Umberto Mastroianni. Tra coscienza civile e spirito del sacro - Catalogo

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Floriano De Santi

UMBERTO MASTROIANNI Tra coscienza civile e spirito del sacro

ARCHIVIO UMBERTO MASTROIANNI


UMBERTO MASTROIANNI

Tra coscienza civile e spirito del sacro Museo Diocesano di Torino 1 aprile – 30 settembre 2015

La mostra è promossa da:

Con il patrocinio di:

Curatore della mostra e del catalogo Floriano De Santi Direttore del Museo Diocesano di Torino Don Luigi Cervellin

Archivio Umberto Mastroianni di Brescia

Progetto di allestimento Maurizio e Chiara Momo Museo Diocesano di Torino

Associazione Stars di Torino

Consulta di Torino 2a, Armando Testa, Banca Fideuram, Buffetti, Burgo Group, Buzzi Unicem, C.L.N., Compagnia di San Paolo, Costruzioni Generali Gilardi, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Fenera Holding, Ferrero, Fiat Chrysler Automobiles, Fondazione Crt, Garosci, Generali, Geodata, Gruppo Ferrero-Presider, Huntsman, Intesa SanPaolo, Italgas, Lavazza, Martini & Rossi, Megadyne, M. Marsiaj & C., Reale Mutua Assicurazioni, Reply, Skf, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni

Con il contributo di:

Museu Valencià

Museo de Arte Moderno de Buenos Aires

Allestimenti Berrone Livio & C. Elettro-Si Ilti Luce Mario Accornero Catalogo Edizioni dell’Archivio Umberto Mastroianni di Brescia

Coordinamento organizzativo Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri, Consulta

Impianti e stampa Publi Paolini, Mantova

Coordinamento generale Giuliana Valenza Associazione Stars

Assicurazione Società Reale Mutua di Assicurazioni

Redazione testi Lucia Danesi

Trasporti Geodis Wilson Italia

Referenze fotografiche Archivio Fotografico dei Musei Civici di Torino Archivio Fotografico del Museo Arte On di Castel di Lama Tommaso Buzzi Lucia Danesi Marco Di Marco Nicola Eccher Argeo Fiorelli Stefano Granello Tommaso Mattina Maurizio Momo André Morain Alessandro Nicola Roberto Ruberti Paolo Sacchi Franco Salerno Giuseppe Schiavotto Fabrizio Sclocchini Elio Torrieri

Ringraziamenti Alessandro Biffanti Angiolina Danesi Granello Lucia Danesi Marco Datrino Virginia De Agostini Claudia Dusini Cesare Mariani Laura Mastroianni Franco Moz Gian Luigi Nicola Alfredo Pallesi Giacomo Romito Michele Santulli Rino Tacchella Giuseppe Zauli e a tutti coloro che hanno preferito mantenere l’anonimato


PRESENTAZIONI

Mastroianni, una ricerca appassionante tra arte e fede Con molta gioia il Museo Diocesano di Torino accoglie la Mostra Umberto Mastroianni. Tra coscienza civile e spirito del sacro, esposta dal 1 aprile al 30 settembre 2015 in concomitanza con due importanti eventi internazionali che coinvolgeranno la Chiesa e la Città di Torino: la Solenne Ostensione della Sindone e Expo 2015. In continuità con il motto dell’Ostensione della Sindone “L’amore più grande”, in sintonia con l’esposizione mondiale della eccellenza culturale italiana, la Mostra si propone di indagare il percorso artistico, spirituale e umano del Maestro Umberto Mastroianni attraverso la presentazione di opere a carattere spirituale e religioso, realizzate lungo il suo fecondo e variegato iter artistico, a partire dagli esordi degli anni Venti del Novecento sino a quelle realizzate ancora pochi mesi prima della morte, avvenuta nel 1998. Le opere oggetto della Mostra, circa sessanta, testimoniano la vasta e diversificata produzione dell’artista, che spazia dalle sculture, ai bassorilievi, alle terrecotte, ai gessi, alle opere su carta realizzate a matita, sanguigna, a tempera, ai cartoni graffiati e colorati, ai dipinti ad olio o a tempera su tela, ai mosaici, ma non mancano gli arazzi, i piombi, i rami e persino i vetri modellati e dipinti. In questo colorato universo di forme, materiali e tecniche, simili a un fantastico caleidoscopio, l’artista plasma e invera la sua ricerca umana e spirituale in un dialogo – drammatico e appassionante, ieratico e composto, mai banale – tra l’arte e la fede, che raggiunge uno degli esiti più emblematici dell’arte religiosa contemporanea e ne fa regalo all’oggi, specie ai giovani che sanno guardare, con occhi meravigliati, alle proposte di senso, di bellezza e di verità. Grazie a quanti hanno sostenuto e collaborato a questo straordinario evento: il Prof. Floriano De Santi, Direttore dell’Archivio Umberto Mastroianni, il Presidente e i Soci della Consulta per la valorizzazione dei beni artistici della Città di Torino, la Fondazione CRT, la Società Reale Mutua di Assicurazioni, il Prof. Maurizio Momo, l’Arch. Chiara Momo, la Sig.ra Giuliana Valenza, la Dr.sa Laura Mazzoli, la Dr.sa Alessia Franzi, i collezionisti e gli Enti proprietari delle opere, i Volontari del Museo Diocesano di Torino, Volarte, Touring Club Italiano, U.G.A.F. Ha ricordato papa Francesco: “Le opere d’arte danno testimonianza delle aspirazioni spirituali dell’umanità, dei sublimi misteri della fede cristiana e della ricerca di quella bellezza suprema che trova la sua origine e il suo compimento in Dio” (Saluto ai Patrons of the arts del 19 ottobre 2013). Auguro a quanti visiteranno la Mostra Umberto Mastroianni. Tra coscienza civile e spirito del sacro di ammirare la maestria dell’Autore e di scoprire la tensione artistica e religiosa che l’ha ispirato.

Don Luigi Cervellin Direttore Museo Diocesano di Torino

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Bellezza e verità nell’opera di Umberto Mastroianni

La Fondazione CRT per la mostra di Umberto Mastroianni

Lungo i millenni, dall’origine del Cristianesimo, arte e fede, bellezza e verità, estetica e spiritualità hanno proceduto insieme in piena armonia, trascinando l’umanità verso l’alto, aprendola alla trascendenza e regalando capolavori di valore assoluto. Nell’epoca contemporanea, questa sintonia si è spezzata; nel secolo scorso davvero pochi artisti hanno colto nel Sacro la loro ispirazione. Ben tre Pontefici negli ultimi cinquant’anni si sono fatti carico di questo problema, a cominciare da Paolo VI che, preoccupato dallo svilupparsi di un’arte senz’anima, si indirizzava agli artisti, alla chiusura del Concilio nel 1965, dicendo “Noi abbiamo bisogno di voi… Questo mondo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione…”. Concetti ribaditi da Giovanni Paolo II, alla vigilia del Giubileo del 2000, nella lettera agli artisti, dove concludeva affermando che “la bellezza è cifra del Mistero e richiamo al Trascendente”. Da ultimo Benedetto XVI, nell’incontro con gli artisti del 2009, riuniti nella Cappella Sistina: “Voi siete i custodi della bellezza… Non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza”. La mostra che inauguriamo oggi sull’opera di Umberto Mastroianni tra coscienza civile e spirito del sacro, a parte, evidenziare le straordinarie capacità dell’artista, possiede un suo peculiare valore, in quanto rara espressione moderna di una “via pulchritudinis”, nell’accezione sopra enunciata. Il legame della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino con il maestro Umberto Mastroianni risale al 1994, quando viene promossa la realizzazione della Cancellata artistica Odissea musicale per il Teatro Regio di Torino. Nel 2015, anno di particolare sensibilità religiosa dovuta principalmente all’Ostensione del Sacro Lino Sindonico, le Aziende e gli Enti Soci di Consulta hanno dato il loro determinante contributo alla realizzazione di questa mostra, che espone oltre cinquanta opere del maestro, allestite in due sedi, il Museo Diocesano e all’interno della Torre campanaria della Cattedrale, già restaurata nel 2013 da Consulta in collaborazione con Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT. Altre rilevanti iniziative sono previste nel corso dell’anno e saranno oggetto di comunicazione a tempo debito.

La Fondazione CRT ha contribuito alla realizzazione della mostra “Umberto Mastroianni tra coscienza civile e spirito del sacro”- curata dal professor Floriano De Santi, amico ed esegeta di Mastroianni – sostenendola con un contributo diretto e quale socia della Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino, che ha promosso l’iniziativa d’intesa con il Museo che la ospita. Nell’anno dell’Ostensione della Sacra Sindone, la Fondazione ritiene particolarmente importante che il grande pubblico e i pellegrini che arriveranno a Torino, possano ammirare questa raffinata esposizione dedicata alle opere di argomento sacro realizzate dal grande scultore del Novecento, che visse e operò a lungo a Torino, cui restò sempre legato.

Maurizio Cibrario Presidente Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino

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Mastroianni o l’umano bisogno di spiritualità

La poliedrica e geniale creatività di Umberto Mastroianni

Nel suggestivo spazio sottostante il sagrato del Duomo e a breve distanza dalla sua “Odissea Musicale“ – la cancellata del Teatro Regio di Torino, donata alla Città nel 1994 – il Museo Diocesano accoglie la Mostra “Umberto Mastroianni. Tra coscienza civile e spirito del sacro“. È un doveroso tributo, nella Città che gli ha conferito la cittadinanza onoraria, al Maestro che a Torino ha vissuto oltre quarant’anni di fervente attività artistica e culturale con il sodalizio, tra gli altri, di Luigi Spazzapan, Carlo Mollino, Guido Seborga, Mattia Moreni, Massimo Mila, Maria Luisa Spaziani, Ettore Sottsass. L’Associazione S.T.Ars si è adoperata per la realizzazione di questa Esposizione, nella consapevolezza che l’Artista, così apprezzato in ambito internazionale, da noi sia ancora poco conosciuto, se si pensa alla sua sorprendente produzione che spazia dalla scultura all’incisione, dalla ceramica agli arazzi, cimentandosi con i più svariati materiali, assoggettati al suo estro e ai suoi intenti. La Direzione del Museo Diocesano, riconoscendo il valore spirituale insito nell’opera del Maestro, ha accolto con convinzione e immediatezza la proposta (invito) della S.T.Ars a selezionare dalla vasta serie delle sue opere, quelle più aderenti all’umano bisogno di spiritualità a cui l’imminente Ostensione della S.Sindone ci richiama. Quanto all’Associazione S.T.Ars è suo auspicio che questa Mostra abbia quanto prima un seguito con un’Antologica esaustiva, come il Maestro Umberto Mastroianni merita.

Quando il Prof. De Santi mi ha chiesto di scrivere una presentazione per una mostra dedicata a mio bisnonno, Umberto Mastroianni, sono stata da subito molto onorata ma anche intimidita per il compito che mi era stato affidato: parlare della grande opera di quello che è considerato uno dei più grandi scultori del Ventesimo Secolo. La sua indiscutibile poliedricità lo ha portato ad accostarsi a innumerevoli correnti artistiche, e questa mostra permetterà ai visitatori di ammirare questi capolavori di Arte Sacra, e rimirare l’incredibile umanità che traspare dai volti angelici dei soggetti ritratti. Negli ultimi anni si è sentito più spesso nominare Umberto Mastroianni per vari problemi attinenti all’eredità della sua opera, che non per la grandezza e la genialità della sua arte. Ritengo quindi che l’unico modo che abbiamo per restituire a questo grande artista il prestigio che merita, sia proprio esporre le sue straordinarie creazioni e farle conoscere a un pubblico sempre più vasto. Ed è per questo che sono stata sin da subito entusiasta dell’iniziativa del Prof. De Santi: realizzare una mostra in occasione dell’ostensione della Sacra Sindone a Torino, città in cui mio bisnonno ha abitato per lunghi anni, e dalla quale merita senza dubbio di essere ricordato e apprezzato. Spero quindi che questi presupposti possano porre le basi per rivalutare completamente l’immagine di Umberto Mastroianni, esaltarne il genio e la tecnica, e non di certo nominarlo sommariamente per qualche scandalo mediatico.

Giuliana Valenza Presidente Associazione S.T.Ars di Torino

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Laura Mastroianni Unica erede di Umberto Mastroianni

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Storia e sacro: gli “angeli necessari” di Umberto Mastroianni di Floriano

I. L’artista e il filosofo

De Santi

Con lo sguardo affisso a un passato di sfaceli e di rovine, la figura dell’Angelo della storia di Walter Benjamin è la stessa evocata da Umberto Mastroianni nella scultura Hiroshima del 1961: “Sono occhi, bocche che si spalancano qua e là nella materia; visi triangolari di creature strane, generate in matrici di ferro, musi di feticci, criniere d’ippogrifi, larve, fantocci, fantasmi, fossili, ottusi crani di uomini di Neanderthal, curiosi camaleonti, pipistrelli, lemuri ancora in parte imprigionati nell’impasto informe, enormi insetti e piccolissimi dinosauri, arcani passi di danza e ritmi nascosti di membra allineate dall’eco, cavalieri e cavalli impennati con la bocca spalancata al nitrito, emblemi araldici e liturgie segrete”1. Per dirla con il filosofo berlinese, articolare il passato non ha il valore di una gnosis, di una conoscenza dei fatti, così come si svolsero; con lo stesso spirito Simone Weil2 parla della ferita attraverso cui il mondo entra in noi e noi comunichiamo con il mondo. La dialettica di passato-presente-futuro si traspone dentro l’immagine dell’attesa, ma anche dello stupore quando, leggendo il trattato sull’Angelo purpureo di Sohra-

vardï, abbiamo ritrovato le stesse parole che descrivono l’angelo rosso dell’eterno mattino nella serata Verdurin, suggerite dall’ascolto del Septuor di Vinteuil, nella Prigioniera di Proust3. Lo ha affermato Mastroianni: “l’immagine guizza via dalla materia, è più rapida a svanire dell’eco della musica”4. Ma Benjamin ha detto che se l’immagine determina la conoscibilità dell’ora, della Jetztzeit, e dunque dell’istante, essa è anche ciò che arresta questo ora, lo mette in Stillstand, in stato di arresto5. È un paradosso, dunque, quello della fugacità e dell’immobilità dell’immagine. Com’è possibile che immagini fugaci durino? Musil nell’Uomo senza qualità ha affrontato questo problema. La soluzione per lo scrittore austriaco sta nel ricorso al Gleichnis, il ricorso ad un’immagine complessa che è una figura che unisce in sé due cifre espressive diverse e dunque la diversità stessa. Vico ha sostenuto che la metafora, ovvero la figura, è mito, è un piccolo racconto. Anzi è andato più in là: persino la singola immagine è mythos e dunque racconto. Per estensione, tanto in Benjamin quanto in Mastroianni, potremmo ipotizzare che pure la singola immagine sia già di per sé una costellazione d’immagini6, qualcosa che porti in sé l’informe da cui si è generata, il

1 Massimo Mila, Umberto Mastroianni. Ori e poesie, Edizioni d’Arte Moderna, Roma, 1965, p. 16. 2 Cfr. Écrits de Londres, Gallimard, Paris, 1957. Si veda anche Simone Weil, Lettera a Bernanos, in G. Gaeta, Simone Weil, Enciclopedia Della Pace, San Domenico di Fiesole, 1992. 3 La Prisonnière è il quinto volume dell’opera di Marcel Proust À la recherche du temps perdu, monumentale ciclo di sette romanzi pubblicato tra il 1913 e il 1927. Nel quadro generale della struttura di questo capolavoro, l’introduzione del Septuor di Vinteuil ha due funzioni fondamentali, entrambe legate al tema del tempo: da una parte quella della salvezza dell’opera d’arte, strappata al pericolo di perdersi nel continuum dei momenti passati; dall’altra il Septuor anticipa la raffigurazione del mondo salvato nel felice temps retrouvé che chiuderà l’opera. Sull’argomento si veda Franco Rella, Scritture estreme. Proust e Kafka, Feltrinelli, Milano, 2005.

Lettera del 15 ottobre 1978 indirizzata a Floriano De Santi; essa è conservata nell’Archivio Umberto Mastroianni di Brescia. 5 Gli appunti per l’opera Passagen-Werk (Parigi capitale del XIX; ed. ital. a cura di G. Agamben, Einaudi, Torino, 1986) mai compiuta datano dal 1926 e si ripetono, quasi senza variazione, fino alla morte di Benjamin nel 1940. Centrale nella riflessione di questo capitale lavoro è la dialettica del risveglio, in cui l’essere vigile (Wachsein) è anche, nello stesso tempo, un essere-ora (Jetztsein), un essere cioè nell’attualità, nel presente. Solo nella cesura che si apre nel cuore della “tensione fra gli opposti” è possibile intravedere il varco di una redenzione possibile del mondo. 6 Cfr. sul tema Floriano De Santi, Le costellazioni della figura, del paesaggio, della forma e della materia, Caleidoscopio Edizioni, Carrara, 2009. È il catalogo della mostra a Villa Bor4

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sato, così come, in Einbahnstrasse, la Speranza di Andrea Pisano sul portale del Battistero di Firenze guarda il futuro come un frutto inafferrabile, perché le ali pronte al volo non sono in grado di portarla fino ad esso. Solo un altro sguardo, quello dell’Angelus Novus, vero centro enigmatico delle Tesi, è capace di questa distruzione del feticcio-storia: “C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impagliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera”7. È evidente in tale testo il richiamo alla teoria cabalistica luriana dei vasi della luce infranti, della luce che si è calata e celata nella materia (proprio come accade in capolavori mastroiannei quali Deposizione del 1927-28, Santa Caterina del 1937, Frammento della “Madonna della Pace” del 1940, Sacco dorato del 1950, Grande Cristo sulla Croce del 1954, Hiroshima del 1961, Maternità dell’anno appresso, Enigma del 1970-71, Il coro dei morti del 197879, I pesci sacri del 1990 e Le ali dell’Arcangelo Gabriele del 1993). È altrettanto evidente che Benjamin rifiuta il secondo movimento della Kabbalah, quella della ricomposizione dell’infranto. Se l’angelo guarda le macerie, ed è preso da un vento che spira dal paradiso e lo spinge verso il futuro, vediamo chiaramente che questo vento viene dal paradiso stesso. Se c’è una possibilità di salvezza, se c’è una possibilità di verità, questa sta in mezzo alle rovine: è lì che dobbiamo guardare. A questo punto sappiamo che il viaggio attraverso

Maschera, 1937. Cera, cm. 30x30x25

tempo che ha attraversato, il presente che illumina con il suo improvviso lampeggiare frammenti di verità. Come dobbiamo porci di fronte a questa interminabilità, che cerca di spiegare l’inspiegabile? Fare a meno della verità, come ci raccomanda la filosofia analitica, accontentandoci della certezza delle nostre procedure linguistiche, o metterci in attesa di un evento che sia salvezza e rivelazione come suggerisce Heidegger? O piuttosto supporre che questo infinito percorso sia il percorso stesso dell’uomo, la sua storia dentro la quale si situa anche la nostra storia, il nostro racconto? Ma ci sono ancora racconti possibili? La nona delle Tesi benjaminiane Sul concetto della storia nel 1940, scritto sul bordo stesso della sua morte, ci offre l’immagine di un angelo infelice che guarda il pas-

le catastrofi della storia (in primis quelle provocate dal nazi-fascismo)8, che abbiamo incontrato in Benjamin e in Mastroianni, ha le caratteristiche di un viaggio iniziatico. Non si tratta di un itinerarium mentis in Deum, bensì di un’iniziazione della coscienza civile che, tuttavia, incrocia qualcosa del sacro, perché in qualche modo la soglia è il luogo del sacro, in quanto è il luogo dell’indicibilità prima metafisica e poi tragica. La figura dell’angelo appare fin dagli esordi nell’esperienza artistica di Mastroianni, Angelus Novus (che è anche il titolo, non per nulla, di una sua scultura del 1978) è come un talismano di consapevolezza – impegno della ragione ed espistasi dello spirito – che passa via via dal thymos, dal cuore del filosofo tedesco a quello dell’artista di Fontana Liri. Basterebbe pensare all’importanza per entrambi del concetto di limite, del “regno intermedio purissimo”9 che essi condividono con il Rilke delle Elegie duinesi. Gli “angeli necessari” di Mastroianni, ma anche di Benjamin, continuano a vegliare sul confine che separa e fa incontrare il buio e la luce, l’umano e il divino: la sua opera scultorea, pittorica e grafica, sta a quella dello scrittore come l’anabasi si rapporta alla catabasi, il risalimento e l’esplorazione della superficie all’inabissamento nell’interiorità.

Busto di donna, 1944. Bronzo, cm. 90x65x40

II. Religione e poiesis L’arte è tale quando afferma ed esprime Dio, dichia­ rava Clemente Rebora, uno dei grandi poeti del nostro Novecento, in uno dei suoi testi lirici (qui ovviamente pa­ rafrasato). E in effetti quella Erfahrung, quell’esercita­zione del sacro che la scrittura estetica lambisce e a tratti anche raggiunge – di una sacralità della vita e dell’essere, della natura e del cosmo – ha indotto molti ad unire reli­gione e poesia. Il ritrovamento che l’arte compie della verità primaria che fonda l’esistenza riconduce di neces­sità all’unità con l’universo, ciò che appunto legittima l’istanza religio-

sa, o sacrale, e la sua diretta espressione. Tale verità, non perfettamente limpida nei suoi carat­ teri (ma anche in questo risiede il suo mistero, e il senso dell’ineffabilità che ad essa pertiene) è ovviamente supe­ rordinata ai linguaggi articolati in segni essenziali e sim­ bolici: liberi dal rapporto referenziale con la realtà a quel modo in cui lo sono quelli dell’arte del nostro tempo. An­ che per questo è stato ed è tuttora motivo di molta sorpre­ sa il divorzio tra la chiesa cattolica nelle sue istituzioni ed espressioni culturali e l’arte contemporanea; divorzio assai vistoso nei primi cinquanta-sessant’anni e solo in parte colmato da aperture ed interessi degli ultimi decenni del

Di fronte ad Auschwitz dichiara Adorno (Dialettica negativa, a cura di S. Petrucciani, Einaudi, Torino, 2004) che il pensiero e la cultura devono pensare contro se stessi per non diventare complici dell’orrore. Sulla visibilità del male attraverso Auschwitz cfr. M. Blanchot, L’écriture du désastre, Gallimard, Paris, 1980, p.129: “Campi di concentramento, campi di an-

nientamento, figure in cui l’invisibile si è ormai per sempre reso visibile”. L’immane paradosso è che a questa estrema e definitiva visibilità corrisponda un’altrettanta estrema “indicibilità”. 9 È una sorta di Zwischenwelt, un mondo di mezzo, un interstizio che si dilata e nel quale tutto è possibile, come ha anche scritto Rainer Maria Rilke nei Sonetti a Orfeo.

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bone di Viareggio che vedeva, tra l’altro, la presenza di due straordinarie jute di Umberto Mastroianni: Le orme di Proteo del 1949 e Sacco dorato dell’anno seguente.

Einaudi, Torino, 1962, pp. 76-77. Si veda anche Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Milano, Adelphi, 1978.

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Novecento, che hanno dato luogo, tra l’altro, all’inaugurazione nel 1973 di un museo d’arte moderna in Vaticano e alla relati­va concessione di opere, scultoree, pittoriche e grafiche astratte tanto quanto realistiche, d’avanguardia come egualmente di sapore tradizionale. Molti gli artisti, alcuni tra i più grandi e importanti del nostro tempo, compresi nell’elenco dei donatori: da Picas­ so a Bacon, da Kandinskij a Moore, dai nostri De Chirico e Morandi a Sutherland e ad Hartung, tanto per citare, così a caso, solo qualche nome. Tra questi non manca uno dei

più singolari e dei più creativi scultori: Umberto Mastro­ ianni (che non è solo scultore, date le incursioni fruttuo­ sissime nei campi della grafica e della stessa pittura). Sin dall’inizio egli ha imposto il suo lavoro su una concezione totalmente nuova e rivoluzionaria: tra interes­si culturali e forma espressiva. L’aver affrontato il problema all’interno delle formulazioni stilistiche proprie alla Stimmung moderna, per metterne in evidenza e rifiutarne i compromessi e le approssimazioni, per giungere alla rivelazione di un diverso e indipendente modo d’interpreta­re il repertorio figurativo antico, non più come convenzio­ne e mito, ma come esempio attivo di presa di coscienza della realtà, è merito unicamente della sua Koiné poetica. Nelle sculture e nei bassorilievi mastroiannei di sog­ getto sacro lo stesso processo di umanizzazione del divi­ no e dell’ideale, e di dominio della realtà mediante gli strumenti conoscitivi e operativi dell’uomo, si realizza in una continuamente libera figurazione fenomenica, che ha la sua norma costante non nella ragione unificatrice, ma nella vitalità organica e spirituale, nella rispondenza tra l’energia psichica e quella fisica, che l’artista riconosce come fondamento attivo e unificatore della realtà. Nelle opere giovanili Mastroianni era in una posizione di tale contrasto con le tendenze idealizzanti ed arcai­che dell’arte italiana tra le due guerre del secolo scorso che – puntualizza con acume critico e filologico Nello Ponente – “sembrava ignorare, in quel momento, non solo l’esperienza di Mar­ tini, ma anche quella di Marini e di Manzù. Mastroianni cercava per suo conto le proprie soluzioni. Il dato arcaico si trasformava, perdeva il significato di riferimento river­ sandosi nel presente”10. Della necessità di un paragone classico, per intendere di quanto le ragioni profonde della plastica di Mastroianni oltrepassino l’ovvio riferimento a Boccioni e a Brancusi11,

Cfr. Mastroianni, Edizioni d’Arte Moderna, Roma, 1963, p. 31. 11 “Nella classica scia della scultura, Mastroianni si muoveva allora verso il nudo e verso il ritratto. Ce n’è un gruppo che appartiene al 1938, che dichiara chiaramente come lo scultore, sebbene interessato alle caratteristiche fisionomiche del modello, mirasse ai puri volumi. Questi ritratti, anche quello della moglie, dello stesso periodo, non hanno capelli, o appena delle striature incise. Ciò significa che inseguendo la struttura

cranica del modello, erano i puri volumi ovoidali che in realtà lo scultore cercava, come i puri volumi realizzati da Brancusi. Mastroianni non arriva e non cerca l’astrazione suprema di Brancusi, ma vuole sottrarre il ritratto, quanto più possibile, dall’impero del fenomeno, conservando del fenomeno solo le caratteristiche essenziali per mantenere un labile rapporto” (Cesare Brandi, Il primo Mastroianni, in Francesco Moschini, Umberto Mastroianni, catalogo dell’antologica fiorentina a Forte Belvedere, Electa, Firenze, 1981, vol. 1, p. l3).

Madonna della Pace, 1940. Bassorilievo in gesso, cm. 120x80x35

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si erano accorti da tempo Waldemar George e Giulio Car­lo Argan che furono tra i primi a rompere il silenzio di cui si era circondata, per decenni, l’opera figurativa. George ha precisato che Mastroianni “dimostra che la cultura dell’occidente non ha ancora esaurito il suo compi­to; un mondo antico, di Pergamo o del Buonarroti, è pre­sente in lui che non tradisce certo la sua epoca e che sa non evadere dalla sua generazione”12; Argan, pur rigettando che per Mastroianni si possa parlare d’intonazione classica, si è preoccupato di sostenere che tra gli scultori contempora­ nei egli “è uno dei pochissimi che si sia proposto di riflet­ tere nella sua opera figurativa le abitudini morali degli uomini del suo tempo, di dare una forma agli ideali, o anche soltanto agli idoli, della civiltà in cui vive”13. La levigata tenuità plastica delle prime opere di Umberto Mastroianni – soggetti religiosi, ritratti e figure, che coprono un arco di tempo che va dal 1928 al 1940 – ha incontrato la storia, in primo luogo quella dell’arte rinascimentale di Francesco Laurana e di Donatello. È un universo rivelato a se stesso e poi verificato attraverso il lavoro dei più grandi maestri del Novecento, come Brancusi, Archipenko e Boccioni. Del resto, al pari di altri giovani scultori della sua generazione, Mastroianni non ignora che il primo ad afferrare la portata della ricerca plastica di Medardo Rosso era stato Boccioni, per il quale “la lumière est un phénomène capital de la vie moderne“14. Più ancora che nel Novizio del 1931, in Dina / Il sonno dell’anima del 1935 c’è un’energia feconda che cresce naturale dentro i suoi volumi e non si svigorisce in mollezze e cincischiamenti di luce. Nel gesso e nel bronzo Madonna della Pace del 1940 il concetto di scultura è inteso da Mastroianni quale espansione plastica della materia dal nucleo interno – il groviglio di forze spirituali che indicano l’anima, l’àisthesis della scultura – in un accumulo di spessori da cui si delinea la forma, che è ancora vagamente legata ai moduli donatelliani. Tra l’interno ed esterno dell’opera si muove una corrente in due sensi opposti: c’è come una captazione della forma in senso centripeto, che determina ai margini un’essenziale dissecazione o “percezione opaca”,

Monumento al Partigiano, Campo della Gloria, Torino, 1945. Pietra di Verres e marmo bianco di Carrara, cm. 800x900x350

quella stessa cui fa riferimento il filosofo Merleau-Ponty, e un diffondersi dell’anima in senso centrifugo che trova il punto di maggiore accumulo sui margini dell’opera, nelle bave del metallo che qui non si arresta, rimanendo sempre al di là, indicando cioè una presenza attiva della scultura oltre i suoi stessi limiti. Non saprei risolutamente asserire che nella scultura di Mastroianni non ricorra un’ispirazione classica: ma non penso ch’essa costituisca necessariamente un limite o un’ipoteca alla qualità della forma. Allo stesso modo che una lirica di Quasimodo appare più vicina a un fram­mento di Saffo o di Alcmane che a un’ode di Monti o di Foscolo, così la scultura mastroiannea nasce proprio dal bisogno di trovare un accordo tra il vago e tutt’altro che vano ideale di un’eterna poesia, ed i nuovi orientamenti intorno a concetti di spazio e di tempo, ai valori della percezione e della sensazione, alla qualità e alle condizioni del fenomeno. Di fronte ad opere quali Sant’Anna con Maria del ‘31, Ritratto di Marcello Mastroianni del ’33, Maschera di Santa Caterina del ‘37, Nudo in piedi del figlio Gabriele e Testa di Maria del ‘39, non è difficile accorgersi che quell’ideale di poe-

12 Cfr. Mastroianni, Esprit d’Egine, in “Prisme des Arts”, Parigi, n. 7,1956. 13 Cfr. Mastroianni, Edizioni del Cavallino, Venezia, 1958, p. XXI.

Cfr. René Jullian, Futurisme et la peinture Italienne, Societe d’edition d’einsegnament superieur, Paris, 1966.

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fa, del resto, il lavoro di Mastroianni gravitava su questo dilem­ma: l’archetipo classico e quello anticlassico, il pieno e il vuoto, il liscio e il ruvido, l’idea morale e la presenza fenomenica della forma che, come sintesi di spazio e tem­ po, è la forma di ogni fenomeno, di tutta la realtà. Invece nel bozzetto del Monumento funebre ad Antonio Salvatore del 1928 Mastroianni, più che il Monumento funebre a Tito Orsini di Leonardo Bistolfi, rivive la lezione rinascimentale di Niccolò Dell’Arca attraverso l’interpretazione colta e programmatica di Michele Guerrisi, “scultore e storico dell’arte dell’Accademia” di Torino “presso il cui studio lavorò fin dal 1926”15. Su quelle basi di raffinato accordo stilistico tra fantasia e verismo, tra sonante frenesia di forme avventanti al limite dell’esagerazione visionaria e calcolatissima euritmia di attitudini e moti cristallizzati nell’attimo di più spericolata acrobazia, su quel simbolismo fiorito di virtuosismi spaziali e plastici ogni moto e ogni espressione sono portati al diapason dello strazio e del dolore, bloccati al momento della più insostenibile tensione.

III. Tra presente e passato

sia compren­deva per Mastroianni l’ideale di una suprema dignità del­l’essere umano, la coscienza del valore della storia; così come le positive ricerche sui valori dello spazio e del tem­po dell’opera informale definiscono le condizioni in cui la forma si attua e si pone come fenomeno: il quid significat rispetto al quid significatur. Ancora poco tempo

La dimensione nella quale si pone la produzione scul­ torea di Mastroianni risulta ogni volta dal superamento dialettico dei due termini distintivi della plastica contemporanea: la pura spazialità e la materia come matrice di spazio. Gli esordi dell’artista sono in questo senso illumi­ nanti16. Nella Deposizione del 1927-28 l’essenzialità, la composizione e lo “stiacciato” (di un’intonazione classica, mai però museologica ed estetica, come era d’uso in Italia nell’ambito di Arturo Martini), applicati alla figurazione tradizio­nale del colloquio muto tra la Vergine e il Cristo,

Giorgio Auneddu, Schede delle opere, in Rosanna Maggio Serra e Riccardo Passoni, Il Novecento, Galleria Civica d’Arte Moderna e contemporanea di Torino, Fabbri Editori, Milano, 1993, p. 310. 16 “Dopo una breve parentesi nello studio romano dello zio Domenico, negli anni in cui Mastroianni prende a scolpire, la presenza dell’amico Spazzapan a Torino è già un termine fisso di riferimento e di confronto, un esempio e un modello, e i suoi interventi nella vita artistica della capitale sabauda si avviano ad essere sempre più perentori. L’altro termine di riferimento è lo studio della scultura egizia, greco-arcaica,

etrusca, che è poi il suo modo di abbracciare un rapporto con la scultura dell’epoca, la stessa che a lui balena negli incontri e nei legami tessuti con modesti epperò robusti plasticatori artigiani, tipo Barberis, Guerrisi, Avenati e Betta. Sono lezioni formali dalle quali sa trarre profitto: esperienze mai gratuite, mai frutto di sola curio­sità empirica. E per lui troppo urgente un vigoroso sentimento figurativo, l’idea di un destino plastico che gli faccia superare le secche del mero scialo di sensibilità” (Floriano De Santi, La Donazione Mastroianni, Edizioni del Centro Internazionale “Umberto Mastroianni” del Castello Ladislao di Arpino, Bre­scia, 1993, p. 11).

Cavaliere, 1945. Olio su juta, cm. 34,3x21,5

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sono ter­mini linguistici inediti pienamente rispondenti alla novità con cui il motivo iconografico è interpretato nel suo più reale significato umano. Le figure, la cui illusoria struttura plastica del bassori­ lievo riassume in ampie superfici definite energicamente da flessibili contorni e che l’inquadratura prospettica proietta verso lo spettatore, sono così compresse in una forma unica, articolata in moti essenziali, significanti e non descrittivi. Qua non è racconto, ma rivelazione di un sospeso istante di patetica intensità: e il procedimento tec­nico ne diviene la più aderente espressione. Il principium individuationis vale quindi tanto per l’immagine quanto per la forma, per il modo stilistico, che assume valori e funzioni diverse. Gli aspetti essenziali come l’isolamento delle figure dal contesto narrativo, la scelta di rappresentare il mo­mento transitorio tra vita come resurrezione e morte come perdita del corpo, è il tema principale della Deposizione, la prima opera conosciuta di Mastroianni. In essa rileva con rara finezza interpretativa Maurizio Calvesi che “il modello di Mastroianni sembra addirittura essere Miche­langelo: a lui risale infatti il contrasto di finito e non-finito, ovvero, in termini moderni, di lucide forme astratte e di materismo informale, in una grandiosa evocazione di processi formativi, di eruzioni come rapprese e di avvi­tanti, o protese, linee-forza”17. Del resto, per Mastroianni Boccioni era l’unico arti­ sta moderno degno di occupare un posto a fianco del più grande maestro della scultura antica e la sua opera gio­ vanile è basata essenzialmente sull’intenso confronto con entrambi questi modelli. Si tratta di un processo progressivo, che doveva condurre dall’imitatio all’aemulatio e infine al superamento di questi modelli, e di cui il punto iniziale e il punto finale sono marcati paradigmaticamente da Donna allo specchio del ’35 a Busto di donna del ’44. Mentre in Busto di donna Mastroianni cerca ancora di imitare rigoro-

samente e in maniera quasi ingannevole gli archetipi della scultura rinascimentale18, in Donna allo specchio egli arriva a superare in maniera estentiva l’anti­co, citando letteralmente Maillol per trasporlo in pari tem­po in movimento. In quest’ultimo bronzo “l’inversione di tendenza avviene però in re, sui sintomi delle stesse tracce classiche che perdono il proprio carattere, sia pur aggrovigliato, di sigla mentale espressiva, per proporsi come elementi introiettivi

17 Prefazione a La biografia completa di Umberto Mastroianni di Costanzo Costantini, Bora, Bologna, 1993, p. 5. 18 “L’imposto è quello classico della figura avvitata su sé, ema­ nante lampi di luce: il volto ha l’intensità dell’attimo espanso all’illimite. Ma Mastroianni fa, abile e intelligente, la somma di una certa temperie culturale, che non è solo il Rinascimento del Laurana, a cui meditatamente si avvicina in quest’opera, ma anche il cubismo e le varie secessioni europee del primo

Nove­cento. Eppure nel Busto di donna non c’è alcuna intenzione archeologica; l’unità del volume, anche se non è assoluta come in Brancusi, si tiene sempre ad un notevole livello di compattez­za plastica. Nella scultura l’arte è il filtro purificante e geometrico di un divenire che non si congela, ma si appalesa e trova la propria fixion sopra l’equilibrio dell’immagine” (Floriano De Santi, La dialettica dell’avanguardia, OberonEditori Riuniti, Roma, 1983, p. 22).

I frantumi del mondo, 1947. Oio su juta, cm. 35,5x25,5

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Il torso sfacettato del Cristo morto, le cui braccia spinte indietro evidenziano il petto e le spalle eroiche, lega poeticamente con la pietra Cristo con angelo del ’48 e con il bassorilievo bronzeo Crocifissione con Evangelisti del ’50. Ma invece di co­struire, per raffigurare meglio il pathos del dramma, una composizione elaborata come ha fatto per questi due lavori, nella Deposizione Mastroianni ha usato uno sfon­do neutro per aumentare il senso di desolazione e il dolo­re senza tempo. Forse l’artista ha conferito deliberamen­te a questo suo singolare lavoro una spiccata qualità ico­nica per renderlo adatto all’oratorio di una confraternita piemontese dedicata al culto della croce.

IV. Le immagini della Madonna col Bambino

di un’energia che ha cambiato senso: la stessa sigla, da espressiva, si fa impressiva”19. Allogata nel paliotto dell’altar maggiore di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma, la Deposizione in bronzo sembra riprodurre anche il più piccolo partico­lare della lavorazione della copia in gesso o in marmo e contemporaneamente mantenere la qualità della superfi­cie. Il trattamento variato di questa, in alcune parti rifini­ta a cesello, lasciata ruvida e granulosa in altre, colloca la scena in una luce vibrata e guizzante, esaltandone la febbrile proprietà emotiva che erompe dal corpo del Cri­sto, dalla Madonna e dalle Pie Donne che volgono sguardi angosciati alla terra e al cielo.

Nelle sei differenti versioni della Madonna col Bam­ bino – i bronzi del ’28-29, del ’31, del ’34, del ’36, e le terrecotte del ’30 e del ’33 – Mastroianni annulla quel pacato sistema di volumi, spazi e ritmi, facendone un fulcro e non un nitido, corposo oggetto di fuoco prospettico, ma un’apertura, una visione incom­mensurabile alle proporzioni del piano di base curvilineo, tutte rapportate a profondità sperimentali. Ma, all’interno del rilievo, lo stiacciato si modella in una corposità nuo­vamente terrena, crea impulsi e forme naturali, di un’eviden­za che unisce impressione ed emozione, “con un rispetto della realtà fisica addirittura sorprendente”20. Sono varia­zioni su uno stesso tema, ma diversamente caratterizzate, vuoi sul piano formale vuoi su quello umano, delle espres­sioni ora liete, assorte e tenere, ora pensose e serene, e che adottano volta per volta, soluzioni differenti sempre di alta e indimenticabile peculiarità creativa. Mentre nello stiacciato della Madonna col Bambino del 1928-29 Mastroianni risolve l’unità tra profondità spaziale ed energia plastica, la classica, eterea dolcezza della Madonna col Bambino del 1930 in terra­cotta contrasta con ciò che di mondano circonda la sua esistenza terrena. Il velo leggero sulla testa è abilmente modellato in maniera da suggerire i capelli su cui è posa­to; le pieghe del vestito

Floriano De Santi, Mastroianni. I materiali 1932-1988, Fabbri Editori, Milano, 1989, pp. 14-15.

20 Umbro Apollonio, Tensione e spazio di Mastroianni, in “Quadrum”, Bruxelles, n. 5,1958, p. 48.

Cristo con Angelo, 1948. Pietra, h. cm. 90x35x22

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della Vergine e del crespo del Bimbo sono forgiate con spontaneità nell’argilla umida con una punta di metallo, creando tagli netti e spigolosi che attirano la luce e animano la composizione con linee lievemente ondulate. Si tratta di un’opera di originale novità iconografica, nata in un periodo di sperimentazioni geniali, quasi che gli effetti e le possibilità di questa tékhne che tanto bene e con tanta prontezza e immediatezza poteva rispondere alle idee e alle sollecitazioni lo avesse­ro – in un simile momento cruciale di formazione cultura­le – intensamente attratto. A tale terracotta viene ad aggiungersi, nel ’31, un’e­ mozionante Madonna che tiene in braccio il Bambino detta Madonna gotica. I volti delle figure sono seri e intenti, come assorti in una preveggenza del futuro; non ci sono molte concessioni ad eleganze neogotiche, piuttosto si avverte tangibile la for­ma della realtà nel vestito della Vergine così come nel cor­po ignudo del Bambino. Espressivo è il volto di Maria in cui la linea della fronte bombée trova un’accidentale con­tinuazione nei capelli appena accennati e ridotti in antico per apporvi una corona sì da creare un’impressione curio­samente moderna. Se nella Madonna col Bambino del ‘34 (ma prima ancora nella Madonna di Loreto del ‘33, con una vaga e curiosa influenza aerofuturista) la spiritualità ponderata del volto della Vergine costituisce l’ideale punto di convergenza delle linee strutturali dell’intera scultura, nella Madonna col Bambino del ’36 Mastroianni coglie il senso di esclusiva vicinanza che lega la madre e il bambino, acco­standoli fisicamente l’uno all’altra, testa contro testa, occhi negli occhi. L’agitazione emotiva del momento è espressa dalla mano della Vergine che mentre sorregge il Bambino lo schiaccia quasi contro di sé, con un gesto carico di energia e immediatezza, dove anche in altri bas­sorilievi bronzei – da Sant’Anna con Maria del ’31 alla Madonna della Pace del ’40 – “già s’intravede, nel modo di far la scultura, un gioco alterno di modellato e d’inta­glio, di sovrapporre e scavare, di addentrarsi nel blocco e di risalire in superficie, di ancorare ogni minima palpita­zione dei piani a una struttura interna, invisibile”21. Dei bronzi a tutto tondo Novizio del ’ 31 e Dina / Il sonno dell’anima del ’35 Mastroianni ha fatto altrettanti

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Cristo Maestro, 1954. Marmo bianco di Carrara, cm. 193x90x78. Città del Vaticano, Musei d’Arte Contemporanea

ritratti, delle loro posizioni e gesti emblematici ha resti­ tuito il carattere di spontanea immediatezza. La dignità e la grandezza e la spiritualità sono tradotte non in elezio­ ni di begli aspetti e altitudini, né in razionale proporzio­ne di forme naturali, ma in profondità di caratteri mora­li, in verità di fisionomie segnate e decise. L’idealizza­zione del giovane uomo avviene mediante la rappresentazione delle sue personali virtutes, quali si rivelano nel suo involucro fisico: è una presa di coscienza, non una tra­sfigurazione. E quest’uomo agisce in uno spazio che, nella sua intelaiatura prospettica, non si trasforma in ideale ambiente cristallino, non si ordina in una regola di superna chiarezza mentale, ma denuncia anzi tutte le sue accidentalità, psicologiche e ambientali. Tuttavia, se ancora “in un’opera come il Novizio è

Giulio Carlo Argan, Mastroianni, op. cit., p. XIV.

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possibile scorgere questo status di eterna diversità, di ari­ stocratica distinzione, che travolge il modello ispiratore, peraltro mai ridotto a banale pretesto, per accendere il senso di una percezione più complessa ed intellettuale22, in Dina / Il sonno dell’anima tale vibrante tramutare degli affetti è espresso in termini di resa formale, attraversa l’i­ narrivabile fluidità che Mastroianni imprime nel bronzo. È una lavorazione che fa scorrere la luce sulle leg­gere depressioni del tessuto, sulle morbide creste delle pieghe, senza mai trovare ostacoli nelle superfici espanse del collo, sui piani larghi del volto, rinunciando a qualsia­si elemento ornato della veste, virtuosismo di un drappeg­gio, precisione oggettiva di una scalfitura sulla pelle che possa

intralciare questa morbida “colata” di metallo. In una cosiffatta tensione verso l’inveramento di for­ mule espressive in sempre nuove e imprevedibili rivela­ zioni della realtà sta il sigillo della “personalità fortemen­te creativa”23 di Mastroianni. È una realtà che ingloba in sé anche gli aspetti più lontani della concezione razionale ed etica del primo astrattismo italiano che verranno posti in piena luce soltanto dalla cultura di crisi tra le due guer­re mondiali ed esaltati nella tormentosa e inebriante rivisi­tazione poetica delle “avanguardie storiche”: intendo il sogno, l’ossessione visionaria, il valore esoterico delle cose, tutto ciò che mette in dubbio la validità della misura speculativa e nello stesso tempo amplia il raggio di coscienza e di azione dell’uomo. Mastroianni riplasma il mito della passio religiosa nella sostanza di un’umanità trasformata in una psicologia inesplorata, in una reattività azzardosa e convulsa. E le forme che egli ne deduce sono tanto decisive e suggestive da diventare a loro volta immediatamente tradizionali. Per quanto i suoi bronzi – ha puntualizzato Hans Redeker – “riportino con la mente a Lipchitz e Zadkine, vi si nota un accento personale e intimo, dove il tocco finale fa pensare a qualcosa di antico, come appena scavato e venuto alla luce dai secoli passati, dagli Etruschi”24. Nella stagione giovanile Mastroianni disegna poco, e all’incirca sempre a scopi utilitari, quasi sempre in vista di una scultura in bronzo o in pietra, o per fissare qualche idea (Studio per l’Annunciazione del ‘31), o per definire qualche particolare fisionomico (Mia madre e Mio padre del ’32), o per provare l’equilibrio della composizione usando l’horror vacui del foglio come impermanenza e mutamento, come quella regio dissimilitudinis che aveva terrorizzato i grandi maestri sin dall’antichità. Nella Madonna col Bambino, una matita su carta del ’36 – che sembra preparatoria di un “rilievo” in terracotta forse mai realizzato –, Mastroianni unisce in modo incomparabile sensi naturali e tensione intellettuale, fervore e raziona­lità, luce e turbamento. È proprio il ductus grafico a dare la misura

Danilo Eccher, Testo nel catalogo della mostra antologica di Umberto Mastroianni al Castel Ivano, in Danilo Eccher e Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, Grafiche Artigianelli, Trento, 1993, p. 11. 23 Mirella Bandini, Mastroianni a Torino 1926-1970, in Floriano

De Santi, Mastroianni nelle collezioni private piemontesi, Fabbri Editori, Milano, 1991, p. 26. 24 Lo scultore italiano Mastroianni rappresenta la più impor­ tante scultura del suo paese, in “Haage Post”, Rotterdam, 12 marzo 1957.

Apparizione alata, 1957. Bronzo, cm. 130x88x75. Torino, Museo Civico d’Arte Contemporanea

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prima dell’apparizione dell’opera plastica nella sua compita configurazione con un segno fluente che punta sul profilo dell’immagine capace di evocare i volu­mi, ma anche di smaterializzarli completamente, conce­pendo il foglio come un traslato luminoso atto a celebra­re il pieno e la compattezza della forma.

V. La luce rossastra dei bassorilievi Fluida e non plastica, nella linea come nel chiaroscu­ ro, resta l’immagine dei sette bassorilievi del 1939, tutti di collezione privata piemontese – Annunciazione, Sacra conversazione, Parabola evangelica, Cristo esce dal sepolcro, Resurrezione, Salita al Calvario e Fregio incaico del Dio Sole / Angeli – e l’esigua penuria dei rifles­si rossastri, la fragilità quasi dolorosa del modellato, si riprendono nei rabeschi che un bulino leggerissimo velli­ca nelle pieghe della materia, lasciando come le impronte svanite o le sigle di oggetti dimenticati o perduti, ritmi inferti nella pacata luminosità della terracotta. La super­ficie lucida perde ogni senso di preziosità, e non riflette: s’effonde. Così una medesima qualità di luce lega le figure ad uno spazio, non aereo, non geometrico, non naturale, ma luogo di un’immagine quasi espressionistica che “tende sempre più a perdere il suo carattere-nozione, attraverso una ricostruzione, per trasposizione, del signifi­cato analogico delle forme, in un’accezione che non con­serva nessun principio descrittivo”25. Se nei rilievi Sacra conversazione e Parabola evan­ gelica il trattamento a “stiacciato” consente a Mastroianni di rendere in termini di vibrazione luminosa atmosferica il timbro favoloso ed evocativo della storia, nella Salita al Calvario, consentendo di definire nel­la loro graduale profondità gli ambienti e le azioni che si svolgono, si rivela funzionale al procedimento narrativo realistico di dramma rappresentato in ogni suo successi­vo momento, e sintetizzato nella visione prospettica. Poche altre volte, forse, nella scultura europea del ’900, si era data la dimostra-

zione delle possibilità drammatiche, liriche, ossia creative e mentali, che il procedimento pro­spettico in quanto costruzione artistica, taglio della pira­mide visiva, e non semplicemente quale rappresentazione ottica naturalistica, poteva offrire. In Resurrezione e in Cristo esce dal sepolcro l’ar­ tista, per farne figure reali e contemporanee, elimina ogni attributo di costume, vestendole di mantelli e panni che sempre più – nel procedere cronologico del lavoro da una all’altra immagine – perdono di modulazioni neogotiche e classicheggianti, per disporsi liberamente in flussi di pie­ ghe in contrapposti plastici che mettono in evidenza la patetica verità fisica dei corpi. Di contro nell’Annunziazione e nel Fregio incaico del Dio Sole / Angeli Mastroianni appunta l’individuazione del novus ordo tattile ed allego­rico: il richiamo alla “lingua” classica è unicamente uno spunto per cogliere sulla realtà i motivi dell’espressione “roridi di luce, che del valore archeologico ripropongono anche le delizie di patina e l’interruptio delle mutilizazioni: là accidentali, qui strutturali”26.

Nello Ponente, op. cit., p. 22. Renzo Mangili, Dall’alba al tramonto, catalogo della mostra

Umberto Mastroianni. Bassorilievi 1975-1983, Teatro Sociale, Bergamo, 1984.

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Battaglia, 1957. Bronzo, cm. 110x130x59. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

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La formula delle linea oscillante, perpetuum mobile che tende a riprodurre a canone uno stesso ritmo prestato simultaneamente a molteplici voci, è presente nella Madonna della Pace, un bronzo dorato che Mastroianni ha

realizzato nel ’40, e che nell’83 ha donato all’abbazia di Casamari27. Qui l’artista filtra l’ansia di una nuova emo­ zione che l’esistente partecipa con l’intimità improrogabi­le dell’ora famigliare, del gesto senza vicissitudini del figlio alla madre, del rituale sacro che si frange nella spon­ taneità indefettibile dell’umano. La sua plastica – è un dato ermeneuticamente noto – ricorda l’arte primitiva delle antiche culture (si vedano, in tal senso, due opere degli anni ’50: Grande Cristo sulla Croce e Crocifissione con Evangelisti), dove il sensibile e l’astratto si coniugano con il più ampio stili­smo. Già nella Ragazza allo specchio del ’35 Mastroianni appena venticinquenne individua il suo tema fondamenta­le; come succede ai grandi musicisti, a Bach, a Mozart, a Stravinskij. La tematica mastroiannea, nella Ragazza allo spec­ chio (e persino nella Maschera del ’37 e nel Nudo di don­na del ’39), è il trapasso plastico inarrestabile dall’ombra alla luce, dal concavo al convesso, così da potersi espri­mere in termini quasi astratti: non si vede nulla di preciso in questo piccolo bronzo, eppure è tutto di un’evidenza tattile allucinante. E come il soggetto che appare e scompare, è ripreso e rielaborato, emerge intatto e affonda disintegrandosi, in una fuga. Chi non è rimasto affascina­to e commosso da quelle fughe di Bach, in cui, con una scienza imperturbabile, lo stesso breve motivo è manipolato, trapassa, modula, si effonde, si restringe, va a ritroso, si ricompone? Ebbene, solo questo incongruo paragone può dare un’idea approssimativa di quel nudo confuso e nettissimo, di quei bagliori, di quegli impasti, di quegli arresti che ora ti danno un braccio, ora un torso, ma sempre una dinami­ca fluida e tumultuosa, vortice di luce, d’aria, di kosmos che si disfa e si raggrega, così sotto gli occhi, pur rima­nendo sempre uguale, come una costellazione in cielo. Tutt’altro, in quegli stessi anni, è la Madonna della Pace. Qui l’ascendente di Francesco Laurana è palmare: ma com’è palmare la sicurezza, la padronanza, la disinvoltura senza remore, con cui Mastroianni afferra lo stile rinascimentale. Lo impugna, sviscerandolo, depurandolo,

27 Non lontano da Veroli, in quel di Frosinone, sorge un’abbazia fondata nel 1005 da alcuni benedettini sul luogo dell’antica Cereatae. Passato in proprietà ai monaci cistercensi sin dal 1151, il monumento sta in una conca boscosa ed è con Fossanova uno dei più straordinari esempi del gotico

nel nostro Paese. L’effusio­ne forse trasmodante equivale a dire che la Madonna della Pace donata dal Maestro ciociaro all’abbazia di Casamari - tale il nome dell’edificio di cui sopra - è collocata nel luogo più degno per un’opera di tanto valore.

Il profeta, 1962. Arazzo, cm. 150x92

VI. Come una fuga musicale

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naturalmente nel senso suo, mastroianneo; perché Laura­ na al pari di Donatello non si depura, è la verità nuda, la bellezza rivelata una volta per sempre. La rappresentazione della Madonna – una Madonna del latte, tema antico, precristiano addirittura – è inconsue­ta: forse i precedenti più notevoli sono da ricercare nella lingua classica e non in quella contemporanea. È inconsueta perché la Madonna è focalizzata in ma­niera centrale e dominante: non ci può essere nulla di più importante da raffigurare al centro di un’immagine quando essa, col Bambino, sia rappresentata. Ma qui l’audacia di questa presentazione asimmetrica serve a sottolineare, non certo a minimizzare, l’importanza sacrale del soggetto. La Vergine è seduta di tre quarti e guarda avanti sè, profondamente seria e presaga, ella che è Ghenos e Thanatos, che ha portato in sè la vita e la morte del Redentore; presaga e come una Sibilla antica: e nessuna delle opere della prima maturità di Mastroianni anticipa così chiara­ mente il capolavoro estremo del periodo figurativo, Busto di donna del ’44. Si noti in alto a sinistra la colomba: il suo impiego è volto a scalare i piani che caratterizzano lo scagliona­mento spaziale in profondità, senza però creare un imbuto prospettico-antropocentrico. Mastroianni vuole situare in uno spazio tridimensionale la sua raffigurazione, ma non intende creare un vuoto, una specie di contenitore in cui si situerebbero le figure. La superficie che egli costruisce è una superficie piena, c’è un trapasso continuo e inarresta­bile dalle ali aperte della colomba al tenuissimo sinuoso profilo del collo della Vergine. Si riconosce, allora, in ver­sione diversa, lo stesso intento plastico che anima Ragaz­za allo specchio in cui non c’è arresto che non sia momen­taneo, non c’è pausa che non segni anche la ripresa del dinamismo perpetuo: “una specie di cupio dissolvi della forma ma non per una nirvana impossibile”28. Per riprendere l’esempio musicale, tutta la composi­ zione è intesa come una fuga in cui, enunciato il tema, questo riappare al di sotto e così in un’imitazione inarre­ stabile, fino alla fine. L’importante è che nelle inesauste variazioni le parti siano sempre riconoscibili: ogni parte deve “cantare”. Così è nella Madonna della Pace. Anche

Monumento alla Resistenza italiana di Cuneo, 1964-69. Bronzo, cm. 1800x2000x1200

appena accennate, le colombe si vedono come in un lam­ po, sono complete, nella loro sommarietà veloce, quasi istantanea. E, in fondo, scaglionate in questa orografia impalpabile, sono sempre il medesimo spartito figurativo che riaffiora, e si noti, in una simile approssimazione, del­ le colombe, non è che si voglia suggerire una distanza atmosferica. Non è, insomma, un espediente veristico: si tratta di una granulazione spaziale che consente di mante­ nere come in sospensione il tema plastico senza diminui­ re l’emergenza del gruppo principale, mentre la luce, che non ha altro significato che di generatrice del rilievo, sfio­ra le delicatissime modulazioni scultoree come fa il sole al tramonto in un mare appena increspato.

VII. Il periodo neocubista Nella stagione neocubista, compresa dal 1941 al 1954, la ricerca formale di Mastroianni trae le sue origini dalla geometria: dalla linea curva, dal segmento, dall’elisse. Sin da Uomo del 1942 e da Donna dell’anno seguente il rapporto da lui tenuto con le avanguardie scultoree europee pare innegabile: il Maestro ciociaro appartiene alla stessa famiglia universale dei Moore e dei Lipchitz.

libri, Bari, 1980, p. 12.

Cesare Brandi, I due fuochi di Mastroianni, in Florano De Santi, Umberto Mastroianni, la simbologia della forma, Dedalo

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espressive in un ambito che corre in parallelo alla produzione scultorea può al limite datarsi ai primi anni ’40, quando la distinzione tra plastica e pittura appare ancora irrefragabile. L’accepimento del colore e l’adeguarsi alla dimensionalità della superficie rappresentano l’avvio: ma già – se si pensi, ad esempio, a Maternità cubista del 1941 e a Cavaliere del 1945 – il balenare di un certo antropomorfismo e soprattutto lo squilibrarsi dell’immagine, quel suo inclinare verso un punto d’appoggio esterno al sacco, fanno presagire un’impostazione inconsueta al pittore, ma ugualmente anche allo scultore che dipinga. La conferma di questa sua “diversità” – se si vuole dell’incubamento di una potenzialità, di un elemento in nuce ancora in tutto indefinito – arriva puntuale da un’opera su cartone in rilievo, piegato, graffiato e colorato realizzata nell’anno che segue e proveniente dalla collezione di Giulio Carlo Argan. Mastroianni l’intitola Rilievo plastico dorato: e delinea, in questo, la doppia contraddizione di un disegno che tende ad uscire dallo schiacciato cui appare vincolarsi, e di una scultura – anche se qui, malgrado il titolo sintomatico non aggirabile, non siamo affatto a tanto – che senza risolversi in qualsiasi referente, né mai deperire in mimesi naturalistica, pretende l’apporto del colore. È l’aporia del decennio e forse quindicennio successivo, che uno studioso mastroianneo, Nello Ponente, ha spiegato con l’assenza di apriorismi e di principi desunti dalla tradizione nella direzione e ricerca d’urto, ben per questo aperta a tutto, dei materiali trascelti.

Parabola umana, 1971. Legno e acciaio, cm. 400x345x150

In Maternità del 1949 la scoperta del discontinuo, pur nel valore centrico della prospettiva cubista, è sospettata, nei suoi primi giganteschi barlumi (molto prima cioè dei grandi monumenti resistenziali di Cuneo del 1964-69, di Urbino del 1975-80 e di Cassino del 1971-88), come messa in opera dell’opposizione tra la substantialis forma nascosta nella materia e questo andarle incontro della luce visibile che tutto suscita, e che brancusianamente “affanna nel progetto” e “consola nell’utopia”. C’è in questo capolavoro mastroianneo una serie di incidenze sintattiche che invano la continuità iconica cerca di attutire o nel profilo geometrico o nelle superfici levigate del bronzo e del marmo nero, dove ombra e luce non sfumano, ma costituiscono un tessuto di contiguità cromatiche positive, che si farà febbrile nelle opere informali. Il Mastroianni che saggia e tenta ulteriori possibilità

Nel Cristo benedicente del ’52 (progettato per la Cap­ pella funeraria della Famiglia Bausano nel cimitero di Torino) e, più ancora, nel Grande Cristo sulla Croce del ’54 eseguito per la Cappella dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino29 Mastroianni non deve rappresentare una condizione umana storicamente definita in un’attività civile

“Caro amico, caro Marziano Bernardi, l’arte spesso ci costringe, nonostante che essa stessa esprima la vera essenza della vita spirituale, ad umiliazioni incredibili. Non voglio ricordarti ciò che è accaduto nel lontano 1954 ai miei lavori scultorei predisposti per la cappella Sant’Anna: è quella una

ferita aperta che daccapo sanguina abbondantemente. Ancora oggi, presso l’Astanteria Martini, e precisamente nella cappella dello stesso ospedale, si trovano alcuni marmi della famosa cappella Sant’Anna, che a suo tempo fu smembrata per opera della Curia, essendo stata giudicata scandalistica.

VIII. La gravitas del sentimento e del pensiero

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e religio­sa, ma extratemporale, ognora presente nella sua eccezio­nalità. Ci si deve chiedere, osservando la virtuosa e mar­cata differenziazione delle due figure nella loro rispettiva physis, se con questi due lavori plastici l’artista non miras­se, nel complesso, ad una dimostrazione di “varietà natu­rale”, se – in altre parole – in essi non fosse riflesso un noto topos della critica arganiana a Francesco Messina: la monotonia dei suoi nudi muscolosi. Messina che si distac­ca in negativo dalla bellezza multiforme di Manzù e di Greco, i maestri del decorum: Messina, le cui figure sem­brano tutte uguali perché la loro varietà è puramente for­male, è una varietà dell’arte e non della natura. Di fronte al Grande Cristo sulla Croce di Mastroianni mi sembra di cogliere al contrario in pieno lo spirito che informa la sua ciceroniana gravitas, che sul piano dei con­ tenuti significa profondità di pensiero e di sentimenti, su quello formale austerità e severità di espressione. Solenne è lo straordinario corpo nudo del Cristo; grave – ma quasi rilassato nel lento ricomporsi della morte – è quel suo vol­to lievemente reclinato dopo gli spasmi di un’agonia che s’indovina atroce per la tensione dei muscoli che ancora permane sotto l’arcata epigastrica. È, questa, una scultura che dà la misura della grandezza di Mastroianni, artista – sarà bene ribadirlo – sottovalutato e incompreso nella produzione figurativa, nella quale con intrinseca e trafig­gente partecipazione ermeneutica Salvatore Quasimodo sintetizzava l’orientamento poetico: “Di classico in Mastroianni c’è la fiducia nella formazione della materia per intervento dello spirito. Di romantico l’identica misu­ra di tempesta che afferma la mente come emozione, l’uo­mo come anima, nella fase della creazione”30. Ma la poesia alta e severa che promana da questo

Cro­cifisso da sola basterebbe a far rimeditare tante opinioni riduttive, a sgombrare il campo da tutte quelle illazioni estetiche che vedono Mastroianni maturo e convincente unicamente nelle opere informali. Mastroianni è un raro ed originalissimo artista che progetta e pensa la scultura disegnando. In lui l’opera non sembra concludersi mai in una forma chiusa e contemplata, creata con distacco, ma è un atto di partecipazione tumultuosa alla vita che lo cir­conda (si veda, in tal senso, la suite della Via Crucis dise­gnata nel ’92). Dai cartoni graffiati della seconda metà degli anni ’40, dagli ori e dagli argenti di due decenni

Si tratta di due angeli in marmo bianco che però da porta-luce sono stati da me trasformati in statue-cariatidi a sostegno del piano dell’altare, mentre le altre statue più importanti le ho destinate a Roma, nella Collezione d’Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani. Quando nel 1960 decisi, con l’approvazione dell’architetto Ettore Rossi, di sostituire nella nuova cappella la statua del Cristo, ossia del pezzo più impegnativo che realizzava un insieme monumentale e quindi compositivo nella cappella Sant’Anna, con il Grande Cristo sulla Croce, alto circa 150 cm., non avrei mai pensato che pure questo bronzo non trovasse il gradimento delle Autorità Religiose. Al posto di quest’opera, e a mia insaputa, è stato posto scandalosamente nell’abside un

pupazzo di gesso per volontà del mio marmista e del presidente dell’Astanteria Martini. Non so più cosa pensare. Prima di lasciare definitivamente Torino, una città che mi ha dato tanto, ma che anche tanto mi ha fatto soffrire, avrei voluto sistemare la cappella dell’ospedale così come era stata da me, da noi concepita. Non potendolo fare, mi sento disperato al pari di un padre che ha abbandonato, per forza maggiore, i suoi figli. Nel ringraziarti anticipatamente, ti mando i miei più cordiali saluti. Umberto Mastroianni” (Lettera del 25 gennaio 1977 conservata nell’Archivio Umberto Mastroianni di Brescia). 30 Mastroianni. Il ritratto, Sandro Maria Rosso, Biella, 1964, p. III.

Monumento alla Pace, 1971-72. Bozzetto in legno e in acciaio, cm. 417x350x400

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In altri casi viene ripercorsa à rebours la vicenda che lo portò dalle soluzioni figurali dei ritratti e dei nudi fino al Monumento al partigiano del ’45 situato nel Campo di Gloria del cimitero generale di Torino, e agli schematismi simbolici del decennio successivo, com’è il caso delle due Deposizioni su carta dell’89 e, soprattutto, del Cristo sulla Croce, una tecnica mista su cartoncino in rilievo del ’92 conservata nel Museo d’Arte Sacra Contemporanea di San Gabriele (Teramo). Con questo suo ultimo capolavoro, Mastroianni ci fa comprendere che qui, quasi alla fine del secondo millen­nio, la verità sopravvive in ciò che si cela alla luce, nelle tenebre della follia, in tutto ciò che è lacerato e sconvol­to. Così Cristo sulla Croce (al pari della Sta­tua di San Francesco del ’96, che si avvale di un’imma­gine che incredibilmente pare perdere ogni carattere individuale, ma così “generalizzandosi” acquista una gran­dezza più che naturale, una dignità più che umana) si rivela sulle tavole del teatro: e con lo stesso gesto si na­sconde, perché forse non vuole essere capito subito, e diventa enigmatico, criptico, incomprensibile al suo autore e a noi che l’ascoltiamo. Non possiamo mai essere certi – né noi né Mastroian­ ni – di tutti i significati, gli echi e le implicazioni delle sue parole. Non possiamo che ascoltare atterriti e atten­tissimi le vere apparenze, le verità enigmatiche che esco­no dalla bocca di Cristo, perché soltanto in questa voce si esprime – per dirla con Shakespeare – un tempo “uscito dai cardini”. Restiamo a lungo in platea, ad ascoltarlo, anche quando tutti gli altri attori e spettatori della vita terrena se ne sono andati a casa, nella notte piena di spettri. Quale sia questa metafora filosofica dell’esistenza, è difficile dire. Immaginiamo che sia a metà strada tra quella di San Paolo e quella di Kierkegaard. Infine, nessuno è più con­ seguente di Cristo: conduce ogni pensiero all’estremo, come nessuno di noi oserebbe, e poi giunto lì, lo capovolge nel suo contrario. Afferma la sostanziale duplicità misterica di tutte le cose: la sostanziale mutabilità di tut­te le forme. Ci fa comprendere che viviamo in un carce­re: ma lì se brutti sogni non ci affliggessero, saremmo sovrani di uno spazio infinito “riecheggiante – ci dice una lirica di Mastroianni33 – la soave immensità del creato”.

Monumento alla lotta partigiana, 1975-80. Bronzo, cm. 260x330x170. Urbino Fortezza Albornoz

appresso in cui la deformazione espressionista fa intrave­ dere a Massimo Mila il “buio delle barbarie dove cade una stella”31, e poi nel periodo ’70-’85 da quei dinamici “stu­di” della sua comédie humaine in cui gli elementi mecca­nici della scena sembrano pian piano essere scarniti sino a indicazioni di profili scattanti, di immagini e ruote denta­te che si compenetrano, spazio nello spazio, superficie nella superficie, Mastroianni passa negli ultimissimi anni della sua vita ad una cosciente valorizzazione del rappor­to tra piano e profondità, tra volume e linea, tra oggetto colorato e sigla emblematica. È durante questo impegnativo e lungo lavoro che il Maestro di Fontana Liri crea a volte alcune soluzioni anti­ cipatrici di forme che molto più tardi s’imposero, come il disegno a sanguigna di quella testa neocubista raffiguran­ te Cristo morente del ‘49, il cui volto è straordinariamen­te carico di pathos, con gli occhi incavati non ancora chiu­si dalla morte, la bocca sporgente e aperta come per un ultimo respiro, gli zigomi pronunciati, il naso affilato e prominente. Mi pare assai difficile non accostare – secon­do un comune archetipo morfologico – questo Cristo morente al marmo nero Maternità (sempre del ’49), che sottende un medesimo atteggiamento spirituale e nuove soluzioni in direzione di uno stilema espressivo che tra­sforma – al dire di Cesare Brandi – “una particolarità somatica in un movimento di stile”32. 31 32

Cfr. Mastroianni. Ori e poesie, ed. cit. Cfr. Il primo Mastroianni, ed. cit., p. 13.

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Cfr. Il fondo valle, in Massimo Mila, Ori e poesie, ed. cit.

IX. Il periodo informale Presentate alla XXIX Biennale di Venezia del 1958, con Battaglia e Apparizione alata Mastroianni consegue il riconoscimento più alto: il Gran Premio Internazionale per la Scultura. Prende avvio, si può dire, il suo periodo informale (1955-1968) con bronzi, cartoni graffiati, rilievi policromi solcati da ferite, da laceranti mutilazioni. La forma – come hanno riconosciuto anche storici dell’arte del calibro di Giulio Carlo Argan, Lionello Venturi, Erich Steingräber e Michel Tapié – non è sconnessa, ma porta i segni della violenza. Infinito il dato formale dell’emozione, infinito il dato tattile della sensazione, nei bronzi Hiroshima ed Esplosione / Ballo tragico del 1961 (ma anche nel rilievo bronzeo colorato Maternità dell’anno dopo già di collezione di Marcello Mastroianni) l’interesse di Mastroianni non può che concentrarsi sul rapporto dialettico che può istituirsi tra quelle indicazioni sfuggenti: su un certo ritmo o movimento futurista “che riprendendo l’eredità di Boccioni” lo raccordi con il sintetismo formale di un Lipchitz o di un Archipenko, permettendo all’emozione di avvicinarsi fino a sfiorare la sensazione, e alla sensazione di allontanarsi fino a toccare l’emozione. Senonché, nell’arazzo Viaggio nel sacro del 1964 e nel cartoncino colorato, graffiato e bucato Verso il buio del 1965 si tratta di una materia che risparmia sempre l’immagine umana, come portatrice dell’emozione, ma la scardina dalla sua situazione o “posa” normale, la agita fino a disintegrarla, ne proietta i frammenti in direzioni e luci diverse, la costringe ad inglobare altre immagini, a sommarsi ad altre emozioni, a ripresentarsi – scrive giustamente Cesare Brandi – con “violenti raggi che, come nel monumento di Cuneo, investono chi guarda, ed è come affermassero la piena virulenza del Centro, in un’epoca, come la nostra, caratterizzata dalla perdita del Centro“34. La caratteristica, l’hypostasis unica dell’informale in Mastroianni non è tanto di rappresentare niente come nella monocromia di Yves Klein e di Ad Reinhardt, quanto il suscitare le assonanze figurative più diverse. Le sue opere affollano la memoria, levano echi multipli, hanno il potere di suscitare sentimenti come se li rappresentassero. Da questo fatto, che sarebbe sbagliato negare, nasce una specie di alone, per cui non si può rimanere indifferenti davanti alle due jute del 1950 bucate e colorate Bosco

Macchina sacrale, 1988. Bronzo, cm. 210x120x55

incantato e Sacco dorato. Allo stesso modo delle opere preistoriche che sembrano dovute a giganti (del resto, come può Mastroianni cancellare dalla mente e dal cuore la Porta ogivale saracena di Arpino o le Mura ciclopiche di Alatri?), esse liberano una forza segreta, ma nello stesso tempo hanno la precisione di un mosaico, il gusto degli intarsi esatti, la naturalezza del fango lungo la riva del Po, quando, passata la piena, si screpola al sole. Le connotazioni vulcaniche danno a questi due quadri quella

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In Il primo Mastroianni, ed. cit., p. 13.


X. Il periodo del macchinismo fantastico Dal 1969 al 1988, il periodo del “Macchinismo fantastico”, Mastroianni è guidato da un’intenzionalità costruttiva tipica dell’industria moderna. Da progettista egli deve risolvere i problemi di equilibrio, d’ingranaggio e di trasmissione di energia; adotta in una parola una tecnica evoluta, ma con fini opposti cui si attiene la scienza. In effetti, ciò che impedisce a Mastroianni d’infilare la strada che condurrà Alexander Calder all’infaticabile tecnica di un “mago costruttore”, o David Smith al mito arcaico e macchinistico dei suoi Thank-Totems, è la vena romantica e visionaria che caratterizza l’attuale momento della sua produzione artistica. Segregati dal mondo delle apparenze, che Heidegger chiama Gestalt (apparato-impalcatura) e Benjamin Apparatur, nei bronzi Enigma del 1971-72, Macchina sacrale del 1988, Volo di Pace del 1992 e nel legno Angelus Novus del 1978, quei frammenti di ruote dentate, di assi, di cilindri, diventano “altri”, ben più significanti come simboli di una peculiarità scultorea “che nella passione creatrice brucia ogni elemento estraneo”35 E poiché sono le creature di uno spazio senza misura e di un tempo senza numero, raccolgono e assimilano rottami d’altri oggetti, già trascorsi nello spazio e nel tempo, di passate emozioni sopravvissute soltanto come memoria: qualcosa – dice il poeta Eliot nei Quattro quartetti – rappreso con tutto ciò che contiene “in forma di limite / tra l’essere e il non essere”36. Nei piombi incisi e colorati Navicella spaziale / L’harmonia mundi del 1976, Il coro dei morti del 1978-79 e Progettare il tempo della fine del 1981, e nel rame bucato e sbalzato Spazio celeste del 1987-88, il colore non è l’espressione di una vibrazione fenomenica, ma d’un fremito costante dello spazio: o, se si vuole, la luce-materia stessa che s’è trasformata in sostanza spaziale. Sono i sentimenti profondi, i fantasmi dell’inconscio37, che risalgono lungo le sonde dell’emozione “in strutture complesse

Lacerazione n. 3, 1988. Cartone colorato, graffiato e bucato, cm. 75x49

ripercussione come di forza cosmica, le strappano a quel presente in cui insiste Mastroianni, le ripongono ad una distanza incommensurabile, come viste con il telescopio: sono qui e non sono qui, e non si potranno mai toccare con mano, anche se si toccano con mano. E che toccate allora, se non textures screpolate, mentre la loro presenza vi affolla l’attimo che scorre e quasi atterrisce?

Lionello Venturi, Umberto Mastroianni, presentazione al catalogo della mostra alla Kleeman Gallery, New York, 1960. 36 Cfr. Thomas S. Eliot, Four quartets, Faber and Faber, London, 2001; trad. it. di Filippo Donini, I quattro quartetti, Garzanti, Milano, 1982.

Sul medesimo argomento si veda Floriano De Santi, Mastroianni. Le figure dell’inconscio, settantuno opere inedite su carta dal 1991 al 1998, catalogo della mostra nel Palazzo Ducale di Urbino, Edizioni del Comune di Urbino e del Centro Internazionale “Umberto Mastroianni” del Castello Ladislao di

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che conservano l’energia ritmica del linguaggio espressionista astratto”38 e, per l’illimitato dilatarsi della superficie pittorica, possono assumere corpo e figura prima di arrivare a prendere forma nella coscienza. Sicché, quel loro configurarsi è in realtà una pre-forma, il fantasma di uno stato onirico: un’ipotesi di proairesis, di libertà espressiva che si suppone, come in Luigi Spazzapan39, l’amico a Torino di tante battaglie culturali e umane, poter attingere alla nostra vita profonda evitando le vie obbligate del senso e dell’intelletto.

XI. Il periodo delle figure dell’inconscio Negli ultimi dieci anni, dal 1989 al 1998, le “Figure dell’inconscio” di Mastroianni sono documentate nei cicli plastici e pittorici “Metamorfosi”, “Kaos”, “Teatro magico”, “Giochi del Tao” e “Infinito cosmico”. Accanto all’energia e alla forza impressiva dei grandi monumenti resistenziali e della cancellata Odissea musicale del Teatro Regio di Torino sono stati riscoperti e valorizzati dalla critica più avveduta altri aspetti della produzione mastroiannea: gli ori e i rilievi policromi, i piombi e i rami, i bozzetti teatrali e gli arazzi, le jute e i vetri, i disegni e gli argenti, le incisioni e i bassorilievi, ma anche l’attività poetica e narrativa. Insomma, pur restando in un medesimo quadro di tonicità, i monumenti a tutta prima irrelati della creatività dello scul-

Tumulto, 1990. Arazzo, cm. 245x175

Arpino, Brescia, 1998, pp. 9-20. Dello stesso Floriano De Santi, che è “senza alcun dubbio il più grande studioso mastroianneo, più di Giulio Carlo Argan, che pure ha dedicato due libri monografici al Maestro ciociaro” (Edward Lucie-Smith, recensione al volume Cento anni dalla nascita di Umberto Mastroianni, in “Contemporart”, n. 66, trimestrale di arte e cultura, Nonantola, marzo 2011, p. 57), non si possono non citare almeno le seguenti altre pubblicazioni: Umberto Mastroianni. Progetto e creatività, catalogo della mostra antologica nel Palazzo Ducale di Urbino, Edizioni del Comune, Urbino, 1977; Umberto Mastroianni. Bassorilievi 1975-1983, Bora edizioni, Bologna, 1984; Umberto Mastroianni.L’irruenza della forma. Arazzi e grandi cartoni 1960-1985, catalogo della mostra nella Chiesa di San Lorenzo di Aosta, Fabbri Editori, Milano, 1987; Umberto Mastroianni. Sculture e basorilievi policromi 1962-1986, Mazzotta Editore, Milano, 1988; Umberto Mastroianni, catalogo della mostra antologica all’Hakone Open-Air Museum, Edizione del museo giapponese, Tokyo, 1990; Museo Donazione Umberto Mastroianni, Complesso Monumen-

tale di San Salvatore in Lauro di Roma, Il Cigno Galileo Galilei Edizioni, Roma, 1995; Mastroianni e la letteratura, catalogo della mostra nel Salone internazionale del Libro di Torino, Edizioni della Regione Piemonte e del Centro internazionale “U. Mastroianni” del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, 1996; L’arte sacra di Umberto Mastroianni. Bronzi, gessi, terracotte e opere su carta dal 1928 al 1997, catalogo della mostra al Museo d’Arte dello Splendore di Giulianova, Edizioni del Museo giuliese, Teramo, 2001; La Donazione Mastroianni, Palazzo Ducale Boncompagni di Arpino, Edizioni della Fondazione “Umberto Mastroianni” del Castello Ladislao di Arpino, Teramo, 2001; Umberto Mastroianni, artista e intellettuale del XX secolo, catalogo della mostra nel Complesso monumentale di Palazzo Reale a Torino, Verso l’Arte Edizioni, Roma, 2002; Umberto Mastroianni, Scultore europeo, catalogo della mostra antologica al Museo del Corso di Roma, Edieuropa Edizioni, Roma, 2005; Umberto Mastroianni, catalogo della mostra antologica per la 49ª Edizione del Festival dei Due Mondi, ordinata nel Palazzo Sansi e la Rocca Albornoziana

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Cristo sulla Croce, 1992. Cartone in rilievo colorato e graffiato, cm. 110x65x35

tore hanno chiarito appieno il loro grado d’intenzionalità semantica. Con l’esperienza sui più diversi materiali, Mastroianni diviene un Proteo multiforme, policefalo, hypokrites. È questa costante tensione tecnico-linguistica e materica che determina nelle sue opere estreme alcune fratture dall’eredità futurista, costringendo le linee-forza e le strutture boccioniane a flettersi, protrarsi, accartocciarsi come fogli sulla fiamma, a contorcersi come per un interno spasimo o stiramento, ad enfiarsi in uno spazio vuoto e vorticoso, ad avvampare o decolarsi come per un alterno crescere o calare di un interno calore: senz’altro scopo che di dar figura a un pathos drammatico, in cui c’è forse l’eco di un frammento di Eraclito che dice che l’uomo “anche se vivo tocca il morto”. Quando realizza nel 1988-89 e nel 1992 rispettivamente i bronzi Macchina sacrale e Volo di Pace, il Maestro ciociaro è affascinato da un mito diffuso nell’antichità classica e orientale: quello del magnus annus o, come lui scriveva, dell’”anno grande dell’Arte e della Scienza”. Pitagora, Eraclito, lo Pseudo-Longino, Diogine di Babilonia, Cicerone, Macrobio, gli Oracoli sibillini pensavano che l’universo obbedisse alla forza del “cielo”, del “ritorno” e della “ripetizione”. Tutto dipendeva dal corso delle stelle, che normalmente seguivano orbite diverse, si disponevano l’una dietro l’altra, in modo che una linea le attraversava

di Spoleto, Edieuropa Edizioni, Roma, 2006; Umberto Mastroianni. Un furore creativo che scopre la luce della notte, mostra antologica nella Galleria Civica d’Arte Moderna di Bratislava, Edizione del Museo “Arte On”, Castel di Lama, 2008: Umberto Mastroianni. Il tragico ruotare dell’universo, mostra antologica al Museo Fornace Pagliero di Spineto-Castellamonte, Edizioni dell’Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, 2011; Umberto Mastroianni nelle collezioni Evandro Franceschelli e Tiziana ed Enrico Todi, mostra alla Fondazione Mastroianni di Arpino, Edizioni dell’Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, 2012. 38 Edward Lucie-Smith, Umberto Mastroianni, in Art of our time. Ten years of the Praemium Imperiale, The Japan Art Association, edito da Mark Thomson di Londra e da Kazunori Tsujikawa di Tokyo, 1999, p. 360 39 “Si sa quanto tu sia debitore (e viceversa) nei riguardi di Spazzapan, che a mio giudizio, per la cultura latamente mitteleuropea che si portava dietro, lui che ha vissuto sino al ‘28 a Gorizia, tra il liberty ed un decadentismo di fine secolo, ti ha trasmesso un penchant vagamente orientale. È uno stimolo cancellato per un lungo corso d’anni, ma ormai emerso e fatto evidente nei piombi e nei rami degli ultimi due decenni e

in certa decoratività niponico-orientale che si può incontrare persino nei cartoni graffiati, negli ori e negli arazzi. Del resto, è questa una constatazione che tu stesso hai ravvisato nel confronto che in Giappone – al tempo della grande antologica dedicata, l’anno scorso, dall’Hakone Open-Air Museum e prima ancora, forse, nell’89 in occasione del prestigiosissimo Praemium Imperiale – hai potuto fare con le xilografie del genere Ukiyo-e, i disegni, le decorazioni su tavole e tessuti, nelle fantasiose strutture lignee dell’architettura religiosa di Nara e di Kyoto che hai particolarmente osservato. Ritieni possibile, in concreto, nella tua produzione la presenza di una simile Stimmung creativa?”. “È vero quanto tu dici. Più guardavo, più mi sembrava di aver già visto tutto. Che anche in questa impressione rientrasse il mio amico Spazzapan? Forse sì: un altro motivo per essergli ancora vicino, come agli inizi di questa mia lunga carriera” (Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, intervista sulle prime committenze, in Floriano De Santi, Mastroianni nelle collezioni private piemontesi, catalogo della mostra antologica nel Palazzo Graneri e nel giardino di Palazzo Cisterna di Torino, Fabbri Editori, Milano, 1991, p. 7).

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passando per il loro centro: se convergevano nel segno del Cancro, avveniva la Conflagrazione, e le cose bruciavano in un solo incendio; se convergevano nel segno del Capricorno accadeva il Diluvio, e la violenza delle acque devastava la terra. Non c’è opera mastroiannea che non graviti e precipiti verso queste due visioni, in cui la prima è riconducibile alla juta I pesci sacri del 1990 e la seconda al mosaico Le ali dell’Arcangelo Gabriele del 1993. Senonché, si avrebbe torto a pensare che Mastroianni sia tutto qui; e abiti soltanto al pari di un poeta sognatore, nel paese delle chimere. Non è così, perché il suo sguardo va sempre altrove, anche oltre ciò che è, per definizione, l’altrove; il suo tutto, come ne Il pensiero dominante di Leopardi, comprende il Tutto e ciò che è al di fuori del Tutto. Nella modernità, ogni volta che si parla di religione, sembra trattarsi più di una religione dell’uomo che di Dio. Si raggiunge la spiritualità solo se si ha presente la grande sofferenza. Sto pensando – ad esempio – ai Disegni di guerra del 1940-42 di Sutherland sui bombardamenti aerei di Londra o agli inchiostri della serie Italia ‘44 di Renato Birolli, dove avverti il richiamo alle Fosse Ardeatine, alle stragi consumate per le piazze. Sintomaticamente, di fronte a questo problema, ha detto il Cardinale Ersilio Tonini: “Mi viene in mente André Malraux: J’ai été naturellement catholique. E il nostro Benedetto Croce: “Perché non possiamo non dirci cristiani”, quando dice essere “l’animo mio pieno di sincere vibrazioni”. Ma in tali offerte e in tali infinite vibrazioni io sento pronunciare l’aggettivo cristiano. È questo il punto. Ovunque c’è l’uomo, lì il Cristo si è esteso. Questo è il grande tema della spiritualità cristiana, il Cristo diffuso ovunque. In ogni uomo c’è l’interesse di Dio; nei momenti in cui si traduce il dolore umano, e lo si esprime con questa aria di strazio infinito, e si coglie un’efferatezza infinita, la disumanità, l’atrocità, l’orrore totale dell’animo, la ribellione piena, non c’è dubbio che si è a un momento altissimo e cristiano. Si pensi a Santa Teresa e alla sua Vita: che è opera di

Crocifissione, 1997. Tempera acrilica su cartone, cm. 60x40

testimonianza, cosa siamo qui a fare sulla terra: una testimonianza fatta a queste povere creature. Se io prendo La Storia della Morante: per me io l’avrei abbracciata. La Morante ha descritto quel figlio come se fosse il creato, come se l’avesse messo al mondo lei quel bambino”40.

Floriano De Santi, Le ragioni dell’Arte e quelle della religione: intervista al Cardinale Ersilio Tonini, catalogo della XIV edizione della Triennale internazionale d’Arte Sacra di Celano,

Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, 1997, p. 14.

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­Nel respiro della materia: umano e divino nell’arte di Umberto Mastroianni di Laura

Mazzoli

Negli ambienti del Museo Diocesano di Torino, ambienti che furono tre basiliche cristiane e recano i segni e le sovrascritture architettoniche dal romanico al medioevo e le basi dell’evoluzione architettonica del Duomo rinascimentale, e in un luogo simbolico di congiunzione religiosa e civile della comunità come la torre campanaria, si snoda la mostra “Umberto Mastroianni: tra coscienza civile e spirito del sacro”. Arte del Novecento, quella del poliedrico Umberto Mastroianni, che ripropone temi appartenenti al sacro, al Trascendente e che riflette dando forma al senso di spiritualità e alla ricerca dei valori della persona. Una mostra a Torino, città che ha intrecciato molta parte della vita, delle amicizie, delle idee e della creazione artistica di Mastroianni, e all’interno dello spazio museale storico e archeologico della Cattedrale metropolitana, molto vicino al Teatro Regio della città, dove la cancellata scultorea Odissea Musicale, opera dell’artista – a chiusura della Galleria Tamagno –, segna lo spazio cittadino dedicato alla musica e alla lirica. Molteplici le possibilità di lettura della mostra nella sua articolazione cronologica; essa consente analisi e raffronti stilistici nel percorso artistico dell’autore attraverso il Novecento, il contatto con la molteplicità dei materiali e la scoperta della loro capacità espressiva. Da subito le opere esposte suggeriscono e delineano un percorso ideale nella vita di Cristo, che lega i segni dell’Annuncio a Maria alla passione e morte, e alle forme in cui è resa la sua Resurrezione. Un percorso che ricava dalla materia e tratteggia nelle forme e nei segni la speranza della nascita e il segno della crocifissione, che interseca il progetto divino con i dubbi, le angosce e gli ideali dell’uomo. Quasi una narrazione spirituale quella che si esprime nelle forme dell’arte e nella sperimentazione personale e originale di un artista che ha testimoniato con i suoi linguaggi la passione civile del secolo. Un’esperienza, la sua, «per far vivere», che fa emergere nella materia e ne ricerca i valori, che esplora

e scava all’interno della persona e della vita, nell’«humus umano», e che nel dramma quotidiano individua il punto di partenza nella moralità – «i valori umani che salvano l’uomo dalla foresta» (Umberto Mastroianni, Riflessioni e pensieri in libertà, in Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. La simbologia delle forme, Edizioni Dedalo, Bari, 1980). È esperienza d’arte, quella che si svela in sculture e bassorilievi – tra gessi, bronzi, terrecotte –, in disegni e dipinti, che dialoga coi temi dell’iconografia religiosa e sacra. È certo poetica dell’anima quella che sfiora la storia del Dio trascendente e uomo e che si riflette nelle ansie e nei drammi, nell’impegno e nei valori del Novecento e si fa narrazione dell’oggi. Un incontro che inizia con Annunciazione, annuncio e giunzione terrena e sacra di questo percorso. Figure speculari, ripiegate all’indietro nel bassorilievo in terracotta del 1939. L’annuncio e la simmetria delle forme è stupore e forza. Il segno della storia della Salvezza, che si snoda ed è spirito che si fa uomo. L’istante tra un prima e un dopo è qui modellato nelle linee spezzate, quasi evocativo di un segno arcano, come in Fregio incaico del Dio Sole / Angeli dello stesso anno. Ci ricorda segni arcaici, ma è già futuro e anticipazione nel significato e nella realizzazione dell’arte. C’è figura ed è risolta in una geometria imprevedibile, quasi archeologica. L’angelo, elemento ricorrente nell’arte di Mastroianni, è annuncio e delineazione della soglia tra umano e divino, terreno e spirituale, e l’annunciazione è svelamento, è apertura della soglia. Attraverso Maria la salvezza e la visibilità del Trascendente (Lc 1, 35). L’annuncio della possibilità di riconoscere nell’esperienza sensibile la presenza del Dio invisibile. Dalla forma tratta dalla terra al segno che vede la forma: il tema dell’Annunciazione è anticipato nel segno grafico dello Studio per l’Annunciazione del 1937, e qui è disegno e istantanea di un’idea che la matita ferma sul cartoncino. La divina umanità di Gesù, la visione dell’”uomo-nuo-

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all’eleganza del movimento, al panneggio del vestito, alla espressione dei volti. La cultura scultorea qui ci appare fulminea come summa sedimentata, rielaborata e trasfigurata, che ha percorso la storia, ma non si realizza nel puro richiamo alla classicità, né ritroviamo una concessione al gusto neogotico. Come rileva lo storico e critico d’arte Floriano De Santi, c’è nel periodo figurativo di Umberto Mastroianni l’incontro con l’arte rinascimentale di Francesco Laurana e di Donatello «verificato» nell’azione artistica di Boccioni, come di Brancusi e Archipenko. Reinterpretazione della figura, rivalutazione dei modelli classici e conferma del presente nella Madonna di Loreto o aerofuturista del 1933, terracotta con il Bambino benedicente. E come non cogliere il rimando, tra forma e idea, alla tradizione devozionale e popolare che si perde nel tempo della casa di Maria trasportata dagli angeli? Il tema mariano è anche intimo abbraccio, con i visi che si sfiorano, nei bassorilievi in terracotta del 1930 e in bronzo del 1936. Il primo, contornato da angeli, è mosso dal gioco di linee che incorniciano il capo della Madonna e decorano l’abito, il secondo si risolve nell’atto del sorreggere e del trattenere contenuto nell’abbraccio. Nel gruppo sacro, quasi in un colloquio muto, carico di affettività negli sguardi di madre e bambino, è colto un istante di intimità. Intimità che affiora nella composizione alternata di modellato e di intaglio, di interno ed esterno della materia, ed esclude ciò che è altro da sé. Alla dolcezza dei gesti della maternità si affida la matita sulla carta da pacchi, disegnando forme ariose per il corpo e le vesti della Madonna, mentre il bambino posa il viso sulla mano della madre (1936). Sono bambini paffuti e aggraziati. Ed è bambino posato sul ginocchio della madre, piccolo corpo lievemente abbandonato al corpo della Madonna, nella scultura in bronzo del 1934. Qui, nella solennità della posa della madre, nel suo contenere ed esporre il figlio, affiora un senso di presagio, anticipazione e preludio dell’atto della Pietà. Seicento anni di arte paiono scorrere nella creazione, nell’idea, nella realizzazione di questa opera geniale, in questo bambino abbandonato, fiducioso, al corpo della madre e già anticipatore del destino che si compirà. Del 1940, tempo di guerra, il bassorilievo in gesso Madonna della Pace. È maestà in trono ed è Madonna del latte, con il Bambino e la colomba dalle ali aperte. Tema antico quello della colomba, iconografia simbolica

Mia Madre, 1932. Matita su carta, cm. 32x16

vo” si lega al tema iconografico della Madonna col Bambino ed è rappresentato da una serie di opere appartenenti al periodo figurativo di Mastroianni. Nell’atto di presentare e mostrare il figlio, la Madonna col Bambino detta Madonna gotica del 1931 è una bronzea “Odigìtria” frontale, in piedi col Bambino nudo sul braccio sinistro. Nel bassorilievo la mano del Bambino ha un richiamo al gesto di benedizione e il volto della Madonna è segnato da un cenno di capelli, fermati da una corona, ed è volto moderno di donna. Gli sguardi in direzione di chi guarda e già assorti nel moto percepito di un andare verso il compimento del sacrificio nel disegno divino della salvezza. Il pensiero va da subito alla tradizione scultorea di Giovanni Pisano e alle sue Madonne con Bambino, così come allo schema iconografico mariano ricorrente nell’arte nel segno del Rinascimento,

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dell’azione dello Spirito Santo, già simbolo di salvezza nell’arte paleocristiana e ricorrente nell’arte del Trecento. Disegno divino di salvezza, incontro di umanità e divinità. Rimanda all’antica alleanza con Noè che si rinnova e si realizza pienamente con la venuta di Cristo. Ne è segno la colomba della Genesi (Gen 8, 11), dal caos del Diluvio, la pace rinnovata tra Dio e gli uomini. «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui», nell’annuncio del Battista, «voce che grida nel Deserto» (Gv 1, 23-32), in cui risuona l’invocazione del profeta Isaia «se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63, 19). Agnello del sacrificio, mediatore tra Dio e gli uomini. Qui, se contestualizziamo l’opera al tempo storico, avvertiamo tutto il flutto della storia; il richiamo al senso degli avvenimenti nel nome della pace in tempo di guerra, all’armonia dell’essere nel caos del conflitto umano, alla difficile ricerca delle ragioni della pace nelle pieghe del dolore e della morte, dell’abitabilità della terra dopo il Diluvio. Nel gesso del bassorilievo tutta la bellezza rinascimentale e l’impronta contemporanea dell’azione di Mastroianni. Osserva Floriano De Santi, c’è anima nel nucleo interno della scultura che è «groviglio di forze spirituali». Alla maternità generatrice di vita, non riconoscibile direttamente come iconografia religiosa o sacra, appartengono le maternità in bronzo o su tela di sacco della stagione neocubista degli anni Quaranta. Nelle forme tonde e accoglienti, nelle linee morbide che si aprono alle spigolosità e al discontinuo, c’è il senso e l’origine dell’essere madre. Così nella Maternità cubista, olio su sacco del 1941, e nei volumi modellati nel bronzo nella scultura del 1949. Eco del volume delle forme antiche della Dea madre, forza generatrice, e delle Veneri, figure femminili che palesavano il dono di creare la vita e le prime speculazioni intorno al rapporto tra natura e vita. Ma è altro in Mastroianni, sperimentazione intorno e all’interno delle forme e della materia, e dalla profondità della materia verso la luce. L’arte accoglie tutti i materiali nella loro varietà, poveri e nobili, con pari dignità, e la maternità si congiunge con la juta e il bronzo. Il sacco qui è idea essenziale e pura del generare, omaggio alla maternità, messa a nudo senza immagine e figura reale, senza preziosità descrittiva. Ben diversa la Maternità 2, rilievo in bronzo colorato del 1962, (preceduta l’anno prima da Esplosione) matrice di una maternità quasi fusione, colta nell’atto della trasformazione vitale o del

Disegno di giovane - Autoritratto, 1932. Carboncino su carta, cm. 110x70

suo prosciugarsi, contorsione da cui pare affiorare la voce della storia nel tempo dell’incubo nucleare, come impronta pensata e ricreata dai segni e dall’esperienza della barbarie o forza generatrice. Nella maternità umana e in quella divina, affiancate nella mostra, non c’è contraddizione, ma scopriamo le tracce della ricerca del senso della sofferenza e del destino umano e della grazia della salvezza. Nel lavoro dell’arte c’è come un tentativo di afferrare l’essenza, lo si avverte nella relazione con figure che promanano spiritualità. Quasi un lavoro di ricerca e di manifestazione dell’anima e dei suoi caratteri. Lo scopriamo in Testa di Maria, bassorilievo in bronzo del 1939, reso nell’alternanza tra finitura liscia di parte del volto e la ruvida e granulosa superficie di sfondo in cui si frappone una patina d’antico. C’è coscienza e accettazione nell’espressione ri-

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tutte datate 1939, la Salita al Calvario, sino a Cristo esce dal sepolcro e Resurrezione. Si tratta di bassorilievi in terracotta. C’è attenzione alla delineazione dell’ambiente e alle azioni del dramma che si compie, senza connotazione di costume nella delineazione delle vesti. Giunzione tra storia e presente, tra umano e divino, tra realtà fisica e spirito. Lo vediamo nella Salita al Calvario dove la figura di Cristo quasi compie la separazione netta della scena, di qui gli uomini, a cavallo e col legno della croce, di là le donne. Nel sepolcro, sezioni di pietre si mostrano, quasi a delineare l’effetto di un’esplosione, energia promanante da un cratere in cui i corpi si compongono con la materia. La storia di morte viene interrotta e i personaggi appaiono travolti dall’evento. Al centro la vitalità del Risorto accompagnato dagli angeli. Il bassorilievo La Resurrezione, sequenza narrativa immediatamente successiva, propone con la stessa caratterizzazione il Risorto affiancato dagli angeli. Attraverso la croce, che è sofferenza e morte, la salvezza. La Crocifissione con Evangelisti del 1950, bassorilievo bronzeo, introduce l’elemento della croce. Un Crocifisso che, nel gioco dei trapezi, da un lato rivisita la forma dell’arte primitiva di antiche culture e dall’altro richiama e rielabora la simbologia della tradizione della croce. È un Cristo triumphans quello pensato da Mastroianni sulla croce. Una figura slanciata, in posizione frontale, con la testa eretta e gli occhi aperti, vivo e già ritratto come trionfatore sulla morte. Anticipa il carattere che due anni dopo contrassegnerà il risorto Cristo benedicente di Mastroianni. In basso, in quello che continua a presentarsi come suppedaneo, secondo lo schema della tradizione, appare l’iconografia dei simboli degli Evangelisti. Un capo reclinato nei tratti della sanguigna è il Cristo morente del 1949. In agonia, la testa reclinata sulla spalla destra, gli occhi socchiusi e incavati, la bocca semiaperta nell’ultimo respiro, il corpo magro, secondo l’iconografia del Cristo patiens che dal XIII secolo si è diffusa nell’arte. La sanguigna richiama le ferite e l’insieme introduce l’emozione e coglie il dramma e il pensiero sulla sofferenza. C’è una gravità che fa da contrappunto alla scioltezza del disegno e c’è in essa traccia di soluzioni che sono anticipazione di forme successive. Tra i 1986 e il 1987 le tempere acriliche su carta della Crocifissione e delle Deposizione I e II, presenti in mostra,

Scultura cubista, 1942. Olio su juta, cm. 36,5x25

flessiva quasi di ascolto. Un ricerca che ritroviamo nell’essenzialità pura di Santa Caterina, bassorilievo in gesso e colore del 1937. Così come in Novizio del 1931, busto a grandezza naturale in bronzo, che è ritratto di uomo nella profondità del carattere morale. Mastroianni non procede per idealizzazione di un’idea, né trasfigurazione di un corpo attraverso la ieraticità dell’aspetto fisico. Il bronzo denuncia il lavoro di traduzione del carattere morale nella fisionomia che contiene discontinuità, psicologia e legame con l’ambiente ed è atto di creazione che gravita sul limite, sui confini tra idea morale e presenza fenomenica. Nelle opere esposte nella mostra, c’è un procedere nella vita di Cristo che attraversa L’Orto di Getsemani del 1960 nel materismo dell’informale del cartone colorato e graffiato. E percorre attraverso opere del primo periodo,

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introducono il macchinismo fantastico di Mastroianni. Il patimento della croce e la crudezza della morte diventano ingranaggi e componenti di un moto industriale che trasforma la riconoscibilità della figura e la rende in altro modo riconoscibile. È un percorso che pare addentrarsi e scavare nel meccanismo che sostiene e spiega all’interno le ragioni dell’esistere, negli equilibri, negli ingranaggi e nell’energia che la anima. Radiografia del corpo nel dinamismo della macchina; ma l’esperienza artistica di Mastroianni in questo periodo non è connotata e modificata dal procedimento della scienza, né promana dall’officina del mago. Suggerisce una via altra, illuminata, come definisce Floriano De Santi, da «una vena romantica e visionaria». Consente di addentrarsi ed emergere nell’essere ed esistere, nelle loro parti e frammenti. Lo si percepisce nel legno di Angelus Novus del 1978. E qui come non pensare allo stesso titolo del quadro di Paul Klee (1910) e a quanto l’opera suscitò in Walter Benjamin. L’angelo atterrito che guarda alle tragedie del passato ed è sospinto nel futuro dalla tempesta del progresso, nell’attesa dell’avvento della redenzione. Nel bronzo di Mastroianni Enigma (1971-72), l’enigma del tempo, del fare e dell’essere, del limite con il non essere. È sezione e composizione di parti di oggetti diversi, dalle forme diverse e assemblate in un tutto, quasi ad affiorare come memoria. Ed è un rincorrere il tema della pace, dalle macchine che incombono con ruote dentate e ingranaggi all’esplosione che pare partire da un nucleo. Lo scopriamo nella grande scultura Monumento alla Pace della città di Cassino. Groviglio di elementi tubolari, attorcigliati, ripiegati su se stessi che si allontanano dal centro e invadono lo spazio circostante. Deflagrazione di una bomba. La scultura non è rappresentazione, ma manifestazione e testimonianza di questa energia distruttiva. Il quadro esposto in mostra, Monumento alla Pace di Cassino, in tecnica mista su tavola, del 1971 è lo scorrere del colore rosso come energia deflagrante. Molto si è detto della “poetica della Resistenza” (Giulio Carlo Argan) come parte del percorso artistico di Mastroianni, qui vorrei richiamare la necessità di soffermarsi sul senso e il valore etico della memoria. La poetica della sofferenza che Mastroianni evidenzia nella sua produzione creativa, anche e soprattutto in quella civile, si lega al bisogno e al dovere di ritrovare la memoria storica e di riconoscerla. Dall’altro, in quel ri-

Il cavaliere verde, 1946. Olio su juta, cm. 55x37,5

cercare, soffermarsi, e ritornare sul senso della pace, nel lavoro di rappresentarla nell’arte appare il filo conduttore attorno all’umanità e che indaga sullo spirito. E più avanti negli anni, il senso della ricerca si congiunge nel bronzo statuario del Volo di pace del 1992. Angelo-uccello dal corpo composto da molteplici forme, punte e tondi. Dal corpo partono lance aguzze e la struttura si fa aerea nel dinamismo. È la dimensione umana, che supera la macchina, e si interroga sulle rovine e sulla bellezza, nelle sue parti scomposte, di spirito e materia, messe a nudo. Il Coro dei morti, piombo inciso, sbalzato e colorato, del 1978-79 si pone in relazione alla scenografia, su testo di Giacomo Leopardi e musica di Goffredo Petrassi, di cui Mastroianni ebbe incarico dal Teatro dell’Opera di Roma

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nascimento si confrontò –, e della tradizione devozionale medievale che raggiunge rielaborata Michelangelo e Donatello. In questa prima opera di Mastroianni la traccia classica pare già pronta ad essere superata, la narrazione si risolve in rivelazione, il pathos si annulla nello svelamento dell’atto sospeso della perdita del corpo e della vita. Le tre figure, isolate attorno a Cristo, non sono caratterizzate nell’abito, che è tunica che ricopre ed è corpo. Figure sole, su uno sfondo neutro, a loro è affidato il compito della deposizione, della pietà, che è dolore e desolazione senza tempo. La Madre sorregge il Figlio dalle spalle e le pie donne hanno i visi rivolti al cielo e alla terra. Al silenzio del tempo sospeso, il segno della parola espresso nel gesto della mano nel Cristo benedicente del 1952. Nella statua in terracotta, pensata per una cappella funeraria, la figura non ha compiacimento formale, è la bellezza che supera la croce, è il Cristo riconoscibile, ma già altro rispetto alla caratterizzazione fisica naturale, che supera la morte e la condizione umana. Riconoscibile non tanto per la figura, ma per l’impatto che provoca. Raccoglie il mistero della morte e ne fa segno di vita. Parla all’umanità incerta e contraddittoria, alla paura e sconcerto di fronte alla fine e vince nella forma di una maestà slanciata oltre la terra, le mani protese verso l’alto, quasi a congiungere il peso greve della condizione umana con il cielo e a nobilitarlo. In relazione all’esigenza di spiritualità del nostro tempo, che l’artista richiama in un’intervista del 1995 con riferimento al Premio Michelangelo (in Floriano De Santi, L’arte sacra di Mastroianni, Edizioni dl Museo d’Arte dello Splendore, Giulianova, 2001), mi piace concludere questo percorso tra le opere esposte in mostra con i Pesci sacri del 1990, opera degli ultimi anni dell’artista. Opera povera nei materiali, tempera su tela di sacco, che racchiude il senso della ricerca artistica trasversale – e non certo minore – di Mastroianni scultore. L’essenzialità simbolica dei pesci, antico simbolo paleocristiano in un tempo ancora pagano, Ichthys (icquV), il Cristo figlio del Dio invisibile. Il pesce della mensa eucaristica e i pesci evangelici che si moltiplicano nel segno della cura per gli uomini e dell’abbondanza. Il mistero del Dio visibile fatto uomo e prossimo anche nei tempi del dubbio. Nel percorso artistico di Mastroianni, che spazia dall’iconografia religiosa e sacra, dalle passioni civili alla

Evangelisti S. Luca e S. Matteo, 1948. Bronzo, h. cm. 107x55x60. S. Marco e S. Giovanni, 1948. Bronzo, h. cm. 108. Città del Vaticano, Musei d’Arte Contemporanea

nel 1979. Altro aspetto della poliedrica attività creativa dell’artista, ma anche emblematica nel contesto di questa mostra se riferita ai versi iniziali del poeta «Sola nel mondo eterna, a cui si volve ogni creata cosa, in te, morte, si posa nostra ignuda natura». Nella poetica della sofferenza l’idea del bene e del male emergere nei dubbi della condizione umana. Nel piombo inciso e colorato de La prima visione della gnosi (1979), l’uso del colore bianco e rosso in netta separazione di forme pare richiamare la contrapposizione del male e del bene, il dualismo di corpo e spirito, il senso di vita e morte. E ci suggerisce nelle pieghe della filosofia l’interrogativo: per chi e in che modo la salvezza. Grazia per pochi o dono offerto per tutti? Proprio al tempo sospeso tra vita e morte è La Deposizione del 1927-28. Prima opera nota dell’artista, è relativa al paliotto centrale della mensa eucaristica installato nel 1997 nella chiesa Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma. Il bassorilievo bronzeo è fissazione di un momento sospeso, di transito di morte e vita. E lo è nella essenzialità della scena, nella capacità di isolare le figure, nel moto di sorreggere e di pregare. Il braccio destro di Cristo pende esamine. C’è nel gesto del Cristo defunto presenza e sopravvivenza di un motivo classico che si lega all’iconografia del trasporto funebre di Meleagro (nel sarcofago romano di fine II sec. d.C) – pathosformel con cui il Ri-

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testimonianza etica attraverso il Novecento, l’ultimo periodo riesce a contenere e ad esprimere nella ricerca di senso e di vita il lavoro lungo il Novecento dell’artista e a ricongiungersi, confermandolo, a quello che egli definisce «un momento puro, incontaminato della mia vita», segnato dall’incanto della bellezza e legato alla realizzazione della sua prima opera, Deposizione del 1927-28. Mastroianni percorrendo il Novecento attinge alle fonti del sacro, del mistero cristiano, del Dio invisibile fatto uomo, e dà loro forma e colore. Le intreccia ad una poetica che tocca le domande che abitano l’uomo, le verità profonde dello spirito, le sofferenze e i dubbi, l’impegno civile e il valore della memoria. E in questo fare c’è tutta la biografia di Mastroianni e un secolo che prende forma. Tempo complesso, quello del Novecento e dell’oggi. Percorrerlo significa incontrare le paure, l’energia e la forza anche violenta delle trasformazioni, sperimentare la crisi umana e religiosa, fare i conti con la propria esistenza interiore e sfiorare il senso religioso della vita e della morte. Difficili e lontane possono sembrare le parole di san Paolo «siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione» (Rm 12,12). Nella ricerca di senso il dono dell’arte può essere svelamento di bellezza, incontro e forma dell’itinerario interiore, e della dimensione sacra dell’arte. Da questa dimensione, nelle forme e nei segni dell’oggi, anche attraverso l’esperienza del silenzio iconico che parla in altro modo rispetto ai riferimenti riconoscibili e certi della figura, si può incontrare la traccia, e percorrerla, che parla del mistero di un Dio invisibile, rivelato nell’umanità del Verbo, irruzione della divinità nell’umanità. La mostra suggerisce e conferma la necessità di un impulso all’arte e alla comunicazione con gli artisti sui temi del sacro, e per nuove ricerche in questo ambito, compresa la sfida artistica, attrattiva e di stimolo, che la Chiesa

Macchina sacrale, 1973-87. Bronzo, cm. 155x98x35

oggi deve saper considerare e promuovere. Sia nell’affrontare il tema dell’arte sacra contemporanea all’interno delle Chiese, sia – distinguendola – nel segno del dialogo con quella libera e soggettiva interpretazione della relazione tra uomo e spirito espressa dall’arte contemporanea.

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­ pere di Umberto Mastroianni O che dialogano con le strutture antiche di Maurizio

Allestimento della mostra di Mastroianni nel Museo Diocesano di Torino

La mostra è allestita, su progetto di Maurizio e Chiara Momo, all’interno del Museo Diocesano nel locale sottosagrato e nei locali della torre campanaria, recentemente aperti al pubblico. Il locale sottostante il sagrato costituisce, rispetto al museo, un ambiente a sé, risultato di campagne di scavo che hanno fatto emergere all’interno del lungo vano voltato, sotto inumazioni stratificate, reperti di età romana e paleocristiana. Lungo il percorso museale i reperti sono in parte lasciati a vista e in parte sono coperti da un pavimento in acciaio reso trasparente da stesure vetrate che puntualmente illuminate permettono la lettura delle emergenze archeologiche. Si stratificano in questo modo, sopra i resti di costruzioni di età romana, le mura di un probabile porticato relativo al complesso basilicale e, ancora, una serie di tombe cappuccine ascrivibili ad un antico cimitero a cielo aperto presente nell’area antistante la basilica. Alle estremità del vano sono visibili, evidenziate da pareti specchianti, i resti delle due scalinate che dall’epoca rinascimentale a tutto il XIX secolo davano accesso alla chiesa inferiore. La torre campanaria è costituita da due parti nettamente distinte: la torre quattrocentesca a pianta quadrata che si eleva sul sito delle chiese paleocristiane, ancora segnata in alto dalle aperture dell’antica cella delle campane, e il coronamento settecentesco, realizzazione incompiuta del progetto di Filippo Juvarra. La mostra di Umberto Mastroianni quindi si svolge nel locale sottosagrato per arrivare a raggiungere anche il piano terreno e il secondo piano della torre campanaria la cui salita, fino alla cella, è stata messa in sicurezza e aperta al pubblico. Il progetto di allestimento ha posto come fase prioritaria dei lavori il rispetto della valenza storica prevalente: essere museo di se stesso. In questa ottica gli interventi di allestimento sono stati contenuti al minimo indispensabile e si propongono con forme semplici e materiali reversibili e distinguibili come il ferro e il compensato ignifugo. Parallela-

Momo

Museo Diocesano di Torino (Sottosagrato)

mente si è scelto di realizzare spazi espositivi autonomi ed estremamente flessibili, in modo da rendere possibili con facilità le trasformazioni che si renderanno necessarie nel tempo, rendendo possibili ed auspicabili eventuali rotazioni temporanee dei materiali esposti, e la realizzazione di nuove esposizioni temporanee. Con questa filosofia sono esposte opere del Maestro, articolate secondo la successione cronologica in cinque sezioni – il periodo figurativo, il periodo neocubista, il periodo informale, il periodo del macchinismo fantastico e il periodo delle figure dell’inconscio –: sculture a tutto tondo in bronzo, gesso e terracotta, bassorilievi, opere in carta, cartone e su juta, mosaici e opere in vetro in un allestimento in ferro e legno ignifugo, che mira a evidenziarne le peculiarità e che dialoga con le strutture antiche e con i percorsi di visita del museo e della torre campanaria. Specifica attenzione è stata posta alla luce e all’aspetto conservativo delle opere per cui l’illuminazione sarà realizzata mediante l’uso di faretti museali a luce fredda, che sono accuratamente calibrati al fine di valorizzare le opere pur nel rispetto di tutti i vincoli legati alla perfetta conservazione.

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Evoluzioni e trasformazioni materiche di Mastroianni rilevate durante il restauro di una sua formella di Gian

Luigi Nicola

La formella raffigurante il Cristo risorto e due angeli era stata modellata in creta, firmata dall’artista nella parte basale e cotta. Poi, in seguito ad una rottura, era stata “restaurata” e in parte rimodellata con cera dall’artista rifacendo totalmente l’ala dell’angelo alla destra del Cristo (a sinistra di chi guarda). Ampie porzioni delle vesti delle figure sono state rimodellate e, nella zona del petto del Cristo, la terracotta è stata rivestita da un sottile strato di cera e incisa con la stecca per ridare freschezza al modellato. Dopo questo aggiornamento dell’opera da parte dell’artista è stata eseguita una controforma in gesso, in vista di una fusione in bronzo. Il gesso usato a tale scopo è penetrato nelle incisioni profonde praticate sulla cera ed è rimasto in forma di tracce bianche ancora presenti sull’opera, e non rimosse in quanto testimoni di un modo di lavorare molto disinvolto da parte di Mastroianni. A seguito dell’esecuzione della controforma, sull’opera si sono verificate ulteriori rotture prodotte durante la sformatura: rottura del braccio alzato del Cristo, distacchi di riporti in cera sulla veste, rottura delle braccia degli angeli, ecc. Tali nuove rotture sono poi state incollate sommariamente e in qualche caso, parti del modellato dell’artista sono andate perdute. La controforma in gesso è stata usata per realizzare un nuovo positivo in cera della formella, su questo nuovo positivo Mastroianni ha rimesso la firma incidendola sull’ala dell’angelo che sta alla sinistra del Cristo (a destra guardando l’opera) in quanto la firma originaria presente nella parte basale dell’opera in terracotta non risultava più visibile. Con la formella in cera, ricavata dalla controforma in gesso, è stata realizzata la fusione in bronzo che infatti presenta pic-

Resurrezione, 1939. Bassorilievo in bronzo, cm. 39x36x3

cole differenze rispetto alla formella in terracotta. Con l’attuale restauro si è cercato di migliorare le brutte incollature sommarie, eseguite probabilmente nel laboratorio di fonderia per non perdere i pezzi. Si sono conservate invece le tracce di tutte le operazioni eseguite da Mastroianni o da persona di sua fiducia quando è stata eseguita la controforma in gesso, come ad esempio la tavoletta su cui la terracotta è stata incollata e le sigillature perimetrali eseguite con mastice per vetri in quanto testimonianze di una evoluzione creativa e documento ormai storicizzato.

Salita al Calvario, 1939-70. Terracotta policroma, cm. 18x27x3

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Opere 1927-1997

Deposizione, 1927-28. Bassorilievo in bronzo, cm. 45Ă—80Ă—3

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Bozzetto del “Monumento funebre ad Antonio Salvatore”, 1928. Bronzo, cm. 44×52×30

Madonna col Bambino, 1928-29. Bassorilievo in bronzo, cm. 31×24×2,5

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Novizio, 1931. Bronzo, cm. 62×40×18

Madonna col Bambino, 1930. Bassorilievo in terracotta, cm. 30×18×3,5

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Madonna col Bambino detta Madonna gotica, 1931. Bassorilievo in bronzo, cm. 60×25×18

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Sant’Anna con Maria, 1931 Bassorilievo in bronzo, cm. 60×40×8

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Madonna di Loreto / Madonna aerofuturista, 1933. Terracotta, cm. 21×14×10

Madonna col Bambino, 1934. Bronzo, cm. 52×24×24

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Madonna col Bambino, 1936. Matita su carta da pacchi, cm. 30×24

Studio per l’Annunciazione, 1937. Matita su cartoncino, cm. 24×17,5

Dina / Il sonno dell’anima, 1935. Bronzo, cm. 48×35×45

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Madonna col Bambino, 1936 Bassorilievo in bronzo, cm. 39,8×25×10

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Santa Caterina, 1937. Bassorilievo in gesso con supporto colorato; testa, cm. 30×17×12,5; complessivo, cm. 57×40×16

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Salita al Calvario, 1939. Bassorilievo in terracotta, cm. 18,5×27,5×5

Cristo esce dal Sepolcro, 1939. Bassorilievo in terracotta, cm. 40×36,5×7

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Parabola evangelica, 1939. Bassorilievo in terracotta, cm. 30×17,5×3,5

Annunciazione, 1939. Bassorilievo in terracotta, cm. 33,2×27,8×6

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Sacra conversazione, 1939. Bassorilievo in terracotta, cm. 55×13,5×5,2

Angeli o Fregio incaico del Dio Sole, 1939. Bassorilievo in terracotta, cm. 16×21,5×2,2

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Resurrezione, 1939. Bassorilievo in terracotta, cm. 39×36×3

Testa di Maria, 1939. Bassorilievo in bronzo, cm. 30×22×2

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Frammento della “Madonna della Pace”, 1940. Bassorilievo in bronzo, cm. 80×60×35

Maternità, 1949. Bronzo, cm. 88×44×55

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Maternità cubista, 1941. Olio su sacco, cm. 34,5×21

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Rilievo plastico dorato, 1946. Cartone in rilievo, piegato, graffiato e colorato, cm. 36×24

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Sacco dorato, 1950. Olio e stoffa su juta bucata, cm. 115×73

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Bosco incantato, 1950. Tecnica mista e stoffa su juta bucata, cm. 82×52

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Crocifissione con Evangelisti, 1950. Bassorilievo in bronzo, cm. 64×33×3

Cristo benedicente, 1952. Terracotta, cm. 110×51×20

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Cristo morente, 1949. Sanguigna su carta lucida, cm. 29,5×20,8

Grande Cristo sulla Croce, 1954. Bronzo, cm. 120×90×20

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Hiroshima, 1961. Bronzo, cm. 163×120×97

Esplosione / Ballo tragico, 1961. Bronzo, cm. 80×75×40

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L’orto di Getsemani, 1960. Tecnica mista su cartone graffiato e colorato, cm. 26×18,5

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Maternità, 1962. Rilievo in bronzo colorato, cm. 105×72×3,5

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Viaggio nel sacro / Icona dorata, 1964. Arazzo, cm. 185Ă—148

Verso il buio, 1965. Cartoncino colorato, graffiato e bucato, cm. 56Ă—76

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Le orme del tempo, 1970. Cartone graffiato e colorato, cm. 70×49,5

Enigma, 1971-72. Bronzo, cm. 71×15×11

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Il coro dei morti, 1978-79. Piombo inciso, sbalzato e colorato, cm. 15,2Ă—24,7

Monumento alla Pace di Cassino, 1971. Tecnica mista su tavola, cm. 33,8Ă—34

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Navicella spaziale / L’harmonia mundi, 1976. Piombo inciso e colorato,cm. 23×75

Angelus Novus, 1978. Legno, cm. 116×47×17

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La prima visione della gnosi, 1979. Piombo inciso e colorato, cm. 7,1×14,1

Progettare il tempo della fine, 1981. Piombo sbalzato e colorato, cm. 6,9×19,3 Lo spazio celeste, 1987-88. Rame inciso e colorato, cm. 40×20,1

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Deposizione II, 1986-87. Tempera acrilica su carta, cm. 42×29,5

Crocifissione, 1986-87. Tempera acrilica su carta, cm. 42×29,5

Deposizione I, 1986-87. Tempera acrilica su carta, cm. 42×29,5

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Attese IV, 1990. Bassorilievo in vetro colorato, cm. 12,7×18,8×2,4

I pesci sacri, 1990. Tempera su tela di sacco, cm. 49×65

Angeli o Fregio incaico III, 1990. Bassorilievo in vetro colorato, cm. 17,1×18,3

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Volo di pace, 1992. Bronzo, cm. 61×100×18 Nascere e perire, 1991. Olio su juta, cm. 79×59,5

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Il cavaliere della morte, 1996-97. Tempera acrilica su newood, cm. 18,4×29

Le ali dell’Arcangelo Gabriele, 1993. Mosaico, cm. 123,5×87

La morte della morte, 1997. Tempera acrilica su newood, cm. 19,7×28,8

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Notizie biografiche

Mastroianni e Papa Paolo VI in occasione dell’ìinaugurazione del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea in Vaticano, 1973

le indicazioni delle “avanguardie storiche”. Fin da allora espone nelle rassegne artisticamente più avanzate promosse dall’Art Club; inoltre, insieme ai pittori Spazzapan e Moreni e all’architetto Ettore Sottsass jr., si fa promotore di iniziative culturali, tra cui il progetto del “Premio Torino” (di cui fu fatta una sola edizione nel 1947), manifestazione che avrebbe dovuto, nell’intenzione dei patrocinatori, far conoscere le tendenze più attuali dell’arte italiana contemporanea. Intanto, nel 1945, vince con la collaborazione dell’architetto Mollino, il concorso per il Monumento al partigiano: l’opera, di rimarchevole dimensione, viene eseguita successivamente e collocata nel Campo della Gloria del cimitero generale di Torino. Nel 1948 espone con Spazzapan alla Galleria La Bussola di Torino: i due artisti sono presentati nel catalogo da Dino Formaggio e, in quel momento (e dopo anche che il tradizionale establishment torinese aveva rifiutato l’esposizione della collezione di Peggy Guggenheim), la mostra dello scultore, che a Torino viene chiamato il “pirata”, e del pittore, che viene indicato come “il bucaniere”, acquista un particolare sapore polemico. Nel 1951 tiene la sua prima personale alla Galerie de France di Parigi, la più importante in Europa. La critica straniera, da Jean Cassou a Léon Degand che lo presenta in catalogo, da Pierre Descargues a Frank Elgar, si rende subito conto della qualità della sua produzione e del suo significato. Lo stilema espressivo mastroianneo, prima di modulazioni neocubiste, poi neoespressioniste, va di volta in volta complicandosi per estrosità plastiche, che includono via via l’introspezione dei pieni e dei vuoti come il perseguimento dei giochi della luce e delle ombre. In Apparizione alata e Battaglia, due bronzi entrambi del 1957, il suo plasticismo si fa infatti più scabro, più scheletrico, le linee-forza sembrano aumentare scansione, tensione e valore, raddoppiate come sono da parallele venature incisive, che danno a tutta la scultura l’apparenza di una forza

Umberto Mastroianni nasce a Fontana Liri, un antico paesino in provincia di Frosinone, il 21 settembre 1910. NeI 1924 giunge a Roma, dove frequenta lo studio dello zio Domenico e i corsi di disegno presso l’Accademia di San Marcello. Nel 1926 si trasferisce a Torino con la famiglia e affina il “mestiere di scultore” nell’atelier di Michele Guerrisi. Nel 1930 iniziano i primi riconoscimenti ufficiali (“Premio del Turismo” offerto dal Ministero della Pubblica Istruzione) e, di lì a poco, le prime mostre a livello nazionale ed europeo, tra cui nel 1935 la Quadriennale di Roma e l’anno appresso la Biennale di Venezia (dove nel 1938, tra l’altro, vi sarà presente con una sala personale). Filippo De Pisis ne stima l’opera e la pensa rifarsi alle più remote esperienze: alla statuaria minore egizia ed ellenistica. Anche se il recupero delle origini era pertinente di ogni artista dell’epoca, il giovane Mastroianni tenta in modo originale il proprio individuale Rinascimento: il perseguimento della libertà, come prima delle doti creative. Chiamato alle armi durante la guerra, partecipa poi alla Resistenza con un impegno che lo porterà a trasferire nella sua opera successiva le istanze nate dalla concreta lotta in nome della libertà, per giungere alla formulazione di quella “poetica della Resistenza” riconosciutagli da Giulio Carlo Argan. A Torino entra in contatto con il pittore Luigi Spazzapan che, isolato, portava avanti una linea alternativa tanto al “classicismo” di Casorati quanto alla posizione culturale del “Gruppo dei Sei”, pittori legati all’eredità postimpressionista. Gli anni del conflitto bellico, malgrado la tragica dispersione che comportano, cementano nel capoluogo sabaudo quelle amicizie che non gli verranno mai meno: con i poeti De Libero e Gatto, con il musicologo Mila, con gli storici dell’arte Ponente, Valsecchi, Argan e Venturi, con il filosofo Abbagnano, con gli artisti Spazzapan e Severini. Dopo la Liberazione è tra i promotori di un superamento sovrannazionale della cultura italiana secondo

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sorta di abrasione a forme più arrotondate, fino alla denuncia spinta al parossismo di forme lacerate e tormentate. Nel 1962 Mastroianni si dedica all’incisione approntando anche le lastre per l’illustrazione di alcuni volumi (Poeti sovietici, 1964; Vento furente, 1972). Nel 1964 il Comune di Cuneo gli affida l’esecuzione del Monumento alla Resistenza italiana, cui lavora per cinque anni, dal 1964 al 1969. La complessità dell’opera è tale che critici e rettori hanno potuto parlarne a dismisura. Ma questa esplosione, che sembra scaturita da una fusione di cristalli nel più profondo della crosta terrestre e risalita alla superficie per una dinamica interiore che ne appoggia raggio a raggio, losanga a losanga, sino a costruire un tutto unico saldamente strutturato e nello stesso tempo proteso in una dinamica gestuale suprema, non può non essere il simbolo profondo di una forza frustrata e alimentata dalla consapevolezza, che di colpo si libera ed assume dalla semantica di quel vocabolo oscuro e tenace, “Resistenza”, l’immanenza della potenza e del grido della rivolta. Nel 1971 la città di Frosinone gli commissiona il Monumento ai caduti di tutte le guerre (la cui idea è del 1970), eseguito in acciaio e collocato nel 1977. È l’assemblage macchinistico di tutte le false ideologie, che hanno schiacciato l’uomo da sempre: sono gli strumenti che l’hanno macerato e distrutto e che l’uomo continua a produrre per il proprio terreno e peggiorativo “Miserere”. Nel frattempo ottiene anche l’incarico dalla città di Cassino di elaborare un Mausoleo della pace, che verrà collocato nel 1987. In ordine di tempo viene il Monumento alla Resistenza della città di Urbino del 1980, che dialoga con l’eccezionale complesso urbanistico del capoluogo feltresco dall’alto del Parco della Resistenza. Titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ne tiene anche la direzione dal 1961 al 1969; da Torino si trasferisce nel 1970 a Marino Laziale, insegnando prima all’Accademia di Belle Arti di Napoli quindi in quella di Roma. Nel 1973 l’Accademia dei Lincei gli conferisce il “Premio Antonio Feltrinelli” con la seguente motivazione: “Per l’elevata qualità inventiva e plastica della sua opera e per la rilevante incidenza che ha avuto nella storia della scultura italiana moderna e, in particolare, per quello che può considerarsi il suo capolavoro, il Monumento alla Resistenza italiana di Cuneo, sintesi di un potente impegno plastico e di un alto significato civile”.

Marcello e Umberto Mastroianni. New York, Galleria Bonino, 1964

ripiegata, pronta a dipanarsi, a dispiegarsi, appunto come un’ala. È qui che Mastroianni coglie quella forza vitale sottesa che sembra precedere il movimento estremo, quello di un’esplosione. Nel frattempo espone nel 1958 ancora alla Galerie de France di Parigi, nel 1957 al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles (presentato da A.M. Hammacher, direttore del Rijksmuseum Kröller Müller di Otterlo); ma il riconoscimento più alto lo consegue alla XXIX Biennale di Venezia del 1958, quando ottiene il “Gran Premio Internazionale per la scultura”. Nel 1960 Lionello Venturi scrive la presentazione al catalogo per la mostra personale alla Kleemann Gallery di New York e, nello stesso anno, l’artista espone al Dallas Museum of Fine Arts. È l’inizio di un’ulteriore evoluzione in una libertà immaginativa più barocca, come si può rilevare dalle sculture Sarabanda del 1959 e Hiroshima del 1961, che dalle propaggini più acute passeranno per una

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una esaustiva monografia critica ad opera di Floriano De Santi. Nella primavera del 1984 un’esposizione a Brescia di grandi bozzetti in legno dei monumenti alla Resistenza, disegni e rilievi policromi, commemora il decimo anniversario della strage di Piazza della Loggia (“La memoria storica dell’arte”). Nell’ottobre successivo, contemporaneamente alla mostra “Bassorilievi 1975-1983”, allestita dal Comune di Bergamo presso il Teatro Sociale, la Galleria Art Curial di Parigi presenta trenta sculture datate dal 1942 al 1984. Nel 1985 gli viene conferito a Tokyo “The 4th” Henry Moore Grand Prize Exhibition at the Utsukushiga-hara Art Open-Air Museum”. Lo stesso Museo d’Arte Moderna, poco distante dalla capitale nipponica, gli apre una sala permanente con una dozzina di opere, tra le quali ha assoluto spicco il bronzo Hiroshima del 1960. Nel 1987 regala allo Stato italiano ventisei opere, per lo più del periodo informale, il nucleo più importante della sua collezione; il valore artistico e morale di questo lascito è documentato dalla mostra allestita al San Michele di Roma. Nell’estate vengono presentate ad Aosta, nello spazio dell’antica Chiesa di San Lorenzo, davanti alla mitica colleggiata di Sant’Orso la serie completa dei grandi cartoni e la quasi totalità degli arazzi. Nel gennaio deI 1988, la Direzione Generale della Fiat di Pescara gli dedica una significativa mostra riguardante la produzione di sculture in ferro colorato e bassorilievi policromi: un confronto diretto tra “arte e tecnologia”, tra artista e prodotto industriale. L’estate dello stesso anno vede Mastroianni impegnato in due personali: in luglio nella città di Pieve di Cadore con una serie di sculture e incisioni; a settembre nella capitale egiziana Il Cairo per una rassegna espositiva riguardante l’attività scenografica (bozzetti, sculture, progetti teatrali). Nel gennaio-marzo 1989 il Comune di Milano promuove una significativa antologica negli spazi della Rotonda della Besana dal titolo “I materiali 1932-1988”. La rassegna, curata da Floriano De Santi, illustra globalmente tutta l’attività artistica del grande scultore in dodici sezioni: dai bronzi ai marmi, dagli acciai agli ori, dalle terrecotte alle scenografie teatrali, dai legni agli arazzi, dai piombi e dai rami alle opere su carta. Ciò che unifica tutti questi aspetti, evitando ogni dispersione, è il rapporto tra idea e linguaggio, tra presenza alla contemporaneità e coscienza formale. A coronamento di una prodigiosa carriera – e dopo i premi “Biancamano” di Milano e la “Ginestra d’oro” del

Il decennio 1970-1980 è fecondo di ripensamenti e di successive evoluzioni. Il barocco informale, che pure lo aveva portato ad esiti felici, viene progressivamente abbandonato per dar luogo ad un plasticismo che, mentre affronta la spazialità totale, si fa geometrico e angoloso, traendo spunto anche da motivi di meccanica applicata all’industria, come da un caotico assemblage da riutilizzazione per l’uomo. Nel 1976 il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris ripropone tutta l’attività scultorea di Mastroianni, aprendo un ciclo dedicato alla scultura italiana del dopoguerra. Nel 1977 un’antologica di “rilievi cromatici”, disegni, bozzetti in legno e incisioni, curata da Floriano De Santi e allogata nel Palazzo Ducale di Urbino, pone in evidenza – forse per la prima volta in maniera così organica – un’espressione creativa relativamente e a volte per nulla indagata dagli studiosi. Nell’autunno dello stesso anno Mastroianni espone alcune sue opere monumentali a Charleston, nell’ambito dell’edizione statunitense del “Festival dei due mondi”. Verranno poi la mostra dei “rilievi cromatici” al Palazzo dei Diamanti a Ferrara (1979-1980) e la grande antologica fiorentina del 1981 alla Fortezza del Belvedere. Nel 1978, nei locali della Galleria d’Arte Moderna di Cento, è allestita una piccola, ma sceltissima rassegna di sue sculture. Nel 1979 quasi a dimostrazione della sua inesauribile vocazione sperimentale esegue per il Teatro dell’Opera di Roma la scenografia del Coro dei morti su testo di Giacomo Leopardi e musica di Goffredo Petrassi. A cui farà seguito l’anno appresso il lavoro sull’Uccello di fuoco di Igor Stravinskij. Nel decennio 1980-1990 lo studio condotto sull’acciaio e sul bronzo colorati, quasi relitti recuperati di una civiltà scomparsa e da recuperare anche – se possibile – per farne i primi strumenti di lavoro di una società rinnovata, sembrano pezzi di una “macchina volante” meravigliosa, a cui come personaggi di un romanzo di Jules Verne possiamo avvicinarci, con la speranza di rinnovare un giorno quel mondo della fantasia che ci appartiene. Sul finire del 1983 sono da registrare quattro avvenimenti di notevole importanza: una mostra itinerante negli Stati Uniti, dopo sei anni di assenza, che da Miami tocca altri centri del Paese, per finire a Washington; la donazione all’Abbazia di Casamari di un bronzo dorato del 1940, la Madonna della Pace; l’inaugurazione di un Monumento alla Resistenza sulla montagna di Vallerotonda; infine la pubblicazione di

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nella Sala d’Arte di Palazzo Guasco, un’antologia di ori e d’argenti, un’esperienza singolare lungo tutto il cammino mastroianneo. Nel proseguo dell’anno sono da registrare altri due avvenimenti di ragguardevole interresse: la collocazione, durante l’estate, dei lavori monumentali Belfagor, davanti al Palazzo Ducale di Genova, nell’ambito delle manifestazioni sulle Colombiadi, e Guerriero nella scalinata del Palazzo delle Esposizioni di Roma quale simbolo dell’attuale edizione della Quadriennale. Ma non si possono neppure dimenticare l’inaugurazione a Tolentino del Monumento alla Resistenza e della rassegna nella suggestiva Fortezza di Sarzanello, di sculture, rilievi policromi, bassorilievi, piombi, datati dal 1962 al 1991. Nel dicembre gli viene conferito a Roma il “Premio Michelangelo”. Nel gennaio e nel febbraio 1993, rispettivamente la rivista d’arte “Terzocchio” e il quotidiano “Il Messaggero” dedicano due supplementi interamente incentrati sull’opera e sulla vita di Mastroianni. S’inaugura ad Arpino in aprile, nella sede provvisoria del Palazzo Ducale Boncompagni, il Museo del “Centro Internazionale Umberto Mastroianni”, diretto da Floriano De Santi. Nello stesso anno, Giovanni Paolo II inaugura il Monumento di Erice realizzato dal Maestro in occasione della visita al Centro Ettore Majorana l’8 maggio 1993. Sempre nel 1993 dona a Fontana Liri, sua città natale, una scultura monumentale in ricordo delle sue radici, in onore di tutti i cittadini del luogo, in particolare di suo padre. A Trento presso il Castel Ivano, nello stesso anno, s’inaugura – a cura di Danilo Eccher e Floriano De Santi – un’importante mostra capace di dare uno spaccato completo dell’opera svolta negli anni dal Maestro. A Roma, consolidato il progetto di realizzazione del Museo Mastroianni – con sede nel complesso di San Salvatore in Lauro, nel cuore di Roma, e direzione di Floriano De Santi – l’iniziativa viene inaugurata con la pubblicazione di una corposa monografia. Nel 1993, presso il Chiostro di San Giovanni in Laterano, in collaborazione con il Pio Sodalizio dei Piceni, viene allestita una mostra di arte sacra comprendente una trentina di pezzi tra sculture e opere su carta datate dal 1928 ai primi anni Novanta. Nel 1994 a Torino s’inaugura l’imponente lavoro della Cancellata del Teatro Regio e gli viene conferita la cittadinanza onoraria. Nel 1995 viene progettato ed inaugurato nella città di Cumiana il bassorilievo in bronzo a ricordo dei caduti nella Resistenza. Nello stesso

Conero – il 27 ottobre del medesimo anno gli viene consegnato a Tokyo il “Praemium Imperiale”, una sorta di Nobel del Sol Levante; tra le altre personalità insignite ci sono i pittori Willem De Kooning e David Hockney, l’architetto di origine cinese ma americano di adozione Leoh Ming Pei, autore tra l’altro della piramide del Louvre di Parigi, il registra cinematografico Marcel Carné, il direttore d’orchestra e compositore francese Pierre Bouler. Mentre nei primi mesi deI 1990 prende vita ad Arpino, nel Castello Ladislao, il Centro Internazionale Mastroianni (oltre cento opere tra sculture, bassorilievi, disegni e incisioni, datate dal 1935 sino ad oggi), ad Urbino si sta progettando il museo dei bozzetti lignei: una raccolta di lavori monumentali che precede la fusione in bronzo o in acciaio. Un’esperienza unica del corpus artistico di Mastroianni. Un altro monumento resistenziale viene inaugurato a Poggibonsi nel giugno sempre deI 1990; e intanto sette grandi sculture, esposte a Marino nell’aula consiliare, avrebbero dovuto costituire un primo nucleo del progettato museo cittadino unicamente consacrato all’opera di Mastroianni. Nell’ottobre si apre in Giappone, al The Hakone Open Air Museum, l’imponente rassegna “Dal Caos alla materia, dall’informe al Cosmo”. Ordinata da Floriano De Santi, essa raccoglie la produzione più significativa degli ultimi vent’anni. Circa dieci anni dopo aver ricevuto la cittadinanza onoraria di Arpino, Mastroianni ottiene nel luglio 1991 quella di Chiaravalle. Qualche tempo prima una mostra delle sue incisioni si tiene ad Arpino nella Chiesa di San Domenico, nell’ambito di un programma dedicatogli dal Centro Internazionale a lui intitolato: la stessa rassegna viene riproposta dai Servizi Culturali dell’Olivetti, nel novembre-dicembre, al Centro Congressi “La Serra” di Ivrea. Cura – su commissione del Gruppo Cassa di Risparmio di Roma – l’arredo della Sala Conferenze del nuovo edificio capitolino della Corte d’Appello: oltre ad un grande arazzo, realizza sei pannelli in piombo graffiati e colorati e quattro sculture, che cadenzano uno spazio idealmente ricreato. Sul finire dell’anno, la Provincia di Torino promuove, negli spazi di Palazzo Granieri e del Circolo degli Artisti, la rassegna “Mastroianni nelle collezioni private piemontesi”, con un’ottantina di pezzi tra bronzi, marmi, terrecotte, cere, arazzi, cartoni graffiati, disegni, piombi e rami. Nel marzo-aprile 1992 s’inaugura ad Alessandria,

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Nel 2005, nel sessantesimo anniversario della Liberazione, la provincia di Alessandria – su ordinamento di Giovanna Barbero e di Floriano De Santi – promuove negli spazi della Galleria Carlo Carrà di Palazzo Guasco una significativa mostra dei legni per i monumenti alla Resistenza. Nel novembre dello stesso anno viene inaugurata al Museo del Corso di Roma, a cura del “suo più grande esegeta”, Floriano De Santi (così lo aveva definito Mastroianni), un’imponente retrospettiva intitolata “Umberto Mastroianni, scultore europeo”, che raccoglie oltre centocinquanta lavori databili dal 1927-1928 al 1997. Da luglio a settembre 2006, nell’ambito del Festival dei Due Mondi, viene ordinata nel Palazzo Sansi e nella Rocca Albornoziana di Spoleto, sempre a cura di Floriano De Santi, una suggestiva antologica che documenta tutte le stagioni creative di Mastroianni. Nel 2008 viene ordinata nella Galleria d’Arte Moderna di Bratislava la mostra antologica “Umberto Mastroianni: un furore creativo che scopre la luce della notte”. Nel 2010 la Casa Editrice “Verso l’Arte” pubblica gli Atti del Convegno Cento anni dalla nascita di Umberto Mastroianni, realizzato dall’Istituto Nazionale d’Arte Contemporanea. Sempre per il centenario, viene ordinata da Floriano De Santi nel 2011 la retrospettiva Umberto Mastroianni. Il tragico ruotare dell’universo nei suggestivi spazi del Centro Ceramico “Fornace Pagliero” di Castellamonte. Mentre nel 2012 nei locali del Palazzo Ducale Boncompagni di Arpino, sede della Fondazione Mastroianni, viene allestita la mostra Umberto Mastroianni nelle collezioni di Evandro Franceschelli e Tiziana ed Enrico Todi, con sculture, bassorilievi, rami, piombi, dipinti su carta e su juta dal 1939 al 1997, nel 2014 due diversi gruppi scelti di opere mastroiannee vengono presentati nelle prestigiose rassegne Il fantasma della forma: da Renoir a Mastroianni (Palazzo Pisani di Lonigo) e La bella Italia (Galleria Agnellini d’Arte Moderna di Brescia).

anno la Città di Cento, in onore di Guglielmo Marconi, inaugura la scultura monumentale Elettra e, presso il Palazzo dell’Arte in occasione della Triennale di Milano, Umberto Mastroianni espone nei giardini tre sculture monumentali: Guerriero del 1970-1988, Fantascienza del 1971 e Macchina sacrale del 1988. Nel 1996, dopo la personale alla “Borgogna” di Milano, viene ordinata a Torino, nell’ambito del Salone Internazionale del Libro, la rassegna “Mastroianni e la letteratura”. Mentre nel maggio del 1997 viene collocata in Valle d’Aosta una statua di San Francesco, le città di Aprilia e di Marino inaugurano, rispettivamente nell’ottobre e nel dicembre dello stesso anno, i monumenti Evoluzione/Gioco lunare del 1990 e Guerriero del 19701996. Nella notte del 25 febbraio 1998, dopo una lunga e dolorosissima malattia, Mastroianni muore nella sua casamuseo di Marino. Nell’ottobre dello stesso anno una mostra di settantuno opere inedite su carta – datate dal 1991 al 1998 – nel Palazzo Ducale di Urbino e un convegno sul lavoro mastroianneo forniscono ulteriori analisi intorno ai molteplici rivoli della sua ricca produzione. Nell’estate del 2000 è ricordato, con una sala-omaggio, alla XV Triennale Internazionale d’Arte Sacra di Celano, mentre nell’inverno prende avvio in Ciociaria la rassegna itinerante “Mastroianni e l’arte sacra”. Promossa dalla Regione Piemonte e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, viene allestita presso l’Archivio di Stato di Torino (Palazzo Reale) un’importante mostra di opere e di documenti; l’anno dopo s’inaugura nella Chiesa del Suffragio di Carrara – per poi approdare nella Pinacoteca Comunale di Volterra, nel Palazzo Ducale di Urbino e nel Palazzo Ducale Boncompagni di Arpino – l’esposizione “Le tre divinità di Mastroianni”. Nel dicembre del 2004 si apre, presso la Fondazione Museo “Venanzo Crocetti” di Roma, una pregnante, seppure contenuta, retrospettiva intitolata “Mastroianni. La materia come desiderio d’infinito”.

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Studi monografici essenziali

Giulio Carlo Argan, Mastroianni, nota biografica di Ascanio Dumontel e antologia critica con testi di Emilio Zanzi, Alfonso Gatto, Fred Carasso, J. Bouret, Léon Degand, Pierre Descargues, Frank Elgar, Michelangelo Masciotta, Gino Severini, Waldemar George, L.P. Braat, R.Y. Gindertael, A.H. Hammacher, Pierre Volboudt, Hans Redeker, Jean Stevo, Umbro Apollonio, Jean Cassou, Edizioni del Cavallino, Venezia, 1958.

Erich Steingräber, Mastroianni, saggio critico di Erich Steingräber e poesie di Umberto Mastroianni, Alba Editrice, Torino, 1974.

Eugenio Battisti, Mastroianni, catalogo della mostra agli Orti Sallustiani e alla Galleria Pogliani di Roma, Edizioni De Luca, Roma, 1961.

Palma Bucarelli, Mastroianni, catalogo della mostra antologica alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Roma, apparati critici a cura di Francesco Moschini e Ida Panicelli, De Luca Editore, Roma, 1974.

Aldo Passoni, Nello Ponente, Mastroianni, catalogo della mostra antologica alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, bibliografia e schede delle opere a cura di Claudia Terenzi, Torino, 1974.

Nello Ponente, Mastroianni, introduzione dell’Editore, saggio critico di Nello Ponente, Edizione d’Arte Moderna, Roma, 1963.

Jacques Lassaigne, Umberto Mastroianni. La scelta della libertà, Sculture nella città, testi di Nello Ponente, Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Angelo Dragone, Ettore Biocca, Claudia Terenzi, Rafael Alberti, Marziano Bernardi, Francesco Moschini. Emilio Villa, Carmine Benincasa, Editrice Magma, Roma, 1975.

Salvatore Quasimodo Mastroianni. Il ritratto, Sandro Maria Rosso, Biella, 1964. Massimo Mila, Umberto Mastroianni. Ori e poesie, saggio critico di Mila e venticinque liriche di Mastroianni, Edizioni d’Arte Moderna, Roma, 1965.

Papa Giovanni Paolo II inaugura Il Monumento di Erice di Umberto Mastroianni in occasione della visita al Centro Ettore Majorana, Erice, 8 maggio 1993

Francesco Moschini, Dalla materia all’immagine. Note sull’attività grafica di Umberto Mastroianni, De Luca Editore, Roma, 1975.

Giulio Carlo Argan, Mastroianni, introduzione del Presidente della Cassa di Risparmio, saggio critico di Giulio Carlo Argan, schede e note bio-bibliografiche di Simonetta Lux Statera, Edizioni della Cassa di Risparmio di Cuneo, 1971.

Francesco Moschini, Mastroianni, catalogo della mostra antologica al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, presentazione di Jaques Lassaigne, scritti di Umberto Mastroianni, antologia critica con testi di Giulio Carlo Argan, Francesco Moschini, Nello Ponente, Michel Tapié, Claudia Terenzi, Jean Cassou. Frank Elgar, Léon Degand, Waldemar George, Gino Severini, De Luca Editore, Roma, 1976.

Ida Isoardi. Mastroianni, Edizioni del Centro Galleria d’Arte Moderna di Cuneo, 1972. Claudia Terenzi, Le incisioni di Umberto Mastroianni dal 1962 al 1972, Roma Euro Box, Roma,1972.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. Progetto e creati-

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vità, catalogo della mostra antologica nel Palazzo Ducale di Urbino, introduzione dell’Amministrazione comunale, saggio critico di Floriano De Santi, Edizioni del Comune di Urbino, Urbino, 1977. Mario Verdone, Floriano De Santi, L’uccello di fuoco di Stravinskij – Mastroianni, Edizioni del Tornese, Roma, 1980. Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. La simbologia delle forme, saggi di Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Floriano De Santi; Riflessioni e pensieri in libertà di Umberto Mastroianni, antologia critica con testi di Alfonso Gatto, Filippo De Pisis, Léon Degand,

Mastroianni nella sua Casa-Museo di Marino, 1995

Gino Severini, Frank Elgar, Waldemar George, A.M. Hammacher, Umbro Apollonio, Giuseppe Marchiori, Giulio Carlo Argan, James Fitzsimons, Lionello Venturi, Michelangelo Masciotta, Nello Ponente, Salvatore Quasimodo, Maurizio Calvesi, John Gruen, Stuart Preston, Jean Cassou, Marziano Bernardi. Marco Valsecchi, Piero Bargis, Erich Steingräber, Palma Bucarelli, Pierre Mazars, Paul-Marie Grand, Angelo Dragone, Jacques Lassaigne, Michel Tapié, Carmine Benincasa, Arturo Carlo Quintavalle, Eugenio Battisti, Edizioni Dedalo, Bari, 1980.

Carmine Benincasa, Mastroianni. Monumenti, introduzione di Umberto Mastroianni e nota critica di Carmine Benincasa, Electa, Milano, 1986. Augusta Monferini, Maria Grazia Tolomeo Speranza, La donazione Mastroianni, catalogo della mostra nel Complesso Monumentale del San Michele di Roma, introduzioni di Antonino Gullotti e Francesco Sisinni, presentazioni di Giulio Carlo Argan, Augusta Monferini, schede di Maria Grazia Tolomeo, De Luca Editore, Roma, 1987.

Francesco Moschini, Umberto Mastroianni, catalogo della mostra antologica alla Fortezza Belvedere di Firenze, presentazione di Fulvio Abboni, saggi di Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Carmine Benincasa, Floriano De Santi, Claudia Terenzi, 2 volI., Electa, Firenze, 1981.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. L’irruenza della forma, catalogo della mostra nella Chiesa di San Lorenzo ad Aosta, introduzione di Angelo Laniere, saggio critico di Floriano De Santi, una poesia di William Butler Yeats, Pensieri in libertà di Umberto Mastroianni, Fabbri Editore, Milano, 1987.

Floriano De Santi, Mastroianni. La dialettica dell’avanguardia, Oberon – Editori Riuniti, Roma, 1983.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. Sculture e bassorilievi policromi, catalogo della mostra antologica alla Succursale Fiat di Pescara, introduzione di Roberto Rodriguez e con un intervento critico di Leo Strozzieri, un saggio critico e una nota sui bassorilievi policromi di Floriano De Santi, Mazzotta Editore, Milano, 1988.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. Bassorilievi 19751983, Bora Edizioni, Bologna, 1984. Floriano De Santi, La memoria storica dell’arte. Monumenti, disegni, bassorilievi policromi di Umberto Mastroianni, catalogo della mostra nell’ex Palazzo Monte Nuovo di Pietà e nel Loggiato del Vanvitelliano, testi di Sandro Pertini, Giulio Carlo Argan, Elvira Cassa Salvi, Gian Alberto Dell’Acqua, Floriano De Santi, Gaetano Panazza, Peter Selz, Franco Solmi,Edizioni del Comune di Brescia, Brescia, 1984.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. I materiali 19321988, catalogo della mostra antologica alla Rotonda della Besana di Milano, presentazione di Luigi Corbani, testi di Floriano De Santi, Luciano Caramel, Franco Solmi, intervi-

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sta di Floriano De Santi a Giulio Carlo Argan; schede critiche di Floriano De Santi, Renzo Mangili, Alessandro Masi, Fabbri Editore, Milano, 1989.

introduzione di Tarcisio Grandi, saggi critici di Floriano De Santi e di Danilo Eccher, schede critiche a cura di Paola Jori, Grafiche Artigianelli, Trento, 1993.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, catalogo della mostra all’Hakone Open-Air Museum, introduzione di Nobutaka Shikanai, con saggi critici di Floriano De Santi, Maurizio Calvesi e Masaaki Iseki, schede di Renzo Mangili e materiale bibliografico di Stefania Laurenti, Edizioni dell’Hakone Open-Air Museum, Hakone, 1990.

Alessandro Baricco, Daniele Regisi, Roberto Gabetti, Floriano De Santi, Benedetto Camerana, Enrico Moncalvo, Massimo Locci, Pier Luigi Bassignana, Mastroianni. Odissea Musicale. La cancellata scultorea di Umberto Mastroianni per il Teatro Regio di Torino, Allemandi, Torino, 1994. Floriano De Santi, Museo Donazione Umberto Mastroianni, saggio critico di De Santi, presentazioni di Amos Ciabattoni, Umberto Mastroianni, Maurizio Calvesi, Il Cigno Galileo Galilei Edizioni di Arte e Scienza, Roma, 1995.

Floriano De Santi, L’opera grafica di Mastroianni, catalogo della mostra nella Chiesa di San Domenico di Arpino, introduzioni di Massimo Struffi, Floriano De Santi e di Saverio Zarrelli, saggio critico di Floriano De Santi, Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, 1991.

Floriano De Santi, Mastroianni e la letteratura, catalogo della mostra al Salone Internazionale del Libro di Torino, con un saggio di Floriano De Santi, introduzione di Giampiero Leo, scritti di Umberto Mastroianni, Eugenio Montale, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo, Jean Cassou, Libero Bigiaretti, Libero de Libero, Rafael Alberti, Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni del Castello Ladislao di Arpino e della Regione Piemonte, Brescia, 1996.

Floriano De Santi, Mastroianni nelle collezioni private piemontesi, catalogo della mostra antologica nel Palazzo Graneri, Circolo degli Artisti e Giardino di Palazzo Cisterna di Torino, introduzione di Luigi Sergio Ricca e di Livio Besso Corsero, con saggi critici di Floriano De Santi e di Mirella Bandini, un’intervista di Floriano De Santi a Mastroianni sulle prime committenze, Fabbri Editore, Milano. 1991.

Giovanni Sarpellon, Fragilità e forza, I vetri di Umberto Mastroianni, testo critico di Giovanni Sarpellon, introduzione di Massimo Cacciari e testimonianza di Umberto Mastroianni, Electa, Venezia. 1998.

Floriano De Santi, Marisa Vescovo, Ori e Argenti di Mastroianni, catalogo della mostra nel Palazzo Guasco di Alessandria, introduzione di Pier Angelo Taverna, Francesco Franzò, Gianfranco Pittatore, saggi di Floriano De Santi e di Marisa Vescovo, Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, 1992.

Floriano De Santi, Mastroianni. Il solitario argonauta, catalogo della mostra nella Sala “Donato Bramante” di Fermignano, saggi di Floriano De Santi e di Raffaella Iannella, intervista di Floriano De Santi a Marcello Mastroianni, introduzione di Marinella Topi, Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, 1998.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. Sculture, rilievi policromi, bassorilievi, piombi dal 1962 al 1991, catalogo della mostra alla Fortezza di Sarzanello, con “Gli appunti contemporanei” di Umberto Mastroianni, introduzione dell’Assessorato alla Cultura e saggio critico e schede di Floriano De Santi, Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, 1992.

Fabio Bartolini, Oliviero Dusini, Umberto Mastroianni, catalogo della mostra antologica nel Palazzo Assessorile di Cles, introduzione di Maria Pia Flaim, testi critici di Vittoria Coen e Fabio Bartolini, intervista di Riccarda Turrina ad Oliviero Dusini, Edizioni del Comune di Cles, Trento, 1998.

Danilo Eccher, Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, catalogo della mostra antologica nel Castel Ivano di Trento,

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Umberto Mastroianni riceve il Praemium Imperiale, un vero e proprio Nobel dell’arte dall’Imperatore del Giappone, Tokyo 1989

Floriano De Santi, La Donazione Mastroianni, saggio critico di Floriano De Santi, introduzioni di Ida Perlo Mastroianni, Francesco Storace, Oreste Tofani, Francesco Scalia, Massimo Struffi , Edizioni della Fondazione “Umberto Mastroianni” del Castello Ladislao di Arpino, Edigrafital, Teramo, 2001.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, catalogo della mostra nel Palazzo dei Capitani del Popolo e Scavi archeologici di Ascoli Piceno, presentazioni di Pietro Colonnella, Olimpia Gobbi, Andrea Maria Antonini, Patrizia Rossini, saggio critico di Floriano De Santi, Edizioni del Museo “Arte On” di Castel di Lama, 2006.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, artista e intellettuale del XX secolo. Documenti, catalogo della mostra nel Complesso Monumentale di Palazzo Reale di Torino, saggio critico di Floriano De Santi con contributi di Giovanna Barbero, Giovanni Brino e Guido Callegari, Salvatore Italia, Giampiero Leo, Paolo Marazzi, Andrea Mignone, Paola Molinengo Costa, Massimo Scorsone, Massimo Struffi, Adriano Villata, Anselmo Villata, Edizioni Verso l’Arte, Cerrina, 2002.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, catalogo della mostra antologica nella Galleria Civica d’Arte Moderna di Palazzo Mirbach di Bratislava, introduzione di Adriana Cuffaro, saggio critico di Floriano De Santi, Edizioni del Museo “Arte On” di Castel di Lama, 2008.

Floriano De Santi, Mastroianni. La materia come desiderio d’infinito, catalogo della mostra al Museo “Venanzo Crocetti” di Roma, introduzione di Antonio Trancredi, saggio critico di Floriano De Santi, Edizioni della Fondazione/Museo “Venanzo Crocetti”, Roma, 2004.

Floriano De Santi, Mastroianni. Le figure dell’inconscio, catalogo della mostra nel Palazzo Ducale di Urbino, saggi di Floriano De Santi e di Raffaella Iannella, introduzione di Silvia Cuppini, Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni del Castello Ladislao di Arpino, Brescia, 1998.

Giovanna Barbero, Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. I legni per i monumenti alla Resistenza, catalogo della mostra nel Palazzo Guasco di Alessandria, introduzioni di Paolo Filippi, Maria Rita Rossa, Franco Corrucci, Daniele Borioli, saggi critici di Floriano De Santi e di Giovanna Barbero, Edizioni Verso l’Arte, Cerrina, 2005.

Trittico. Mastroianni, Uncini, Perez, introduzioni di Giovanna Melandri, Alfonzo Andria, Antonio Fortunati, Ruggero Martines, Vega De Martini, Andrea Iovino, Francesco Rossi e Roberto Feo, Angelo Trimarco, testi critici (per quanto concerne Mastroianni) di Stefania Zuliani e Maria Passero, biografia e riferimenti bibliografici essenziali di Paola De Martino, Electa, Napoli, 1999.

Moretto, Roberto Tentoni, saggi critici di Floriano De Santi e di Angelo Mistrangelo, Edizioni dell’Archivio Umberto Mastroianni e del Centro Ceramico “Fornace Pagliero”, Grafiche Martintype, Teramo, 2011. Floriano De Santi, Umberto Mastroianni nelle collezioni di Evandro Franceschelli e Tiziana ed Enrico Todi, catalogo della mostra antologica alla Fondazione Umberto Mastroianni di Arpino, introduzioni di Antonello Iannarilli, Antonio Abbate, Bruno Vano e Tiziana Todi, saggio critico di Floriano De Santi e intervista ad Enrico Todi di Alessandra Lorenzetti, Edizioni dell’Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, 2012.

Anselmo Villata, Floriano De Santi, Andrea Mignone, Angelo Mistrangelo, Giovanna Barbero, Adriano Villata, Vincenzo Sanfo, Guido Michelone, Francesca Tini Brunozzi, Maria Vittoria Giacomini, Giovanni Brogiato, Francesco Scaroina, Cento anni dalla nascita di Umberto Mastroianni, Atti del Convegno realizzato dall’Istituto Nazionale d’Arte Contemporanea, Edizioni Verso l’Arte, Cerrina, 2010.

Floriano De Santi, Le figure del fuoco. Umberto Mastroianni, Bernard Aubertin, Elio Torrieri, Lilian Rita Callegari, catalogo della rassegna al Museo Fornace Pagliero di Spineto-Castellamonte, introduzioni di Daniele Chechi, Nella Falletti, Paolo Mascheroni, Antonio Abbate e Roberto Tentoni, saggio critico di Floriano De Santi, Edizioni dell’Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, 2012.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni. Il tragico ruotare dell’universo, catalogo della mostra antologica al Centro Ceramico “Fornace Pagliero” di Castellamonte, introduzioni di Paolo Mascheroni, Antonello Iannarilli, Antonio Abbate, Beppe Pezzetto, Giuse Scalva, Ennio Rutigliano, Aldo

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni: “l’incisione è l’ombelico della mia scultura”, mostra-omaggio nell’ambito della VII Biennale dell’Incisione Italiana Contemporanea Città di Campobasso, Palladino Editore, Campobasso, 2012.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, scultore europeo, catalogo della mostra antologica al Museo del Corso di Roma, presentazione di Emmanuele Francesco Maria Emanuele, saggi critici di Floriano De Santi, Román de la Calle, Marisa Vescovo, Claudio Spadoni, Edizioni Edieuropa, Roma, 2005.

Giovanna Barbero, Umberto Mastroianni. Catalogo generale degli arazzi, introduzione di Guglielmo Monti, testi di Adriano Villata, Domenico Guzzi, Umberto Mastroianni e testimonianze di Giovanna Barbero, Floriano De Santi, Alessandro Masi, Verso l’Arte Edizioni, Edigrafital, Teramo, 2000.

Floriano De Santi, Umberto Mastroianni, catalogo della mostra antologica nel Palazzo Sansi e nella Rocca Albornoziana di Spoleto, presentazioni di Emmanuele Francesco Maria Emanuele e di Francis Menotti, saggi critici di Floriano De Santi, Román de la Calle, Marisa Vescovo, Claudio Spadoni, Edizioni Edieuropa e del Festival dei Due Mondi, Roma, 2006.

Floriano De Santi, L’arte sacra di Umberto Mastroianni, catalogo della mostra al Museo dello Splendore di Giulianova, saggio critico di Floriano De Santi, presentazioni di Giancarlo Cameli, Claudio Ruffini, Giovanni Pace, Massimo Struffi e un’intervista a Mastroianni di Sabi Caligiani, Edizioni del Museo dello Splendore, Giulianova, 2001.

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Indice

Presentazioni Don Luigi Cervellin.............................................................. Maurizio Cibrario................................................................. Fondazione CRT.................................................................. Giuliana Valenza.................................................................. Laura Mastroianni................................................................

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Storia e sacro: gli “angeli necessari� di Umberto Mastroianni di Floriano De Santi.............................................................

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Nel respiro della materia: umano e divino nell’arte di Umberto Mastroianni di Laura Mazzoli..................................................................

33

Opere di Umberto Mastroianni che dialogano con le strutture antiche di Maurizio Momo................................................................

41

Evoluzioni e trasformazioni materiche di Mastroianni rilevate durante il restauro di una sua formella di Gian Luigi Nicola.............................................................

43

Opere ..................................................................................

44

Notizie biografiche...............................................................

99

Studi monografici essenziali................................................

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Finito di stampare nel mese di marzo 2015 da Publi Paolini in Mantova


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