S.Agata Immagini dal passato
S.Agata Immagini dal passato
Da qualche anno mi girava nella testa l’idea di allargare il locale del Circolino per creare un salone più ampio e accogliente, recuperando gli spazi abbandonati della zona una volta adibita ad ambulatorio, paralleli alle sale del ristorante. Attuate le procedure e ottenuti i permessi da Palazzo Frizzoni, si è dato il via ai primi lavori nel settembre del 2008. Dopo qualche colpo di martello, però, agli occhi degli operai si è mostrata una straordinaria sorpresa. Faceva capolino fra i calcinacci del controsoffitto un volto affrescato. Consunto dal tempo e dall’usura ma ancora vivido e ben delineato. Il volto di un uomo canuto. E più si sottraeva il capolavoro alle insidie del cemento più apparivano particolari interessanti. Angeli, elementi naturali, lembi di cielo. Era come se, dopo tanti anni, l’affresco avesse ancora voluto godere dell’ammirazione altrui. E così è stato.Tanti nasi all’insù per osservarlo, valutarlo, sistemarlo. Dalla Sovrintendenza alle Belle Arti ai restauratori, agli addetti ai lavori, ai curiosi. La Cooperativa Città Alta ne ha voluto fortemente il restauro. Oneroso ma necessario. Davanti allo stupore per l’affresco epifanicamente venuto alla luce, abbiamo avvertito il desiderio di dargli corpo, di riportarlo al suo antico splendore e altresì di condividerlo con la comunità tutta. La sensazione è stata quella di ricevere un dono inaspettato, come se l’antico monastero avesse deciso di premiarci facendoci omaggio di un tesoro prezioso. Sicuramente né primo né unico del patrimonio gelosamente custodito dalla pietra e dalla storia del complesso di Sant’Agata. Il passo è stato automatico. La genesi e la committenza dei diversi affreschi erano già note, proprio grazie agli studi realizzati sulla storia dell’intera area di Sant’Agata. Restavano ancora aperte la paternità del medaglione restaurato e la sua datazione. Abbiamo pertanto intrapreso una collaborazione con la Dott. ssa Tosca Rossi, Docente Magistrale in Storia dell’Arte, al fine di recuperare le preziose informazioni necessarie per contestualizzare quanto rinvenuto, contribuendo alla sua completa valo-
rizzazione. Il vaglio meticoloso della ricerca della Dott.ssa Rossi ha ricondotto al lainese Giulio Quaglio - artista ben noto alla terra bergamasca - e alla sua bottega la paternità dell’affresco riportato alla luce nell’antica sacrestia. Siamo fra il 1710 e il 1712. Porto con me la consapevolezza che gli eventi non siano mai frutto di un casuale intreccio generato dall’alea ma si dipanino fra le pieghe della vita legati da un sottile fil rouge che li rende ancora più sorprendenti e affascinanti. Ecco perché l’incontro con i docenti del Liceo Artistico Statale Giacomo e Pio Manzù di Bergamo ha significato subito per me la giusta declinazione per corroborare e arricchire il percorso, già intrapreso, di valorizzazione del patrimonio artistico di Sant’Agata. Anche il loro minuzioso e preciso lavoro di ricerca infatti ha portato alla conferma dei nomi degli artisti che hanno operato nel comparto teatino, ponendo l’attenzione non solo sul campo pittorico del salone ristrutturato ma altresì sull’area delle quattro campate di quella che un tempo è stata la volta della chiesa. Le ricerche sono naturalmente ben lontane dal potersi dire compiute. Sappiamo con certezza che nascosto da ingrati intonaci e asfissianti controsoffitti giace un corredo decorativo di notevole valore artistico dal doveroso recupero. Riteniamo però che sia necessario rendere manifesto alla collettività ciò che già siamo riusciti a valorizzare. La Bellezza è una forza propositiva e costruttiva, in grado di consentire all’uomo di esprimere se stesso e la propria identità. Amare la Bellezza significa quindi testimoniarla nella realtà e condividerla con tutti. Per salvaguardare e tutelare un patrimonio artistico occorre crearne conoscenza e memoria. Da qui la forte volontà di organizzare la mostra Sant’Agata: immagini dal passato presso gli spazi dell’Ex Ateneo di Città Alta, in stretta collaborazione con il corpo docenti e gli alunni del Liceo Artistico e altresì la scelta sentita di lasciarne testimonianza attraverso le pagine di questo libro. Aldo Ghilardi Presidente della Cooperativa Città Alta
Giulio Quaglio, Elia sotto il ginepro confortato dall’angelo 3
RINGRAZIAMENTI
Questo lavoro non è frutto solo della ricerca di una classe del Liceo Artistico e dei loro insegnanti, ma di una nutrita schiera di sostenitori e collaboratori a cui va la nostra più sentita gratitudine. Dobbiamo ringraziare innanzi tutto la “Cooperativa di Città Alta” senza il cui patrocinio il presente lavoro non avrebbe potuto essere reso pubblico. Particolare riconoscenza va al suo Presidente, Aldo Ghilardi, al suo generoso sostegno e alla fiducia che ha dimostrato nei nostri confronti, nonché alla straordinaria efficienza dei suoi collaboratori. Questo elaborato , inoltre, non avrebbe potuto essere portato a termine senza la paziente disponibilità ad accogliere e guidare nella ricerca gruppi di alunni o l’intera classe dimostrata dai responsabili dell’Archivio di Stato di Bergamo, dott.ri Mauro Livraga, Maria Pacella e Giovanni Dotti e da tutto lo staff del medesimo Istituto, dalla dott.sa Veronica Vitali dell’Archivio Vescovile di Bergamo , dallo staff dell’Archivio di Stato di Milano e dal conservatore della Fondazione Adriano Bernareggi di Bergamo, dr. Simone Facchinetti, nonché dai referenti della Biblioteca Civica Angelo Mai, della Biblioteca del Centro Documentazione Beni Culturali di Bergamo e della Biblioteca dell’Accademia Carrara. Un ringraziamento anche al geometra Roberto Gaspani del Comune di Bergamo, Ufficio Patrimonio, che si è costantemente dimostrato disponibile a farci accedere negli ambienti dell’ex carcere per effettuare misurazioni e sopralluoghi. Si ringraziano inoltre sentitamente gli studiosi dott.sa Margherita Zanardi, che ha incoraggiato gli alunni nella ricerca attraverso una lezione sulla metodologia dell’inda-
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Presentazione generale
gine storico-artistica e ci ha orientati nell’individuazione dell’autore degli affreschi della volta e i dott.ri Giuseppe Pacciarotti, Enrico De Pascale e l’ Ing. Matteo Ranghetti per i preziosi consigli elargitici e per la disponibilità dimostrata. Siamo legati da grande riconoscenza anche ai Padri Teatini P. Bartolomeo Mas e P. Gabriel Llompart, che hanno stimolato e sostenuto le nostre ricerche sulla loro ex casa bergamasca e hanno sciolto i nostri dubbi sull’iconografia dei dipinti ivi rinvenuti sia con comunicazioni telefoniche, sia con l’invio di prezioso materiale non rintracciabile a Bergamo. Un grazie particolare va anche alla Città di Busto Arsizio, che ci ha accolti con disponibilità e cordialità veramente inattese, ed in particolare al Sindaco Gigi Farioli, al Dirigente Scolastico del Liceo Artistico Andrea Monteduro e alla Segretaria degli Amici del Tempio Civico di Sant’Anna, Rosella Formenti. Dobbiamo anche menzionare quanti con prodigalità ci hanno inviato o fornito materiale fotografico o notizie in merito a opere da noi studiate: il dirigente del Museo Mazzetti di Asti, dr. Luigi Grazioli, Giorgio Pavese del Palazzo Barolo, il dr.Tiziano Villa e collaboratori, don Pietro Ceresoli di Casazza e il dottor Angelo Bressan della medesima località. Fra le persone che ci hanno aiutati e sostenuti con generosa disponibilità ricordiamo infine la signora Katia Arrigoni e la dottoressa Maria Grazia Tomasoni e molte, molte altre persone di cui ci scusiamo di non menzionare adesso il nome. A tutti quanti un grazie veramente sentito
Il lavoro didattico qui proposto è frutto delle ricerche effettuate nel passato anno scolastico dall’allora 4 C dell’indirizzo Beni Culturali del Liceo Artistico “ Giacomo e Pio Manzù “ di Bergamo, e della loro rielaborazione, avvenuta a cura degli alunni dell’attuale 5C del medesimo indirizzo nei primi mesi del presente anno scolastico 2012-2013. Gli allievi, guidati nel corso delle ricerche dai docenti di Catalogazione e Storia dell’Arte (Prof. ssa Lucia Dreoni), Rilievo Architettonico (Prof. Franco Agresti) e di Discipline Pittoriche (Prof. Mario Albergati), hanno affrontato lo studio di un superbo documento storico-artistico di Bergamo: l’ex convento di Sant’Agata, purtroppo vilipeso e misconosciuto fino a non molti anni fa a causa della sua destinazione a carcere, che si è protratta per quasi due secoli a partire dalla soppressione napoleonica. Il lavoro è stato svolto in maniera pluridisciplinare e ha cercato di
mettere a confronto le prospettive di studio offerte dalle varie materie e di farle interagire tra loro. L’edificio è stato infatti indagato dal punto di vista storico con la consultazione di documenti conservati in vari archivi cittadini e regionali, delle fonti locali e della precedente bibliografia reperita; sono stati compiuti degli approfondimenti sugli artisti che vi hanno operato e sulle opere ancora esistenti, che sono state fotografate, riprodotte, analizzate e talvolta anche reinterpretate tramite video. Analogamente, nei limiti degli scarsi dati a disposizione e delle dimensioni del complesso, si è tentato di ricostruire il suo aspetto originario e si sono effettuati rilievi e foto che testimoniano la situazione attuale. Trattandosi di un lavoro didattico condotto da gruppi di alunni non è stato possibile evitare differenze qualitative tra le varie parti.
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PRESENTAZIONE RILIEVO PITTORICO di Mario Albergati
Il disegno come strumento per conoscere meglio e in modo più approfondito la realtà delle forme. In particolare, se tali forme sono Opere d’Arte, il gioco si fa ancor più interessante in quanto gli aspetti da scoprire portano a valutare ed apprezzare valori estetici, contenuti simbolici, iconografici e storici che ad un primo sguardo possono sfuggire. Già il primo approccio offerto dello schizzo a mano libera , oltre al piacere del contatto della matita sul foglio ruvido, accende una relazione di vicinanza immediata e fresca con l’Opera, dallo studio delle posture e gestualità dei personaggi, alle espressioni dei volti, ai dettagli dei panneggi e alla curiosità della rappresentazione di alcuni simboli… tutto un mondo da scoprire, non di corsa in modo affrettato ma … poco alla volta con la dovuta sensibilità. Fatto il primo passo sorge una seconda curiosità: in cosa consiste il sapiente lavoro dell’Artista? di quali gesti , tecniche e linguaggi è costituito? Sembrerebbe una vivisezione ma l’analisi morfologica
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dell’Opera permette alla nostra razionalità di meglio scandire alcuni passaggi del lavoro Pittorico, passaggi che si articolano in conseguenti stratificazioni di livelli e complessità (disegno, composizione, spazio prospettico, colore…). Ogni Opera non vive in modo separato dal suo contesto ma vive in un complesso di relazioni con altre opere d’arte dello stesso o di altri autori; lo studio comparato di tipo stilistico e iconografico approfondisce questi legami e struttura un sistema culturale solido sostenibile. Infine vi è da considerare il valore narrativo, evocativo e poetico di ogni Opera analizzata anche perché, ad di fuori delle potenzialità comunicazione, anche o soprattutto emozionali, che le contraddistinguono, decade e si svuota il senso ultimo di un rapporto veramente formativo con le Forme dell’Arte. È in questa luce che vanno intesi i Video “ …divenire..” e “ Soffio” e i Teatrini, lavori che interpretano gli aspetti narrativo, spaziale e simbolico offerti dai brani pittorici in un ideale rilancio di vitalità creativa e tributo alla bellezza.
PRESENTAZIONE CATALOGAZIONE E STORIA DELL’ARTE
Gli alunni hanno tentato di lavorare con metodo scientifico applicandosi, nei limiti del possibile, in maniera rigorosa alla ricerca e all’elaborazione dei dati, con la speranza di produrre non solo semplici testi scolastici, ma testi di una certa affidabilità che potessero servire anche come base per eventuali ricerche future sull’argomento. Certo l’impegno richiesto e la vastità dell’argomento ha spesso affaticato gli alunni ed ha portato ad esiti tutt’altro che omogenei dal punto di vista qualitativo e in alcuni settori il lavoro da fare sarebbe ancora molto…. Si spera in ogni caso che la metodologia acquisita in questa occasione possa essere di giovamento per gli studi e le ricerche future di questi giovani aspiranti ricercatori. Si è cercato di proporre il lavoro nella maniera più creativa e coinvolgente possibile, sollecitando gli alunni a intraprendere percorsi di ricerca e di indagine riguardanti sia oggetti sicuramente appartenuti alla chiesa di Sant’Agata e poco noti, sia opere ancora presenti in loco ma ancora non attribuite con certezza. Molti di loro hanno reagito positivamente e talvolta con entusiasmo agli stimoli ed hanno trovato assai gratificante il rintracciare gli altari maggiore e di San Gaetano Thiene dell’edificio di Sant’Agata nella non vicinissima parrocchiale di Casazza, il tentare di ricostruire l’aspetto originario di parti architettoniche e decorative dell’edificio e l’aver potuto attribuire al pittore Salvatore Bianchi e bottega gli affreschi con vicende di San Gaetano Thiene nel-
la volta della chiesa attraverso inoppugnabili confronti stilistici e non solo sulla scorta delle fonti. La ricerca di una incontestabile evidenza di quest’ultima attribuzione, proposta in maniera confusa dalle fonti settecentesche, ha condotto la classe in un non completo, ma comunque proficuo, tour fotografico in alcuni luoghi in cui il maestro era stato operoso: Asti, Busto Arsizio, Carcegna, Varese e Velate. Va inoltre dato merito agli alunni di essere giunti all’attribuzione al pittore lainese Giulio Quaglio del bel dipinto con Il Profeta Elia sotto il ginepro, visibile nella sala grande del ristorante “Il Circolino” e recentemente restaurato dalla “Cooperativa Città Alta”, indipendentemente dalle contemporanee ricerche di una brillante ricercatrice locale. Tosca Rossi L’ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA È MERITO PREVALENTE DELLA PROF.SSA SERENA MOSCONI, GIA’ DOCENTE DI QUESTO LICEO ARTISTICO, LA RIDUZIONE DEI TESTI PER LA MEDESIMA ESPOSIZIONE È STATA EFFETTUATA A CURA DELLA PROF.SSA VALERIA LUCIA MILESI. AD ENTRAMBE VA IL NOSTRO PIÙ SENTITO RINGRAZIAMENTO, OLTRE CHE PER LA DEDIZIONE DIMOSTRATA AL PRESENTE LAVORO E PER LA PRODAGALITÀ DELL’IMPEGNO, PER L’INECCEPIBILE COMPETENZA E PROFESSIONALITÀ DIMOSTRATA.
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Indice P. 11
CAPITOLO 1 La chiesa di Sant’Agata dalle origini all’arrivo dei Teatini (fine del XVI secolo) 1.1
P. 16 P. 20 P. 23
La storia della chiesa prima dell’arrivo dei Teatini FINESTRE: 1) Sant’Agata 2) Frati Gaudenti
CAPITOLO 2 Il convento di Sant’Agata dalla fondazione al rinnovamento settecentesco della chiesa 2.1
P. 52 P. 56 P. 62 P. 64 P. 66 P. 68 P. 70 P. 72 P. 74 P. 77
I Teatini e la fondazione del monastero di Sant’Agata
FINESTRE: 1) I chierici Regolari Teatini 2) San Gaetano Thiene 3) Sant’Andrea Avellino 4) Vergine del Buon Successo CAPITOLO 3 Dal rifacimento settecentesco della chiesa alla soppressione napoleonica 3.1
P. 43
Alcune ipotesi sulla struttura originaria del convento 2.2.1 Il quarto braccio del chiostro 2.2.2 La collocazione del Refettorio e della Sala Capitolare nel convento teatino 2.2.3 Le facciate prospicienti il chiostro
P. 47
2.3
P. 31 P. 39
P. 49
8
2.2
Opere presenti nella chiesa in quel periodo ancora rintracciabili 2.3.1 Enea Salmeggia detto il Talpino La vita lo stile
P. 91
SCHEDE CATALOGAZIONE 1) Il Battesimo di Cristo 2) Il martirio di Sant’Agata 3) Sant’Andrea Avellino 4) La croce astile 5) Fonte battesimale
Le trasformazioni settecentesche della chiesa e il rinnovamento della sua decorazione
3.2 La decorazione pittorica della chiesa 3.2.1 Salvatore Bianchi (con la collaborazione del figlio Francesco Maria)
P. 98
P. 102
P. 108
P. 110
SCHEDE CATALOGAZIONE 1) San Gaetano e Sant’Agata al cospetto della Vergine e del Cristo 2) La Vergine porge Gesù Bambino a San Gaetano con coro di angeli musicanti 3) San Gaetano, ispirandosi al Cristo, combatte le eresie 4)San Gaetano con le allegorie di Fede, Speranza e Provvidenza
P. 118 P. 126
3.2.2 Giulio Quaglio SCHEDE CATALOGAZIONE 1) Il profeta Elia sotto il ginepro 2) Angelo portacroce
P. 130
P. 115
P. 173
4.1.3 Le infermerie maschile e femminile negli anni 1802-04
P. 177
4.2
Le modifiche apportate all’ex convento dopo le trasformazioni del Pollack
P. 182
P. 186
FINESTRE: 1) La vita e l’architettura di Leopold Pollack 2) La chiesa del Carmine prima e dopo le soppressioni napoleoniche
P. 188
FINESTRE: 1) Il profeta Elia
P. 133
3.2.3 Giuseppe Brina
P. 136
SCHEDE CATALOGAZIONE 1) Sant’Andrea Avellino
P. 143
3.3
Ipotesi sulla struttura settecentesca della chiesa: presumibile intitolazione delle cappelle
P. 148 P. 152
SCHEDE CATALOGAZIONE 1) Altare di San Gaetano Thiene 2) Altare Maggiore della chiesa di S.Lorenzo martire 3) San Gaetano Thiene con il bambino 4) Coprifonte battesimale
P. 156 P. 158
P. 161
CAPITOLO 4 Il convento di Sant’Agata dalla soppressione napoleonica
P. 201
APPENDICE: I capitoli del Pollack
CAPITOLO 5 Rilevamento architettonico Foto Tavole
4.1 P. 165 P. 169
Il complesso di Sant’Agata dalla soppressione ai progetti del Pollack 4.1.1 I progetti 4.1.2 Confronto dei disegni del Pollack
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CAPITOLO 1
La chiesa di Sant’Agata dalle origini all’arrivo dei teatini (fine XVI sec.)
1.1 La storia della chiesa prima dell’arrivo dei Teatini A. MAZZI Alcune indicazioni per servire alla topografia di Bergamo nei secoli IX e X, Bergamo 1870, pag. 20. 2 Ibidem.
1
Il complesso del monastero e della chiesa di Sant’Agata è uno dei più antichi di Bergamo, sopravvissuto sia alla costruzione delle mura venete che alle soppressioni napoleoniche. Al principio si componeva solo di una chiesa che, più volte ricostruita e ristrutturata, accoglie attualmente il noto locale “Il Circolino” in Città Alta. La prima volta che la Chiesa di Sant’Agata viene citata è in una carta di permuta del 908 a cui si fa riferimento in un’opera dello storico Angelo Mazzi. In essa si parla di un terreno coltivato a vite, posto dentro la città. Qualche anno più tardi, esattamente nel 924, viene redatta un’altra carta di permuta, relativa a “una casa con corte di proprietà della Chiesa di Sant’ Alessandro, posta entro la città di Bergamo vicino a S.Agata”1.
Quindi l’esistenza di Sant’Agata è appurata dal 908 in poi, anche se non si esclude un’origine più antica, come argomenta giustamente il Mazzi: “non vi ha nulla che si opponga a credere che [la Chiesa] abbia esistito anche nel secolo antecedente se da essa avevano già ricevuta una denominazione i luoghi circostanti ‘subtus sancte Achate’ e se tale dominazione s’era radicata nell’uso comune di esprimersi. Appare in secondo luogo dai brani che abbiamo citati, che le mura da questa parte restavano un po’ lontane dalla Chiesa di Sant’Agata, in modo che fra questa e quelle trovasse posto una piccola vigna. Forse questa sarà occupata in seguito dal monastero dei padri Teatini” 2. Inoltre Celestino Colleoni sostiene che sotto le fondamenta della chiesa vi siano antichi mosaici
Fig. 1 Cfr. nota 3 10
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3 C. COLLEONI Historia Quadripartita di Bergamo, vol.I, Bologna, Forni editore, 1617, vol.1 pag.465 4 L. CHIODI, Dal vescovo Adelberto alle origini del libero comune, in Storia Religiosa della Lombardia,Diocesi di Bergamo, Brescia 1988, pag. 52-54 5 Cfr. G. RONCHETTI, Memorie istoriche della città e chiesa di Bergamo, Bergamo, 1808, ed. cons. Brembate Sopra, 1973, vol. I, p.278, vol. II, pp. 39, 53, 109 6 D.CALVI, Effemeride sagro-profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, sua diocese, et territorio da suoi principii fin’al corrente anno. Et in tre volumi divisa, contenendosi quattro mesi per ciascun volume. Bologna, A. Forni, 1676-77, vol.1, pag. 118 7 D. CALVI, op.cit , vol. 1 pag. 172 8 C. COLLEONI, op.cit., vol.1, pag. 485 9 Cfr. A. MAZZI, Perelassi, Bergamo, Pagnoncelli, 1876, tav. ripiegata
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Fig. 2 Cfr. nota 7
romani: “…di modo che hoggidi si vede appena qualche raro vestigio dell’antico: cosa che ci si fà chiara dai suoli di finissimi marmi lavorati alla mosaica, trovati sotto terra molte braccia: uno de’ quali si può vedere nella Caneva de’ Sign. Alessandri al sal vecchio; un’altro fù trovato nel cavare per far i fundamenti della nova Chiesa Parochiale di Sant’Agata, i quali sono più sotto, ch’ella non è sopra terra” 3. (fig. 1) Lo storico Luigi Chiodi, attraverso lo studio della storia della chiesa, informa che nel 1004 era chiamata “ecclesia”4 invece che basilica, quindi forse non si trattava ancora di una parrocchia. Lo studioso Ronchetti riferisce poi di una donazione fatta nel 1005 dal prevosto Lamberto alla chiesa di Sant’Agata. Egli fa inoltre riferimento al parroco di Sant’Agata fra le vicende verificatesi nel 1127, 1129, 1167, per avvenimenti quali i contrasti fra le varie parrocchie (Sant’Alessandro su tutte), oppure l’appoggio di alcuni chierici di Sant’Agata
al vescovo Gerardo, che sosteneva l’invasore Federigo Barbarossa5. Il Calvi riferisce poi sotto la data 4 febbraio 1180 che “Hoggi Vigilia di S. Agata, andavano li canonici di S. Vincenzo i canonici della Cattedrale di San Vincenzo alla chiesa della Santa per cantarvi il vespro…”6. Inoltre cita, sempre sotto il 1180, che “Hoggi Vigilia di S.Agata, andauano li Canonici di San. Vincenzo alla Chiefa della Santa per cantarvi il vespro...”7 (fig. 2) Alla fine del XII secolo è citata fra le tredici vicinie presenti in città come subordinata alla Basilica di Sant’Alessandro, scrive infatti Celestino Colleoni “trovansi la Città & Borghi divisi in venti Vicinanze, tredici delle quali sono dentro le mura nuove, e sette fuori. Dentro sono le vicinanze di San Michele dell’Arco, di Sant’Agata, di San Salvatore, de Antescolis, di San Cassiano, di San Giacomo, di San Pancratio, di Santa Eufemia, di Sant’Andrea dentro la Porta Pinta, di Sant’Andrea fuori di detta Porta, di San Michele del Pozzo Bianco, di San Lorenzo, e di San Mattheo “.8 (fig. 3) Stando alla mappa disegnata dal Mazzi nel suo volume Perellassi, la chiesa doveva essere di dimensioni assai modeste ed avere una struttura monoabsidata.9 Il Ronchetti riporta poi che l’anno 1261 “Istituito … o, a dir meglio, confermato dal
Fig 3 Cfr. nota 8
Cfr. nota 9
13
10 G.RONCHETTI, op .cit. vol. II,p. 294 11 Atti della Visita Apostolica dell’Arcivescovo San Carlo Borromeno, a cura di G.Roncalli, 1936, vol.VII, pag. 121
Fig 4 Cfr. nota 11
Pontefice un nuovo religioso ordine militare sotto l’invocazione della gloriosa Vergine Maria, che poi fu detto de’ frati gaudenti, come quelli, che vivevano comodi, ed in lusso nelle proprie case colla moglie e figlioli, possedendo beni e dovizie; il nostro Pellegrino nella Vigna racconta che militò nelle due Chiese parrocchiali di San Salvatore e Sant’Agata, e nella Abazia di Astino nella Cappella di Maria V”.10 Non si hanno altre notizie della chiesa di Sant’Agata fino al 21 settembre 1575, allorché San Carlo Borromeo ne effettuò la visita pastorale. Negli Atti ad essa relativi si riferisce che era dotata di quattro altari, anche se solo di due di essi viene citata l’intitolazione: quello della Vergine Maria e quello del Corpo di Cristo, nel quale era conservato il Santissimo Sacramento e anche alcune reliquie visibili attraverso una finestrella. In quella occasione la chiesa, definita “satis ampla, sed non admodum ornata”11, doveva risultare 14
decisamente inadeguata al nuovo spirito della Controriforma, perché l’arcivescovo decise per una sua sostanziale ristrutturazione. (fig. 4) Secondo ciò che riporta la visita apostolica, in questa occasione si prende infatti la decisione di rimodernare completamente l’edificio, demolendo le tre navate per ridurle a una sola, che doveva preferibilmente essere coperta con una volta, secondo i criteri recentemente stabiliti dalla Controriforma. I vicini, cioè i parrocchiani, si dichiarano disponibili a contribuire alla spesa con 200 scudi. Si decide inoltre di costruire un armadio per la sagrestia e di riporvi preziose suppellettili tra le quali un vaso d’oricalco per l’abluzione dei corporali e alcuni paramenti sacri dettagliatamente descritti. Viene poi riferito che l’altare maggiore doveva essere in marmo e si dovevano realizzare le pitture nella cappella maggiore il prima possibile, affinché risultasse tutta dipinta. Viene anche deciso di completare il tabernacolo e il battistero con l’annesso sacrario. Nella stessa visita apostolica si decreta anche la distruzione dell’Oratorio di San Martino, contiguo alla chiesa (“cappella”) di San Giovanni Evangelista, situata all’interno del fortilizio visconteo, oggi noto come “cittadella”. I materiali e gli ornamenti ecclesiastici ricavati dalla demolizione avrebbero dovuto essere ceduti alla chiesa parrocchiale, vale a dire Sant’Agata, affinché fossero utilizzati per la sua ricostruzione. L’indicazione dell’arcivescovo fu procrastinata e non trovò applicazione che nel 1577. A questo proposito il Calvi riporta sotto il 21 settembre 1575, giorno della visita del Borromeo: “vicino alla chiesa di San Gio. in Arena, era l’antichissimo Oratorio di San Martino, con un solo altare quasi rovinato. San Carlo ne la visita n’ordinò in questo giorno la demolitione,
12 13
D.CALVI, op. cit., vol.3 pag. 86. Atti…cit., vol. XIV pag.113
Fig. 6 Cfr. nota 13
Fig. 5 Cfr. nota 12
destinando i materiali alla fabrica della chiesa parochiale. Non ne troviamo però l’essecutione fin nell’anno 1577, in cui per nuova concessione dell’Ordinario sotto li 7 Maggio a Paolo Assolario Parocho di S. Agata e Girolamo Pagliaro deputato alla fabrica della detta S. Agata, fù la
Chiesa demolita di San Martino, & trasportati li materiali predetti a beneficio della fabrica di S.Agata, che si ritrovava con l’obligatione però di fabricar in questa un altare a San Martino”12. (fig 5) Sempre fra i documenti relativi alla visita apostolica di San Carlo Borromeo vi è anche la supplica del parroco affinché l’Arcivescovo dia qualche sussidio per la riforma della chiesa “Poi che nella visita che v. signoria ill.ma ha fatto della chiesa parrochiale di S. Agata di Bergomo, ha visto ch’ella ha bisogno di fabrica e d’esser ridotta a forma conveniente al colto divino che in essa si esercita, et intendendo la tenuità del suo reddito et la povertà ancora de’ vicini, insieme con l’importanza della spesa che bisognerebbe, humilmente supplicano, che venendole in questo negozio di visita occasionale d’applicar qualche cosa ad alcuna opera pia, si degni d’aver detta fabbrica, per raccomandata conforme alla speranza ci diè d’aiutarla acciò che quanto prima dar vi principio si possa a honore et gloria di sua divina Maiestà, la qual di continuo prosperi et conservi v.s. ill.ma con la grazia sua”13. (fig. 6) 15
Sant’Agata
1 Donna, spesso vedova, che nei primi anni del cristianesimo aveva compiti di assistenza a poveri, ammalati ecc. e di istruzione alle catecumene
Sant’Agata il cui nome in greco Agathé significa “buona, nobile di spirito” fu martirizzata verso la metà del III secolo e nacque a Catania nei primi decenni del medesimo secolo. La vita della Santa, riportata secondo la tradizione cristiana nel Martirologio, narra di una ragazza proveniente da una nobile famiglia catanese che, all’età di quindici anni, venne consacrata diaconessa1. Attraverso studi storici si è però giunti alla conclusione che Agata, al tempo del martirio, avesse almeno venti o ventun anni, perché prima di quell’età nessuna ragazza veniva consacrata diaconessa.
Giovanni di Barolo, Busto Reliquario di S. Agata, Argento lavorato a sbalzo e decorato con ceselli e smalto, Catania, Duomo di Catania, 1376.
Attorno al 250 d.C. Roma inviò a Catania il proconsole Quinziano che, seguendo gli ordini dell’imperatore Decio, doveva far ripudiare la fede cristiana ai cittadini riportandoli al culto pagano. A questo punto si incontrano due tradizioni diverse: la prima, di matrice cristiana, vuole che l’uomo si innamorasse perdutamente della fanciulla, ma che 16
quest’ultima rifiutasse la proposta di matrimonio per rimanere fedele ad una precedente promessa; mentre la seconda suppone che dietro la condanna della donna vi fossero motivi economici e territoriali. Qualsiasi sia la realtà, comunque, il proconsole provò a far riconvertire al paganesimo la donna, affidandola ad Afrodisia, probabile sacerdotessa di Venere o di Cerere. Agata, obbligata a sacrificare alle divinità pagane, rifiuta e affronta eroicamente le conseguenze dell’oltraggio compiuto: l’ascissione dei seni, le cui ferite, sembra, siano state risanate nottetempo da San Pietro o da un angelo. Ricondotta davanti a Quinziano e non disposta comunque a cedere, viene gettata su carboni ardenti. La notte del 5 febbraio del 251 la donna muore nella propria cella. Un anno esatto dopo, il 5 febbraio 252, una forte eruzione dell’Etna minacciò Catania, molte persone, sia cristiane che pagane corsero al sepolcro e presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava che si arrestò; da allora Sant’Agata divenne la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e gli incendi. Le sue reliquie sono conservate nel duomo di Catania in una cassa argentea. Nell’edificio si trova anche lo strabiliante busto argenteo della santa. Il busto reliquiario di S. Agata fu realizzato nel 1376, a grandezza naturale, in argento sbalzato e con smalti traslucidi. L’autore di quest’opera è l’orafo senese Giovanni di Bartolo, che lo realizzò ad Avignone, dove si trovava al seguito della corte papale, in quel periodo trasferitasi in tale località. Il busto del reliquiario è rivestito da una fitta maglia, su cui sono stati posti i gioielli, che nel corso dei secoli, i devoti hanno donato alla santa. L’opera non ha subito degli interventi posteriori alla sua realizzazione, ma allo stato attuale necessita di un restauro, perché in alcuni punti la patina degli smalti traslucidi sembra perduta, mentre la
Mosaico della Processione delle Sante Vergini, Chiesa di S. Apollinare Nuovo, Ravenna, seconda metà del VI sec.
superficie argentea del busto e la maglia che lo riveste risultano abrase e deteriorate, anche a causa dell’apposizione dei gioielli. L’unica aggiunta è la base a tre balze, di fattura cinquecentesca, sulla quale è poggiato il busto reliquiario. Qui originariamente era posto lo stemma di Catania in pietra lavica: uno scudo riportante un elefante di profilo rivolto a sinistra e con la proboscide rialzata, sormontato da una “A”. La più antica rappresentazione della santa risale alla seconda metà del VI secolo e si trova nella
processione musiva di Sante Vergini della basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna. In essa Sant’Agata è riconoscibile dalle altre sante gemelle grazie all’iscrizione con il nome che la sovrasta. La santa è quasi sempre rappresentata con la palma del martirio, con la veste lacera e i seni strappati su un piatto d’argento. E’ un soggetto molto popolare soprattutto nella Controriforma, periodo in cui ai santi viene data grandissima importanza. Tra le rappresentazioni singole della santa più famose si ricordano quelle di Piero della Francesca, di Francisco de Zurbaran e di Sebastiano del Piombo. Nel polittico di Sant’Antonio del primo artista sotto i tre pannelli principali si trovano altrettanti riquadri con medaglioni al centro, ma solo quelli alle estremità sono decorati da pitture. A sinistra si trova la mezza figura di Santa Chiara, a destra quella di Sant’Agata, con in mano un piatto con i seni che le vennero amputati durante il martirio, simboleggiato dal ramo di palma che tiene nell’altra mano. Secondo la tradizione il Velo virginale di S. Agata, lungo m. 4 e largo cm. 50, originariamente sarebbe stato di colore bianco, segno di candore, quel candore di vita a cui la Santa non venne mai meno. Secondo la leggenda, appena esso fu posto a contatto con la lava diventò rosso fuoco, il colore che ancora si osserva nel reliquiario catanese in cui è conservato. Nella scena rappresentata da Sebastiano del Piombo gli sgherri avvicinano le pinze ai seni della donna, coperta unicamente da un panno bianco legato in vita. L’opera non suggerisce molta drammaticità, forse a causa delle pose danzanti dei personaggi, specialmente di quella della santa. Quest’ultima non mostra neppure un’espressione particolarmente sofferente e sembra intenta, invece, a mettere in mostra un corpo rispondente agli ideali estetici del tempo e in particolare ispirato ai nudi tizianeschi. 17
Piero della Francesca, polittico di Sant’Antonio 338x230 cm, tecnica mista su tavola, Perugia Galleria Nazionale dell’Umbria.
S. Agata dalla Processione delle Sante Vergini.
Ingrandimento: Sant’Agata, diametro 20 cm circa.
Particolare S. Agata dalla Processione delle Sante Vergini.
Francisco de Zurbaran, Sant’Agata, 1630-1633, olio su tela, 127x60 cm, Montpellier, Musèe Fabre
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Sebastiano del Piombo, Sant’Agata, Firenze, olio su pannello 1520, 127x 173.
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I Frati “Gaudenti”
L’ordine dei Frati Gaudenti trae origine da una confraternita sorta a Bologna per svolgere attività di pacificazione nelle città e tra le famiglie. La Confraternita venne approvata da papa Urbano IV con la bolla Sol ille invictus del 23 dicembre 1261, fu intitolata alla Beata Gloriosa Vergine Maria e assunse come norma fondamentale la Regola di sant’Agostino, un complesso di scritti che la tradizione ha attribuito al santo e che è stato riferimento della vita monastica per numerose comunità fino ad oggi. I membri dell’ordine, appartenenti all’aristocrazia, in origine si impegnarono a condurre una vita cristiana esemplare facendo voto di castità, di obbedienza e di protezione degli orfani e delle vedove. Dichiarato fin dalla sua istituzione ordine militare, ebbe come impegno prioritario il mantenimento della pace pubblica e il rispetto della giustizia, impegnandosi ad impugnare le armi contro chiunque li mettesse in pericolo. L’abito dei cavalieri della Beata Gloriosa Vergine Maria era bianco, con mantello grigio decorato da una croce rossa con due stelle, insegna dell’ordine. La sede principale dell’ordine fu il convento di Ronzano, presso Bologna, e i cavalieri si diffusero soprattutto in Lombardia, in Toscana, in Romagna e nella zona Trevigiana. Quando la situazione politica italiana cambiò e venne meno la ragion d’essere dell’ordine, i membri iniziarono a dedicarsi essenzialmente all’amministrazione del cospicuo patrimonio accumulato negli anni precedenti, guadagnandosi l’appellativo di gaudenti. L’ordine fu sciolto da papa Sisto V nel 1588. Dante pone Loderingo degli Andalò e Catalano dei Malavolti, due dei primi gran maestri dei Gaudenti nella sesta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno (tra gli ipocriti), ove li descrive costretti a vagare per l’eternità sotto il peso di pesantissime cappe di piombo ricoperte da oro zecchino. Essi erano stati 20
chiamati a Firenze e insieme nominati Podestà, perché agissero come pacieri ed evitassero tumulti e disordini, in un momento di sopravvento della fazione guelfa. Di nascosto, invece, essi sostennero la parte guelfa e ne favorirono la vittoria, a seguito della quale fecero distruggere e incendiare le case degli Uberti, di fazione Ghibellina. Al tempo di Dante lo scempio delle abitazioni di quella famiglia era ancora visibile nella zona Gardingo, prossima a Piazza della Signoria. “E l’un rispuose a me: «Le cappe rance son di piombo sì grosse, che li pesi fan così cigolar le lor bilance. Frati Godenti fummo, e bolognesi; io Catalano e questi Loderingo nomati, e da tua terra insieme presi, come suole esser tolto un uom solingo, per conservar sua pace; e fummo tali, ch’ancora si pare intorno dal Gardingo»” D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, vol.1, Inferno, vv.100-108
CAPITOLO 2
Il convento di Sant’Agata dalla fondazione al rifacimento settecentesco della chiesa
2.1 I Teatini e la fondazione del monastero di Sant’Agata Nel 1590 si decide di introdurre in Bergamo l’ordine riformato teatino e a tal scopo viene rivolta la richiesta al loro Padre Generale. La loro chiamata è verosimilmente da attribuire all’intercessione del Vescovo Giovan Battista Mi-
lani, che aveva militato tra le fila di quell’ordine riformato. Le cose vanno però per le lunghe e solo nel 1598 un gruppo di padri provenienti dal monastero di Venezia giunge nella città. Essi risiedono prima nella chiesa di San Michele
Fig 1 Cfr. nota 1 22
23
D.CALVI, Effemeride sagro-profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, sua diocese, et territorio da suoi principii fin’al corrente anno. Et in tre volumi divisa, contenendosi quattro mesi per ciascun volume. Bologna, A. Forni, 1676-77, vol. I, p. 247. 2 Ivi, p. 352. 1
Ivi, p. 118. Cfr. G.SPINELLI, Gli ordini Religiosi (1428-1810), in Storia religiosa della Lombardia, Diocesi di Bergamo, Brescia, La Scuola, 1988, p.226 5 Il documento, conservato nell’Archivio Segreto del Vaticano è citato in AA.VV, La chiesa e la casa teatina di Sant’Agata in Bergamo Alta, in “Regnum Dei”, 1990, p. 91 6 B.C.B, Fondo Azioni, fascicolo 52, p. 53 3 4
Fig. 2 Cfr. nota 2
all’Arco e poi in quella di San Simone e Giuda alla Masone. Di tali vicende ci informa il Calvi fra gli avvenimenti relativi al 24 febbraio “1590 Hoggi fù nel maggior consiglio della Città stabilita & fermata l’introduttione in Bergamo de Padri Chierici Regolari, detti Teatini à honor di Dio, & beneficio dell’anime, fattosi il decreto di scriver al Generale loro, perche si contentasse di mandar suoi Religiosi, che sarebbero stati provisti di conveniente habitatione 1”. (fig. 1) Lo stesso studioso riferendosi al 30 novembre del 1598 afferma poi: “sotto gli auspicij di Gio. Battista Milani Vescovo & Girolamo Cornaro Podestà entrorno li PP. Teatini nella Citta nostra, 24
a quali per abitatione fù per all’hora destinata et assegnata la casa et Chiesa di San Michele all’Arco” 2. (fig. 2) I teatini, nel trasferirsi a Bergamo portarono sicuramente con sé vari oggetti liturgici. Purtroppo allo stato attuale delle ricerche è stato possibile individuare solo la spendida Croce Astile ora conservata nel Museo e Tesoro della Cattedrale della città. Cfr. p.p. 64-65 I monaci si trasferiscono poi presso la chiesa dei Santi Simone e Giuda prima di stabilirsi definitivamente a sant’Agata il 13 Gennaio del 1600. Infatti, come sempre scrive il Calvi riferendosi all’anno 1600“ havendo li Teatini il luogo della Magione abbandonato, dato loro l’anno antece-
dente sotto li 13 corrente [gennaio], hoggi con l’approvatione della Città si ritirarono alla Chiesa di S. Agata, ove pur fino à nostri giorni, con singolar profitto dell’anime, tengono l’albergo. Per molti anni hanno quì habitato angustissime case, ma poi essendovi Preposito Lorenzo Biffi, gettate con spesa indicibile le fondamenta di nuovo Monastero, vi fu eretta la nobilissima fabrica c’hor si vede, & che qunatunque non terminata, pur n’appalesa il dissegno & architettura del rimanente, ch’in riguardo al sito, altezza, disposizione & numero delle officine, si rende maravigliosa. Qui trovasi una dovitiosissima Libreria superiore non solo ad ogni altra di Bergamo, mà che nel numero de libri, specialmente di materie sagre & canoniche, gareggia con molte delle prime d’Italia, & sono li Teatini al numero di venti 3”. (fig. 3) I Padri Carmelitani, che occupavano il monastero contiguo, non videro di buon occhio l’arrivo dei teatini e tentarono di impedirne l’insediamento facendo appello a un privilegio loro concesso da Sisto IV, ma persero la causa. Il Vescovo Milani autorizzò i Teatini a svolgere la funzione di confessori nei monasteri femminili, diritto condiviso solo con i francescani e tale privilegio destò notevole malcontento tra le altre congregazioni religiose 4. Al 31 marzo del 1609 risale la Bolla Pontificia di Paolo V che assegna ufficialmente la chiesa di Sant’Agata ai Teatini 5. Già da prima i monaci avevano però provveduto ad avviare i lavori per la costruzione del monastero e la modifica della chiesa. Il 22 marzo 1610 si concede ai Teatini “Il condur a perfettione solamente la fabrica incominciata della sagrestia della loro chiesa, quale di lunghezza braccia 17 quarti trei, et di larghezza braccia 67,
Fig. 3 Cfr. nota 3
mentre in altezza non eccede il Choro d’essa chiesa” 6. I lavori di trasformazione e rinnovamento dovettero essere assai solerti e coinvolsero anche la decorazione pittorica della chiesa. E’ infatti a questo periodo che risalgono le pale d’altare di Andrea Salmeggia detto il Talpino di cui ci occuperemo più diffusamente nell’appo25
7 A.C.V.Bg.. Visite Pastorali,Vescovo Cornelio, 1624 , vol.42, p. 113-119
Fig. 4 Cfr. nota 7
sita sezione. I monaci forse si rivolsero a questo maestro bergamasco perché affascinati da una tela che verosimilmente trovarono in loco quando presero possesso dell’edificio. Essa risulta infatti datata 1590, cioè alcuni anni prima del loro arrivo a Bergamo e rappresenta il Battesimo di Cristo, soggetto del tutto coerente con la funzione parrocchiale svolta ormai da secoli
dalla chiesa di Sant’Agata. Al maestro i monaci commissionarono anche la tela con la raffigurazione del martirio di Sant’Agata, datata 1620, che costituisce uno dei vertici della pittura dell’artista, e quella con la morte di Sant’Andrea Avellino, che pur essendo firmata e datata 1624, è riferita dalla critica alla prevalente collaborazione del figlio o di aiuti. La data di quest’ultimo dipinto coincide con la beatificazione dell’Avellino, destinato a diventare uno dei santi principali dell’ordine. Tutte e tre le tele al momento della soppressione della chiesa sono state trasferite nella attigua chiesa del Carmine, dove tutt’ora si trovano. Nel 1624 il vescovo Cornelio in visita pastorale lascia una descrizione della chiesa: “La chiesa di sant’Agata in Bergamo è parochia. Quando vi sia stata fondata non si sa, si dice che non è consacrata. Non ci sono corpi di santi che si sappia, ha il coro fatto à ciltro. Ha due cappelle, una dedicata a S.to Giovanni, l’altra a S.ta Agata intitolata La Madonna alla quale si obbliga il Venerando Hospitale grande di far celebrare trei messe alla settimana. Ha il tabernacolo foderato di damasco rosso. Ha il batistero di pietra con una di rame. Ha cinque finestre con le sue invetrate. Ha la casa contigua alla chiesa et l’infrascritti mobili… 7”. (fig. 4) Fra gli oggetti di proprietà della parrocchia idonei allo svolgimento delle cerimonie sacre nella relazione della visita pastorale è citata anche una croce d’argento, identificabile in quella dorata ora nel Museo e Tesoro della Cattedrale di Bergamo, che proviene appunto dalla chiesa teatina di Città Alta. E’ probabile che attorno all’anno in cui si scatena la manzoniana epidemia di peste i Teatini
8 B.BELOTTI, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Bergamo 1940, vol. IV, p. 145 9 E.AGAZZI, Gli edifici dal Medioevo al 1962, in Il colle di San Giovanni, vol.1 Storia e Arte, Gorle, Bergamo 1996, p. 34 10 D.CALVI, op cit., 1676, vol.3 p. 59
chiedano al famoso architetto Cosimo Fanzago di Clusone un progetto per ricostruire la propria chiesa. L’ipotesi è suffragata da quanto scrive Bortolo Belotti: “Il 25 Maggio dello stesso anno 1631 poi, in adempimento del voto fatto dalla Città il 28 giugno 1630, fu posta con grande solennità la prima pietra della chiesa votiva di Santa Maria del Monte Santo, detto Monte San Giovanni, che è l’attuale chiesa del Seminario... Il disegno era lo stesso della chiesa che Cosimo Fanzago, clusonense, venuto in grande fama a Napoli, aveva predisposto per la Chiesa di Sant’Agata dei padri Teatini, quindi suntuoso e monumentale 8.” L’Agazzi afferma inoltre, a proposito della chiesa di Santa Maria di Monte Santo, che “si ritiene senza sicuro fondamento che il progetto fosse dell’architetto Cosimo Fanzago di Clusone, mentre si ritiene sia del celebre architetto il progetto predisposto per la chiesa di S.Agata,
commissionato dai padri Teatini; progetto poi donato dagli stessi Padri alla Città per la costruzione della chiesa in voto alla peste” 9, identificabile quasi sicuramente con la chiesa dedicata alla Madonna della Neve della parte bassa della città. E’ assai verosimile che la chiesa di Sant’Agata non sia mai stata trasformata secondo il disegno del Fanzago. Infatti, a giudicare dalle architetture realizzate ispirandosi ad esso e dagli edifici coevi dell’architetto, il disegno doveva prevedere una pianta centrale, di cui non v’è traccia né nelle fonti, né nella struttura architettonica dell’edificio teatino. L’undici maggio 1642, secondo quanto sostiene il Calvi “ad imitatione della famosissima devozione che in Fiandra fiorisce sotto l’invocatione della Beatissima Vergine del buon successo, hoggi nella Chiesa di S.Agata de Padri Teatini fù somigliante devozione felicemente introdotta, erettasi a questo fine la Statua della Generatrice di Dio, & con musiche, e con altre dimostrazioni di giubilo & allegrezza solennizzata , per la prima volta la festa. Era Domenica terza dopò Pascha, nel cui giorno ogni anno se ne rinnovano, con molto concorso di popolo, le memorie 10”. (fig. 5) Per quanto invece concerne il convento ci è di prezioso ausilio un documento redatto nel 1650, in cui troviamo “il monastero di S.Agata dell’Ordine dei Chierici Regolari Theatini, situato dentro la città di Bergamo, dentro il recinto della fortezza, in mezzo alle due piazze di detta città, fù fondato et eretto l’anno 1608, 19 agosto, col consenso dell’Ill.mo e R.mo sig.r Giovanni Battista Milani, all’hora Vescovo di Bergamo e con l’autorità della felice memoria di Paolo V, che per rassegna del Molto Rev. P.re Lanfredo Maffeis Rettore della chiesa
Fig. 5 Cfr. nota 10 26
27
11 M.CAMPANELLI G.GALASSO, I Teatini,1987, p.226 (già pubblicato in E. CAMOZZI, Le istituzioni monastiche e religiose a Bergamo nel Seicento : contributo alla storia della soppressione innocenziana nella Repubblica veneta, Bergamo, Tipografia vescovile G. Secomandi 1981, pp. 298-303 12 Ibidem. 13 A.C.V.Bg. Visite Pastorali, Vescovo Barberigo, 1659, vol. 48, pag. 19,105,106. Corno dell’epistola (cornu epistulæ) si trova a destra di chi guarda verso l’altare, e corno del vangelo (cornu evangelii) a sinistra: espressioni che dipendono dal fatto che nella liturgia antica il messale doveva essere poggiato alla destra del celebrante (che volgeva le spalle ai fedeli) fino alla lettura dell’epistola, mentre dalla lettura del vangelo in poi veniva spostato alla sua sinistra. Se ne deduce che l’altare di San Giovanni Battista si trovava a destra della chiesa, mentre quello di Sant’Agata sul lato opposto, collocazione che vedremo manterrà fino alla soppressione dell’edificio.
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Fig. 6 Cfr. nota 13
parrocchiale di S. Agata, trasferì et unì la casa parocchiale, chiesa, entrate ed obventioni di qualsivoglia sorte nella Congregatione de Chierici Regolari, per stabilirvi una Casa Regolare, secondo l’instituto della loro Congragatione” 11. La relazione continua con la descrizione della chiesa e del nuovo monastero così definiti: “ha la Chiesa sotto il titolo e invocazione di Sant’Agata et è di struttura e fabrica condecente. Item il monastero che si habita di presente è più tosto vecchio e piccolo, però di competente habitatione. Ha celle numero 24 , una sala, una stanza per la porteria, una per il vestiario, una per la libraria, una per il refettorio, una per la cantina e un’altra per la cucina, con un poco di giardino. Item la fabrica nuova di tutta la Casa assai bene incaminata, con speranza di finirla. L’anno 1624 con l’autorità del Capitolo generale vi fù prefisso il numero di 24 e di presente vi habitano di fameglia Sacerdoti numero12 e Laici numero7” 12. Stupisce che il monastero,
iniziato nel 1608 non sia ancora abitato nel 1650, come risulta dal fatto che quello in cui i monaci risiedono in quella data è definito piuttosto vecchio e piccolo. Vedremo tuttavia che ancora negli ultimi decenni del secolo la fabbrica risulta incompiuta. Nella visita pastorale del 1659 il vescovo Gregorio Barbarigo e il suo delegato Girolamo Carminati redigono un’altra descrizione della chiesa “…ha trei altari, cioè quello di mezzo con il tabernacolo del Santissimo Sacramento, e sopra l’immagine della Beata Vergine; il secondo del corno dell’evangelio col titolo di Sant’Agata; il terzo del corno dell’epistola col titolo di San Giovanni Battista; nel maggiore vi è la confraternita del Santissimo Sacramento aggregata, et ministrata da secolari, è ben fornita di suppellettili ecclesiastiche tenute dalli sudetti M.M. R.R. Teatini patroni 13.” (fig. 6) Nessuna notizia innovativa ci giunge invece dalla relazione della visita del vescovo Giustiniani del 1668 e da quella del 1699 del vescovo Ruzini che cita ancora “tre altari con pietre portatili”. Il 12 aprile del 1671 viene canonizzato San Gaetano Thiene e nel 1676-77 il Calvi afferma che la parrocchiale di Sant’Agata “e chiesa piccola con tre altari, maggiore, de Santi Gio. Battista, & Gaetano & di sant’Agata; al primo è la statua della Beatissima Vergine detta del buon successo di cui si rinuova annualmente la solennità la terza Domenica dopò Pascha; alli altri due sono pitture mano d’Enea Salmezza, detto Talpino, mà tanto nel disegno & colorito diverse, che se ad ambe nò fosse il nome dell’auttore affisso, si potrebbe creder di diverso penello. E pur ricca questa Chiesa di sagri depositi, quì giacendo i corpi di Sant’Antonio
14 D.CALVI, Op. cit., vol.1 pp. 2-3 15 Cfr. Ivi, p. 118.
martire, che si festeggia il 15 Decembre, & S. Lucia Vergine, & martire di cui corre il giorno alli 25 Giugno. Altre nobili reliquie gode di diversi pezzi d’osso, di S. Agata, del B.Andrea Avellino, & di S. Rosalia Vergine Palermitana, donato quest’ultimo da Monsign. Bonifacio Agliardi Vescovo d’Adria, à cui era stato dalla città di Palermo per special gratia concesso. La cura è aggregata alla religione con obligo di farla essercitar da un Sacerdote secolare. Qui li trè ultimi giorni di Carnevale, con grande devotione, e concorso stà esposto il Santissimo, & ogni Venerdì, la Quaresima, con l’annesso di sagro discorso. V’è la devotione di S. Gaetano in molto credito, & stima. Tien organo, & cantoria sopra cui s’odono di frequente musiche melodie; è ben provista di sagri arredi, & sono nella Parochia altre Chiese, & Oratorij, che sono la Chiesa, & Monastero del Carmine, la Chiesa, & Collegio delle Dimesse sopr’il monte già detto di S. Giovanni, la Chiesa di S. Pietro in colle aperto de disciplini di S. Maria Maddalena, & li Oratori ò Capelle delli due Palazzi del Capitanio, & Camerlengo. In S. Agata si congrega la nobil Compagnia della Charità per le fontioni sue, & l’anime della Parochia sono 1120” 14. (fig. 8) Per quanto riguarda il convento riferisce invece, come già accennato, che non era giunto ancora a compimento, sebbene se ne potessero intuire la bellezza e grandiosità da quanto già realizzato. 15 Non è dato sapere se alla fine i monaci teatini completarono la costruzione del proprio monastero bergamasco, al cui probabile progetto originario abbiamo dedicato un approfondimento, ma certo è che a distanza di circa trenta anni dalla redazione del testo del Calvi essi provvidero ad ampliare l’edifi-
Fig. 8 Cfr. nota 14
cio ecclesiastico facente parte della struttura, di cui rinnovarono integralmente anche la decorazione muraria. Sebbene non esista alcuna prova documentaria ci sembra abbastanza improbabile che i religiosi procedessero a tali lavori lasciando in sospeso la costruzione del quarto braccio del chiostro e del monastero, attribuendo definitivamente ad esso l’aspetto sgraziato e un po’ monco che attualmente lo caratterizza. Siamo pertanto più orientati a credere che il cenobio sia stato pesantemente rimaneggiato in date successive con l’eliminazione di un settore che era stato sicuramente previsto. 29
2.2 Alcune ipotesi sulla struttura originaria del convento
Abbiamo ipotizzato che il convento di Sant’Agata, che si rivela armonioso e curato nelle parti superstiti, in origine non potesse essere concluso con l’informe e sgraziato muro visibile sul lato approssimativamente occidentale dell’ex cenobio. Ne è conseguita la ricerca di quale potesse essere la soluzione originariamente prevista dai monaci
teatini per la propria Casa bergamasca (fig.1). Nessun documento certo è venuto in nostro soccorso, ma vari indizi ci hanno spinti a supporre che, come la quasi totalità dei chiostri monastici, quello di Sant’Agata avesse una struttura quadrangolare e fosse costituito da quattro bracci percorribili, in cui dovevano trovare posto due degli ambienti più significativi della vita comunitaria: il Refettorio e la Sala del Capitolo.
Fig. 1: veduta aerea tratta da Pictometry- Compagnia Generale Ripese aeree
Fig. 2: Planimetria stampata a Venezia con data 1626
2.2.1 Il quarto braccio del chiostro
30
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Fig. 3: Planimetria disegnata da Giovanni Macheri, incisa da Pietro Micheli dedicata a Francesco Amadeo Martinengo Colleoni stampata a Venezia con data 1660.
Fig. 5: Contrafforte e arco a tutto sesto sul lato Nord del chiostro.
Fig.4: Planimetria disegnata da Stefano Scolari derivata dalla stampa del Macheri con modifiche; stampata in Venezia nel 1680 circa. 32
Non siamo a tutt’oggi riusciti a stabilire se l’ipotesi da noi formulata vada riferita a un progetto originario mai realizzato o a un pesante intervento di ristrutturazione successivo alla sua realizzazione. A favore della prima possibilità stanno le fonti bergamasche, che sottolineano in varie date come la costruzione dell’edificio, avviata
Fig. 6: Pianta del primo piano con ipotesi del quarto braccio.
33
Queste sono le incongruenze dell’attuale edificio che ci hanno indotto a formulare l’ipotesi di un quarto braccio: 1) il contrafforte visibile nel cortile sul braccio approssimativamente a Nord fa pensare per il suo spessore ad un muro perimetrale avviato o realizzato e successivamente abbattuto. Con esso termina la continuità del
1 M.CAMPANELLIG:GALASSO, I Teatini,1987, p.226 (già pubblicato in E. CAMOZZI, Le istituzioni monastiche e religiose a Bergamo nel ‘600,in “Bergomum” 1981, pp. 298-303); D.CALVI, Effemeride sagro-profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, sua diocese, et territorio da suoi principii fin’ al corrente anno. Et in tre volumi diuisa, contenendosi quattro mesi per ciascun volume. Bologna, A.Forni, 1676-77, vol.1 p. 59; A.C.V. Bg., E.Fornoni, Bergomensis Vinea, ms.s.d. ma riferibile all’inizio del XX secolo 2 La carta, intitolata Disegno della Città e borghi di Bergomo, è conservata nell’Archivio di Stato di Venezia
Fig. 8: Particolare della pianta del primo piano del progetto realizzato da Pollack.
Fig. 7: Sala voltata nel primo piano
nel più promettente dei modi, non sia stata mai del tutto completata1. A parziale supporto della seconda viene un’anonima planimetria della città del 16262, in cui risulta visibile il fatidico quarto braccio (fig. 2). Da questa carta dipendono sia quella disegnata da Giovanni Macheri e stampata a Venezia con data 1660 (fig. 3), sia l’ analoga mappa eseguita da Stefano Scolari, e stampata sempre a Venezia nel 1680 circa (fig. 4). Ovviamente questo farebbe propendere per ritenere che in quelle date il lato situato più o meno ad Occidente del chiostro fosse stato realizzato per poi essere drasticamente trasformato in epoche 34
portico su questo lato (fig. 5). 2) sul fianco sinistro dello stesso si trova un arco trasversale, che potrebbe essere la parte iniziale dell’ordine inferiore del quarto braccio da noi ipotizzato. La parte superiore dello stesso si trova in corrispondenza della cornice marcapiano che delimita il lato contiguo. Il quarto braccio poteva quindi parti-
successive, ma in realtà questa è tutt’altro che una certezza. Infatti la realizzazione delle vedute cittadine, come delle carte geografiche, era nel Seicento estremamente complessa, non solo perché era impossibile una visione aerea degli edifici e dei territori, ma anche a causa della difficoltà di visitare gli stessi nella loro totalità o in alcune delle loro parti. Pertanto la loro riproduzione presupponeva semplificazioni e stilizzazioni che, nel caso specifico potrebbero aver portato gli autori a disegnare come già realizzate parti del convento solo progettate o ad aver seguito la convenzionale simbolizzazione grafica dello stesso (elemento rettilineo con alcuni archi o finestre). D’altra parte anche la chiesa che, in considerazione del punto di vista da cui sono eseguite le tre mappe, dovrebbe mostrare la zona absidale, viene convenzionalmente indicata con una struttura riferibile ad una generica facciata.
Fig. 9:Volta a crociera del secondo piano. 35
Fig. 10: Particolare della pianta del secondo piano del progetto realizzato da Pollack.
re da qui e andare in direzione dell’ex chiesa di sant’Agata formando con il resto dell’edificio una pianta quadrangolare (fig.6 ). 3) Sul lato situato approssimativamente a Settentrione si trova, in corrispondenza del piano della chiesa (qui definito primo piano) un’ampia sala voltata di orientamento chiaramente ortogonale rispetto al resto della struttura architettonica (fig.7). Si tratta probabilmente dell’inizio del livello superiore del quarto braccio. Per altro sottolinea la particolarità di questo vano il fatto che fino al 1802 esso non era chiuso e si affacciava direttamente sull’ampio corridoio, come risulta chiaramente dalla pianta che il Pollack realizzò in vista della trasformazione del monastero in carcere, dove il muro di chiusura è colorato di rosso, come tutte le altre parti che dovevano essere realizzate ex novo (fig. 8). 4) Al di sopra della sala appena citata, nella zona del corridoio del piano superiore, è 36
presente una volta a crociera che ipotizziamo potesse essere l’incrocio con il braccio occidentale al secondo piano. Infatti prima e dopo questa volta nell’ampio corridoio voltato a botte, a livello del piano di imposta, corre una cornice che manca solo nella zona della crociera (fig. 9). Un’identica cornice si trova, ma con orientamento trasversale, nelle due celle contigue, alla destra e alla sinistra del corridoio: le uniche non voltate a crociera di tutto questo piano. Saremmo da ciò indotti a pensare ad un allungamento del corridoio, e dell’intero braccio Nord, effettuato in date non precisate per problemi di spazio. Anche il disegno del Pollack relativo a questo livello mostra che originariamente la cella sul lato di via del Vagine non era separata dal corridoio attraverso un muro che, infatti , viene previsto in quella occasione. (fig.10). 5) Inoltre, osservando la pianta dell’edificio, notiamo che il braccio a ridosso dell’antica chiesa è più corto di circa due stanze rispetto al braccio Nord. (fig. 6) 6) Oltre a quanto già detto, osservando la facciata su via Vagine, si nota che la parte di edificio sulla destra del grande portone d’ingresso (in asse con la già citata arcata presente nel cortile interno) pare posticciamente aggiunta al corpo originario. Infatti quest’ultimo sembrava doversi conclude con il paramento murario perfettamente rifinito su due lati ancor oggi parzialmente visibile, che probabilmente costituiva in origine uno degli angoli esterni del convento. A qualche centimetro di dislivello ad esso si aggrappa un’altra porzione di muratura che internamente contiene due celle per piano. In corri-
Fig. 11:Vista da Via Vagine dell’edificio, con ipotetica parte aggiunta.
spondenza di questa sfalsatura si interrompe anche la cornice che corre lungo tutta la facciata e manca proprio sull’ipotizzata aggiunta architettonica (fig. 11). 7) Infine, nel vano a cui si accede dal grande portone si trova una finestra murata posta in alto sul lato destro dell’ingresso, vale a dire sul lato che noi ipotizziamo potesse costituire l’originario muro esterno dell’edificio (fig.12). Probabilmente eseguita per illuminare e arieggiare la sala con un contatto diretto con l’esterno, potrebbe essere stata chiusa nel momento in cui si decise di prolungare il lato del convento lungo via Vagine, magari abbandonando l’ipotesi della
Fig. 12: Finestra murata sul lato destro dell’ingresso su via Vagine
costruzione del quarto braccio del monastero. Estremamente problematico quindi il tentativo di risalire alla struttura dell’antico monastero di Sant’Agata. E’ evidente che solo una ricerca più approfondita e affrontata con mezzi ben diversi da quelli a nostra disposizione, che non ci permettono di effettuare analisi e sondaggi scientificamente verificabili, potranno consentire di avere una risposta sicura. Ci auguriamo che in tempi relativamente brevi chi è preposto alla conservazione di questo splendido, bistrattato, ma anche appassionante bene culturale possa fornire opportune conferme o dinieghi alle nostre ipotesi. 37
2.2.2 La collocazione del Refettorio e della Sala Capitolare nel convento teatino Il refettorio è la sala del convento in cui vengono consumati i pasti. Di solito il refettorio, il dormitorio, i locali della foresteria e della portineria sono quelli raggruppati intorno al chiostro che è generalmente quadrato, ed è considerato il cuore del monastero, perché è il centro della vita dei monaci, così come lo è della disposizione dei vari ambienti dell’abbazia stessa. Il refettorio generalmente è posto anche vicino alla dispensa o alla cantina per agevolare il trasporto dei cibi. Il salone nella maggior parte dei casi è rettangolare ed è talvolta diviso in campate sorrette da pilastri. Il Refettorio è uno degli ambienti essenziali del monastero perciò, assieme alla cucina, è fra i primi ad essere costruito. In Sant’Agata il refettorio poteva essere collocato in una delle due grandi sale che si affacciano sul chiostro, vale a dire o quella a Nord o quella a Est dello stesso. Propendiamo per identificarlo con il primo ambiente, che ha al di sotto un’ampia zona che avrebbe potuto perfettamente svolgere la funzione di cantina e di dispensa essendo interrata su più lati ed essendo praticamente priva di finestre. In tutti i monasteri la Sala Capitolare è l’am38
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Luogo in cui è ipotizzabile il Refettorio in S.Agata.
biente più importante dopo la chiesa. Qui l’abate istruisce i monaci, si leggono i capitoli della Regola (da questo il nome di Sala Capitolare) si eleggono gli abati, si ammettono i candidati al noviziato, si decretano le punizioni, si decide in merito alla fondazione di una nuova abbazia e si 40
dà l’estremo saluto ai defunti. In genere si trova vicina all’ abside della chiesa ed ha un collegamento con il chiostro. In Sant’ Agata potrebbe essere riconosciuta nella grande stanza che si trova al piano terra nel braccio centrale (Est) dell’edificio.
Luogo in cui è ipotizzabile la Sala Capitolare in S.Agata. 41
Facciata del lato Nord
2.2.3 Le facciate prospicienti il chiostro Tramite il lavoro di laser scanner realizzato dal professor Cardaci e osservando le piante del Pollack abbiamo ipotizzato l’aspetto originario delle facciate del convento di Sant’Agata prospicienti il cortile. Nella parte inferiore del lato a Nord doveva trovarsi un porticato costituito da una serie di alti archi a tutto sesto, alternati a lesene di ordine do-
rico. Essi risultano ancora chiaramente aperti nei disegni realizzati nel 1802 dal Pollack, che anzi fa riferimento al portico dichiarandolo idoneo al passeggio dei detenuti nei giorni di pioggia. Abbiamo modificato la fotografia della facciata odierna aprendo gli archi e le finestre oggi murati. Per quanto concerne il lato a Est abbiamo eliminato la parte superiore, costruita dopo la soppressione del convento per ampliare la capienza
Facciata del lato Est 42
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Facciata del lato Sud
del carcere. Si sono rimossi i tamponamenti delle finestre e delle porte, anche se relativamente a queste ultime non va esclusa l’ipotesi che siano state progettate fin dall’origine come cieche ad eccezione di quella a sinistra. Relativamente alla facciata del lato Sud secondo le piante del Pollack in basso a sinistra 44
doveva trovarsi una finestra, anziché una porta. Abbiamo aperto le finestre oggi occluse. Siamo propensi a credere che nella parte superiore della facciata le finestre avessero la stessa dimensione di quelle sottostanti, come sembra indicare l’incorniciatura dipinta che ancor oggi si intravede sull’intonaco.
2.3 Opere presenti nel convento in quel periodo e ancora rintracciabili Fig. 1 Enea Salmeggia, Madonna del latte, Chiesa di S. Lazzaro, Bergamo, 1590 Fig. 2 Enea Salmeggia, Resurrezione di Lazzaro, Chiesa di S. Lazzaro, Bergamo, 1590
1 F. M. TASSI, Vite dei pittori, scultori e architetti Bergamaschi, vol. 1, Bergamo, Locatelli, 1773 (ed. postuma), p. 212
2.3.1 Enea Salmeggia detto “il Talpino” LA VITA Stando a ciò che scrive il Tassi “Enea Salmeggia praticò a Milano col Procaccini, e per 14 anni studiò in Roma sì esattamente le opere di Raffaello, che le sue pitture sono state stimate di quel gran maestro, come il S.Vittore a cavallo nei Coro de’ Padri Olivetani di Milano. Morì l’anno 1626”1. Del viaggio a Roma dell’artista, però, non si hanno pro46
ve; molti critici hanno pertanto dubitato del testo sopra riportato, trovando il Tassi troppo campanilista, visto che, oltre a sostenere la magnificenza delle opere dell’artista su scala nazionale, lo paragona addirittura a Raffaello. Il Tassi redige inoltre un elenco delle opere realizzate dal maestro nel corso del tempo e ne fornisce talvolta brevi descrizioni. Tra esse compaiono anche le tre tele della chiesa di Sant’Agata, cioè “la tavola col martirio di detta Santa [Agata] […] un quadro col battesimo di Cri47
Fig. 3 Jacopo e Francesco Bassano, Cristo in casa di Marta, Maria e Lazzaro, Sarah Campbell Blaffer Foundation, Houston, 1577 Ivi, pp. 213-214 Cfr.Talpino, Enea da Salmezza, dei Gherardi Tempini, detto Talpino († 1626), a cura di U. RUGGERI, in Monumenta Bergomensia, XVI, Bergamo, 1966, p.12 4 F. NORIS e U. RUGGERI, Francesco Salmeggia, in I Pittori Bergamaschi dal XIII al XIX secolo, Il Seicento, vol. II, Bergamo, Bolis, 1984, pp. 316-319 5 U. RUGGERI, Enea Salmeggia detto il Talpino, in I Pittori Bergamaschi dal XIII al XIX secolo, Il Cinquecento vol. IV, Bergamo, Bolis, 1978, p. 250
Cfr.Talpino... cit.., p. 10 G. NICODEMI, Le note di Sebastiano Resta a un esemplare dell’Abecedario Pittorico di Pellegrino Orlandi, in Studi in memoria di Mons. Angelo Mercati, Milano, 1956, pp. 313-314 8 Cfr.Talpino... cit…, p.13 9 Cfr. Ivi., pp.13-14 10 Cfr.Talpino... cit.., p. 14 11 Cfr. Ivi., p. 15 6 7
2 3
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Fig. 4 Enea Salmeggia, Battesimo di Cristo, Chiesa di Sant’Agata nel Carmine, Bergamo, 1590
sto; ed altro in fondo alla sagristia con Sant’Andrea Avellino”2. Verso la fine del testo edito del Tassi si trova poi la trascrizione di alcune pagine che gli erano pervenute di un trattato del suddetto artista, rimasto a livello di abbozzo. In questo documento sono enunciate le regole per una buona resa prospettica ed alcuni schizzi per aiutare i neo-pittori a comprendere meglio le diverse età dell’uomo e le varie proporzioni anatomiche ad esse associate. Grazie a questi appunti sparsi possiamo entrare nella mentalità del Talpino, che considerava disdicevole dipingere senza seguire le regole delle proporzioni, e disprezzava quindi l’arte manierista. Sebbene i dubbi sulla data di nascita dell’artista non siano ancora stati dissipati, dopo un’approfondita analisi delle fonti, la critica è arrivata a stabilire che tale la data oscilla tra il 1546 ed il 1558. La mancanza di dati precisi si deve alla distruzione dei
registri dell’anagrafe della frazione di Nembro dove l’artista nacque. Elementi che aiutano a stabilire l’arco di tempo in cui poté nascere sono essenzialmente due: - il contratto in cui il padre, Antonio Salmeggia, fa da garante al figlio per l’Adorazione dei Magi del 1594 per la Confraternita della Misericordia.3 - la nascita del figlio Francesco nel 1602, data deducibile dall’atto di morte4. Nonostante quanto sostenuto dal Tassi non vi sono prove certe di un soggiorno, per altro ultradecennale, del Talpino a Roma. Le uniche prove tangibili parevano consistere in una copia effettuata dal maestro dello Spasimo di Sicilia di Raffaello conservata nella chiesa di S. Andrea della Valle e nella Visitazione di proprietà del Vescovo di Faenza attribuita al Talpino, ma, dopo un’attenta analisi delle opere, Ugo Ruggeri ha concluso che nessuna di esse pare essere del suddetto artista5. Stando comunque ad
Fig. 5 Giulio Campi, Orazione nell’orto, Pinacoteca Ambrosiana, Milano, XVI sec.
altre fonti quali Sebastiano Resta6 parrebbe esserci stata un’opera dell’artista bergamasco nella capitale italiana, un S. Sebastiano, sempre conservato nella chiesa di S. Andrea della Valle7, ma, non avendo delle prove tangibili della sua esistenza, nessuno può né confermare né escludere a priori il soggiorno laziale del Salmeggia. Sempre secondo il Ruggeri8 l’anno di nascita potrebbe addirittura essere spostato attorno agli anni 1565-1570. In questo modo diventerebbero più plausibili i vari influssi visibili nelle opere del Salmeggia, come quelli dei Campi e del Procaccini.9
La vita del Salmeggia è comunque una grande incognita, così come la sua attività pittorica; senza avere una data di nascita precisa non si è sicuri dei suoi spostamenti in Italia, così come in Lombardia. Sappiamo con certezza, però, la data della sua morte, segnata nel registro dei morti della Chiesa di Sant’Alessandro in Colonna, in data 23 Febbraio 1626. Enea lascia il suo posto ai figli Francesco e Chiara, entrambi pittori che, assieme ad alcuni “talpini” provenienti dalla sua bottega, continuano il suo lavoro. LO STILE Le prime opere conosciute del Talpino sono la Madonna del Latte (fig.1) e la Resurrezione di Lazzaro (fig.2), originariamente unite nello Stendardo di S. Lazzaro. Quest’ultimo, firmato e datato 1590, presenta caratteristiche bassanesche10, come risulta dal confronto della donna in piedi del “Cristo in casa di Marta, Maria e Lazzaro” di Jacopo e Francesco Bassano (fig.3) con la Madonna allattante dell’opera del Talpino: stessa forma del viso, corporatura pressoché identica, e vestiario simile. In questo contesto artistico si colloca anche il Battesimo di Cristo (fig.4), dello stesso anno, ove troviamo anche un influsso del cremonese Giulio Campi11. A sostegno di questa tesi, basta mettere a confronto l’opera sopracitata con l’Orazione nell’orto del Campi (fig.5): la scelta di inserire una forte illuminazione in un paesaggio sostanzialmente scuro, nonché le figure sulla sinistra (l’angelo del Campi e il Battista del Talpino, nella medesima posizione) sono probabilmente una conseguenza dello studio da parte del Salmeggia del pittore cremonese. In conclusione, in questo primo periodo, troviamo un pittore dedito allo studio di varie scuole del Settentrione d’Italia e ancora alla ricerca di un proprio stile, anche se si può dire che per tutto il corso della 49
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Cfr. Ivi., p. 30
propria attività il Talpino non cessa mai di ispirarsi ad altri maestri, attingendo liberamente dai più vari ambiti culturali e rasentando addirittura l’eclettismo. Tuttavia riesce progressivamente ad uniformare stilisticamente i molteplici influssi attraverso la semplificazione delle forme e la loro accentuazione volumetrica. I soggetti sono rappresentati inoltre in maniera icastica e quasi didascalicamente esplicita, in ottemperanza al carattere didattico richiesto dalla controriforma alle arti figurative. Dal 1600, il Talpino produce un gran numero di opere, frutto dello studio e della sperimentazione delle varie correnti, prendendo in considerazione Giulio Cesare Procaccini, Bernardino Lanino, Bernardino Luini, Cesare da Sesto, i seguaci della scuola bresciano-bergamasca e soprattutto il Lotto, il cui influsso sembra trasparire da ogni sua tela12. Questi i caratteri che connotano le opere dei primi due decenni del Seicento, fra cui vale la pena di ricordare, per il livello dei risultati conseguiti, oltre al Martirio di Sant’Agata al Carmine, la Cattura di Cristo a Milano(fig.7), il Miracolo di San Benedetto nella stessa località(fig.8), Sant’Alessandro che
rovescia le tavole degli idolatri (fig.9), il martirio di Sant’Alessandro(fig.10) dell’Accademia Carrara e i due miracoli di un santo francescano dell’Istituto dei preti del Sacro Cuore di Bergamo (fig.11). A partire dal 1622 circa, invece, le opere cominciano a perdere qualità e ad essere ripetitive, abbandonando quella sperimentazione di stili che contraddistingueva l’artista. Ciò dipende con ogni probabilità dall’avanzamento d’età del Salmeggia, che comincia a farsi aiutare maggiormente dagli allievi della propria bottega e in particolare dal figlio Francesco. Tra questi ultimi lavori, oltre al Sant’Andrea Avellino ora nella Chiesa del Carmine, ricordiamo anche la Nascita di S. Giovanni Battista(fig.12), esempio evidente di un’ampia partecipazione del figlio. Fig. 7 Enea Salmeggia, Cattura di Cristo nell’Orto, Chiesa di Sant’Antonio Abate, Milano, 1612
Fig. 8 Enea Salmeggia, Il Miracolo di San Benedetto, Chiesa di San Simpliciano, Milano, 1619
Fig. 10 Enea Salmeggia, Martirio di Sant’Agata, Accademia Carrara, Bergamo, fine del primo decennio del Seicento
Fig. 9 Enea Salmeggia, Sant’Alessandro che rovescia le tavole degli idolatri, Accademia Carrara, Bergamo, fine del primo decennio del Seicento
Fig. 11 Enea Salmeggia, Miracolo del parto, Istituto dei Preti del Sacro Cuore, Bergamo, inizi del secondo decennio del Seicento
Fig. 6 Enea Salmeggia, Adorazione dei Magi, S. Maria Maggiore, Bergamo, 1595
Fig. 12 Enea Salmeggia, Miracolo della fornace, Istituto dei Preti del Sacro Cuore, Bergamo, inizi del secondo decennio del Seicento
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Battesimo di Cristo
Cfr. U. RUGGERI, Enea Salmezza, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il ‘600, vol. IV, Bergamo, Bolis, 1984, p. 301. 2 Cfr Ibidem. 1
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TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica pittorica, bene mobile. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Enea Salmeggia detto il Talpino Titolo: Battesimo di Cristo al cospetto di alcuni angeli Data: 1590 Collocazione: Bergamo, Chiesa di Sant’ Agata del Carmine, prima cappella a sinistra, parete laterale sinistra, già nella chiesa teatina di Sant’Agata. Tecnica : Olio su tela Dimensioni 150x120 cm Iscrizioni : AENEAS SALMET F. 1590; sul cartiglio in basso a destra Stato di conservazione: si rilevano varie lacune e ampie zone di rifacimento.
Alla sua sinistra troviamo S. Giovanni Battista, inginocchiato su di una roccia e vestito con una pelle di cammello, che con una conchiglia rovescia l’acqua del Giordano sul capo del Cristo, mentre con l’altro braccio si sostiene al bastone crociato recante la scritta “Ecce Agnus Dei”. Alla destra del Cristo sono invece posti tre angeli che, stupiti, osservano l’arrivo del messaggio divino attraverso la colomba bianca. Si tratta di figure compresse in un angolo della tela, di una sola delle quali è visibile l’intera forma del corpo, mentre delle altre possiamo vedere solo le teste. I colori sono prevalentemente scuri, tranne il drappo rosso attorno al corpo del Battista e l’aureola intorno alla colomba.
L’opera rappresenta il Battesimo di Cristo da parte del Battista, mentre in cielo le nuvole si squarciano al passaggio dello Spirito Santo. L’opera è, con lo stendardo della chiesa di San Lazzaro a Bergamo, una delle primissime documentate dell’artista e presenta influssi e orientamenti culturali che nei dipinti più tardi si attenueranno, come l’evidente dipendenza da Giulio Campi1 e da soluzioni di scuola veneziana, con particolare riferimento all’ambiente veronesiano e bassanesco. Cristo è immerso fino alle ginocchia nelle acque del fiume con le mani giunte in preghiera e risulta vestito solo con un drappo attorno ai fianchi; lo sguardo è rivolto a terra con un’espressione tranquilla, di totale accettazione.
Sulla sinistra lo sfondo è pressoché inesistente, dato che la quasi totalità della tela è occupata dalle figure. Alle spalle del Battista troviamo un albero secco, mentre al centro la colomba e la luce da essa emessa sono gli unici sprazzi di colore in mezzo al grigiore delle nuvole. Sul lato destro dell’opera la tela si apre invece in uno sfondato paesaggistico di chiara impronta veneziana. Storia e critica: L’opera, nonostante sia firmata e datata dall’autore, era stata attribuita a Palma il Vecchio dal Pasta2; fu il Tassi, nel 1793, a riconoscerla come opera del Talpino. Sono state rilevate delle ridipinture nei tratti del cielo, del Cristo e degli angeli, il che rende
Cfr. Ibidem.
Figura 2: Resurrezione di Lazzaro. 1590. Bergamo, chiesa di S. Lazzaro. Figura 1: Madonna del latte. 1590. Bergamo, chiesa di S. Lazzaro.
difficoltoso il riconoscimento e l’individuazione dello stile dell’artista e delle sue matrici culturali3. L’opera fu spostata nella chiesa del Carmine in data non precisata, ma sicuramente successiva al definitivo trasferimento della parrocchiale nella ex chiesa del Carmine nel 1799. Confronti con altre opere dell’artista: Lo stendardo della chiesa di San Lazzaro a Bergamo con: la Madonna del latte (fig. 1) e la Resurrezione di Lazzaro (fig. 2) è coevo del Battesimo e infatti manifesta caratteristiche simili.
Figura 1: Madonna del latte. 1590. Bergamo, chiesa di S. Lazzaro.
I personaggi non mostrano quella definizione formale che troviamo in opere più tarde, come il Martirio di S. Agata, e non sono nemmeno così ben caratterizzati. Le scene sono essenzialmente statiche, e anche i pochi personaggi in movimento assumono posizioni stereotipate, come gli angeli nel Battesimo e il Lazzaro risorto nell’omonimo dipinto. I colori si presentano non molto variati e alternati tra chiari e scuri; stesi con ampie campiture, sono immersi in una luce vespertina di lontana matrice giorgionesca, che dona delicatezza ai dipinti.
Figura 2: Resurrezione di Lazzaro. 1590. Bergamo, chiesa di S. Lazzaro.
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Rilievo grafico-pittorico Analisi morfologica dell’opera con campionature del colore, studio di particolari , bozzetto dell’insieme e schizzi ad acquerello e matita.
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Martirio di Sant’Agata
TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica pittorica, bene mobile. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Enea Salmeggia detto il Talpino Titolo: Martirio di Sant’Agata Data: 1620 Collocazione: Bergamo,Chiesa di Sant’ Agata del Carmine, 5° cappella sinistra , sopra l’altare, già nella chiesa teatina di Sant’Agata Tecnica : Olio su tela Dimensioni 229x140 cm Iscrizioni : AENEAS SALMET F. MDCXX sul gradino in basso a sinistra Stato di conservazione: apparentemente abbastanza buono. La Santa martirizzata, protagonista dell’opera, è posta leggermente sulla sinistra e, assieme all’angelo nella parte superiore dell’opera, è l’unica figura completamente illuminata. Anche se riprodotta durante un momento in cui era prigioniera del proconsole Quinziano, verso la metà del III secolo, la donna indossa vesti di foggia seicentesca dai colori sgargianti e di buon tessuto, probabilmente utilizzati dall’autore per evidenziare lo stato sociale di Agata, che era una nobildonna. Anche l’acconciatura, in teoria scomposta, ricade con eleganza e ricercatezza sul busto seminudo della Santa. Le figure dei carnefici non solo sono adombrate, specialmente nel volto, ma, rispetto alla donna, sono anche visibilmente più rozze, specialmente le tre che l’attorniano:
Fig. 4 Gervasio Gatti, Martirio di Santa Cecilia, Chiesa di San Pietro al Po, Cremona, 1601
Fig. 3 Enea Salmeggia, Cattura di Cristo nell’Orto, Chiesa di Sant’Antonio Abate, Milano, 1612 Partic. Fig. 4
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capelli corvini e arruffati, pelle scura e, a parte l’uomo che l’addita, abiti e atteggiamenti da popolani. Tra le mani di questi uomini e sparsi sul piedistallo troviamo gli strumenti utilizzati per infliggere alla donna le varie violenze; il primo attrezzo che salta all’occhio, è comunque la pinza dentata che l’uomo sulla destra sta utilizzando per divelgere un seno dal busto della giovane. Ai piedi di questi personaggi troviamo anche un cane che guarda la scena come se comprendesse, unico fra gli astanti, i
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Cfr U. RUGGERI, Enea Salmeggia detto Il Talpino, in I Pittori Bergamaschi, Il Cinquecento vol. IV, Bergamo, Bolis, 1978, p. 301 2 Cfr. A. PINETTI, Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, I, Provincia di Bergamo, Roma, La Libreria dello Stato, 1931, p.51 1
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supplizi a cui la donna viene sottoposta. In secondo piano, sulla destra, per equilibrare il peso della colonna a cui la santa è legata, troviamo tre personaggi in penombra, intenti in una discussione. Non è chiara né la loro identità, né le ragioni del loro contendere, sebbene sia presumibile una discussione inerente all’ortodossia e all’eresia che, nonostante i decenni passati dalla chiusura del Concilio di Trento (1563), costituisce ancora l’argomento più spinoso e discusso della religiosità del periodo. Infine, sullo sfondo, troviamo degli edifici che delimitano e definiscono la scena. Nell’edificio curvilineo è stata riconosciuta la parte absidale della Chiesa di Santa Maria Maggiore in Città Alta1. Quest’ultimo dettaglio, assieme alla fisionomia ed alle fogge talvolta bizzarre del vestiario degli aguzzini è in disaccordo con la storia, che narra della morte della Santa nella sua città natale, Catania, per mano delle milizie romane. Da notare, per contrasto, il naturalismo spiccato presente in tutta l’opera, ben visibile nell’affondare delle tenaglie nel seno, dal quale colano rivoli di sangue a causa delle lacerazioni provocare dalla forza impressa all’arnese. Questo naturalismo è un elemento caratteristico di tutti gli artisti bresciano-bergamaschi, appartenenti a quella “Pittura della Realtà” che trova le sue origini in Vincenzo Foppa. L’uso della luce e delle ombre mette in risalto i personaggi “ buoni” per una veloce comprensione degli eventi.
Schizzi e disegni preparatori: Testa di carnefice (fig. 1), Matita nera e sfumino su carta bianca, 115x183 mm, Codice F. 265 inf, n. 15, Milano (Biblioteca Ambrosiana) Studio preparatorio del carnefice al centro. In questo schizzo si vede perfettamente l’espressione che, in teoria, l’uomo doveva avere sul volto, cosa che attualmente nell’opera non è più visibile, sia a causa dei giochi di ombre che ne oscurano quasi interamente il viso, sia per colpa dello stato di conservazione e di visibilità dell’opera. Da notare comunque che l’autore aveva già le idee chiare, ergo il carnefice finale altri non è che una fedele riproduzione del bozzetto con l’aggiunta dei colori. Manigoldo (fig. 2), matita nera e lumi di biacca su carta bianca, 163x278 mm, Codice F. 255 inf, f. 138 v. n. 2336, Milano (Biblioteca Ambrosiana) Studio preparatorio del carnefice al centro. Sempre dello stesso personaggio abbiamo un altro disegno preparatorio in cui l’artista ha abbozzato la struttura anatomica e i gesti. Il Talpino apporterà poche modifiche a questo disegno nell’esecuzione dell’opera, tutte di poco conto: un nastro sulla gamba destra al posto del pantalone lungo e le spalle leggermente più squadrate. Storia e critica: L’opera eseguita per la chiesa del convento di Sant’Agata in Bergamo Alta passò nelle mani della famiglia Pezzoli a causa delle soppressioni del periodo napoleonico (1798) 2.
Cfr. U. RUGGERI, op. cit. p.301 4 Cfr. Ibidem 5 Cfr. Ibidem 3
Nello stesso anno, l’opera venne spostata nella chiesa del Carmine, in seguito alla decisione della famiglia di concederla in deposito perpetuo al Comune3, affinché tutti potessero fruirne. Confronti con altre opere: L’opera pare avere uno schema compositivo simile alla Cattura di Cristo nell’Orto 4 (fig. 3); infatti, come si può notare, in entrambi i dipinti il protagonista è posizionato nella
parte centrale, tendenzialmente verso sinistra, ed ha uno sguardo di terrore e smarrimento rivolto verso l’alto. Troviamo analogie anche nelle posizioni degli sgherri, rappresentati come dei mori e dalle pose statiche. Notiamo, inoltre, una palese ispirazione ad un’opera di Gervasio Gatti5, il Martirio di S. Cecilia (fig. 4) nella rappresentazione dell’angelo che incorona la Santa dall’alto, mentre quest’ultima subisce il martirio.
Fig. 1 Fig. 2
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Rilievo grafico-pittorico Teatrino con resa tridimensionale dell’opera pittorica. analisi morfologica dell’opera con campionature del colore. Schizzi e studi di particolari a pastello, acquerello e matita.
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Sant’Andrea Avellino
1 A.PINETTI, Inventario degli oggetti d’Arte d’Italia, I, Provincia di Bergamo, La libreria dello Stato, Roma, 1931, p.54
Fig. 1
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TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica pittorica, bene mobile. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Enea Salmeggia detto il Talpino Titolo: Morte di Sant’Andrea Avellino Data: 1624 Collocazione:Bergamo,Chiesa di Sant’ Agata del Carmine, quarta cappella a destra, sopra l’altare, già nella chiesa teatina di Sant’Agata (sacrestia). Tecnica : Olio su tela Dimensioni 150x120 cm Iscrizioni : AENEAS SALMET F. 1624; in basso a destra (ormai illeggibile) Stato di conservazione: si rilevano varie lacune e ampie zone di rifacimento. Nell’opera troviamo rappresentato in primo piano a sinistra un uomo anziano, nell’atto di cadere, con indosso un camice bianco ed una pianeta dorata con la rispettiva stola; si tratta di Sant’Andrea Avellino, rappresentato poco prima della morte, in preghiera con le mani congiunte rivolte verso l’alto. Egli sembra guardare l’angelo che, posto sopra la sua testa, indica con un dito il cielo, mentre nell’altra mano stringe una corona, simbolo della sua beatificazione, avvenuta proprio nell’anno dell’esecuzione del dipinto). Dietro di lui, quasi nascosta, troviamo una figura fanciullesca, che indossa una semplice tunica bianca dal colletto nero con filamenti dorati. Stando ai racconti sulla vita del Santo dovrebbe trattarsi del chierichetto affiancato all’Avellino a causa
della sua precaria salute, che lo sorresse prima che quest’ultimo crollasse a terra morto. Sulla parte destra del dipinto troviamo l’altare coperto da un drappo sempre bianco con ricami dorati, sul quale sono posti un cuscino, una cornice (probabilmente una cartagloria), un testo sacro aperto, una candela, il calice per il sacrificio eucaristico e una scultura di S. Pietro, a cui era dedicato l’altare al quale Sant’Andrea si accingeva a celebrare la messa quando fu colto da colpo apolplettico. Sul fondo del quadro sono invece rappresentati tre personaggi ormai poco leggibili che forse stanno a simboleggiare la SS. Trinità. Rispetto alle opere antecedenti sempre dello stesso artista notiamo una perdita di qualità, soprattutto nella resa naturalistica dei vari personaggi: le pose sono statiche e non c’è fluidità nei movimenti. Sempre sulla stessa scia, troviamo anche dei peggioramenti nei volti dei personaggi, che quasi grottescamente esprimono i propri sentimenti, quasi non fosse possibile farlo in maniera più naturale e spontanea. Storia e critica: Il quadro, originariamente collocato nella sacrestia della chiesa di S. Agata, è passato nelle mani del Comune di Bergamo una volta soppresso il convento. Quest’ultimo ha deciso di concederlo in deposito perpetuo alla chiesa del Carmine, ove è esposto sopra l’altare della quarta cappella a destra. Il Pinetti nel 1931 afferma che trattavasi di “ubicazione recente”1. Essendo il quadro firmato, la critica non ha avuto dubbi nel riferirlo al Talpino, anche
2 Cfr U. RUGGERI, Enea Salmeggia detto Il Talpino, in Pittori Bergamaschi dal XIII al XIX secolo, Il Cinquecento vol. IV, Bergamo, Banca Popolare di Bergamo, 1978, p. 301 3 Cfr. Ibidem.
Fig. 2 Enea Salmeggia, Madonna in Trono con Bambino e i Santi Domenico, Marta, Caterina da Siena e Maddalena, Chiesa dei SS. Ippolito e Cassiano, Rogeno, 1614
Partic. Fig. 2
se risulta palese una partecipazione di meno dotati collaboratori, oppure del figlio Francesco. A sostegno di questa tesi, oltre ai confronti stilistici, abbiamo anche informazioni che collocano l’inizio della produzione pittorica del figlio proprio in questo periodo. Schizzi e disegni preparatori: Sant’Andrea Avellino (fig.1), Matita nera e lumi di biacca su carta verde, 120x265 mm, Codice F. 255, f. 117 v. n. 2226, Milano (Biblioteca Ambrosiana). Schizzo preparatorio di Sant’Andrea Avellino Notiamo in questo schizzo una grande differenza qualitativa rispetto alla figura del Santo dell’opera conclusiva, la quale ha fatto ipotizzare quasi unanimemente che la tela sia stata dipinta non solo dal Salmeggia, ma anche dal figlio Francesco o da altri collaboratori. Nel disegno la posa del teatino era molto più realistica e coinvolgente: le mani non congiunte in preghiera, ma posizionate scompostamente con i palmi rivolti verso l’alto, come le gambe su cui si vede chiaramente gravare il peso del corpo. Anche il chierichetto non pare nascondersi dietro il Santo, ma sembra sforzarsi di sostenere per il busto il corpo ormai abbandonato dell’Avellino. Confronti con altre opere: Come per il disegno preparatorio, anche dal confronto dell’opera qui descritta con le altre dell’autore balza agli occhi la differenza stilistica; prendiamo, ad esempio, la Madonna in Trono col Bambino e i Santi Domenico, Marta, Caterina da Siena e Maddalena2 (fig.2), soffermandoci particolarmente sulla figura dell’angelo nella zona centrale della lunetta. Palese è infatti la ripresa della posizione, che risulta però meno dinamica e naturalistica
nell’opera più recente. Se consideriamo invece l’opera di Francesco più vicina al 1624 un Miracolo della Madonna del Rosario3 (fig. 3), anche se i soggetti sono differenti, possiamo trovare la stessa staticità nelle figure e la mancanza di naturalismo, in special modo nelle espressioni forzate. Paragonando il fanciullo a fianco della Madonna con il chierichetto dell’Avellino, ad esempio, notiamo non solo una certa somiglianza nell’aspetto, ma anche atteggiamenti rigidi e stereotipati analoghi.
Partic. Fig. 3
Fig. 3 Francesco Salmeggia, Un Miracolo della Madonna del Rosario, Chiesa di S. Agata, Martinengo, 1626
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CROCE ASTILE
del Carmine e, fino all’apertura della presente sede, nel Museo Adriano Bernareggi della città, sala Xvi Tecnica: argento dorato e lavorato a cesello e cristallo di rocca Dimensioni:83 x 36 cm Iscrizioni: su due targhette all’innesto della croce c’è scritto: “CURA RESTITUITA A. MDCCXCII” (fronte) “M. ANTONII BOERIO PRAESIDI” (recto) Stato di conservazione: Buono Restauri: l’opera fu restaurata nel 1792 con il rinforzo dell’innesto, all’altezza del crocifisso, e il rifacimento dei fiori in basso.
Cfr A. PINETTI,Opere d’arte nella chiesa del Carmine, n.47 novembre 1925, pp. 2598-2601
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Figura 1: recto dell’opera
TIPOLOGIA DI BENE Opera Artistica scultorea, bene mobile NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: bottega dei Da Sesto,Venezia Titolo: Croce astile Data : XIV-XV scolo Collocazione: Bergamo, Museo e Tesoro della Cattedrale di Bergamo, già nella chiesa teatina di Sant’Agata, poi nella parrocchiale di Sant’Agata
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L’opera, fatta d’argento dorato, è composta da due braccia da cui sporgono in aggetto dieci busti di profeti e fiori di melograno, simbolo della passione di Cristo. Al centro delle due braccia sul recto è posto un crocifisso e alla base della croce sporgono due rami dal nervosissimo fogliame realizzati in ghisa, su cui poggiano le figure di San Giovanni Evangelista e della Madonna( Fig.1). Nel verso all’incrocio delle due braccia della croce si trova la figura della Madonna che protegge sotto il proprio mantello un gruppo di padri teatini1 (figg. 2-3). Il nodo ha forma esagonale e contiene diverse reliquie (fig.4). Esso, come la piccola edicola sormontata da un angelo che conclude superiormente la croce, si ispira allo stile gotico. L’opera è fatta prevalentemente di argento dorato e all’interno delle sue braccia sono incastrate lastre di cristallo di rocca. Le estremità delle
Cfr. Ibidem Cfr. http://francoblumer.demo. almaware.net/wp-content/uploads/2011/12/Bottega-Da-Sesto.pdf
braccia sono quadrilobate. Storia e critica: Tutti i caratteri stilistici e tecnici di quest’arredo inducono a credere che si tratti di un’opera d’arte veneziana di fine Quattrocento o inizio Cinquecento. Stando al Pinetti dovrebbe essere un manufatto riferibile alla bottega dei Da Sesto2. L’arredo divenne di proprietà dei teatini di Venezia dopo la sua realizzazione e fu probabilmente spostato a Bergamo nel 1598 dai monaci fondatori di Sant’Agata. Con la caduta della Repubblica Serenissima di Venezia nel 1797 e con la soppressione del monastero
Figura 2: verso dell’opera
Figura 3: Madonna con padri teatini
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il conte Leonino Secco Suardo comprò la croce e la collocò all’interno della sua casa fino al 1846 quando decise di donarla alla chiesa del Carmine divenuta dopo le soppressioni napoleoniche parrocchia della zona occidentale di Città Alta. Tra il 1935 e il 1939 la croce fu acquistata dal Cardinale Adriano Bernareggi insieme ad altre opere del territorio. Nel 2000 le opere acquisite dal Cardinale furono collocate all’interno del Museo Diocesano a lui intitolato. Secondo il critico Steingràber la croce assomiglia a quella del duomo di Venzone firmata Bernardo e Marco Da Sesto.3
Figura 4: nodo portareliquie
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Fonte Battesimale
A. S. M., Archivio Generale del fondo Religione, pezzo 2875 2 E. FORNONI, Bergomensis Vinea, ms dell’A. S. Bg., inizio del XX secolo, p. 200. Per ulteriori informazioni sul manufatto cfr.“Inventari degli arredi sacri esistenti negli edifici di culto della parrocchia di S. Agata al Carmine di Beramo”, Giuseppe Beretta, 1966. 1
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TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica scultorea, bene mobile. Autore: Titolo: Fonte Battesimale di Sant’Agata. Data: 1681 Collocazione: Bergamo, Chiesa di Sant’Agata del Carmine Tecnica: marmo bianco scolpito di forma ottagonale con pietre intarsiate rosse , gialle e nere. Nel nodo niellatura quadriloba nera, piede quadrangolare con lati leggermente concavi Dimensioni: 87x70x70 cm Iscrizioni: Stato di conservazione: discreto; le niellature del
nodo sono in gran parte scomparse Si tratta del fonte battesimale già nella parrocchiale di sant’Agata e la sua datazione dovrebbe poter essere stabilita con sicurezza al 1681, secondo quanto attestato da un documento dell’Archivio di Stato di Milano1 in cui viene riferito sotto la data 3 Iulij di quell’anno il rifacimento di tale fonte. Per quanto concerne l’identificazione del manufatto, si fa riferimento a quanto scrive il Fornoni, che parlando della soppressione della chiesa di Sant’Agata ci riferisce “ il Battistero passò al Carmine”2
Fonte Battesimale di Sant’Agata, XVII sec.
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Chierici Regolari Teatini
Lo stemma dei Teatini: d’oro, con croce latina rossa su monte a tre cime verde; cartiglio con il motto “QUAERITE PRIMUM REGNUM DEI”. 1 Biblioteca Vaticana, Barb. lat. 5697, f. 35-37
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I Chierici Regolari Teatini (in latino Ordo Clericorum Regolarium vulgo Theatinorum) sono un istituto religioso maschile di diritto pontificio. Il nome Teatini (ovvero “di Chieti”) venne dato sin dall’inizio ai chierici del nuovo ordine: esso deriva dalla carica di vescovo di Chieti (in latino Teate) di Gian Pietro Carafa, primo preposito della congregazione. L’ordine sorse con lo scopo di riformare il clero e di restaurare nella Chiesa la regola primitiva di vita apostolica; fu fondato nella basilica di San Pietro in Vaticano a Roma il 14 settembre 1524 da San Gaetano di Thiene, Gian Pietro Carafa, Bonifacio de’ Colli e Paolo Consiglieri, e fu approvato da papa Clemente VII. I quattro esposero il loro progetto di costituire una fraternità di preti riformati al pontefice. Tuttavia i fondatori non avevano intenzione di istituire un nuovo ordine. Il Carafa affermava: «... Che non paresse che si volesse far nova religione,
si come in verità non volemo ne potemo. Et se ben potessimo, non vorriamo perché non volemo esser altro che chierici viventi secondo li sacri canoni in communi et de communi et sub tribus votis, perciocché questo è il mezzo convenientissimo a conservar la comune vita clericale». 1 La prima sede della comunità di sacerdoti fu presso la chiesa di San Nicola dei Prefetti in Campo Marzio: oltre a celebrare l’ufficio divino, i teatini si dedicavano allo studio e all’assistenza agli ammalati presso il vicino ospedale di San Giacomo in Augusta. I teatini ebbero poi come sede un edificio sul Pincio, che divenne un importante centro di spiritualità. A Venezia, durante il sacco di Roma, venne aperta la prima filiale dell’ordine presso la chiesa di San Clemente. Il 14 settembre 1527 Gaetano di Thiene venne eletto preposito della congregazione e poco tempo dopo la sede dell’ordine venne trasferita in San Nicola da Tolentino.
Esempio di Immacolata Concezione, Bartolomé Esteban Murillo, Museo del Prado, Madrid, Spagna, 1678.
Esempio di una Madonna della Purità Luigi Morales, Basilica di S. Paolo Maggiore di Napoli, canonizzata nel 1724.
L’espansione dell’ordine Negli anni successivi i teatini fondarono comunità in numerose città italiane: prima a Verona (1528), poi a Napoli (1538), dove per la prima volta i chierici vennero impiegati in funzione antiereticale. Le prime filiali all’estero vennero aperte a opera di Placido Mirto Frangipane in Spagna (a Madrid e poi a Saragozza e Barcellona), a Parigi, a Lisbona, a Monaco, a Praga, a Varsavia e infine a Vienna. I teatini si aprirono all’apostolato missionario: nel 1626 i primi religiosi dell’ordine raggiunsero la Georgia, l’Armenia e la Colchide; nel 1639 vennero inviati nelle Indie orientali e nel 1687 nel Borneo. Nel 1696 i primi missionari teatini giunsero negli Stati Uniti d’America (in Colorado). Verso la fine del XVIII secolo, a causa delle leggi eversive e degli sconvolgimenti politici, iniziò la decadenza dell’ordine. La restaurazione dell’ordine venne avviata da papa Pio X che affidò tale missione al cardinale José de Calasanz Félix Santiago Vives y Tutò. Il 15 dicembre 1909 ai teatini vennero uniti i Figli della Sacra
Famiglia di Josep Manyanet y Vives, e nel 1910 vennero fusi con la congregazione di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, sorta a Maiorca nel 1867. Le Teatine I fondatori non erano intenzionati a dare inizio a un ramo femminile dell’ordine, ma a opera di Orsola Benincasa sorsero a Napoli le congregazioni delle Oblate e delle Romite, dette Teatine perché affidate alla direzione spirituale dei chierici teatini. La spiritualità dell’ordine La spiritualità dell’ordine è sacerdotale e apostolica; la vita dei teatini è un equilibrato connubio di azione e contemplazione. Devozioni tipiche dei teatini sono quella alla Madonna della Purità (patrona dell’ordine) e quella dell’Immacolata Concezione. I teatini si dedicano al ministero sacerdotale, all’istruzione della gioventù e alle missioni. Al 31 dicembre 2008 l’ordine contava 33 case e 189 membri, dei quali 133 sacerdoti.
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San Gaetano Thiene (Vicenza, ottobre 1480 – Napoli, 7 agosto 1547)
Per la vita di San Gaetano Thiene Cfr. G. LLOMPART, Cayetano de Thiene (1480-1547), Roma, 1988 e F. A ANDREU, La relazione di D. Erasmo Danese su s. Gaetano Thiene, in “Regnum Dei”, I, 1945, pp. 8-17, 60-72. 1
Giambattista Tiepolo, San Gaetano Thiene.
San Gaetano Thiene fu un presbitero italiano, cofondatore dell’Ordine dei Chierici Regolari Teatini. Nacque a Vicenza dalla nobile famiglia dei Thiene nel 1480, e venne battezzato con il nome di Gaetano, in memoria di un suo celebre zio canonico, docente presso l’Università di Padova. Il padre morì nel 1492 e la sua educazione venne curata dalla madre. Studiò diritto all’Università di Padova e, nel 1504, si laureò. Nel corso dello stesso anno entrò nello stato clericale: il suo desiderio era quello di divenire sacerdote, tuttavia venne ostacolato dalla madre che vedeva in lui l’unica speranza di proseguire la stirpe. Sebbene iscritto nell’albo degli avvocati, Gaetano non esercitò mai tale professione. Nel 1505 fece erigere a Rampazzo, una tenuta della propria famiglia, la chiesa di Santa Maria Maddalena, che è ancora oggi la parrocchia locale. Nel 1506, trasferitosi a Roma, diventò segretario particolare di Papa Giulio II, il più importante committente artistico del Medio Rinascimento. Presso la Curia Romana ricoprì gli incarichi di scrittore delle lettere pontificie e protonotario apostolico; ebbe un ruolo notevole nel riportare la pace tra la Santa Sede e la Repubblica di Venezia dopo la guerra della Lega di Cambrai. Successivamente, pur mantenendo la propria attività presso la Curia Papale, prese ad assistere gli ammalati dell’ospedale di San Giacomo e si iscrisse all’Oratorio del Divino Amore. Nel settembre 1516 dopo molte riluttanze dovute alla sua presunta inadeguatezza a ricoprire il ruolo sacerdotale, Gaetano accettò di essere ordinato prete e celebrò la sua prima messa all’età di 36 anni nella Basilica di Santa Maria Maggiore nel Natale dello stesso anno. In una lettera scritta a suor Laura Magnani, una suora agostiniana bresciana a cui era
filialmente legato e che godeva di fama di santità, Gaetano confidò che durante la celebrazione della Messa, gli apparve la Madonna che gli mise tra le braccia il Bambino Gesù; per questo l’iconografia più diffusa del santo lo vede con il piccolo Gesù tra le braccia o in atto di riceverlo dalla Madonna. Al suo ritorno a Vicenza, nel 1519, entrò nella compagnia dei Santi Clemente e Girolamo e ristrutturò l’Ospedale della Misericordia; trasferitosi a Venezia si unì alla compagnia del Santissimo Corpo di Cristo e fondò un nuovo Ospedale degli Incurabili alla Giudecca. Al suo ritorno a Roma, nel 1523, assieme a Gian Pietro Carafa (futuro papa Paolo IV), Bonifacio de’ Colli e Paolo Consiglieri, decise di formare una nuova fraternità di sacerdoti con il fine di riformare il clero e di restaurare la regola primitiva di vita apostolica; papa Clemente VII permise loro di prendere i voti e condurre vita fraterna in comunità. Gaetano e compagni, pur non essendo questo il loro proposito, andarono a formare un nuovo ordine religioso, il primo degli ordini di chierici regolari sorti durante il periodo di Controriforma. Insieme subirono la prigionia durante il Sacco di Roma; riuscirono a rifugiarsi a Venezia e, nel 1527, Gaetano venne eletto preposito generale dell’ordine. Nel 1533, per volere del papa Clemente VII, si trasferì insieme al suo collaboratore Giovanni Marinoni, nel Vicereame di Napoli: prima nell’Ospedale degli Incurabili, fondato in quel tempo dalla nobile spagnola Maria Lorenza Longo; successivamente nella Basilica di San Paolo Maggiore, posta nel centro storico della città greco-romana. Tra il 1540 e il 1543 fu preposito della comunità teatina di Venezia, poi tornò a Napoli dove morì nel 1547.1 Solo nel 1604, dopo la sua morte, i Teatini emana-
2
Ivi , p. 67.
Ritratto seicentesco di Gaetano Thiene, Archivio Generale dei Teatini, Roma.
rono le costituzioni dell’Ordine. L’opera che più l’aveva assillato nella sua vita era la riforma della Chiesa. Al contrario del contemporaneo Martin Lutero, il santo operò la sua riforma dal basso verso l’alto, formando il clero e dedicandosi all’apostolato tra i poveri, i diseredati e gli ammalati. Il popolo napoletano non l’ha mai dimenticato. La piazza antistante la Basilica di San Paolo Maggiore è a lui dedicata, ma la stessa basilica, per secoli sede dell’Ordine, è ormai da tutti chiamata di San Gaetano. Il suo corpo, insieme a quello di altri venerabili teatini, è deposto nella cripta monumentale. San Gaetano Thiene è infatti diventato compatrono di Napoli, per questo motivo vi sono molte opere a lui dedicate all’interno della città. Le procedure per la beatificazione di Gaetano di Thiene vennero avviate agli inizi del XVII secolo e si conclusero ad opera di papa Urbano VIII, che lo beatificò in data 23 novembre 1624. Nel 1671, precisamente il 12 aprile, venne proclamato santo da papa Clemente X; la sua memoria liturgica è fissata al 7 agosto e nel 1673 la sua festa venne estesa alla Chiesa Universale. È invocato come il “Santo della Provvidenza”, “acceso apostolo del divino Amore e campione insigne dell’umana carità”. È patrono e titolare delle congregazioni delle Povere Figlie di San Gaetano, delle Suore della Provvidenza di San Gaetano da Thiene e della Pia Società di San Gaetano. Iconografia di San Gaetano Thiene È pervenuta una descrizione sommaria del santo fatta da Erasmo Danese che di lui dice: “statura mediocre … viso tondo, bell’ occhi, bocca piena di soavità”. 2 Il santo solitamente è raffigurato con Gesù Bambino tra le braccia o nell’atto di riceverlo dalle mani di Maria.
Prima incisione con l’effigie del santo, Roma, 1609. 70
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Sant’Andrea Avellino (Castronuovo di Sant’Andrea, 1521 – Napoli, 10 novembre 1608)
Cesare Ligari, Morte di Sant’Andrea Avellino, post 1766.
Sant’Andrea Avellino è stato un presbitero, religioso e santo italiano appartenente all’Ordine dei Chierici Regolari Teatini. Nato nel 1521 a Castronuovo, fu chiamato Lancelotto dai genitori Giovanni Avellino e Margherita Apelli. Istruito ed educato dallo zio, arciprete del pa72
ese, Lancelotto collaborò per un primo periodo con San Carlo Borromeo a Milano e dintorni. Successivamente, nel 1532, si trasferì a Senise, in provincia di Potenza, dove si dedicò agli studi di lettere classiche, matematica e musica per quattro anni, al termine dei quali fu consacrato suddiacono dal vescovo di Anglona. Nel frattempo aiutò lo zio nell’opera di catechesi della parrocchia presso la quale si trovava e, tra il 1545 e 1546, fu ordinato presbitero. Il 1548 fu l’anno che segnò una svolta decisiva nel suo percorso spirituale. In quell’anno, infatti, Avellino conobbe il gesuita spagnolo padre Diego Lanez il quale, grazie a esercizi spirituali, provocò un decisivo mutamento del pensiero di Avellino. Quest’ultimo decise di continuare gli studi giuridici a di dominare il proprio istinto per avanzare ogni giorno di più verso la prefezione dedicandosi completamente a Dio, così come prevedeva l’Ordine Teatino. Nel 1551 ricevette l’incarico di disciplinare gli usi e i costumi del monastero di Sant’Arcangelo a Baiano. In quel tempo, infatti, presso le famiglie nobili e benestanti vi era l’usanza di mandare in convento le figlie che non erano riuscite a trovare un marito conveniente. Tuttavia, questa pratica generava una situazione di scarsa coerenza con la vera vita monastica. Avellino perciò si dedicò pienamente alla riforma di questa comunità introducendo una serie di regole al fine di ottenere un comportamento più disciplinato e conforme alla vita religiosa. Questa sua opera però non venne accolta facilmente e determinò una serie di critiche e di scontri. Nel 1556 fu accolto come postulante presso i Teatini di San Paolo Maggiore di Napoli; nel novembre dello stesso anno divenne novizio cambiando il suo nome in Andrea. Due anni dopo prese i voti e nel 1559 intraprese un pellegrinaggio che lo condusse a Roma, presso papa Paolo VI, uno dei fondatori dell’ordine dei Teatini.
Nel 1560 fu nominato maestro dei novizi e nel 1567 padre don Andrea Avellino diventò preposito di San Paolo Maggiore a Napoli. Tra le regole da lui seguite per portare a termine la sua attività vi erano: • agire secondo il motto della sapienza, con fermezza e con dolcezza; • imitare il Signore che prima insegnò con l’esempio e poi con la parola; • tenere presente il monito di San Bernardo ai prepositi: vedano tutto, dissimulino molto, correggano poco; • valutare la buona volontà dei confratelli, apprezzare il loro operato e farlo conoscere, perché sia di esempio e di sprone agli altri. Sant’Andrea Avellino ebbe un ruolo importante nella risoluzione e pacificazione dei tumulti scoppiati nella città campana intorno al 1585. Il suo ruolo di superiore, inoltre, fu molto proficuo negli anni successivi quando l’ordine visse
un periodo di sviluppo intenso nelle provincie di Napoli, Milano e Roma. Scrisse numerosi trattati di ascetica e di esegesi biblica; più di mille sono le lettere scritte e raccolte nell’epistolario pubblicato nel 1731 in due volumi. Dalle sue opere si evince la grande devozione per la Madonna. Le sue fonti principali erano scritti di grandi santi tra cui Sant’Agostino, San Bernardo e San Tommaso. Infine, tra i suoi discepoli, il più famoso è padre Lorenzo Scupoli, teatino autore del “Combattimento spirituale”. Sant’Andrea Avellino fu beatificato il 14 ottobre 1642 da Urbano VIII e santificato il 22 maggio 1712 da Clemente XI. È sepolto nella basilica di San Paolo Maggiore a Napoli. La sua morte è considerata dalla chiesa come “nascita al cielo” e viene invocato dai fedeli contro la morte improvvisa: egli infatti morì a causa di un colpo apoplettico che lo colpì mentre si accingeva a celebrare la messa.
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VERGINE DEL BUON SUCCESSO
Chiesa viva, anno I, p.16
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La Madonna apparve a Quito (Ecuador) tra il 1582 e il 1634 ad una suora di clausura, Madre Mariana, alla quale chiese di essere chiamata con il nome di “Nostra Signora del Buon Successo”. La Madonna descrisse a Madre Mariana il futuro della Chiesa Cattolica e della società soprattutto dalla metà del XX secolo in poi e chiese alla suora di offrirsi in sacrificio, sottolineando che la preghiera, la mortificazione, la penitenza e la sofferenza erano gli strumenti per aiutare il mondo e la Chiesa Cattolica. La Vergine chiese inoltre a Madre Mariana di adoperarsi perché i popoli si potessero rivolgere al Padre Celeste per debellare il “castigo divino”, promettendole che lei stessa avrebbe portato la “Restaurazione completa della Chiesa Cattolica”. Il 21 gennaio1610, le disse: “… ora ti comando di far costruire la mia statua per la consolazione e la preservazione del mio Convento e per le anime di quel tempo, che vivranno in un’epoca in cui vi sarà una grande devozione per Me, perché Io sono la Regina del Cielo sotto molte invocazioni. Questa devozione sarà lo scudo tra la Giustizia Divina e il mondo prevaricatore, per impedire l’attuazione della terribile punizione di Dio, che questa terra colpevole si merita”. 1 La statua fu completata nel corso di un anno e fu con-
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sacrata dal Vescovo di Quito il 2 febbraio del 1611. La Vergine del Buon Successo è rappresentata come una Madonna che tiene nel braccio sinistro Gesù Bambino, in modo da contrastare insieme il castigo divino e perdonare ogni peccatore. Nella mano destra, insieme alle chiavi del convento, porta un pastorale d’oro, spesso ornato da pietre preziose. Questi attributi, assieme alla corona che indossa, simboleggiano il fatto che la Vergine è Regina del Cielo e della Terra. La giornata celebrativa di Nostra Signora del Buon Successo avviene nello stesso giorno della Festa di Purificazione o giorno della Candelora.
CAPITOLO 3
Dal rifacimento settecentesco della chiesa alla soppressione napoleonica
3.1 Le trasformazioni settecentesche della chiesa e il rinnovamento della sua decorazione A.C.V.Bg. Fondo Religioso Conventi Soppressi,Teatini in S.Agata BG, Copia del Capitolo de li Chierici Regolari fatto nella Chiesa di S.Agata di Bergamo. 2 A.S.M., Archivio generale del Fondo di Religione, Archivio di Stato di MIlano, pezzo 2875. 3 L’edificio dei Secco Suardo sarà poi demolito il 20 dicembre 1870, cfr. AA.VV., La chiesa e la casa teatina in Bergamo Alta, in “ Regnum Dei”, 1990, p. 100. Per l’accordo con i conti Secco Suardo cfr. A.S.M., Archivio…cit. 1
Cfr. nota 1 76
Nel gennaio del 1706 i monaci dichiarano di “ritrovarsi in necessità di risarcire, ed ingrandire la loro Chiesa, la quale è Parochiale, essendo molto incomoda per le fontioni, ed assai ristretta per il concorso, e non sicura nella sua sussistenza per la di lei antichità e non havendo il comodo di tutt’il denaro per la spesa necessaria di tale fabbrica, humilm. supplicano per la facoltà di prendere à conto perpetuo, ma da essi redimibile, per questo solo effetto, mille cinquecento Ducati Venetiani, che sono scudi Mille trentatré Moneta Romana di Paoli dieci per scudo offerendosi presentemente la occasione di havere tal somma col solo interesse del due per cento”1 Da un documento non datato dell’Archivio di Stato di Milano risulta che i monaci fanno richiesta ai Conti Secco Suardi loro confinanti di poter “dilatare alquanto la fabbrica della loro Chiesa”2 occupando parzialmente il vicolo che, oltre a condurre alla propria chiesa e monastero, era utilizzato dai conti come accesso alla rimessa di carri e carrozze della propria dimora3. E’probabile che in questa occasione la chiesa venga anche allungata; l’entità di questo intervento sembra ancor oggi leggibile nella struttura muraria dell’edificio. Infatti differenze di paramento murario sono riscontrabili lungo il corridoio che affianca l’ex chiesa lungo nell’attuale primo piano dell’ambiente (fig.1).
Fig. 1, cesura visibile lungo il paramento murario delle chiesa in corrispondenza della campata più vicina alla controfacciata 77
4 Ivi, citato anche in G. Colmuto Zanella, Considerazioni sui caratteri architettonici conventuali di Bergamo, Istituto universitario, 26 marzo 1982, p. 51
Non è da escludere che la preesistenza di alcuni ambienti su quel lato della chiesa abbia impedito ai monaci di abbattere il muro di delimitazione dello stesso al fine di allargare ulteriormente la chiesa in questa direzione. Certo è, comunque, che l’entità dei lavori dovette essere veramente notevole, dato che un documento dell’Archivio di Stato di Milano attesta inoppugnabilmente che la chiesa viene ricostruita in maniera pressoché integrale. Nel settembre del 1710 infatti i monaci teatini chiedono alla Scuola del Santissimo, che da molti secoli aveva sede nel proprio edificio parrocchiale, di provvedere alla realizzazione di un nuovo organo, dato che quello precedente era stato rimosso ” in occasione di doversi rinovare a fundamentis” 4 la chiesa e non essendo conseguentemente più adattabile alla nuova “stabilita” struttura. Sintetizzando tutti i dati a nostra disposizione sappiamo quindi che l’edificio viene ricostruito dalle fondamenta, allargandolo e allungandolo rispetto a quello
precedente. Questo se per un verso giustifica il mancato allineamento della facciata rispetto al vicolo sant’Agata, che è l’unico accesso all’edificio, spiega anche come sia stato possibile aumentare il numero delle cappelle rispetto al periodo precedente. Esse passano da due a cinque: tre sul lato Nord e due su quello Sud, in cui doveva aprirsi anche l’ingresso (probabilmente quello principale) che permetteva di accedere all’edificio venendo da via Colleoni e percorrendo il vicolo Sant’Agata. Infatti alla fine del
Cfr. D.Calvi, , Effemeride sagro-profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, sua diocese, et territorio da suoi principii fin’al corrente anno. Et in tre volumi divisa, contenendosi quattro mesi per ciascun volume. Bologna, A. Forni, 1676-77, vol.I, p.2 6 A.C.V.Bg. Visite Pastorali Vescovo Redetti,1740, pp.242-244 7 Cfr. cap. 4 del presente lavoro 8 Cfr. trattazione precedente in questo stesso testo e D.CALVI, op.cit., vol.II, p.59 9 F. M.TASSI, Indice delle chiese della città [di Bergamo], in Le vite de’ Pittori, Scultori e Architetti bergamaschi,Bergamo, ( ed. critica a cura di F.Mazzini), Milano, 1970, vol.II, pp.13 5
Fig.2 fonte battesimale ora nella Chiesa del Carmine
Seicento il Calvi parla ancora di chiesa piccola con tre altari 5, mentre nella relazione della visita pastorale del vescovo Redetti svoltasi nel 1740 si riporta: “ li altari sono cinque diretti et ornati dalli S.ti Padri Teatini. Il primo è l’Altare Maggiore con tutta la pietra consacrata. Il 2^ della Beata Vergine del bon Sucesso con la pietra consacrata. Cfr. nota 5 78
Il 3^ di S. Gaetano con la pietra consecrata in mezzo. Il 4^ di Sant’Agata con la pietra come sopra. Il 5^ di Sant’Andrea Avellino con la pietra come sopra”6. Ad essi si deve aggiungere la cappella o ambiente con funzione di battistero, indispensabile in una chiesa parrocchiale. Per alcune cappelle probabilmente furono riutilizzati gli altari della chiesa precedente o ne vennero realizzati di abbastanza modesti, come sembra indicare un documento dell’archivio di Stato di Milano in cui si riferisce della vendita per una modica cifra di un altare in noce ad un cittadino probabilmente residente a Bergamo 7. È da supporre che in occasione del rifacimento del primo Settecento in alcuni altari siano state mantenute le opere precedenti, vale a dire la scultura con la Vergine del Buon Successo, il cui culto era stato introdotto nella chiesa nel 16428, e la tela con Sant’Agata martirizzata del Talpino. Nel Battistero, inoltre, doveva rimanere la tela con il Battesimo di Cristo dello stesso Salmeggia, oltre al fonte battesimale a cui viene quasi sicuramente rifatta la copertura lignea, che attualmente si trova nella chiesa del Carmine (fig.2). Ben altra sorte tocca invece ad un altare di nuova intitolazione: quello di San Gaetano Thiene. Il santo fondatore dell’ordine era infatti in precedenza celebrato nella stessa cappella dedicata a San Giovanni Battista, che conseguentemente era con ogni probabilità il Battistero della parrocchia. Il Tassi ci informa che in tempi che intuiamo non molto lontani dal suo manoscritto era stato “fatto tutto l’altare di pregiati marmi e posta in mezzo in una nicchia la statua del Santo” 9 Un altro documento dell’Archivio di Milano documenta poi che nel 1799, a seguito della soppressione napoleonica, due altari pregiati provenienti da Sant’Agata vengono venduti ad alcuni cittadini di Mologno per la propria
Cfr. nota 6 79
destra recante un grappolo d’uva, ora sostituito da una copia. Attestano inequivocabilmente la provenienza da Sant’Agata gli stemmi dell’ordine teatino sulle volute ai fianchi del paliotto( fig.7), oltre ai documenti di vendita per i quali si rimanda all’ultimo capitolo di questo lavoro. La preziosità dei marmi utilizzati e la raffinatezza delle parti plastiche sono degne delle più raffinate botteghe locali del periodo e denotano l’ampia disponibilità finanziaria dei committenti. Purtroppo i documenti che ci hanno permesso di rintracciare
10 Cfr. A.S.M., Amministrazione del fondo di religione, cartella 2 11 L.PAGNONI, Chiese parrocchiali bergamasche, “Monumenta Bergomensia”, Bergamo, 1979, p. 238
Fig 3 Casazza, Altare di San Gaetano
Fig.4 Ricostruzione della probabile forma originaria dell’altare di San Gaetano
Parrocchiale10. Il paese si chiama oggi Casazza, ma all’interno della chiesa troneggiano ancora i due straordinari manufatti. Uno di questi è l’altare di San Gaetano Thiene (fig.3) che il Pagnoni attribuisce alla bottega dei Manni11. Esso è pressoché integro, salvo per l’inserimento di una fascia marmorea monocroma fra i gradoni e l’ancona, che ha mirato ad adattarlo alle dimensioni dell’ambiente in cui è attualmente ospitato. Si è tentato di ricostruire, tramite rielaborazione al computer dell’immagine, l’aspetto
originario dell’opera (fig.4). All’interno dell’ancona è ancor oggi conservata una settecentesca statua di San Gaetano Thiene di fattura assai raffinata, ma purtroppo necessitante di restauri (fig.5). Nella cimasa appare il motto dei teatini: “ Querite Primum regnum Dei et justitiam Eius”. L’altra opera che da Sant’Agata passa nella parrocchiale di Mologno è l’Altar Maggiore (fig. 6) a cui nel 1941 l’architetto Luigi Angelini ha aggiunto la tribuna e a cui purtroppo è stato sottratto l’angelo di
questi due altari sono da noi stati reperiti in date recenti, per cui non è stato possibile compiere ricerche adeguatamente approfondite. Fra le modifiche effettuate nella chiesa all’inizio del settecento è da notare inoltre l’introduzione dell’altare di Sant’Andrea Avellino, a cui non risultava consacrata alcuna mensa nell’edificio precedente. E’ probabile che questa nuova intitolazione sia dovuta alla canonizzazione del santo, avvenuta nel 1712. E’verosimile che in questa occasione si provveda a far realizzare un dipinto atto ad ornare il nuovo sacello, non ritenendosi evidentemente degno di farlo quello già analizzato e non pregevolissimo della fase senile del Talpino, che nel Settecento risulta confinato nella sacrestia. La nuova opera riteniamo vada riconosciuta nel dipinto di Giuseppe Brina (fig.8) ora nella chiesa del Carmine, ove al momento della soppressione furono trasferite le opere mobili della chiesa teatina. Suffraga tale ipotesi il fatto che nelle fonti settecentesche che trattano del Carmine non si faccia menzione di altari o cappelle dedicate al santo (a tal proposito si veda l’apposita sezione nell’ultimo capitolo) e che non si vedano le motivazioni per cui un santo teatino dovrebbe essere stato celebrato in un edificio carmelitano. Per altro anche i trattatisti bergamaschi del Settecento riferiscono, anche se in maniera poco circostanziata, di un dipinto in Sant’Agata raffigurante la morte di un santo fondatore dell’ordine teatino, in cui è con ogni probabilità riconoscibile l’Avellino, morto a causa di un colpo apoplettico mentre si accingeva a celebrare la messa e rappresentato con grande frequenza in quel momento. Gli studiosi riferiscono l’opera ad un maestro del Settecento (Cavalier Bianchi milanese il Bartoli, Federico Bianchi il Pasta e Salvatore Bianchi il Tassi), ma i dati stilistici dell’opera ci spingono a concordare con l’attribuzione a Giuseppe Brina avanzata dal Pinetti e suffragata da Margherita Za-
Fig 5 Casazza, Statua San Gaetano 80
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12 F. BARTOLI, Le pitture, sculture ed architetture della Chiesa e d’altri luoghi pubblici di Bergamo,Vicenza,1774, p. 7-8
nardi. Purtroppo, tuttavia, nessuna certezza abbiamo potuto conseguire né in merito alla mensa di questa cappella, né alla sua decorazione. Come abbiamo visto, il vescovo Redetti nella sua visita pastorale del 1740 si occupa solo degli aspetti liturgici e dell’intitolazione degli altari, ma più esaurienti si rivelano le descrizioni che sempre nel XVIII secolo ci offrono alcuni studiosi, i quali fortunatamente ci riferiscono anche della decorazione ad affresco che viene rinnovata conseguentemente alla ristrutturazione della chiesa. E’ infatti all’inizio
Fig.6: Casazza, Altar Maggiore 82
del Settecento (con ogni probabilità nel secondo decennio dello stesso) che, come vedremo, vengono commissionati gli affreschi delle pareti e della volta dell’edificio oltre che a maestri minori, agli abili frescanti Salvatore Bianchi (fig. 9-10), probabilmente coadiuvato dal figlio Francesco Maria, e Giulio Quaglio (fig.11). Per l’analisi delle loro opere si rimanda alle apposite schede di questo stesso capitolo. Riportiamo qui i brani integrali relativi a Sant’Agata redatti rispettivamente dal Bartoli, dal Pasta e dal Tassi. Il primo nel 1774 afferma “nel primo altare il S. Gaetano Tiene portato in gloria dagli Angeli, e sopra di esso l’Ovato colla mezza figura di S. Gio: Battista, sono opere di Domenico Cignaroli Veronese, fratello di Gio: Bettino. 2. Il Santo di questa Religione in atto di spirare è del Cav.Federico Bianchi Milanese. 3. Che è il Maggiore. I tre grandi freschi nel Coro esprimenti alcune storie della vita, e del martirio di S.Agata sono di Giulio Quaglia Comasco, che fece anche in fondo alla Chiesa i quattro Quadri parimente a fresco. Il sotto in su poi della volta è del Figlio del detto Cavalier Bianchi. 4. La S. Agata a cui i Manigoldi recidono le mammelle è di Enea Salmezza Bergamasco detto Talpino. 5. Nella Sagrestia il fresco nel volto è del suddetto Quaglia: il Quadro grande in faccia con S. Andrea Avellino, che celebra Messa è del mentovato Talpino. In un picciolo stanzino di questa istessa Sagrestia evvi un Signor morto pianto dalle Marie ec. opera di Lattanzio Gambara Bresciano12”. Le opere di Lattanzio Gambara e Domenico Cignaroli non sono state rintracciate, mentre è probabile che il Bartoli abbia erroneamente attribuito la Morte di Sant’Andrea Avellino, da lui chiamato “il santo di questa religione” a Federico Bianchi, confondendolo probabilmente con Salvatore, fraintendimento che Fig.7: Stemma Teatino dell’Altar Maggiore ora a Casazza 83
13 A. PASTA, Le pitture notabili di Bergamo, Bergamo, Forni, 1775, pp. 37-38
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per altro era assai frequente nel tempo, tuttavia errato: poichè non i due Bianchi, ma probabilmente il pittore Giuseppe Brina è l’autore della tela, ora conservata al Carmine. L’attribuzione degli affreschi della volta, riferiti al figlio di Federico Bianchi, conferma il fraintendimento dell’autore, poiché solo Salvatore Bianchi ebbe un figlio pittore. Nel 1775 il Pasta definisce la chiesa: “di moderna e vaga struttura, ufiziata da’ Chierici Regolari Teatini. Il Quadro mobile, che è alla Cappella del Battistero, di contro alla Porta che è in testa al vicolo che conduce alla Chiesa; si crede del Palma Vecchio [...] e se non lo è merita d’esserlo. Contiene il Battesimo del Redentore: nè si può vedere un Genuflesso in atto di maggior divozione, nè un più bell’Angelo che tiene sotto il braccio la ben saldata veste, per ricoprire il Battezzato. La faccia del S. Gio. Battista, e il di lui braccio steso sopra il capo del Salvatore, sono stati dall’altrui ritocco malconci. Nel primo Altare a mano dritta il S. Gaetano Tiene portato in gloria dagli Angeli; e sopra di esso l’Ovato con la mezza figura del S.Gio. Batista sono dipinture non ispregievoli di Domenico Cignaroli Veronese, Fratello del rinomato Gio. Bettino. Alla Cappella che segue il Santo Fondatore dipinto in atto di spirare, è fattura elegante e finita del Cav. Bianchi Milanese; e il di lui Figlio fece il sottoinsù della volta. I tre Freschi nel Coro e gli altri quattro delle testata opposta sono del corretto Giulio Quaglia Comasco. Nella Tavola, che è di contra a quella dello spirante Fondatore, rappresentò il famoso Talpino S. Agata in aria di dolore e di fermezza, nell’atto che il manigoldo, afferratale una poppa con la dentata tenaglia, gliela va strappando dal petto: pittura nel vero che cava le lagrime. Altro gran Quadro del medesimo autore è appeso nella Sagrestia con S. Andrea Avellino celebrante all’Altare, e un Angelo in aria che par fatto da Raffa-
Fig. 9 Salvatore Bianchi, Affreschi della volta della chiesa relativi a San Gaetano Thiene, secondo decennio del ‘700 ca.
Fig 8 Giuseppe Brina, Sant’Andrea Avellino, Chiesa di Sant’Agata nel Carmine, Bergamo, prima metà del XVIII sec.
ello. Nel contiguo Stanzinuccio il copioso e studiato Quadretto del Cristo deposto dalla Croce, e pianto dalle Marie, ec. si attribuisce a Lattanzio Gambara Bresciano. Il Fresco nella volta della Sagrestia è di mano del soprammentovato Quaglia”.13 85
Fig.10 Salvatore Bianchi, Affreschi della volta della chiesa relativi a San Gaetano Thiene, secondo decennio del ‘700 ca.
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Il brano risulta particolarmente interessante perché è l’unico in cui si cita l’ambiente del battistero, con il relativo dipinto dedicato a San Giovanni Battista, collocato di fronte all’accesso della chiesa sul vicolo di Sant’Agata. Con questa precisazione risulta che gli ambienti che affiancano la navata, compreso l’ingresso sul lato meridionale sono sei, esattamente come nella pianta dell’edificio stilata all’inizio dell’Ottocento dal famoso architetto Pollack. Tuttavia l’autore, pur fornendo importanti informazioni sulle opere conservate nell’edificio e sulla loro dislocazione, cade vittima di alcune inesattezze; la prima e più rilevante delle quali riguarda l’attribuzione della tela con Il Battesimo di Cristo a Palma il Vecchio. Evidentemente già ai suoi tempi lo stato di conservazione del dipinto non consentiva di leggere la firma di Andrea Salmeggia detto il Talpino e la data di esecuzione in esso riportata: 1590. Poco chiaro è inoltre il riferimento al dipinto con la morte del “Santo Fondatore”, dato che con tale definizione dovrebbe intendersi San Gaetano Thiene, mentre l’iconografia relativa alla morte di un teatino è tradizionalmente associata a Sant’Andrea Avellino, di cui, peraltro sappiamo essere esistita una cappella in Sant’Agata già dalla visita apostolica del vescovo Redetti del 1740. Mentre dalla descrizione del Pasta non risulterebbero altari a lui dedicati e ben due invece intitolati a San Gaetano. Inoltre, se è attendibile la nostra ipotesi che l’opera in questione sia quella attualmente alla parete destra della quarta cappella a destra della chiesa del Carmine il suo autore non può essere identificato né con Federico né con Salvatore Bianchi (quest’ultimo della provincia di Varese e non milanese), bensì a Giuseppe Brina. Inoltre, come vedremo, gli sfondati prospettici delle volte della chiesa sono frutto di Salvatore Bianchi, coadiuvato probabilmente dal figlio Francesco Maria. Tanto il Bartoli che il Pasta non menzionano la Cap-
pella della Vergine. Le notizie che a tutt’oggi sembrano più attendibili sull’edificio ecclesiastico si devono a Francesco Maria Tassi, che prima del 1793 scrive : “li tre quadroni del coro sono opere a fresco di Giulio Quaglio rappresentanti alcuni fatti miracolosi della Santa Vergine e Martire. Li quattro quadroni pure a fresco nella volta della chiesa, e quello nel presbiterio tutti rappresentanti la vita, e le virtù di S. Gaetano Tiene sono del Cav. Salvator Bianchi. [Aggiunta a c. 29: di Varese comasco]. Dello stesso è la tavola della cappella di Sant’Andrea Avellino, nella quale vedesi il Santo agonizzante a letto con gli occhi rivolti alla Vergine, che lo consola: le pitture a fresco sono di Carlo Vincenti e Giuseppe Pozzi. All’altare di S. Gaetano eravi una bellissima tavola del Ceresa [Aggiunta a c. 29: il padre Donato Calvi la vuole sia del Talpino]. la quale è stata levata per esser stato fatto tutto l’altare di pregiati marmi, e posta nel mezzo in una nicchia la statua del Santo, la quale vien ricoperta da un quadro dipinto dal Cignaroli. Le pitture a fresco di questa cappella sono delli sopranominati pittori. La tavola nella cappella di Santa Agata, con la santa tormentata da manigoldi è una delle migliori opere del Talpino, e li freschi sono di Antonio Piazzoli. La cappella della Madonna è colorita a fresco dal Vincenti, e li tré freschi con la Concezione, Annunciazione ed assunzione di Maria Vergine sono di un allievo del Cav. Bianchi. La cappella del battistero è dipinta a fresco da Pietro Romier, e Bernardo Sans; ed il quadro col Battesimo di Nostro Signore è del Talpino. Li quattro quadroni a fresco in fondo della chiesa sono di Giulio Quaglio. Il quadro sopra la porta maggiore con San Gaetano, che riceve il latte dalla Vergine è di Carlo Ceresa. 87
14 F. M.TASSI,Op. cit., pp.13-14 15 Cfr. AA.VV. op. cit. fig. fra pp. 96 e 97 16 Cfr. S.Angelini, Inventario dei beni culturali e ambientali, Comune di Bergamo,Carceri di Sant’Agata (ex monastero),10
Fig.11 Giuio Quaglio, Profeta Elia sul monte Oreb, particolare 1709-1714 ca.
Nell’atrio della sagristia il Giacobbe dipinto a fresco nella volta è di Giulio Quaglio, del qual pure è l’altro gran quadro nella volta della sagristia rappresentante Elia sotto il ginepro confortato dall’angelo. In fronte alla sagristia la tavola con Sant’Andrea Avellino sorpreso da accidente apoplettico, nell’atto di commemorare la messa è opera bellissima del Talpino. Nel camerino contiguo vedesi un piccolo 88
quadro di Lattanzio Gambara con la sepoltura di Nostro Signore”14. A proposito della decorazione ad affresco della cappella della Beata Vergine è assai probabile che i dipinti ora non più visibili siano ancora rintracciabili all’interno di un vano completamente chiuso del secondo piano dell’ex edificio ecclesiastico. Non solo quella è la zona da noi individuata come luogo più probabile per la collocazione dell’altare della Beata Vergine del Buon Successo, ma un affresco riconducibile per ragioni stilistiche in maniera pressoché sicura all’ambito di Salvatore Bianchi pubblicato alcuni anni fa, e ora non più rintracciabile, potrebbe trovarsi al suo inteno15. Rispetto a quanto riferito meno di venti anni prima dal Bartoli e dal Pasta si rileva il carattere più preciso e particolareggiato della descrizione che ci permette di sapere che nella cappella di San Gaetano il quadro del Cignaroli era di recente esecuzione e sostituiva, con la statua del santo che ricopriva, un più antico quadro del Ceresa, che nessun’altra fonte cita. Purtroppo non siamo riusciti a rintracciare i due dipinti. Quello su cui le fonti settecentesche sembrano concordare è l’attribuzione a due abili frescanti d’inizio secolo della quasi totalità degli affreschi più significativi della chiesa: quelli delle quattro volte della chiesa riferiti a un pittore Bianchi che poteva avvalersi del titolo di cavaliere (da noi identificato con quasi assoluta certezza con Salvatore Bianchi di Velate, in provincia di Varese), e quelli dell’abside, della controfacciata, della volta della sacrestia e di un piccolo ambiente contiguo a quest’ultima a Giulio Quaglio. Gli affreschi sulle pareti della chiesa attribuiti al Quaglio non sono attualmente reperibili, ma non è escluso che possano trovarsi ancora sotto la tinteggiatura bianca delle pareti. Ipotesi tanto più probabile visto che le pitture del coro erano ancora visibili nel 197616.
3.2 La decorazione pittorica della chiesa
Cfr. G. PACCIAROTTI, Decorazione a Busto Arsizio nel Settecento in “Paragone”, n°30 , 2000, p.92
1
90
3.2.1 Salvatore Bianchi (Velate, 1653-1727)
Fig. 1: i Santi Teobaldo e Secondo al cospetto della Vergine, Asti, Duomo
Salvatore Bianchi nasce a Velate, centro tra Varese e il sovrastante Sacro Monte, nel maggio del 1653 da famiglia nobile. A quel tempo il paese era un fervido crocevia di artisti sia locali che forestieri, impegnati nella decorazione del Sacro Monte. Inizia la propria attività pittorica meno che ventenne, realizzando quattro tele perdute per Arona. Nello stesso torno di tempo lavora a Milano dove, lavorando per i conti Pusterla e altri nobili locali, ha modo di arricchire la propria formazione. Dopo questo primo soggiorno, si trasferisce a Torino nel 1675 per dipingere dieci quadri ad olio per il Palazzo di Giovan Battista Trucchi (perduti). In questa città nel 1677 si sposa con Margherita Peghina, da cui ha quattro figli maschi-tra cui Francesco Maria anche lui pittore- e cinque femmine. Durante questo soggiorno nel ducato Sabaudo il Bianchi può entrare in contatto con opere di artisti come il genovese Gregorio De Ferrari, da cui sembra desumere il vigoroso cromatismo e il fervore barocco, e Andrea Pozzo, da cui dipende forse lo spiccato gusto per il sott’in su dimostrato dall’artista velatese. Entrambi i maestri appena citati erano stati operosi in varie località del Piemonte ed era pertanto facile per un artista che dimostra la propria vocazione itinerante fin dalla gioventù incontrarne le opere. Come ipotizza il Pacciarotti1 il Bianchi durante questo soggiorno torinese ha probabilmente modo anche di stringere amicizia con il Legnanino, artista formatosi presso 91
il Cignani a Bologna e alla bottega del Maratta a Roma, che aveva arricchito questo sostrato culturale d’impianto classicista con la conoscenza degli artisti genovesi. E’ probabilmente a causa di questi molteplici influssi che nel Bianchi ad un colorismo talvolta sovraccarico si coniuga una libertà compositiva di schietta impronta barocca, mitigata da un gusto per l’equilibrio distributivo delle immagini di matrice classicista. L’artista lavora nel Palazzo Trucchi e nel Palazzo Reale (già nel 1683 può fregiarsi del titolo di “pittore di Sua Altezza Reale) fino al 1689 circa, data
2 Da questo anno, come vedremo, lo troviamo attivo a Varese, cfr. G.PACCIAROTTI, a cura di, Sulle ali degli angeli, Busto Arsizio, Nomos, 2000, pp.117-122
Fig. 3: Salottino delle vele, Palazzo Mazzetti, Asti
Fig. 6 Gloria di San Pietro, Carcegna, Chiesa di San Pietro
Fig. 5: San Martino che dona il mantello al povero, Gardona, Chiesa di San martino
Fig. 4: Gioele e Sisara, Santuario di Santa Maria del Monte,Varese
in cui si trasferisce ad Asti, dove è attivo nel Duomo nella volta della cappella di S. Filippo Neri ed esegue la pala con i Santi Teobaldo e Secondo per l’omonima cappella (fig. 1). Nella città realizza anche affreschi nella chiesa di S. Anastasio (ora nel Museo Civico e attualmente in restauro (fig. 2), S. Francesco (perduti) e S. Secondo con storie del Battista. All’interno 92
Fig. 1: Affreschi staccati dalla chiesa di Sant’Anastasio ora nel Museo Civico di Palazzo Mazzetti ad Asti
del Palazzo Mazzetti dipinge affreschi con putti e allegorie dei segni zodiacali e delle stagioni nel salottino delle vele (fig. 3). Ad Asti il Bianchi si ferma fino al 1692.2 L’artista, che ha ormai quasi quaranta anni, denota ancora palesi influssi genovesi per l’uso di un cromatismo acceso e talvolta sovraccarico e, in alcuni particolari, qualche impaccio anatomico, soprattutto per quanto riguarda gli arti inferiori ed il coordinamento tra busto e Fig. 7 Gloria di San Pietro, Carcegna, Chiesa di San Pietro 93
3 F. FRANGI, La pittura tra Ticino e Olona.Varese e la Lombardia nord-occidentale, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo,Amilcare Pizzi, 1992, p.288 4 S.COPPA, Salvatore Bianchi, Biografia, in La pittura del Settecento dalle valli del varesotto al Lago Maggiore e il Lago d’Orta, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo, Almilcare Pizzi,1996, p. 330
Fig. 9: Presentazione della Vergine al Cielo, Busto Arsizio, Beata Vergine delle Grazie
Fig. 11 Guarigione di San Pellegrino Laziosi, Bergamo, Chiesa di Santa Grata Inter Vites
Fig. 8: Gloria della Vergine, Orta San Giulio, Ossario
gambe di alcuni personaggi. Nel 1692 c’è un ritorno del pittore a Varese dove realizza opere ad affresco per la chiesa di San Francesco della città (perdute) e per il coro nella Basilica di S.Vittore. E’ in queste ultime che sembra farsi strada l’apertura verso un nuovo ambiente culturale. Infatti, come nota il Frangi, nei quadri di S.Vittore “l’inquadratura degli episodi in ampi scenari paesaggistici sembra rimandare a suggestioni cortonesche e più generalmente romane, mediate probabilmente anche 94
dal Ghisolfi, attivo nel coro di S.Vittore qualche anno prima”3. Il maestro giunge così a definire il suo stile caratteristico e, salvo l’accentuarsi dell’orientamento in senso rococò, praticamente definitivo: “nel Bianchi l’inclinazione genovese si combina con elementi di cortonismo e di classicismo emiliano e marattesco, in un risultato di barocchetto eclettico”4. Tornato in Piemonte, lavora presso la sala da ballo di Palazzo Pusterla Melzi a Tradate, dove realizza affreschi rappresentanti ventotto antenati della casata Pusterla.
Fig. 10:Trionfo dell’Eternità, Palazzo Provani di Druent, ora Falletti Barolo,Torino 95
5 Cfr. G. MARSILI, Le glorie della famiglia Pusterla: una geneologia definito in “ Archivio storico lombardo”, 1997, pp. 353-365 6 Cfr. Ivi p.92 7 Cfr. F. BARTOLI, Le pitture, sculture ed architetture delle Chiese ed altri luoghi pubblici di Bergamo ,Vicenza, Carlo Bressan, 1774, pp. 7, 20, 31, 32 8 Cfr. A.PASTA, Le pitture notabili di Bergamo, Bergamo, Francesco Locatelli, 1775, pp. 37 9 F.BARTOLI, op.cit.,p.31 10 A. PASTA, op. cit. p.58 11 F. BARTOLI, op cit., p. 7 12 A. PASTA, op.cit., p.58
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Vengono invece attribuite ad una fase successiva le opere del primo piano, che si ritengono eseguite con l’intervento di Francesco Maria.5 Nel 1696 lavora presso il Santuario della Madonna del Monte, per cui effettua affreschi delle Storie Bibliche nella navatella d’ingresso della chiesa (fig. 4).Tra il 1700 ed il 1710 è operoso a Como (opere perdute) e a Gordona in Valchiavenna, dove realizza la pala di S. Martino che dona il mantello al povero (datata 1706) (fig. 5). Oltre ad essa compie affreschi in San Colombano, San Giovanni Piedemonte e nella villa Rusca di Gironico del Monte. Nel 1707 è documentato nella zona del Cusio. A Carcegna affresca le volte del presbiterio e dell’abside della Parrocchiale di S. Pietro e la cappella di San Mauro nello stesso edificio(figg. 6-7). Nel 1711 realizza le decorazioni delle pareti e La gloria della Vergine (fig. 8) nell’Ossario presso la Chiesa dei Santi Quirico e Giulitta ad Orte San Giulio. Tra il 1713 ed il 1714 lavora a Busto Arsizio nella chiesa della Beata Vergine delle Grazie- Tempio civico di S. Anna. Con lui collabora il figlio, Francesco Maria, a cui il Pacciarotti attribuisce in particolare i dipinti nella vela del presbiterio più dinamici e briosi.6 (fig. 9). L’anno successivo dipinge l’Assunzione della Vergine su una tela per la chiesa milanese di S. Maria della Porta, andata distrutta nei bombardamenti del 1943. Nel 1717 viene richiamato a Torino presso il Palazzo Provani di Druent ora Falletti Barolo, per l’affresco allegorico col Trionfo dell’Eternità. (fig. 10). Sempre a questi anni d’inizio secolo, si possono attribuire alcune sue commissioni a Bergamo. Il Bartoli7 e il Pasta8 sono poco precisi nel menzionare le opere eseguite per Bergamo dal Bianchi, talvolta indicato come Federico, talaltra come Salvatore o semplicemente come Cavaliere (titolo di cui entrambi potevano fregiarsi). Le opere in questione riguardano tre edifici.Tutti sono stati distrutti o hanno subito radicali trasformazioni in date successive. La chiesa
di San Gottardo è stata abbattuta assieme all’annesso monastero dei Padri Serviti e la stessa sorte è toccata alla chiesa della Santissima Trinità. Stando sia al Bartoli che al Pasta per il primo edificio il Cavalier Bianchi realizzò degli angeli ad affresco, e due tele con San Pellegrino Laziosi e la Beata Giuliana Falconieri. Di queste opere è stata attualmente identificata solo quella con la Guarigione di S. Pellegrino Laziosi (fig. 11), conservata nella chiesa bergamasca di S. Grata Inter Vites. Niente siamo invece riusciti a reperire della decorazione della chiesa della SS.Trinità. Per essa, stando al Bartoli, il Cavalier Salvatore Bianchi realizzò il “Tres vidit et unum adoravit” della volta9, mentre secondo il Pasta al medesimo, o la sua scuola, andavano attribuiti anche quattro ovati che lo attorniavano10. Il terzo ciclo bergamasco è quello di Sant’ Agata. Il Bartoli riferisce che nel secondo altare “il Santo di questa religione in atto di spirare, è del Cavalier Federico Bianchi milanese […]. Il sotto in su poi della volta è del figlio del detto Cavalier Bianchi”.11 Il Pasta informa invece che “il Santo fondatore dipinto in atto di spirare è fattura elegante e finita dal Cavalier Bianchi milanese; e il di lui figlio fece il sottinsù nella volta”12. Entrambi gli studiosi sembrano confondere Salvatore con Federico Bianchi, poiché non esistono affinità stilistiche fra le opere di Sant’Agata e quelle di quest’ultimo maestro e, cosa ancor più significativa, non risulta che egli abbia avuto un figlio pittore, come ebbe invece il maestro di Velate. Alla fine del secolo il Tassi, che sembra essere in questa circostanza la più informata e circostanziata fra le fonti settecentesche locali, attribuisce tutte le opere bergamasche a Salvatore Bianchi e in particolare nella chiesa di S. Agata riferisce al maestro “li quattro quadroni […] a fresco, nella volta della chiesa, e quello nel presbiterio tutti rappresentanti la vita e le virtù di S. Gaetano Tiene” e afferma poi che “dello stesso è la tavola della cappella di S. Andrea Avellino, nella quale vedesi
13 F. M TASSI, Indice delle chiese dal ms. della Biblioteca Civica di Bergamo, pubbl.in Vite de’ pittori, scultori ed architetti bergamaschi, Bergamo, Locatelli, ed. postuma, vol.2, pp. 13 – 14, 90, 120 14 Ivi p. 13 15 AA.VV, La casa dei Teatini di Bergamo, in “Regnum Dei”, 1990, ill. fra p. 96 e 97 16 Cfr G.PACCIAROTTI, a cura di, Sulle ali degli angeli, Busto Arsizio, Nomos, 2000, pp.117-122
il santo agonizzante a letto con gli occhi rivolti alla Vergine che lo consola”13. Di quest’ultima opera non è rimasta traccia, a meno che non la si voglia riconoscere in quella attribuita al Brina dal Pinetti, attualmente sul lato destro della quarta cappella destra della chiesa del Carmine, con la quale, tuttavia, non sembra avere stringenti affinità né iconografiche, né stilistiche. I quattro quadroni della volta della chiesa sono ancora oggi visibili e si presentano in discreto stato di conservazione, mentre quello del presbitero sembra timidamente riemergere da una successiva scialbatura. Il Tassi afferma inoltre che nella cappella della Madonna dello stesso edificio “li tré freschi con la Concezione, Annunciazione e Assunzione di Maria Vergine sono di un allievo del Cav. Bianchi”.14 Tali affreschi non sono attualmente rintracciabili, ma forse quello con l’Assunzione di Maria Vergine può essere riconosciuto in uno dei dipinti pubblicati nel 1990 nella rivista dei padri regolari teatini15 che sembra essere perfettamente rispondente allo stile del pittore velatese del primo ventennio del ‘700. Per quanto riguarda invece l’attribuzione al figlio del maestro degli affreschi, proposta sia dal Bartoli sia dal Pasta, è assai probabile che il figlio di Salvatore, Francesco Maria, che già aveva collaborato con lui nel 1713-14 nella decorazione della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Busto Arsizio, abbia partecipato alla realizzazione del ciclo bergamasco. In particolare
alcune figure più briose e più liberamente fluttuanti nello spazio sembrano proprio da attribuire al suo intervento. Pittore ancora in gran parte da recuperare dalla critica, Francesco Maria denota una personalità che meriterebbe, nel panorama della pittura del Settentrione d’Italia del periodo, un ruolo meno marginale di quello che gli viene a tutt’oggi attribuito. Nato sullo scorcio del nono decennio del Seicento, dimostra di sapersi orientare con sicurezza verso l’arte Rococò, probabilmente aggiornandosi precocemente sulle soluzioni più innovative di Sebastiano Ricci. E’ verosimile che a lui vadano attribuite le soluzioni più estrose ed aeree, così come gli scorci più audaci e prorompenti dei quattro campi pittorici del ciclo di Sant’Agata. Probabilmente padre e figlio lavorarono proficuamente fianco a fianco fino al 1727, anno della morte di Salvatore, tant’è che l’ultima opera che porta la sua firma, da lui stesso donata alla chiesa della nativa Velate, è stata riferita alla collaborazione o all’integrale esecuzione di Francesco Maria dai più attenti conoscitori dell’artista16 L’affresco della Cacciata di Eliodoro nel transetto sinistro di S. Marco a Milano è attribuita dallo Zani a Salvatore Bianchi(fig. 12). Nel 1723, realizza ancora nella chiesa di S. Francesco a Varese la cappella di S. Antonio, andata perduta. Salvatore Bianchi muore nel 1727 a Velate.
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San Gaetano e Sant’Agata al cospetto della Vergine e del Cristo TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica pittorica, bene immobile per destinazione. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Salvatore Bianchi, forse con la collaborazione del figlio Francesco Maria Titolo : San Gaetano e Sant’Agata al cospetto della Vergine e del Cristo Data: secondo decennio del Settecento circa Collocazione: Ex Chiesa di Sant’ Agata , prima campata dalla controfacciata Tecnica : Affresco Dimensioni: 200 x 400 cm ca Iscrizioni : La scritta Bergamo è realizzata in finto rilievo nel cartiglio presentato da San Gaetano Thiene, mentre in quello attinente a Sant’Agata troviamo la scritta Catania, realizzata nella medesima maniera. Stato di conservazione: ha subito vari danni soprattutto a causa del calore e della fuliggine della canna fumaria che è stata fatta passare al centro dell’affresco.
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Nella parte sinistra dell’affresco troviamo San Gaetano affiancato da un angelo che regge un cartiglio su cui è scritto “Bergamo”, città in cui si trova l’edificio; subito sotto il santo troviamo un angioletto che ha tra le mani dei gigli, simbolo della purezza e castità del santo. Sull’estrema destra vi è Sant’Agata affiancata anch’essa da un angelo che regge il cartiglio recante il nome della sua città natale, ossia Catania. Sotto di lei vi è un angioletto che, con atteggiamento brioso e quasi giocoso, fa volteggiare in aria i seni divelti alla santa durante il martirio, legati con un leggiadro nastro azzurro. Entrambi i santi sono al cospetto della Vergine sostenuta da due angioletti e del Cristo, la cui figura risulta scarsamente leggibile a causa dei danni arrecati dalla canna fumaria che durante il periodo della trasformazione del complesso architettonico in carcere è stata fatta passare quasi al centro della volta. In particolare San Gaetano sembra rivolgersi alla Vergine, mentre Sant’Agata all’immagine più defilata del Cristo. Altri angioletti e cherubini adoranti sono distribuiti sullo sfondo. Sebbene le forme siano voluminose e tornite, le figure risultano aggraziate e delicate, ed in particolare i panneggi sembrano quasi fluttuare. Secondo i canoni assodati dello sfondato pittorico i personaggi sullo sfondo sono meno definiti, i volti sembrano quasi abbozzati ed i colori perdono intensità e divengono quasi monocromi. E’ infine da notare l’innaturale taglio di alcune parti delle gambe degli angioletti in primo piano, quasi certamente da attribuire al dozzinale rifacimento della cornice e probabilmente ovviabile
con il restauro dell’opera. Confronto con altre opere: Possiamo notare caratteristiche presenti in altre opere del Bianchi, tra cui l’illuminazione dei volti dal basso che ne rischiara in particolare l’arcata sopraccigliare. Nel dipinto di Sant’Agata
abbiamo affinità con un’altra opera della chiesa di S. Stefano nella città natale dell’artista (cfr. fig.1). Con citazione ad un’ opera del Bianchi della chiesa di S. Maria delle Grazie a Busto Arsizio, evidenziamo la robustezza dei putti e la ripetizione della posizione (cfr. fig. 2).
Particolare dell’Affresco di ‘‘San Gaetano e Sant’Agata al cospetto della Vergine e di Cristo’’
Particolare dell’affresco della chiesa di S. Stefano,Velate (VA)
Particolare dell’Affresco di ‘‘San Gaetano e Sant’Agata al cospetto della Vergine e di Cristo’’
Particolare della volta di S. Maria delle Grazie, Busto Arsizio (MI), 1713-14
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Rilievo grafico-pittorico Teatrino con resa tridimensionale dell’opera pittorica. Schizzi delle figure a matita ed acquerello. Analisi morfologica dell’opera con campionature grafichecromatiche.
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La Vergine porge Gesù Bambino a San Gaetano con coro di angeli musicanti
TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica pittorica, bene immobile per destinazione. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Salvatore Bianchi, forse con la collaborazione del figlio Francesco Maria Titolo : La Vergine porge Gesù a San Gaetano con coro di angeli musicanti Data: secondo decennio del Settecento circa Collocazione: Ex Chiesa di Sant’ Agata , se-
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conda campata dalla controfacciata Tecnica : Affresco Dimensioni: 250 x 400 cm ca Iscrizioni : Stato di conservazione: vi sono cadute di colore non particolarmente estese sul lato destro. Nella parte superiore dell’affresco troviamo Dio Padre e Gesù che sorreggono il mondo. Essi fanno da sfondo alla scena principale,
Particolare dell’Affresco con ‘’La Vergine porge Gesù a S. Gaetano con coro di angeli musicanti’’
Particolare dell’affresco dell’Ossario della chiesa di S. Quirico e Giulitta, Orta S. Giulio (NO), 1711
raffigurante l’apparizione della Vergine che offre a S. Gaetano Gesù Bambino. Il dipinto fa riferimento a quanto San Gaetano dichiara essere avvenuto durante la celebrazione della sua prima messa nel Natale del 1517. Il Thiene per molto tempo si era ritenuto indegno di vestire gli abiti sacerdotali e solo all’età di 36 anni decise di prendere i voti. Durante la sua prima messa, effettuata presso l’altare del Presepe in Santa Maria Maggiore a Roma, egli vide la Vergine porgergli Gesù Bambino. Per questo la sua iconografia più tipica lo rappresenta con il piccolo Cristo fra le braccia. Il miracolo è raccontato in una lettera indirizzata a Laura Mignani, religiosa agostiniana del
monastero di Santa Croce a Brescia, a cui il santo era devoto e che era in odore di santità. Gesù Bambino sembra essere la fonte della luce che si propaga fino a raggiungere gli angeli ed i putti sul perimetro dell’affresco, poiché la fonte naturale, collocata sulla sinistra del dipinto, sembra schermata da un ostacolo a noi invisibile e giunge su questo lato come un riverbero dal centro. La struttura compositiva dell’opera è una spirale, evidenziata dal percorso delle nuvole che hanno inizio da Dio Padre. Sulle fasce laterali troviamo una notevole concentrazione di angeli musicanti. Lo sfondato, dall’esperto e collaudato pittoricismo di matrice addirittura correggesca,
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è realizzato con discreta maestria e l’effetto di profondità risulta di innegabile evidenza. Tutti i personaggi si presentano più o meno scorciati, e ardite prospettive si possono notare anche in alcune ali o negli strumenti musicali. I panneggi e i capelli di qualche angelo si muovono liberamente nello spazio, come se fossero colpiti dal vento. Confronto con altre opere: Non mancano neppure in questo campo pittorico episodi di briosa inventiva, quale l’angelo suonatore d’arpa dal fisico vigoroso con le gambe pendenti nel vuoto. Di esso abbiamo un doppio pressoché puntuale nell’omologo della cupola dell’ossario di San
Giulio d’Orte. (cfr. fig.1). Anche lo scorcio ardito dell’ala dell’angelo in basso a sinistra non risulta infrequente nella produzione del maestro; per non parlare poi della coppia degli angioletti in volo in alto a destra, esemplati quasi alla lettera su quelli nella volta del presbiterio della chiesa delle Grazie a Busto Arsizio (cfr. fig. 2) o dell’angelo con viola a sinistra, pressoché identico a quello della cupola della stessa chiesa (cfr. fig. 3) e a quello dell’ossario di Orta (cfr. fig. 4). E’ da notare che i dipinti con cui gli affreschi di Sant’Agata sembrano presentare le maggiori affinità si situano cronologicamente all’inizio del secondo decennio del Settecento.
Particolare dell’Affresco con ‘’La Vergine porge Gesù Bambino a S. Gaetano con coro di angeli musicanti’’
Particolare dell’Affresco con ‘’La Vergine porge Gesù Bambino a S. Gaetano con coro di angeli musicanti’’
Particolare della volta del presbiterio di S. Maria delle Grazie, Busto Arsizio (MI), 1713 – 14
Particolare dell’Affresco con ‘’La Vergine porge Gesù Bambino a S. Gaetano con coro di angeli musicanti’’
Particolare della cupola di S. Maria delle Grazie, Busto Arsizio (MI), 1713 – 14
Particolare dell’affresco dell’Ossario della chiesa di S. Quirico e Giulitta Orta S. Giulio (NO), 1711
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Rilievo grafico-pittorico Teatrino con resa tridimensionale dell’opera pittorica. Studio iconografico comparato. Bozzetto dell’insieme e schizzi delle figure a matita ed acquerello. Analisi morfologica dell’opera con campionature grafico-cromatiche.
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San Gaetano, ispirandosi al Cristo, combatte le eresie
TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica pittorica, bene immobile per destinazione. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Salvatore Bianchi, forse con la collaborazione del figlio Francesco Maria Titolo : San Gaetano che, ispirandosi al Cristo, combatte le eresie Data: Secondo decennio del Settecento circa Collocazione: Ex Chiesa di Sant’ Agata , terza campata dalla controfacciata
Tecnica : Affresco Dimensioni: 250 x 400 cm ca Iscrizioni: Stato di conservazione: abbastanza buono, eccetto per il buco al centro dell’opera. L’opera presenta un carattere spiccatamente teatrale grazie alla presenza di un putto che sembra aprire il sipario in alto a sinistra. Egli guarda verso il fulcro iconografico della scena:
San Gaetano Thiene che, con atteggiamento estatico, sospende la scrittura di un grande libro sostenuto da un angelo per contemplare la croce apparsa in alto a destra del dipinto. Al centro dell’opera troviamo un personaggio, probabilmente identificabile con un sacerdote del Tempio, che ha nella mano sinistra una lampada ad olio accesa, mentre nella destra brandisce un flagello. Con esse minaccia e fa precipitare verso il basso quattro immagini allegoriche delle eresie. Esse hanno tra le mani dei serpenti, simbolo del peccato. Il personaggio di spalle all’estrema destra mostra una maschera che sta a indicare la falsità e la menzogna (per l’interpretazione del soggetto si ringrazia Padre Gabriel Llompart, massima autorità di iconografia teatina e in particolare di San Gaetano Thiene. In una comunicazione telefonica lo studioso ha definito il soggetto raro ed aristocratico, sintomo dell’ele-
Particolare dell’affresco con “San Gaetano, ispirandosi al Cristo, combatte le eresie”
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vata erudizione dei monaci di Sant’Agata). Lo sfondo è per la maggior parte costituito da nuvole di colore uniforme e i colori divengono sempre più vivaci e saturi via via che si avvicinano all’osservatore. La luce è diffusa e possiamo notare il grande splendore dell’aureola del Santo, quasi a sottolineare la sua forza nel combattere le eresie. Degno di nota è poi lo strabordare del personaggio in basso, in cui il Bianchi si dimostra forse non immemore della soluzione di Giovan Battista Gaulli per la chiesa del Gesù a Roma. Confronto con altre opere: Nel confronto si evidenzia la somiglianza del putto che si trova sul soffitto di una sala del Palazzo Mazzetti ad Asti con i putti eseguiti dal Bianchi. Anche la maschera tenuta tra le mani dell’ eretico è ritrovata nel affresco di Asti (fig.1).
Particolare degli affreschi nel Palazzo Mazzetti, Asti, 1688 - 92
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San Gaetano con le allegorie di Fede, Speranza e Provvidenza
TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica pittorica, bene immobile per destinazione. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Salvatore Bianchi, forse con la collaborazione del figlio Francesco Maria Titolo : San Gaetano con le allegorie di Fede, Speranza e Provvidenza Data: secondo decennio del Settecento circa Collocazione: Ex Chiesa di Sant’ Agata , quarta campata dalla controfacciata Tecnica : Affresco Dimensioni: 250 x 400 cm ca Iscrizioni: Stato di conservazione: L’opera è in buono stato di conservazione, ma ci sono due lacune di forma più o meno circolare in alto ed in basso della zona centrale. Esse sono ricoperte da stucco. S. Gaetano Thiene, inginocchiato su tre scalini marmorei quasi al centro dell’opera, attrae
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immediatamente la nostra attenzione a causa del colore della veste talare, contrastante con i colori squillanti e luminosi del resto del dipinto. Lo attorniano le allegorie della Fede, collocata nell’angolo inferiore destro del dipinto e riconoscibile per la croce, della Speranza, che porta l’ancora nella mano destra, mentre con la sinistra indica a San Gaetano la figura del Cristo, e della Provvidenza illustrata dai tre angeli sulla sinistra del dipinto. Due di essi recano ceste contenenti rispettivamente pane e frutta, mentre il terzo riceve monete versate da una cornucopia. In alto a destra vi sono degli angioletti che portano i simboli della Preghiera e della Purezza, ossia un rosario ed un giglio (per l’interpretazione del soggetto si ringrazia Padre Gabriel Llompart). La luce, diffusa nell’intera opera, crea maggior contrasto chiaroscurale lungo il perimetro, mentre la maggior illuminazione al centro rende i personaggi meno definiti. I colori sono vivaci e le pennellate briose e spesso sfrangiate risultano talvolta ben distinguibili. Le figure sono scorciate in maniera sapiente e spesso assai ardita. Confronto con altre opere: In quest’ affresco abbiamo il riutilizzo di cartoni del Palazzo Provana di Druent ora Falletti Barolo a Torino e del Palazzo Mazzetti ad Asti, rispettivamente per i putti che portano i simboli della Preghiera (cfr. fig. 1) e della Purezza (cfr. fig. 2). Altre affinità che si possono notare sono i tratti somatici e la posizione del braccio della Speranza con l’angelo dell’affresco della chiesa di S. Stefano a Velate. (cfr. fig. 3)
Cfr. fig. 1 Particolare dell’Affresco con ‘‘San Gaetano con le allegorie di Fede Speranza e Provvidenza’’
Cfr. fig. 2 Particolare dell’Affresco con ‘‘San Gaetano con le allegorie di Fede Speranza e Provvidenza’’
Cfr. fig. 2 Particolare degli affreschi nel Palazzo Mazzetti, Asti, 1688 - 92
Cfr. fig. 1 Particolare dell’ affresco del Palazzo Provana di Druent ora Falletti Barolo,Torino, 1717
Cfr. fig. 3 Particolare dell’Affresco con ‘‘San Gaetano con le allegorie di Fede Speranza e Provvidenza’’
Cfr. fig. 3 Particolare dell’affresco nella chiesa di S. Stefano,Velate (VA)
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Rilievo grafico-pittorico Teatrino con resa tridimensionale dell’opera pittorica. Studio iconografico comparato. Analisi morfologica dell’opera con campionature graficocromatiche. Bozzetto dell’insieme e schizzi delle figure a matita ed acquerello.
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Cfr. G. BERGAMINI, Giulio Quaglio, Udine, 1994, p.19
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3.2.2 Giulio Quaglio (1668-1751) Nasce a Laino in Valle d’Intelvi (Como), da una famiglia che già prima di lui e poi per diverse
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generazioni ancora si dedicò alla pittura e ad altre espressioni artistiche. Giulio è chiamato anche II per distinguerlo da uno zio Giulio architetto (Giulio I) e da un nipote pittore (Giulio III). Non si sa molto sull’inizio della sua formazione, ci sono due ipotesi: la prima vuole che si sia formato giovanissimo in ambiente familiare o strettamente locale, con particolare riguardo ai fratelli Recchi. A giudicare dallo stile delle prime opere del maestro, tuttavia, sembra più attendibile quanto afferma il Thalnitscher, che in un interessante e circostanziato testo sul Duomo di Lubiana lo dichiara allievo del bolognese Marcantonio Franceschini e studioso del Correggio, Carracci e Tintoretto. 1 I riflessi dell’arte emiliana e veneziana sono d’altra parte concordemente rinvenuti dalla critica nelle sue opere. L’artista inizia un intenso periodo di lavori in Friuli, ove rimane, salvo brevi ritorni in patria, per circa un decennio. A Udine realizza i suoi primi affreschi datati all’interno del Palazzo della Porta (1693), dove Quaglio propone una partitura scultorea ed architettonica monocroma, imitante lo stucco, fatta di telamoni, di festoni, di volute e di cenni di illusione prospettica. Lavora poi nel Palazzo Strassoldo (1694). Qui dalla pittura vitale e dinamica del soffitto si passa 115
2 Cfr. A. BARIGOZZI BRINI, Giulio Quaglio, in I Pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo, Il settecento, volume 2, Bergamo, Bolis, 1982, p. 75
ad una fredda e statica pittura di maniera, solo alcuni particolari la rendono leggermente dinamica e vivace. Nel 1695 realizza affreschi nella sala d’ onore e nello scalone del Palazzo di Carlo Daneluzzi dove c’è una ripresa del classicismo da parte dell’artista. Nel pieno della sua attività affresca il soffitto di alcuni ambienti del Palazzo di Maniago di Udine. Un’altra sua opera, datata 1698, si trova nel Palazzo Antonini; lavora poi per la Chiesa di S. Chiara nel 1699, dipingendo tre scene maggiori ovvero la Trinità, l’Immacolata Concezione, S. Chiara in gloria. Nel 1703 va a Lubiana con l’allievo Carlo Inno-
cenzo Carloni (considerato collaboratore dell’artista per la sua bravura) per eseguire gli affreschi del Duomo. 2 E’ stato poi un periodo in Slovenia e in Austria e compare nella bergamasca nel 1709 per eseguire l’ampio ciclo di affreschi di San Paolo d’Argon, protrattosi fino al 1714(fig.1). È probabilmente quest’impegno pittorico che trattiene l’artista nel territorio bergamasco per vari anni, consentendogli l’esecuzione anche di altre opere di minor impegno, fra cui i dipinti di S. Agata. Nel 1710 realizza e firma il medaglione con la Madonna e le sette opere di Misericordia in
Cfr. G. BERGAMINI, Op. cit., p. 249; A. BARIGOZZI BRINI, Op. cit, p.75 4 Cfr. G. BERGAMINI, op. citp, p. 13-16 5 Cfr. F. BARTOLI, Le pitture, sculture ed architetture,delle Chiese e d’altri luoghi pubblici fi Bergamo,Vicenza, Carlo Bressan, 1774, p.7 6 Cfr. A. PASTA, Le pitture notabili di Bergamo, Bergamo 1775 p.38 7 Cfr. S. ANGELINI, Inventario dei beni culturali e ambientali: Carceri di S. Agata (ex Monastero), 10 Febbraio 1976 8 Cfr. F. M. TASSI, Indice delle Chiese dal ms della Biblioteca Civica in Vite de pittori, scultori e architetti bergamaschi, Ed. critica a cura di F.Mazzini, 1970, vol. II, p.14 3
una cappella al primo paino del Pio Luogo della Misericordia in via Arena. Allo stesso periodo risalgono gli affreschi della seconda sacrestia di S. Alessandro in Colonna rappresentanti il sacrificio di Isacco e putti entro medaglioni in stucco nel soffitto e le tre virtù teologali (quella della Speranza è firmata e datata 1712) nelle lunette alla sommità delle pareti. Sempre nella bergamasca esegue nel 1713 l’affresco con la Madonna con il Bambino e i Santi Benedetto, Mauro, Scolastica e Placido per l’altare di S. Mauro della chiesa benedettina di San Giacomo a Pontida ed il sacrificio di Isacco nella volta della sacrestia della parrocchiale di San Giorgio a Solza. Nel 1714 l’artista, terminato il ciclo di S. Paolo d’Argon (dove lui o più probabilmente la sua bottega torneranno nel quarto decennio del secolo), abbandona il territorio bergamasco e si reca a Brescia per affrescare il salone centrale (detto di Apollo) del Palazzo Martinengo Palatini con “il Ricevimento di Ercole nel concilio degli dei nell’Olimpo”. Al periodo successivo l’impegno per S. Paolo d’Argon, appartengono anche vari affreschi eseguiti nel territorio comasco. Nel 1717 il Quaglio è nuovamente in territorio bergamasco per decorare la parrocchiale di S. Maria di Oleno a Sforzatica, che tuttavia, non sempre mantenne la qualità stilistica della mano del maestro. 3 Quando l’artista torna nel nostro
territorio, negli ultimi anni del terzo decennio del secolo, il suo stile appare ormai lontano da quello delle opere precedenti e del tutto imparagonabile a quello dei dipinti di S. Agata, i quali sembrano conseguentemente riferibili al lasso di tempo intercorrente tra il 1709 e 1714 o, al massimo al 1717. E’ d’altra parte, proprio con gli affreschi di questo periodo, che le affinità degli affreschi dell’ex chiesa di S. Agata si fanno più stringenti. L’artista, che con collaboratori e bottega dipinge fino agli ultimi anni della sua vita, apponendo anche l’età (ottant’anni) alla sua ultima opera datata. Muore a Laino nel 1751). 4 Nella chiesa di S. Agata, secondo il Bartoli 5 ed il Pasta 6 l’artista esegue tre grandi affreschi nel coro con storie della vita e del martirio di S. Agata 7 ancora visibili nel 1976 e quattro dipinti in controfacciata, tutte opere attualmente non visibili forse perché occultate da ridipinture. Il Tassi aggiunge che di mano dell’artista sono anche un’immagine di Giacobbe 8 nella volta dell’atrio della sacrestia (non rintracciato) e del profeta Elia, riemerso durante i lavori di restauro effettuati dalla Cooperativa Città Alta nell’ex sacrestia dell’edificio ecclesiastico e attualmente visibile nella “sala grande” del Circolino. (Per analogie stilistiche è attribuibile all’artista anche un piccolo dipinto con angelo portacroce conservato in un ambiente contiguo all’ex chiesa).
Fig.1 Vicende e miracoli relativi a San Paolo e a San Benedetto, San Paolo d’Argon 116
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Il Profeta Elia SOTTO IL GINEPRO
Giulio Quaglio, La Vergine immacolata, 1699. Chiesa di S. Chiara (Udine). In questo confronto si evidenzia la posa di Dio simile a quella dell’opera “Il Profeta Elia sul monte Oreb”
Giulio Quaglio, Elia sul carro di fuoco e S. Simone Stock Affresco 1732
Giulio Quaglio, La sibilla eritrea, 1700. Chiesa della Madonna di loreto (Udine). In questo confronto si evidenzia la somiglianza tra questo paesaggio e quello presente ne “Il Profeta Elia sul monte Oreb”
Dimensioni cm 600 x 300 circa Iscrizioni: Stato di conservazione: buono Opera Artistica Pittorica, bene immobile per destinazione.
Tipologia di bene: Opera Artistica pittorica, bene immobile per destinazione. Autore: Giulio Quaglio Titolo: Il Profeta Elia sul Monte Oreb Data: 1709-1714 circa Collocazione: Bergamo, Il Circolino, “sala grande” Tecnica: Affresco
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Giulio Quaglio, La Vigilanza risveglia la Pigrizia 1696 circa Palazzo di Maniago (Udine) In questo confronto si evidenzia la posa dell’angelo simile a quella dell’opera “Il Profeta Elia sul monte Oreb”
Giulio Quaglio,Veduta d’insieme della decorazione del soffitto della navata, 1703-1706. Cattedrale di S.Nicola (Lubiana) In questo confronto si evidenzia la posa di Dio simile a quella dell’opera “Il Profeta Elia sul monte Oreb”
Giulio Quaglio, Chiesa Parrocchiale di S.Maria di Oleno (Dalmine), Decorazione della volta della navata, 1717. In questo confronto si evidenzia la somiglianza tra il profeta Elia di questa opera e quello presente ne “Il Profeta Elia sul monte Oreb”
L’opera rappresenta il profeta Elia nel deserto, adagiato sotto ad un ginepro; un angelo in volo sembra esortarlo a rimettersi in cammino ed un altro, seminascosto dietro il tronco dell’arbusto, lo osserva recando in una mano una bottiglia d’acqua, accanto alla quale si trova del pane. Nella parte superiore dell’opera si trovano Dio e alcuni angioletti. Dio indossa una tunica color mattone ed un manto blu, è scalzo e ha la barba ed i capelli bianchi. Gli angioletti sono nudi ed hanno le ali azzurre. Questi personaggi sono adagia-
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ti sulle nubi e nel cielo prevalgono i colori giallo e azzurro. L’angelo in volo nella zona centrale dell’affresco indossa delle vesti rosse e blu, ha ali azzurre e gialle, capelli biondi e rivolge il gesto esortativo delle mani verso il profeta Elia. La parte inferiore rappresenta un paesaggio roccioso con un profondo avvallamento dove scorre un torrente. Il profeta Elia indossa un vestito color ruggine ed un manto giallo, ha la barba bianca ed una mano rivolta verso l’angelo. Egli è adagiato su una roccia all’ombra di un ginepro dietro al quale si trova un angelo con tunica azzurra e con manto giallo. Il gesto tra l’angelo in volo e il profeta sembra unire i due mondi, quello terreno e quello del cielo. Si nota un movimento serpeggiante che collega i gesti dei personaggi partendo dalla zona inferiore destra. Nell’affresco di Sant’Agata ci si ispira all’episodio del sonno sotto il ginepro e ai doni portati dall’angelo nonché all’incontro con Dio sul monte Oreb. Nelle opere del Quaglio si ritrovano caratteri affini tra i quali dinamismo e illusione prospettica. Nel corso della vita Giulio Quaglio attraversa diverse fasi, in un primo momento applica uno stile monocromo imitante lo stucco (Udine); in seguito dipinge in modo statico e freddo con rari particolari dinamici(Palazzo Strassoldo). Si può notare che in questa opera esistono molte somiglianze con il sopra raffigurato”Profeta Elia sul monte Oreb”; tra le quali le pose dei personaggi molto esagitate, i panneggi del tutto
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simili come forma e chiaro scuro, le nubi con la parte soprastante illuminata dalla fonte di luce e la parte sottostante in ombra,e infine le linee di forza che si notano già al primo sguardo. Confronti con opere di altri autori raffiguranti lo stesso soggetto Questi sono alcuni esempi di opere raffiguranti scene della vita del profeta Elia appartenenti a secoli differenti, la prima risale alla seconda metà del ‘400, la seconda del 1550 e la terza del ‘600. Philippe de Champaigne, Il sogno di Elia. Olio su tela, 1655, 185 x 205 cm
Bouts Dieric the Elder, Il Profeta Elia nel deserto. Olio su tavola, 1550-1560
Daniele da Volterra, Il Profeta Elia. Olio su tela, 1464-1467
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Rilievo grafico-pittorico. Teatrino con resa tridimensionale dell’opera pittorica. Bozzetto dell’insieme e analisi morfologica dell’opera con campionature grafico-cromatiche. Studio delle linee compositive e strutturali e dei piani di profondità. Studio iconografico comparato e schizzi a matita e carboncino.
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Rilievo grafico-pittorico. Teatrino con resa tridimensionale dell’opera pittorica. Bozzetto dell’insieme e analisi morfologica dell’opera con campionature grafico-cromatiche. Studio delle linee compositive e strutturali e dei piani di profondità. Studio iconografico comparato e schizzi a matita e carboncino.
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Fontebasso Cristo Crocefisso con Angeli, Dio Padre e S. Ignazio 1750 – 1754 (part.)
Tiziano Pala, L’assunta (part.) 1516 – 1518
G.B.Tiepolo La caduta degli Angeli ribelli (part.) 1725 circa
Philippe de Champaigne Il sogno di Elia (part.) 1655
Bouts Dieric the Elder Il profeta Elia nel deserto (part.) 1550 – 1560
Philippe de Champaigne Il sogno di Elia (part.) 1655
Daniele da Volterra Il Profeta Elia (part.) 1564 – 1567
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ANGELO PORTACROCE
Tipologia di bene: Opera Artistica pittorica, bene immobile per destinazione Autore: Giulio Quaglio Datazione: Primi del ‘700 (probabilmente secondo decennio del secolo) Collocazione: Bergamo Alta, ex chiesa di Sant’Agata, Sacrestia, oggi Il Circolino, “sala grande”. Tecnica: Affresco Dimensioni: Iscrizioni: / Stato di conservazione: Discreto Restauri:Allo stato attuale risulta sull’opera un intervento parziale di pulitura In quest’affresco l’artista ha rappresentato un piccolo angelo portacroce paffuto, ma, allo stesso tempo, dall’aspetto aggraziato. Il volto fanciullesco, attorniato da una bionda chioma riccioluta, è orientato in direzione della croce che trasporta. Ha un paio di ali verde cangiante, mentre il petto è attraversato da una sottile fascia azzurra. Avvolto al braccio
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sinistro, invece, porta un panneggio di colore rosa. La croce è posta in diagonale rispetto a tutta la composizione, ed è semplice. L’angelo si trova in primo piano, al centro, e sullo sfondo si staglia un cielo plumbeo, nuvoloso, che gli fa da cornice. L’angelo portacroce rappresenta un messaggero divino intento a trasportare un crocifisso; quest’ultimo è uno dei simboli della Passione di Cristo e, per questo motivo, frequentemente lo si accompagna con altri angeli, i quali portano la colonna, la corona
Confronti con altre opere dello stesso artista: Il dipinto mostra evidenti analogie con soggetti simili affrescati dall’artista nel secondo decennio del Settecento e in particolare con alcuni puttini del ciclo di palazzo Martinengo Palatini di Brescia, risalenti al 1714-15. Possiamo infatti notare affinità non solo nelle posizioni dei putti, ma anche nella loro corporatura, così come anche nei visi paffuti e nei ricci capelli dorati (FIG 1-2). Altri esempi che possiamo riportare sono il putto nell’opera di San Paolo d’Argon (FIG.3) e Giovanni Battista nell’omonima chiesetta a Gradisca d’Isonzo (FIG.4); i fanciulli, infatti, anche se in pose differenti, presentano tutti una certa somiglianza fisionomica.
www.parrocchiagradisca. it, foto di Orianna Furlan
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FIG.2 Giulio Quaglio, Il ricevimento di Ercole nel concilio degli dei nell’Olimpo, salone di Apollo, Palazzo Martinengo Palatini (BS), 1714/15, particolare 2
FIG.1 Giulio Quaglio, Il ricevimento di Ercole nel concilio degli dei nell’Olimpo, salone di Apollo, Palazzo Martinengo Palatini (BS), 1714/15, particolare 1
di spine ecc., cioè altri simboli della Passione. A discrezione dell’autore, il soggetto può avere l’aspetto di un angelo o di un putto, con o senza ali, dalla corporatura esile o massiccia. In questo caso il Quaglio ha optato per un putto dal portamento elegante che trasporta una croce dall’aspetto leggero.
FIG.3 Giulio Quaglio, San Paolo d’Aragon, Chiesa di San Paolo d’Aragon (BG), 1712, particolare
FIG.4 Giulio Quaglio,Vergine tra gli angeli e i Santi Giovanni Battista e Teresa, Chiesetta di San Giovanni Battista, Gradisca d’Isonzo (GO), 1706, particolare1
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Rilievo grafico-pittorico Analisi morfologica dell’opera con campionature cromatiche. Schizzi della figura e del fregio ornamentale. Studio iconografico comparato. Analisi delle linee compositive e strutturali.
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Angelo porta Croce Castel Sant’ Angelo Roma
Carlo Innocenzo Carloni Trionfo della Religione Cattedrale di Asti
Taddeo Kuntz Apoteosi di S.Agostino Chiesa della Santissima Trinita’ Soriano al Cimino
Mariotto Albertinelli e Fra’ Bartolomeo Giudizio Universale Museo San Marco Firenze
Giorgio Vasari con Federico Zuccari Ecce Homo Gloria di Angeli e Santi Duomo di Firenze
Pier Dandini Apoteosi della Fede Villa Feroni di Bellavista, Borgo a Boggiano
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Il profeta Elia
1 Cfr. Antico Testamento, III, Re, 17 2 Ivi, 19, 3-8
Uno dei più grandi profeti dell’Antico Testamento, il cui nome ebraico significa “Jahvè è il mio Dio”. Nato a Tesbe, vive intorno al IX secolo a.C. ed esercita il suo ministero nel regno del Nord al tempo di re Achab d’Israele e Josaphat di Giuda. Salito al trono nell’874 a.C. Achab sposa Gezabele, di origine fenicia, figlia del re Tiro e grande sacerdote, per ottenere vantaggi politici; indotto dalla moglie il sovrano si converte al culto di Baal. Elia si oppone fermamente a ciò invocando Jahvè e annuncia una siccità di tre anni, durante i quali cerca riparo presso il torrente Cherit, dove è nutrito dai corvi. Quando anche questo si prosciuga riceve ospitalità a Sarepta, nei pressi di Sidone, in casa di una vedova. Qui risuscita il figlio di una donna indigente che aveva diviso il cibo con lui e prodigiosamente moltiplica la sua farina e il suo olio1. Dopo tre anni di carestia si ripresenta al re e ottiene una sfida sul monte Carmelo con i quattrocentocinquanta sacerdoti. A turno i quattrocentocinquanta profeti di Baal e il solo Elia predispongono un altare e offrono un bue al proprio dio, ma senza accendere il fuoco. L’altare dei falsi profeti, nonostante le loro invocazioni al Dio Baal, non si accende. Quello di Elia, invece prende immediatamente fuoco e arde fino alla totale consumazione. I quattrocentocinquanta sacerdoti della falsa fede
vengono uccisi da Elia. Per evitare la vendetta di Gezabele, Elia fugge verso il monte Oreb. Durante il viaggio, fatto tornare a casa il servo “s’inoltrò nel deserto per una giornata di cammino. Postosi poi a sedere sotto un ginepro, chiese per sé la morte, esclamando: Basta, o Signore! Or prendi l’anima mia; che io non sono migliore dei miei padri. Si sdraiò e s’addormentò all’ombra del ginepro. Ed ecco un Angelo del Signore viene a toccarlo e a dirgli: Alzati e mangia. Egli riguardò e vide vicino al suo capo un pane cotto sotto la cenere e un vaso d’acqua. E com’ebbe mangiato e bevuto, s’addormentò di nuovo. Ma
l’Angelo del Signore tornò di nuovo a toccarlo e a dirgli: alzati e mangia, perché ti rimane da fare un lungo cammino. Elia, s’alzò, mangiò e bevve, e poi, per la forza di quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti, fino al monte di Dio, Oreb”2, qui il profeta cade nello sconforto. Sul monte Oreb avviene il misterioso incontro con Dio, il quale gli suggerisce i nomi dei futuri regnanti sul trono d’Israele e designa Eliseo come successore del profeta. Secondo il libro dei Re, Elia non muore, ma viene portato in cielo da un carro di fuoco condotto da cavalli di fuoco, presagendo la resurrezione di Cristo. Elia comanda al tuono e alla pioggia. Venerato anche dai musulmani che, con ebrei e cristiani, salgono al monte Carmelo nel giorno a lui consacrato (20 luglio). Patrono dei cocchieri e dell’Aeronautica civile e militare, è invocato per far fuggire i corvi. Il culto di Elia è diffuso nelle Chiese d’Oriente e in diversi luoghi d’Italia che hanno registrato l’influenza religiosa di Bisanzio. Attributi iconografici: spada, mantello e carro (solitamente lo si vede rappresentato affiancato
Philippe de Champaigne Il sogno di Elia. Olio su tela, 1655 185 x 205 cm
da un corvo). Nell’affresco di Sant’Agata ci si ispira all’episodio del sonno sotto il ginepro e ai doni portatigli dall’angelo nonché all’incontro con Dio sul monte Oreb.
Daniele da Volterra Il Profeta Elia. Olio su tela, 1464-1467
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Bouts Dieric the Elder Il Profeta Elia nel deserto. Olio su tavola, 1550-1560
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1 Cfr. C. MARENZI, Guida di Bergamo, ms. 1824 della B.C.Bg., ed. Bergamo, 1985, p.159 2 Cfr. G. M. TASSO, Memorie per servire alla storia dei Pittori, scultori e architetti bergamaschi [Zibaldone], ms. B. C. Bg edito a cura di F. Mazzini, 1970 3 Cfr. M. ZANARDI, Giuseppe Brina, in I Pittori Bergamaschi dal XIII al XIX, Il Settecento vol. II, Bolis, Bergamo, 1989, p. 295 4 A. PASTA, Le pitture notabili di Bergamo, Bergamo, Francesco Locatelli, 1775, p. 39 5 Cfr. M. ZANARDI, op. cit., p. 300. 6 G. MARENZI, op.cit., p.159 7 Ibidem 8 A. PASTA, op. cit., p. 40. 9 Citata in M. ZANARDI, op. cit., p. 300.
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3.2.3 Giuseppe Brina Le informazioni riguardanti la vita del Brina (o anche “Prina” come risulta da alcuni documenti e opere firmate) sono abbastanza approssimative, a partire dall’anno e dal luogo di nascita e di morte. Visse sicuramente tra il XVII e il XVIII secolo e il Marenzi identifica le date di nascita e di morte rispettivamente nel 1685 e 17651. Le date concordano con quanto riferito attorno al 1761 nello Zibaldone da Giuseppe Maria Tasso, che lo cita fra gli artisti viventi a Bergamo nel 1736 2. Ma quella di nascita è assolutamente inconciliabile con un pagamento effettuato al maestro il 16 Maggio 1681 dalla Scuola del SS. Sacramento di Romano di Lombardia 3. Anche riguardo alla morte ci sono delle discrepanze: come già citato si parla di 1765, ma il Pasta, ne Le pitture notabili di Bergamo, asserisce: “Giuseppe Brina, morto a dì’ nostri” 4, ponendo quindi il decesso dell’artista una decina di anni dopo, ovvero attorno al 1775, data di stesura del testo. Tuttavia è inverosimile che un artista già attivo nel 1681 decedesse dopo oltre novanta anni, quando ormai doveva essere ultracentenario. Anche per quanto riguarda l’attività pittorica del Brina le fonti non sono abbondanti e circostanziate: sappiamo che pochi suoi concittadini
apprezzavano la sua arte: in alcuni testi, infatti, o non viene nominato, o gli vengono attribuiti aggettivi denigratori e sdegnosi 5. L’artista fu perfino definito “ignobile pittore”6 e le sue opere indicate come triviali e mediocri 7. Per citare un esempio il dipinto conservato nella chiesa del Carmine di Bergamo e formato da tre tele unite di mano del Cavagna, di Chiara Salmeggia e del Brina viene così etichettato dal Pasta: “l’altra metà superiore colla Vergine, ed altri santi [fu realizzata] da Giuseppe Brina, che non seppe per la sua dilavata maniera imitare lo stile robusto dei primi.”8. Per quanto riguarda i caratteri stilistici si può dire con certezza che osservò e studiò opere non solo dei concittadini, ma anche degli artisti stranieri che, dalla fine del ‘500 e per tutto il ‘600 lavorarono nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Infatti, come sottolinea Simonetta Coppa, non è difficile riconoscere nelle sue opere colori veneti uniti a tratti genovesi e cortoneschi9. Un documento del 1° Agosto 1702 in cui si parla del pagamento di due tele è l’ultimo che testimonia la presenza a Bergamo dell’artista, anche se non è escluso che sia ritornato a dipingere nella bergamasca dopo e durante il lungo soggiorno in Valtellina, protrattosi da quell’anno 133
Cfr. Ivi, p. 295; L.VACCHER, Brina, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 14, 1972, pp.317-318 11 Cfr. M. ZANARDI, op. cit., p. 296. 12 Cfr. Ibidem 10
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al 172210. È probabile che a spingere il pittore ad abbandonare la propria patria abbia contribuito, oltre allo scarso successo critico riscosso, anche il clima affermatosi in Europa nel periodo che prevedeva per gli artisti un’attività itinerante quasi senza limiti territoriali o di scuola, a cui si deve il carattere cosmopolita di buona parte della produzione artistica della prima metà del Settecento. D’altra parte anche la committenza bergamasca rivela in questo periodo una certa volubilità e la propensione a rivolgersi ad artisti provenienti da
altri ambienti culturali, soprattutto per la realizzazione di affreschi. In Valtellina l’artista lavorò alacremente accanto a pittori quali Parravicini, Muttoni e Bianchi da Como. L’ultima data che attesta l’attività del pittore è il 1722, quando firma e data due quadri per la parrocchiale di Villa di Tirano11. Sebbene non si abbiano notizie circostanziate in merito al periodo e le opere siano per lo più andate perdute, si ha testimonianza di una sua attività anche a Crema e a Brescia 12
Sant’Andrea Avellino
TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica pittorica, bene mobile. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Giuseppe Brina Titolo: Morte di Sant’Andrea Avellino Data: Prima metà del XVIII secolo Collocazione:Bergamo,Chiesa di Sant’ Agata del Carmine, quarta cappella a destra, parete destra, Tecnica : Olio su tela Dimensioni: 280X175 cm Iscrizioni : Stato di conservazione: discreto Sant’Andrea Avellino è rappresentato in abiti sacerdotali inginocchiato davanti all’altare. È circondato da angeli che sorreggono la mitria, il pastorale, un libro e un cesto con dentro delle monete. Anche sopra le nuvole, che chiudono superiormente il dipinto, troviamo degli angioletti che si affacciano a guardare il santo, rivolto con lo sguardo verso l’alto mentre prega. Di lato, accanto all’architettura compare la Madonna, in un squarcio monocromatico che indica l’apparizione miracolosa della Vergine in occasione del trapasso del santo o la trasposizione della preghiera del santo dalla mente alla “realtà”. E’ verosimile che l’opera sia stata eseguita in anni immediatamente successivi al 1712, data della canonizzazione dell’Avellino ad opera del Papa Clemente XI. I colori sono accesi solo nella parte centrale del dipinto, mentre nella fascia superiore gli angeli
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Cfr M. ZANARDI, Giuseppe Brina, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo, Il ‘700, vol. II, Bolis, Bergamo, 1984, p. 303. 2 Cfr. G. M. TASSI, Indice delle chiese della città[di Bergamo]e Borghi, dal ms. della Biblioteca Civica di Bergamo, pubbl. in Vite de’ pittori, scultori ed architetti bergamaschi, Bergamo, Locatelli, ed. postuma a cura di F. Mazzini, 1970, vol.2, pp. 13 – 14. 1
Figura 1: Gesù Bambino benedicente. Bergamo, chiesa di S. Bartolomeo.
sembrano quasi nascosti da una bruma, tanto che alcuni si distinguono a malapena dallo sfondo. Storia e critica: Il dipinto fu commissionato al Brina nel XVIII
sec. ed è ora esposto nella chiesa del Carmine. Ipotizziamo tuttavia che l’opera fosse originariamente situata nella chiesa dell’ex convento di Sant’Agata. Tale ipotesi viene da noi formulata perché, essendo l’Avellino un santo teatino, non si comprende il motivo della presenza di un
altare in suo onore o per lo meno di una tela a lui dedicata in una chiesa carmelitana. D’altra parte dalla chiesa di Sant’Agata provengono anche vari altri dipinti e probabilmente il fonte battesimale e una scultura ora esposti nelle cappelle del Carmine. Anche una Croce Astile ora conservata nel Museo e Tesoro della Cattedrale di Bergamo e in origine nella chiesa teatina è stato a lungo conservata nella chiesa dell’antico monastero carmelitano di Bergamo. La ragione del trasferimento delle opere è che al momento della definitiva soppressione della chiesa di Sant’Agata e della sua destinazione a carcere le funzioni parrocchiali in essa svolte da molti secoli furono trasferite alla chiesa del Carmine. L’attribuzione al Brina risale al Pinetti, che sostiene erroneamente di aver desunto l’informazione dal Bartoli, dal Pasta e dal Marenzi1. Secondo noi il dipinto potrebbe dubitativamente essere identificato con quello sull’altare di Sant’Andrea Avellino in Sant’Agata, citato dalle fonti settecentesche. Esse tuttavia ne indicano un autore diverso: Federico, Salvatore o genericamente cavalier Bianchi e sono anche poco circostanziate rispetto al soggetto rappresentato, che il solo Tassi identifica con Sant’Andrea Avellino. Anche quest’ultimo autore parla però di un dipinto rappresentante il santo teatino morente a letto e non ai piedi dell’altare in procinto di celebrare la messa come ci tramandano l’agiografia ed il dipinto in questione e, per di più, con gli occhi rivolti alla Vergine anziché verso alcuni angioletti in alto come nella tela del Brina2.
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La confusione fra gli autori dell’opera potrebbe essere motivata dal fatto che un Bianchi (sicuramente Salvatore, forse con il Figlio Francesco Maria) lavorò effettivamente nella chiesa di Sant’Agata per eseguire un ciclo di affreschi di ampie proporzioni in date verosimilmente vicine alla realizzazione del dipinto del Brina e abbastanza lontane dalla stesura dei testi degli storici settecenteschi da generare inesattezze. Confronti con altre opere: Le opere in San Bartolomeo e nella stessa chiesa del Carmine con Gesù Bambino Benedicente e il Matrimonio mistico di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (fig.1-2) presentano molti particolari simili all’opera da noi analizzata, permettendo una sicura identificazione dell’artista. Oltre all’uso di una gamma cromatica analoga e al gusto per una definizione plastica netta, anche se delicata, troviamo infatti numerose altre somiglianze. Ad esempio, osservando l’angelo col drappo rosso raffigurato di spalle in primo piano nel Sant’Andrea Avellino, notiamo che lo scorcio dell’ala è identico a quello che sostiene la mitria al vescovo inginocchiato nel Gesù Bambino benedicente e, sempre lo stesso dipinto, il vescovo ricalca la posizione del Sant’Andrea, anche se è leggermente più frontale. Gli angioletti seduti sulle nuvole, in alto, nel dipinto che pensiamo provenire dall’ex chiesa di Sant’Agata, non sono altro che la copia di quelli presenti nel Matrimonio mistico, come anche la figura della Madonna, seminascosta dalla nuvola su cui è adagiato il figlio, è nell’identica posizione della Vergine che compare al Santo.
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Anche l’angioletto suonatore sulla destra di questo stesso dipinto presenta il volto uguale a quello dell’angioletto in secondo piano nella parte inferiore sinistra della tela con Sant’Andrea Avellino.
Figura 2: Matrimonio mistico di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. Bergamo, chiesa di S. Agata del Carmine.
Rilievo grafico-pittorico. Teatrino con resa tridimensionale dell’opera pittorica. Studio pittorico di particolari di panneggi. Bozzetto dell’insieme e schizzi a matita. Analisi morfologica dell’opera con campionature grafiche-pittoriche. Analisi delle linee prospettiche e compositive.
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140
3.3 Ipotesi sulla struttura settecentesca della chiesa: presumibile intitolazione delle cappelle Cfr. CALVI, Effemeride sacro profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo, Milano, 1676-1677, vol. 1, p.2
1
CALVI, 1677 Negli scritti del Calvi si fa riferimento a tre altari: il maggiore, quello dei santi Giovanni Battista e Gaetano e quello di Sant’Agata. Lo studioso riferisce che nell’altare maggiore è situata la statua della “Beatissima Vergine” detta del Buon Successo; negli altri due sono collocate pitture di Enea Salmeggia.1 E’ da sot-
tolineare che il Calvi scrive prima dell’ingrandimento dell’edificio effettuato all’inizio del Settecento. BARTOLI, 1774 Il Bartoli cita il primo altare (non indicandone il lato, ma sicuramente a destra dato l’ordine da lui solitamente seguito nell’illustrare le opere nei vari edifici ecclesiastici), che desumiamo essere de-
BARTOLI, 1774
sAN GAETANO SANT’ANDREA AVELLINO ALTARE MAGGIORE SANT’AGATA
142
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PASTA, 1775
TASSI, 1793
sAN GAETANO SANT’ANDREA AVELLINO
sAN GAETANO
BATTESIMO DI CRISTO
SANT’ANDREA AVELLINO
SANT’AGATA
CAPPELLA MADONNA
2 F. BARTOLI, Le pitture, sculture ed architetture delle Chiese, e d’altri Luoghi Pubblici di Bergamo, Vicenza, 1774, pp.7-8 3 A. PASTA, Le pitture notabili di Bergamo, Bergamo,1775, p. 37. 4 Cfr. Ivi, p.37-38
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dicato a San Gaetano, visto che era ornato da un quadro con tale santo portato in Gloria dagli angeli. Riferisce inoltre che tale dipinto era sormontato da un ovato con la mezza figura di San Giovanni Battista e che entrambe le opere erano di mano di Gian Domenico Cignaroli, pittore veronese del Settecento. Il secondo altare secondo il Bartoli era dedicato ad un santo dell’Ordine teatino di cui l’autore non fornisce l’intitolazione precisa, ma che è facilmente riconoscibile in Sant’Andrea Avellino dato il soggetto della pala che viene detta di mano del Cavalier Federico Bianchi Milanese: la morte del santo, iconografia che in ambito teatino è abbastanza peculiare dell’Avellino. Segue l’Altar Maggiore. Del quarto altare, collocato dopo quello maggiore e quindi sul lato sinistro della chiesa, l’autore dice solo che mostrava un dipinto con il martirio di Sant’Agata eseguito da Enea Salmeggia2. Non viene
citato l’altare successivo. PASTA, 1775 Nell’opera del Pasta si fa riferimento alla cappella del Battistero che si trova di fronte alla porta d’ingresso sul vicolo; nella cappella troviamo un dipinto del “Battesimo di Cristo” erroneamente attribuito a Palma il Vecchio e in realtà firmato da Andrea Salmeggia, detto “il Talpino” e dallo stesso datato 1590. Nel primo altare “a mano dritta” troviamo il dipinto di “San Gaetano Tiene portato in gloria dagli angeli” di Domenico Cignaroli Veronese. La cappella che segue è decorata con un’opera attribuita al Cavalier Bianchi rappresentante il “ Santo fondatore dipinto in atto di spirare”,3 iconografia che ci fa supporre che la cappella fosse intitolata a Sant’Andrea Avellino. Di fronte a questa cappella troviamo l’opera di Talpino che rappresenta il “Martirio di Sant’Agata” a cui ovviamente era dedicata la cappella.4
Cfr. F. M. TASSI, Indice delle chiese della città[di Bergamo] e Borghii, ms. della B.C.Mai, pubbl. in Le vite de’Pittori, Scultori e Architetti Bergamaschi, Milano 1970, vol. II, p.13 6 Cfr. Ibidem. 5
TASSI, 1793 Negli scritti del Tassi si cita la cappella espressamente detta di Sant’Andrea Avellino con un’opera assegnata a Salvatore Bianchi. Nell’altare di San Gaetano l’autore riferisce che si trovava in origine un dipinto del Ceresa sostituito in occasione del rifacimento dell’altare con marmi pregiati da una scultura del Santo titolare della cappella. Quest’ultima “vien ricoperta da un quadro dipinto da Cignaroli”.5 C’è una cappella della Madonna con affreschi del Vincenti e altri tre affreschi con la Concezione, l’Annunciazione e l’Assunzione della Vergine di cui è autore un allievo del Bianchi.6 E’ assai probabile che la cappella a cui si riferisce il Tassi sia quella mediana del lato sinistro della chiesa, visto che è l’unica senza intitolazione. SINTESI In tutti e quattro gli scritti si fa riferimento agli altari di San Gaetano e Sant’Agata e alla loro disloca-
zione, quindi per essi abbiamo riferimenti abbastanza certi. Nell’altare di San Gaetano il Tassi afferma che in date precedenti era situato un bellissimo dipinto del Ceresa, di cui tuttavia non indica il soggetto preciso, mentre al suo tempo vi si trovava una scultura del santo in una nicchia entro l’altare, ricoperta da una tela del pittore veronese Cignaroli, che il Bartoli e il Pasta specificano essere Giovan Domenico, fratello del più famoso Gian Bettino. Questi ultimi due studiosi riferiscono anche che il soggetto rappresentato era la Gloria di San Gaetano e che sopra questo dipinto si trovava un ovato dello stesso maestro con una mezza figura di San Giovanni Battista. Il Tassi cita espressamente una cappella dedicata a Sant’Andrea Avellino e riferisce che era ornata da un dipinto di Salvatore Bianchi di Varese, mentre il Bartoli e il Pasta in maniera meno circostanziata ci riferiscono di un altare dedicato a un santo teatino con un di145
SINTESI
sAN GAETANO SANT’ANDREA AVELLINO CAPPELLA MADONNA (dopo l’ampliamento) BATTISTERO SANT’AGATA BEATA VERGINE DEL BUON SUCCESSO (prima dell’ampliamento) A. PASTA, op. cit., p.37 Cfr. F. TASSI, op. cit., p.14 9 Cfr. Ivi, p.13 10 Cfr. D. CALVI, op.cit., vol. I, p. 2, vol. 2, p 59, . 7 8
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pinto in cui veniva rappresentato nell’atto di spirate attribuito rispettivamente al Cavalier Federico Bianchi milanese e al Cavalier Bianchi milanese. Nessuna delle opere giunteci sembra riferibile né a Salvatore, né a Federico Bianchi. Noi ipotizziamo che gli studiosi abbiano confuso tali artisti con Giuseppe Brina, a cui è attribuibile una tela con la morte di Sant’Andrea Avellino ora al Carmine. Essa sembra databile nel periodo del rilancio del culto del Santo avvenuto nel 1712, a seguito alla sua santificazione voluta da di papa Clemente XI. La cappella dedicata a Sant’Agata era sicuramente collocata nella posizione più prossima al presbiterio sul lato sinistro della chiesa ed era ornata con il martirio della santa del Salmeggia ora al Carmine. Il Pasta ci informa che la prima cappella a sinistra, “di contro alla Porta che è in testa al vicolo che conduce alla Chiesa”7 aveva la funzione di Battistero ed era ornata con un quadro mobile col Battesimo di Cristo erroneamente attri-
buito a Palma il Vecchio e in realtà firmato e datato dal Salmeggia, a cui già lo restituisce il Tassi.8 Essa ora si trova sulla parete sinistra della prima cappella a sinistra del Carmine, diventata a sua volta Battistero allorché l’edificio divenne chiesa parrocchiale in sostituzione di quella sconsacrata di Sant’Agata. La cappella mediana del lato sinistro della Chiesa doveva essere dedicata alla Beata Vergine ed era decorata con affreschi che il Tassi riferisce ad un allievo di Salvatore Bianchi con la Concezione, l’Annunciazione e l’Assunzione della Madonna.9 Con ogni probabilità qui era stata trasferita la statua della Beata Vergine del Buon Successo, non citata dalle fonti settecentesche che manifestano sempre un interesse modesto per le opere scultoree. Essa era situata sull’altar maggiore prima dell’ampliamento della chiesa d’inizio Settecento e dell’accrescimento del numero delle cappelle laterali da due a quattro10 più l’ambiente destinato a Battistero.
Altare di San Gaetano Thiene
1 Cfr L. PAGNONI, Chiese parrocchiali bergamasche, Monumento Borgomensia, Bergamo, 1979, p. 238
TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica scultorea, bene mobile. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Bottega dei Manni1 Titolo: Altare di San Gaetano Thiene Data: 1750 circa Collocazione: Casazza (Bg), Chiesa di S. Lorenzo Martire. Tecnica : Marmi policromi e marmo bianco
scolpiti ed intarsiati Dimensioni: 800 x 330 x 210 cm Iscrizioni : QUERITE PRIMUM/ REGNUM DEI/ ET IUSTITIAM EJUS/ Mat. Cap. VI (nella cimasa dell’ancona) Stato di conservazione: Buono
Cfr Ibidem
L’altare di San Gaetano è costituito da un basamento ornato agli angoli con decorazioni a volute ocra nella parte centrale delle quali trovano spazio segmenti di festoni in marmo bianco. Dello stesso materiale è anche il medaglione (fig. 1) posto nella parte frontale, al centro, rappresentante il Santo portato in gloria da angeli e angioletti. Lo racchiude una cornice in marmo verde, circondata a sua volta da decorazioni floreali intarsiate. I vari tipi di marmo sono intervallati da inserti in marmi bianchi e neri. Il colore predominante è il bianco. Nella parte superiore è presente un’ancona
Fig. 1
148
2
Fig. 2
(la sezione longitudinale in marmo grigio è stata posta in un periodo successivo) ove troviamo un espositore contenente il santo che, tra le braccia, sostiene il Bambin Gesù (fig. 2). Ai margini troviamo due sculture femminili in gesso le quali reggono simboli cristiani; quella a sinistra un calice in bronzo contenente un’ostia, quella a destra un’ancora. Entrambe sono figure allegoriche, rispettivamente della fede (fig. 3) e della speranza (fig.4), virtù di San Gaetano. Storia e critica: L’altare fu eseguito per la chiesa del convento di Sant’Agata dei Teatini in Bergamo Alta ma, a causa delle soppressioni del periodo napoleonico, venne trasferito
Fig. 3
nell’attuale parrocchiale di Casazza assieme ad altri altari settecenteschi provenienti sia dalla chiesa sopra citata, sia da quella di S. Agostino 2. Nell’attuale altare, collocato in posizione centrale, troviamo un inserto in marmo grigio che, allo stato originario, non era presente. Questa modifica è stata apportata una volta trasferito l’altare nell’attuale ubicazione a causa della limitata altezza di quest’ultimo in relazione alle misure della Chiesa di S. Lorenzo Martire. Mediante l’utilizzo di un programma grafico siamo riusciti a modificare una fotografia dell’attuale altare per mostrarne l’aspetto originario.
Fig. 4
149
Rilievo grafico-pittorico Analisi della struttura e dei colori dei marmi dell’altare. Studi grafici e pittorici dell’impianto decorativo con campionatura dei marmi policromi. Schizzi delle figure scultoree a matita ed acquerello.
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Altare maggiore della chiesa di S. Lorenzo Martire
1 Cfr L. PAGNONI, Chiese parrocchiali bergamasche, Monumenta Borgomensia, Bergamo, 1979, p. 238
TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica scultorea, bene mobile. NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Bottega dei Manni1 Titolo: Altare Maggiore Data: XVIII sec. Collocazione: Casazza (Bg), Chiesa di S. Lorenzo Martire. Tecnica : Marmi policromi scolpiti/intarsiati;
sculture di cherubini e angioletti Dimensioni: 320x400x300 cm Iscrizioni : Stato di conservazione: Buono, l’angelo sulla destra è sostituito da una copia a causa del suo furto. L’altare maggiore è composto dall’altare e della tribuna espositoria, che era assente nella chiesa di Sant’Agata ed è stata aggiunta nel secolo scorso. Ai lati dell’altare ci sono delle mensole a volute in marmo ocra con affissi volti di cherubini (fig. 1); in posizione sottostante si trova lo stemma dei chierici Teatini, formato da uno stemma araldico raffigurante uno scudo con croce latina posta al centro, su tre cime di un monte. Attorno ad esso si trova una cornice asimmetrica di tipica impronta rococò. A sovrastare lo scudo è collocata una semplice corona (fig. 2). Nella parte frontale, finemente decorata con
2
Ibidem
volti di angeli e sculture intere di putti ai margini, si trovano accostamenti di marmi di vario colore fra cui spiccano il rosso ed il blu. Per intervallare le varie tipologie di marmo, lo scultore ha inserito delle cornici in marmi bianco e ocra. Storia e critica: L’altare, attualmente situato nella Chiesa di S. Lorenzo Martire, era stato eseguito originariamente per Sant’Agata; successivamente alle soppressioni del periodo napoleonico venne trasferito come altri altari della stessa chiesa.2 Dei putti ai margini dell’altare solo quello a sinistra è originale (fig. 3), restaurato per essere esposto al pubblico, mentre quello di destra è una copia.
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 1
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Rilievo grafico-pittorico Schizzi delle figure scultoree a matita ed acquerello. Analisi del disegno strutturale dei marmi policromi.
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SAN GAETANO THIENE CON IL BAMBINO
Dimensioni: 150x50x40 Iscrizioni: Stato di conservazione: il braccio sinistro del Bambino è stato ricostruito . Gli indici di San Gaetano sono stati ricostruiti e sono presenti numerosi graffi sul talare del Santo. Restauri: non tramandati, ma sicuramente verificatesi in passato.
TIPOLOGIA DI BENE: Opera artistica scultorea, bene mobile NOTIZIE IDENTIFICATIVE Autore: Titolo: San Gaetano da Thiene con il Bambino Data : ante 1774-75 Collocazione: Bergamo, chiesa parrocchiale di San Lorenzo Martire, Casazza Tecnica: legno intagliato e dipinto
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La statua rappresenta San Gaetano Tiene che tiene tra le braccia il Bambino Gesù. Secondo la tradizione il santo avrebbe visto la Madonna che gli porgeva il Bambino durante la celebrazione della sua prima messa. San Gaetano indossa i tipici abiti sacerdotali: un talare nero stretto alla vita con una cinghia anch’essa di colore nero. Con entrambe le mani sorregge Gesù Bambino. Il santo, piuttosto stempiato, ha la barba e i capelli corti e bruni. Il suo aspetto corrisponde alla fisionomia del santo tramandataci dalle immagini più antiche e ciò sembra convalidare l’ipotesi che la scultura sia stata eseguita per un ambito teatino dove, ovviamente, era più probabile fossero conservate notizie sull’aspetto fisico del Thiene. La statua è posta in una nicchia tipicamente settecentesca. Storia e critica: L’opera potrebbe essere identificata con quella citata dal Tassi nel 1793 nella chiesa di Sant’Agata: “ all’altare di San Gaetano eravi una bellissima tavola del Ceresa […] la quale è stata levata per esser stato fatto tutto l’altare di pregiati marmi, e posta nel mezzo in una nic-
F.M.TASSI, Indice delle chiese dal manoscritto della biblioteca civica, in Le vite dei pittori, scultori architetti bergamaschi, ed.postuma, Locatelli, Bergamo, 1793, p. 13 2 F. BARTOLI, Le pitture, sculture ed architetture della Chiesa e d’altri luoghi pubblici di Bergamo,Vicenza,1774, pag. 7-8 3 A. PASTA, Le pitture notabili di Bergamo, Bergamo, Forni, 1775, pag. 37-38 1
chia la statua del Santo, la quale vien ricoperta da un quadro dipinto da Cignaroli”1. Essendo citata l’opera di Gian Domenico Cignaroli con la gloria di San Gaetano Thiene nei testi del Bartoli2 e del Pasta3, ove non si fa menzione del dipinto del Ceresa, si può dedurre che la trasformazione dell’altare dedicato al fondatore dell’ordine teatino era avvenuta in date anteriori al 1774-1775, date di pubblicazione degli scritti dei due studiosi. Per altro Gian Domenico Cignaroli, meno noto alla critica del fratello Gian Bettino, fu probabilmente operoso in anni non lontani da quelli di quest’ultimo, vale a dire fra il 1730 e il 1770 circa. D’altra parte i caratteri stilistici dell’opera sembrano concordare con una sua datazione al terzo o quarto del Settecento. Si ipotizza quindi che la scultura sia stata trasferita nella chiesa di San Lorenzo Martire di Casazza assieme a numerosi altari della chiesa teatina alla fine del Settecento, con la soppressione del convento e la sua destinazione a carcere.
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Coprifonte Battesimale
Bibliografia: “Inventari degli arredi sacri esistenti negli edifici di culto della parrocchia di S. Agata al Carmine di Bergamo”, Giuseppe Beretta, 1966.
TIPOLOGIA DI BENE: Opera Artistica scultorea, bene mobile Autore: Titolo: Coprifonte Battesimale da Sant’Agata. Data: Prima metà del XVIII secolo Collocazione: Bergamo, Chiesa di Sant’Agata del Carmine
Coprifonte battesimale di Sant’Agata.
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Tecnica: legno intagliato e dorato Dimensioni: 180x80 cm. Iscrizioni: Stato di conservazione: discreto: la doratura non è originale e tanto la stuccatura, quanto la doratura risultano cadute in più parti L’opera risulta evidentemente di stile Rococò. La parte superiore, che funge da “coperchio” al fonte battesimale vero e proprio, presenta decorazioni formate dall’intreccio di nasti, volute ed elementi vegetali. Il bassorilievo più importante rappresenta probabilmente la scena evangelica della piscina di Betesda, tratta dal Vangelo secondo Giovanni: Gesù si reca ad una piscina dove si ritrovano gli ammalati di Israele nella speranza di poter guarire. Lì Gesù risana un paralitico con l’acqua di quella fonte. Tale scena mostra un’ambientazione formata da tre archi al di là della quale si intravede la città, personaggi in primo piano fra i quali, tuttavia, non è possibile distinguere la figura di Cristo e un angelo in volo. Le decorazioni sono suddivise tra loro da delle finte colonne in stile composito, sempre in bassorilievo. All’apice della struttura troviamo una statua, sempre in legno dorato, rappresentante San Giovanni Battista. E’ probabile che il coprifonte sia stato rifatto in occasione dei generali lavori di ammodernamento e abbellimento che interessarono la chiesa in date successive alla sua riedificazione ar-
chitettonica del primo decennio del XVIII secolo. Tuttavia la forma non perfettamente coincidente con quella ottagonale del fonte
Coprifonte Battesimale di Sant’Agata Particolare del bassorilievo rappresentante probabilmente la piscina di Betesda.
marmoreo sicuramente proveniente dall’ex chiesa di Sant’Agata lascia adito a qualche dubbio.
Coprifonte Battesimale di Sant’Agata Particolare della statua rappresentante San Giovanni Battista.
Coprifonte Battesimale di Sant’Agata Particolare del bassorilievo ai lati.
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CAPITOLO 4
Il convento di Sant’Agata dopo la soppressione napoleonica
4.1 Il complesso di Sant’Agata dalla soppressione ai progetti del Pollack
Per le vicende cfr. A.S. Bg, Fondo Dipartimento del Serio, Culto, Busta 714 e A.C.V.Bg, Fascicoli Parrocchiali, Sant’Agata, lettera del vescovo Dolfin 17 novembre 1797 2 Ivi, lettera di sospensione del vescovo Dolfin 3 La chiesa ha cessato di essere parrocchia nel 1967, allorché tale funzione è stata accorpata alla Cattedrale cittadina 4 A.S.Bg, cit. 5 Cfr. Ibidem. 6 Cfr. B.CARISSONI, Il sistema carcerario a Bergamo in età napoleonica, in “Archivio bergamasco”, 1995 7 Fa eccezione la Croce Astile di cui abbiamo già parlato che è attualmente conservata, nel Museo e Tesoro della Cattedrale di Bergamo 8 Cfr. E.FORNONI Bergomensis Vinea, ms. presso l’A.C.V.Bg., s.d., ma riferibile al 1915-20 ca. 1
Le truppe di Napoleone entrarono in Bergamo il 25 novembre del 1796 e nel giro di pochi mesi, precisamente il 13 marzo del 1797, venne istituita la Repubblica Cisalpina che portò alla soppressione del monastero con decreto del 17 novembre 1797. Di questo ci informa una sintesi delle vicende redatta dall’allora vescovo di Bergamo Giovanni Paolo Dolfin: “ il direttorio…trovò conveniente la soppressione e traslocazione della Parrocchia di Sant’Agata, concentrando i religiosi di quel convento Teatino, i quali ne avevano l’esercizio, in altro dello stesso stituto… Subì infatto la soppressione e venne la Parrocchia divisa. Una parte si accollò a quella di S. Lorenzo, un’altra a quella di S. Michele dell’Arco, e il restante alla Parrocchia di S. Salvatore; con tale differenza però quanto a questa che l’esercizio parrocchiale del culto si fissò e venne pratticata nella Chiesa del Carmine resa vacante per la soppressione di quel convento” 1. Tale provvedimento venne poi annullato dallo stesso vescovo il 4 settembre del 1799, durante il periodo della dominazione austrorussa, ma non fu possibile riportare le funzioni parrocchiali in Sant’Agata poiché questa era stata “quasi interamente distrutta dalla irreligione del passato Governo”2. La cura delle anime venne interamente allocata alla chiesa di Santa Maria del Carmine, che assunse la denominazione di Sant’Agata del Carmine3 (al fine di non creare fraintendimenti, tuttavia,
abbiamo sempre indicato questo edificio con il solo nome di “Carmine”). L’ex chiesa di Sant’Agata, grazie alla “Religiosa Pietà di Sua Maestà Imperiale [fu …] accordata alla benemerita congregazione di San Luigi di Questa città, tanto utile e necessaria alla formazione religiosa e politica della nostra gioventù”4. La congregazione di San Luigi Gonzaga aveva fatto richiesta di poter disporre dell’ambiente il 6 luglio del 17995. L’utilizzo dell’edificio da parte dell’associazione benefica fu tuttavia di breve durata, dato che nel 1802 si decise di ristrutturare l’intero complesso di Sant’Agata, destinandolo ad accogliere tutti i detenuti cittadini, che fino a quel momento venivano ospitati in vari istituti di pena della città a seconda della tipologia e della gravità delle colpe, nonché del fatto che la sentenza definitiva fosse stata o meno promulgata6. L’ex chiesa, nonostante le proteste della congregazione di San Luigi Gonzaga, fu destinata a diventare l’infermeria del carcere. Conseguenza della soppressione del monastero e della chiusura della parrocchiale è anche la spoliazione degli ambienti di tutte le suppellettili e del mobilio. Ad eccezione delle opere artistiche alla fine trasferite nella nuova sede parrocchiale del Carmine e qui ancor oggi conservate7, ne abbiamo per lo più perso le tracce, ma alcune scarne informazioni a loro riguardo ci sono giunte da un manoscritto stilato all’inizio del Novecento da Elia Fornoni8 e da docu161
Cfr. A.S.M., Culto parte antica, pezzo 624, 10 Cfr. E.FORNONI Bergomensis Vinea, Ms presso l’A.V.C.Bg., inizio XX sec., pag 200. 11 Ibidem. 12 Ibidem. 13 A.S.M., Amministrazione del fondo di Religione, cartella 2, 9
menti conservati nell’Archivio di Stato di Milano. In un primo tempo, con la divisione dei parrocchiani fra le tre chiese di San Michele dell’Arco, di San Lorenzo e di San Salvatore, anche i mobili furono fra esse spartiti. Quando la soppressione della chiesa venne revocata a seguito della conquista austro-russa, i parrocchiani cercarono di recuperali, ma solo la prima fra le subentrate parrocchie si mostrò disponibile alla loro restituzione, come risulta da una lettera del febbraio 1800 dell’archivio milanese9. Quando all’inizio del XX secolo il Fornoni redige il proprio testo, del cenobio e dell’annessa chiesa
con tutte le sue suppellettili può parlare solo al passato, ed è praticamente costretto a limitarsi a riportare quanto scritto dagli studiosi precedenti, arricchendo però in alcuni casi le informazioni già note con altre risalenti al periodo successivo alla soppressione. In particolare del dipinto di G.Bettino Cignaroli con la gloria di S.Gaetano (in realtà attribuito dalle fonti settecentesche al suo meno noto fratello Giovan Domenico), riferisce che era stato portato in un primo tempo nella villa della famiglia Camozzi a Ludriano e poi in quella di Ranica10. Le ricerche da noi effettuate non hanno per il momento portato ad alcun risultato. Ci informa inoltre che ai suoi tempi il dipinto di Lattanzio Gambara raffigurante il seppellimento di Cristo originariamente in un camerino attiguo alla Sagrestia era “ancora visibile”11, mentre i quadri del Talpino con Sant’Andrea Avellino e Sant’Agata erano passati nella chiesa del Carmine. Riferisce poi che “due magnifici altari in marmi pregiati di stupenda fattura sono ora nella parrocchiale di Mologno “12.Vari documenti dell’Archivio di Stato di Milano comprovano tale affermazione, infatti sotto la data 11 luglio 1799 troviamo la richiesta di pagamento della rata “che è matura e passività delli sig.ri Bettoni, Longa e Cambianica del Comune di Mologno per quanto hanno essi acquistato di effetti della soppressa chiesa di S.Agata dal co. Giacinto Benaglio”13. In altra carta priva di data, ma verosimilmente assai prossima cronologicamente a quella appena citata, troviamo: “fu[…] l’accordio fatto dal prelodato Co. Benaglio per la vendita dei altari di cui si tratta alli Sig.ri Bettoni, Longhi e Cambianica di Mologno in Lire 15 000; a conto delle quali aveano pagate £ 4 000 ed il resto entro tré anni in tré rate una delle quali è già scaduta e per cui sono stati eccitati al pagamento da questa amministrazione del Fondo di Religio-
Ivi. Ivi. 16 Ivi. 17 Cfr. E. Fornoni, op. cit, p.201 18 A.S.M , Archivio generale del Fondo di Religione, pezzo 2875 19 Cfr. ibidem 14 15
ne”14, a cui erano state passate in gestione tutte le sostanze dell’ex monastero di Sant’Agata e di cui era amministratore Giambattista Locatelli, con delega al conte Benaglio. Come si è già avuto modo di illustrare nel capitolo precedente questi due stupendi altari sono stati da noi recentemente rintracciati nella parrocchiale di Casazza, nuova denominazione dell’antico paese di Mologno. Era stato il Locatelli in persona a procedere l’anno precedente alla vendita di altri mobili della soppressa chiesa teatina: il 2 febbraio 1798 viene venduto per la modica cifra di “lire novantacinque non compresa la pietra de’ marmo di esso”15 un altare di noce al cittadino Battista Lorenzi (definito “ di qui” e quindi presumibilmente residente a Bergamo), mentre il “26 Febraro 1798, restan accordati in vendita al Cittadino Prete Giacomo Alebardi di Torre Boldone quatro Confessionali del sopresso Convento di S.ta Agata non compresi li due vicini alla Porta, e quello posto nella Capella per il prezzo di Lire trecento cinquanta correnti, da pagarsi all momento del trasporto”16. I confessionali attualmente conservati all’interno della parrocchiale di Torre Boldone non sembrano tuttavia da riferire alla prestigiosa commissione teatina. Il Fornoni ci dice poi che “Il battistero passò al Carmine”17 ed è quasi sicuramente riconoscibile nel fonte battesimale in pietra e copertura di bella foggia rococò in legno intagliato presente nella prima cappella a sinistra della chiesa(fig. 1 ). Anche di questo importante oggetto liturgico si ha traccia nei documenti dell’archivio milanese, dove troviamo addirittura l’anno di esecuzione del manufatto: “ die 3 Iulij 1681, fiat novus fons Baptisimalis lapideus, vel marmoreus bipartitis ad prescritionis”18. La prescrizione a cui si fa rifermento è molto probabilmente quella emanata dal vescovo
Fig. 1 Fonte battesimale seicentesco con coprifonte rococò Ora nella chiesa di Sant’Agata del Carmine
Gregorio Barbarigo durante la sua visita pastorale alla chiesa 19. E con la data riferita nel documento sembra concordare lo stile del fonte marmoreo. La copertura lignea risale tuttavia innegabilmente a date più tarde, come rivelano le sue caratteristiche rococò e potrebbe essere stata realizzata in occasione dei generali lavori di riordino dell’edificio ecclesiastico avviati nel 1706.
Cfr. nota 10 162
163
1 Due copie sono conservate in A.S.Bg, Dipartimento del Serio,Tribunali Giudiziari, bb. 1775 e 1776 2 Cfr Ivi, b. 1776 4 Cfr. Ivi, capitoli 7 e 12
164
4.1.1 I progetti di Leopold Pollack Il primo progetto organico per la conversione del complesso monastico in casa di forza è dovuto all’architetto Leopoldo Pollack che, con spirito di illuminata sperimentazione funzionalista, stila i “Capitoli per l’appalto di fabbrica nel circondario di Sant’Agata, nella città di Bergamo”presentandoli al Ministro dell’Interno il 24 agosto 18021. Ad essi corrispondono quattro disegni firmati che riproducono i tre piani dell’edificio e una sua sezione, corredati da legende esplicative (Indici)2. L’operazione più significativa dell’intero progetto riguarda la divisone della chiesa in tre piani, realizzata mediante l’inserimento di pilastri in pietra di Mapello sorreggenti archi e volte ribassate nei due piani inferiori. L’ultimo piano, internamente non suddiviso, viene destinato ad infermeria, mentre i due piani sottostanti sono adibiti a celle comuni. 3 E’probabilmente nel periodo intercorrente tra la soppressione della chiesa e la stesura del progetto del Pollack che la zona absidale viene scoperchiata, mentre è sicuramente in quest’ultima occasione che è separata dal resto della chiesa attraverso l’erezione di nuovi muri (debitamente contrassegnati dal colore rosso nelle piante), onde trasformarla in un
A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b.1776, pianta del piano terreno del convento di Sant’Agata, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto
A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b. 1776, pianta del primo piano del convento di Sant’Agata, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto 165
Cfr. Ivi, Indici esplicativi delle piante, pianta B, n. 18 e C n. 5 5 Ivi, capitolo 8 6 In una delle ex capelle viene costruita una latrina. Cfr. Ibidem 7 Cfr. Ivi, capitoli 1,6,14 8 Cfr. Ivi, capitoli 8,9 9 Cfr Ivi, Indici, pianta C n. 5 10 Fr, ivi, busta 1775 4
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“ cortiletto” atto a dare luce ed aria alla cantina, prevista nell’annessa ex zona presbiteriale.4 Nel nuovo muro di separazione con il cortiletto “ si costruirà un camino con foccolajo, e Capa sostenuta da due spalle, e soglia di contorno di vivo per tutti due piani”5. Nel progetto dell’architetto viennese vengono poi divisi attraverso murature di nuova costruzione gli ambienti originariamente destinati a cappelle6 e, al piano superiore, anche l’antico presbiterio dalla navata. I detenuti devono avere ambienti separati in base al sesso e alla gravità dei reati commessi. Per garantire la sicurezza del luogo di detenzione, ovviamente, sono apposte inferriate alle finestre, serrande alle porte e doppi serramenti7 mentre, in ottemperanza ai principi igienici che si impongono nel periodo illuminista, per la salubrità dell’ambiente
si provvede alla riparazione delle latrine e all’edificazione di pozzi, cisterne e camini, nonché di corridoi atti ad arieggiare gli ambienti8. Pollack pensa anche al recupero della salute dei detenuti malati, prevedendo due infermerie, una maschile ed una femminile, una camera del medico ed anche una “cucina con fornelli per decotti e medicine”9. Purtroppo questo progetto lungimirante e imperniato sulla funzionalità dei vari ambienti non viene integralmente realizzato poiché i costi di esecuzione risultano assai superiori a quelli previsti dal Pollack, ed i tempi necessari alla sua totale esecuzione assai più lunghi dei nove mesi preventivati. A distanza di poco più di un mese dall’esecuzione dei disegni sono vani cinque tentativi d’asta per l’appalto dei lavori previsti10.
A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b. 1776, pianta del secondo piano del convento di Sant’Agata , disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto
A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b. 1776, sezione del complesso da Sud a Nord, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto
4.1.2 Confronto fra i disegni del Pollack
1 Ivi, A.S.Bg, Dipartimento del Serio,Tribunali Giudiziari, b. 1776 Indici, pianta A n. 1 2 Cfr. C. COLLEONI Historia Quadripartita di Bergamo, 1617, vol.1 pag.465
Fig. 1 A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b.1776, pianta del convento di Sant’Agata, particolare della chiesa, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto 168
Analizzando i disegni del Pollack in maniera accurata e confrontandoli tra loro e con altri disegni relativi all’ex convento rinvenuti nell’Archivio di Stato di Bergamo abbiamo dovuto constatare alcune incongruenze, che qui esponiamo. Esse riguardano esclusivamente l’ex chiesa teatina. Nella pianta del piano terreno (fig. 1) viene riportato il sotterraneo, che negli Indici viene definito “i fondamenti a terra pieni della fù chiesa, campanile e suoi annessi”1. Nella sezione esso non è disegnato. (fig. 2) Tuttavia in una sezione di poco più tarda tali ambienti appaiono, anche se sono definiti “ sotterranei chiusi”. (fig. 3) Probabilmente il Pollack, non potendo accedere agli ambienti e conseguentemente non potendo fornire misurazioni precise, si è astenuto dal riprodurli, dimostrando con questa scelta grande professionalità. Sarebbe interessante poter compiere delle indagini onde verificare l’esistenza o meno di questi vani, anche in considerazione di quanto scritto da Celestino Colleoni, già indicato nella prima parte del presente lavoro, cioè che nel realizzare le fondamenta della chiesa emersero alcuni mosaici romani, evidentemente appartenenti a un’antica domus2. Inoltre nei disegni dell’architetto viennese non esiste nessuna pianta del terzo piano. Si tratta di un 169
secondo piano
TERZO piano
A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, Carceri giudiziarie, busta1776, Indici 4 Cfr. Ivi 3
Fig. 3 A.S.Bg, Fondo Genio Cvile, b. 21, fasc 34, dis.201, primo ventennio del XIX secolo
Fig. 2 A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b. 1776, sezione del complesso da Sud a Nord, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto
fatto comprensibile, dato che a quel livello esistono solo la zona superiore della chiesa e i solai dei bracci Nord ed Est, questi ultimi chiaramente privi di interesse al fine della trasformazione dell’ex monastero in carcere (anche nessuna delle piante successive in realtà sarà dedicata a questa quota). Ma la pianta del secondo piano (fig. 3) non corrisponde nella zona relativa alla ex chiesa alle trasformazioni attuate dal Pollack. La sezione ci mostra infatti che, in maniera del tutto identica 170
Fig. 3 A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b. 1776, pianta del secondo piano del convento di Sant’Agata particolari della chiesa, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto
Fig. 4 A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b. 1776, pianta del secondo piano e sezione del convento di Sant’Agata particolari della chiesa, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto
Fig. 5 A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b. 1776, sezione del complesso da Sud a Nord, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto
Fig. 6 A.S.Bg, Fondo Dipartimento del Serio, b.1776, pianta del convento di Sant’Agata, disegno del 1802 firmato da Leopold Pollack e da Giuseppe Catto
al piano primo, a questo livello dovevano trovarsi grandi pilastri atti a sostenere delle volte, mentre qui ci troviamo di fronte a due soli ambienti, corrispondenti rispettivamente all’ex presbiterio e all’ex navata, internamente non suddivisa. La pianta C mostra chiaramente la presenza di finestre che della sezione sappiamo, non essere state presenti al piano intermedio dell’edificio, bensì in corrispondenza del suo terzo livello. (fig. 4) Ovviamente, nello stilare gli “Indici” relativi alle varie piante il Pollack si attiene alle parti effettivamente disegnate e riferendosi a questa zona, contrassegnata con il numero 6, enuncia: “infermeria degli uomini capace di persone n° 30”3 Inoltre, in un documento del 15 marzo 1803 si riferisce che nella stanza con il finestrone (con
ogni probabilità la grande finestra dell’ultimo piano dell’ex chiesa) si trova un altare4, che infatti viene riprodotto nella sezione del Pollack. Infine è da notare che i giacigli che si trovano in questo ambiente sono dotati di materassi e di due cuscini, contrariamente a quelli dei piani sottostanti, destinati a contenere detenuti in buona salute, che sembrano dei semplici pancacci. (fig. 5) Concludendo, è probabile che il Pollack abbia riunito in una sola pianta i due livelli terminali dell’edificio, riportando in essa gli elementi più significativi di ciascun piano. A nostro avviso appartengono al secondo piano i lati Nord ed Est, che nella sovrastante figura abbiamo contornato di verde, mentre la zona della chiesa, marginata di rosso, riguarda il terzo piano. (fig. 6) 171
Cfr. A.S.Bg., Dipartimento del Serio, Bergamo carceri di S.Agata e carcerati, Busta 1775. 2 Cfr. Ivi 3 Cfr. Ivi 1
4.1.3 Le infermerie maschile e femminile negli anni 1802-04 Il primo documento riguardante l’infermeria risale al 30 giugno 1802: in esso si denuncia un’infermeria incompleta nelle carceri di sant’Agata e se ne chiede il perfezionamento 1. Nello stesso anno si decide che nell’ex monastero devono confluire tutte le carceri cittadine e devono convivere la casa d’arresto e quella di detenzione con infermeria sia maschile che femminile, nonché ambienti di servizio. Tutto questo è enunciato e spiegato nei capitoli del Pollack. In un altro documento del 27 aprile 1803 risultano vani cinque tentativi d’asta per l’appalto di restauri e adattamenti dell’ex monastero: le spese sono esorbitanti rispetto alle previsioni dell’architetto Pollack. 2 In un documento del 15 marzo 1803 si riferisce che la soppressa chiesa viene in questi anni adibita ad infermeria nel grande vano ricavato sotto la volta grazie ad una sua suddivisione su tre livelli. I lavori di adattamento iniziano senza approvazione, perché ritenuti urgenti e non si sa se poi vengano bloccati (figg. 1 e 2). 3 Nello stesso documento si cita un altare posto nella stanza Fig. 1
172
173
Cfr. Ivi A.S.Bg.,Busta 1775. 6 Ibidem 4 5
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Fig. 2
Fig. 3
che va a corrispondere con il finestrone, presumibilmente la grande finestra del terzo piano dell’ex chiesa (fig.1). In un documento del Dipartimento del Serio risalente all’ 11 agosto 1803 4 si dà il via alla risistemazione delle carceri di S.Agata in quanto le riparazioni di tale edificio risultano urgenti. Un documento del 25 agosto 1803 5 dichiara che l’infermeria (che dobbiamo ipotizzare trattarsi di quella femminile) era troppo piccola e malsana per i detenuti e quindi andava trasportata più in basso, al livello del cortile, nel luogo che prima serviva da refettorio per i monaci teatini. (fig.3) Si chiede di aprire le latrine in questo ambiente per collocare nella stanza vicina una cucina per gli ammalati. L’altare presente deve essere spostato in una stanza a fianco che sarà adibita a ripostiglio dei medicamenti. Nella prima stanza viene allestita la cucina, nella seconda è situata l’infermeria, la terza contiene il ripostiglio dei medicamenti
e il dormitorio degli infermieri, ed infine l’ultima stanza funge da ripostiglio dei panni degli ammalati (fig.4). Nello stesso anno si chiede di ricollocare l’infermeria in un’altra zona più sana, dato che quella vecchia non è in condizioni adeguate per poter ospitare dei malati. Si decide di ricollocare l’infermeria al terzo piano della ex chiesa di S. Agata, ma si pensa comunque di mantenere entrambi gli ambienti come infermeria. (figg 4-5) Del 20 aprile 1804 6 è un documento che attesta i lavori da effettuarsi. Dello stesso anno è la ricevuta di pagamento per la riduzione dell’infermeria grande, inoltre nell’infermeria vecchia sono state riparate le finestre, il locale è adibito a contenere gli effetti dei detenuti malati e si accenna ad aggiungere dei nuovi bagni. Vengono poi certificate quattro finestre all’interno dell’infermeria che guardano verso la strada, via del Vagine (fig 6)
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
175
4.2 Modifiche apportate all’ex convento dopo le trasformazioni del Pollack A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 16, fascicolo 24 2 Cfr. Ibidem 3 A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 21, fascicolo 32/6 1
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Una grande quantità di carte relative agli interventi fatti nell’ex convento di Sant’Agata durante il XIX e XX secolo sono conservate presso l’Archivio di Stato di Bergamo. In particolare un documento del 31 gennaio 1829 riguardante le opere da eseguirsi per rendere più confacente l’edificio alla funzione carceraria recita: “1° Si dovrà primieramente demolire il muro di facciata verso strada […]; 2° Quindi l’altro muro interno al suddetto (che servir deve per la nuova facciata) verrà rinforzato ed ingrossato colla costruzione di buona muratura in calce, riducendolo fatto un perfetto allineamento esterno[…] per la lunghezza di met. 13.80, altezza met.11.8[…] 4°In luogo dell’attual Finestra grande si formerà una nuova apertura di Porta per entrare nell’atrio […] costruendo con buono e fino cemento il Bugnato[…] e le due fasce sagomate al di sopra del Pianterreno e dell’altro piano superiore …”1. Si tratta della facciata visibile da Vicolo Sant’Agata, sostanzialmente quella principale della chiesa, a cui si accedeva unicamente da via Colleoni, anche se corrispondente al suo fianco destro. La viuzza che rasenta il fianco dell’ex chiesa di Sant’Agata è ancora oggi piuttosto angusta, ma doveva esserlo ancor di più in antico, nonostante la generosa cessione di terreno da parte dei conti Secco Suardo a cui abbiamo già fatto riferimento. Infatti ad ostruirlo provvedevano l’ingresso principale della chiesa e le due cappelle, peraltro non
profonde, ancora visibili nei disegni del Pollack e che secondo le nostre ipotesi dovevano essere quelle intitolate a San Gaetano Thiene e a Sant’Andrea Avellino, cioè ai santi principali dell’ordine teatino. Oltre all’arretramento della facciata, al suo rifacimento e ad altre modifiche di minor interesse, nel documento si fa riferimento ad un altro intervento di rilievo: la costruzione sulla medesima parete di una seconda porta che immette in un ambiente da cui partono le scale di collegamento ai piani superiori. Sono quelle opere ancora visibili proprio allo sbocco del vicolo Sant’Agata. Il contratto con l’appaltatore dei lavori, Luca Carzana, viene redatto l’11 marzo del 18302. Niente di rilevante sembra essere accaduto all’ex convento fino al 1844. In un capitolato stilato il 10 luglio di quell’anno, tra le varie opere di adeguamento e ampliamento è possibile leggere della decisione di costruire “un nuovo Portico e Superiore loggia da erigersi sul lato di levante del Cortile”3. Il progetto non viene realizzato in quell’occasione perché della sua costruzione si parla ancora nel 1847, e sospettiamo che esso non abbia mai trovato attuazione, dato che questo lato del chiostro appare oggi sgombro da ogni superfetazione o da tracce di essa, se si esclude la sopraelevazione dell’ambiente che ha reso meno armoniosa la facciata in questione. Nel 1850 si ha la sistemazione dei condotti fognari dell’edificio e l’anno seguente, per evitare che i 177
Cfr. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 22,fascicolo 34 5 Cfr. Ibidem 6 Cfr. Ibidem. Si tratta dell’attuale accesso all’ambiente dell’ex monastero
Cfr.A.S.Bg, Fondo Genio Civile, bb. 21 e 22 8 Gentile comunicazione orale del dott. Giovanni Dotti dell’Archivio di Stato di Bergamo che ha riordinato il fondo Genio Civile e sta studiando l’operato dei vari ingegneri bergamaschi attivi a Bergamo
4
7
Nell’archivio di Stato di Bergamo sono conservati numerosi disegni attinenti all’ex convento di Sant’Agata e relativi ad alcune trasformazioni apportate nel corso dell’Ottocento per rendere più funzionale l’ambiente allo scopo detentivo cui era stato destinato. Purtroppo solo una serie di questi disegni è datata e ci offre un quadro preciso della situazione al 1863 e delle modifiche programmate in tale anno. Confrontando le piante e sezioni delle carceri di Sant’Agata che sono conservate nell’Archivio di Stato di Bergamo7 con quelle dell’architetto Leopold Pollack, abbiamo cercato di individuare i cambiamenti più significativi avvenuti durante gli anni che separano le cartine confrontate. In date non molto lontane dal progetto del grande architetto viennese viene eseguita la grande e preziosa sezione dell’intero edificio e le due piante ancor oggi conservate nell’archivio riproducenti il terzo
Fig. 2 databile V-VI dec. del XIX ca. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 21 dis. n° 186.
Sezione del complesso di Sant’Agata redatto dall’Ingegner Francesco Piantoni, primo ventennio del XIX sec. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b.21, fas.32,dis.201
detenuti possano fuggire, si fa costruire una gronda posta nell’ala di ponente del cortile. Nel 1857 viene scrostato e tinteggiato l’oratorio al piano del cortile4. In quegli anni, per far sì che alcuni detenuti possano passeggiare isolatamente nella corte, si costruisce una raggiera panottica destinata a breve vita, dato che un documento del 1867 cita al primo punto la sua demolizione5. Dopo tale avvenimento il cortile viene diviso in due con un muro sormontato da una torretta di controllo, ancora intravedibile in una vecchia foto . 178
A cavallo tra il 1870 e il 1871, a seguito della demolizione della casa Secco Suardo, per impedire la fuga dei detenuti viene realizzato il muro sovrastante la portineria fino all’altezza del resto dell’edificio. Inoltre viene acquistato e demolito fino a tre metri dal suolo il fabbricato dei luoghi pii, creando un passaggio, che viene dotato di lucernai6. Da questa data in poi non si verificano importanti cambiamenti strutturali, ma solo opere di manutenzione e adeguamento impiantistico. Il carcere è stato trasferito in via Gleno nel 1977.
Fig. 3 databile V-VI decennio del XIX secolo, A.S.Bg, Fondo Genio Civile,b. 21 dis. n° 187.
Fig. 1, databile al V-VI dec. del XIX sec ca. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 21. dis. n° 185.
piano superiore della chiesa e la zona immediatamente sottostante. Tali disegni sono di mano dell’Ingegner Francesco Piantoni, operoso entro il secondo decennio dell’Ottocento8 (fig.1). Nella sezione risultano ancora esistenti le cappelle della chiesa affacciate sul 179
Cfr . A. S. Bg, Fondo Genio Civile, b. 21, diss.185-187
Cfr. Ivi, diss. 198-200 Cfr. Ivi, dis. 202 (piano terreno e primo piano) e 203 (secondo piano)
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Fig. 5 datata 1863. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 21 dis. n° 199.
Fig. 6 datata 1863 A.S.Bg, Fondo Genio Civile , b. 21 dis. n° 200.
1 Fig. 4, datata 1863. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 21 dis. n° 198.
vicolo Sant’Agata e, conseguentemente, la facciata meridionale originaria dell’edificio. Inoltre nella Sacrestia è ancora presente un grande camino e sulla sua parete occidentale si aprono due porte. Sul corpo settentrionale dell’ex convento il portico al piano terreno rimane ancora aperto, mentre non si sa quale significato attribuire all’ombreggiatura a matita che si protende verso lo spazio vuoto del chiostro. Vi sono poi altre tre serie di disegni conservate nell’archivio statale bergamasco. La prima, custodita nella busta del Genio Civile dell’Archivio di Stato relativa agli anni 1844-60 (busta 21) è realizzata su carta tessile lucida , o“carta cipolla”, con tratti eleganti e presenta la sovrapposizione di molte scritte e correzioni,nonché di doppia o tripla numerazione dei vari ambienti, tanto da far ipotizzare che in date successive alla sua esecuzione sia stata utilizzata come scartafaccio per la stesura di nuovi progetti di 180
modifica9(figg 1-3). Noi pensiamo che si tratti della mappatura più antica dell’edificio dopo quelle d’inizio secolo e che sia databile entro il V o al massimo VI decennio dell’Ottocento anche per i caratteri grafici delle iscrizioni originali che sembrano assai simili ad altri documenti relativi al medesimo edificio che sono datati 1839. E’ comunque certo che la serie di piante fu eseguita dopo il 1829-30, periodo in cui, come abbiamo visto, vengono distrutte le cappelle della chiesa verso Sud e l’antica facciata su questo lato della chiesa. Inoltre la loggia del corpo settentrionale appare già chiusa e al posto delle arcate appaiono delle finestre. All’interno di quello che originariamente era uno spazio coperto ma aperto si prevede in questa occasione di realizzare cinque celle. Purtroppo questa serie non riporta alcuna data e neppure la firma dell’ingegnere o dell’esecutore dei disegni. Le altre serie, invece dovrebbero risalire al periodo successivo. In particolare una di esse è datata 1863 e risulta per noi preziosissima per stabilire un punto
Fig. 8 databile 1870 ca. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 21 dis. n° 202. 3 1
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Fig. 7 Databile 1870 ca. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 21 dis. n°202.
Fig. 9 databile 1870 ca. A.S.Bg, Fondo Genio Civile, b. 21 dis. n° 203.
fermo nella trasformazione del carcere10(figg 4-6). L’ultima, corredata da legende, potrebbe appartenere alla fine degli anni ’60 o all’inizio dell’ottavo decennio del secolo XIX, ed essere stata redatta a seguito della richiesta da parte del Ministero dell’In-
terno (9^Divisione, 2^ Sezione) di piante di tutte le Carceri Circondariali e Succursali del Regno al fine di redigere un apposito atlante ad esse relativo11(figg. 7-9). Nelle immagini riprodotte sono evidenziati i cambiamenti apportati al tempo. 181
LA VITA E L’ ARCHITETTURA DI LEOPOLD POLLACK
E’ all’interno di una fase di crisi della ragione neoclassica che opera uno dei massimi esponenti dell’architettura della seconda metà del ‘700, questi è Leopoldo Pollack (1751-1806). Questa è una figura problematica, sia come personaggio storico, sia come personaggio dal genio artistico. Contraddittoria è infatti la sua esegesi storico-artistica, ma di indiscutibile genialità e raffinatezza. Nasce a Vienna nel 1751, e le sue inclinazioni artistiche vengono incanalate precocemente nell’architettura, infatti è del 1771 la sua iscrizione alla scuola d’Architettura di Belle Arti della capitale austriaca. All’età di vent’anni, in pieno fermento storico-culturale, affronta il viaggio di formazione più in voga nell’Europa del ‘700. Con il Grand Tour si reca prima a Milano (1775) dove riceve la nomina di “cassiere di fabbrica” per le fabbriche di Stato, è però dell’anno successivo il suo vero ingresso culturale in Italia e specialmente nella città meneghina, infatti nel 1776 si iscrive alla scuola d’ Architettura del Piermarini, nota per la sua qualità e per la sua importanza culturale. In questo anno conosce l’ambiente milanese e soprattutto la cultura e la ricchezza lombarda. Nel 1779 si trasferisce a Monza per seguire la prima commissione, la casa Martinenghi. L’anno successivo disegna il rilievo del teatro Farnese di Parma, tuttavia il lavoro che più di tutti lo inserisce nel sistema delle grandi committenze italiane, è il Teatro di Anatomia e Fisica dell’Università di Parma, datato 1785, che gli vale la nomina ad accademico della città. Ma è il suo ritorno a Brera, ormai con un curriculum vitae ispessito dalle esperienze di Monza e Parma che gli garantisce la fama. Nel 1786 riceve la nomina di professore di Elementi di architettura nell’ Accademia di Brera e, negli anni dal 1790 al 1796, realizza i massimi esempi di 182
neoclassicismo in Italia, quali la villa Belgioioso (Milano 1790-96) e la “Rotonda” di Borgovico (Como 1790-93). Numerosi sono i suoi lavori sui giardini, anche in questo campo inserisce novità tecniche e stilistiche. L’esperienza fatta a Parma con il Teatro Farnese e il Teatro Anatomico, gli permetto di affrontare i progetti per il Teatro di Vienna (1794-95), la facciata del Teatro dei Filodrammatici a Milano (1798)e il Teatro Sociale (Bergamo 1803). Tra il 1790 e il 1796 realizza molti palazzi, come ad esempio la Villa Reale (fig.1), la Villa Saporiti (fig.2) e la Villa Antona Traversi (fig.3). Progetta inoltre il teatro Riccardi a Bergamo (in seguito distrutto), la corte di S. Andrea a Pavia ed esegue il rilievo di architetture di edifici antichi e cinquecenteschi di Roma. Nel 1795 partecipa al concorso per la carica di architetto del Duomo di Milano, ma non lo vince. A Bergamo progetta la decorazione del fianco di Porta S. Giacomo, il palazzo Agosti-Grumelli e il teatro provvisorio presso l’Ospedale S. Marco. Nel 1798, in seguito alla morte del Piermarini, viene nominato primo architetto professore dell’Accademia di Belle Arti di Brera. All’inizio dell’800 si trova nuovamente a Bergamo per progettare un piccolo teatro da costruirsi nella soppressa chiesa di S. Agostino e l’altare nella cappella Colleoni. Nello stesso periodo, sempre a Bergamo, realizza il disegno per l’Altare Maggiore di S. Maria della Misericordia e per l’apertura di una lanterna nel presbiterio della chiesa stessa. Nel 1802 fa il progetto per l’ex monastero di Sant’Agata in Città Alta (Bergamo). Tra il 1803 e il 1806 viene nominato architetto della fabbrica del Duomo di Milano e realizza il Teatro Sociale di Bergamo, inaugurato nel 1808 (fig.4). Nel 1804 tenta il concorso per il progetto
Fig. 1 Villa Reale a Milano 1796
Fig. 2 Villa Saporiti a Como 1791-93
Fig. 3 Villa Antona-Traversi a Meda (MI) 1796
Fig. 4 Teatro Sociale a Bergamo 1803-06
dell’Accademia Carrara a Bergamo ma non lo vince; inoltre fa il progetto per Porta Osio. Muore nel 1806 a Milano, lasciando incompiuti dei lavori come il Palazzo Trivulzio e la facciata del Santuario di Rho. POLLACK E IL CARCERE DI SANT’AGATA Se l’esempio della Villa di Belgioioso può essere considerato l’acme del neoclassicismo europeo, aristocratico e riformista, tranquillizzante e celebrativo, altri lavori del maestro si contraddistinguono per una sensibilità verso le problematiche
e le circostanze culturali contemporanee, e in essi l’artista mette a nudo le contraddizioni alle quali andava incontro l’ideologia della Ragione. Questa sua sensibilità verso le problematiche socio-culturali ha come esempio massimo l’intervento che compie nel ex convento di Sant’Agata a Bergamo, dove l’architetto è chiamato a ridistribuire ed adeguare gli ambienti dell’ambiente monastico per poter accogliere i carcerati di Bergamo. Questa sua attenzione alle nuove filosofie e alle nuove politiche lo porta, 183
ad applicare le innovazioni del giurisdizionalista milanese, suo contemporaneo, Cesare Beccaria, il quale in merito alla detenzione proponeva un modello molto più attento alla riabilitazione del carcerato. L’efficacia della pena era quindi molto importante in questo nuovo modo di concepire la detenzione, così come la prontezza della pena per far sì che l’associazione delle due idee (delitto e pena ) rimanesse più forte nell’animo umano. Beccarli teorizzava l’inutilità di una pena di grande intensità, prediligendo una pena duratura perché più incisiva. Queste tesi portarono a proporre la detenzione in carcere per i colpevoli e i pagamenti nel caso del contrabbando, in caso di insolvenza la pena si tramutava da pecuniaria a lavoro forzato. Molto famosa nell’opera del Beccaria, è anche la critica che pone alla pena di morte ed alla tortura. Tra le tesi che egli avanza contro la pena capitale vi è il fatto che lo Stato per punire un delitto, ne compirebbe uno a sua volta; la tortura è definita disumana disumano, in quanto si ricorre ad essa prima di dimostrare la colpevolezza dell’imputato. Ma il punto di unione, tra aspetto teorico e aspetto concreto, ovvero tra le tesi di Beccaria e i progetti di Pollack, è in merito all’aspetto educativo e assistenziale che il carcere e la vita all’interno di esso doveva fornire. Beccaria si esprime così in merito : “ …finalmente il più sicuro ma più difficile mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione…” , questa nuova visione assume le sembianze del carcere di Bergamo, che allora risiedeva nell’ex Convento di Sant’ Agata. Il Pollack si trova pertanto a dover mettere mano ad ambienti già esistenti, ripensando le funzioni e applicando le nuove teorie. La scelta di donare centralità al cortile interno, come perno attorno al quale gravita buona parte degli 184
ambienti principali è importante, ciò permette di avere sempre luce e contatto con l’esterno: un’ innovazione rispetto agli ambienti cupi e opprimenti delle carceri italiane ed europee antecedenti. La presenza di corridoi ampi ed alti non ridotti nelle loro misure e dimensioni originali, consegna al detenuto un senso di respiro e allo stesso tempo lo obbliga alla disciplina, perché essendo uno spazio pulito da ogni irregolarità è di facile sorveglianza e controllo. La scelta di non aumentare in maniera significativa il numero delle celle è sintomo di corretta applicazione delle teorie beccariane. L’attenzione per i materiali, ricercati per le loro qualità e la loro efficacia nel contesto traspare nei carteggi autografi del Pollack e fa capire quanto fosse minuziosa e capillare la realizzazione degli ambienti. La riqualifica degli spazi non ha solo un valore estetico, meramente decorativo, ma l’inserimento del detenuto in un ambiente decoroso permette il risveglio di alcune sensibilità comuni a tutti gli essere umani. La cura e la prevenzione di malattie è molto importante nel nuovo carcere, e Pollack inserisce ex novo dei nuovi ambienti atti ad ospitare infermi ed ammalati, concedendo loro cure e attenzioni sanitarie. La cura della salute è importante perché permette al detenuto di carpire il significato sottile che ha il gesto medico, un’ attenzione che viene percepita e rende consapevole il carcerato di avere ancora la dignità di uomo. Questa visione è molto illuminista, in quanto pone a fianco del gesto tecnico un valore che è in grado di comprendere solo l’uomo grazie alla ragione, questo valore è la dignità. E’ proprio la dignità il centro di questo progetto, la dignità dell’uomo. Pollack realizza in questo edificio non solo un esempio di modello carcerario, ma soprattutto il progetto di un pensiero. 185
La chiesa del Carmine prima e dopo le soppressioni napoleoniche
D.CALVI, Effemeride sagroprofana di quanto memorabile sia successo in Bergamo, sua diocesi, et territorio da suoi principii fin’al corrente anno. Et in tre volumi diuisa, contenedosi quattro mesi per ciascun volume. Bologna, A.Forni, 1676-1677, vol.2 pag. 352 2 D.CALVI, op cit, vol. 2 pag. 279-280 3 F. M.TASSI, Indice delle chiese della città[di Bergamo]e Borghi, dal ms. della Biblioteca Civica di Bergamo, pubbl. in Vite de’ pittori, scultori ed architetti bergamaschi, Bergamo, Locatelli, ed. postuma a cura di F. Mazzini, 1970, vol.2, pp. 14-15. 1
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La chiesa di Santa Maria de’Padri Carmelitani in Bergamo ha radici piuttosto antiche e uno stretto legame con la chiesa di Sant’Agata. Infatti la posizione delle due chiese è molto vicina e la loro storia è intrecciata, poiché dopo le soppressioni napoleoniche tardo settecentesche le funzioni parrocchiali originariamente svolte in sant’Agata furono trasferite al Carmine e con esse pure numerose opere artistiche che ornavano la basilica teatina. Anche l’attuale dedicazione della chiesa, già appartenuta all’ordine carmelitano, deriva da quella dell’edificio teatino. Infatti l’attuale intitolazione “Sant’Agata al Carmine” sostituisce quella originaria che vocava la chiesa alla Santissima Annunciata. A distanza di oltre un secolo e pochissimi anni prima dell’arrivo delle truppe napoleoniche a Bergamo e delle conseguenti soppressioni di Monasteri il Tassi così illustra l’aspetto della chiesa: “Nella prima cappella entrando a mano sinistra la tavola è formata da tre quadri di tre diversi artefici, cioè il S.Angelo Carmelitano è del Cavagna, il S.Carlo vestito pontificamente è di Chiara Salmezza figliuola d’Enea, e l’aggiunto sopra con la Vergine, et alcuni Santi è opera moderna di Giuseppe Brina. Nella seconda cappella la tavola con S.Lucia e S. Giambattista è di Giacomo Adolfi, del quale pure sono li due laterali. Nella terza grande cappella dedicata alla Beata Vergine del Carmine, nell’ingresso si veggono due quadri, uno dei quali, che rappresenta la Beata Vergine con sotto alcuni Pontefici, Cardinali e Santi Carmelitani è del Talpino, l’altro dirimpetto con la natività di Maria Vergine di Pietro Ronzelli. Dentro la cappella sonovi due quadri bislunghi l’uno dalla parte dell’epistola con l’adorazione de Magi di Franco Polazzi, l’altro dalla parte del Vangelo con la presentazione al tempio di Nostro Signore del Sig.r Marco Olmo. Dietro all’altare il quadro con la Beata Vergine, S. Domenico, S.Francesco, ed altri santi è di Giacomo Barbello.
Le pitture a fresco della cupola sono di Giulio Quaglio. Nella quarta cappella de bombardieri la tavola con S.Barbara e S.Lorenzo è di Giambattista Moroni; il laterale dalla parte dell’epistola con la Santa in atto di essere decapitata dal padre è di Francesco Giugni, quello dalla parte del Vangelo con la stessa Santa presentata avanti al giudice è del Cavagna. Nella quinta cappella la tavola con S.Teresa è di Francesco Zucco, del quale sono pure li due laterali con fatti della stessa Santa. Nella sesta cappella la tavola con S.Alberto di ignoto autore. Nel coro dietro l’altar maggiore non vi è alcuna pittura; se non la grande tela, che copre l’organo con la Santissima Annunziata, la quale si crede opera di Chiara Salmeggia. Passando dalla parte opposta la prima cappella dedicata a S.Apollonia ha una pittura a fresco coperta con vetri con S.Giuseppe, la Beata Vergine col bambino, e li Santi Gioacchino, ed Anna. Segue la cappella di Santa Maria Maddalena de Pazzi con la tavola di mezzo, e li due laterali di Giuseppe Brina. All’altare del crocefisso li laterali sono del Chizzoletto. Nella seguente cappella la tavola con S. Niccolò di Bari è opera del Cavagna, e li due laterali sono di Gio.Carobbio. Nell’ultima cappella la tavola con S.Omobono è di Giambattista Cesari pittor di ritratti; li due laterali con S.Francesco Xaverio, e S.Antonio sono di Girolamo Chiappati. Il quadro sopra la porta maggiore, che prima era posto all’altare di S.Maria Maddalena de Pazzi è opera di Gio.Giacomo Assonica, e rappresentata in alto la Vergine circondata da diversi Santi, e sotto a questi Santa Maria Maddalena ed altro Santo Carmelitano sopra le nubi, con la veduta della città di Bergamo3.” Con la discesa in Italia delle truppe napoleoniche l’assetto distributivo della chiesa e delle sue cappelle subisce radicali trasformazioni: molti conventi vengono soppressi, alcune chiese vengono chiuse e destinate ad altri utilizzi, e i beni saccheggiati o portati in altre chiese. Le opere che presumibilmente
A.C.V. Bg., E.Fornoni, Bergomensis Vinea, ms.s.d. ma riferibile all’inizio del XX secolo, p. 201 5 cfr. A.S.M., Archivio generale del Fondo di Religione, pezzo 2875, doc. del 3 luglio 1681 6 G.MAIRONI DA PONTE, Dizionario odeporico o sia storico politico naturale della provincia bergamasca, 1819, vol 1 pag. 77-78 4
giungono dal convento di Sant’Agata al Carmine, che ne eredita la funzione parrocchiale, sono: il dipinto di Sant’Andrea Avellino del Talpino, ora collocato nel quarto altare a destra, il Martirio di Sant’Agata del Talpino adesso nel quinto altare a sinistra e il Battesimo di Cristo dello stesso autore sulla parete laterale sinistra della prima cappella a sinistra. Quest’ultima cappella venne anche destinata a svolgere la funzione di battistero e quasi sicuramente il fonte battesimale che vi è ancora oggi conservato, proviene dalla chiesa teatina, come conferma anche il Fornoni nel proprio manoscritto stilato all’inizio del XX secolo:” il fonte battistero passò al Carmine” 4. Il fonte vero e proprio, secondo un documento dell’Archivio di Stato di Milano dovrebbe risalire al 16815, anche se il coprifonte risale sicuramente al secolo successivo. Non è poi da escludere che anche la statua con San Gaetano Tiene che reca in braccio il Bambin Gesù ora nella nicchia della parete laterale destra dell’ultima
cappella a sinistra della chiesa del Carmine provenga dalla chiesa di Sant’Agata. Maironi da Ponte, vissuto in periodo napoleonico, così riporta: “nell’altare appresso dedicato a S.Barbara, e S.Lorenzo, che vi erano dipinti maestrevolmente dal rinomato nostro Moroni, è stata sostituita la statua di S.Gaetano..6”. Tuttavia mancano evidenze assolute in tal senso. Da Sant’Agata passa al Carmine anche una splendida Croce Astile di argento dorato, ora conservata nel Museo e Tesoro della Cattedrale di Bergamo. E’ inoltre molto probabile che anche il dipinto di Giuseppe Brina alla parete destra della quarta cappella a destra provenga da Sant’Agata non solo perché Sant’Andrea Avellino che vi è rappresentato nell’atto di spirare è un santo dell’ordine teatino, ma anche perché nessuna delle fonti settecentesche cita l’opera nella chiesa del Carmine. Sull’ipotesi della provenienza del dipinto dal convento teatino si veda il cap.3 del presente lavoro.
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Capitoli Per l’appalto di fabbrica nel circondato di St. Agata Nella città di Bergamo
CAPITOLI Per l’appalto di fabbrica, in parte nuova, ed in parte consistente in adatta = menti, e ristauro di fabbrica vecchia, da farsi nel circondario detto di St. Agata nella città di Bergamo, ad uso di carceri, e Prigioni per ogni specie di colpevoli, e Delinquenti d’ ambe due li Sessi, non meno che un’infer = meria, e luoghi annessi , come più distintamente si dirà in questi Capitoli, in vista dei quali unitamente alli corispondenti disegni, fatti espressamente per Ordine del Governo da me sotto scritto, e delegato Architetto, si invita qualunque siasi abile, sperimentato, capace, ed onesto Capo Mastro da Muro, perché possi concorrere all’ isperimento dell’asta pubblica, ed impegnandosi possa parimente eseguire il tutto con precisione, esattezza, e sicurezza, stabi = lità, e sincerità, secondo gli annunciati disegni, sotto li patti, e condizioni, che vengano espressi, e prescritti nelli seguenti Articoli. 1.mo. Serve d’avvertenza all’appaltatore, che tutti i muri segnati, e coloriti in nero, nelli trè relativi disegni, che dimostrano li trè piani principali del sopra nominato luogo sono vecchi, e susistenti, cioè si ritiene per stabili. Li coloriti di rosso marcano quelli da farsi di nuovo, in quella dimensione, e forma, come si vedono accennati, e come trovansi sul fatto nella loro esten = zione, altezza, e grossezza. Questa Prattica si intende per tutti i trè piani indistintamente. 2.do In tutti i muri, si vecchi, come nuovi, si costruiranno le aperture nuove, si delle finestre, che delle Porte per tutti piani, nei siti, e luoghi, ove si trovano indicati nelli trè sopra nominati piani; si riadatteranno parimenti quelli nei muri di già esistenti, in quella dimensione di luce con sopra Lume, e senza, con voltini di mattoni, o con telai di vivo, secondo che vedonsi indicati nelle trè piante, e come che in atto prattico veranno determinati dall’ Architetto. 3.zo Tutti muri si maestri, come traversarli, e secondari, pilastri, fondamenti, ed empieture de’ vani, o sfori inutili, che debbonsi otturare, o a pieno, od in parte si costruiranno con materiali, che comunemente si usano nel paese, cioè con pietra viva di cava, collegati con buona calce, manipulata con sabbia viva, e ben scagliati nelli interstizii, e connessure delle sud.te pietre. Gli vol = tini.
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tini però dovranno essere sempre costrutti con mattoni cotti, e così il piedegala, e tavo lati. L’ appaltatore potrà servirsi ancora di quelli materiali, che risulteranno dalle demolizioni dei muri da levarsi, sfori nuovi da farsi, e degli abbassamenti di fabbrica vicina, ed inutile, come verrà, dopo riconosciuti dall’ architetto, ò dagli Ispettori Delegati, indicato nell’atto di prattica. 4 to Tutte le porte indistintamente, e le finestre avranno il telaio sempre di vivo, con la piedegala almeno […] 3 di Bergamo, oltre il rustico che si interna per […] 2 almeno nel muro pieno, saranno di pietra di Mapello, o di cepo gentile di Brembate, dalla migliore, e sana qualità, l’intelaiatura consisterà in soglia due stipiti e un capello, che oltre alla luce abbraccia ancora la larghezza delli due stipiti larghi […] 4 per parte.. Alle porte che avranno sopra lume, si accresce= ranno altre due spaline, un altro Capello grosso […] 4 con piedegala […] come sopra; e il tutto come si dirà in atto di pratica da chi […] 5 to Le aperture delle sud.te porte, e finestre sono di vari dimensioni, nella loro luce, e non tutte si possono prescivere al presente, ma solo indicare sul fatto nell’atto di prattica, ciò non ostante per regola generale, le porte delle Carceri e segrette saranno16 […] per b.a3 […] 4. di Bergano, e se vi è un sopralume, come accaderà a tutte le porte nelle due corsive del primo, e 2.do piano superio= re delle camere segnate N. 14 la dimensione sara […]16. e l’altezza […]12. Le porte, che danno accesso alli cessi, ed altri posti di minore o nessuna sicurezza, alle comuni, luoghi di consegna, abitazione del custode, e camere degli esami Si faranno in luce B.a. 4. per[…] 19. di Bergamo. Le finestre che guardano si verso strada, come verso la corte interna per tutti trè piani, ed in tutti luoghi saranno uniformi alle altre già esistenti, si riguardo alla loro luce come feriate, scuri, ed altro che può abbisognare. Le finestre se= condarie delle Carceri segrette quasi al piano della corte fog.lio A N. 3 avranno di luce […]10. d’altezza e […]15 di larghezza misura Bergamasca, saranno parimenti guarnite con telai di vivo, con sopra, e munite con feriate doppie, e forti nel modo che si dirà in seguito. 6 to. A tutte le finestre si grandi come piccole, si porranno le occorrenti feriate doppie di ferro grosso più o meno secondo, che desidera la sicurezza maggiore o minore del luogo. Le ferriate saranno costrutte in croce di ferro tondo, con maglia quadrata in luce nientre di più […]1 ½ avranno le stanghette sfalsate 189
nei loro occhi del trapasso, e dovranno essere impiombati li bastoni si ver= ticali come orizontali entro il vivo sasso del telaio. Le feriate verso la= corte saranno verosimilmente uguali alle esistenti. 7 mo Nel luogo altre volte chiesa in piano terra Seg.to Fog.io A con N. 8 si for= merà, una Comune grande a due piani, ambedue in volta reale sostenuta da pilastri quadrati. Questi pilastri avranno sotto il pavimento terminato, il fondamento di B.a 3. grosso in quadrato perfetto B.a 2. Fuori di terra fino all’imposta della volta a tutti due piani li pilastri doveranno essere di coppo gentile, di grossezza[…] 10 , in quadro composti di 3.o.4. stratti a pezzi intieri, ben profilati, e commessi frà loro. Di simil pietra dovranno essere le imposte degli archi della volta alti almeno […]12. grossi a basso come il vivo, cioè […]10., ed in cima a seconda della curva del centino. Queste potranno essere composte cad.na in due pezzi, ma essere ben connesse, e legate con le usuali spranghe di ferro[…]. 8 vo Gli volti di dette due Comuni dovranno essere costrutti intieramente con mattoni forti di buona qualità posti, e collegati in malta sottile, e crivellata : La figura della volta sarà a vella. In testa di dette due Comuni nel muro che le divide dal vicino cortile si costruirà un camino con foccolaio, e Capa sos= tenuta da due spalle, e soglia di contorno di vivo per tutti due i piani; tanto le spalle come la soglia del foccolaio saranno di ceppo gentile, la capa sarà di tavelle armata con tiranti di ferro[…]. Gli vani laterali nei muri, che altre volte formavano le Capelle, si chiude= ranno a muro pieno […] 12. in grossezza, lasciando piccole finestrelle nei siti marcati, con feriate, e scuri simili alle gia descritte[…]. In una di dette Ca= pelle si costruirà una Lattrina grande, nella quale in cima vicino alla volta si praticherà una finestra intelerata di vivo, e munita di una feriata grossa, e ramatina di ferro sopra posta nell’interno, e fermata con zanche impiombate nel vivo del telaio. Altre simili finestre si faranno nella testa opposta, in tutte due Comuni, come si rileva nel corrispondente spaccato. Alli piani detti due volti si porranno li consueti legati di ferro sia per il lungo come per il largo degli archi, le corde saranno del N. 8, e le stanghe del n. 6. Sotto il pavimento del piano terra si praticheranno dei sordini, ossiano gli voltini morti con li loro spiragli nelli muri di testa, come rilevasi dal sud.to spaccato.
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9no Si faranno tutti li cessi nei siti indicati sopra li tre piani, di nuovo, e quelli che esistono di già al presente, si addatteranno in meglio, si amplieranno, e si cor= reggeranno li loro difetti. Si gli uni, come gli altri avranno loro condotti di vivo, larghi convenientemente, e dritti più che sia fattibile. Li sudeti avran= no un parapetto di muro, e sopra il loro piano alla debita altezza[…]10.c. un travicello di noce ben profilato, e tondo, che serve d’appoggio alla corri[…] persona. Al piano del pavimento, entro però del condotto, o cura si porrà una feriata quadra di tondina murata orizontalmente, per così impedire, la fuga dei detenuti. Nelli siti ove è lontano questo pericolo, si faranno alli predetti cessi li consueti sederi di legno di noce col loro coperto. Le cisterne, che ne= cessariamente si dovranno costruire in fine dei pred.ti condotti, saranno bastante= mente ampie, e capaci in proporzione del numero di ivi concorrenti: per esempio da B.a 5 in 6. di luce quadrata, profondi da B.a 6. in 7. il loro contorno dovrà essere di buoni muri grossi, almeno […]12. in giro, il loro coperto in volta reale […] 4. in serraglia, con il 4.to circa di monta di figura, come permetterà la località. Sopra la loro volta in sito conveniente al piano del pavimento si aplicheranno le bocche per lo spurgo, queste bocche saranno intelerate con vivi solidi, ed avere il loro coperto parimenti di lastra forte incassata nel telaio, in grandezza […]12. in quadro. Tanto li muri delle cisterne come gli volti saranno riboccati a frattazzo. 10° Le scale principali esistenti in oggi si conserveranno nel loro essere. Quella segnata nel piano terra col N. 2 al primo N1 ed al 2.do col n.9 si rifarà tutta di nuovo entro la sua perifezia odierna, in modo che cambini con li piani vecchi, e nuovi delle due Comuni, ed Infermeria. Si goderanno li medesimi Scalini, e ripiani, e si completterà il loro numero, caso che mancassero Siccome quest’operazione non è fattibile di esprimere a sufficienza in un piano Si hàparlato in questo Capitolo, e l’appaltatore la prevederà in considera= Zione, e sotto maturi esami daprima, mentre nell’atto di prattica, ed in fine dell’opera non vi sarà luogo di alcun rilievo, od abbonamento. Parimenti avrà in vista di riadattare le Porte corrispondenti alli ripiani, per tutti piani, e risarcire, od attuare il muri guasti, e li sfori inutili, ed ogni altra cosa che concorra alla perfezione. 11° Li pavimenti tra le due Comuni grandi, da farsi di nuovo in volta,
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dovranno essere fatte di tavoloni grossi […]6/4 di pioppo, ben connessi frà loro a maschio, e femina, poste per il lungo del sito, ed inchiodati contro il travellame , che serve di sotto per armatura, la quale sarà di Larice, o di rovere almeno. Li pavimenti nelle Segrette, al 1.mo e 2.do piano superiore, restano come sono gli esistenti. Li mancati si faranno a somiglianza dei sud.ti di nuovo, e li guasti si riaggiusteranno ovunque occorre in forma lodevole. Questo avvertimento serve in generale per tutti i suoli in tutti i piani, ed in ogni luogo. Nelle carceri strette vicino al piano terra in qualche vicinanza della corte grande, li pavimenti saranno parimenti di tavole, come si sono di già prescritti nelle due Comuni grandi Nell’infermeria, Camera annessa, abitazione del Capo Custode, e simili luoghi, che si faranno, e si adatteranno di nuovo, li pavimenti si intendono da fare con tavelle stilate di buona qualità in buona forma e solidi. 12° Al 2.do piano superiore si farà la predetta infermeria , in modo che si vede figurato nel fog.lio C. N°5 e 6. Ivi si apriranno la marcate porte, e fines= tre, il cesso e Camino[…]. Per coperto della medesima servirà la volta esistente. Al di fuori si demoliranno tutti l’eccedenti, ed inutili muri che non sono accen= nati nelli sud.ti piani, e che non possono pregiudicare la solidità della fabbica totale, e sussistente. Le finestre oltre le prescritte feriate avranno le ram= ate di ferro, li telai con vetri, e li scuri, li primi si faranno di legno di Larice, e li secondi di peccia, uniti tutti con gli occorrenti ferramenti, a cantoni, spagnolette ossia perpagli [?] con alzapiedi.Il tutto come più distintamente si indi= cherà in atto di prattica. Gli vetri saranno della piccola qualità, legati con piombi, e le consuete verghette di ferro, ed in fine tanto il telaio, come gli antini dei vetri saranno coloriti a due mani in oglio con biacca. Li […] saranno tinti di oglio a due mani solamente. 13° Alle gia nominate fenestrelle delle carceri strette, e delle segrette, non meno che alli sopra lumi da farsi da per tutto, si doveranno, oltre le descritte faria= te grosse applicate ancora gli scuri di un anta solo, o di due secondo che sarà creduto meglio, o che determina la dimensione della luce. Questi scuri saranno di assoni pioppa rilegati con guide all’interno, ferrati con ase lunghe cancani, eo oggioli per il cattenaccio d’impiombarsi nel contorno di telaio di vivo come si indicherà sul fatto di mano in mano, che occorrerà. 14° Le serrande alle porte di ingresso alle strette, segrette, e comuni, si costrui= Ranno d’assoni doppi di pioppa, cioè con fusto in piedi […]1 nell’interno,
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e fodere simili per traverso al di fuori; nel mezzo di queste porte si dovrà pratticare un piccolo sforo quadro […] 4 incirca, con porticella corrispondente di pari grossezza dell’anta. Li serramenti consisteranno i tre assoni lunghi, come è larga l’anta, in cancani d’impiombarsi nelle spale di vivo, in due cattenaccioni tondi, e grossi, con serratura corrispondente, ed a due mandatti. Li due piccoli portelini saranno parimente serrati con B.ase,catenacciolo proporzionato alla dimensione. Tutto questo sarà indicato, e stabilito sul fatto del luogo, con un modello, che l’Appaltatore preventivamente dovrà produrre, a somiglianza di quelli, e di quelle, che sono in uso comunemente nelle Carceri, e prigioni forti, ed a misura che saranno giudicati opportuni, e convenienti all’uso, al luogo, ed alle circostanze. Da chi […]. 15 ° Li serramenti delle finestre più civili, come nell’Oratorio, sale vicine per gli esami, nell’ abitazione del Capo Custode, Camera del Medico, e simili luoghi, consisteranno in telaio maestro con due antini per gli vetri, ed ante scuri in tutto simili alli di già descritti per l’infermeria. Li serramenti delle porte per simili luoghi, consisteranno in porte a due ante fodrinate , ferrate con usi cancani, e catenaccio alla Genovese a serratura, e chiave. Altri serramen= ti per simili luoghi di nessuna gelosia, o’ di sicurezza, o segretezza, con= sisteranno in semplici antiporti di peccia ad un anta sola fodrinata, e divisa almeno in due campi, telaio maestro d’affissarsi con N° 6 viti contro il muro, ed entro il vivo secondo, che abbisognerà; l’anta sarà ferrata con Capo= netta, e police, serratura con chiave […]. Tanto il telaio, come le ante saranno di peccia coloriti di noce ad oglio, con biacca a due mani. 16° Tutti li muri, e volti si interni, come esterni, di tutti i luoghi indistintamente per tutti i piani, sì nuovi che vecchi dovranno essere riboccati, ed indi stabi= liti a grana fina col frattazzo, tapezzati, e sigillate le crepature nei muri esis= tenti, e simili migliorie, ovunque possano abbisognare, entro quel recinto, di cui si tratta. Li tetti che posso soffrire qualche danno, in causa delle operazioni vi= cine, o necessari, od inavertenti , o’ pure a motivo dell’abbassamento della superflua parte di fabbrica sopra accennata, si dovranno riadattare, e risarcire in lodevole forma, ridurre le gronde a convenienti sporti, e porvi gli usuali canali di ferro impegolati nell’interno, e coloriti a oglio in biacca con due mani al di fuori, avranno le consuete bocchette nei luoghi opportuni da porsi con giudizio, cioè in
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modo, che scaricano le acque, o’ immediatamente in strada senza alcun incomodo però del viandante, o per via di tocce, ossiano condotti canali di latta di ferro stagnati coloriti al di fuori come rame o biacca in oglio a due mani, diretto sopra li tetti più bassi[…]. Pari cura, e rifacimento per tutto il luogo s’intende ancora riguardo alli muri, volti, soffitti, pavimenti, od ogni altro genere di cose, che possono soffrire del danno, o guasto, si per indolenza, come per indispensabile motivo. 17 ° Al terzo piano superiore espresso sul tipo marcato C con li n° 2. 3. 7. si inalzeranno tutti muri, indistintamente, tanto di grossi, come tavolati, all’altezza della restante parte di fabbrica esistente, in conseguenza di chè la gronda, e le finestre tutte saranno uguali in ogni loro parte agli esistenti nella fabbrica opposta. Nelli siti più civili, che si indicheranno sul fatto a suo tempo, in luogo degli usuali soffitti si dovranno fare li plafoni a cannette in pieno con armatura usuale, e solida, in modo che li travelli non abbiano mai di più nella loro distanza […] 8 da mezzo, a mezzo. L’istessa prattica si terrà con li soffitti usuali […]a motivo del soprane= critto rialzo si dovrà pure regolare il tetto di nuovo nel modo più convenevole, porre li canali di ferro, e condotti di latta nel modo già descritto. Li pavimenti si rifaranno di nuovo, ove mancano, e risarcirli, ove guasti, o ruinosi. Li serra= menti si delle porte, come delle finestre si riadatteranno se vè luogo, e si costruiranno di nuovo nei siti ove mancano in modo di già descritto. 18° La scielta degli operai, il numero dei medesimi, che dovranno lavorare entro il detto recinto, il tempo di accrescerli, di diminuirli, e di cambiarli ancora, se fossero conos= ciuti inabili, od infedeli saranno piena cognizione, disposizione, ed autorità degli Ispettori Delegati per detta fabbrica, per sopravegliare se ogni cosa viene eseguita con buon fede, e secondo li presenti Capitali. Dalli medesimi incaricati spettori dipenderà parimenti la distribuzione dei lavorieri, della loro intrapresa, ed esecuzione. a tempo prefisso: per così evitare ogni disordine, o confusioni che potrebbero nas= cere in un luogo di tanta circospezione. Il Capo Mastro da muro addunque come appaltatore non potrà disporre alcun lavoriero di questa fabbrica, senza previa intelligenza e consenso dei prefetti Ispettori e dell’Architetto. 19° Alli medesimi Ispettori, ed Architetto sarà facoltativo di fare, e comandare quelli piccoli cambiamenti, o variazioni, che in atto di prattica suggeriscono, e tendono al miglioramento, al comodo, od alla sicurezza dell’opera stessa; senza che Appaltatore possa opporsi, ò pretendere alcuna pretensione, furchè eccedesse tal cambiamento di somma lire 600 di Milano. Di avere perciò l’ Appaltore
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compromesso,che osserva minutamente questi disegni e Capitali, con ogni cognizione , presenza di spirito, ed onestà, bene, e prima dell’asta in tutte le loro parti: Che dimandi se dubitasse di qualche loro parte, che credesse essere fuori del suo obbligo, perché non accennato sufficientemente nelli disegni, e descritta nelli Capitoli; mentre in ogni caso l’Architetto darà tutti li schiarimenti possibili ed indicherà con nuove aggiunte a questi Capitali tutte quelle cose, che possono essere dubbie all’Appaltatore. Ugualmente anche esso dovrà suggerire fedelmente, e con ogni sin= cerità, prima d’impegnarsi nell’ esecuzione dell’ opera, tutto quello che gli sembra essere dubbio, escluso, tralasciato, o non espresso sufficientemente in questi Capitoli, e disegni, mentre che se egli, è in atto di esecuzione, od al termine dell’opera, produrrà maliziosamente sotto qualunque pretesto delle scuse, e rapporti ambigui, come sovente accade, non si darà retta alcuna, ne dagli Ispettori Delegati ne dell’Architetto, a riserva solamente allor quando avrà in ogni occorrenza nel tempo dell’esecuzione dell’opera, e sempre prevenuti, o avvertiti gli Ispettori ò l’Architetto delle cause di rilievo, le quali, o per disposizione superiore venisse ordinata una notabile variazione, contraria al Disegno, ò Capitali, ò qualche accrescimento di fabbrica maggiore del presente piano: in tali casi l’appaltatore avrà sempre per suo giudice pari, come in tutte le altre cose, che contengano li disegni, e presenti Capitoli, L’Architetto stesso. 20° Il Medesimo Architetto sarà pure,in ogni tempo della sua visita Locale faccol= tativo di fare, disfare, demolire o rompere tutto quello che non troverà e= seguito lodevolmente,con attenzione , buona fede ed uniforme a questi Capitoli, e Disegni corrispondenti, a spesa dell’appaltatore, e massimamente quelle che riguardano la solidità, la sicurezza a la precisione dell’opera per il che resta proibito al sopra nominato appaltatore di fare poi una abbenchè minima variazione ai disegni, diversa dalla mente dell’Architetto, e contraria allo spirito di questi Capitoli, sarà sempre del suo impegno d’avvisare,e prevenire in tempo gli Ispettori, e per mezzo di loro ancora l’architetto per così riportare dalli medesimi il loro consenso, ed approvazione. 21° Per ottenere più facilmente li sopra nominati vantaggi, intorno la solidità, ed esattezza dell’esecuzione, e poi ovviare maggiormente li difetti, che potranno nascere contravenendo l’appaltatore; si avrete con questo Capitolo il med.mo che li presenti disegni ci serviranno bensì di norma, e guida della divisione e
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reparto dei locali sul fatto; ma che in realtà dovranno essere da lui osservate le dimensioni sì, orizzontali, come verticali, gli volti li soffitti, e tetti sul fatto, e considerati come si trovano in opera al presente. 22° Con questo Capitolo si proibisce assolutamente all’appaltatore, e Capo Mastro del Muro di subbappaltare, ad altri la mano d’opera più importante riguardante li volti, e muri, e molto più tutta l’opera intera, a tale fatto scoprendosi in ogni tempo, ò dagli Ispettori, o dall’Architetto un simile im= pegno, essi licenzieranno sul momento gli esecutori contratti, senza alcun ri= guardo verso l’appaltatore. 23° L’appaltatore sud.to intraprenderà prontamente l’operazione, subito che sarà deliberata l’asta, e superiormente approvata, e stipulato il Contratto in iscritto, in modo come ci verrà suggerito dagli Ispettori, e dall’Architetto, e darà tutta l’opera in ogni sua parte terminata entro nove Mesi, da con= tarsi dal giorno in cui verrà stipulato il sud.to Contratto d’Appalto in avanti; e perciò si avverte ancora con questo Capitolo , che se gli Ispettori osservassero qualche mancanza notabile, ed incompatibile nella qualità, ò quantità dei materiali , lentezza[?] positiva dell’ esecuzione, e tardanza nella provvisione dei accessori diversi, come feriate, serramenti e simili parti componenti la fabbrica, in causa dei quali tardasse tutta l’operazione, sarà facoltativo agli Ispettori di provvedere a tutte le mancanze a carico dell’Appalt.re stesso, senza che il medesimo possa pretendere alcun aumento in compenso dei suoi danni, e la spesa di quelli si diffalcherà dalla somma convenuta per tutto l’appalto nell’ultima rata. 24° Il pagamento, che sarà convenuto, mediante il contratto preventivo si dividerà in tré diverse rate, cioè la prima si corrisponderà quando saranno costrutte le Segrette vicino al piano terreno verso la Corte, e fatta la volta, li pavimenti, e poste tutte le feriate delle finestre, e serrande alle porte a tutte e due le Comuni entro la fù chiesa: La seconda, quando saranno adattati tutti i luoghi annessi alla sud.ta fù Chiesa, con li superiori dell’Infermeria, e suoi annessi […]. La terza ed ultima in fine dell’opera intieramente, e completamente terminata, eseguita che sarà la collaudazione da farsi dall’architetto di concordo colli pred.ti Ispettori Delegati 25° In fine si avrete ancora l’Appaltaltore, che tutte le feriate, serrande di Porte, e ferramenti di esse ad esclusione degli vivi, ed altri materiali infissi, che 196
trovarsi nelle carceri in Piazza, li quali, dopo il traslocamento degli ivi dete= nuti prigionieri, divengono inutili; saranno di sua ragione, e potrà perciò farne uso di quelli generi, riadattandoli, e rifacendoli secondo il luogo, e loro uso. Parimenti potrà fare uso ancora di quelli, che esistono in vari luoghi dell’ odierno recinto di S.t Agata, li quali verranno giudicati, ò deboli, ò piccoli, o troppo grandi, od altrimenti inservibili pell’uso analogo di cui tratta. Delli sud.ti ferramenti[…] che si considereranno come materiali buoni, l’Appaltatore potrà servirsene in modo sopra espresso,ed a norma di questi Capitali. Tutto questo dovrà essere combinato da prima con l’approvazione dei Delegati Ispettori, e l’Appaltatore non potrà mai rilevare niente, ne dalle Carceri vecchie ne in S.t Agata sino a tanto, che non abbia dato luogo, e com= modo uguale colle prigioni nuove entro il recinto di S.t Agata. 26° Li disegni appartenenti a questo appalto saranno consegnati all’appaltatore nell’ atto del Contratto, e di questi Capitoli se ne leverà una Copia autentica, mentre l’originale resterà nelle mani degli Ispettori Delegati Milano li 24 agosto 1802 Sott.to Leopoldo Pollack Architetto Per copia conforme Campana.Preseg.rio Archiv.o Si aggiungono li seguenti Capitali a […] delle opere 1° La Fabbrica che ora fa Prefettura intende di appaltare consiste in quella sola da eseguirsi nella fù Chiesa in tutto e per tutto come al Tipo B e relativo Profilo, escluso fare le altre 2° Si ritengono a maggiore intelligenza dei Capitali li presenti schierimenti Pollack
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Aggiunte, che si fanno alli Capitali d’appalto, in vista di alcune domande fatte dalli concorrenti Capi Mastri per avere più schiarimenti sopra alcune opere da farsi in S. Agata di questa città, le quali si uniscono alli Capitali Generali stati prescritti fino dal giorno 24 Agosto dell’ anno cor.te. Cap. 1mo) Nel piano terra A si lasciaranno le ferriate delle finestre nello stato che si ritrovano al presente, e si faranno di nuovo tutte quelle dei Luoghi, che sono a farsi di Nuovo. Parimenti li lasciaranno ancora quelle delle finestre nelli piani B. C. ove esistono, e si porranno di nuovo ove mancano alli ind. piani. L’intera prattica si terrà con le tramezze ove in confronto delle due piante non esistano, cioè si lasciaranno otturate le finestre, e non si rimetteranno più li tavolati, o suddivisioni, ove sul luogo mancano. In tutte le camere nell’ala a tronconbasse segnate con li N° 14, le ferriate delle finestre esistenti restano stabili come si trovano. Sopra tutte le porte esistenti poi, le quali servono d’accesso a delle Camere si dovranno porre le ferriate intelera= te nel contorno di vivo, come accenna il Cap.lo N° 5.Nelle segrete in piano terra segnate N°3 si sono pres= critte nel sud.o Cap.lo 5 le ferriate doppie, queste si intendono le prime verso la corte, e le seconde a quelle delle segrete stesse, si le une, come le altre dovranno essere fatte di nuovo con le prescritte dimensioni, e qualità di ferri. Cap.2 Nella Guardina segnata 4; e seguente N°10, non si debbono fare ferriate, anzi si lasciarà ogni cosa nella presente forma e figura, a riserva, che si accomoderanno li telai dei serra= menti, e si rimetteranno gli vetri ove mancano. Cap.3 Il dimandato rialzo al paro degli vicini fabbricati, si intende quello del piano C. N° 8, e perciò il detto sito risultante, dovrà avere il pavimento consueto, se inferiormente esiste volta reale, e caso che la detta supposta volta fosse di Cannette
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si rinforzerà, per quanto occorre la sua Armatura, ossia soffitto in modo, che il predetto nuovo pavimento, riesca stabile, sicuro, e forte.Per coperto del detto N°8 si farà un soffitto forte con li travelli orlati, ed incassettati, niente di più distaccati frà di loro […] 8 di Bergamo da mezzo a mezzo, e sopravia, cioè, sotto il tetto, si farà oltre la […] ete caldana un pavimento di mattoni comuni ben profilati, e posti a corsi per il largo dello spazio. le finestre in d.oLuogo si ricostruiranno precisamente a piombo delle inferiori, e nella loro luce saranno eguali a quelle dell’ala a tramontana nell’istesso piano, saran= no munite con eguali telai di vivo feriate, e serramenti come trovansi tutte le altre al medesimo piano nella sud.a ala a tramontana. Cap.4 Per schiarimento del quesito fatto si rilegga e si osser vi la prima parte. Cap.5 Il tempo limitato nel capitolo 23 si determina che l’anno avvenire 1803 sia terminata ogni cosa in modo, che indica e prescrive il capt. Ind.o ventitré. Li pagamenti si faranno in quattro rate diverse, e non In tré, cioè la prima si corrisponderà quando saranno costrutte le segrete vicine al piano terreno verso la corte, e le due Comuni grandi con li pilastri, e volti reali in rustico. La 2° quando saranno terminati li predetti locali in ogni loro parte al segno dell’uso. La terza allor quando saranno addattati tutti i luoghi annessi alla sud.a fù chiesa, con li Superiori dell’Infermeria, e luoghi vicini. La quarta, ed ultima si pagarà in fine dell’ opera conforme il Capt. […] N.B. Li pilastri dalle due comuni vengono con quell’aggiunta Precisamente prescritti di farli di pietra detta di Mapello, a diversi strati, e non in un solo pezzo. Quelli in piano terra saranno in grossezza loro […]12 in quadrato, e gli altri del piano.
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CAPITOLO 5
Presentazione rilievo architettonico
L’intervento di rilievo architettonico, visto le precarie condizioni di sicurezza, ha interessato una parte dell’ex complesso monastico, poi adibito a carceri agli inizi del 1800, e il lavoro è stato suddiviso in una serie di fasi, svolte da piccoli gruppi di studenti. Nella prima fase è stata effettuata un’indagine storico –artistica allo scopo di individuare lo sviluppo e i cambiamenti che si sono avuti a livello planimetrico di Città Alta , dal ‘500 alla situazione attuale, ,in particolare dell’area del complesso di S. Agata. L’indagine si è poi spostata ad una scala più bassa ( piante e sezioni) andando ad individuare i vari interventi eseguiti sull’ex complesso monastico a partire da quelli eseguiti dal Pollack nel 1802 fino al 1870. Nella seconda fase è stata svolta un’indagine sullo stato attuale partendo da un rilievo fotografico, sia degli ambienti interni che delle facciate esterne, allo scopo di evidenziare alcuni aspetti architetto-
nici specifici e nell’intento di fornire una visione completa del complesso architettonico,anche con un abaco fotografico delle porte e delle finestre. Nella terza fase è stata posta l’attenzione sui caratteri stilistici delle facciate, in particolare di quelle interne al cortile, allo scopo di evidenziare i vari elementi architettonici, completata con la rappresentazione di alcuni particolari architettonici, sia interni che esterni. Le precarie condizioni di sicurezza non hanno permesso di effettuare misurazioni con un rilievo diretto, con attrezzature tradizionali, ma è stato invece effettuato un rilievo indiretto adoperando un’attrezzatura innovativa quale il laser-scanner, in collaborazione con l’Università di Ingegneria di Dalmine, di cui è stato realizzato un video Il docente Franco Agresti
Stato attuale - rilievo fotografico Ex carcere - sezione femminile
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Stato attuale - rilievo fotografico dell’ex carcere S.Agata corridoio - part. porta della cella sez. femminile facciate del cortile interno
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Stato attuale - rilievo fotografico dell’ex carcere S.Agata particolari architettonici delle facciate, interno della cappella, part. della cella sezione maschile
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Fig. 1 Stampa di fine ‘500 Fig. 2 Ingrandimento particolare Sant’Agata Fig. 3 “Civitas Bergomi” di Giovanni Macheri 1660 Fig. 4 “Civitas Bergomi” di Giovanni Macheri 1660 ingrandimento particolare di S.Agata
Fig. 5 “Bergamo” di Stefano Scolari 1680 Fig. 6 “Bergamo” di Stefano Scolari 1680 Ingrandimento di particolare di S’Agata Fig 7 Alvise cima 1695 Fig. 8 “Città e fortezza di Bergamo” di Vincenzo Coronelli, 1707-1708
Fig. 5
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Fig. 2
Fig. 1
Fig. 8
Fig. 3 204
Fig. 4
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Fig. 9 Da stampa ingrandimento di particolare di Sant’agata Alvisecima 1695 Fig. 10 Ingrandimento di particolare di Sant’Agata da stampa di Vincenzo Coronelli 1707-1708 Fig. 11 Cartografia Lombardo veneto 1800 Fig. 12 Cartografia attuale (nov.2007) vincolo 269
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Fig. 13 Piano della Corte Indagine storico-artistica evoluzione in pianta-Pollack dell’ex edificio conventuale Fig. 14 Primo piano superiore Fig. 15 Evoluzione in pianta-Pollack dell’ex edificio conventuale secondo piano superiore Fig. 16 Sezione dell’edificio A-A
Fig. 9
Fig. 10
Fig. 13
Fig. 14
Fig. 11
Fig. 12
Fig. 15
Fig. 16
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Stato attuale – rilievo fotografico di particolari architettonici dell’ex chiesa di S. Agata Stato attuale – rilievo fotografico di particolari architettonici dell’ex carcere di S. Agata
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Stato attuale – Abaco fotografico Stato attuale – rilievo fotografico di particolari architettonici dell’ex carcere di S. Agata
Fig. 1- Finestra parete est cortile interno Fig. 2- Finestra di una cella, 2° piano Fig. 3- Finestra parete nord, cortile interno Fig. 4- Finestra delle scale, parete nord Fig. 5- Finestra parete nord, cortile interno
Disegno dell’insieme e del particolare di finestra
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 6- Finestra del cortile interno Fig. 7- Finestra della parete nord Fig. 8- Finestra interna della cappella Fig. 9- Finestra del ballatoio Fig. 10- Balcone “circolino” parete ovest
Fig. 7 210
Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10 211
Stato attuale – Abaco fotografico Fig. 8-Porta di una cella, secondo piano, lato est
Fig. 1 Porta d’ingresso alle carceri da vicolo S. Agata
Fig. 9-Porta dell’ ambulatorio , secondo piano della Chiesa
Fig. 2- Porta di una cella, secondo piano, lato sud
Fig. 10- Porta del locale di servizio del livello celle, lato est
Fig. 3- Porta dell’ambulatorio al secondo piano dell’edificio a nord Fig. 4-Porta a sbarre di ferro di una cella maschile, primo piano
Fig. 11-Porta di accesso ai locali realizzati sulla navata della Chiesa
Fig. 5- Porta in legno di una cella, lato ovest
Fig. 12-Porta di accesso al locale adibito a sala proiezione
Fig. 6- Porta in ferro di una cella maschile Fig. 7- Porta di una cella, lato est
Fig. 8
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 9
Fig. 3
Fig. 11
Fig. 4 212
Fig. 5
Fig. 10
Fig. 6
Fig. 12
Fig. 7 213
Stato attuale - Particolari architettonici
Stato attuale – particolari architettonici
Portone d’ ingresso da Via Vagine
Studio delle volte
Disegni- matita- acquarello
1- Volta a botte e archi a Sesto acuto, piano seminterrato 2- Volta a padiglione , 1° piano (circolino) 3- Volta a crociera, corridoio celle – settore maschile 1° piano 4- Archi a tutto sesto, piano terra 5- Volte a botte, piano rialzato (sala cinematografica) 6- Volta affrescata della Chiesa
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BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
AUTORI
www.parrocchiagradisca.it www.lombardiabeniculturali.it www.santibeati.it http://www.santiebeati.it/dettaglio/35250 http://www.teatini.it/ http://it.cathopedia.org/wiki/San_Gaetano_di_Thiewww.lombardiabeniculturali.it http://www.santiebeati.it/dettaglio/35250 http://www.teatini.it/ http://it.cathopedia.org/wiki/San_Gaetano_di_Thiene http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-paolo-dolfin_(Dizionario-Biografico)/
ALLIEVI DEL LICEO ARTISTICO “GIACOMO E PIO MANZÙ” DI BERGAMO, CORSO RILIEVO E CATALOGAZIONE, a.s. 2011/2012 e 2012/2013
ABBREVIAZIONI
C.V. Bg. = Archivio della Curia Vescovile di Bergamo S. Bg. = Archivio di Stato di Bergamo S. M. = Archivio di Stato di Milano C. A. M. = Biblioteca Civica Angelo Mai
Airoldi Nicolò Antonino Elisabetta Assolari Greta Bertin Giulia Bossi Giorgio Marco Carrara Silvia Cattaneo Ester Chirico Simona Cilia Cristina De Liguoro Vera Galastri Silvia Locatelli Romina Loglio Luca Luzzana Chiara Maffioletti Irene Montanelli Consuelo Nicolini Carolina Pinzi Deborah Morgana Polenghi Giulia Poloni Felicia Giulia Pozzi Nausicaa Salvoldi Elena Simonetto Chiara Tasca Anna Xausa Alessandro COORDINAMENTO Testi: prof.ssa Luicia Dreoni Rilievo architettonico: Prof. Franco Agresti Fotografia, grafica, rilievo pittorico: Prof. Mario Albergati
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2012 Progetto grafico: l’Azzurro 220
Con il patrocinio di
Assessorato alla Cultura e Spettacolo 224