severità dell’asceta, tormentato dalle tentazioni, il santo eremita popola le storie sacre di ogni tempo. Anche la grande pittura veneta non si è sottratta alla rappresentazione del vecchio anacoreta, dedicandogli posti di riguardo nelle pale d’altare, come è avvenuto, fra i migliori esempi, nella splendida Apparizione della Vergine di Lorenzo Lotto - la pala di Asolo, dove Antonio è immerso in un paesaggio simbolico lucidamente costruito per guidare il percorso di con-

Apparizione della Vergine di Lorenzo Lotto La pala di Asolo

ARTERRA

Le Tentazioni di Sant’Antonio abate di Jacopo Tintoretto (Jacopo Robusti, 1519-1594), Chiesa di San Trovaso, Venezia

templazione devota. La sua figura si fonde talvolta nello spazio pittorico, stagliandosi contro l’oro dei fondali tardo gotici, come nel delicato dipinto di Lorenzo Veneziano nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, o mescolandosi ai mostri spaventosi della tradizione fiamminga, simbolo delle prorompenti tentazioni, nel bel trittico di Bosch a Lisbona. Contro le tentazioni Antonio lotta indicibilmente nella tela di Tintoretto in San Trovaso a Venezia, luogo di pace ai margini delle rotte calcate dai turisti. Qui si può assaporare per intero l’eccezionale portata retorica dell’artista veneziano, che nel tormento del santo traduce il supplizio subito dal committente, Antonio Milledonne, alto funzionario della Repubblica, vittima di “diaboliche manovre” che gli ostacolarono la carriera politica. Ma il santo

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ARTERRA del fuoco si presta a incarnare soprattutto la fiamma della fede, ed è così, ad esempio, che l’anacoreta si offre alla devozione popolare nella pala del Duomo di Monselice assegnata a Domenico Campagnola, vestendo il più tradizionale e rassicurante abito del santo che protegge e guarisce. La profonda devozione che ruota attorno ad Antonio abate riconduce a un contesto fondamentale nella trasformazione storica del paesaggio veneto: quello del monachesimo, di cui Antonio è tradizionalmente considerato il padre. Tutto il territorio regionale conserva i segni della tenace battaglia che i monaci hanno combattuto bonificando paludi, costruendo argini, dissoSant’Antonio abate, dando campi, allontanando Domenico Campa- così febbri malariche e fame: gnola (XVI sec.) con- una battaglia condotta prinservato nel duomo di cipalmente dai benedettini, Monselice presenti a Padova sin dal IX secolo, nell’antico cenobio di Santa Giustina, divenuto presto il più potente fra i monasteri padovani e dell’intero Veneto. Alle comunità benedettine vanno ricondotte grandi opere agrarie, a seguito dell’abbandono legato alla caduta dell’impero romano e le successive invasioni barbariche; ma anche splendidi monumenti, come l’Abbazia di Praglia, edificata fra il verde dei colli Euganei tra XI e XII secolo. Casa filiale dell’Abbazia di San Benedetto in Polirone di Mantova, il complesso conosce una “seconda nascita” nel 400, con l’adesione alla riforma di Santa Giustina di Padova: da questo momento l’abbazia rifiorisce, sotto il profilo spirituale e artistico, arricchendosi della Basilica rinascimentale, attribuita a Tullio Lombardo,

L’Abbazia di Praglia, edificata fra il verde dei colli Euganei tra XI e XII secolo

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la Biblioteca, affrescata da Battista Zelotti in stile manierista, ed altre preziose opere. Il paesaggio veneto perderebbe certo di poesia senza la presenza diffusa di queste tracce, che ancora conferiscono dignità alla fisionomia urbana e rurale: così è a Badia Polesine, oltre l’Adige, dove si mantiene l’impronta dell’Abbazia della Vangadizza, centro benedettino di vitale importanza sotto il profilo economico e sociale, mantenuta anche con il passaggio duecentesco all’ordine camaldolese. O a Santa Maria delle Carceri, dove gli agostiniani portuensi si stabilirono nel luogo di un antico ospizio per i pellegrini provenienti dal Nord Europa e diretti a Roma. Ma a radicarsi nel territorio è forse più di ogni altra proprio la presenza benedettina, le cui tracce si trovano variamente sparse: da Candiana a Carrara Santo Stefano, da Bagnoli di Sopra a Piove di Sacco, fino a sviluppare attorno ad alcuni “fuochi” un organico sistema di corti, come a Legnaro, Maserà, Correzzola ed altri luoghi, dove verranno attivati fondamentali

La corte Benedettina di Legnaro

interventi di natura agricola, idraulica ed amministrativa. A Correzzola, ad esempio, la corte benedettina diviene nel 500 un centro di grande importanza operativa, grazie alla posizione strategica sul Bacchiglione, nella via del commercio tra Padova e Chioggia. Importanza simbolicamente restituita dalle forme monumentali del complesso, articolato intorno a due ampi cortili e ritmato nella parte frontale da un elegante portico, oltre il quale si nascondono gli spazi della vita contemplativa, ma anche granai, magazzini, stalle, forni, cantine, orti e giardini funzionali al trascorrere di un quotidiano faticoso. Pieni di storia, questi monumenti parlano un linguaggio architettonico di sobria eleganza, quasi a tradurre nella forma il ritmo silenzioso di un’esperienza vissuta tra i chiostri, ma indissolubilmente intrecciata con la multiforme realtà di braccianti, contadini, artigiani. “Grandi opere” niente affatto aggressive, fuori dalla contemporanea estetica sovradimensionata, ma complessi armonici, intelligenti sintesi di arte e natura, capaci di rispondere alle esigenze della funzione con sublimi geometrie dello spirito.


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Fior di Maserà, ritrovata l’antica varietà Grazie alle sementi conservate da un agricoltore si è potuti tornare al radicchio di Maserà delle origini, cioè a quello coltivato prima degli anni ‘90, quando il crollo del mercato spinse la selezione verso radicchi di grossa “stazza”

C’è mancato poco che il Fior di Maserà si estinguesse! Niente paura, stiamo parlando di qualche decennio fa. Agli inizi degli anni ’90, infatti, il crollo del prezzo del radicchio aveva portato la selezione delle varietà verso i prodotti per la grande distribuzione e per questo di “stazza” più grande. Per il Maserà pareva non esserci altro destino che confondersi definitivamente nel Variegato di Castelfranco: sarebbe stato il definitivo addio ad un prodotto che nel territorio aveva diversi decenni di tradizione. Fortunatamente l’addio non c’è mai stato e anzi, grazie all’attività del Consorzio del Fior di Maserà, per il piccolo radicchio padovano negli ultimi 15 anni si è aperta una nuova stagione più promettente che mai. Infatti la tendenza degli ultimi anni è stata quella di tornare all’antica varietà, invertendo la selezione. Dopo cinque anni i tecnici del Consorzio erano arrivati a buon punto, tuttavia sarebbero stati necessari altri sei /sette anni per completare il lavoro. Operazione che, per fortuna, da qualche mese si è resa del tutto superflua, in quanto ogni tanto i miracoli accadono: un anziano agricoltore aveva conservato gelosamente alcune piantine del la varietà originale, senza mai cadere nelle lusinghe di strani incroci per aumentarne la redditività, donandole, lo scorso anno al Consorzio. Da ciò hanno visto la luce le prime piante di “vero Maserà”.

Durante la manifestazione è stata raccolta, grazie alle vendite, la somma di 1.100 euro che è stata devoluta alla fondazione “Citta della speranza”

QUINDICESIMA FESTA DEL FIORE DI MASERÀ La quindicesima festa dedicata al Fiore di Maserà, come sempre è stata un momento di incontro tra i produttori e gli estimatori di questa eccellenza del territorio. “Lo scorso 26 gennaio è stato un momento decisamente importante per il nostro Consorzio - spiega il presidente, Roberto Rigato - e una vetrina di prestigio per il nostro prodotto che sta dando lustro ed importanza a Maserà e a questa parte della provincia di Padova”. Il Fior di Maserà è andato esaurito, gli affezionati al prodotto hanno svuotato i banchi di vendita cassettina dopo cassettina ed è proprio sulla scorta di questo successo che il presidente Rigato e gli otto produttori stanno mettendo giù qualche idea per il futuro. “Tra i nostri imminenti progetti - ha precisato il Presidente c’è l’idea di realizzare un nostro “farmer market”, una nostra filiera corta con prodotti di qualità a prezzo concorrenziale riconoscibili da un marchio al quale stiamo già lavorando.

IL FIOR DI MASERÀ Meno conosciuto del variegato di Castelfranco, del quale è strettissimo parente, si differenzia per il procedimento tradizionale dell’imbianchimento. Le piante, i primi giorni di novembre vengono ricoperte, un filare alla volta, nel corso dell’inverno con piccoli tunnel in telo neroper permettere il processo di “imbianchimento”. Si tratta di un prodotto di nicchia, poco conosciuto anche all’interno della stessa provincia, coltivato da una quindicina di aziende, su una superficie di circa 20 ettari, per una produzione che si aggira sul migliaio di quintali annui. È tuttavia un’eccellenza per gusto e morbidezza. Liberato delle foglie esterne, il Bianco Fior si presenta con dei “petali” di un bel color bianco crema con screziature rosso-violacee.dal verde alla bianca crema. Pronto per le tavole può essere impiegato soprattutto crudo in insalata o per la preparazione di risotto, bocconcini al gratin o la frittata.

CONSORZIO ORTOFRUTTICOLI E TIPICI PADOVANI Via G. Matteotti, 181 - 35042 Conselve PD


COME DISTINGUERE UN BIANCO FIOR DI MASERÀ DA UN VARIEGATO DI CASTELFRANCO BIANCO FIOR DI MASERÀ

VARIEGATO DI CASTELFRANCO

Pezzatura

Il Maserà è piccolo, 100 a 250 g appena

Il Variegato è più grande, i cespi variano dai 200 ai 500 g

Colore

Dal giallo al bianco burro con screziature violacee

Giallo paglierino con variazioni rosso vinaccia

Foglie

Sono particolarmente frastagliate

Sono lisce e tondeggianti

Taglio

Viene tenuta una parte della radice

Viene tagliato a raso

PROCESSO DI PRODUZIONE DEL BIANCO FIOR DI MASERÀ Le operazione di semina per il radicchio Bianco Fior di Maserà devono essere effettuate dai primi di luglio al 15 agosto. Il trapianto avviene dal 15 luglio al 31 agosto; la raccolta inizia da ottobre inoltrato. Durante lo sviluppo della pianta non servono particolari attenzioni, oltre che un’irrigazione accurata soprattutto in caso di siccità prolungata e normali operazioni di sarchiatura. L’operazione fondamentale per la produzione del radicchio Bianco Fior di Maserà è quella di forzatura-imbianchimento, che consente di esaltarne i pregi organolettici, merceologici ed estetici. Per ottenere il prodotto, dopo la raccolta il radicchio viene assemblato in cassette che sono raggruppate e coperte con film plastico nero, direttamente sul campo e lasciate a riposo per 3-4 giorni. Successivamente vengono stivate in appositi locali a 16-18°C con umidità accentuata fino ad imbianchimento avvenuto. Con questo processo si pongono i cespi in condizioni di formare nuove foglie le quali, in assenza di luce, sono prive o quasi di pigmenti clorofilliani e mettono in evidenza la variegatura sullo sfondo della lamina fogliare; inoltre perdono la consistenza fibrosa, assumono croccantezza e un sapore gradevolmente amarognolo. I cespi vengono quindi toelettati e passati in vasche con abbondante acqua, lavati e posti in cassette bianche per la commercializzazione, con sopra una copertina di plastica con il logo del Consorzio Ortofrutticoli e Tipici Padovani.lavati e posti in cassette per la commercializzazione.

PROPRIETÀ Il Radicchio ha proprietà depurative, diuretiche, toniche e lassative; facilita la digestione, la funzione epatica e stimola la secrezione biliare; infine, è ben tollerato da tutti gli stomaci. Quando si acquista, le foglie non devono essere appassite o troppo bagnate: il contenuto vitaminico dipende, infatti, dalla maggiore o minore freschezza. È consumato sia crudo, per la preparazione di insalate miste, sia cotto.

Risotto

CON RADICCHIO BIANCO FIOR DI MASERA

• 300 g di riso per risotti • 300 g di radicchio bianco Fior di Maserà • Metà cipolla • Brodo vegetale • ½ bicchiere di vino bianco • 50 g di parmigiano grattugiato e a scaglie • Olio q.b. • Sale q.b. • Pepe q.b. (se gradito) Per il brodo: • 1 litro di Acqua • 1 Cipolla da circa 200 gr • 1 Carota • 1 Gambo di sedano • Sale q.b. PROCEDIMENTO Per prima cosa preparate il brodo per cuocere il risotto al radicchio. Fate bollire l’acqua con il sale insieme alle verdure, lasciate cuocere per qualche minuto, poi filtrate e lasciatelo da parte. Private i cespi del radicchio dalla radice e tagliateli a listarelle nel senso della lunghezza, poi lavate accuratamente. Tritate finemente ¼ di cipolla e rosolatela a fuoco dolce in un tegame insieme a un filo di olio evo. Poi unite le listarelle del radicchio e fatele saltare a fuoco vivo per qualche minuto. Aggiustate di sale, pepate se gradite e cuocete per una decina di minuti, facendo asciugare bene il fondo di cottura. Fate tostare il riso mescolando per 2 minuti in un tegame antiaderente dopo aver fatto imbiondire a fuoco vivo l’altro quarto di cipolla insieme a un filo di olio. Bagnate con il vino, che farete evaporare, e poi con due mestoli di brodo caldo, mescolate e portate a cottura, aggiungendo man mano che viene assorbito un mestolo di brodo caldo per volta. Poi a 10 minuti dalla fine della cottura, unite il radicchio, e infine mantecate con il parmigiano, poi coprite e lasciatelo riposare per due minuti prima di servirlo.


L’acqua dove serve

TRENT’ANNI DI ESPERIENZA per progettare e realizzare il futuro dell’agricoltura L’azienda Irrifert ha sede a Lusia, Rovigo, la terra degli orti e del rinomato Consorzio dell’insalata Igp, specializzata nei rami dell’irrigazione e della fertirrigazione propone un servizio che parte dalla consulenza e accompagna tutte le fasi di realizzazione di un impianto: dalla progettazione del miglior sistema di irrigazione, in ragione a colture e tipo di terreno, alla posa in opera, accompagnando il cliente anche nelle fasi di individuazione del miglior periodo e delle quantità di acqua da impiegare. IL DOMANI AFFIDATO AD UNA GOCCIA La terra dell’Adige è una terra strana, prima di tutto perché non è terra ma sabbia e poi perché ha un cattivo rapporto con l’acqua: o ce n’è troppa oppure non ce n’è affatto. Questa tuttavia è stata la terra perfetta per Irrifert, qui sono maturate esperienze che sono diventate conoscenze per l’impiego e l’utilizzo della risorsa acqua. Conoscenze che oggi sono strategiche per permettere all’agricoltura di superare le difficoltà legate alle estati siccitose e ai muri imposti dalla concorrenza nel mercato. I prodotti, infatti, oltre che la qualità devono avere prezzi concorrenziali, il segreto per avere entrambi sta in una goccia d’acqua. Gli impianti a goccia oggi offrono le soluzioni giuste ai tempi che la campagna sta vivendo: praticità nel condurre le operazioni di irrigazione, dispendio minimo di risorsa impiegandone solo il necessario e risparmio energetico grazie all’impiego di pompe a bassa pressione.

IRRIFERT S.r.l. Via Martiri della Libertà, 475 - Lusia (RO)


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L’IRRIGAZIONE A GOCCIA, L’UNICA A GARANTIRE QUALITÀ, QUANTITÀ E RISPARMIO Comunemente conosciuta anche come “irrigazione localizzata” o anche “microirrigazione” somministra lentamente acqua alle piante, sia depositandola sulla superficie contigua pianta o direttamente alla zona della radice riducendo al minimo il dispendio di acqua. Questo tipo di irrigazione inoltre rimedia anche alle necessità di concimazione. Spesso la somministrazione del concime alle piante diventa inefficace in quanto il momento in cui questo può essere distribuito non coincide il periodo in cui le piante hanno massima necessità di nutritivi. Il modo per ovviare a questi inconvenienti è distribuire il concime, opportunamente disciolto in acqua, nell’impianto d’irrigazione a goccia/microirrigazione.

L ’azienda Irrifert propone soluzioni con tutti i marchi di impianti sia per il sistema tradizionale, con tubi e ali gocciolanti in superficie del terreno, sia per la subirrigazione (con impianti annuali che decennali) che per la microirrigazione seguendo le fasi di progettazione, pompaggio, filtraggio, condotta, automazione fino alla goccia che arriva alla pianta IMPIANTO ANNUALE Anche per il mais il sistema di irrigazione più funzionale risulta essere quello a goccia. Fino a qualche anno fa i campi venivano irrorati con il sistema di “getto mobile”, ma l’alto costo di carburante necessario per questo tipo d’intervento, la costipazione del terreno oltre che l’inutile spreco di acqua, fanno propendere oggi per un intervento più mirato e preciso. In questo tipo di coltivazioni il modello d’impianto consigliato è quello annuale con manichette che vengono rimosse a fine stagione. IMPIANTO PLURIENNALE L’impianto a goccia può essere impiegato in tutti i tipi di situazione: dal pieno campo, nelle orticole, nei vigneti, nei frutteti e oggi anche nelle coltivazioni di cereali. Impianto microirrigazione su orticole

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Tenuta Civrana. Si coltiva la qualità e la cultura

Un’azienda a 360° dove il mestiere della campagna può anche diventare materia d’insegnamento per i più giovani Terra nera, terra buona per gli orti e alla Tenuta Civrana si coltiva di tutto. Seguendo il preciso calendario delle stagioni, ben 6 ettari dei 365 dell’intera estensione aziendale, sono destinati alla coltivazione delle orticole tra le quali spicca il radicchio “Rosso Civrana”, speciale varietà caratterizzata da un gusto molto dolce. Pur trattandosi di una superficie vasta, la produzione non è estensiva ma punta decisamente sulla qualità grazie ad una campagna che continua ad essere coltivata nel rispetto dell’ambiente e lasciando al verde spontaneo uno spazio decisamente importante. Accanto alle superfici coltivate, infatti, esistono ambienti naturali quali boschi planiziali, siepi e stagni, che svolgono un importante funzione di fitto depurazione. A tutto questo si aggiunga che anche per la commercializzazione dei prodotti “Tenuta Civrana” ha scomesso sulla “filiera corta”, ossia sul rapporto diretto tra produttore e consumatore che elimina alle radice i rincari di costo, dovuti ai rialzi degli intermediari, e problemi legati alla tracciabilità. Qui i prodotti sono a tutti gli effetti a chilometri zero.

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La Tenuta Civrana non è solo un’azienda agricola dove si coltivano prodotti di qualità, è anche una straordinaria opportunità per conoscere la natura e i suoi protagonisti. Dal 2007 l’azienda si è strutturata per essere una fattoria didattica e da allora stagionalmente propone visite guidate, lezioni in classe laboratori. Qui le materie sono le più vaste e spaziano dalla conoscenza dei boschi, vista la presenza di una Zps recentemente attrezzata, alla conoscenza della campagna, delle colture e dei mestieri svolti dal contadino. Fiori, erbe, frutti: sono lezioni da seguire con attenzione. Non manca l’incontro con gli animali selvatici (con torrette attrezzate per il birdwatching) o quelli di bassa corte: capre, oche, asini, cavalli che fanno bella mostra di se, nelle stalle della fattoria. Ma alla Civrana guardare non basta, bisogna anche fare! Fare i nidi agli uccelli che si appena imparato a riconoscere dalle tracce lasciate sul terreno o dal loro piumaggio, per esempio. Utili casette di legno che aiutano gli amici alati a sopportare meglio le temperature rigide dell’inverno. Le lezioni sono indicate per scuole dell’infanzia, scuole primarie e scuole secondarie di primo grado, con attività calibrate e concordate con i docenti in base alle diverse stagioni, all’età degli studenti o ai progetti delle singole classi.

VISITA IN CORTE CIVRANA Viaggio nella storia della Tenuta, dal 1650 ad oggi, attraverso i segni di una lunga tradizioDurata: circa 1 ora ne agricola. GLI ANIMALI DELLA CORTE Passeggiata attravarso le numerose specie animali allevate come cavalli, conigli, cinghiali e numerose razze di galline come la famosa Durata: circa 1 ora “Padovana”. CONOSCERE L’ORTO Conoscere gli ortaggi attraverso il riconoscimento dei vari tipi di semi, la preparazione e Durata: circa 2 ore la semina. CONOSCERE IL LAVORO DEI CAMPI Si potranno conoscere ed osservare le macchine agricole in funzione durante la lavorazione e la coltivazione dei terreni. Durata: circa 1 ora

IL SUNARE Gli alunni potranno raccogliere e sgranare manualmente le pannocchie di granturco ripercorrendo una pratica ormai del tutto abDurata: circa 2 ore bandonata. LA VENDEMMIA Antica tradizione che i bambini potranno vivere in maniera diretta attraverso la raccolta e la pigiatura dei grappoli d’uva. Durata: circa 2 ore

VISITA ALL’OASI NATURALISTICA Visita agli stagni dell’oasi con osservazione di flora e fauna selvatica tipica delle zone Durata: circa 2 ore umide.

Per iscriversi basta andare sul sito della tenuta all’indirizzo www.tenutacivrana.it e scaricare l’apposito modulo.


RUBRICA

La Fenice

dalle ali di fuoco Il Fenicottero rosa non è difficile avvistarlo dalle nostre parti: nel Delta del Po vicino Albarella nella laguna di Venezia e scendendo più a sud verso Comacchio di Aldo Tonelli

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l Fenicottero rosa Phoenicopterus roseus, il cui dola del sale) situata vicino agli occhi che permette nome latino significa “dalle ali di porpora”, si dice loro di riversare il sale assunto in eccesso all’esterno abbia ispirato il mito della Fenice dalle ali rosse, del corpo dalle aperture delle narici. Si alimenta sfiol’antico simbolo della trasforla superficie dell’acqua, “Uccelli mai veduti, con le rando mazione e della rinascita: alla se questa è bassa, o bilancianfine della sua vita la Fenice ali iridate, si sollevano dallo dosi a testa in giù se l’acqua veniva consumata dal fuoco e stagno, come sgorgassero è alta. La particolare conforrinasceva dalle sue ceneri. mazione del becco, incurvato dall’acqua” Grande e inconfondibile uccelverso il basso nella parte melo acquatico rosa e bianco, il Fenicottero rosa ha zamdiana, permette la filtrazione dell’acqua e del fango pe e collo lunghi con un peculiare becco rosa con la attraverso una fitta serie di lamelle che trattengono punta nera. In volo tiene il collo e le zampe distesi e l’alimento. Si tratta prevalentemente di piccolissimi il rosso scarlatto delle copritrici alari contrasta con il invertebrati quali crostacei, anellidi e bivalvi ma annero delle remiganti. I giovani sono grigio brunastri che di semi, alghe e frammenti di piante acquatiche. con le remiganti nero-brune ed il sottoala biancorosa, In Sardegna, nell’Oristanese, i Fenicotteri rosa venil becco e le zampe sono grigi . Attraverso fasi di cogono chiamati in modo singolare e poetico: Genti lorito intermedio, essi passano al piumaggio adulto al arrubia (gente rossa). In catalano e provenzale meterzo-quarto anno di età. Vivono in lagune aperte, saldioevali si chiamava flamenc, letteralmente “fiammastre o salate, delta o saline e possiedono una meggiante”. Deriva da questo nome lo spagnolo flaghiandola (ghianmenco, che ha dato a sua volta origine a flamingo, nome quest’ultimo che si usa in in tante altre lingue. Nella Francia viene chiamato flamant mentre in arabo il nome del fenicottero è nuham, parola legata ad una radice verbale che significa all’incirca “respirare rumorosamente, fare dei versi respirando”: Alcuni degli alimenti di cui si ciba sono ricchi di carotenoidi, pigmenti di color rosso-arancio, che si depositano nelle penne in sviluppo conferendo al Fenicottero la sua colorazione rosa, sempre più carica col passare degli anni

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RUBRICA infatti quando sono a terra fanno un verso simile a un grugnito mentre quando volano emettono un suono come di tromba. Nidifica localmente in grandi colonie nelle regioni del Mediterraneo, luogo d’elezione per la specie, il cui calendario riproduttivo è condizionato dalle piogge primaverili, dalla temperatura e dal livello dell’acqua, quindi si possono avere deposizioni in tempi differenti: aprile in Francia (Camargue), marzo-aprile in Spagna (Andalusia) e febbraio-aprile in Tunisia. Il nido, fatto di fango e costruito su aree emergenti in acque poco profonde, ha la forma di un vulcano alto circa 35 cm. e concavo alla sommità dove viene deposto un unico uovo, covato alternativamente dal maschio e dalla femmina. Dopo circa 28 giorni nasce il pulcino, ricoperto di un piumino bianco corto e fitto. Lascia il nido quando ha circa 10 giorni per unirsi ad altri giovani formando folti gruppi detti “asili-nido” dove vengono vigilati da alcuni adulti mentre la maggior parte dei genitori si sposta in altri stagni per alimentarsi e ritornare la sera per nutrire i propri piccoli. Nel primo tratto dell’apparato digerente dei genitori sono presenti delle ghiandole che secernono una sorta di latte, simile al “latte di piccione”, con il quale i piccoli vengono nutriti fino all’età di circa due mesi o più. Imparano a volare a circa 70-78 giorni dalla schiusa ma possono rimanere nell’”asilo” fino anche a 100 giorni. Migratore, parzialmente migratore, dispersivo e talvolta erratico compie dei viaggi più o meno regolari in relazione alle disponibilità alimentari e ambientali nel bacino del Mediterraneo. Gli spostamenti del Fenicottero rosa sono stati monitorati dagli studiosi con il marcamento dei giovani con la tecnica dell’inanellamento che consiste nell’apporre alla zampa del pulcino un anello di plastica colorata portante una sigla specifica per ogni individuo, leggibile a distanza. L’osservazione di individui inanellati consente di tracciare il percorso svolto nell’arco della loro vita e rappresenta un utilissimo strumento per lo studio della biologia della specie. Non è difficile vederli dalle nostre parti: nel Delta del Po vicino Albarella, nella laguna di Venezia e scendendo più a sud verso Comacchio. Per concludere, leggiamo la descrizione data in un suo romanzo da Grazia Deledda, la grande scrittrice sarda premio Nobel nel 1926 per la Letteratura: “Uccelli mai veduti, con le ali iridate, si sollevano dallo stagno, come sgorgassero dall’acqua, e disegnarono sul cielo una specie di arcobaleno: forse un miraggio... a lei parve lieto auspicio”.

Questo esemplare l’ho fotografato nell’agosto del 2011 nelle Valli di Comacchio. Dalla scheda pervenutami, dopo la segnalazione fatta all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), ora apprendiamo che l’esemplare era nato in Spagna nel 2004.

In volo tiene il collo e le zampe distesi e il rosso scarlatto delle copritrici alari contrasta con il nero delle remiganti

Uno stormo di fenicotteri nella zona di Albarella in provincia di Rovigo

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PAROLA DI TECNICO

PIANTA CHE VAI PARASSITA CHE INCONTRI Spesso portiamo in giardino essenze che provengono da altri paesi, insieme ad esse importiamo nuove specie di insetti o nuove malattie batteriche o virali che causano notevoli danni alle altre piante di Eliano Morello

R

ecentemente è apparso sulla rivista “Le Scienstanziava sotto, imbrattando di resina tutto quello ze” (numero 540 - Agosto 2013) un articolo inticon cui veniva a contatto. tolato “La fine del succo d’arancia”. Il responRicordo inoltre alcune piante utilizzate come siepi sabile di questo flagello, che causa il deperimento come Cotognastro, Agazzino, Biancospino, Pyracandegli agrumi in tutto il mondo è un insetto, una psilla tha - che ospitano un temilissimo batterio (Erwinia (la psilla asiatica degli agrumi - Diaphorina citri amilovora, 2007) responsabile del colpo di fuoco foto 1), la quale inietta batteri all’interno della pianta batterico delle pomacee (la pianta di pero in testa). che causano un rapido deterioramento della stessa Questo batterio, proprio delle piante ornamentali, (tristezza) e la mancata maturazione dei viene diffuso passivao n frutti. L’insetto è originamente dagli aereosol so ia ionar I nidi della process rio della Cina, ma si è ttilissimi dei temporali oppure so i h ag i d o at tr n ce diffuso rapidamente in attraverso il volo degli un con ti an ic rt u te India, Sud Africa e Brauccelli, provocando n e m ta e al sile, per poi comparire danni molto seri alle piante di pero. anche in Florida e California (2005). L’articolo mi ha Un altro episodio, che voglio citare, è accaduto qualfornito lo spunto per una riflessione che riguarda anche anno fa: passeggiando all’interno dei giardini del che i nostri ambienti e coltivazioni agricole. Castello di Este (PD), mi sono casualmente imbattuto Ogni anno si segnalano nuove specie di insetti o in una processione di larve che scendevano da un nuove malattie batteriche o virali che causano nopino per andare a incrisalidarsi nel terreno sottostantevoli danni alle piante. Molti giardinieri, in passato, te. Nessun responsabile dei giardini si era accorto consigliavano una bella pianta di origine cinese - l’Alche si trattava della pericolosa “Processionaria del bizzia japonica (falsa acacia) - che allietava con una Pino” (Thaumetopoea pityocampa). stupenda fioritura, salvo accorgersi, in seguito, che La larva di questa farfalla - che vive in gruppi molto essa ospitava una psilla (Acizzia jamatonica) che dannumerosi - risulta nociva oltre che per il fatto di cibarneggiava non solamente la pianta, ma anche ciò che si degli aghi dei pini, anche per i suoi nidi, ben visibili

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PAROLA DI TECNICO

FOTO 1: Diaphorina citri

FOTO 2: Drosophila suzukii

FOTO 3: Cydalma perspectalis - Bruco

FOTO 4: Cydalma perspectalis - Adulto

a occhio nudo i quali sono un concentrato di aghi sotneggiare seriamente ciliegie e uva. Quando l’uva in tilissimi e altamente urticanti, tanto che, se giungono questione è la corvina della Valpolicella - che funge a contatto degli occhi possono causare addirittura da base per la produzione dell’Amarone - si può ben cecità! intendere il potenziale danno economico in gioco! Comunque, riflettendo, l’anno scorso si sono verificaL’ultima segnalazione, in ordine di tempo, riguarda la te le prime segnalazioni di danni su bosso da parte presenza (o il ritorno?) di cocciniglie su vite, in partidi una piralide (Calydalma perspectalis - foto 3 e 4), colare di “Cocciniglia Cotonosa” (Planococcus ficus). anch’essa specie di È opinione diffusa recente introduzione. che le attuali strateL’ultima segnalazione riguarda la Questo breve elenco gie di difesa, come presenza di cocciniglie su vite, in di nuovi insetti con la Difesa Integrata o particolare di “Cocciniglia Cotonosa” la Difesa Biologica, cui agricoltori, giardinieri e tecnici agricoli comportando una risi sono dovuti confrontare negli ultimi anni, nonché duzione di interventi e l’impiego di prodotti sempre dei danni da essi provocati alle piante e alle colture, più specifici, possano avvantaggiare specie di insetti, vuole portare all’attenzione del lettore il fatto che sia di funghi o di altri parassiti (prima controllati da agrogli insetti di recente scoperta che le rispettive malatfarmaci ad ampio spettro d’azione) rimasti innoqui tie sono, spesso, involontariamente sottovalutate. In per molto tempo. La Difesa Integrata (DPI) potrebbe molti casi non vengono individuate correttamente, essere sinceramente l’argomento di un prossimo arsono confuse con altre e pertanto i nuovi parassiti ticolo. hanno l’opportunità di insediarsi molto facilmente. L’Agricola Lendinarese S.n.c. - di Lendinara (RO) Gli scambi commerciali, sempre più frequenti e glocon i suoi tecnici, può sicuramente fornire un valido balizzati, permettono a molti insetti e patogeni caratpunto di riferimento per quanti avessero bisogno in teristici solo di precise e ristrette zone del mondo, di termini di consulenza e assistenza tecnica in campa“viaggiare” sia con le merci, sia con piante. Recentegna, registro dei trattamenti, difesa integrata, difesa mente il nostro Paese ha importato, oltre agli insetti biologica, oltre alla fornitura di agrofarmaci e concisegnalati all’inizio, anche un moscerino della frutta mi utili al processo produttivo per una agricoltura re(Drosophila suzukii - foto 2), il quale ha iniziato a dansponsabile e sostenibile. Morello Eliano morello_eliano@libero.it - Cell. 328 3999365

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Profumi e sapori del territorio

La cucina è un crocevia di profumi e sapori dove anche la tradizione incontra il gusto moderno e salutistico del “buon mangiare”. Giuliano Lionello è l’attuale timoniere della trattoria che appartiene alla storia e alla tradizione della sua famiglia Il fratello del nonno, Giuseppe, reduce del Don, per far stagionare le soppresse apriva e chiudeva la porta della cantina a seconda dell’umidità. Dopo 50 anni la porta della trattoria Al Pirio è ancora aperta per far entrare gli appassionati della tradizione e quelli che cercano nel cibo il sapore del moderno. Ed proprio qui, a Luvigliano, lungo le pendici di un colle dove le finestre che si affacciano sul paesaggio meritano l’appellativo di “terrazza sulle terme” il ristorante continua la sua ospitalità, nel segno della tradizione iniziata da nonno Giovanni, originario del Venda, che nel dopoguerra aveva cominciato a vendere vino, uova e soppressa. Tutta roba genuina, prodotta in casa. “Mio nonno - dice Giuliano - che faceva anche il norcino a domicilio, allevava una dozzina di maiali l’anno, e imbottigliava il Moscato”. Da allora il servizio è sempre migliora-

to. “Il nostro segreto è la gestione famigliare - aggiunge Angelina Lionello, la madre di Giuliano - e un grande amore per la cucina.” Anche in cucina l’evoluzione è stata costante. Accanto al tipico Torresano si possono trovare tante specialità Euganee di stagione. Una selezione di vini sorprendente a prezzi adeguati per ogni esigenza. Lo chef Giuliano ora dirige i lavori in cucina, sempre pronto ad accompagnare i clienti a conoscere meglio le speciali preparazioni dei suoi piatti che si andranno poi a gustare.

Il nonno Giovanni nel dopoguerra aveva cominciato a vendere vino, uova e soppressa. Tutta roba genuina, prodotta in casa Al ristorante trattoria al Pirio la tradizione incontra l’innovazione. In particolare la selezione e la cura nella scelta dei prodotti e delle materie prime viene fatta con grande scrupolo privilegiando sempre i prodotti di primissima qualità e di provenienza sicura. L’altro aspetto fondamentale è la cottura, condotta con basse temperature per non modificare i valori originali dei prodotti in termini di nutrienti, profumi e sapori. TRATTORIA AL PIRIO SNC di Lionello Giuliano & C. Via Pirio, 10 - 35038 Torreglia (PD) tel. 049 5211085 - info@alpirio.com - www.alpirio.com


La cucina è un piacere se fa bene

Il sapore è qualcosa che percepiamo attraverso la bocca ma quando è sinonimo di gusto può diventare anche un fatto culturale. Ci sono fondati studi che dimostrano che quello che riteniamo buono o disgustoso è più figlio delle scelte o delle abitudini del nostro cervello piuttosto che delle papille gustative. Per un francese abituato agli olezzi del formaggio Roquefort il colore e il sapore del pur altrettanto nauseante uovo cinese Pidàn (l’uovo dei cento anni) è uno scoglio impraticabile. Stessa cosa per il cinese nei confronti del Roquefort. Eppure per entrambi le rispettive specialità nazionali, pur immerse nei rispettivi afrori, rappresentano quanto di più raffinato il palato possa gustare. Il gusto, dunque, sembrerebbe lo strumento meno affidabile per dare un giudizio del cibo eppure il sapore è fondamentale per un piatto, proprio

perché è l’espressione culturale di luogo: cambiando le latitudini cambiano i sapori. Dicendo: torresani, galletto o asparagi selvatici e ovvio che il paesaggio evocato da questi nomi è quello dei Colli Euganei ma che dire del gusto? Per essere altrettanto indicativo, il sapore, deve essere quello giusto, della tradizione e soprattutto non edulcorato. Su questo insiste la cucina della trattoria Al Pirio che del territorio e dei suoi prodotti ha fatto una bandiera aggiungendo pure l’aspetto salutistico. Mangiare bene significa cibarsi di prodotti sani ma anche preparati bene, ossia cotti con le giuste temperature e preservandone le caratteristiche nutrizionali oltre che appunto i valori identitari, perché questa terra, c’è poco da fare, ha il suo inconfondibile gusto.

I Colli Euganei sono votati alla vite da quando i Paleoveneti della civiltà “atestina”, tra il X e il V sec. a.C., vi introdussero questa tipo di coltivazione. Oggi i vini locali sono un’eccellenza e nella cantina di Giuliano sono rappresentati insieme ad altre etichette importanti


CIBO E TRADIZIONI

Fritoe e fritee,

insomma frittelle Orsola: Chi songio? una massera? Gasparina: Pezo. Una frittolera. Orsola: Vardè! se fazzo frittole? La xè una profession. Gasparina: Co la ferzora in ztrada zè par bon. Zorzetto: Via, cavè, destrighève. Orsola: Vu, vu, siora, vardeve

Carlo Goldoni

di Mario Stramazzo

E

d è con questo “Vu, vu, siora, Vardeve” che Orqualche ingrediente ma che in ogni caso, si rispettasola, fra i personaggi femminili della commedia va la procedura che ancora oggi è considerata come “Il Campiello”, scritta da Carlo Goldoni in occaquella originale. Farina bianca “00”, uvetta sultanina, sione del Carnevale del 1755, vanta la nobiltà di una zucchero, uova, latte, lievito di birra, zucchero vaniprofessione tutt’altro che disdicevole come avrebbe gliato, sale, strutto per la frittura e altri aromi quali la voluto invece la “siora” Gasparina. Altro personaggio buccia di limone o arancio e null’altro se non un fuoco del copione goldoniano che oltre alle divertenti cavivo per friggere. Operazione che i frittoleri, preparatterizzazioni, de veneti di ratori, friggitori e venditori Il mestiere della “frittolera” un tempo, ancora una volta al contempo, eseguivano era stato riconosciuto dalla racconta spaccati di vita e all’aperto dentro grandi padi antichi usi gastronomici. Serenissima Repubblica che ne delle sostenute da tripodi. Come quello di preparare spiega più dettagliaaveva ammesso la corporazione Come le “frittole”, o frittelle, nel tamente un altro storico vetempo che precede la Quaresima e che coincide con neziano, Giovanni Marangoni, che aggiunge pure gli i giorni del Carnevale. Quando al suo culmine, nel coaltri possibili ingredienti usati in epoca meno antica, siddetto giovedì grasso, oggi più di ieri, viene celepinoli e cedrini. Ingredienti che insieme con l’uvetta brato con chiacchiere, crostoli (i “galani” del Goldoni) venivano esposti in un piatto posizionato accanto a o con le frittelle. quelle delle frittelle a testimoniare quel che il goloso Un cibo da strada, come illustra la descrizione del avrebbe mangiato nell’impasto trasformato in calda mestiere della “frittolera” Orsola che la Serenissima frittella. Una sorta di etichetta degli ingredienti ante Repubblica aveva addirittura codificato, riconoscenlitteram che dimostrava la professionalità del fritolero done la corporazione. Quella appunto dei fritoleri e delle attenzioni che le magistrature veneziane deche durante tutto il Carnevale vendevano per campi, putate al controllo degli alimenti avevano fin dai primi campielli e calli della città lagunare quello che divensecoli del Mille. Quando, attorno al 1300, pare siano tò in quei secoli il più tipico e tradizionale dei dolci comparse le prime “fritoe” vendute appunto per stradi Venezia ma anche di tutto il Veneto e del Friuli. da ma anche nelle “malvasie”; le antiche botteghe Non tardando, con il passar dei secoli, a superare i dove oltre alle frittelle si vendevano vini e, soprattutto confini del Nordest per diffondersi in tutte le regioil dolce vino Malvasia che ben si abbinava alle frittelle ni d’Italia. Dove magari si aggiungeva o si sottraeva calde e appena tolte dalla padella. Cosparse di zuc-

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CIBO E TRADIZIONI Attorno al 1300 pare siano comparse le prime “fritoe” vendute per strada e nelle “malvasie” chero semolato che veniva aggiunto ogni volta che un qualche avventore scompaginava la montagnola di frittelle poste in bella vista su grandi piatti decorati. Simboli anch’essi di un’allegria carnescialesca contagiosa che invadeva tutta la città dei Dogi, le case dei nobili e dei patrizi ma anche dei popolani meno abbienti. Che a Carnevale, anche nei tampi più oscuri delle pestilenze, non rinunciavano a quello che, nel ‘700, fu proclamato “Dolce Nazionale dello Stato Veneto” per merito dei fritoeri. Altro, dunque, che il “frittolera” lanciato quasi con spregio dalla Gasparina alla Orsola, per mano della penna di uno dei più grandi testimoni di Venezia e del Veneto nella sua commedia. Dedicata appunto al Carnevale.

Fritole Veneziane Ingredienti (per 6 persone): 400 g di farina, 100 g di uvetta sultanina, 1 cucchiaio di zucchero, 2 uova; circa 1 bicchiere di latte, 1 bicchierino di rhum, 30 g di lievito di birra, sale, olio di arachide per friggere e zucchero a velo per le frittelle. Preparazione: Sciacquate l’uvetta e fatela ammollare in acqua tiepida. Sbriciolate il lievito in una tazza e diluitelo con 3 cucchiai di acqua tiepida. Setacciate la farina in una ciotola e mescolatela con lo zucchero e un pizzico di sale. Disponetela a fontana e incorporatevi le uova, il rhum e il lievito diluito. Mescolate gli ingredienti, aggiungendo tanto latte, appena tiepido, quanto ne serve per avere una pastella densa, quindi scolate l’uvetta e asciugatela. Coprite la ciotola con un coperchio e mettete il composto a lievitare in un luogo tiepido fino a quando il suo volume non sarà raddoppiato. Mettete sul fuoco una padella con olio molto abbondante in modo che le frittelle vi galleggino dentro, e quando sarà ben caldo, versatevi l’impasto a cucchiaiate. Quando avranno assunto un colore piuttosto scuro, toglietele dal fuoco, asciugate l’olio in eccesso e spolveratele con lo zucchero a velo.

“Le frìtoe ze come le done: se non le ze calde e rotondete, non le ze bone”

Ricetta in dialetto del 700 (Anonimo)

Faccianosi bollire sei libbre di latte di capra in una cazzuola ben stagnata, con sei oncie di butirro fresco e quattro oncie di acqua di rose et un poco di zafferano et sale a bastanza e come il bollo si comincia a alzare si poneranno dentro due libbre di farina a poco a poco, mescolando continuamente con il cocchiaro di legno, sino a tanto che sarà ben soda come la pasta di pane: poi cavasi et pongasi in un vaso di rame, ovvero di terra, mescolandola con la cocchiera di legno o con le mani fino a tanto che la pasta sarà diventata liquida; finito che sarà di meter l’ove, battesi per un quarto de ora, fino a tanto che faccia el visiche e lascisi riposare per un quarto d’hora nel vaso ben coperto in luogo caldo e rigettasi un’altra volta. Poi abbasi apparecchiata una padella con strutto dandogli il fuoco, et muovasi la padella facendo che le frittelle si voltino nel strutto. Come si vedrà che abbian preso alquanto di coloretto e saranno leggiere, cavisino con la cocchiera forata e servisino calde con succaro sopra.

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Antica Trattoria Ballotta ristorazione con passione

L’ingrediente segreto che sta nella cucina e nelle scelte della famiglia Legnaro In cucina le equazioni non funzionano, perché gli addendi non hanno cuore. Nemmeno i dividendi. Invece il cuore serve, anzi è indispensabile. Così se fai un minestrone, non basta aggiungere verdure al brodo in ebollizione e nemmeno toglierle dal fuoco al tempo prestabilito dalla ricetta, per fare un buon minestrone ci vuole cuore e ci vuole occhio. È come la ristorazione: per farla bene non basta avere un locale e una cucina, per dare ristoro ci vuole cuore e ci vuole disponibilità. Ma soprattutto passione, ecco cuore sta per passione ed è l’ingrediente segreto che sta nella cucina e nelle scelte della famiglia Legnaro che da anni si occupa del ristorante Ballotta di Torreglia. Con la passione le cose vengono meglio, vengono più facili; con la passione è come se il tutto fosse di più della somma delle singole parti: come nel minestrone. Non è un caso che da Ballotta il minestrone sia un’autentica specialità.

Fabio dixit... “Fare un buon minestrone quest’anno è difficilissimo, i cardi non hanno preso il ghiaccio” “Mi piacerebbe che un cliente su dieci pagasse con “i ovi” purché non siano del supermercato” “Mangiare il territorio non costa tanto” “ Non riusciamo a staccare Cristina dalla cucina. Malgrado sia diventata nonna, e a casa Legnaro le nonne si occupano dei figli più piccoli, continua a dividersi tra cranberry e zaletti” Io non posso permettere che quello delle patate McCain faccia economia” Antica Trattoria Ballotta - Via Carromatto, 2 - 35038 Torreglia (PD)


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Ballotta come trovarlo e chi troverete da lui

Dal 2009 il ristorante fa parte della prestigiosa guida Locali Storici d’Italia inoltre ed è stato inserito nella guida dell’Accademia della Cucina Italiana, nella guida Michelin, Espresso, Touring Club, Bell’Italia e Veronelli. In ambito locale la famiglia Legnaro e promotrice delle Tavole Taureliane, il ristorante è inserito nella Strada del vino dei Colli Euganei ed è sede della Confraternita della Gallina Padovana nonché affiliato alla Reale Confraternita del Baccalà mantecato.Il ristorante Ballotta, oltre ad essere promotore del progetto della coldiretti “Km Zero” partecipa al Progetto “Saperi e Sapori” della Camera di commercio di Padova.

Il ristorante più antico dei Colli Euganei La “Trattoria Ballotta”, è il ristorante più antico dei Colli Euganei, risale ad una rustica dipendenza dei frati agostiniani di Monteortone, che, nel Cinquecento tenevano un loro convento minore sul vicino poggio del “Mirabello”. Questo rustico, ceduto ad un privato, venne trasformato in un’osteria, che serviva i cibi semplici del luogo con il robusto vino delle pendici collinari.Era l’anno 1605. Quasi quattro secoli vissuti nella crescente fama della cucina di casa, nel favore della clientela della città e delle ville, dove, via via fecero spicco uomini illustri dell’Università, dell’arte, della politica della Repubblica Veneziana, del Lombardo Veneto e del Regno d’Italia.

Intervista tra i Tavoli... “Non è solo un Ristorante, è un luogo della convivialità” “È un professionista, qua la roba o è buona o niente!” “Un posto fuori dalle dinamiche della massificazione” “Da Ballotta c’è aria di accoglienza, è la casa delle confraternite ”

La tradizione

Era tradizione, per i clienti di allora, andare in panoramica passeggiata sulle pendici del monte Rua a Torreglia, in attesa che, in cucina, il grande spiedo cuocesse i “Torresani” la portata principe che ha reso “Ballotta” celebre anche all’estero.

Antica trattoria Ballotta di Torreglia

L’Antica trattoria Ballotta è un’accademia culinaria dei Colli Euganei. Un’istituzione per la storia che possiede e un punto di riferimento per chiunque voglia conoscere i sapori di questa terra. La cucina, infatti, e molto legata ai prodotti locali e alla tradizione. I bigoli all’anatra, le tagliatelle con il ragù ricco alla Padovana, il torresano (piccione) al forno, i risotti, la gallina padovana, il baccalà, i funghi e il radicchio fanno parte del paesaggio euganeo insieme ai vini che qui vengono prodotti e che Fabio privilegia nella propria cantina, senza dimenticare le etichette più importanti.

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GNOCCHI DOLCI Difficoltà: media

Preparazione: 60 minuti

Cottura: 45 minuti

Ingredienti per 6 persone 600 g di patate a pasta gialla 200 g di farina uvetta 30 g di cannella in polvere 60 g di zucchero burro grana padano grattugiato 1 uovo sale

Difficoltà: minima

Preparazione: 25 minuti

Cottura: 55 minuti

Ingredienti per 4 persone 1 pollo da circa 1,2 kg, già pulito 400 g di pomodori maturi 1 dl di vino rosso 50 g di burro 1 carota 1 costola di sedano 1 cipolla 2-3 chiodi di garofano brodo di pollo 1 cucchiaio di basilico tritato 1 cucchiaio di prezzemolo tritato olio extravergine di oliva sale

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CON ZUCCHERO, CANNELLA E UVETTA Preparazione Lavate bene le patate e cuocetele con la buccia in abbondante acqua. Sbucciatele ancora calde e schiacciatele con lo schiaccia patate. Raccogliete la purea sul piano da lavoro e aspettate che intiepidiscano. Poi unite l’uovo e la farina ed impastate con le mani velocemente, finchè otterrete un impasto liscio ed omogeneo. Se necessario durante l’operazione mettere meno o più farina perchè la consistenza dipende dalla farinosità della patata che si usa. Prendere dei pezzi di pasta e con le mani infarinate formare dei cilindretti spessi un dito che ulteriormente taglieremo a pezzetti di circa 3 cm o meno. Passateli uno ad uno sull’apposito utensile per dargli la classica forma rigata o fra i rebbi di una forchetta. Mettete l’acqua a bollire con un po’ di sale grosso. Intanto preparare il condimento sciogliendo a fuoco dolcissimo il burro, lo zucchero e la cannella. Mi raccomando deve solo sciogliersi e non scaldarsi troppo. Lessate gli gnocchi e conditeli con il burro aromatizzato alla cannella e allo zucchero. Aggiungete, infine, l’uvetta precedentemente ammollata in acqua e ben strizzata e spolverate con abbondante parmigiano, essenziale in questa ricetta. Servite subito.

POLASTRO IN TECIA Preparazione Tagliate il pollo a pezzi e fateli rosolare a fiamma vivace in una capiente padella insieme con 4 cucchiai di olio caldo. Bagnateli con il vino, lasciatelo evaporare, poi spegnete e tenete in caldo. Sbollentate i pomodori in acqua bollente, scolateli, sbucciateli, eliminate i semi e tagliateli a pezzetti. In un’altra capace padella (o in una teglia) fate sciogliere il burro e rosolate la carota, il sedano e la cipolla, mondati e tritati grossolanamente. Aggiungete i pezzi di pollo, i chiodi di garofano e i pomodori, regolate di sale e fate cuocere a fuoco lento per circa 40 minuti, aggiungendo, se necessario, poco brodo molto caldo: alla fine il sugo dovrà risultare piuttosto denso e non acquoso. Prima di spegnere il fuoco cospargete di prezzemolo e basilico tritati e mescolate. Versate nei piatti individuali qualche cucchiaio di sugo, adagiate sopra i pezzi di pollo e servite subito, guarnendo a piacere con altro prezzemolo e basilico tritati.


CON I PIEDI SOTTO LA TAVOLA

LA FUGASSA O FUGAZZA

Difficoltà: alta

Preparazione: 5 ore

Preparazione

Ingredienti per 6 persone

In una terrinetta impastate un po’ di farina con il lievito, unendo qualche cucchiaio d’acqua tiepida. Coprite e fate riposare un paio d’ore al caldo o almeno in luogo tiepido, quindi aggiungete al primo impasto altrettanta farina e acqua tiepida. Reimpastate bene, coprite e lasciate riposare per altre due ore. Successivamente ripetete l’operazione a intervalli di due ore, per altre quattro volte, aggiungendo al posto dell’acqua tuorli d’uovo, uova intere, zucchero e burro in proporzione alla farina aggiunta, in modo da ottenere ogni volta un impasto lavorabile. Dopo le ultime due ore di riposo, aggiungete all’impasto un pizzico di sale e ancora un bicchierino di kirsch, delle scorzette d’arancio tagliate minute, dei chiodi di garofano in polvere, un pizzico di cannella, un pizzico di vaniglia, il tutto macerato per un paio di giorni nella grappa. Lavorate ancora la massa fino ad ottenere un impasto ben omogeneo, tenero, elastico e lucente, che porrete in un apposito stampo. Bagnate la superficie con dell’albume d’uovo prima tenuto da parte, cospargetevi sopra dei granelli di zucchero e mandorle spezzate, fatelo quindi cuocere in forno a temperatura non elevata, fin che assume un bel colore marroncino-dorato.

450 g di farina 125 g di burro 125 g di zucchero 20 g di lievito di birra 40 g di mandorle 5 uova aromi 1 bicchierino di grappa zucchero in granella sale

Cottura: 50 minuti

La storia Il dolce della primavera è in tutto il Veneto la “Fugazza” o “Fugassa”, a seconda delle latitudini. Nel periodo di pasqua un tempo poteva assumere la forma di “colomba”, in quanto questa ricetta affonda le sue origini in epoca apostolica. La nostra regione fece proprie alcune delle tradizioni orientali, come il pane benedetto di Natale, il pane dolce di Pasqua, nonché le uova, simbolo della primavera e della vita che rinasce nella natura e nel Cristo risorto. Il pane dolce di Pasqua è stato poi variamente interpretato dalle diverse comunità cristiane. Esiste anche una leggenda sulla “fugazza”, la tradizione vuole che l’idea di questo “pane dolce” sia venuta ad un antico fornaio trevigiano che lavorava la sua pasta di pane con burro, uova e miele (qualche volta mandorle) sino ad ottenere un dolce soffice e leggero, che regalava ai suoi clienti in occasione delle feste pasquali. La tradizione vuole anche che la “fugassa”, un tempo, venisse preparata in occasioni di fidanzamenti e donata alla famiglia della ragazza con dentro nascosto l’anello di fidanzamento.

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ARTERRA

L’ossessione Nordica. Böcklin, Klimt, Munch e la pittura italiana

A Rovigo, presso le sale espositive di palazzo Roverella, rimarrà aperta fino al prossimo 22 giugno una mostra dedicata ai rapporti che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento legano la pittura italiana a quella dell’Europa centrosettentrionale, dalla Svizzera alla Danimarca, dall’Austria e dalla Germania fino alla Svezia e alla Finlandia di Mattia De Poli

L’

Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia, oggi conosciuta più comunemente come Biennale di Venezia, nacque nel 1895 e a margine della sua quarta edizione, nel 1901, il critico italiano Vittorio Pica notò che “parecchi dei nostri pittori, specialmente se veneti o lombardi” appaiono “profondamente influenzati dall’arte nordica, tanto da rinunciare ad alcuni tradizionali caratteri dell’arte italiana per presentarsi camuffati da Scozzesi, Scandinavi o Tedeschi”. A Rovigo, presso le sale espositive di palazzo Roverella, rimarrà aperta fin al prossimo 22

giugno una mostra dedicata ai rapporti che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento legano la pittura italiana a quella dell’Europa centrosettentrionale, dalla Svizzera alla Danimarca, dall’Austria e dalla Germania fino alla Svezia e alla Finlandia. La selezione di artisti italiani è in linea con l’osservazione di Pica: sono tutti lombardi o veneti, almeno in senso lato (da Trieste a Merano), oppure sono legati alla vita culturale e artistica di città come Padova, Venezia o Milano anche se sono originari di Roma (Giulio Aristide Sartorio) o di Castellammare di Stabia (Ettore Tito).

CENTAURI, TRITONI, SIRENE DALLE ALPI ALLA LAGUNA

Wolf Ferrari, L’Isola misteriosa

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Fortuny, L’abbraccio di Sigmund e Sieglinde

De Chirico, Lotta di centauri


ARTERRA Il mito, popolato di centauri, sirene e tritoni, appartiene anche alla tradizione classica ma a nord delle Alpi si presenta sotto una luce particolare ed è animato un dinamismo diverso: dominano i paesaggio desolati e le atmosfere inquietanti e grevi, l’elemento ferino prevale sull’umano con uno slancio e una vitalità straordinari ma anche con una crudele violenza. In alcuni soggetti l’omaggio a Wagner e alla sua rielaborazione dei miti germanici è particolarmente evidente. Tra gli imitatori italiani dei vari Böcklin, Klinger e von Stuck spiccano opere del veneziano Teodoro Wolf Ferrari, ma anche di Giorgio De Chirico nel periodo milanese pre-metafico e dello spagnolo Mariano Fortuny, ormai stabilmente trasferitosi nel capoluogo veneto. GENTE DEL NORD

DAL SIMBOLO ALLA NATURA

Leo Putz, Vanitas

Sartorio, Catullo e Clodia

La pittura “nordica” è particolarmente sensibile al tema del sogno e alle nuove scienze psicanalitiche. In questa sezione della mostra spicca il quadro del meranese Leo Putz, intitolato “Vanitas”: una donna addormentata, giace distesa, di spalle, nella parte bassa della tela, mentre al centro domina un volto incorporeo, sospeso, simile a quello di Medusa, circondato da una danza di figure femminili. La pittura supera gradualmente la prospettiva simbolica, avviandosi lungo un nuovo cammino: nei quadri di Cesare Laurenti e nelle litografie di Alberto Martini, ad esempio, la percezione della realtà è associata a un senso di dolore e di inquietudine. Ettore Tito, Pagine d’amore

A partire dalla seconda biennale approda a Venezia il danese Michael Peter Ancher, che ottiene subito un notevole successo: le sue grandi tele ritraggono le fatiche e i dolori del mondo dei pescatori, essenza di una nuova epica quotidiana. Gli fa da complemento il linguaggio intimistico dello svedese Anders Zorn. Il linguaggio “nordico” è ingenuo, caratterizzato da una carica di novità: è una rielaborazione originale della pittura francese che, tra Parigi e la Bretagna, è dominata dall’impressionismo e dalla scuola di Pont Avent, in particolare da Gauguin. L’influenza degli scandinavi si avverte soprattutto nei quadri di Ettore Tito. La pittura “nordica” propone un’autentica religione dell’ambiente domestico, che si concretizza in due opposte soluzioni: agli acquerelli di Carl Larsson, ricchi di elementi e di dettagli, risponde la luce silenziosa che penetra nelle stanze vuote o semivuote della casa di Vilhelm Hammershoi.

LA POESIA DEL SILENZIO

Carl Larson, Karrin reading

Vilhelm Hammershoi, Interi_r med Siddende Kvinde

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ARTERRA IL PAESAGGIO DELL’ANIMA: NEVE E FIORDI, IL TEMPO E LE STAGIONI

Gustav Klimt, Ein morgen am teiche

Gallen-Kellela, The lair of the lynx

I paesaggi montani della Svizzera di Ferdinand Hodler si ritrovano nella pittura di Francesco Sartorelli, che dipinge il Monte Civetta. Le inusuali inquadrature degli stagni di Klimt o del sottobosco innevato del finlandese Akseli Gallen-Kallela influenzano le tele di Wolf Ferrari. VENERE SENZA PELLICCIA

Wolf Ferrari, Betulle

LE MASCHERE E I VOLTI

Laurenti, Volto femminile reclinato

Zwintscher, Oro e madreperla

Laurenti, Visione antica

Il corpo nudo femminile si carica di una travolgente carnalità, di una potente sensualità, più potente di ogni simbolismo. Lentamente si scopre, in atteggiamento ammiccante. E anche quando assume posture tradizionali, la nudità non ha nulla di idealizzato. VIRTUOSISMI IN NERO

Edvard Munch, Chiaro di luna

Edvard Munch, La vanità

Ambientazione notturna, luce lunare, orrore e mistero: l’aurea “nordica” caratterizza non solo la pittura policroma ma anche le acqueforti e le litografie. Nella mostra spicca in particolare un gruppo di quadri di Much, il pittore dell’“Urlo”, che riesce a esprimere la stessa profonda drammaticità anche in piccole opere in bianco e nero.

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Zwintscher, Ma,dchen mit weiayen astern

Casorati, Le due bambine

Il volto come specchio dell’anima, dell’interiorità, della psiche: una sezione della mostra è dedicata ai ritratti, pervasi da un’atmosfera onirica e dai misteri dell’inconscio. L’accostamento di quadri di Oskar Zwintscher e di Laurenti o di Gino Parin conferma il giudizio di Pica in merito all’influenza dei “nordici” sulla pittura italiana.

22 febbraio - 22 giugno “L’Ossessione Nordica. Böcklin, Klimt, Munch e la pittura italiana” Rovigo, Palazzo Roverella Via Laurenti, 8/10 Feriali: 9.00-19.00 Sabato e Festivi: 9.00-20.00 Chiusura: lunedì (non festivi)



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