N. 7 - Novembre 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n째 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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Numero 7 Novembre 2014
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Direttore responsabile: Mattia De Poli
Nello zodiaco entra il maiale
Editore: Speak Out srl Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere - VE speakout@live.it
Hanno collaborato a questo numero: Mauro Gambin Eloisa Gobbi Loredana Pavanello Francesco Selmin Mario Stramazzo Roberto Soliman Aldo Tonelli Giampaolo Venturato Mauro Vigato
TRADIZIONI
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Lesso o bollito?
Progetto Grafico:
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LA SCIENZA DEI SA PORI
Piove di Sacco (PD) think.esclamativo@gmail.com Tel. 049 5842968 Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl speakout@live.it Stampa: E-Graf srl via Umbria, 6 - Monselice (PD) grafica@e-graf.it Tel. 0429 73735
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ARTETERRA
Mac, museo di arte contemporanea
Giornale chiuso il 28 Ottobre 2014 Tiratura: 5000 copie Diffusione: periodico bimestrale Sped. in abb. post. € 25,00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013 Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari) In copertina “Arriva l’inverno” di Mauro Gambin
AtlAnte storico della BAssA PAdovAnA
il primo novecento
a cura di Francesco Selmin
Abbiamo inserito questo logo in tutte le pagine delle aziende che aderiscono alla campagna e che per Natale preparano ceste o idee regalo con i prodotti del territorio
PROSSIMAMENTE IN USCITA
EDITORIALE di Mattia De Poli
Dentro e dietro il piatto
Quello che mangiamo nasconde un mondo affascinante, tutto da scoprire
C
i sono periodi in cui il cibo scarseggia e si conosce la fame. Poi la situazione migliora, le possibilità aumentano, chi ha sperimentato il peggio cerca di evitare alle nuove generazioni quelle privazioni subite in precedenza e parole come “Mangia, che devi crescere!” diventano così una frase ricorrente fin dalla più tenera età. Allora si prova l’ebbrezza di mangiare e, quando c’è grande disponibilità di cibo, si inizia a mangiare in modo smisurato, magari sotto gli occhi compiaciuti di chi in passato non ha potuto fare altrettanto. E si continua a mangiare fino all’eccesso, fino a star male, oppure al contrario si finisce per rifiutare il cibo: insomma, anche nella società del consumo alimentarsi diventa un problema. Si aspira ad avere la pancia piena: è questo stato a dare soddisfazione, non importa cosa si è ingurgitato. Basta mangiare “un sacco di roba”. Come la “plebe”, come i “volgari” di cui parla Giuseppe Parini nell’ironica “favola del piacere” all’interno del suo poemetto “Il giorno”, simili persone sembrano dotati di “ebeti fibre”, incapaci di reagire alle sollecitazioni del gusto, e per questo sono del tutto indifferenti alla qualità del cibo. Non è più solo una questione di disponibilità e di quantità ma una questione di sensibilità. E di educazione, perché anche il gusto, come tutti gli altri sensi, può essere sviluppato e affinato. A differenza di quanto sostiene provocatoriamente il testo di Parini, non c’è una differenza innata e immutabile tra gli uomini, che giustifica le disuguaglianze tra “signori” e “plebe”: per apprezzare il cibo che si mangia bisogna sapere cosa si mangia e come vengono preparati quegli alimenti. Bisogna saper guardare il piatto per sapere quello che c’è dentro e quello che c’è dietro. L’educazione, dunque, non è una questione di abitudini né si basa sul-
la tradizionale distinzione fra quantità e qualità: per essere compresi e opportunamente apprezzati, i cibi richiedono una cultura più ampia, che spazia dalla storia all’economia, dalla conoscenza del territorio alla tecnologia, senza dimenticare le relazioni umane. Dentro e dietro al piatto c’è un mondo, tutto da scoprire attratti dal fascino della ricerca e della novità. E la conoscenza diventa essa stessa cibo immateriale, da cui l’uomo può trarre nutrimento: è questo il “pane degli angeli” di cui parla Dante Alighieri nel “Convivio”. Il poeta immagina una “mensa letteraria” in cui la spiegazione di alcune sue poesie può fornire a tutti i lettori quelle conoscenze che generalmente sono accessibili solo agli uomini colti, cioè all’epoca solo a coloro che conoscevano il latino. Dante, invece, sceglie di usare il volgare, la lingua della gente semplice, e si propone di offrire a questo suo pubblico almeno le “briciole” di quel pane: un pane - lo riconosce - “di biado e non di frumento”, ma pur sempre un pane che dà nutrimento. Un cibo capace di elevare le persone dalla condizione di miseria e di bestialità, un cibo capace di dare dignità anche a “coloro che con le pecore hanno comune cibo”. Un antico adagio latino forse diceva il vero: “carmina non dant panem”. I poeti difficilmente hanno la possibilità di condurre una vita agiata, sostenendosi con i guadagni della loro attività: Dante e Parini sono due esempi fra i tanti. Ariosto ripetutamente si lamentò di non potersi dedicare alla scrittura degli amati versi, costretto ad assolvere agli incarichi amministrativi a lui assegnati dal duca di Ferrara. Ma la poesia (e in generale la cultura) è, se non autentico cibo, almeno succulento condimento di ciò che troviamo nel piatto.
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RUBRICA A CURA DELL’ARPAV di Carlo Emanuele Pepe - Direttore Generale ARPAV, Paolo Rocca - Direttore Tecnico ARPAV e Thierry Robert-Luciani - ARPAV, Servizio Neve e Valanghe - Ufficio Meteorologia Alpina
Come sarà il prossimo inverno? Oggi non esistono ne fonti serie ne analisi scientifiche in grado di permettere una proiezione autorevole della tendenza della futura stagione. In ogni caso di una cosa possiamo stare certi: anche quest’anno, mite o freddo, nevoso o siccitoso, arriverà l’inverno! La stagione invernale viene ricordata a seconda delle sue caratteristiche essenziali. Ad esempio, il clima alpino invernale è mediamente caratterizzato da temperature basse e da nevosità abbondante, specie sopra i 1000/1200 m. Per tutti, infatti, sembra scontato che l’inverno sulle Alpi sia freddo e nevoso. Ma quanti inverni sono tutt’altro che gelidi, altri senza la tipica coltre bianca sotto la quale la montagna sembra protetta dal gelo? Per i climatologi i punti di riferimento sono le medie climatiche. La popolazione locale, invece, ricorda e assimila più facilmente le stagioni più anomale, quelle che si discostano molto dal riferimento medio climatico. Così il tempo “avvertito” detta più facilmente legge rispetto ai dati statistici. Se per un climatologo il riferimento rimane la media climatica sulla quale si stabilisce se l’inverno è più nevoso o più freddo del solito, o viceversa, per la gente comune i valori statistici non possono pesare quanto le angosce degli operatori turistici in caso di assenza di neve oppure le fatiche dello sgombero dalla neve o dei danni provocati dalle valanghe. La storia climatologica è ricca di Almanacchi che rintracciano episodi passati eccezionali e che assieme alla storia tramandata fanno dire che... le stagioni non sono più quelle del passato, il freddo era molto più intenso e persistente, le nevicate erano cosi frequenti e copiose che i nostri nonni erano sommersi da spessori mai più visti... I valori di riferimento consentono di contestare queste affermazioni. Analizzando con maggiore attenzione anche solo gli ultimi sei inverni è possibile osservare quella mutevolezza interstagionale, che è tipica del clima di una gran parte dell’Europa occidentale, Alpi comprese. In questi ultimi anni si sono avvicendati molteplici scenari: inverni freddi e nevosi, come il 2012/2013, miti e arsi come il 2011/2012... Addirittura
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lo scorso inverno (2013-2014) risulta essere uno dei più miti degli ultimi 60 anni, specie a bassa quota, mentre sul fronte delle precipitazioni si scosta inverosimilmente dalla norma per l’eccezionale abbondanza delle precipitazioni osservate.
I migliori modelli attuali di previsione non consentono di proiettare gli stati atmosferici iniziali oltre 15 giorni, precisando che oltre una settimana di tempo l’attendibilità è piuttosto scarsa Singolarità cosi forte da considerarlo come eccezionale: uno dei più piovosi a bassa quota e nevosi in alta montagna degli ultimi 100 anni. Anche la durata stessa dell’inverno è assai disuguale. Nel 2011/2012 l’inverno inizia a fine dicembre e finisce a metà febbraio, l’anno dopo inizia con gennaio e finisce ad aprile. La frequenza stessa delle giornate anticicloniche e di quelle perturbate plasmano l’inverno nella memoria collettiva: vengono ricordati inverni con un numero infinito di belle giornate, mentre tutti sono in attesa dell’agognata neve oppure inverni con un serie continua di brutte giornate senza il profilarsi di un periodo stabile. In questi tempi recenti sui siti Web nonché sui media (giornali e TV) si leggono o si sentono notizie su quel che sarà il tempo della prossima estate o del prossimo inverno, nel tentativo di definire se la prima sarà molto calda e arsa o invece particolarmente fresca e piovosa ed il secondo inconsuetamente freddo e nevoso oppure mite e secco. I migliori modelli attuali di previsione non consentono di proiettare gli stati atmosferici iniziali oltre 15 giorni,
RUBRICA A CURA DELL’ARPAV
In questi ultimi anni si sono avvicendati molteplici scenari: inverni freddi e nevosi, come il 2012/2013, miti e arsi come il 2011/2012 precisando che oltre una settimana di tempo l’attendibilità è piuttosto scarsa. I problemi per individuare una tendenza meteorologica stagionale sono per ora insormontabili. La caratteristica caotica dell’atmosfera, i troppi parametri da considerare e da calibrare, senza considerare quelli essenziali che non conosciamo ancora, e i limiti stessi della potenza attuale di calcolo sono per ora freni insuperabili, che non consentono di effettuare una previsione stagionale. L’inverno 2013-2014 particolarmente mite, incredibilmente piovoso e tempestoso sull’Europa, non era stato previsto da nessun modello stagionale. Se non si riesce a prevedere una stagione cosi anomala, rispetto alla media climatica, rimane molta strada da percorrere prima di poter azzardare un ipotesi seria su quel che sarà l’inverno
prossimo, anche per evidenziare una semplice tendenza. Qualcuno dopo l’estate torrida del 2003 con temperature delle acque del Mediterraneo assai superiori rispetto alla norma, aveva presagito un autunno terribile con alluvioni catastrofiche. Il clima autunnale di quel anno era stato uno dei più clementi dei tre decenni precedenti. Nella scorsa primavera numerose voci si erano alzate, prevedendo un estate torrida, ed invece si è registrata la più fresca e piovosa dal 1966. Le stesse voci, predicono che l’inverno sarà artico. Oggi non esistono ne fonti serie ne analisi scientifiche in grado di permettere una proiezione autorevole della tendenza della futura stagione. In ogni caso di una cosa possiamo stare certi: anche quest’anno, mite o freddo, nevoso o siccitoso, arriverà l’inverno!
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LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman
Neve e Gelo
un tempo certezze dell’inverno Il rigore degli inverni del passato ancora si racconta con le forme dell’epica. Aneddoti e strategie per resistere al freddo oggi sembrano gesta di un popolo lontano, ma del resto lo scorrere delle stagioni si misura anche così
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Non la me piase pì, desso, la neve. No la fa tenpo de vegner da l’alto ch’el bissabòa del trafico el la beve e’l la inpastròcia grisa so l’asfalto. Na volta sì la jera bela bianca! ...
”
ncomincia cosi la poesia: NEVE DE DESSO, di “Nani dal Borgo”, il compianto Mons. Giovanni Rossin da Borgo San Marco di Montagnana. È proprio vero, ormai nevica raramente in pianura, ma quando scende è già sporca e poi ci pensano le automobili a fare il resto. Con i trattori bisogna toglierla subito dalle strade e, nelle piazze soprattutto in montagna, vedi mucchi di neve grigia dall’inquinamento, tanto che dici ai figli o ai nipoti: “Non toccarla che è sporca!” Un tempo, da ragazzi, ci divertivamo a mangiarla la neve e a “sbalocarse” e a “sbalocare le tose” e dalle loro reazioni capivi se gli eri simpatico o no. Erano gli SMS di allora! L’ultima grande nevicata, anche nella “bassa”, è dell’inverno del 1985. Siccome è venuta con il vento, di notte, al mattino ci siamo trovati con un metro
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di neve in alcuni tratti delle strade, rimanendo isolati. Una copia del mio paese, sposata da qualche anno, non potendo andare a lavorare, isolata come è stata per due giorni, è rimasta a letto per tutto il tempo, e ancora adesso mi dicono con nostalgia: “È stato come se avessimo fatto il secondo viaggio di nozze!” Quando ero ragazzo, nevicava ogni inverno per 3040 centimetri e, aspettando che arrivasse “el trajòn” del comune a sgomberare le strade, restavamo tutti a casa da scuola. Si faceva il pupazzo di neve, il più grande possibile, fuori dal portone e vicino alla strada per farlo vedere, per poi andare a scaldarsi le mani in cucina. I grandi facevano i sentieri con il badile per andare fino al gabinetto, al pollaio, al porcile se il ma-
LA MEMORIA DI CARTA iale era ancora vivo, alla legnaia e alla stalla. Prima dell’inverno i grandi coprivano “el zelese” con il letame e la paglia, perché il ghiaccio non lo rovinasse, ma quando nevicava se ne scopriva una piccola parte per metterci “un’asse da lavare” tenuta sollevata da un lato da un bastone lungo mezzo metro. A questo bastone si legava una cordicella che arrivava fino in cucina. Sotto questa tavola si metteva del frumento o del granoturco spezzato.
Ci divertivamo a mangiarla la neve e a “sbalocarse” e a “sbalocare le tose” e dalle loro reazioni capivi se gli eri simpatico o no. Erano gli SMS di allora! Le “passarete”, non trovando più cibo perché tutto era coperto di neve, si calavano sotto l’asse per mangiare, e noi ragazzi tiravamo lo spago per catturarle. Venivano accumulate nel cassetto della tavola che si trovava nella stanza più fredda, fuori pericolo dai gatti. Quando erano in buona quantità, venivano pelate di sera e arrostite con salvia e lardo del maiale, accompagnate dalla polenta appena cotta. Gusti mai più ritrovati! A mia discolpa e della mia generazione e precedenti, preciso che allora di passere ce n’erano tante, e noi toglievamo alla natura solo il capitale riprodotto naturalmente. Alla sera venivano in corte dei cacciatori di passere con la rete, chiedevano il permesso per catturarle negli alberi sempreverdi che avevamo all’inizio dei campi, nei pagliai e nel fienile. Anche loro per farsi una mangiata in compagnia, magari con due o tre bicchieri di “Clintòn”. Gli Inverni erano veramente freddi, in casa l’unica stanza riscaldata dal camino era la cucina. Io dormivo in una stanza in tramontana e mi portavo un bicchiere d’acqua sul “comodino”, nel caso avessi avuto sete. Un mattino, con mio grande stupore, nel bicchiere ho trovato il ghiaccio! Anche l’acqua dei fossi si ghiacciava per spessori di 15-20 centimetri, al punto che si poteva camminarci sopra. Gli operai dei comuni andavano a prendere questo ghiaccio, formando dei cubi con appositi picconi, per portarlo nelle ghiacciaie comunali, dove veniva conservato per l’estate e usato in caso di male ai denti o per curare febbri e infiammazioni o per conservare cibi, prima dell’invenzione del ghiaccio artificiale e dei frigoriferi. Nello stesso modo in cui ci si divertiva con la neve,
anche nei i fossi ghiacciati si trovava la possibilità di svagarsi, in quei tempi poveri ma ricchi di fantasia. In un punto particolarmente basso del mio paese, c’era un pezzo di terra con una grande fossa sempre piena d’acqua e alberi di pioppo lungo le rive. La chiamavamo “la peschiera” che d’inverno si trasformava nello Stadio del Ghiaccio. Lì si davano appuntamento i ragazzi più temerari, gareggiando sul ghiaccio con le “sgiavare”: scarpe con i chiodi a testa larga impiantati sotto la suola di legno, o con gli slittini. Gli slittini venivano auto costruiti unendo due tavolette di legno, tagliate curve nella parte inferiore, con altre di traverso. Sotto le parti curve si fissavano due grossi fili di ferro, lucidati con la carta vetrata per scivolare meglio sul ghiaccio. Ci si sedeva su questo slittino, con i piedi appoggiati davanti e ci si spingeva con due bastoni che avevano un chiodo appuntito sul fondo. Si facevano gare a due, tre o quattro slittini, con le eliminazioni e le finali.
Verso sera il ghiaccio veniva pulito con le scope, vi si gettavano sopra secchie di acqua per farlo diventare più liscio, per riprendere le gare il giorno dopo. Durante una di queste gare un nostro amico, con una manovra sbagliata, ha inforcato uno di questi pioppi, che emergevano dal ghiaccio, rimanendovi abbracciato come nei cartoni animati. Per dieci interminabili minuti gli è mancato il respiro e noi, con un’educazione sessuale fai da te, abbiamo pensato al peggio, ma nessuno ne ha mai parlato a casa, tanto meno a casa dello sventurato! I nostri dubbi, anni dopo, si sono sciolti come ghiaccio al sole, quando, una volta sposatosi, ha avuto cinque meravigliosi figli! Della “peschiera” rimane qualche vecchia foto e, a noi, il ricordo di quei tempi vissuti un po’ da incoscienti, ricordi di una giovinezza irripetibile che i nostri nipoti non potrebbero imitare, anche perché i fossi non ghiacciano più e su quel posto sono stati tagliati i pioppi, riportato terra e costruito una bella villetta.
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PAROLA DI TECNICO di Eliano Morello
Effetto Boomerang Aborigeni con l’arma tipica
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l boomerang è uno strumento insolito, sicuramente lo strumento di caccia più curioso che esista. È adoperato dagli aborigeni australiani in guerra e per la caccia in quanto - se ben lanciato - può percorrere una traiettoria ellittica tornando poi al punto di partenza. Il boomerang è noto in occidente soprattutto per quest’ultima proprietà, spesso reinterpretata un po’ impropriamente come un “pericolo” per il lanciatore. Non solo: la parola “boomerang” viene sovente usata metaforicamente per indicare un’azione che si ritorce contro chi l’ha avviata. In tema di agricoltura è ora di fare qualche bilancio. La stagione è sicuramente da ricordare per le pioggie abbondanti (persistenti durante tutta la stagione), gli allagamenti, le trombe d’aria, la grandine e naturalmente per i prezzi agricoli. Nell’ultima rubrica ho scritto di come vengono “confezionati” i prezzi dei prodotti agricoli, del loro mercato e consumo. Dopo quelle prime denunce molti si sono accorti che la nostra agricoltura è malata: la malattia si chiama Povertà. Lo spunto mi arriva da un’azione dimostrativa organizzata dalla Coldiretti di Padova, a cui hanno partecipato anche alcune testate giornalistiche di Rai 3 e di Canale 5. L’11 settembre 2014 (è una data ormai simbolo anche per l’ortofrutta!) a Merlara, presso l’azienda agricola condotta dal sig. Salandin Marcellino, viene organizzata una dimostrazione in cui la frutta (specificamente, le mele Golden) non viene raccolta, ma distrutta. Le mele, pagate al produttore 2-3 centesimi di euro, non valgono la pena di essere raccolte, per cui vengono destinate alla distruzione. Solito effetto mediatico, della solita brevissima durata (qualche giorno appena), poi si ritorna alla “normalità”. Ma il consumatore è uguale al commerciante in quanto a speculazione. Invece di indignarsi del prezzo del prodotto, che palesemente non tiene conto dei sacrifici, dei costi di produzione e del valore intrinseco, molti acquirenti e consumatori si sono rivolti ai fruttiven-
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doli e produttori locali chiedendo la frutta allo stesso prezzo!!! Al fine di non sembrare dei perfidi avvoltoi, questi consumatori hanno giustificato la loro richiesta addirittura facendola passare per un’azione di “salvataggio” di quei prodotti destinati al macero!
Quando all’inizio ho citato il boomerang mi riferivo agli effetti negativi che spesso anche lodevoli iniziative ottengono. La denuncia non ha sortito alcun effetto sui prezzi, anzi ha ulteriormente ridotto le vendite e i consumi. Fare informazione è difficile, farla bene e senza competenze è impossibile. L’anomalia è che solo adesso qualcuno si è accorto che 2-3 centesimi di euro pagano a malapena un terzo delle spese di raccolta (10 centesimi al chilo per personale in regola). In realtà il costo produttivo delle mele si aggira intorno ai 25-30 centesimi di euro al chilo! Si sta quindi chiedendo ai produttori di vendere a noi consumatori mele al 10% del loro valore, con un ribasso di oltre il 90%. È pazzesco!!! A tal proposito ricordo un episodio: il direttore di una cooperativa dove ho lavorato per diversi anni, un giorno mi disse che sarei diventato un bravo tecnico qualora fossi riuscito a fare produrre ai soci mele al costo complessivo di € 0,10 al chilo (10 centesimi di euro). Gli risposi, stupefatto, che ero sorpreso che non sapesse - o non avesse ancora capito - che quei 10 centesimi al chilo servivano solo per la raccolta del
Agricola Lendinarese s.n.c. via Matteotti, 34 - Lendinara (RO) - tel. 0425 1684204 - agricolalendinarese@gmail.com
PAROLA DI TECNICO prodotto. Ora lui è ancora il direttore della cooperativa, con la quale io non collaboro più da alcuni anni, ma il problema non è stato risolto. La difficoltà della frutticoltura in particolare (e in generale dell’agricoltura) è ben articolato e nasce da molto lontano: il settore agricolo è disorganizzato, senza cultura di impresa, poco innovativo, per nulla internazionalizzato e, mi si consenta, “ignorante” (inteso proprio come livello scolastico dei suoi addetti). Anche quest’anno, nella nostra zona, è stata registrata la chiusura di alcune cooperative (tutte di piccole dimensioni, ma con costi di gestione fuori controllo). In Veneto la cooperazione è un fallimento e l’associazionismo è visto dal mondo agricolo come l’ultima spiaggia prima di morire. Un dato è certo: nonostante tutte le difficoltà incontrate dal mondo agricolo, l’incapacità di molte cooperative e l’incompetenza di un buon numero di “addetti ai lavori”, le nostre produzioni sono di ottima fattura, indipendentemente dal fatto che siano prodotte convenzionalmente, piuttosto che a lotta integrata o con il metodo biologico. Esse sono tra le migliori d’Europa e forse del mondo, nonché le più controllate, sanitariamente parlando. Ciò di cui la nostra agricoltura ha grande bisogno è un insieme di fattori, tra i quali: 1. l’Aggregazione di prodotto (come avviene per i consorzi del Trentino e dell’Alto Adige e come sta già avvenendo per alcune cantine sociali del Veneto) 2. la Cultura d’impresa, con una visione a medio e lungo termine 3. l’Innovazione tecnologica, il cui obiettivo dev’essere la standardizzazione e l’omogeneità di prodotto 4. l’Internazionalizzazione, cioè la commercializzazione con tutto il mondo 5. la Razionalizzazione varietale (puntare su varietà che possano consentire di fare massa critica e non su varietà di nicchia che solo pochi e ricchi consumatori possono permettersi) 6. la Cultura vera e propria. Moltissime cooperative sono gestite da contadini e spesso i loro consigli di amministrazione scelgono il personale per conoscenza, per imposizione, per clientelismo o per favoritismi politici (consiglio, a tal proposito, il libro Mediocri di A. Caporale) Ho conosciuto direttori commerciali con il solo diploma di terza media, personale amministrativo incapace di usare il computer (di Internet, non parliamone neppure!), enologi che ignoravano con quale uva venisse fatto il ben noto Soave, ma tutto ciò, nonostante sia scandaloso, è giustificato dal fatto che questi “addetti ai lavori” sono economici, costano poco. Politica demenziale e tanta miopia. Consiglio vivamente, a
chi si sentisse offeso e indignato da tanta ignoranza e ipocrisia, di andare a rileggere un bell’editoriale dell’Informatore Agrario (4/2006 pag. 7), a firma di A. Piccinini, dal titolo I nodi irrisolti delle cooperative agricole. In quest’articolo venivano allora denunciati la difficoltà di indiviaduare gli indici di efficienza delle coop, la bassa scolarizzazione del management e la nascita di nuove “caste” anche nell’agricoltura locale. Non mi sento di dire che oggi qualcosa sia cambiato. Ma il consumatore che cosa sa? Nonostante la grande mole di informazioni disponibili in rete, sugli opuscoli, nelle riviste e nei libri, egli spesso è ignorante, conosce poco il significato di sigle ormai universali quali IGP, IGT, DOP, DOC, DOCG, EUREPGAP, GLOBALGAP e tutte le certificazioni di processo volontarie. Sarebbe sufficiente che apprezzasse di più il prodotto italiano, il famoso “Made in Italy”. Tuttavia, al consumatore manca proprio la consapevolezza della ricchezza di cui disponiamo, sia sul territorio nazionale, sia su quello locale. La pubblicità e la grande distribuzione dovrebbero puntare su valori quali la rintracciabilità dei prodotti, la sostenibilità del sistema e la sicurezza alimentare, senza tralasciare il fatto che occorre stabilire un prezzo equo affinchè il sistema possa sopravvivere. L’Agricola Lendinarese S.n.c. - di Lendinara (RO) - con il suo staff tecnico, può sicuramente fornire un valido punto di riferimento per quanti avessero bisogno in termini di consulenza e assistenza tecnica in campagna, registro dei trattamenti, difesa integrata, difesa biologica, oltre alla fornitura di agrofarmaci e concimi utili al processo produttivo per una agricoltura responsabile e sostenibile.
Fine di una cooperativa – COT di Terrazzo
Morello Eliano morello_eliano@libero.it - Cell. 328 3999365
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“Principe Rosso” di Chioggia, sovrano indiscusso di tutte le stagioni ed eccellenza tra i prodotti tipici
In Veneto si produce più di metà del radicchio di tutta l’Italia, il radicchio di Chioggia IGP è primo per superficie coltivata e quantità di produzione, mentre in tutto il mondo si sono diffuse tipologie che lo imitano. Una coltura globale che ha recuperato il suo legame col territorio d’origine nel 2008, quando il radicchio di Chioggia ha ottenuto il riconoscimento europeo della Indicazione Geografica Protetta. Da allora, si possono fregiare di questa denominazione esclusivamente le produzioni ottenute dal seme autoctono tramandato e custodito dalle famiglie degli ortolani, che le coltivano secondo un rigido disciplinare nel territorio di 10 comuni delle tre provincie contermini di Venezia, Padova e Rovigo.
Mercato Orticolo di Chioggia - Località Brondolo 30015 CHIOGGIA (VE) consorzio@radicchiodichioggiaigp.it www.radicchiodichioggiaigp.it Presidente 349.5934459 - Uff. Stampa 3343128544
Già Plinio il Vecchio narrava di orti lussureggianti nei nostri litorali, così come risale a tempi lontani l’uso alimentare e terapeutico delle cicorie. Verosimilmente, le cultivar di radicchio attualmente coltivate derivano da individui a foglie rosse introdotte in Europa intorno al XV secolo, che si sono diffuse nelle zone tipiche del Veneto nel secolo successivo. Nei primi decenni del 1900 il radicchio di Chioggia inizia ad assumere la sua forma caratteristica grazie all’intelligente e lungimirante lavoro degli ortolani locali, che attraverso una paziente selezione massale dei cespi di forma più raccolta con foglie centrali embricate ottennero il radicchio variegato di Chioggia prima, quindi, selezionando piante con screziature rosse sempre più diffuse ed estese, sono arrivati attorno agli anni cinquanta a quel radicchio a palla rossa che oggi porta il nome di Chioggia IGP in tutto il mondo. Inizialmente la produzione di radicchio interessava solo i mesi autunno-invernali, ma nella seconda metà degli anni settanta, abbinando l’utilizzo di agili e relativamente semplici strutture protettive ad una mirata selezione basata sull’utilizzo del seme ricavato dai cespi di anno in anno più precoci, è stato costituito un nuovo ecotipo disponibile al consumo già dal mese di aprile e fino a luglio inoltrato. Oggi è quindi possibile gustare il Radicchio di Chioggia IGP durante tutto l’anno.
AREA DI PRODUZIONE
Nella foto il presidente del Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP, Giuseppe Boscolo Palo
Il territorio clodiense e il suo circondario, luoghi d’incontro tra terra e mare, sono stati modellati e modificati nel corso dei secoli dagli eventi naturali e dall’opera dell’uomo. I terreni hanno origine dai materiali che il Po, l’Adige, il Brenta e i loro affluenti hanno portato dalle Alpi fino all’Adriatico: un miscuglio di rocce arenarie, formazioni moreniche, terreni alluvionali, sabbie e dune fossili. Questi terreni sabbiosi e sciolti con falda freatica sottosuperficiale, che godono di un clima mite per l’influsso del mare con brezze e venti dominanti, in particolare la bora, che, rimescolando i bassi strati dell’atmosfera, evitano ristagni di umidità ottimizzando lo stato fitosanitario delle colture, creano l’habitat irriproducibile del radicchio di Chioggia IGP , il primo in Veneto per superficie coltivata e quantità di produzione, mentre in tutto il mondo si sono diffuse tipologie che lo imitano. Una coltura globale che ha recuperato il suo legame col territorio d’origine nel 2008, quando il radicchio di Chioggia ha ottenuto il riconoscimento europeo della Indicazione Geografica Protetta. Da allora, si possono fregiare di questa denominazione esclusivamente le produzioni ottenute dal seme autoctono tramandato e custodito dalle famiglie degli ortolani, che le coltivano secondo un rigido disciplinare nel territorio di 10 comuni delle tre provincie contermini di Venezia, Padova e Rovigo. Nel 2009 viene costituito tra produttori e confezionatori il Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia Igp, con lo scopo di promuovere il Radicchio di Chioggia ed il suo territorio.
TIPOLOGIA PRECOCE Primaverile Chioggia e Rosolina TIPOLOGIA TARDIVO Autunno - Invernale Chioggia, Cavarzere, Cona, Codevigo, Correzzola, Rosolina, Loreo, Porto Viro, Taglio di Po e Ariano Polesine
Qualità salutistiche e versatilità gastronomica Il radicchio è povero di calorie e ricco di acqua, vitamine e sali minerali, in particolare potassio, calcio e fosforo. Buon apportatore di fibre, favorisce la digestione e aiuta le funzioni epatiche. La peculiarità di questo ortaggio sta nelle sostanze che gli conferiscono il colore rosso vivido: le antocianine, che esercitano una funzione protettiva nel nostro organismo. Nella pianta queste molecole hanno la funzione di assorbire i raggi ultravioletti, dannosi per il materiale genetico e per le proteine della cellula vegetale. Mangiando il radicchio, queste molecole esercitano una analoga funzione protettiva all’interno dell’organismo umano, nei confronti dei radicali liberi e degli agenti ossidanti che sono all’origine dell’invecchiamento cellulare. Il caratteristico sapore amarognolo è dovuto ai guaianolidi, molecole con funzione antinfiammatoria, vasoprotettiva e coleretica. Infiniti gli usi culinari del radicchio, che può essere consumato sia crudo che cotto: dalle insalate miste e pinzimoni ai risotti; grigliato ai ferri o saltato in padella o come base per moltissime preparazioni gastronomiche. Mangiato crudo dà il massimo delle vitamine, cotto nei più svariati modi può soddisfare i palati più esigenti.
Sfida ai fornelli tra Chef e Radicchio di Chioggia IGP rismi del territorio che hanno deciso di partecipare alla gara gastronomica. Si tratta di una vera e propria sfida ai fornelli tra gli chef che metteranno al centro dei loro piatti il Radicchio di Chioggia Igp. L’ardua, ma in questo caso deliziosa, sentenza, con la quale verrà proclamato il vincitore, sarà emessa da un “pool” di giornalisti e comunicatori nel campo dell’agroalimentare e dell’enogastronomia che degusteranno le varie preparazioni in incognito. Il locale con lo chef che avrà eleborato il piatto vincitore verrà proclamato “Ambasciatore del Radicchio di Chioggia Igp”. Un bel progetto di valorizzazione dei prodotti tipici promosso dal Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia Igp che si snoderà in un ideale percorso lungo il quale i Gastronauti potranno apprezzare la versatilità in tavola e nelle preparazioni gastronomiche del Radicchio di Chioggia Igp. Un itinerario tra terre fertili, fiumi e mare che percorrerà, con possibili suggestive deviazioni, il territorio del Radicchio di Chioggia Igp, dalla Laguna di Venezia fino al Delta del Po, associando alle valenze produttive, anche le identità storiche, culturali, ambientali, economiche e sociali dell’area di produzione.
Il cibo indiscutibilmente è un bene da godere, a patto che lo si sappia preparare. Ma il cibo è anche linguaggio, elemento di identità territoriale, tradizione. Insomma è cultura da contrapporre al “magna e desmentega”, allo sfamarsi distrattamente con cibi “spaesati”, pietanze sganciate dal territorio e da quella sommatoria di saperi che sono stati necessari per produrre la materia prima, per trasformarla e convintamente posizionarla al centro di un piatto, ovviamente rispettandone il sapore, anzi esaltandola. Il cuoco, in questo senso, ha una responsabilità immensa, perché con pentole e mestoli si fa interprete, anzi ambasciatore del prodotto che gli viene affidato per essere combinato in modo originale e fantasioso, celebrandolo... riverendolo, è opportuno dire, nel caso del “Principe rosso”. È questo infatti l’incarico che è stato affidato ai diversi ristoranti e agritu-
Ristoranti che partecipano alla sfida ai fornelli “Il principe rosso” ★ Ristorante Alberto Capo - Mano Amica
★ Tenuta Civrana Agriturismo
Chioggia (VE), Piazzetta Vigo 1340 Tel. 041 401721- 347 8661228 www.albertocapo.it info@albertocapo.it
Pegolotte di Cona (VE), via Stazione 10 Cell. 347 2220023 - 366 3522535 www.tenutacivrana.it roberto@tenutacivrana.it
★ Ristorante Pizzeria Minerva
★ Villa Momi’s
Sottomarina (VE), Lungomare Adriatico Nord Tel. 041 4965367 - Cell. 339 6684500 www.ristorantepizzeriaminerva.it ristorante.minerva@libero.it
Cavarzere (VE), Località Santa Maria 3 Tel. 0426 311361 - 0426 53538 - 392 3540002 www.villamomis.it info@villamomis.it
★ Facecook Social Restaurant
★ Ristorante Zafferano
Sottomarina (VE), Lungomare Adriatico Tel. 041 4764484 - Cell. 366 1490235 www.sottomarina.net/facecook simonemaggio2001@gmail.com
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30015 Rosolina (RO), Via Ca’ Diedo 4 Tel. 0426 337405 - Cell. 345 9807161 www.medioevodaraffaele.com medioevodaraffaele@libero.it
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★ Ristorante Pizzeria Medioevo da Raffaele
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Sottomarina (VE), Viale Veneto 35 Tel. 041 5500822 - Cell. 338 2349577 cristina@chioggiasottomarina.it
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★ Ristorantino Gastronomia Il Tavernino
Porto Viro (RO), via Gorghi 46/C Tel. 0426 633075 - 349 4040247 - 348 8017759 www.zafferanoristorante.it zafferanoristorante@tiscali.it
★ Trattoria Veronese da Gian Cavarzere (VE), Località Valcerere Dolfina 45/A Tel. 0426 319037 - 320 5564007 trattoriadagian@libero.it
★ La Tavolozza Trattoria Torreglia (PD), via Boschette 2 Tel. 049 5211063 - 347 5944500 www. latavolozzatrattoria.com latavolozzatrattoria@libero.it
Questa insegna oltre ai ristoranti è assegnata anche ai laboratori artigianali che impiegano il Radicchio di Chioggia Igp nelle loro preparazioni e agli esercizi commerciali che vendono il Radicchio di Chioggia Igp o prodotti alimentari che lo contengono.
Soci Confezionatori ★ Soc. Agr. F.lli GARBIN S.S. Via Valgrande, 27 - 30015 Sant’Anna di CHIOGGIA (VE) Tel. 041 4950284 - Fax 041 4950578 - Cell. 335 260887 www.agricolagarbin.it amministrazione@agricolagarbin.it
★ PEF Srl Via P. E. Venturini, 248 - 30015 CHIOGGIA (VE) Tel. 041 491544 - Fax 041 5541337 www. pefsrl.net - info@pefsrl.net
★ O.P.O. VENETO S.C.A. Via Bellini, 2 - 31159 ZERO BRANCO (TV) Tel. 0422 345164 - 0422 345251 - Fax 0422 488212 Piattaforma di Chioggia, loc. Brondolo Statale Romea 40 Tel. 041.4966661 - www.ortoveneto.it barbarabolato@ortoveneto.it marcogaragnani@ortoveneto.it
★ O.P. VALLE PADANA Soc. Cons. a r.l. Via San Basilio, 129 - 45019 TAGLIO DI PO (RO) Tel. 0426.377021 - Fax 0426.377022 www.opvallepadana.com - info@opvallepadana.com
★ NATTA Srl Via Po Brondolo, 25 - 45010 ROSOLINA (RO) Tel. 0426 340221-218 mfasiolo@hotmail.it
Vendita all’ingrosso ★ Fratelli Gradara Sottomarina (VE), Viale Mediterraneo 472 Tel. 041.5543261 Porto Viro (RO), SS Romea 20/D Tel. 0426 320540 Cell. 349 7151234 - 333 6047450 alessandrogradara@gmail.it
★ Ortofrutta Pagan Chioggia (VE), Via Orti Ovest 28/A Tel. 041 5542897 - Cell. 340 8906060 federicopagan.msn@hotmail.it
★ Fratelli Frasson Rosolina (RO), Via Po di Brondolo 43 Tel 0426 340328 - Cell. 348 4420804 fratelli.frasson@gmail.com
★ Carlevari Ortofrutta Torreglia (PD), Via Montegrotto 70 Tel 049 521 1070 - Cell. 335 249374 www.carlevari.it - luciano.carlevari@carlevari.it
Vendita al dettaglio ★ Roberto Frutta Sottomarina (VE), Viale Venezia 5 - Tel. 041 403946 Sottomarina (VE), Via Jonio - Tel. 041.493106 Cell. 324 6226497 - robertofrutta1@libero.it
★ TFM Supermercati SISA Sottomarina (VE), Viale Venezia 13/D Tel. 041 5507050 - Cell. 333 2378246 tfmsottomarina@libero.it
PREPARAZIONI ARTIGIANALI contenenti Radicchio di Chioggia Igp
★ Pastificio Garbin Tagliatelle al radicchio Chioggia (VE), Calle Olivotti 403 Tel. 041 400533 - Cell. 388 7721235
★ Panificio Vianello Grissini al radicchio Sottomarina (VE), Viale Venezia 3 Tel. 041 400531 - Cell. 338 8098260 Chioggia (VE), Calle San Giacomo 630 Cell. 345 2347220 panetti@alice.it
★ Gelateria Sottozero Gelato al radicchio Sottomarina (VE), Via Madonna Marina 130 Cell. 334 7176111 - gio.digiovanni@libero.it
★ Pasticceria Scapinelli di Renzo Ballarin Torta “Ciosota” con radicchio e carote Chioggia (VE), Calle Schiavuta 57 Tel. 041 400305 - stily59@virgilio.it
★ Pasticceria Nelly’s di Lina Frezzato Torta “Ciosota” con radicchio e carote Chioggia (VE), Borgo San Giovanni 500/502 Tel. 041 4965845 - nellydp@libero.it
★ Pasticceria Teo-Tina Torta “Ciosota” con radicchio e carote Chioggia (VE), Corso del Popolo 1273 Cell. 340 7770462 - pasticceriaclodia@yahoo.it
★ Pasticceria Clodia di Renzo Penzo Torta “Ciosota” con radicchio e carote Sottomarina (VE), Viale Mediterraneo 55/57/59 Tel. 041 491714 - elpastelero@tin.it
★ Pasticceria Penzo di Maurizio Penzo & C Torta “Ciosota” con radicchio e carote Sottomarina (VE), Piazza A. e D. Ballarin 1417 Tel. 041 400397 - pasticceriapenzo@gmail.com
ELZEVIRO di Mauro Gambin
Fine della Favola del coniglio e la volpe
Il deficit di suolo agricolo dell’Italia è di quasi 49 milioni di ettari. Per coprire i consumi della popolazione avremmo bisogno di 61 milioni di ettari, mentre a disposizione ne abbiamo appena 12
bonificato spendendo tante energie, ma ottenendone molte di più di quelle di partenza, grazie alla terra recuperata. Con una parola questo dispendio di energie l’abbiamo chiamato progresso, lo sbaglio forse è stato aggrapparvisi troppo. Perché se è vero che anche là dove la terra per sua natura era limitata, il progresso, è arrivato sotto forma di fertilizzante permettendo frutti, raccolti e risparmio d’energia, non l cibo è energia. E occorre energia per produrre dovremmo dimenticarci mai che per coltivare serve cibo. Questi due fatti, presi insieme, hanno sempre comunque il campo. Ossia quella campagna che, determinato i limiti biologici alla popolazione umainvece, l’ISTAT ci informa essere in progressiva via na, e sempre lo faranno. Lo stesso è vero per ogni d’estinzione. A cominciare dagli anni ‘70 del secolo altra specie animale: il cibo deve fornire a chi lo manscorso, infatti, l’Italia ha perso una superficie agricogia più energia di quella necessaria per procurarselo. la (Superficie Agricola Utilizzata - SAU) pari a Liguria, Sventura alla volpe che spende più energia caccianLombardia ed Emilia Romagna messe insieme. Dove do conigli di quella che può ottenere mangiando i coè finita? Intanto è importante dire come è finita. È finigli che cattura. Se questo nita con l’abbandono dei Dagli anni ‘70 è andata persa bilancio energetico rimane terreni da parte degli agrinegativo troppo a lungo, una superficie agricola pari a Liguria, coltori, progressivamente ne conseguirebbe la morattirati verso settori più siLombardia ed Emilia Romagna te; per una specie intera, il curi e remunerativi durante messe insieme risultato è una moria, che gli anni del boom economipuò anche portare all’estinzione. Gli uomini sono dico. Per capire dove è finita, invece, basterebbe alzaventati dei veri campioni nello sviluppo di nuove strare la spessa coltre di cemento che è stata stesa in tegie per aumentare la quantità di energia - e cibo quarant’anni per ritrovarla lì, inerte. Oggi, è vero, del- estratti dall’ambiente: là dove esistevano foreste è la cementificazione ci preoccupiamo. Vuoi perché fa stato disboscato, là dove esistevano paludi è stato paura la sua irreversibilità o vuoi perché ormai è sotto
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gli occhi di tutti che coprire la terra significa inficiarne la capacità di assorbimento dell’acqua, creando i presupposti delle alluvioni che ci tengono con il fiato sospeso, la sensibilità verso il cemento sta cambiando. Tuttavia non diminuisce il suo impiego: dal 1995 al 2009, i comuni italiani hanno rilasciato complessivamente permessi di costruire per 3,8 miliardi di m3 (oltre 255 milioni di m3 l’anno), di cui più dell’80% per la realizzazione di nuovi fabbricati (il rimanente per l’ampliamento di fabbricati esistenti), e poco più del 40% per l’edilizia residenziale. Da questo punto di vista lo scoppio della bolla immobiliare è stato un toccasana anche perché dal dibattito continua a rimanere fuori una questione molto più importante, quella della sicurezza alimentare, cioè la capacità di un paese di produrre da se quello che serve per il sostentamento della popolazione. Finora la globalizzazione ha mitigato, nei Paesi di prima industrializzazione, questo problema consentendo, attraverso il mercato, un agile approvvigionamento dei beni di consumo non disponibili all’interno dei confini nazionali. Il sistema, tuttavia, si regge sull’assunto che qualcuno su scala globale sia in grado di produrre indefinitamente surplus agricolo da immettere sul mercato: un assunto fragile messo in crisi dall’incremento demografico, dalla crescita del potere d’acquisto dei Paesi emergenti e dal calo delle possibilità economiche dei paesi in crisi come il nostro. Tanto più che l’Italia ha una delle medie peggiori per quanto riguarda questo rapporto, siamo il terzo Paese nell’Unione Europea e il quinto su scala mondiale con un deficit di suolo agricolo di quasi 49 milioni di ettari, ovvero per coprire i consumi della popolazione in termini di cibo, fibre tessili e biocarburanti avremmo bisogno di 61 milioni di ettari di SAU mentre a disposizione ne abbiamo appena i 12. Secondo una stima effettuata dal ministero delle Politiche Agricole, Alimentarie forestali, di qualche anno fa, produciamo circa l’80-85% delle risorse alimentari necessarie, coprendo poco più dei consumi di tre italiani su quattro. In particolare, con l’auto approvvigionamento alimentare arriviamo appena al 33% per quanto riguarda le leguminose, al 34% per lo zucchero, al 34% per le oleaginose, al 69% per le patate, al 64% per il latte
e al 72% per le carni. In pratica, consumiamo più di quanto riusciamo a produrre, attingendo per la nostra alimentazione dalla produzione dei terreni agricoli di altri Paesi, ponendoci in una condizione di profonda dipendenza dalle dinamiche economiche, demografiche, sociali e geopolitiche dei Paesi di approvvigionamento. Una dipendenza che nel breve periodo ha influenzato i prezzi dei prodotti agricoli, ma che sarà destinata a dominarla sempre di più se è vero quanto si prevede, ossia l’incremento demografico su scala globale, la crescita del potere di acquisto di Paesi estremamente popolosi quali la Cina e l’India e il passaggio da un’economia basata sui combustibili fossili ad altre forme energetiche. “Tutto questo - sostiene l’European Commission del 2012 - eserciterà una pressione sempre maggiore sui terreni agricoli. Si stima, infatti, che nel 2050 la domanda di prodotti agricoli crescerà del 70% (European Commission, 2011) mettendo sotto pressione i sistemi ambientali e agro-alimentari e incrementando il pericolo della scarsità. Tornando alla volpe, sarà sventuratissima quella che non potrà più mangiare coniglio nostrano, perché ci sarà solo quello importato da Taiwan.
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L’INTERVISTA
Stefano Peraro: “L’agricoltura riparte investendo in competitività, ricerca e innovazione”
Annus horribilis per il primario nostrano, la colpa è stata data al cattivo tempo ma è il mercato il vero tallone di Achille del settore. A Merlara i contadini hanno preferito distruggere le mele piuttosto che raccoglierle e del resto con compensi che girano attorno ai due centesimi il chilo forse è meglio togliere di mezzo anche la pianta. Le cose non vanno meglio per altri prodotti, compresi quelli d’eccellenza e simbolo della nostra regione, come il radicchio, gli asparagi, l’aglio. Abbiamo parlato di questa situazione con Stefano Peraro, consigliere regionale eletto nella circoscrizione di Padova “Il fatto che recentemente a Merlara alcuni agricoltori abbiano distrutto il loro raccolto di mele mi ha colpito molto, è un fatto significativo, che evidenzia in modo preoccupante due problemi: il primo etico, le produzioni non si distruggono mai, sono il frutto “sacro” del lavoro dell’uomo; il secondo la remunerazione del prodotto coltivato. Non è più rinviabile la questione del rapporto fra dimensione e organizzazione dell’impresa agricola. Qual è la dimensione ottimale di un’azienda agricola affinché possa investire in varietà di prodotto, commercializzazione e marketing? È del tutto evidente che è necessario adottare una nuova idea di organizzazione aziendale caratterizzata da nuove abilità, maggiore competenza ed elevata flessibilità. I problemi del settore primario non si risolvono solo con la “politica dell’aiuto”, ma investendo in competitività, ricerca ed innovazione. Infine va detto che gli indennizzi vanno comunque a pescare nelle risorse già destinate all’agricoltura: pertanto non si tratta mai di fondi aggiuntivi. L’embargo russo ha fatto semplicemente emergere il problema della flessibilità. Certo, ci sono aziende agricole che hanno investito in disciplinari di produzione propri per il mercato russo e quindi sono state fortemente penalizzate. Da questo punto di vista la criticità è europea, non solo “veneta”. La soluzione? Occorre soprattutto definire un nuovo patto fra produttori agricoli e operatori della grande distribuzione, dove i primi portino qualità e varietà delle pro-
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duzioni, i secondi una remunerazione dignitosa ed equa dei prodotti acquistati. Aggiungo che è paradossale che nel 2013 ci sia nel Veneto un deficit nel bilancio commerciale dei prodotti agroalimentari, dovuto principalmente all’importazione di granaglie, prodotti lattiero caseari, prodotti da forno e carne”. È del tutto evidente che è necessario adottare una nuova idea di organizzazione aziendale caratterizzata da nuove abilità, maggiore competenza ed elevata flessibilità La Regione potrebbe intervenire per cercare di lenire questo disagio? In che modo? “Finalmente sono state previste, anche su mia personale sollecitazione, politiche innovative a sostegno del credito in agricoltura, ovvero forme di riassicurazione agevolata del credito attraverso l’utilizzo dei Confidi: per questa misura sono disponibili fondi pari a 2.000.000 di euro. La nuova legge sull’agriturismo e la legge sulla agricoltura sociale, approvate dal Consiglio Regionale, possono rappresentare nuove opportunità per diversificare l’attività dell’imprenditore agricolo. In ogni caso sono convinto che sia necessario agire per favorire il rafforzamento delle filiere per la commercializzazione e la distribuzione del prodotto. In questo senso importante sarà l’attività svolta dai G.A.L. finalizzata ad animare il territorio e favorire la conoscenza dei prodotti agroalimentari”.
Cosa prevede il nuovo Piano di sviluppo rurale Veneto 2014-2020, in proposito? “Il nuovo P.S.R. è stato approvato a luglio dal Consiglio Regionale ed attualmente all’esame della Commissione Europea. Prevede una dotazione di risorse assegnate per il Veneto di 1.184 milioni di euro. Nonostante molte misure siano state accorpate, la complessità delle stesse e la predisposizione della documentazione continua ad essere impegnativa. I contributi saranno riservati agli imprenditori agricoli professionali ed agli agricoltori attivi, nuova figura introdotta dai regolamenti comunitari. Tra le novità importanti va segnalato il primo inserimento di giovani in agricoltura con la previsione di un contributo di avviamento impresa che potrà arrivare fino a 50.000 euro”. Ha un futuro questo settore alle prese con così tante difficoltà? “Sono fiducioso. È vero che l’agricoltura rappresenta un’attività produttiva complessa, difficile e rischiosa, ma nonostante tutte le criticità della stagione, la piovosità e la tromba d’aria, ho visto molti giovani che, anche senza usufruire del contributo del P.S.R., hanno investito ingenti risorse in attività agricole, innovative, di nicchia, con attenzione alla qualità e alle produzioni biologiche. È il segnale positivo di un nuovo modo di fare impresa, che mette a frutto le abilità e le conoscenze apprese nella formazione scolastica e che risponde alle esigenze del mercato e dei consumatori”.
Per gli orari e le sedi delle votazioni che si terranno DOMENICA 14 DICEMBRE, portando al rinnovo dei 20 membri dell’Assemblea del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo, rimandiamo al sito www.adigeeuganeo.it
CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO, CINQUE ANNI DI FORTISSIMO IMPEGNO
Il prossimo 14 dicembre i consorziati potranno votare per il rinnovo dei 20 membri dell’Assemblea del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo. Si chiuderà così un ciclo caratterizzato da riorganizzazioni, emergenze e interventi spesso di somma urgenza Con le elezioni di domenica 14 dicembre si chiudono cinque anni nei quali, per l’ente, forse sono cambiate più cose di quante ne fossero cambiate negli ultimi 20. A partire dalla riorganizzazione dei servizi e delle attività dell’ente, necessaria per gli effetti della Legge Regionale n.12 del 2009 che ha portato all’accorpamento dei 20 precedenti Consorzi in 10, più uno di secondo grado, e quindi alla fusione dei Consorzio Euganeo di Este con quello dell’Adige Bacchiglione di Conselve e il conseguente riassetto organizzativo del Consorzio, unificando uffici e assegnando competenze e ruoli al personale, fino alle note vicende legate alle emergenze causate dal maltempo degli ultimi quattro anni, il lavoro è stato molto e soprattutto molto impegnativo. Tanto più se si tiene conto che a una progressiva riduzione delle disponibilità economiche delle
istituzioni è corrisposta la crescente necessità di interventi per fronteggiare le emergenze e la messa in sicurezza idraulica del territorio. Dalla rotta arginale del Fiume Frassine, nel novembre 2010 alla “bomba d’acqua” dello scorso aprile, con oltre 280 millimetri di pioggia caduti in meno 24 ore e conseguente allagamento di circa 18.000 ettari di terreno, è stata un’attività letteralmente senza sosta. In questo lasso di tempo, per ripristinare la funzionalità e l’efficienza delle opere di bonifica, compresa l’esecuzione di lavori di somma urgenza, sono stati aperti cantieri per oltre 1.800.000 euro e per il funzionamento delle idrovore non si è speso di meno, con cifre che sono passate dal milione e 200.000 euro del 2010, ai due milioni e 100.000 euro di quest’anno. Alle urgenze poi va aggiunta l’attività ordinaria dell’ente, ossia la manutenzione e il potenziamento della
Alcuni interventi realizzati per contenere le emergenze idrauliche
Manutenzione bacino idrovora Cavariega
Presidi di sponda
Consorzio di Bonifica Adige Euganeo www.adigeuganeo.it
Realizzazione presidi di sponda Canale Altipiano
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IL CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO IN NUMERI Superficie del comprensorio
ettari 119.000
Superficie a deflusso meccanico/meccanico alternato di cui sotto il livello del mare Superficie a deflusso naturale
ettari 94.000 ettari 15.000 ettari 25.000
Rete idraulica in manutenzione di cui ad uso promiscuo scolo-irrigazione ad esclusivo uso irriguo (canalette) Tratti di scoli consortili arginati Impianti idrovori Pompe idrovore installate Portata complessiva idrovore Acqua sollevata per asciugare le aree a deflusso meccanico/meccanico alternato Derivazioni d’acqua uso irriguo da fiumi demaniali Impianti di sollevamento irrigui Portata complessiva derivata ad uso irriguo Volume d’acqua uso irriguo immesso nella rete
Km 1.717 Km 1.597 Km 120 Km 300 n. 58 n. 160 mc/sec 272 mc/anno 300.000.000 n. 91 n. 39 mc/sec 23 mc/anno 70.000.000
Dipendenti consortili di cui dipendenti fissi
rete di canali e degli impianti sia per lo smaltimento delle acque piovane che per l’approvvigionamento idrico che ogni anno distribuisce alla campagna circa 70.000.000 di metri cubi d’acqua. Anche le opere pubbliche in concessione regionale, statale o degli enti locali sono state un’importante attività portata avanti dal Consorzio in questi 5 anni: opere che hanno riguardato l’estensione dl servizio d’irrigazione, l’aumento della capacità d’invaso della rete scolante di bonifica, la realizzazione di bacini di laminazione delle portate di piena, il potenziamento degli impianti idrovori e in generale, il miglioramento dell’assetto infrastrutturale delle opere idrauliche a difesa del territorio consortile; nonché per ripristinare la funzionalità idraulica di canali e scoli danneggiati da avversità atmosferiche. Gli anni appena trascorsi sono stati contrassegnati da un rilevante e ingente impegno della struttura consortile, tanto che in media ogni anno ci sono stati 18-20 cantieri attivi nel comprensorio e che il movimento finanziario legato ai lavori pubblici ha sempre superato i 22 milioni di euro annui. Sono stati appaltati nel periodo 2010-2014 circa 48 lavori per un importo complessivo di concessione pari a oltre 23.000.000 di euro e nello stesso periodo sono stati progettati o completati nell’iter istruttorio opere pubbliche per oltre 20.000.000 di euro.
n. 146 n. 112
Alcune delle opere pubbliche realizzate in concessione regionale o statale
Getto platea opera di presa su scolo barbegara
Posa palancole Larssen - canale Scagiaro
ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054 CONSELVE Viale dell’Industria, 3 - Tel. 049 9597424 Fax 049 9597480
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Antichi Sapori,
torna l'’inverno e la tavola si fa ricca L’azienda avicola di Candiana propone alcune delle preparazioni della stagione fredda con protagonisti i propri prodotti allevati secondo tradizione La tradizione è la tradizione e pretende di essere rispettata. A tavola non si scherza! Così quando arrivano i primi freddi anche apparecchiare è un modo per adattarsi alle nuove temperature: torna il lesso domenicale che nella variante “alla Padovana” esige esplicitamente il quarto di gallina in accompagnamento al manzo, alla lingua salmistrata e al cotechino, stessa cosa per i brodi e le minestre dove la presenza del nobile pennuto è ancora più esclusiva. Poi visto che è vero il detto “ottobre amazza il papero” i bigoli grossi all’uovo si sposano meravigliosamente con l’anatra diventando uno dei piatti più richiesti della stagione e più ci si avvicina alle Il cappone non feste più la tradisviluppa uno strato zione diventa rito di grasso ma la dove l’ortodossia cosiddetta “pelle si chiama cappod'’oca” che lo rende più ne o tacchinella. tenero e morbido Su questi ultimi due amici dell’aia Mirco Scudellaro, titolare insieme alla sua famiglia dell’azienda Antichi Sapori di Candiana, si sofferma volentieri per spiegare le origini di una tradizione che qui è di casa, visto che l’allevamento viene mandato avanti come una volta: con animali tirati su con il becchime prodotto in azienda, senza forzare i loro ritmi naturali di accrescimento e lasciati liberi di muoversi in grandi spazi all’aperto. “L’usanza vuole - spiega Mirco - che il giovane galletto di circa 2 mesi venga castrato il giorno di San Rocco (16 agosto), in modo che abbia così il tempo di esse-
re pronto per il periodo Natalizio, servono circa quattro mesi per la sua maturazione, ecco perché viene consumato prevalentemente in occasione di questa ricorrenza. Ancora l’usanza prevede venga preparato lessato e nello stesso brodo si cuociano i tortellini. Per l’arrosto invece è consigliabile la tacchinella nostrana. Nemmeno lontana parente del tacchino gigante americano, “la nostra” impiega 9 - 10 mesi per raggiungere i 2,5 - 4,5 chili di peso. È un concentrato di sapori e di morbidezza. La carne disossata si presta ad ogni ricetta e anche impiegata intera e farcita sta diventando una nuova consuetudine tra le famiglie”.
AZIENDA RICONOSCIUTA COME ECCELLENZA DEL TERRITORIO PADOVANO
Azienda Agricola Scudellaro S.Agr.S. - Via Valli Pontecasale, 16 - 35020 Candiana (PD)
LE SPECIE ALLEVATE QUI • Cappone Golden o Eureka, animale a lento accrescimento di piumaggio bianco con qualche striatura rossa sul collo. Arriva a pesare 2,7/3,0 kg in 240/270 giorni. Lo vendiamo anche nella versione Latte & Miele. • Cappone Gaina, piumaggio di vari colori, arriva a pesare sui 3,0/3,50 Kg. Carni saporite e morbide, ottima per bolliti, alla canevera, orrosti e allo spiedo. • Cappone collo nudo, animale dal piumaggio rosso con sfumature bianche arriva a 240/270 giorni al peso di 3,5/4,3 kg. Carne consistente ma allo stesso tempo morbida e saporita, ottima.
Cappone alla ''canevera'' con mostarde e salsa verde
INGREDIENTI • 1 cappone ruspante di circa 2,5 kg • 110 g di sedano • 140 g di carota • 80 g di cipolla • 1 spicchio d’aglio • 1 foglia di alloro • 8 grani di pepe • 5 gambi di prezzemolo • 1 pezzetto di scorza di cannella • 20 g di sale grosso
TACCHINELLA NOSTRANA Per il periodo natalizio l’azienda propone le pregiatissime carni della Tacchinella nostrana. Questo prodotto di difficile reperimento, è presente in azienda in quantità molto ridotte in quanto depone pochissime uova. Per gli intenditori è la base di un prelibatissimo arrosto. Viene venduta svezzata, matura viva, oppure macellata e pronta per la consumazione. È il tacchino dalle piccole dimensioni, si porta sul peso di 2,5/4,5 kg in base al sesso maschio o femmina.
Tacchinella ripiena
Per la cottura: due sacchetti (uno dentro all’altro) di materiale speciale per cottura; un pezzo di “canevera” (canna di bambù) di circa 30 cm. PREPARAZIONE L’interno del cappone va aromatizzato con le spezie e il sale, il tutto poi verrà infilato nel doppio sacchetto con la canna di bambù, che fungerà da sfiatatoio, e per questo va ben fissata all’estremità del sacchetto con più giri di spago. Immergere il sacchetto in una pentola con acqua in ebollizione in modo che la canna emerga abbastanza dall’acqua. Far cuocere, a fuoco dolcissimo, per circa tre ore. A cottura ultimata tirare fuori il sacchetto e lasciar riposare la carne per qualche minuto. Recuperare il sugo che si sarà depositato sul fondo del sacchetto, sgrassarlo, addensarlo con poca fecola diluita in acqua fredda ed emulsionarlo con un cucchiaio di olio extravergine d’oliva. Servire il cappone accompagnandolo con questo sugo, la salsa verde, due tipi di mostarda di frutta, patate al vapore e salsa al rafano preparata con rafano fresco grattugiato, mela Golden grattugiata e poca panna montata. PER LA SALSA VERDE Schiacciare i semi di senape nel mortaio e setacciare. Dissalare i capperi. Mettere tutti gli ingredienti nel cutter e frullare fino ad avere una salsa omogenea.
INGREDIENTI per 4 persone • 1 tacchinella del peso di circa 3 kg • 350 g di salsiccia fresca • 350 g di carne di manzo tritata • 2 uova • 1 cipolla • 5 fette di pan carré • 100 g di grana grattugiato • 1 bicchiere di latte • 150 g di prosciutto crudo • 30 grammi di burro • 1 bicchierino di brandy • salvia e rosmarino • sale e pepe PREPARAZIONE La tacchinella va salata e pepata, mentre a parte preparare il ripieno con la carne trita, la salsiccia spellata e sbriciolata, la cipolla tritata fine, iI grana grattugiato, le uova, iI prosciutto crudo tritato e il pan carré precedentemente ammorbidito nel latte, ben strizzato e poi sbriciolato. Regolate di sale, insaporite con il pepe il ripieno, quindi introducetelo nella tacchinella; cucite l’apertura con filo bianco da cucina e un ago grosso. Fate soffriggere in una teglia il burro con la salvia e il rosmarino: adagiatevi la tacchinella, fatela rosolare bene, quindi salatela e bagnatela con il brandy. Lasciatela sul fuoco ancora qualche minuto, poi mettetela in forno, a 180°, per circa 2 ore e 40 minuti coperta con la carta stagnola per evitare bruciature alla pelle. vIrrorate spesso con il fondo di cottura. Servite la tacchinella con patatine novelle fritte e accompagnata dal ripieno affettato.
Tel. 049 5349944 - Fax 049 7383364 - E-mail: info@scudellaro.it
Azienda Magnasame i profumi della terra si trovano solo nei prodotti di alta qualità
L’azienda agricola Magnasame nasce dalla passione di Antonio, quando nel lontano 1985 decise di lasciare il lavoro in fabbrica per dedicarsi, con grande coraggio, a 10 vacche da latte. L’attenzione per il benessere dell’animale e per l’alimentazione delle bovine sono stati i punti di forza che hanno permesso all’azienda di crescere con successo in quantità e in qualità. La coltivazione del foraggio e dei cereali viene curata direttamente dall’azienda per garantire una sana e adeguata alimentazione degli animali, “tutto inizia dalla terra” dice Antonio prendendo in mano un ciuffetto di fieno e odorandolo “la qualità dei nostri prodotti inizia da qui, da quello che mangiano gli animali perché la stessa qualità la ritroveremo nei prodotti finali” Azienda che ha ottenuto la certificazione per l’alta qualità del latte
Finchè Antonio curava la stalla e i campi, la moglie Santina decise di portare avanti le tradizioni delle nostre nonne, che con poco latte producevano il formaggio per tutta la famiglia. Il formaggio è un alimento fondamentale, ancor di più se realizzato con latte crudo ossia non pastorizzato. Il latte crudo è un alimento completo che contiene proteine anti-microbiche, agenti anti-infettivi importanti, proteine del siero fortemente nutrienti ed enzimi essenziali. Nei formaggi stagionati realizzati con latte crudo, la fermentazione si sviluppa a partire dalla flora batterica originale assunta dal bestiame e presente poi
AZIENDA MAGNASAME Via San Polo Basso, 45 - Sant’Angelo di Piove di Sacco (PD)
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nel latte. Attraverso la flora batterica - e le tecniche di produzione - si ottiene così un formaggio unico e inimitabile. Nel 2006 è stato così inaugurato il caseificio e lo spaccio aziendale, dove ad oggi si trasformano in media 5 quintali di latte al giorno in circa 25 tipi di formaggi diversi dai freschi ai stagionati e paste filate a mano. Oltre allo spaccio aziendale aperto dal lunedì al sabato, la famiglia Magnasame è presente al mercato agricolo di Monselice al lunedì, mercoledì e sabato, al mercato agricolo di Piove di Sacco al venerdì e prossimamente al mercato agricolo di Conselve al sabato.
Sono circa 20 i formaggi prodotti in azienda
Non solo formaggi Alle bovine da latte, è stata affiancata la stalla dedicata all’allevamento dei suini, i quali vengono alimentati con cereali e con il siero derivante dalle lavorazione del caseificio. Questo permette all’azienda di curare lo smaltimento del siero in modo naturale, senza danneggiare l’ambiente e occuparsi anche della produzione di ottimi salumi, destinati alla vendita presso lo spaccio aziendale. I salumi vengono prodotti esclusivamente con carne di maiale sale e pepe e stagionati in modo naturale in cantina, come vuole la tradizione.
Latteria fresco e stagionato anche nel fieno; il primo sale; la formajea: autentico cavallo di battaglia dell’azienda; il caciocavallo; il taleggio; la scamorza; la ricotta e la ricotta infornata; lo stracchino; la robiola; le caciotte anche insaporite alle noci, al peperoncino, alle olive, ai semi di finocchio; la burrata; la stracciatella; la mozzarella normale e quella farcita, la tosella, fino ad arrivare allo yogurt cremoso, allo yogurt da bere, alla panna cotta e il tiramisù.
L’azienda Magnasame, propone ottime soluzioni per il Natale e per tutte le occasioni, crea confezioni personalizzate per aziende e per privati. Queste idee regalo sono adatte per chi vuole restare legato alla tradizione, regalando prodotti sani e genuini senza conservanti Tel. e Fax 049 5846239 - www.facebook.com/caseificiomagnasame
IL PANORAMA GASTRONOMICO di Mauro Gambin
Il Maiale
animale da zodiaco, tutt’altro che porco I salami fatti in casa sono una tradizione in pericolo anche a causa dell’urbanistica
S
e c’è qualcuno che ha tolto la fame al Veneto vo di grasso, “l’onto”, che diventava altrettanto foncontadino, questi è il maiale. La sua importandamentale per friggere o per la conservazione delle za nella dieta del tempo, intesa come insieme carni, quando ancora il frigorifero non c’era. Ecco, è in dei valori nutrizionali, è stata talmente fondamentale questo minimalismo, in questa esaltazione della pratiche, se si avesse un minimo di riconoscenza per la cità dell’impiego dei due animali “multitasking” che è povera bestiola, la si dovrebbe inserire nello zodiaco giusto chiamare in causa il concetto di tradizione. Tere questa terra dovrebbe fieramine purtroppo abusatissimo, mente dirsi “nata nel segno del e spesso confuso e sovrappoUna consapevolezza storica porco”. Senza ironia. Pazienza sto a folklore, forse per colpa che nella locuzione “na volta” se qualcuno se ne vergognasdi una lingua dialettale che ci fa stare comodo il passato se: ammetterebbe soltanto permette l’eccessiva semplifidal dopo guerra all’Homo quanto poco conosce le cose, cazione e una consapevolez“affarensis” anche quelle proprie. Il maiale, za storica che nella locuzione infatti, è stato un animale in“na volta” ci fa stare comodo il dispensabile, quasi ogni famiglia ne aveva uno. Nel passato dal dopo guerra all’Homo “affarensis”. Allora magro mondo rurale, dove fino a sei o sette decencapita che, in questa visione nebulosa e linearmenni fa gli stessi uomini avevano poco da mangiare, il te piatta del passato, con tradizione si indichi quella mangiare di tutto, come fa il maiale, ha costituito un fetta di storia che si sente come propria e che nell’imvantaggio non da poco nell’allevamento. Come per maginario collettivo odora di verza o di minestrone, l’oca, del resto: anche lei regina dell’aia per il fatto per antonomasia. di sapersi arrangiare nel trovare il cibo. Entrambi poi, Tradizione, invece, è una parola seria, che restituisce oltre a tanta “polpa”, fornivano alla famiglia qualcosa in modo preciso la forma in cui l’uomo si è adattato a in più degli altri animali, ossia un discreto quantitatiun ambiente, essendo la perpetuazione degli aspetti
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IL PANORAMA GASTRONOMICO vincenti che lo hanno reso possibile. Potrebbe essere una branca dell’antropologia, che nel caso del maiale sconfina nella storia delle religioni. Allevare e uccidere il maiale, infatti, è stato talmente una “tradizione” domestica da diventare gesto codificato, atto sacrale, ancestrale. Forse l’ultimo grande rito sacrificale in cui l’animale morendo dava il suo corpo per la distribuzione della carne e del sangue per il nutrimento della comunità, seppur ristretto al clan famigliare. Rituale, anche se per motivi pratici, era la data di uccisione e rituale era la cerimonia dove i sacerdoti del culto entravano in scena con ruoli e gesti fissi, come nella commedia dell’arte. L’unico “foresto” era il norcino, la cui serietà era appropriata alla sua autorevolezza. Impassibile, pochi discorsi e gesti brevi, precisi. Un killer che almeno fino all’Ottocento doveva venire da fuori paese per farsi padrone del rituale e fare sua la colpa dell’efferato gesto. Odiato dai bambini che parteggiavano per il “nino” o “ninon”, l’animale-creatura, l’amico del quale si erano presi cura per quasi un intero anno, raccogliendo per lui quotidianamente foglie di olmo e impastando tiepide brodaglie di patate lesse e semola, il norcino era in realtà il centro attorno al quale girava la “corte” per uno o più giorni. Da mattina a sera. I bambini, invece, erano chiamati ad assistere all’uccisione del maiale e a berne il sangue ancora caldo
come in un rito iniziatico, utile per emanciparsi dai puerili affetti e indurire il carattere fino alla tignosa scorza di cui erano ricoperti gli uomini di un tempo. Anche quello era un modo per sopravvivere, e del maiale non si buttava niente, nemmeno questo tipo di occasioni che la bestiola offriva. Tuttavia c’era un momento ben preciso, in cui la pena per la perdita dell’amico si placava. Mauro Corona, scrittore spesso impegnato sui temi della civiltà contadina, spiega che l’animale dopo essere stato ucciso, rasato dalle setole, issato sulla gruccia approntata con travi e pali di legno, veniva squartato: diventava due mezzane, poi quattro quarti, poi tagli e generici pezzi. “Ecco, nello smembramento - spiega Corona - la creatura, l’amico, il cadavere del Nino, spariva”, rimaneva la carne per i salami e iniziava la festa, la seconda parte del rito, quella legata alla riconoscenza per il cibo e l’abbondanza della quale era stata prodiga la natura. Piccoli gesti “apotropaici” in realtà iniziavano fin dalle prime fasi del “sacrificio”: sulla pentola di rame, nella quale era stato raccolto il sangue dalla donna più anziana della famiglia, veniva fatto il segno della croce e le unghie o un ciuffetto di setole della coda venivano lanciate, da un bambino o dallo stesso norcino, sul tetto del “casón” perché il nuovo maialino, che sarebbe venuto ad occupare il porcile, potesse crescere sano e grasso come il predecessore.
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IL PANORAMA GASTRONOMICO
Di questa abbondanza non veniva sprecato nulla e per friggere e per conservare i salami appunto “soto ogni parte anatomica veniva consumata secondo ónto”, la carne di tacchino o di oca, nelle apposite un preciso copione. Il giorno stesso dell’uccisione si pentole di terracotta a due manici. Era usata anche mangiava la punta di petto, lessata o in umido, oppucome lubrificante per ungere assali dei carri e per re bollita con farina e fagioli: i “menai” o “manafanfare unguenti medicinali. L’omento, accuratamente ti”. Il sangue veniva cotto con acqua e sale, pestato sgrassato e messo a bagno in acqua tiepida perché e fritto in tegame con olio, strutto e cipolla, a volte ammorbidisse, era cucito dalla donna di casa e servicon aggiunta di zucchero. Parte del fegato, invece, va per insaccare un salame che si mangiava al tempo avvolta nel velo dei polmoni, della mietitura. Il lardo veniLa tradizione è quella parte di era onoranza per il veterinario, va salato e fissato a fette con che accertava la commestibilità storia che ognuno sente come stecche di salice, quindi appedella carne. Anche le braciole propria e che nell’immaginario so alle travi per essere usato facevano parte della porzione al bisogno, per fare minestre, collettivo odora di verza o di di animale da destinare a dosoffriggere erbe di campo, caminestrone, per antonomasia nativo e a beneficiarne erano il voli, uova, o mangiato anche medico, la maestra, la levatrice o chi aveva prestato così, sulla polenta arrostita sulla brace. Trattamento a la macchina da salami, mentre al campanaro era abiparte, invece, veniva dedicato alla testa, visto che era tudine donare un pezzo di pancetta oppure di lardo facilmente deperibile: si tagliavano le orecchie che il giorno di San Bovo, quando venivano benedette le erano mangiate, lesse, dal più vecchio della famiglia, stalle. La lingua veniva salata e conservata in cantina, si tagliava la guancia “goléta”, con la quale si facevaoppure infilata in una “bondola” o in un salame partino bistecche, brodi per minestre di elezione come i colare che veniva mangiato nel giorno dell’Ascensio“cappelleti”, oppure macinata entrava come compone, giusto il detto “El salame de la lengua el se magna nente dei cotechini. Nemmeno le parti meno nobili el dì dla Sensa par ne pèrdre la semensa”. La sugna, dell’animale venivano gettate: l’uretra, per esempio, ossia la massa adiposa ventrale dell’omento, “sonveniva conservata per ungere ed ammorbidire le tosàle” o “saondale”, veniva fatta sciogliere sul fuomaie di scarpe e scarponi; la mandibola si impiegava co per ottenere lo strutto, “l’ónto”, che s’impiegava nel bucato; anche per le ossa metatarsali era previsto
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IL PANORAMA GASTRONOMICO un impiego: una volta forate diventavano dei giochi, conosciuti in Polesine come “frule”, che ricreavano il rumore del vento. Dopo che le varie parti del maiale erano state scalcate e rimaneva la carne, questa veniva messa a scolare in ceste di vimini, quindi si poteva procedere alla macinazione, che seguiva questo ordine: prima toccava alla carne destinata ai cotechini, composta da parti sanguinolente e cotiche, poi si macinava la carne destinata alle luganighe e per finire quella destinata ai salami da taglio. Salatura e pepatura: ogni norcino rivendicava per sé la fedeltà alla vera tradizione per quanto riguardava la percentuale di sale e di pepe da mettere nella carne macinata, che poteva essere 30 grammi di sale per chilo per i cotechini, 20 grammi per le salsicce, 32 grammi per i salami da affettare per i quali si poteva aggiungere una spruzzata d’aglio o un bicchiere di vino rosso. Una volta che il “pastón” era stato ben miscelato e amalgamato, gli si faceva una croce sopra e lo si lasciava riposare fino al giorno dopo. Era quello il momento per uno spuntino con il “tastasale”. Un pugno di carne veniva avvolto in carta da zucchero, cotto sulle braci e consumato a mo’ di assaggio prima dell’insaccatura, per verificare se l’impasto fosse salato al punto giusto. Infine si arrivava alle operazioni che concludevano il ciclo del maiale: l’insaccatura e la legatura dei sa-
lami. Cotechini, salami da taglio, coppe, pancette, la “nòna” (insaccata nel sigma colico), il salame gentile (insaccato nell’intestino retto), la bondola (nella vescica), il bondlìn del sugo (in Polesine insaccato nei gozzi di tacchino) costituivano un capitale alimentare e soprattutto culturale sostituito oggi da quel distacco merceologico che porta lontana l’origine delle cose. Alla vaschetta trasparente, con le fettine ordinate, vien difficile associare l’antico sacrificio del maiale e la serietà che il rito richiedeva. Tuttavia non è solo per questo che quel lontano passato, per il quale non è detto si debba avere nostalgia, si è modificato. La tradizione, infatti, muore con la trasformazione del paesaggio: fiumi, alberi, case sono terminali ai quali sono connessi altri terminali e appunto i salami fatti in casa erano legati alla casa, quella rurale con i muri di pietra e soffitti di travi e assi di legno, che le famiglie avevano tenuto in piedi per stagionare e conservare il proprio rito e che oggi invece stanno demolendo anche forse per effetto dell’Imu, l’imposta comunale che equipara queste spelonche alle seconde case a Taormina o a Cortina. L’urbanistica ha molte colpe in Italia: l’esempio non venga considerato come una sterile polemica ma piuttosto come opportunità per riflettere sul modo curioso di come e dove vanno a finire a volte le cose e di come il maiale per i più giovani sia sempre meno “Nino” e sempre più “Peppa pig”.
Questo articolo per la parte etnografica cita la pubblicazione curata da Chiara Crepaldi “Tempo di festa”. Le foto sono di Marcello Zanin
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FONTOLAN:
qualità dei prodotti e cortesia dei produttori Dall’allevamento alla vendita, tracciabilità certa delle carni “Tutto quello che fa parte della nostra alimentazione proviene dalla terra, rispettarla significa mangiare bene e soprattutto mangiare prodotti che ci fanno bene”. Con questa filosofia la famiglia Fontolan conduce la propria azienda agricola in via Argine Sinistro a Bovolenta. La ricerca della qualità parte direttamente dai campi, nei 160 ettari di terreno, infatti, viene prodotto tutto ciò che
serve per l’alimentazione delle circa 600 “charolaise” francesi che annualmente passano dalle stalle. Si tratta di una razza bovina che dal punto vista organolettico rappresenta l’eccellenza della carne: tenera, dalla grana fine e con pochissimo grasso di copertura può essere acquistata direttamente in azienda, sicuri della tracciabilità e dell’alto valore nutritivo.
AZIENDA AGRICOLA
FONTOLAN
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S. Loren
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Via Argine Sx, 61 Bovolenta
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ORARI D’APERTURA: VENERDÌ 15.30 - 19.30 e SABATO 9.00 - 12.15 e 15.30 - 19.30
AZIENDA AGRICOLA FONTOLAN, Via Argine Sx, 61 - 35024 Bovolenta – (PD)
Salute e Benessere Una carne rossa che contiene meno colesterolo di quella bianca I laboratori della Chelab Silliker – Mérieux NutriSciences hanno condotto delle ricerche analitiche sulle carni macellate all’azienda Fontolan, riscontrando che contengono meno acidi grassi saturi di quella di pollo. Una buona notizia per la salute.
Si mangia meglio quando si conosce la provenienza di ciò che si acquista e si sa come prepararlo non si frantuma”. Per la ricetta, invece, è meCon il cambio della stagione, cambia anche la glio passare dalla macelleria dell’azienda, dove nostra alimentazione e d’inverno la carne diventa la cortesia e la disponibilità sono di casa, e apla regina della tavola: più proteine servono per profittare dalla vasta offerta che spazia dalle cardifenderci meglio dal freddo e chiudere le porni di pollo e coniglio, te alle malattie. Broallevati sempre in di, minestre, brasati, Siamo riusciti in tanti anni di arrosti, lessi sono cibi esperienza, sia come produttori che azienda e nel pieno rispetto del benessere che la nostra tradicome venditori, a raggiungere una degli animali perché zione gastronomica grande competenza… oggi siamo lasciati liberi a terra e pretende siano serlieti di metterla al servizio dei nostri senza forzare il norvite con il comparire dei primi freddi, già clienti nel nostro ambiente famigliare, male accrescimento, sempre cordiale ai salumi sempre ma come prepararli? “made in Se le ricette sono un Fontolan”. Con l’arrivo delle Feproblema il soccorso giusto è l’esperienza di Destività, inoltre, il punto vendita è anna, che con Ketty si occupa della vendita delle attrezzato per preparare ceste carni. La signora Fontolan, infatti, sa sempre dare e idee regalo con i tagli di carne il consiglio giusto sul miglior taglio da impiegare più pregiati, i salumi e ovviamene sulla sua preparazione in cucina. “Ad esempio te l’immancabile cotechino aro- confida - per un lesso il taglio giusto è lo scapmatizzato con sale, pepe e noce pino, perché e magro, contiene della gelatina che moscata. mantiene morbida la carne e al taglio, la fetta,
Tel 049 5347142 - info@aziendaagricolafontolan.it - www.aziendaagricolafontolan.it
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De Marchi,
dal Cortile alla tavola con genuinità In via Sabbionara a Merlara, a pochi chilometri da Montagnana, la famiglia De Marchi alleva animali di bassa corte come un tempo: liberi di razzolare a terra e con un’alimentazione rigorosamente a chilometri zero. Tutti i pennuti nell’ultimo mese di vita vengono nutriti con latte in polvere e miele millefiori dei Colli Euganei Nel cortile di un tempo la gallina non mancava mai, insieme ad anatre, oche, polli, capponi e faraone era libera di scorazzare a piacimento. Allevata certo per le uova, con cui si impastavano lasagne e tagliatelle, era tuttavia la sua carne ad essere cibo eletto. Soprattutto nei pranzi della domenica: dalla pasta all’uovo, al brodo fino al companatico, tutto si compiva nel nome dell’onnipresente gallina e in quello della genuinità. Tuttavia non da tutti i cortili sono spariti i domestici pennuti, “Il Cortile” della famiglia De Marchi è rimasto quello della tradizione, dove lo spazio per gli animali di bassa corte è quello libero della terra da cui proviene anche la loro alimentazione. Cereali, soia ed erba medica, infatti, vengono prodotti direttamente in azienda oppure acquistati da altre realtà agricole, ma sempre nel circondario di Merlara. I tempi per la crescita sono quelli previsti dalla natura, un pollo ci impiega 100-120 giorni per diventare maturo (quello industriale dopo 40 giorni è già una bistecca),così è anche per la faraona, mentre al cappone sono necessari ben 240 per essere pronto e arrivare sulle tavole giusto in tempo per il Natale. Il benessere degli animali, si traduce in qualità delle loro carni e in principi nutritivi salutari per chi le mangia e se questo non bastasse va detto che qui per insaporire ulteriormente le fibre del pollame si ricorre ad un eccezionale menù per gli animali. Nell’ultimo mese di vita l’alimentazione viene integrata con miele millefiori miscelato a latte in polvere in modo da conferire alla carne un sapore più spiccato ed intenso rendendola più morbida e gustosa.
DE MARCHI Via Sabbionara, 1651 - 35040 MERLARA (PD) - Tel. 0429 85468
Le specie allevate
• Pollo ruspante di razza preferibilmente label collo nudo • Galline Ruspanti • Cappone ruspante • Faraone ruspanti • Anatre • Anatre germano • Oche di razza padovana e bianca pesante
NON SOLO POLLI All’azienda agricola “Il Cortile” oltre alla vendita degli animali vivi e macellati si producono lavorazioni a base di oca e anatra. Con le carni dei due pennuti, infatti, si preparano ottimi salami, mentre con i petti producono dei piccoli prosciutti e speck nel caso le carni vengano affumicate.
QUALCHE CONSIGLIO IN MACELLERIA È diffusa l’idea, quando si va in macelleria, che la gallina debba essere gialla come il pollo. In realtà le carni dell’animale maturo sono più chiare, in quanto con la deposizione delle uova parte del colore va a depositarsi nel tuorlo. I Prodotti dell’azienda possono essere acquistati dal lunedì al sabato, con orario 8.00 - 12.30 e 14.00 - 19.00, presso il punto vendita aziendale di via Sabbionara a Merlara che rimarrà aperto anche tutte le domeniche dall’8 dicembre alla conclusione del periodo natalizio, oppure nei mercatini di “Campagna Amica” che si tengono settimanalmente a: • Monselice (Agrimons) il lunedì mattina, il mercoledì pomeriggio e il sabato mattina • Sant’Angelo di Piove il mercoledì mattina e il sabato mattina • Cittadella il giovedì mattina • Noventa Padovana il giovedì pomeriggio • Vigonza il sabato mattina • Rubano il mercoledì pomeriggio • Bresseo - Teolo il venerdì mattina www.ilcortiledemarchi.it - info@ilcortiledemarchi.it - Facebook: Il Cortile De Marchi
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LiTTAME´ L'oca e` buona anche dopo San Martino
Da quando la versatilità delle sue carni in cucina ha affascinato anche gli chef più blasonati del nostro paese, il nobile pennuto si candida ad essere il cibo delle Feste Con l’avvicinarsi del Natale e delle Feste di Capodanno e in ragione del clima che si respira, sobrietà e poca voglia di scialacquare, c’è già qualche casalinga, ma anche buone forchette e appassionati gourmet, che stanno pensando al menù dei giorni più festaioli per eccellenza. Un pranzo o una cena che non siano caratterizzati dai soliti piatti e dalle solite preparazioni ma che sappiano soddisfare la voglia di raffinata originalità e, fatto tutt’altro che di poco conto, che insieme alla grande qualità degli ingredienti ci sia anche la convenienza di un giusto costo. È pensando a tutto questo che Michele Littamè, dell’omonima azienda rimbalzata di recente alla ribalta delle cronache televisive nazionali per la sua partecipazione al Salone del Gusto di Torino, ha pensato di suggerire in queste righe un menù a base di sapide e gustose carni di uno dei bipedi più comuni nella storiografia della tradizione gastronomica padovana. Che a dire la verità, conosce i suoi momenti di maggior notorietà con la festa di San Martino ma che già da qualche anno, racconta con cognizione di causa Michele Littamè, è entrato sempre più insistentemente come ingrediente principale nei piatti delle Feste. Soprattutto da quando la versatilità delle sue carni in cucina ha affascinato anche gli chef più blasonati del nostro paese oltre a quelli francesi che ne hanno fatto uno dei loro cavalli di battaglia già da qualche secolo, servendo le sue carni a nobili aristocratici, riveriti porporati e teste coronate. Affascinati, a loro volta, dalla generosa sapidità delle carni dell’oca. Questo il nome del pennuto e candido bipede allevato e nutrito con passione da Michele Littamè e i suoi familiari, in tutta libertà in campi aperti, secondo i dettami di legge ma anche di quelli che la storia e la tradizione
ha codificato nel corso dei secoli per ogni allevatore degno di tale nome. Che nel caso dei Littamè è andato evolvendosi fino ad aggiungere, al ruolo di provetti allevatori, anche quello di trasformatori dei capi allevati in ghiotte preparazioni gastronomiche, a cominciare dall’ormai famosissimo petto d’oca “in onto”. Presidio Slow Food fatto con petto d’o- ca, grasso d’oca, sale di Cervia, pepe e aromi naturali, come lo si faceva fino dal 1300 nelle nostre campagne. Buonissimo, suggerisce Littamè, anche come apri pista per il menù festaiolo oggetto di queste righe che, a questo punto, dopo un risotto con rigaglie d’oca, può proseguire con un oca disossata e farcita con carne di maiale, carne d’oca, pane, formaggio grana, cipolla, aglio, sale, pepe e aromi naturali. O ancora, da tutte le altre golosità che Michele Littamè ha incluso nel suo irresistibile elenco che potete trovare con un semplice click alla voce prodotti del sito www.littame.it e ordinare in tutta sicurezza per i vostri pranzi delle feste o anche quando le feste son passate... ma non il piacere per la buona tavola.
AZ AGR. LUCA E MICHELE LITTAMÉ via Dosso, 2 • 35040 Carmignano (PD) www.michelelittame.it • info@michelelittame.it • tel. 0429 693292 • fax 0429 695091
L’APPUNTAMENTO di Giampaolo Venturato
Salvan
Vigne del Pigozzo
Ospite dell’azienda di Due Carrare fra vigne, vino e amici Ore 17:00 arrivo in azienda da Salvan per visita di cortesia all’amico Giorgio. Mi fa accomodare in cantina, prepara 6 bottiglie di vino di un suo amico vignaiolo austriaco per farmi sentire i sapori del passito austro-ungarico, il vino è prodotto ai confini del vecchio impero degli Asburgo. Ore 17:15 iniziano le degustazioni guidate, Giorgio mi interroga sui sapori percepiti e si diverte a stuzzicarmi sulla mia poca competenza in materia, resisto... arriviamo a degustare il terzo vino. Ore 17:30 arriva una compagnia di turisti Cechi, sono ospiti in un albergo di Galzignano. Giorgio dà sfoggio a tutto il suo insuperabile tedesco. Il gruppo si accomoda in cantina, Giorgio si trasforma in locandiere preprando sul tavolo 6/7 bottiglie per dare inizio alla degustazione dei vini dell’azienda “Il pigozzo”... Ore 17:35 si degustano i primi vini bianchi accompagnati da qualche grissino, però il bello deve ancora arrivare, alle 18.00 inizia la sfilata dei rossi, tutti rigorosamente da raccomandare per qualità e sapori. Con i rossi arriva anche il primo giro di pancetta e merlot giovane. Secondo giro di sopressa con altro merlot d’annata (2008).
Ore 18:30 è il momento delle riserve e qui partono i formaggi, pecorino, diciamo Veneto, poi è la volta del grana... e vai con altri rossi... Ore 18:45 I colori delle guance degli ormai amici Cechi mutano: dal pallido nordico, al rosso veneto. Alle 19:00 la verticale è terminata, sul tavolo conto 11 vuoti + una bottiglia in mano all’amico Ceco, Giorgio ha ottenuto il risultato che si prefiggeva: sono tutti felici... hanno bevuto... bevuto e mangiato. Certamente ricorderanno il pomeriggio trascorso all’ombra del Catajo e sicuramente ritorneranno. Bravo Giorgio, complimenti questa parte di Veneto verrà ricordata oltre confine.
La Mincana,
da giardino all’inglese a giardino dei vini
Con il giardino e la sua bellissima villa di Due Carrare il nobile veneziano Andrea Dolfin avrebbe voluto stupire il mondo, oggi ci riescono i Dal Martello grazie a vini raffinati come l’Algio, etichetta segnalata anche dalla guida Vinetia dell’Associazione Italiana Sommelier “... là vede qualcosa che non ha mai visto, o che non ha visto pienamente. Vede il giorno e i cipressi e il marmo. Vede un insieme che è molteplice senza disordine; vede una città, un organismo fatto di statue, di templi, di giardini, di case, di gradini, di vasi, di capitelli, di spazi regolari e aperti”. La “grande bellezza” che sconvolge Droctulf, il duca longobardo, uno dei primi a essere ricordato nella storia per essere caduto vittima del “mal d’Italia” è anche una delle pagine più belle che il genio di Borges ha fissato per sempre nella letteratura. La bellezza è una malattia quando viene smaniosamente inseguita a qualsiasi prezzo. Anche qui a Mincana, negli anni ‘70 e ‘80 del ‘700, il suo ultimo proprietario veneziano, l’Ambasciatore alla cor-
te di Francia Andrea Dolfin, spese molto per il suo giardino con il quale avrebbe voluto stupire il mondo. Per questa impresa aveva chiamato a se i migliori giardinieri del tempo: Giannantonio Selva e Francesco Bettini, quest’ultimo salito alla celebrità dopo il suo grandioso lavoro presso il cardinale Giuseppe Doria Pamphili a Roma. Disegni, progetti e idee si susseguirono speditamente e anche i primi lavori sembrarono assecondare tali programmazioni: “Il giardino è ottimamente tenuto - informava l’amministratore Ballarini in puntuali missive inviate alla corte di Francia dove si trovava il Dolfin - Garofoli in quantità fiorita, Carpani Viaressi dei più scelti, e qui tutto va a dovere, e così pure nell’orto ben fornito di erbaggi, belle spaliere de Peri,
La Mincana - Via Mincana, 52 - 35020 Due Carrare (PD) - Tel. 049 525559 - Fax 049 525499
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i Nani crescono e sparesi promettono molto. Sono livellati poi, e piantati di Carpani neri nuovi stradoni N. 6 e 7 in disegno. Questi consolano la vista e inondano l’anima”. Erano gli anni in cui andava per la maggiore il giardino all’inglese, allora studiato e discusso anche a Padova, in quanto il giardino delle ville patrizie era quel luogo in qui si
Al rigore delle geometrie delle siepi e delle prospettive vennero a sostituirsi accostamenti naturali e artificiali mai lasciati al caso e anzi sapientemente orchestrati sublimava il nuovo modo di intendere il paesaggio portato dal Romanticismo. Al rigore delle geometrie delle siepi e delle prospettive vennero a sostituirsi accostamenti naturali e artificiali fortemente evocativi: ruscelletti, grotte, cespugli, alberi secolari, in un insieme che suggeriva una dimensione di selvaggio, mai lasciata al caso e anzi sapientemente orchestrata. Ecco come doveva apparire il giardino della Mincana anche se i progetti immaginati dal suo proprietario forse non trovarono mai completa realizzazione: dalla corte di Luigi XVI a partire dal luglio del 1789 iniziò a infuriare la “Rivoluzione francese” che ben presto oltre a travolgere la carriera del Dolfin portò alla fine della stessa Venezia mentre, nello stesso identico anno, il giardino della Mincana fu spazzato via da una tromba d’aria.
Alfredo
Giovanni
Dopo diversi secoli da quel disastro su parte della superficie che il Dolfin aveva immaginato ricoperta di preziose ed esotiche essenze arboree, oggi ospita le altrettanto preziose vigne della famiglia Dal Martello che da ben cento anni produce vino qui a La Mincana. Accanto al tiglio, al platano e alla magnolia secolare, alle peschiere e alla ghiacciaia, filari di vigne circondano la settecentesca villa, perla preziosa dell’area pede-collinare. La vendemmia è ormai finita, in cantina riposano i vini, alcuni “rossi” resteranno nelle pance delle botti anche un anno e mezzo per perdere le originali spigolosità e assumere quella caratteristica rotondità che li rende compagni ideali delle ricette di stagione. È il caso dell’Algio, l’ultimo nato della riserva, acronimo di nomi storici dei Dal Martello: Alfredo
e Giovanni che ereditarono l’azienda dal loro padre e che oggi continuano a seguire a fianco di Artenio, la nuova generazione. Algio, insomma, è il vino dei Dal Martello nel sapore e nel profumo vi si possono trovare le note del carattere della famiglia, alla rustica tenerezza di Alfredo fa da compendio la testardaggine di Giovanni, ma pure la sua sincera schiettezza. Il tempo rientra come sostanza costitutiva anche del passito, quello de La Mincana è un vino intrigante che si sposa con i formaggi di zona, i “Zaletti”, il panettone con l’uvetta ma anche da solo, magari di sera davanti ad un bel caminetto acceso. Per questo in casa una bottiglia non deve mai mancare, come non è il caso di dimenticare il Fior d’Arancio, proprio adesso che si stanno avvicinando le Feste e gli auspici vanno espressi con il bicchiere alzato affermando decisi: prosit!
CABERNET “AlGio” L’AlGio viene prodotto solo in annate particolarmente buone, con uve che provengono da un impianto di Cabernet Sauvignon del 2002, vendemmiate dopo essere surmaturate sulla pianta. Dopo la svinatura e un ulteriore travaso viene messo a maturare in botti di legno da 225 lt per almeno 16 mesi. Algio è un vino maturo, generoso, che si abbina bene a selvaggina, piatti d’arrosto e formaggi stagionati.
FIOR D’ARANCIO Il Fior d’Arancio è l’orgoglio dei Colli Euganei e DOCG dal 2011. Il suo colore è brillante con riflessi dorati, il profumo intenso di agrumi, mela ed albicocca, il sapore dolce fresco e piacevolmente aromatico. Per preservarne una buona acidità viene vendemmiato anticipatamente. Alla Diraspatura-pigiatura segue un’immediata pressatura soffice. Dopo la decantazione segue la pulizia del mosto e successivo avvio di fermentazione che prosegue a 16°C. Al raggiungimento della gradazione ottimale e del giusto residuo zuccherino il mosto-vino viene filtrato e preparato all’imbottigliamento. Il Fior d’Arancio è perfetto in coppia con dolci di pasta sfoglia, focacce e crostate di frutta. Temperatura di servizio 6°C
FRIGUS, il passito Le uve perfettamente sane del Friularo vengono vendemmiate tra fine ottobre e novembre, stese su cassettine e portate in un vecchio granaio dove rimangono per almeno 4 mesi. Passato questo lungo periodo di appassimento vengono diraspate, pigiate e il mosto inizia la lenta fermentazione con le bucce che dura fino a 4 settimane. Dopo svinatura e un travaso, il vino viene messo ad affinare in piccole botti da 225 lt per almeno 24 mesi. È un vero nettare.
www.lamincana.it - info@lamincana.it
STORIA E DINTORNI di Francesco Selmin
La Grande Guerra, tra Catajo e Sarajevo Il prossimo 24 maggio ricorreranno i cento anni dell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale e approfittando dell’imminente uscita dell’Atlante storico della Bassa Padovana dedicato al Novecento, a cura di Francesco Selmin, proponiamo ai nostri lettori un’anticipazione del capitolo dedicato alla Grande Guerra e ai risvolti che ebbe per il territorio
A
lla vigilia della Grande Guerra c’era ancora una piccola enclave asburgica nella Bassa o, più precisamente, ai margini settentrionali della Bassa. Era la grande villa del Cataio di Battaglia. L’arciduca Francesco Ferdinando, nipote dell’imperatore Francesco Giuseppe ed erede al trono d’Austria-Ungheria, l’aveva avuta come lascito testamentario, assieme ad una vasta tenuta, dal Duca di Modena Francesco V Asburgo Este, spodestato nel 1859 e scomparso nel 1875. In primavera l’arciduca vi si recava abitualmente per cacciare i daini che popolavano il colle sui cui pendii l’imponente villa è incastonata. Veniva da solo e per pochi giorni. Scendeva dal treno a Monselice dove noleggiava una vettura per raggiungere la sua splendida proprietà. Ad attirarlo al Cataio era, assieme alla sua nota passione venatoria, la ricerca di solitudine. A raccontarlo e lo scrittore trevigiano Giovanni Comisso: “Il soggiorno nel suo feudo in terra italiana si riepilogava in un bisogno di solitudine e di spietata uccisione degli elegantissimi daini, e basta”. Nella pri-
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mavera del 1914 venne con la moglie. Fu la sua ultima caccia al Cataio. Alla fine di giugno, poco dopo il suo ritorno a Vienna da Battaglia, partì per una visita ufficiale a Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina, dal 1908 annessa all’Impero asburgico. Il 28 giugno a Sarajevo l’erede al trono di Vienna e la moglie caddero sotto i colpi di pistola di Gavrilo Princip, un giovane nazionalista serbo. Qualche anno dopo, visitando il Cataio, Comisso vide appesa alle pareti sottovetro “una pagina a colori di un giornale illustrato che rappresenta l’eccidio di Sarajevo, con l’arciduca riverso nella vettura accanto alla moglie insanguinata la bianca divisa come uno dei suoi tanti daini caduti sul colle selvaggio”. Poco più di un mese dopo la morte dell’arciduca l’Europa si inabissava nella fornace divoratrice della prima guerra mondiale. L’Italia vi sarebbe entrata soltanto nel maggio del ’15, dopo un anno di neutralità contrassegnato dallo scontro tra interventisti e neutralisti. In realtà, le campagne della Bassa non dovettero aspettare l’entrata in guerra dell’Italia per avvertire
STORIA E DINTORNI l’impatto della conflagrazione europea. Le prime pesanti conseguenze si ebbero con il rientro forzato degli emigrati, in particolare da Francia e Germania. Il numero di quelli della provincia di Padova si aggirava sui diecimila, la maggior parte dei quali proveniente proprio dai distretti meridionali. Si aggravò inevitabilmente il problema della disoccupazione, che era già esplosivo all’inizio del 1914. Nei distretti di Montagnana e di Este, infatti, i disoccupati ammontavano a circa 8.000 e nel mese di febbraio manifestazioni e comizi di protesta per la mancanza di lavoro si erano svolti a Piacenza d’Adige, Masi, Castelbaldo e Merlara. Da settembre, poi, le agitazioni dei disoccupati, in prevalenza braccianti, si fecero sempre più minacciose degenerando talvolta in atti di violenza nei confronti delle amministrazioni comunali, le quali, a corto di risorse finanziarie, fecero a loro volta pressioni sul governo centrale perché finanziasse lavori di bonifica e di sistemazione idraulica. Nel marzo 1915 ad Anguillara, Casale di Scodosia, Castelbaldo, Codevigo, Merlara, Piacenza d’Adige, Piove di Sacco, Urbana, Vighizzolo d’Este, Carceri, Ponso, Saletto, Santa Margherita d’Adige si ebbero quasi ogni giorno “moti”, scrive il Prefetto di Padova, di “carattere violento e tumultuario”, che resero necessario “distaccare in alcuni punti della provincia dei piccoli nuclei di truppa in sussidio all’arma dei carabinieri, insufficiente per numero al bisogno”. “Pane e lavoro” era la richiesta dei braccianti la cui protesta si concretizzava di solito nell’invasione del municipio e in minacce agli amministratori. Si ebbero di conseguenza numerosi casi di dimissioni di sindaci e di assessori comunali. Furono agitazioni spontanee, di carattere locale, nei confronti delle quali i socialisti restarono sostanzialmente estranei, anzi manifestarono una qualche diffidenza. Un tentativo di incanalarle verso obiettivi concreti fu rappresentato dall’organizzazione di leghe
bracciantili che ebbero una significativa espansione nei primi mesi del 1915, specialmente in aprile quando il loro numero arrivò a superare la decina. Fù pero una crescita di breve durata. Nel giugno1915, all’inizio dei lavori di mietitura, il prefetto di Padova sciolse le leghe di Montagnana, che avevano indetto uno sciopero. Il decreto prefettizio non incontrò alcuna resistenza e nell’estate del ‘15 la pace sociale tornò a regnare nei distretti della Bassa. Il seguito nei prossimi numeri...
Qui sopra l’arciduca Francesco Ferdinando. Sotto il Catajo ai giorni d’oggi. Nella pagina a fianco la celebre immagine disegnata da Achille Beltrame, con l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, pubblicata come prima pagina de “La domenica del corriere”
Articolo tratto dall’Atlante storico della Bassa Padovana, il Novecento In data 5 luglio 1917 Ugo Lazzarini (Vo’ 1852-Este 1920), docente di lettere presso il Ginnasio e le Scuole Tecniche di Este trascrisse il tema svolto da una ragazza di 14 anni, residente a Merlara, nella sessione degli esami ginnasiali tenuta a Montagnana. Prezioso per la sua genuinita e la sua freschezza, il documento conferma quanto fosse profonda l’avversione della società rurale nei confronti del conflitto a più di due anni dal suo inizio. Questa mattina vidi il treno che partì carico di feriti. Come facevano pietà? Molti erano feriti ad una gamba e tant’altri alla testa, ce ne erano di quelli che erano senza un’occhio, o un braccio. Mi venne anche a me di piangere, ma tenni duro per non farmi vedere da una mia compagna, che ha anch’essa suo fratello ferito alla testa, ed e in pericolo della vita poverino. Ma verrà anche per noi quel bel giorno in qui potremo a divertirsi anche noi come adesso si divertino quelli che vogliano la guerra e non vogliano che veda finita per adesso, perche hanno paura di andare uccisi da quei pochi soldati che avranno la fortuna di ritornare alle loro case dopo tante e tante fatiche poverini. Montagnana, 7 Lulio 1917 La ragazza è nata a Merlara il 15 agosto 1904; proviene da scuola privata; ebbe per maestro Zappalà, siciliano.
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QUOTA 101: LA CANTINA BIODIVERSA DEI COLLI EUGANEI 101 sono i metri sul livello del mare di questa giovane azienda vitivinicola padovana certificata Biodiversity Friend. Il vino qui non è solo di grande qualità è anche amico dell’ambiente VIGNAIOLI SI DIVENTA C’è chi vignaiolo lo è da sempre, di padre in figlio. C’è invece chi vignaiolo lo diventa e questo è un bellissimo atto di coraggio. Così è stato per la famiglia Gardina, originaria di Rovigo, che a fare il vino ha cominciato per amore di un luogo: Quota 101 a Torreglia, dove 101 sono i metri sul livello del mare. Una scelta di natura quella di Roberto, Silvia, Natalia e Roberta. Sono arrivati nella tenuta nel 2011 dove hanno trovato vigneti con più di trent’anni di storia. A loro il compito di recuperare il lavoro lasciato da altri, dando il meglio, senza alcun risparmio di ricerca e energia. Grazie all’aiuto di Enzo Corazzina, agronomo, e Paolo Grigolli, enologo, oggi possono presentare una collezione di splendidi vini: dal Malterreno al Serprino, dal Prosecco Doc nella versione Brut e Extra Dry al Moscato Fior d’Arancio Docg, dal Poggio Ameno al Cabernet Doc. Un lavoro che si accompagna ad un originale racconto del vino, fatto di abbinamenti con i film e la musica, fatto di giri in bicicletta e collaborazioni con illustratori importanti. Un modo fresco e spensierato di vivere la terra.
VINI PER LA BIODIVERSITÀ Quota 101 è la prima azienda vitivinicola padovana certificata Biodiversity Friend, la certificazione per la tutela della biodiversità in agricoltura patrocinata dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Un meraviglioso traguardo ottenuto grazie a una gestione dell’azienda secondo criteri di sostenibilità e all’utilizzo di tecniche agricole in grado di rispettare l’ambiente. La certificazione Biodiversity Friend è una garanzia per il consumatore che diventa consapevole di acquistare un vino prodotto nel rispetto della sostenibilità, a partire dallo studio dell’ambiente in cui i vigneti crescono e dei metodi in cui vengono coltivati. “Non ci basta fare vino di qualità, per noi è importante essere anche vignaioli consapevoli. - spiega Roberto Gardina titolare di Quota 101 insieme alla figlia Silvia – I numeri della biodiversità non sono rassicuranti: ogni anno scompaiono 35.000 specie, animali e vegetali. Ogni giorno sono 100. Per favorire l’equilibrio in vigna abbiamo posizionato nidi e casette per gli insetti e preservato le zone boschive e quelle della rete idrica agricola”. L’azienda Quota 101 è stata infatti premiata in particolare per la presenza fondamentale di boschi e siepi attigui ai vigneti e soprattutto per la qualità delle acque, dell’aria e del suolo. “Biodiversity Friend certifica che l’azienda agricola è gestita da persone che hanno a cuore il proprio territorio – spiega Gianfranco Caoduro, tra i fondatori dell’ente certificatore - Un vigneto che fa parte di un mosaico di ambienti diversi, quali olivi e boschi, sarà meno soggetto a trattamenti perché è già ricco ed equilibrato. Un vino certificato come biodiverso è sinonimo di qualità per il cliente”.
Nella foto Silvia e Roberto Gardina con Gianfranco Caoduro di Biodiversity Friend
Quota 101 srl Società Agricola Via Malterreno, 12 - 35038 Torreglia (PD)
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IDEE PER NATALE
Non mancano le proposte per il Natale: eleganti confezioni in legno, rifinite con il nome dell’azienda, perfette come regalo. Le confezioni si possono comporre con le bottiglie preferite, ma anche con l’olio. Per prezzi e informazioni: info@quota101.com. Un abbinamento per il Panettone: Fior d’Arancio Docg Il vino dolce dei Colli Euganei. Il profumo è quello di questi luoghi dove il Moscato si chiama Fior d’Arancio. Nell’etichetta l’azienda propone due insoliti abbinamenti, quello musicale con Black bird dei The Beatles e quello cinematografico con La città incantata di Hayao Miyazaki. Prezzo: 6/7 euro. Dove comprarlo: nei punti vendita Quota 101, in enoteca e on line http://italianwinelovers.it Un regalo di territorio: olio extra vergine di oliva Per fare l’olio Quota 101 semplicemente si limita a raccogliere i frutti e portarli in frantoio per estrarne il succo. Un olio assolutamente naturale che esprime le caratteristiche dei Colli Euganei. Delicato e fruttato.
I PUNTI VENDITA Uno in cantina, uno in città. Sono due i punti vendita ufficiali Quota 101. Il primo è il punto vendita appena ristrutturato che l’azienda ha a Torreglia, proprio dove ci sono i vigneti. Il secondo è a Rovigo, in centro città, paese di origine della famiglia Gardina. Gli orari dei negozi: • Rovigo in via Verdi, 25 Dal lunedì al venerdì 10.00-12:30/16.00-18:30 Il sabato dal 10.11 al 31.03 dalle 10.00 alle 12:30 • Torreglia in via Malterreno, 12 Martedì, giovedì e sabato dal 01.04 al 31.10 dalle 10.00 alle 12 e dalle 14:30 alle 17:30 Tutti gli altri giorni su appuntamento. phone +39 0425 410922 • fax +39 0425 410029 • mail info@quota101.com • web www.quota101.com
Alla Cantina Colli Euganei
l’uva è già diventata vino a n i t n a C a L
coopeei è una società lontà n a g u E i ll o C nata per vo La Cantina data nel 1949, sono associati n fo la co ri ag rativa e si di viticoltori ch e commercializdi un gruppo e ar gliere, vinific ei. per poter racco na Dop e Igp dei Colli Eugan i zo at la in el m d zare il vino roduttori, disse dei p 0 8 6 a rc ci a p dal Parco Oggi raggrup itorio protetto punto di rirr te el d o rn all’inte a è un sisociati la cantin Colli. Per gli as iano: consulenza enologica, as d de ti n o ra u g q ferimento er i viticoltori, come p a iv at rm o -f o in vigna stenza tecnic te di qualità, el sc iele al e n o icata, che imp attenzi if rt ce a d en zi ’a elun in cantina. E’ avanguardia in tutte le fasi d l’ ra u al lt ie cu g ga tecnolo ento costante, f che am rn io gg A e. o lo staf la lavorazion za caratterizzan a filiera toen et p m co e a n tecnic la certezza di u bottiglia. e ar d er p a n si impeg polo alla ni ollata, dal grap talmente contr i chili d’uva raccolta, 5 milio e d li i ig n tt Con 7 milio milioni di bo re 2 e o tt o d ro p io di litri di vino tina Colli Euganei è il magg an distribuite la C ea. ar l’ el d re produtto
In rosso le aree in cui vengono commercializzate le bottiglie che escono dalla Cantina Colli Euganei
I tappi degli spumanti sono già prossimi a saltare, i brindisi di cene e cenoni avranno il giusto numero di bollicine Alla Cantina Colli Euganei di Vo’ Euganeo l’uva è già diventata vino. Il frenetico via vai che per settimane ha tenuto impegnati soci e operatori è stato archiviato, anche se dallo scaffale mancherà qualche etichetta. Le bottiglie del “Notte di Galileo”, infatti, rimarranno vuote. La stagione non ha permesso quella qualità per la quale questo vino è famoso e siccome qui in via Marconi a Vo’ la serietà viene prima di tutto, si è deciso che non ci sarà l’annata 2014 per questo straordinario incontro tra Merlot e Cabernet Sauvignon. Il resto dei vini, invece, riposa: fino a gennaio andranno avanti i lavori in cantina per mettere il tappo agli oltre due milioni di bottiglie che vengono prodotti ogni anno, mentre quelli degli spumanti sono già prossimi a saltare perchè in occasione delle Feste cene e cenoni dovranno essere corredate dal giusto numero di bollicine per il brindisi. Fior d’Arancio, Moscato, Prosecco e Manzoni moscato sono pronte. 60 mila bottigliete hanno già preso il via della vendita, destinate a raggiungere sia il mercato interno che quello estero. Giappone, Malesia, Russia, Sud Africa e Canada - stimano qui alla Cantina Colli Euganei - nelle prossime settimane faranno triplicare questo numero, perchè la richiesta che viene da oltre confine è in costante crescita.
cantina colli euganei s.c.a. via marconi, 314 - vo’ euganeo (pd)
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Moscato dolce
Vino ottenuto con uva moscata bianca 100%, proveniente dai vigneti con fondi argillosi. Ha un colore giallo paglierino, la schiuma è persistente la grana fine. Il sapore è dolce e aromatico, questo vino è perfetto per essere abbinato ai prodotti della pasticceria e per i brindisi durante le feste.
Fior d’Arancio
Il Fior d’Arancio è l’immagine dei Colli. Il prodotto più rappresentativo e anche il più premiato. Brillante, inconfondibile per via del suo spiccato aroma di fiori bianchi, di erbe aromatiche e di albicocca, spicca e stacca ogni altro vino moscato. Nella versione passito i profumi si fanno zuccherini ricordando la frutta candita o il miele, evocato anche dal color ambra del vino, che si accostano a formaggi erborinati, patè e fegato d’oca, biscotteria secca. Nella versione spumante e secca, invece, l’abbinamento si può fare con antipasti dal gusto dolce, risotti o pasticceria a base di frutta e ovviamente per il brindisi di Natale.
Manzoni Moscato dolce
Il rosa dei Colli. Il colore, insieme alla sua dolcezza non stucchevole e i pronunciati sentori di frutta rossa sono gli elementi che caratterizzano questo straordinario prodotto nato dalla fantasia dell’illustre professor Luigi Manzoni, che dal Raboso voleva ottenere un vino più morbido e gradevole. Fra tutte le prove effettuate a san Polo di Piave l’incrocio denominato I.M. 13.0.25 gli parve il più riuscito. La stessa varietà viene usata oggi anche sui Colli in vigneti dal fondo vulcanico rimescolato con presenza di calcari e argille. Il sapore è dolce ed elegante, con retrogusto aromatico di lunga persistenza, si sposa con dolci biscottati, crostate di crema o frutta e grazie alla sua bassa gradazione alcolica può essere bevuto anche fuori dai pasti nei momenti di convivialità e festosi.
Prosecco
Uno dei simboli del “bere veneto” non può non essere uno dei cavalli di battaglia della Cantina Colli Euganei. Ottenuto con uve glera al 100% ha un colore è paglierino, un “perlage” fine e persistente, la schiuma evanescente. È il vino degli aperitivi, per dare il meglio di se ha bisogno di essere servito alla temperatura 10 °C.
IL PUNTO VENDITA
I punti vendita della Cantina Colli Euganei sono il posto giusto per degustare e conoscere le oltre venti etichette in produzione, ma non solo. Alle bottiglie e al vino in mescita sfuso, infatti, si associano i profumi dei prodotti del territorio e una particolare linea di salumi che porta il nome degli stessi vini. Così qui è possibile acquistare il “Salame Notte di Galileo”, la “Pancetta al Serprino”, il “Lardo allo Chardonnay” oppure il “Fiocchetto al Cabernet Sauvignon”, si tratta di autentiche eccellenze che rimandano ai profumi della tradizione, quella che da sempre, da queste parti, coniuga al buono odore alcolico della cantina il sapore genuino della dispensa. Ai punti vendita, inoltre, è possibile prenotare visite guidate oppure momenti di degustazione per gruppi e comitive, del resto un giro per la barricaia con un calice in mano è il modo giusto per capire come vengono fatte le cose alla Cantina Colli Euganei. Oltre ai punti vendita di Vo’, Limena e Selvazzano e Galzignano terme è possibile acquistare i prodotto della Cantina Colli Euganei anche on-line. Basta una mail all’indirizzo info@virice. it per entrare in contatto con un operatore e poter accedere al acquisti e ricevere entro 48 ore ilo vino desiderato direttamente a casa. tel. 049 9940011 - fax 049 9940497 - www.cantinacollieuganei.it - info@virice.it
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Il Pianzio produttori per passione
Le foglie sono sempre più rade nei vigneti, il verde è trascolorato nel giallo brillante e nel rosso acceso con le prime “brume” mattutine. L’uva però è già stata portata al sicuro, in cantina. La vendemmia è finita, come pure le operazioni di pigiatura, ora si deve aspettare che il vino maturi affinandosi, si tratta di un piccolo momento di riposo... anche meritato visto che non è stato facile quest’anno. La stagione ci ha messo del suo per rendere complicate le cose: troppa acqua, si sa, non va d’accordo con il vino. La differenza la farà chi ha ben lavorato in campagna e qui, al Pianzio, questa cura non è mancata, perché chi da ben cinque generazioni si occupa di vino conosce il carattere di tutte le stagioni e sa affrontare anche quelle che si dimostrano prepotenti con le uve.
La famiglia e la tradizione Produttori per passione. La famiglia Selmin è “Il Pianzio”, che tradotto significa pianoro, quello sul quale si trovano i vigneti e gli ulivi, sono un binomio inscindibile unito strettamente da una tradizione che lega una generazione all’altra da molto tempo. Così dopo Eugenio e Norma, che tuttora contribuiscono attivamente al lavoro in azienda, ai figli Guglielmo e Vittorio e le rispettive mogli, Marzia e Mariagrazia, oggi è Nicola, il nipote più grande, a portare avanti questa storia. Dopo la laurea in enologia e due vendemmie all’estero, precisamente in Germania nella zona di Volkach e in Australia a Wangaratta, quest’anno ha condotto la sua prima vinificazione in azienda. Il ricambio generazionale quindi è garantito, con l’auspicio che anche gli altri nipoti continuino questa tradizione.
IL PIANZIO di Selmin Soc. Agr. - Via Pianzio, 66 - 35030 Galzignano Terme (PD)
Natale
in Cantina I sensi del gusto e dell’olfatto sono i sensi dell’uomo più direttamente collegati alla memoria e dunque al ciclico ritorno delle stagioni, di cui l’inverno è contemporaneamente fine e nuovo inizio. A Natale la cantina profumerà ancora della recente vendemmia, ma i primi vini nuovi saranno pronti per incontrare il bicchiere e gli altri sapori della stagione fredda e proprio per favorire questo appuntamento, Il Pianzio, sarà aperto tutte le domeniche di dicembre con degustazioni e assaggi delle tradizionali ricette del territorio collinare. Non mancherà l’olio novello, ottenuto con le olive degli oltre 250 alberi, alcuni secolari, della proprietà Selmin. Armonioso e fruttato, qui viene esaltato in abbinamento con lo schissotto di Galzignano: si tratta di un vero rendez-vous tra genuine fragranze. Olio e vino possono essere anche ottime idee regalo, al “Pianzio” si preparano ceste con i migliori prodotti del territorio. Un brindisi con il Fior d’Arancio sarà sicuramente di buon auspicio...
Tel./Fax 049 9130422 - Cell. 393 7699836 - info@ilpianzio.it - www.ilpianzio.it - Seguici su Facebook
n t o a i r o F DI
CORNOLEDA
Siamo pronti con l’Olio nuovo La stagione della spremitura è arrivata agli sgoccioli, l’extravergine è già nelle bottiglie e quest’anno stupirà per il suo sapore delicato
di mantenere inalterati profumi e sapori. Per un ottimo risultato È arrivato l’olio nuovo! Al Frantoio di Cornoleda la stagione poi si deve aggiungere l’esperienza del frantoiano che, è giusto della spremitura è arrivata agli sgoccioli, le olive degli oltre dirlo perché qui sta il senso di un mestiere, incide nell’ordine 400 produttori, tutti del territorio Euganeo, che annualmente del 60-65%, soprattutto in annate come questa dove il tempo conferiscono qui sono già diventate verde e profumato si è messo per traverso e la “bactrocera extravergine d’oliva. Per due mesi è “ I nostri extravergine stata un festa: un susseguirsi di arrivi, di oleae”, alias maledetta mosca dell’olivo, frenetico lavoro intervallato da fisiologiche quest’anno hanno ottenuto ha proliferato.“In realtà la qualità dell’olio attese, giusto il tempo per il compiersi del ha risentito in parte delle bizze della la Dop Colli Euganei miracolo che ogni anno trasforma i frutti stagione - spiegano Devis e Jaci Zanaica, e Berici, una delle più in olio. Attese che quest’anno sono state che da otto anni gestiscono il loro difficili da conseguire” anche più brevi del solito, grazie al nuovo frantoio a Cinto Euganeo - con un’attenta frantoio di cui si è dotata l’azienda, che appunto ha permesso selezione delle olive si è arrivati ad un ottimo prodotto anche tempi più spediti e un preciso controllo delle temperature quest’anno, tanto che ci è valso la conquista della Dop Colli Euganei e Berici, una delle più difficili da ottenere”. Delicato, nelle fasi di trasformazione, garantendo l’effettiva estrazione ecco il sapore dell’olio della spremitura 2014, perfetto su tutti i “a freddo”. Tutto a vantaggio della qualità! Perché ormai si sa cibi perché esalta i loro sapori senza nasconderli. che i tempi brevi e la mancata esposizione all’aria della pasta di olive, durante la lavorazione, permettono al prodotto finale
FRANTOIO DI CORNOLEDA S.A.S. di Zanaica Devis & C. • via Cornoleda, 15/B • 35030 Cinto Euganeo (PD)
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Ordinatamente, le colorate etichette campeggiano sugli scaffali del punto vendita aziendale rendendo subito identificabili le varie tipologie in vendita. La famiglia degli oli, infatti, è composita, profumi e sapori cambiano ed è in base a questi che le bottiglie dovrebbero essere scelte per insaporire i piatti in tavola. Come certi vini, certi oli, si accompagnano preferibilmente a taluni sapori e altri ne preferiscono di differenti. Per questo una bottiglia di olio in casa non basta è l’offerta al Frantoio di Cornoleda è vasta e variegata, spaziando dai monovarietali, Rasara e Matosso, ai blend come il Green selection, l’extravergine assegnatario del primo premio da parte dell’Aipo e delle 3 foglie dal Gambero Rosso, fino al Bio e agli aromatizzati: al rosmarino, peperoncino, limone e aglio/peperoncino, prodotti al naturale macinando le olive con i frutti e le spezie senza aggiunta di aromi artificiali. Green selection, l’extravergine prodotto con la prima selezione di olive dell’anno, assegnatario del primo premio da parte dell’Aipo e delle 3 foglie dal Gambero Rosso
Non solo Oli Al Frantoio Cornoleda non si trovano soltanto gli oli, l’offerta infatti si impreziosisce con autentiche sfiziosità: il paté di olive, il pesto alla genovese, i pomodori secchi o le olive nere selezionate nel territorio dei Colli Euganei e preparate con l’olio extra vergine di oliva del frantoio, sono da provare a da riprovare. Non manca una selezione di mieli, il tutto poi può venire confezionato ed impreziosito per idee regalo, bomboniere o ceste natalizie. Se poi volete un consiglio: non perdetevi i corsi di assaggio, il mondo dell’olio è vasto e merita di essere approfondito.
Il punto vendita è aperto dal lunedì al sabato dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19. La domenica è aperto solo al mattino o il pomeriggio su prenotazione. Anche le visite guidate e le degustazioni sono solo su prenotazione. Tel. 0429 647123 • Mob 380 7177284 • www.frantoiodicornoleda.com • info@frantoiodicornoleda.com
LA GEOGRAFIA DELLE TRADIZIONI di Mario Stramazzo
Dialogo sopra i due massimi sistemi gastronomici:
lesso o bollito?
Non di rado il “lesso” viene inteso come l’equivalente del bollito. In realtà il bollito è una preparazione a base di carni selezionate e saporose, introdotte in acqua bollente e servite calde e accompagnate dalle diverse salse che variano in ragione delle tradizioni all’ombra di ogni singolo campanile. Il lesso invece si prepara con una serie di pezzi di carne di seconda scelta, tuffati in acqua fredda, che sballottando per un tempo più lungo lasciano nella pentola tutti i loro succhi migliori a discapito della tenerezza e del sapore.
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uando viene raccontato della lunga tradizione del “Gran Bollito alla Padovana”, magari per presentare qualche rassegna gastronomica nei molti ristoranti patavini, l’autore, gourmet o giornalista che sia, talora presenta questo piatto come il massimo del piacere gastronomico delle tavole invernali chiamando in causa pure Galileo Galilei. Grande scienziato e anche insigne docente dell’ateneo padovano che di quando in quando, com’era d’uso in quei secoli (1592 - 1610), ospitava nella sua casa, in quella che ora è via Galilei, i rampolli di nobili e ricche famiglie venuti nella città del Bo’ per frequentare le sue lezioni. Trovando, alla sua cattedra, le
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migliori conoscenze matematiche d’allora e, nella sua magione, anche il gusto per la buona tavola che il nostro Galilei trasmetteva loro, durante pranzi e cene. Convivi che lo scienziato dal fine palato, faceva rientrare in quel che potrebbe definirsi trattamento educativo-alberghiero per i suoi allievi a tutta pensione. Come del resto dimostrerebbero alcune note spese sull’acquisto di poderosi quantitativi per tavole ben imbandite di cibi e bevande. I primi descritti in maggior parte come ghiotti tagli di carne delle specie animali più varie, fornite da un beccaio di Abano e da uno di Ponte Corvo, le seconde, gli allora già apprezzati vini bianchi e rossi degli
LA GEOGRAFIA DELLE TRADIZIONI Il celebre scienziato si riforniva di carni da un beccaio di Abano e da uno di Ponte Corvo Euganei. Il tutto per succulenti banchetti dove a farla da padrone, soprattutto quando il freddo cominciava a caratterizzare le stagioni e annunciava i giorni delle feste natalizie e di capodanno, era il “Gran Bollito alla Padovana”. Definito come un vero e proprio piatto da gran festa per la ricchezza varietale degli elementi che lo costituivano: tagli di carne selezionati e bolliti con grande perizia, provenienti da bovini e bipedi pennuti, allevati nelle campagne fuori le mura per rifornire i “beccai” o per essere portati nei mercati di città. Che in quei tempi, molto spesso erano ubicati nelle piazze dei centri cittadini e che per ironia del tema di queste righe e l’aneddotica riguardante l’illustre docente universitario, proprio in Padova, il mercato di bovini era situato nelle immediate vicinanze di quell’edificio che sul far del ‘400 passò in uso all’Ateneo. Per divenirne poi sede universitaria a pieno titolo nel 1539 ma non prima di essere stato un’antica locanda dal nome più che significativo per i suoi clienti e frequentatori, Hospitum Bovis, che vi soggiornavano per i loro affari nel vicino mercato di bovini. Da qui, come è noto, il nome di Palazzo del Bo’ per l’uni-
Riproduzione della lista spesa di Galileo e il libro Le opere di Galilei, dal quale è tratta
versità padovana che ha marchiato migliaia e migliaia di dottori ma prima ancora anche tante buone forchette, senza togliere alcun rispetto a cotanta scienza. Così sembra voler insegnare la biografia del periodo padovano del Galilei e dei suoi allievi che, senza azzardare alcunché Galileo Galilei (1564 - 1642) di irriverente, forse trovavano le loro energie per lo studio a cominciare proprio dai tagli di carne dei bovini bolliti. Pacifici ruminanti che inconsapevolmente diedero il nome all’istituzione accademica padovana ma diventarono anche, nei loro cinque quarti, i celebrati elementi per un’altra istituzione patavina. Ovvero quel ricco piatto di sapide carni che quand’era ora, cresimava feste e banchetti con tutta la sua pompa magna. Celebrato non solo nelle note spese del matematico e astrofisico pisano ma addirittura codificato prima nelle pagine de “Il Trinciante” del 1621 da Mattia Giegher e successivamente nell’opera più completa “Li tre trattati di messer Mattia Giegher bavaro di Mosburc, trinciante nell’ill.ma natione alemanna in Padoua”. Lavoro enciclopedico citato assai spesso nelle bibliografie dei molti volumi d’epoca di cucina, ricette o mansionari per scalchi, trincianti o semplici cuochi e che divenne pressoché introvabile fin dalla sua prima edizione del 1629. Quando appunto, Mattia Giegher, nome italiano del nobile tedesco Matthias Jäger, anch’egli docente dell’ateneo padovano, descrisse modi e usi con i quali si dovevano
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LA GEOGRAFIA DELLE TRADIZIONI
Palazzo del Bo’ in origine era una locanda dal nome più che significativo Hospitum Bovis qui vi soggiornavano coloro che conducevano i loro affari nel vicino mercato di bovini acconciare le carni delle diverse specie animali. Soprattutto nelle grandi occasioni o in prossimità delle canoniche feste natalizie e di fine anno; durante le quali il cibo e lo stesso modo di essere servito assumeva un significato che andava ben oltre il bisogno di nutrirsi. Era infatti in quei momenti che la tavola diventava momento di gioiosa comunione ed erano richiesti alimenti che più di altri celebrassero la solennità del momento grazia alla loro opulenza espressi-
Mattia Giegher autore de “Il Trinciante” del 1621. Opera enciclopedica nella quale il nobile tedesco Matthias Jäger, anch’egli docente dell’ateneo padovano, descrisse modi e usi con i quali si dovevano acconciare le carni delle diverse specie animali.
va. Includendo così, come nel caso del “Gran Bollito alla Padovana” quei tanti e diversi tagli di carne di diverse specie animali che ancora oggi ben figurano sulle tavole dei ristoranti o di quelle famiglie che, almeno per una volta l’anno, non vogliono rinunciare alla storica tradizione di questo piatto. Il segreto del “Gran Bollito” va cercato nelle carni da utilizzare che devono essere piuttosto grasse perché altrimenti, a fine cottura, diventano secche e stoppose. Per quanto riguarda la tipologia dei tagli, usualmente di ricorrere al bianco costato della croce o il garretto posteriore del manzo, la testina di vitello e l’immancabile lingua salmistrata, sempre di vitello, e il musetto di maiale. A questo punto però, per fregiarsi del titolo patavino e diventare “Gran Bollito alla Padovana” occorre la gallina, ovviamente pado-
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vana. Ripiena con le sue rigaglie, pancetta, grana e verdure battute, oppure no, va acquistata solo se rigorosamente ruspante e solo durante le festività può essere sostituita dal cappone. La cottura va effettuata in singole pentole per ogni elemento ricordando che nell’acqua di bollitura del manzo va aggiunta una cipolla, sulla quale si infiggono 5 o 6 chiodi garofano, una carota, alcuni gambi di sedano e foglie di alloro. Con il bollito sono contorni d’obbligo il cren, il sale grosso per la carne di manzo e gallina, la salsa verde, il radicchio di campo al tegame, il purè di patate e la mostarda, ovviamente alla Veneta. Infine, ad innaffiare le libagioni i rossi dei Colli Euganei o il Friularo di Bagnoli. Non di rado il “lesso” viene inteso come l’equivalente del bollito. In realtà il bollito è una preparazione a base di carni selezionate e saporose, introdotte in acqua bollente e servite calde e accompagnate dalle diverse salse che variano in ragione delle tradizioni di ogni singolo campanile. Il lesso invece si prepara con una serie di pezzi di carne di seconda scelta, tuffati in acqua fredda, che sballottando per un tempo più lungo lasciano nella pentola tutti i loro succhi migliori a discapito della tenerezza e del sapore. In questo modo però, a differenza di quello ottenuto col bollito, si ottiene un ottimo brodo che risulta più gustoso e ricco.
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L’Olio
del Frantoio Valnogaredo arriva in Asia
Bayer di Taiwan da tempo cercavano un olio con un armonico equilibrio del sapore, un olio che rispettasse gli alimenti senza coprirne il gusto e lo hanno trovato proprio a Valnogarendo, sottoscrivendo immediatamente l’esportazione dell’extravergine
Da quattrocento anni al Frantoio di Valnogaredo si perpetua l’antica arte dalla molitura delle olive. Nello stabilimento che ancora oggi si trova in una dependance della settecentesca villa Contarini, nell’omonima frazione di Cinto Euganeo, tradizione e innovazione convivono e accanto alle tipiche “molazze” per la frangitura si trova il moderno impianto a ciclo continuo, nel primo caso si tratta di spremitura a freddo mentre il secondo procedimento viene definito estrazione a freddo. Paolo e Pierangela Barbiero ancora conservano gli antichi registri di diversi decenni fa dove, con bella grafia, rimangono annotati i nomi dei produttori di allora e le quantità. Basta un veloce colpo d’occhio per accorgersi che da allora l’extravergine prodotto è aumentato in modo esponenziale e la stessa cosa si può dire della qualità. Il perfetto equilibrio tra amaro e piccante, il fruttato delicato e la bassa acidità dell’olio rimasta anche quest’anno, malgrado l’annata balorda, ben al di sotto dei parametri della Dop Colli Euganei e Berici, di cui la produzione Valnogaredo fa parte, sono caratteristiche che rendono questo extravergine unico, apprezzato e ricercato anche a livello internazionale. Giusto qualche mese fa, infatti, “l’oro verde” marchiato Valnogaredo è stato oggetto di interessamenti da parte dei bayer di Taiwan. Da tempo cercavano un olio con un armonico equilibrio del sapore, un olio, insomma, che rispettasse gli alimenti senza coprirne il gusto e lo hanno trovato proprio a Valnogarendo, sottoscrivendo immediatamente l’esportazione dell’extravergine verso il mercato asiatico. Un risultato accolto ovviamente con grande soddisfazione e che fa il paio con l’iscrizione da parte di Pierangela nell’Elenco Nazionale dei tecnici
ed esperti degli oli di oliva vergini ed extravergini, perché qui è di casa la convinzione che la qualità prima di perseguirla bisogna saperla riconoscere. Qualità che ovviamente qui sta in bottiglia la cui etichetta riporta il nome di “Olio dei dogi”, l’extravergine di oliva DOP Veneto Euganei e Berici, ottenuto da olive molite il giorno stesso della raccolta ricco in polifenoli e tocoferoli, basso il contenuto in perossidi; “Olio Extravergine di oliva biologico”, prodotto nel pieno rispetto dell’ambiente seguendo regole precise previste dal regolamento CE; “Olio Extravergine di oliva Italiano” (blend); “Olio Extravergine di oliva Italiano Rasara”, ottenuto dal cultivar tipico dei Colli Euganei, fino ad arrivare agli aromatizzati al limone; all’arancio; al peperoncino; al rosmarino. Dall’offerta non mancano i prodotti gastronomici come il patè di olive nere, il “pesto alla genovese”, il “bagnetto della collina”, delizioso pesto fatto con pane, prezzemolo, acciuga un po’ di aglio ed un po’ di peperoncino e i sott’olio: carciofini, pomodori, involtini di melanzane, involtini di radicchio ottimi da consumare come contorno ai piatti di stagione e belli da regalare a Natale in ceste con tutti gli altri prodotti del Frantoio.
Frantoio di Valnogaredo - Via Mantovane, 8/A - Cinto Euganeo (PD) - Tel. +39 0429 647224 - Fax +39 0429 644054 info@frantoiovalnogaredo.com - www.frantoiovalnogaredo.com
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TENUTA CIVRANA
L’ospitalità alla Tenuta Civrana si fa con i sapori della tradizione
“Cucinare è molto semplice
quando i prodotti sono di qualità e freschissimi” L’agriturismo della Tenuta Civrana è la casa della tradizione. Nel momento in cui la stagione entra in tavola con i suoi sapori più intensi, l’ospitalità alla grande campagna di Pegolotte si è fatta più calda e suadente. I cibi e le ricette sono quelli collaudati e volutamente semplici del passato, ispirati al pranzo delle domeniche di un tempo dove oltre al gusto contava la genuinità. Del resto non sono molti i ristoranti che possono contare su una dispensa di 365 ettari. Altrove le
merci arrivano con i camion, qui, invece, tutto arriva da pochi metri oltre la porta della cucina. Arriva dalla campagna di cui l’azienda agricola si occupa stagione dopo stagione, seguendo precisi calendari che regolano la vita della terra. Orticole, funghi, selvaggina fanno parte dello steso paesaggio. Capponi, faraone, quaglie, galli e galline vengono allevati in libertà nei boschi. Il cuoco Luca Brun li ha visti crescere. I piatti a base di maiale sono l’autentica specialità della casa:
Pegolotte di Cona (VE), Via della Stazione 10 • Tel. 333 6662584 • Agriturismo 347 2220023
le braciole con la costina qui sono l’equivalente della “fiorentina” per i toscani e i salami vengono fatti nella stessa maniera di una volta: sale, pepe, aglio e vino rosso. Le soppresse sono a dir poco spettacolari, arrivano ai nove chili!, mentre il cotechino con il radicchio “Rosso Civrana” è da provare e riprovare con l’arrivo dei primi freddi, magari dopo a un bel piatto gli gnocchi con il cavolo nero o di crespelle con la zucca, tanto per restare “in stagione”. Conserve e giardiniere completano il menù insieme a un buon bicchiere di vino ovviamente della casa.
A rendere ancora più unica l’offerta della Tenuta Civrana è il percorso che si snoda tra il verde della campagna, dove 60 ettari sono stati lasciati alla natura e strutturati con ponti, passerelle sugli specchi d’acqua e torri per il birdwatching. Se la giornata lo permette, due passi tra maestose siepi frangivento e i numerosi canali, che solcano le coltivazioni, permettono di raggiungere la “zona di protezione speciale”, si tratta di un’opportunità utile certamente per mettere in moto l’appetito e per fare la conoscenza del territorio, soprattutto ora che il tardo autunno regala gli ultimi colori e le mattine soleggiate sono un regalo prezioso da non dissipare. Aironi, garzette, germani reali: la fauna che ha scelto questo lembo di terra d’altri tempi come propria casa è sterminata, sono state censite ben 171 specie di uccelli ma non mancano gli incontri con mammiferi schivi come le volpi o tassi. Nel sito www.tenutacivrana.it si possono trovare i filmati che ritraggono le due specie mentre si rincorrono, giocando. info@tenutacivrana.it • www.tenutacivrana.it
Ristorante Le Strie Qui quando i giorni iniziano ad accorciarsi la fantasia si allunga tirando fuori dal paiolo antichi sapori, rivisitati in chiave prodigiosa
Ristorante Le Strie - Via Pescheria Vecchia, 1 - 35042 ESTE (PD)
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Dove si trovano “Le strie”? I racconti popolari le vogliono avvolte nella nebbia, intente nei loro magheggi sotto alberi stecchiti, neri, gelidi. In realtà si trovano in centro ad Este, ma la stagione è quella giusta: con l’arrivo del freddo il paesaggio si incupisce, il sole diventa un occhiolino quasi trasparente e la terra bruneggia, ma tutto va a favore dei profumi e dei sapori che per contrasto si ispessiscono, si fanno corposi. Il dolce della zucca, l’amaro dei radicchi, l’aroma dei funghi o il giallo compatto e croccante della polenta abbrustolita fanno parte di quella tradizione, che se fosse un libro Le strie conoscerebbero a memoria. Marina, cuoca del ristorante, ricorda la nonna Felicita che la domenica, mentre gli altri andavano a messa, con due uova preparava il pranzo per sette persone. La magia, evidentemente, è una questione genetica oppure gastronomica. Fatto sta che qui quando i giorni iniziano ad accorciarsi la fantasia si allunga tirando fuori dal paiolo antichi sapori, rivisitati in chiave prodigiosa. Il cotechino in “carta-fata” è un meraviglia per il palato e per gli occhi, un fagottino trasparente con fiocchetto, il risotto in crema di limone diventa prezioso accompagnato con la foglia d’oro e la polvere di liquirizia, autentica stregoneria, invece, è il cappuccino di baccalà in tazza con polenta di grano arso, fatto espresso e accompagnato con la sua bella cialda. La tradizione poi esige che non si dimentichi il “Bollito in coccio” ovvero manzo, gallina, cotechino e lingua presentati in un piccolo contenitore di terracotta con accanto la salsa al cren, la più tradizionale mostarda vicentina e le verdurine all’agro preparate in cucina da Cristian. Apprezzata, anche se importata da altra provincia, la zuppa di orzo alla bellunese cotto nel latte con aggiunta di funghi porcini e tocchetti di speck... scalda il cuore e le rigide temperature dell’inverno!
Il dolce della zucca, l’amaro dei radicchi, l’aroma dei funghi o il giallo compatto e croccante della polenta abbrustolita fanno parte di quella tradizione, che se fosse un libro Le strie conoscerebbero a memoria Tel. 0429 94967 - ristorantelestrie@gmail.com - www.ristorantelestrie.it
STORIA E DINTORNI di Mauro Vigato
E ���:
la rinascita di una città, il declino di una famiglia
Geronimo Atestino. Cronica de fig. la 10antiqua Cittade de Ateste. Estremi cronologici: c.a 1480 Collocazione: Archivio del Gabinetto di Lettura di Este.
Geronimo Atestino. Cronica de la antiqua Cittade de Ateste. Estremi cronologici: c.a 1480 Note: Volumetto a stampa, 13 cc., dim. 200 x 140 mm. Collocazione: Archivio del Gabinetto di Lettura di Este.
Dopo essere stata municipium romano, la cittadina ai piedi dei Colli, sparisce dalla storia per ricomparire diversi secoli dopo grazie all’intraprendenza di unIl frontespizio casatorecache oltretutto la prima illustrazione conosciuta di Este. Pubblicata attorno al 1480, la Cronica di Geronimo Atestino è il ne perpetuerà primo il nome tentativo di delineare una storia delle origini dell’antica città
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i sa molto poco delle vicende occorse alla città di Este nel passaggio dall’età antica a quella medievale, o, in altri termini, da quando, municipium romano, viene citata per l’ultima volta nell’Itinerarium Antonini (III secolo d. C.) come una tappa nel tragitto Padova-Bologna, a quando riappare declassata a semplice locus nella documentazione tra X e XI secolo. Da città a luogo dunque, ad indicare un’innegabile e precoce decadenza di quello che era stato uno dei principali centri urbani dell’Angulus Veneticorum - ed significativo al riguardo che Este non sia mai stata sede vescovile. Una decadenza dunque, dovuta probabilmente, più che a distruzioni o a saccheggi, ad un precoce abbandono del luogo per il progressivo deteriorarsi delle condizioni ambientali e di vita. Monselice, in quei tempi di “vacatio”, aveva ereditato la funzione di centro politico e amministrativo non soltanto su quel che restava dell’antico agro di Este, ma anche di quello di Padova, dopo la conquista della città da parte del re longobardo Agilulfo. Nel 985 il locus di Este torna a comparire nuovamente dopo secoli di oblio documentario, ma sarà tuttavia l’insediamento, nel corso dell’XI secolo, di quella famiglia marchionale che dal luogo prenderà in seguito anche il nome a rivitalizzare e a trasformare il locus di Este. Gli Obertenghi, questo l’originario nome del clan dal quale discenderanno gli Este o Estensi, ti-
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partire sua fondazione ad diopera di Ateste. Il mito risulta tolaria di vastidalla possessi fondiari e importanti diritti chiaramente influenzato da quello, universalmente accettato in quel giurisdizionali in un ambito geografico che spaziava periodo, della fondazione della Città di Padova da parte di Antenore, dallal’eroe Toscana, alla Liguria, Lombardia. troiano sfuggito allaalla caduta di Troia, eDalla di cuifamiaddirittura se ne glia erano Obertenga trassero origine, altre potenti casate trovate le spoglie, poste nell’arca marmorea voluta da Lovato feudali come ei che Malaspina, i Pallavicino, i de Lovati, erano divenute il simboloi Cavalcabò, stesso delle antiche e nobili origini ii Padova. Per sancirne un’altrettanto antica origine - suffragata Massa Parodi. del resto autoriil latini e dai reperti di cui era disseminato Alberto Azzodagli II èstessi ritenuto capostipite storico della il suoL’eredità territoriolasciatagli - anche ad dal Este padre serviva comprendeva un mitico fondatore. Scrive Casata.
il governo dei comitati 106 di Luni, Genova, Tortona, Milano, ai quali si aggiunsero per asse ereditario e infeudazioni le giurisdizioni in area veneta del Comitato di Gavello, nel Polesine, la Scodosia di Montagnana e l’Estense, oltre ad un cospicuo patrimonio immobiliare. A partire dagli anni ‘70 del XI secolo Alberto Azzo II spostò la sua residenza e la sua azione politica più verso
Gli Obertenghi, questo l’originario nome del clan dal quale discenderanno gli Este o Estensi, titolari di vasti possessi fondiari e di importanti diritti giurisdizionali in un ambito geografico che spaziava dalla Toscana, alla Liguria, alla Lombardia.
STORIA E DINTORNI la parte occidentale dei suoi domini, ed Este, che era occidentale dell’antica città romana, ma comunque in suo possesso da almeno gli anni ‘30 del secolo, fu separato da questo dal Sirone, un corso d’acqua inscelta come sede principale della casata. Sull’unghia terrato nel XVI secolo e corrispondente all’attuale via del colle, dove forse già esisteva una qualche sorta Negri. di fortificazione, venne eretto il castrum marchionale, Il Sirone separava così le due realtà: il castrum marattestato a partire dal 1115. chionale a nord del fiume, e l’abitato che si andava Il prestigio ed il potere raggiunto, che poneva la espandendo lungo la sponda meridionale; strumento casata nel novero delle di difesa per il primo, ma Monselice aveva ereditato la famiglie della grande feuanche via acquea di colfunzione di centro politico e dalità europea - un figlio legamento e di transito di di Alberto Azzo II, Azzo IV, amministrativo non soltanto su quel merci e di uomini da e veradottato dal nonno mater- che restava dell’antico agro di Este, so Montagnana, Monselino, divenne ad esempio il ce, Padova per il secondo ma anche di quello di Padova prosecutore della famiglia (una corporazione di bardei Guelfi, duchi di Carinzia e Baviera, e un suo nipocaioli locali è ad esempio attestata già agli inizi del te, Azzo V fu sposo di Matilde di Canossa -, influenzò ‘200). Non stupisce pertanto che l’area direttamente positivamente la “rinascita” di Este, testimoniata non prospiciente al castello, il pratum mercati, corrisponsoltanto dal moltiplicarsi dei luoghi di culto tra XII e dente alle attuali piazze, tra XII e XIII secolo veda la XIII secolo (San Pietro, San Fermo, Santo Stefano), progressiva concentrazione delle attività economima anche dagli attestati fenomeni di inurbamento che e commerciali. da aree più o meno lontane, e dal moltiplicarsi e dal Così come lo era stato per la città antica, anche per differenziarsi delle attività economiche, certamente l’Este medievale l’acqua rappresenterà un elemento stimolate e favorite dalla presenza della famiglia marcondizionante per il suo sviluppo. Oltre al Sirone, a chionale e della sua vasta rete di relazioni clientelari. est dell’abitato un secondo canale, quello della ReL’inurbamento e il naturale trend demografico posistara, azionava i mulini e dirigeva poi il suo corso vertivo determinò anche il contemporaneo sviluppo urso la località di Prà. A ovest, più discosto, il corso del banistico dell’abitato, che ora appare orientato a diFiume Nuovo-Frassine rappresentava un’importante sporsi più verso l’area a ridosso del colle, al riparo dal via acquea per il trasporto delle merci in direzione precario assetto idrografico che interessava la parte dell’Adige. Allargando l’orizzonte, anche il territorio
Alberto Azzo II è ritenuto il capostipite storico della Casata
Azzo VI, uno dei principali protagonisti della scena politica non soltanto della Marca Veronese ma anche a sud del Pó, in quella Ferrara che nel 1196 lo aveva eletto podestà
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STORIA E DINTORNI circostante sarebbe apparso fortemente condizionato dall’acqua nelle sue varie forme, per la presenza di una fitta rete di canali e di fosse di sgrondo, ma anche di vaste aree impaludate dove sovente confluivano questi corsi d’acqua. Valli e paludi occupavano le aree pedecollinari, ampie distese lungo il corso del Frassine, fino ad arrivare ai veri e propri “laghi” che si estendevano nella fascia più meridionale, verso Vighizzolo. Un altro elemento che in questi secoli caratterizzava ancora ampie porzioni del territorio era una diffusa presenza di boschi e di incolti che intersecavano e circondavano i coltivi - un grande bosco, detto di Ognano, si estendeva ad esempio tra Este e Saletto ancora alla fine del XII secolo. Queste ampie distese di terreni vallivi e marginali apparivano però, in questi secoli, aggredite da più parti dalle roncole e dalle scuri che le liberavano dalla vegetazione e dalle vanghe che scavavano fossati per farne defluire le acque. A Baone ad esempio, opere di bonifica dell’area paluGli Obertenghi, questo l’originario stre pedecollinare erano in atto già dalla metà del nome del clan dal quale secolo XII, e lo stesso discenderanno gli Este o Estensi grande bosco di Ognano, era sotto l’attacco congiunto degli uomini di Este da un lato e di Saletto dall’altro. L’esigenza di conquistare nuovi spazi da destinare alla cerealicoltura era la conseguenza di un trend demografico positivo che aveva visto aumentare la popolazione (quella di Este ad esempio, nella seconda metà del secolo XIII, doveva attestarsi sulle 2.800 - 3.000 unità). Una maggiore richiesta di approvvigionamenti annonari proveniva anche dall’ambito urbano, con la città di Padova in forte espansione. Sarà proprio un carico di grano proveniente da Montagnana destinato ai granai cittadini e bloccato a Este ad innescare, nel 1213, la grave crisi tra i marchesi e il Comune di Padova che si concluderà con l’assedio e la presa del castello marchionale. Alberto Azzo II era morto nel 1097. Ne era seguito un periodo di accese dispute di carattere patrimoniale e giurisdizionale tra Azzo IV e il fratello Folco, prosecutore del ramo italiano della famiglia, conclusosi solo nel 1154 con l’investitura da parte di Enrico il Leone duca di Sassonia e nipote di Guelfo IV ai discendenti di Folco, dei suoi beni e delle giurisdizioni che deteneva in territorio italiano. Nella seconda metà del XII secolo i marchesi che si erano susseguiti alla guida della Casata (Obizzo ma soprattutto Azzo VI) avevano giocato un ruolo di primo piano nel complicato quadro politico del tempo. Negli anni a cavallo tra il XII e il XIII secolo, Azzo VI
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STORIA E DINTORNI alla morte di Obizzo II, il successore di Azzo VII, dieera stato ad esempio uno dei principali protagonisti de l’occasione al Comune di Padova, nel 1294, di redella scena politica non soltanto della Marca Veronegolare e chiarire definitivamente la situazione. Dopo se ma anche a sud del Po, in quella Ferrara che nel una breve guerra erano stati conquistati e distrutti i 1196 lo aveva eletto podestà. Capo della parte guelfa castelli di Este, Cero e Calaone. Nella pace che ne della Marca, nel 1210 era stato nominato da papa Inera seguita, gli eredi di Obizzo erano stati costretti a nocenzo III marchese anche della Marca di Ancona. riconoscere, in cambio della salvaguardia delle loro Azzo VI, tuttavia, scomparve improvvisamente nel proprietà personali, l’acquisizione da parte del Conovembre del 1212 a Verona, all’apice forse della sua mune dei territori della Vanfortuna politica. La morte a gadizza. Erano stati inoltre pochi giorni di distanza anA partire dagli anni ‘30 del XIII costretti a cedere la terza che del conte di San Bonisecolo le ostilità sfociarono in parte della giurisdizione su facio, aveva determinato un guerra aperta durante la quale i Lendinara, e ad accettare in repentino quanto brusco possedimenti Estensi subirono più perpetuo la distruzione delindebolimento della parte guelfa e della stessa Casa di un attacco da parte di Ezzelino le loro fortezze, ultime vestigia del loro potere giurid’Este, concretizzatosi, sdizionale in quest’area. Del resto, il progetto politico l’anno successivo, nella prima presa del castello marche per lungo tempo i marchesi avevano coltivato sui chionale di cui si è detto. Due anni più tardi, l’improvterritori a ridosso dell’Adige, si era oramai definitivavisa scomparsa del marchese Aldobrandino aveva mente spostato su quelli lambiti dal Po, tra Polesine, ulteriormente aggravato la situazione perchè lasciaFerrarese e oltre, da quando, alla morte del nonno, va le sorti della Casata nelle mani di un bambino di avvenuta nel 1264, Obizzo era stato eletto signore di appena 10 anni, Azzo VII, che, pur sotto la tutela della Ferrara e in seguito, nel 1288 e 1289, anche delle città madre Alisia, si trovò subito ad affrontare da un lato le di Modena e di Reggio. mire giurisdizionali del Comune di Padova sugli aviti Se dal 1294 si può dire nominalmente spenta ogni possedimenti dell’Estense e della Scodosia di Montaresidua pretesa giurisdizionale in territorio padovano gnana, e a Ferrara ad opporsi al partito dell’avversada parte della Casa d’Este, oramai saldamente inserio storico di Casa d’Este, Salinguerra Torelli, che nel diata a Ferrara, rimarrà però intatto il loro consistente 1222 sarebbe riuscito ad impadronirsi della città e a patrimonio immobiliare, valutato, un anno prima, in cacciare il marchese e i suoi aderenti. complessivi 11.185 campi (oltre 4.320 ettari), concenNegli anni successivi tuttavia, Azzo VII si pose decisatrati nella Scodosia di Montagnana e nel distretto di mente a capo della parte guelfa, collaborando stretEste, 1.898 dei quali gestiti in conduzione diretta, cirtamente con i suoi alleati (San Bonifacio, Da Camino) ca 5.268 dati in conduzioni di vario tipo, 4.018 campi per contrastare il crescente potere che i Da Romano concessi in feudo, e ai quali si aggiungevano circa stavano conquistando nella Marca. A partire dagli anni 440 “casamenta” e “sedimia” (con o senza edifici), e ‘30 del XIII secolo le ostilità sfociarono in guerra aper158 servi di masnada: un patrimonio che nel suo comta durante la quale i possedimenti Estensi subirono plesso la famiglia sarebbe riuscita a conservare fino più di un attacco da parte di Ezzelino e dei suoi alleaalla seconda metà del secolo XV. ti. Este fu interessata da eventi bellici nel 1238, 1239, 1242, fino ad arrivare al grande assedio del 1249 che aveva distrutto il castello e lo stesso palazzo dei marchesi. La guerra si era conclusa solo nel 1259, dopo fasi alterne, con la sconfitta e la morte di Ezzelino da Romano. Nell’ambito del conflitto, nel 1240 Azzo VII era nel frattempo riuscito a riconquistare Ferrara e a neutralizzare definitivamente Salinguerra Torelli, mentre, per quanto riguardava i diritti giurisdizionali esercitati dai marchesi sugli aviti possessi in territorio padovano (Estense e Scodosia di Montagnana), questi, dopo la formale dedizione ricevuta dai castellani di Ezzelino al momento della resa, erano ampiamente ritornati nelle competenze del Comune cittadino. Una crisi interna alla famiglia, scoppiata tra gli eredi
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PERNUMIA - GALZIGNANO TERME - BATTAGLIA TERME - ARQUÀ PETRARCA Sono Giada, ho 31 anni, e da nove anni opero nei territori di Battaglia Terme, Galzignano Terme, Valsanzibio, Arquà Petrarca e Pernumia, come CONSULENTE IMMOBILIARE. L’esperienza pluriennale in questi paesi e la passione che nutro per il mio lavoro, mi hanno permesso di conoscere le esigenze delle persone che ci vivono e di trovare la soluzione più adatta a chi ha deciso, a volte con molti sacrifici, di affidarsi a me e al mio gruppo di lavoro per essere seguito in tutte le fasi della compravendita, momento che considero fondamentale nella vita di ognuno. Il mercato immobiliare ha subìto negli ultimi anni un drastico cambiamento, non solo sotto un punto di vista economico, ma anche burocratico. Oggi non si vende più facilmente come qualche anno fa, di fatto la mancanza di denaro, le difficoltà ad accedere al mutuo, e la poca fiducia nel sistema, sono sicuramente da considerarsi tra le cause principali; comprare casa resta, in ogni caso, un fatto essenziale e avere un professionista che vi sappia consigliare ascoltando le vostre parole e i vostri sentimenti, prestando garanzia sulla verifica dei documenti dell’immobile e delle parti, che appuri la regolarità urbanistica, e che faccia un analisi sui vincoli come ipoteche e servitù, è oggi un aspetto da prendere in considerazione vista l’entità dell’operazione. Per qualsiasi informazione mi potete scrivere al seguente indirizzo mail giadaalessandrin.tecnocasa@gmail.com sarò lieta di rispondere alle vostre domande e a cercare la vostra futura casa! Seguiteci anche su Facebook alla pagina “Agenzia Tecnocasa Battaglia terme” Grazie dell’attenzione e a presto! Giada Ogni Agenzia ha un proprio titolare ed è autonoma
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MOSTRE E TERRITORIO di Eloisa Gobbi
Uomini, terre ed acque L’evoluzione del territorio fra l’Adige ed i colli Euganei dalla Protostoria all’età moderna
U
ltimi giorni, salvo un’auspicabile proroga, per la doppia mostra che in questi giorni vede protagoniste Este, Montagnana e i rispettivi territori. Un’esposizione che oltre ad essere visitata merita di essere ricordata, a lungo, per il titanico compito che si presta ad assolvere. “Uomini terre ed acque. L’evoluzione del territorio fra l’Adige ed i colli Euganei dalla Protostoria all’età moderna”, promossa dai Comuni del Basso Padovano, (Este, Montagnana, Urbana, Ospedaletto Euganeo, Carceri) appro vata dalla Provincia di Padova, sostenuta egregiamente dal Museo Nazionale Atestino, è un viaggio lunghissimo a ritroso nel tempo, anche quello privo di significativi reperti archeologici, intrapreso per condurre
un’indagine su quei mutamenti e trasformazioni che hanno portato questa terra ad essere come la vediamo ora. Già perché non è sempre stata così, l’acqua è stata il principale elemento variabile: interi corsi di fiumi, laghi, paludi sono scomparsi dalla cartina geografica in seguito a cambiamenti climatici o all’intervento dell’uomo. Si pensi all’Adige e alla “Rotta della Cucca” che nel 589 ne cambiò il corso spostandolo dal suo letto antico, dove ora corre la strada statale Padana Inferiore, a quello attuale, verso il Rodigino. Ma si pensi anche al grande lago di Vighizzolo, centro di un’economia liquida che insisteva sulle attività legate all’acqua e che dopo la bonifica, da parte dei Veneziani alla metà del ‘500, dovette farsi solida e di
fig. 20
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Este zona Salute Mosaico con nuotatori
MOSTRE E TERRITORIO
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Rappresentazione di un tratto interno delle mura di cinta di Montagnana contiguo alla Porta Nuova. Data: 30 maggio 1752 Autore: Zorzi Pavari, perito pubblico Committent e: Giuseppe Antonio Bonaiuti Dimensioni: 600 x 500 mm fig. 9
fig. 14 176
fig. 8 Codice pergamenaceo del 1525, archivio storico del comune di Este
Beni della Comunità di Montagnana “rappresentante il Commun di Megliadin” con evidenziate le aree vallive, la rete idrografica e stradale e alcuni manufatti idraulici. Data: 8 maggio 1705 Autore: Zuane Malamàn, pubblico perito Committent e: Comunità di Montagnana Dimensioni: 1400 x 710 mm
terra. Un cambiamento che per gli individui di alloCapire i cambiamenti del passato può essere d’aiuto ra dovette equivalere alla “Rivoluzione industriale” o per progettare quelli del futuro ed in questo che le alla nascita di una nuova era, come quando l’uomo da due mostre si prodigano, stendendo lungo un doppio cacciatore divenne agricoltopercorso, uno Salone delle L’economia liquida re. Del resto è al “paesaggio” Colonne al Museo Nazionale del Lago di Vighizzolo, che è annodata la vita delle Atestino di Este e l’altro alla società ed è per questo che incentrata sulle attività legate Sala Austriaca di Castello di dovremmo ricordarcene ogni Zeno a Montagnana, un all’acqua, dopo la bonifica San qualvolta si intenda intervericco corredo documentale, nire nei delicati equilibri del dovette farsi solida e di terra attrezzato da ricostruzioni territorio. I dolorosi eventi alluvionali degli ultimi anni, multimediali e completato dal numero speciale di sono lì a testimoniare che basta la combinazione di “Terra d’Este”, edito dalla Società Gabinetto di Lettualcune condizioni avverse per mettere in forse l’esira, che raccoglie i saggi di Chiara Maratini e Mauro stenza stessa di molte terre emerse. Vigato.
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Uomini terre ed acque. L’evoluzione del territorio fra l’Adige ed i colli Euganei dalla Protostoria all’età moderna: SALONE DELLE COLONNE MUSEO NAZIONALE ATESTINO
SALA AUSTRIACA CASTELLO DI SAN ZENO
Da venerdì 24 ottobre a domenica 30 novembre
Da sabato 25 ottobre a domenica 23 novembre 2014
Orario di apertura: t utti i giorni 9.00-12.00 e 15.00-19.00 su prenotazione per gruppi anche 12-15
Orari di apertura: d al mercoledì al sabato, ore 9.30-12.30 e 15.00-18.00 domenica e festivi, ore 10.00-13.00 e 15.00-18.00 (chiuso lunedì e martedì)
Informazioni: B iblioteca Civica Dolfin Boldù tel. 0429 619 044 biblioteca@comune.este.pd.it www.comune.este.pd.it Ufficio IAT - tel. 0429 600 462 - iat@comune.este.pd.it
Informazioni: U fficio Turistico IAT, tel. 0429 81320 ufficioturistico@comune.montagnana.pd.it
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ARTERRA di Loredana Pavanello
MAC
Museo di Arte Contemporanea “Dino Formaggio”
N
el cuore verde del Parco Regionale dei Colli Euganei, a Teolo - l’antica Titulus, l’incontro fra uomo e natura ha saputo risolversi in un armonioso equilibrio. Il dolce profilo collinare euganeo, evocato da poeti e letterati di ogni secolo, da Francesco Petrarca durante la rinascita delle lettere del ‘300 fino ad Ugo Foscolo e Percy Bysshe Shelley in età romantica, è ancor oggi molto amato per la quieta bellezza che ispira. Nel territorio del piccolo centro, coltivato a vigneti e caratterizzato dall’ordinata vegetazione della macchia mediterranea, spiccano numerose testimonianze storico-artistiche, dalla monumentale Abbazia di Praglia, alle falde del monte Lonzina, protagonista nell’XI secolo dell’opera di bonifica benedettina in area padovana, fino alle vestigia del castello medievale, posto in località Speronella, dove si narra avesse soggiornato Federico Barbarossa; dai suggestivi resti dell’antico monastero degli Olivetani sul monte Venda, del XII secolo, simbolo di una grande stagione spirituale, fino al cinquecentesco Palazzetto dei Vicari, singolare traccia del dominio veneziano in età moderna. Il peculiare contesto, felicemente segnato dalla compresenza di attrazioni paesaggistiche e culturali, carico di un passato da conservare integralmente, non è tuttavia un luogo chiuso di fronte al divenire della storia. Nel tessuto urbano trova spazio un museo, il MAC - Museo di arte contemporanea “Dino Formaggio” -, aperto nel 1993 per opera dell’amministrazione comunale, al fine di raccogliere una particolare collezione di opere, comprese tra fine Ottocento ed i giorni nostri.
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Dino Formaggio a lavoro su una sua opera
ARTERRA
“Il carro del sole”, lamine e bacchette in ottone, ruote e ingranaggi per pompe idrauliche. 35x66x16
L’istituzione museale nasceva per tenere fede alla volontà dell’illustre concittadino cui è intitolata, che molto si era adoperato per crearne i presupposti attraverso un’opera di sensibilizzazione nei confronti di amici artisti. Da anni Dino Formaggio incoraggiava quegli stessi artisti a donare alcune delle proprie opere d’arte al Comune di Teolo, dove visse per una ventina d’anni, con la clausola che l’Ente si impegnasse a conservarle e ad esporle al pubblico in un luogo adeguato. In questo modo si è formata l’interessante collezione che costituisce il nucleo del museo, ulteriormente impreziosita da nuove donazioni: un insieme variegato di opere diviso fra dipinti, disegni e sculture, funzionale alla comprensione di alcuni spaccati della produzione artistica otto-novecentesca. Molteplici sono i generi rappresentati, dai temi tradizionali del paesaggio e del ritratto fino alle rappresentazioni non figurative delle diverse tendenze contemporanee, ripercorrendo, con un attraversamento orizzontale, diversi filoni della recente storia dell’arte. Per il genere figurativo Venezia di Beppe Ciardi - vivida interpretazione di quel paesaggismo post-impressionista magistralmente incarnato dall’artista -, può rappresentare un’ideale punto di partenza in relazione a quel percorso che si dipana poi nell’articolata rete di un Novecento inquieto. Con il tema del paesaggio si cimentano numerosi altri autori, presenti nella raccolta del MAC, testimoniando l’evoluzione del genere attraverso interessanti opere dominate da paesaggi naturali e vedute urbane, quali ad esempio Boccadasse (1938) di Achille Beltrame, il grande illustratore della Domenica del Corriere, dove emerge un vedutismo non più connotato in senso realistico, ma di impronta più sintetica, secondo una visione di natura lirico-emotiva; o ancora, Binario
morto di Claudio Annaratone (1962), in cui l’immagine urbana è ormai quella di una città contemporanea, percorsa dalle note violente di un espressionismo inteso come introspezione. Oltre al paesaggio, urbano e naturale, appare interessante, nel percorso espositivo il tema della figura umana, colta in attimi sottratti al fluire della quotidianità, come avviene in Popolane in Piazza delle Erbe (1901) di Angelo dall’Oca Bianca, ritratte con tratto fluido e guizzante; o messa in posa nei ritratti come la donna dallo sguardo mobile e sensuale del Ritratto di Vincenzo Irolli, così come nel vi-
“Gruppo picassiano”, seconda metà degli anni ‘70. Composizione di elementi in ferro battuto. Cm 107x61x42
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ARTERRA vace ritratto infantile di Birichino, opera dello scultore Medardo Rosso - considerato con Auguste Rodin fra i maggiori scultori contemporanei - caratterizzata da una nota di verismo bozzettistico, proprio dei modi giovanili dell’artista, che però la fuse in bronzo intorno al 1925. Singolare nel genere è anche il Ritratto con l’uomo in penombra, dall’espressione intensa, effigiato da un altro fra i più grandi maestri dell’Ottocento italiano, Francesco Paolo Michetti. Accanto ai generi tradizionali, rivisitati comunque in chiave personale, spiccano anche opere legate a specifici movimenti, tra cui si distinguono gli esempi di arte cinetica di Alberto Biasi, quali Con la mente più che con l’occhio e Visione dinamica, entrambe del 1964, e Scudo dinamico (1962; riproduzione del 1999), caratterizzate da una peculiare matrice scientista, fondata sullo studio delle leggi della percezione. La varietà della collezione, qui succintamente richiamata solo con qualche esempio particolarmente rappresentativo, sembra rispecchiare la vasta pluralità di interessi artistici di Dino Formaggio, al quale è stata dedicata una mostra nello stesso MAC, “L’arte. Il senso di una vita”, che si è conclusa in questi giorni. Acquarelli, oli e sculture di Dino Formaggio artista, in occasione del centenario della nascita. L’evento ha permesso di conoscere più a fondo la personalità di una figura significativa nella storia di Teolo e del padovano. Nato a Milano nel 1914, lavora sin da giovanissimo in fabbrica, si iscrive poi all’università di Milano, per intraprendere una brillante carriera accademica che lo vede docente di Estetica a Padova, Dino Formaggio rappresenta un personaggio di grande interesse non solo sotto il profilo intellettuale, ma anche artistico. Egli sapeva infatti unire la luci-
In primo piano la chiesa S. Giustina di Teolo e dietro il meraviglioso masso chiamato Rocca Pendice, patria degli amanti dell’arrampicata. Scattata dal Monte della Madonna, foto di PR Colli Euganei - con Mac, Museo di Arte Contemporanea “Dino Formaggio” a Teolo
da riflessione filosofica alla concretezza del sapere manuale: la sua tesi di laurea, discussa nel 1937 con Antonio Banfi, dedicata al tema della tecnica artistica elabora, in pieno idealismo crociano, una concezione dell’arte quale strumento di espressione concreta, compenetrata alla realtà quotidiana. Questo è forse il messaggio più forte di una mostra, segnata dalla presenza di opere autografe poco note, soprattutto di scultura, spesso realizzate in modo sperimentale con materiali cercati nelle officine, fra cui resta impressa la scarnificata immagine di un Don Chisciotte, simbolo di una battaglia per l’ideale, di quella “intemerata fede” nata nel duro mondo della fabbrica e portata avanti con passione nel corso di una vita dedicata all’arte.
“Popolane in piazza delle “Boccadasse”, Achille Beltrame, 1938 Erbe”, Angelo Dall’Oca Olio su tavola, cm 9,5x12 Bianca, 1901 Olio su tavola, cm 40x23
“Binario morto”, Claudio Annaratone, 1962 Olio su carta, cm 36x49
Le foto che corredano questa pagina sono state tratte dal sito del museo, www.museodinoformaggio.it
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I LUOGHI DEL CUORE salva l’Oratorio di Sant’Antonio ad Anguillara
Grazie all’iniziativa del Fai nel 2010 sono state raccolte 7.670 firme per il seicentesco sacello padovano, lo scorso 25 ottobre è stato presentato il compimento della prima fase del recupero ll censimento I Luoghi del Cuore, lanciato nel 2003, si svolturale e storico, non delegando allo Stato questa funzioge ogni due anni proponendosi di coinvolgere la popolane. Altro importante appuntamento, con obbligo di prezione sul valore del nostro Patrimonio e sollecitando le notazione, sarà a Padova il 27 novembre dalle ore 09,30 Istituzioni ad attivarsi a difendere i Beni cari ai cittadini. alla Sala Conferenze della Fondazione CaRiPaRo in Piazza Da allora sono stati salvati 24 luoghi, ma numerosi sono Duomo con il CONVEGNO REGIONALE DEL FAI e l’ORDINE gli effetti innescati dell’iniziativa, che ha portato al recuDEGLI ARCHITETTI di PADOVA dal tema: RIVOLUZIONE SCUOpero di altri Beni grazie alla moLA: Valori Spazi Metodi, che tratta La chiesa stava cadendo a pezzi, in modo nuovo e integrato i temi bilitazione accesa. Anche nel pasenza copertura crollata dovano c’è un caso concreto: nel dell’istruzione/educazione, delle nell’incendio del 2001 2010 con 7.670 firme il seicentesco politiche urbane e del patrimonio Oratorio di Sant’Antonio ad Anguillara è stato il luogo più edificato, partendo da un’analisi storica dell’educazione e segnalato nel Veneto e sabato 25 ottobre è stato presendei suoi spazi sino a esporre nuove proposte per il futuro. tato il compimento della prima fase del recupero realizzata grazie ai “I Luoghi del Cuore”, la Veneranda Arca del Santo e il Comune. La chiesa stava cadendo a pezzi, senza copertura crollata nell’incendio del 2001 e dopo la bonifica generale è seguito il ripristino delle parti murarie mancanti e dalla ricostruzione della copertura. Oggi l’Oratorio è salvo, ora inizieranno varie attività per completare il restauro ricollocando gli arredi originali ritrovati, tra cui una Pala di Domenico Parodi. Il 30 novembre si chiuderà il 7° censimento che vede vari Beni della nostra Provincia in competizione, per ora i più votati sono l’Antica Parrocchiale di San Nicola a Ponte San Nicolò e il Capitello di Torreglia, ma altri sono in gara, segno tangibile della sensibilizzazione che ha raggiunto il Censimento nella popolazione. Primo grande risultato ottenuto: che siamo noi stessi a preoccuparci del nostro grande patrimonio cul-
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Un prodotto naturale per la salute del corpo e della pelle Non vi è alcun dubbio: le numerose ricerche scientifiche condotte sul latte d’asina hanno dimostrato e confermato le molteplici qualità e le insostituibili caratteristiche di questo prodotto, sia come alimento che come base per i prodotti per la pelle. Il “lisozima” contenuto in percentuale dell’1%, mentre è presente solo in piccole tracce nel latte di altre specie, compreso quello umano, funziona come un potente battericida, potenzia il nostro sistema immunitario nella difesa e dall’insorgere di qualsiasi patologia. Insomma è un antibiotico naturale, perfetto per chi ha problemi di intolleranza alimentare, difficoltà nell’assimilazione dei cibi o segue una dieta sportiva, ma perfetto anche per la cura dei problemi della pelle, come dermatiti, psoriasi, acne, eczema, o semplicemente per dare splendore alla propria cute preservandola dall’invecchiamento. Se a questo si aggiunge che l’azienda Bizzotto utilizza componenti naturali e che i prodotti per la cosmetica vengono realizzati impiegando latte crudo, e non liofilizzato come avviene nella lavorazione industriale, vien da se che i prodotti marchiati con il distintivo logo sono quanto di meglio esiste sul mercato. L’AZIENDA L’azienda dispone di otto ettari di campagna dove viene prodotto, rispettando l’ambiante, il foraggio e i cereali necessari per l’alimentazione degli animali. L’allevamento comprende ben 40 asini i quali hanno a disposizione larghi spazi coperti e paddock esterni per il movimento. Il punto di forza dell’azienda è di essere a ciclo chiuso, ciò permette a Filippo Bizzotto e alla sua famiglia di avere il controllo su tutto il ciclo di allevamento e produzione, ottenendo così un prodotto sano e sicuro per tutte le esigenze alimentari.
• CREMA CORPO IDRATANTE Crema corpo ideale come dopo bagno per donare alla pelle morbidezza e nutrimento. Grazie all’elevato contenuto in acidi grassi del latte d’asina e all’olio di argan che aiuta a ricostituire il film idrolipidico cutaneo esplicando le sue proprietà idratanti, nutrienti, protettive, rigeneranti, elasticizzanti e cicatrizzanti regala a tutti i tipi di pelle tonicità e profonda idratazione. • CREMA VISO NUTRIENTE 24 ORE Il latte d’asina le conferisce potere emolliente, nutriente, idratante e protettivo, in più la sua speciale formula sfrutta le particolari proprietà elasticizzanti dell’olio di mandorle dolci e del burro di karité per una pelle del viso più sana e visibilmente più bella. • CREMA MANI PROTETTIVA Protegge e ripara le mani grazie all’elevato contenuto in acidi grassi e in particolare Omega-3 e Omega-6 del latte d’asina (presente nell’ordine del 10% del peso). Nutre grazie all’olio di germe di grano e idrata grazie alla glicerina vegetale. • BAGNO DOCCIA CREMOSO Speciale formula cremosa in grado di contenere il 12,5% di latte d’asina e il 12% di olio di sesamo, sostanze dalla straordinaria efficacia emolliente. Deterge la pelle del corpo con la sua soffice schiuma rispettando il film idroacidolipidico. Dona setosità e morbidezza in pochi istanti. • SHAMPOO DOCCIA DELICATO Lo shampoo delicato al latte d’asina è un prodotto pensato per la cute più sensibile ed è ideale per un uso quotidiano. La sua speciale formula aiuta i capelli a ritrovare la loro naturale morbidezza e luminosità. • POMATA LENITIVA Contiene ingredienti naturali ad effetto lenitivo quali latte d’asina, olio di calendula, ossido di zinco ed amido di riso che la rendono ideale per trattare le parti più sensibili o le pelli affette da irritazioni, arrossamenti, bruciature, punture di insetti, tagli (ragadi), dermatite, psoriasi. DOVE TROVARE I PRODOTTI Oltre che presso l’allevamento e on-line sul sito www.latteasinino.it, i prodotti sono disponibili al mercato domenicale di Camisano Vicentino. In occasione delle festività Natalizie potrete trovarli in numerosi mercatini con promozioni e originali composizioni regalo, cerca i mercatini con le creme Bizzotto attraverso Facebook.
Latte d’asina Bizzotto • Camisano Vicentino via Boschi, 52 • Cell. 349 1474410 www.latteasinino.it • info@latteasinino.it • f Latte d’Asina Bizzotto
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pulita
Scatta una foto ai rifiuti abbandonati e compila una segnalazione sul sito www.pdtre.it/cittapulita
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Descrivi con precisione i rifiuti e la loro posizione
I nostri operatori ripuliranno l’area e potrai seguire i lavori nel sito web
Non abbandonare i rifiuti! Perchè li puoi buttare nel bidone di casa tua o prenotare un servizio su chiamata Perchè si paga lo stesso il tributo sui rifiuti generando uno spreco ulteriore di risorse Perchè inquini l’ambiente dove vivi
PADOVA TERRITORIO RIFIUTI ECOLOGIA S.r.l. Via Rovigo, 69 - 35043 Este (PD) - Tel 0429 616911 - Fax 0429 616990 - info@pdtre.it
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CONSELVE NUOTO
o t n e m i t r e v i sport, salute e d
Un mondo di acqua dove ogni giorno si svolgono corsi per tutte le età: dai sei mesi agli 85 anni, con un’offerta che spazia dal nuoto libero all’acquagym, dall’acquabike al “tapis roulant” Un centro sportivo moderno, pulito, efficiente. Un ambiente giovane dove allo sport e alla salute si associa il divertimento, soprattutto per i più piccoli. Conselvenuoto, infatti, non è solo un polo natatorio, ma un mondo di acqua dove ogni giorno si svolgono corsi per tutte le età: dai sei mesi agli 85 anni, con un’offerta che spazia dal nuoto libero all’acquagym, dall’acquabike al “tapis roulant”. Corsi pensati e sviluppati per il fitness o per ogni singolo nuotatore in base alle sue esigenze: dal mantenimento della forma fisica, al perfezionamento degli stili, fino all’agonismo. Per i giovanissimi, invece, l’acqua è pura gioia. Sono ben 25 gli istituti scolastici che collaborano con Conselvenuoto e altrettanti sono i Comuni che, approfittando del servizio di trasporto offerto dal polo natatorio, hanno scelto questo centro per av-
vicinare i ragazzi agli sport in piscina e non solo, visto che la struttura e attrezzata per organizzare feste di compleanno animate dagli istruttori a da un rinfresco preparato dal bar della piscina. Ma non è ancora tutto, sempre per i giovanissimi, dal 23 dicembre al 4 gennaio si apriranno i centri invernali, tenuti da insegnanti qualificati FIN di provata esperienza. Per un ora e mezza tutte le mattine i bambini seguiranno lo sport che più gli piace scegliendo tra: nuoto, pallanuoto, nuoto sincronizzato, acquagym e salvamento; verranno organizzati inoltre i laboratori a tema natalizio e giochi di squadra per socializzare e rafforzare lo spirito. Anche quello natalizio, nel periodo delle feste, infatti, saranno regalati ingressi gratuiti a tutti i corsisti del mese di dicembre e gennaio.
IN VASCA SI FA SUL SERIO Conselve nuoto è rappresentata a livello agonistico da ottimi atleti. Nel nuoto giovanile scendono in vasca per difendere i colori sociali circa ottanta atleti, dai 6 ai 20 anni, ottenendo ottimi risultati, come nel caso del quattordicenne Giovanni Carossa che ha ben figurato ai recenti campionati italiani di categoria insieme alla squadra master che ha raggiunto il 14esimo posto nel ranking nazionale. Tra i competitori ci sono poi due formazioni di pallanuoto: l’under 15 e 17 entrambe militanti nel campionato triveneto.
Conselvenuoto srl Via Pampaloni, 1 - 35026 Conselve (PD)
La struttura è nuovissima, e ben accessoriata con: • 1 vasca olimpionica • 1 vasca da 12 metri con profondità regolabile dagli 80 a 120 cm • 1 vasca esterna • 1 palestra - sala pesi - Technogym • Bar
TUTTO CIÒ CHE C’È DA SAPERE SULLA STRUTTURA La piscina è aperta tutti i giorni dalle 7.00 alle 23.00, compresi i festivi, la mattinata parte con il nuoto libero e procede con i vari corsi il cui programma e consultabile nel sito www.conselvenuoto.it
ScuolaNuoto ● Anatroccoli ● Paperini ● Ragazzi ● Junior ● Adulti ● Family (genitore-figlio) ● Lezioni Private ● Corsi Accelerati
Acquafitness ● Acquagym ● AcquaBike ● Treadmill ● Due Elementi ● Hydromix ● Water Body Sculpture ● AquaPilates
Tel. 049 9501421 - Fax 049 9513865 - www.conselvenuoto.it - info@conselvenuoto.it
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Centro Sportivo
“Le Tre Piume” stagione da incorniciare
La stagione 2014 è prossima a concludersi. Gli atleti che difendono i colori sociali del Centro, di via Costanze ad Agna, hanno raggiunto i gradini più alti delle proprie categorie e il “Trofeo Città della Speranza” ha fatto centro anche quest’anno con più di 7.000 euro devoluti alla Fondazione che finanzia il centro di onco-ematologia pediatrica di Padova Soddisfazione. Usano una parola sola Giovanni e Mario del Centro sportivo le “Tre piume” di Agna per commentare la stagione che ha visto la loro struttura al centro di una serie di iniziative partecipate da migliaia di persone lungo tutto il 2014. Iniziative che hanno avuto anche il merito di occuparsi dei temi sociali, è il caso del recente “Trofeo città della speranza” al quale hanno aderito più di 200 tiratori la cui sfida non si è limitata alla pedana ma si è estesa al contributo da devolvere in beneficienza. Grazie alla cena offerta dal “Centro sportivo” ai partecipanti, infatti, sono stati raccolti più di 7.000 euro, interamente devoluti alla Fondazione che finanzia il centro di onco-ematologia pediatrica di Padova. “I partecipanti -
spiegano Giovanni e Mario sono stati molto più generosi dello scorso anno. Oltre che dal Triveneto sono arrivate persone dalla Lombardia o dall’Emilia per partecipare a questo Trofeo che ormai da dieci anni abbraccia la Mario e Giovanni nobile causa dell’aiuto alla ricerca sulle malattie oncologiche che affliggono i bambini. Una bella pagina per la solidarietà, un grazie va a “tutti”: soprattutto
CENTRO SPORTIVO “LE TRE PIUME” via Costanze, 8 - 35021 Agna (PD)
alla Beretta armi che è stata lo sponsor dell’iniziativa e ha già speso parole importanti per tornare ad aiutarci e ad aiutare “La città della speranza” anche nelle prossime edizioni”. Archiviata la pratica 2014, al Centro sportivo le “Tre piume” si sta già pensando al prossimo anno, quando in pedana scenderanno gli atleti che parteciperanno ai Campionati mondiali di shogun, il tiro dinamico con armi calibro 12”, che verranno ospitati proprio qui ad Agna, portando nel territorio migliaia di sotenitori e appassionati. Del resto in Europa una struttura privata così completa non esiste e non ne esiste una altrettanto sicura in Italia, infatti, è l’unica che può fregiarsi del marchio sicurezza normativa Coni Ministero degli interni. LA STAGIONE AGONISTICA Molto bene è andata anche la stagione per gli atleti che difendono i colori sociali del Centro di via Costanze: il quattordicenne, Andrea Trabucco si è laureato campione italiano nella “fossa universale” e ha raggiunto la 5° posizione nel ranking mondiale nel settore giovanile per la stessa disciplina. È andata benissimo anche per Jacopo Dal Moro, Andrea Galesso ed Eraldo Apolloni che nel campionato italiano di “double trap” delle società hanno raggiunto il secondo gradino del podio. Al vertice del campionato italiano per società, nella categoria “fossa universale” - campi di categoria 1° e 2° gruppo A, invece, si sono posizionati Pierluigi D’imperio, Giampaolo Micheletti e Gianni Brunato.
Tutti i Campi a disposizione • 8 CAMPI DA TIRO AL VOLO • nel quale ci si può esercitare in discipline olimpiche come la “fossa”, lo “skeet” e il “double trap” oppure le non olimpiche come la fossa universale, il compact sporting o il trap americano e percorso caccia • 15 STAGE PER IL TIRO CON LA PISTOLA • sia statico che in movimento • PIAZZOLE E BERSAGLI • per il tiro con l’arco • LINEE PER IL TIRO AD AVANCARICA • con vecchi fucili dell’Ottocento • 23.000 m2 ATTREZZATI PER IL SOFT-AIR • È stato inaugurato il campo con 16 LINEE PER IL TIRO LUNGO, tiro con la carabina a canna rigata da 100 a 200 metri, pensata per gli appassionati delle armi ex ordinanza o per i cacciatori di ungulati. Si tratta di una delle poche strutture di questo tipo presenti in zona.
Orari Pierluigi D’imperio, Giampaolo Micheletti e Gianni Brunato campioni italiani per società nella categoria “fossa universale” - categoria 1° e 2° gruppo A
ORARI TIRO A VOLO dal mercoledì alla domenica dalle 8.30 alle 12.30 e 14.30 alle 19.00 mercoledi sera fino alle 23.00 ORARI TIRO CON ARMI RIGATE mercoledì pomeriggio dalle 14.30 alle 19.00 sabato e domenica dalle 8.30 alle 12.30 e 14.30 alle 19.00
Tutto quello che c’è da sapere del Centro Sportivo “Le Tre Piume”
Definire il centro sportivo “Le tre piume” un poligono, oppure un centro di “tiro sportivo” è molto riduttivo. L’attività che viene svolta in via Costanze ad Agna, infatti, è ben più articolata e coniuga allo sport anche un servizio di ospitalità, con un ristorante che sforna piatti e vini della tradizione locale, e un’area riposo, che estende il piacere di una giornata all’aria aperta anche ai famigliari dei tiratori. Una piccola oasi verde dotata di ogni comfort, infatti, può essere lo svago perfetto per chi alle sagome o ai piattelli ama il relax di una giornata nella natura. Insomma, è il posto giusto in cui passare le domeniche e ovviamente per chi ama lo sport con le “armi” è un vero e proprio parco divertimenti. Non mancano le attività agonistiche con allenamenti e corsi, seguiti dall’occhio vigile e l’esperienza di Giovanni e Mario, per imparare l’antica arte balistica. Tel. 049 9515388 - Fax 049 9519308 - info@letrepiume.it - www.letrepiume.it
verniciatura e zincatura, rispettando le aspettative del cliente e l’ambiente I punti forti dell’azienda di Bagnoli di Sopra sono la qualità del servizio, la tempestività dell’intervento e il trasporto puntuale per il ritiro e la consegna della merce
IL CICLO PRODUTTIVO Fosfodecapaggio per il materiale zincato a caldo o fosfosgrassaggio con fosfati di ferro per il materiale ferroso
Due passaggi di risciaquo con acqua di rete
Passivazione
Asciugatura in forno ad aria forzata a 120 °C
Raffreddamento in ambiente
Verniciatura con polveri, due robot agiscono in cabina più ritocchi manuali
Cottura in forno ad aria forzata a 180 °C
Rafreddamento in ambiente
GPS Srl - Viale dell’Industria 6a Strada, 7 – 35023 Bagnoli di Sopra (PD)
Imballaggio della merce
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Da un’azienda in via di fallimento a una realtà di punta nel settore della verniciatura industriale. Questa è la storia dell’Azienda Gps di Bagnoli di Sopra, nata nel 2002 dall’amicizia e dalla società di Giuseppe Pantano e Guido Borella. Ai tempi, Pantano, era il proprietario dell’attuale stabile ma dopo un triste epilogo della società alla quale aveva affittato gli spazi e le attrezzature industriali, si trovò a dover gestire in prima persona una linea di verniciatura, senza avere la benché minima competenza in materia. La competenza la trovò in Guido Borella, chiamato per una consulenza all’impianto. Non ci volle molto al proprietario Pantano per rendersi conto che l’uomo giusto per rimettere in moto la situazione in cui si era trovato era proprio Guido. Fece carte false pur di averlo con se, anche perché, colui che sarebbe diventato la sua più solida spalla, allora, era già felicemente impiegato presso un’altra ditta. Il gusto dell’impresa, però deve aver avuto il suo peso nella storia e tant’è che patron Giuseppe insieme al tecnico Guido finirono per fare squadra. Il binomio formato dall’intraprendenza del primo e dall’esperienza, maturata in più di vent’anni di servizio nel settore della verniciatura industriale, del secondo, permise alla nuova società di uscire dalle difficoltà in un tempo rapido e anzi di rilanciare nella direzione della qualità e della rapidità il servizio, rinnovando la strumentazione con macchinari sempre più all’avanguardia, anche per la sicurezza degli operatori e dell’ambiente. Già dell’ambiente, perché uno dei scopi aziendali è anche quello di un lavoro che tenga conto del patrimonio naturale e umano. Poteva essere diversamente in un’azienda in cui il rispetto e l’amicizia sono stati un collante così determinate? Oggi Giuseppe Pantano non c’è più, prematuramente scomparso, ma la sua azienda continua ad essere leader nel settore, servendo un’area geografica che comprende il Veneto, il Trentino Alto Adige e l’Emila Romagna.
Un primato conquistato grazie a un servizio che viene svolto con: • grande qualità sia per gli interventi di verniciatura che zincatura a caldo. Macchinari moderni e efficienti garantiscono la massima resa dei colori e resistenza degli stessi. Gli imballi sono a prova di graffio. Ogni gamma di tinta può essere soddisfatta • tempestività, l’organizzazione aziendale permette diversi cambi di tinta giornalieri garantendo l’abbattimento dei tempi di attesa per la restituzione del lavoro ultimato • disponibilità, in quanto grazie ad un sistema di trasporti consolidato è possibile la raccolta e la riconsegna anche di piccoli lotti di materiale da verniciare. Il costo del trasporto è irrisorio • Economicità, è ottimo il rapporto tra qualità del servizio e costo dell’intervento “Stiamo lavorando - spiega Guido Borella - per migliorare ancora la qualità del nostro lavoro. Per fine anno ci doteremo di una nuova cabina per la verniciatura che ci permetterà di abbattere ulteriormente i tempi del procedimento”. Il servizio può essere applicato a qualsiasi tipo di materiale: - Attrezzature per l’agricoltura - Banchi frigo e impianti molitori con la verniciature di speciali vernici alimentari che non pregiudicano le caratteristiche dei prodotti con i quali entreranno in contatto - Recinzioni e serramenti in ferro Il massimo della pezzatura dei pezzi può raggiungere i 7 metri.
Tel. 049 9535317 - Fax 049 9539007 - info@gpsverniciatura.it - www.gpsverniciatura.it
AMICI CON LE ALI di Aldo Tonelli
Un ris�oro per l’inverno:
mangiatoie artificiali per gli amici alati La stagione fredda e soprattutto la neve complicano non poco la vita agli uccelli: trovare cibo diventa difficile e un aiuto potrebbe essere determinante per permettere la loro sopravvivenza
Q
uando arriva la stagione fredda il cibo a distre di casa in modo tale da poter osservare gli anisposizione degli uccelli selvatici inizia a mali mentre si cibano senza disturbarli. La presenza scarseggiare. Se poi nevica la mortalità per degli uccelli è a sua volta un elemento di fortissimo i nostri amici alati, specie per quelli di piccole dimenrichiamo per i gatti. Allo scopo di evitare la predaziosioni, si innalza in modo esponenziale. Potremmo aiune dei nostri ospiti, è sempre consigliabile porre luntarli fornendo loro alimenti adatti con alcune piccole go la struttura alla quale è agganciata la mangiatoia accortezze e semplici regole. Non è difficile trovare un dissuasore, per esempio una struttura di plastica disegni e fotografie per costruirsi a forma di cono rovesciato che Il pane è l’alimento facilmente una mangiatoia di leimpedisca ai gatti di arrivare sino meno adatto agli uccelli, gno da collocare sul balcone o nel alla mangiatoia. Altra accortezza giardino oppure si possono sfrut- in quanto ha uno scarso è non collocarle nelle vicinanze di valore nutritivo tare tronchi o ceppi o anche farsi un cespuglio per evitare che qualuna mangiatoia a rete, dove l’alimento è contenuto in che animale vi si nasconda in agguato: circa 2 metri una rete di metallo o plastica. Il processo d’avvicinasono la distanza di sicurezza. Le mangiatoie devono mento degli uccelli a queste fonti di cibo avviene in essere sempre ben rifornite e allo scopo di evitare modo molto graduale: dapprima essi si aggireranno deterioramenti è sempre bene riempirle solo con il nei dintorni con circospezione poi, presa confidenza cibo necessario per la giornata. Una volta cominciata ed appurato che non vi sono pericoli, diventeranno quest’utile attività, al sorgere dei primi freddi, bisogna frequentatori abituali. Le mangiatoie dovrebbero esricordarsi di perseverare e non interromperla: gli ucsere posizionate su rami o pali alti, visibili dalle finecelli faranno affidamento a questa fonte di cibo e la
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AMICI CON LE ALI sua scomparsa potrebbe portare al loro decesso per inedia. Ricordarsi infine di interrompere la distribuzione di cibo all’inizio di primavera poiché gli uccelli non hanno difficoltà a trovare il nutrimento necessario e inoltre un’ alimentazione non naturale potrebbe danneggiare i piccoli che nascono in questo periodo. Una volta collocata la mangiatoia, viene il momento di chiedersi: con cosa riempirla? Non tutti gli uccelli hanno gli stessi gusti per quanto riguarda il cibo, in inverno però molti fanno “di necessità virtù” e anche le specie che durante la bella stagione si nutrono esclusivamente d’insetti allargano la propria dieta. Cibi adatti sono: semi, specie di girasole, biscotti secchi sbriciolati, dolci come il pandoro e il panettone in piccoli pezzi, arachidi, noci, nocciole, frutta matura ma anche avanzi dei nostri pasti come polenta, riso e pasta cotta, patate lesse, cotenne e pezzettini di formaggio ma non quelli saporiti o stagionati. Mentre gli come lo strutto con briciole di biscotti, semi di giraalimenti secchi possono essere lasciati a lungo, quelli sole, arachidi e nocciole tritate, formando delle paldeperibili andrebbero cambiati di giorno in giorno per line da inserire in una reticella che sarà poi appesa evitare fermentazioni a livello intestinale e intossicaa una certa altezza dal zioni. Attenzione, da Una specialità gastronomica suolo oppure all’interevitare assolutamente: riso crudo, cibi salati, particolarmente apprezzata dai piccoli no di vasetti di yogurt insettivori è lo sformato di grasso appesi capovolti. Ricorlatticini, dolci con crediamoci infine di collocare anche piccoli recipienti nei ma, cacao e cioccolata. Il pane merita un discorso a quali lasciare sempre a disposizione degli uccelli un parte. Anche se è l’alimento forse più utilizzato non po’ d’acqua. Non è necessario che questi abbeveraè adatto all’alimentazione degli uccelli, in quanto ha toi siano profondi, anzi, le vaschette non dovrebbero uno scarso valore nutritivo. Inoltre ha la prerogativa contenere più di qualche centimetro d’acqua da camdi saziare ben presto e induce a non cercare altro biare con una certa frequenza per evitare la formaziocibo, pur non fornendo un apporto calorico sufficienne di ghiaccio. Oltre a dissetarsi, gli uccelli si recano te. Una specialità gastronomica particolarmente appresso gli abbeveratoi anche per lavarsi e pulire il prezzata dai piccoli insettivori è lo sformato di grasso. piumaggio anche in pieno inverno. Si prepara impastando grasso morbido e non salato
In alto a destra Ghiandaia con panettone; in basso a sinistra Cinciallegra con pandoro, a destra Cinciarella con mela. Nella pagina a fianco: in alto Pettirosso e sformato di grasso; in basso Cinciallegre, Cinciarella e Verdone con semi di girasole.
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CON I PIEDI SOTTO LA TAVOLA
MANAI Difficoltà: media
Preparazione: Cottura: 20 minuti 150 minuti Ingredienti per 4 persone 1,5 Kg di ossi di maiale 250 g di fagioli secchi 200 g di verza 2 l d’acqua 1 cipolla 80 g di lardo fresco 200 g di farina di mais sale
Preparazione Mettete a bagno i fagioli la sera precedente. In una pentola capiente versate l’acqua e ponetevi a bollire gli ossi di maiale assieme alla verza mondata e tagliata a listarelle e ai fagioli scolati dall’acqua di ammollo. In un tegamino sciogliere il lardo ben battuto con la lama di un coltello riscaldata sulla fiamma, quindi fatevi rosolare la cipolla finemente tritata. Portate i fagioli a cottura, eliminate gli ossi e unite la cipolla e il lardo. Versate poi a pioggia la farina, mescolando con energia, come per una polenta, fino ad ottenere un impasto cremoso. Aggiustate di sale e lasciate bollire a fuoco lento per altri 50 minuti. I Manai saranno cotti quando, assaggiandoli, non si avvertirà più il sapore di farina. Servite la minestra caldissima.
GALLINA PADOVANA Difficoltà: bassa
Preparazione: Cottura: 60 minuti 15 minuti
Ingredienti per 6 persone 1 gallina padovana 4 scalogni 4-5 patate di media grandezza 1 rametto di rosmarino poco brodo 1 bicchiere di Malvasia salsa di pomodoro olio extravergine d’oliva sale e pepe
IN TOCIO CON PATATE Preparazione Pulite, lavate ed eviscerate la gallina, quindi tagliatela a pezzi. Tritate gli scalogni, poneteli in una padella con olio ben caldo, unite i pezzi di gallina e rosolateli in una padella assieme al rosmarino. Salate e pepate, bagnate con la Malvasia, unite la salsa di pomodoro e coprite con il brodo. Lavate e sbucciate le patate, tagliatele a pezzi e unitele al resto a metà cottura. Bagnate con altro brodo se necessario durante la cottura. Servite la gallina ben calda con il suo sugo.
Queste ricette sono state tratta da “A tavola con i vini Doc di Merlara”
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Panettone e Pandoro Loison
ambasciatori della tradizione dolciaria natalizia
Tre generazioni di passione, ognuna col proprio ardore e con le proprie intuizioni che hanno contribuito, mattone su mattone a realizzare un sogno: quello di nonno Tranquillo il primo ad amare l’arte della panificazione e a trasmetterla al figlio Alessandro; insieme trasformano l’attività del forno in una vera azienda familiare, inaugurando, nel 1969, un nuovo laboratorio. Oggi e Dario a portare avanti l’azienda mantenendo fede alle sue origini
Per fare dolci di pasta così morbida e delicata ci vogliono ingredienti speciali, una lenta lievitazione naturale, un raffreddamento senza forzature e paziente attesa perché per fare le cose buone non bisogna avere mai fretta ma lasciare il giusto tempo. Già questo non è da tutti. Ci vogliono soprattutto tre generazioni di passione, ognuna col proprio ardore e con le proprie intuizioni che hanno contribuito, mattone su mattone a realizzare un sogno: quello di nonno Tranquillo il primo ad amare l’arte della panificazione nel 1938 e a trasmetterla al figlio Alessandro; insieme trasformano l’attività del forno in una vera azienda familiare, inaugurando, nel 1969, un nuovo laboratorio. Oggi e Dario, con la moglie Sonia Pilla, a portare avanti l’azienda mantenendo fede alle sue origini: “tradizione e innovazione”, “sostanza e creatività”, “radici ed evoluzione”, questi i principi che guidano da sempre il lavoro di ogni giorno. L’azienda oggi vanta una struttura produttiva e commerciale agile e d’avanguardia, la produzione di dolci raggiunge anche i 5.000 - 6.000 kg al giorno, per un fatturato di quasi 6 milioni di Euro sul mercato, con una previsione di costante incremento. Inoltre, quasi il 50% del fatturato proviene dall’estero, da oltre trenta Paesi nel mondo dove Loison significa alta pasticceria italiana e il Panettone come il Pandoro sono ambasciatori della nostra tradizione dolciaria natalizia. Il Panettone di Pasticceria, classico nella forma bassa, secondo l’antica ricetta milanese, “scarpato”, cioè ta-
gliato in superficie a mano con il caratteristico taglio a croce, dalla pasta profumata e morbida, arricchita con uvetta, scorze candite di Arance di Sicilia e Cedro di Diamante in Calabria, è proposto anche in numerose varianti, con gusti innovativi ed esclusivi. Ugualmente il Pandoro, fatto con uova selezionate e burro di qualità, si trova tanto nella versione classica quanto farcito con le più raffinate creme di pasticceria. I processi di lievitazione naturale e di raffreddamento non forzato, inalterati da secoli, garantiscono freschezza e durata, perché la pasticceria artigianale è arte del tempo, maestria nello scegliere le materie prime e la giusta dose di fantasia.
Loison Pasticceri dal 1938 Strada del Pasubio, 6 - 36030 Costabissara (VI) Tel. 0444 557844 - Fax 0444 557869 - loison@loison.com - www.loison.com
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