Stupinigi Lo splendore ritrovato del Salone Juvarriano
a cura di
Angela Griseri
I Soci: 2a, Armando Testa, Banca Fideuram, Buffetti, Burgo Group, Buzzi Unicem, C.L.N., Compagnia di San Paolo, Costruzioni Generali Gilardi, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Fenera Holding, Ferrero, Fiat Chrysler Automobiles, Fondazione CRT, Garosci, Generali Assicurazioni, Geodata, Gruppo Ferrero-Presider, Huntsman, Intesa SanPaolo, Italgas, Lavazza, Martini & Rossi, Megadyne, M. Marsiaj & C., Reply, Skf, Società Reale Mutua di Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni Fondazione Ordine Mauriziano Giovanni Zanetti, Commissario Cristiana Maccagno, Vice-commissario vicario Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Torino Luisa Papotti, Soprintendente Progetto e direzione lavori Maurizio Momo e Chiara Momo Direzione scientifica del restauro Franco Gualano, Anna Maria Bava, con Enrica Carbotta, Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Torino Coordinamento della sicurezza Roberto Baffert Consulenza strutture Valerio Rosa Coordinamento tecnico e organizzativo Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri, Consulta Restauri Laboratorio di Restauro e Analisi Persano Radelet Barbara Rinetti Restauro Opere d’Arte Grafica e Stampa L’Artistica Savigliano Le fotografie dell’inserto sono di Ernani Orcorte
È
ormai tradizione, in questo spazio cortesemente riservato alla Fondazione proprietaria, ripercorrere prima di tutto le ormai numerose tappe che segnano l’importanza degli interventi dedicati dalla Consulta di Torino alla Palazzina di Caccia, gioiello dei Tesori Mauriziani. Dopo il reimpianto dei 1700 pioppi cipressini lungo le rotte, i festosi ritratti della prima genealogia sabauda che con il cervo accolgono i visitatori nella Scuderia Juvarriana, e poi la Sala degli Scudieri, l’Anticappella e la Cappella di Sant’Uberto, ecco ora il Salone d’onore. Tappa fondamentale, questa, per rilevanza esemplare e vertiginosa bellezza del luogo. Cuore del monumento per eccellenza, nella Sala si concentra il geniale impianto juvarriano che, in assoluta direttrice dai Palazzi del governo centrale si apre all’accoglienza e ne fa dipartire, dalle uscite sugli appartamenti, i percorsi di caccia che ridisegnano il sistema del territorio della Commenda Magistrale di Stupinigi. Alla rilevanza storica e architettonica e all’originalità della struttura, nelle forme e nelle luci, si accompagna la ricchezza dei decori e degli affreschi, che l’intervento di un sapiente restauro riporta oggi all’originario splendore. Si aggiunge così – non guasta ripetere – un tassello fondamentale a quella funzione non solo espositiva, ma anche di conservazione delle memorie e di attestato delle pratiche del conservare, dall’accesso e coordinamento delle risorse, alle scelte estetiche e alle tecniche applicative, che fanno di Stupinigi, nella riaffermata funzione museale, un caso esemplare. Sempre grazie dunque alla Consulta per questa nuova testimonianza di una progressione attenta, costante e in qualche modo – se si consente – amorevole del sostegno, invero indispensabile, affidato alle mani del vero mecenate. Fondazione Ordine Mauriziano Giovanni Zanetti Cristiana Maccagno
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on le opere presentate in questo volume si aggiunge un nuovo, essenziale tassello al percorso di restauro e di valorizzazione della Palazzina di Caccia di Stupinigi, restituendo intatta l’immagine del grande Salone centrale, sulla cui ariosa geometria si fondano l’architettura dell’edificio ed il disegno del parco e dell’intorno. Al Salone pensato da Juvarra come un “luogo magnifico” di respiro teatrale, spettacolare cornice per le feste ed i balli, affidiamo oggi il compito di rappresentare e testimoniare l’impegno corale dei molti che da lungo tempo contribuiscono con fattiva concordia alla salvaguardia della Palazzina ed alla sua rinascita. Per il suo restauro, per la sua rinnovata destinazione museale hanno infatti operato, sotto l’egida attenta della Fondazione Ordine Mauriziano, sia le istituzioni del territorio, sia molti e diversi soggetti privati, il cui ruolo è ben descritto nella pagine che seguono. Se quanto vi è riportato – i dati, gli importi, i tempi – è capace di tratteggiare con efficacia l’esito felice della collaborazione istituzionale e dei gesti di liberalità, a questo occorre aggiungere un’annotazione che dia evidenza al ruolo essenziale di chi a vario titolo ha seguito e tuttora segue e promuove le attività di restauro con una dedizione personale straordinaria, quasi l’eccezionalità del luogo richiamasse ad un impegno altrettanto eccezionale. Il restauro di Stupinigi, da ultimo quello del Salone, ha offerto alle Soprintendenze (oggi riunite nella Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio) opportunità di studio e conoscenza che potranno rivelarsi fondanti per il proseguire dei restauri della Palazzina, ma anche per una più estesa riflessione sul tema del restauro; l’illustrazione delle fasi dell’intervento, strettamente connessa con la lettura dell’ornato, il resoconto delle scelte adottate mostrano come queste conseguano al confronto proficuo tra storici dell’arte, architetti e restauratori, riproducendo anche nel restauro la stretta interazione tra professionalità e maestranze che aveva governato la realizzazione del Salone. Soprintendente Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Torino Luisa Papotti
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lla fine degli anni Ottanta prendeva avvio un ambizioso progetto di restauro e riqualificazione della Palazzina di caccia di Stupinigi, che vedeva coinvolti Enti pubblici e privati quali Ordine Mauriziano, Banca CRT e Fiat, sostenuto dagli organi di tutela del Ministero per i Beni Culturali. Per molti anni, gli interventi riguardarono soprattutto opere strutturali, edili e impiantistiche, per garantire la conservazione del complesso, all’epoca molto degradato. Successivamente altri Enti, tra cui la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, affiancarono i promotori iniziali, per contribuire a migliorare anche gli aspetti di valorizzazione e fruizione della residenza da parte dei visitatori. In questo contesto si poneva l’impegno della Consulta di Torino per la Palazzina, iniziato nel 2007 con il reimpianto delle Alberate storiche, ben 1.700 pioppi cipressini collocati lungo le tre principali rotte di caccia. Continuava nel 2009 con il restauro dei dodici medaglioni lignei raffiguranti i primi conti della Genealogia sabauda, dal mitico Beroldo a Pietro, ora allestiti nella Scuderia juvarriana, e nel 2012 con il restauro della volta della Sala degli Scudieri e delle tredici tele dipinte da Vittorio Amedeo Cignaroli che raffigurano le diverse fasi della caccia al cervo. Nell’ambito delle numerose attività promosse e realizzate dalla Consulta nel biennio 2013-2014, particolare attenzione è stata dedicata al restauro dell’ambiente conosciuto come Anticappella e Cappella di Sant’Uberto, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte, intervenendo sulle boiseries, sulle tele e sull’intero apparato decorativo della Cappella, compreso il Miracolo di Sant’Uberto dipinto dal pittore di corte Vittorio Amedeo Rapous. Nel 2014 Consulta ha avviato i restauri degli apparati decorativi del Salone centrale, a completamento di precedenti interventi sulla volta affrescata, per riqualificare quello che è il fulcro della spettacolare composizione juvarriana. Ancora una volta, con questo significativo intervento che oggi inauguriamo, si è confermata la proficua capacità di collaborazione tra Enti pubblici e privati, sempre molto attenti alla salvaguardia del prezioso patrimonio culturale piemontese. Presidente Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino Maurizio Cibrario
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Sommario
Il Salone centrale della Palazzina di Caccia di Stupinigi. Interventi conservativi e alcune riflessioni . . . . . . . . . . . . Pag. 9 Anna Maria Bava e Franco Gualano
Il complesso del Salone Juvarriano . . . . . . . . . . . » 29 Chiara Momo IL SALONE JUVARRIANO
. . . . . . . . . . . . . . » 41
La Consulta di Torino per Stupinigi. La Palazzina di caccia: i restauri dagli anni Ottanta ad oggi . . . . . . . . . . . . . . » 61 Mario Verdun di Cantogno
RELAZIONI DI RESTAURO . . . . . . . . . . . . . . » 67
Il restauro delle tele e della balaustra . . . . . . . . . . . » 69 Barbara Rinetti
Il restauro degli intonaci e degli elementi lapidei . . . . . . . » 75 Galileo Persano e Thierry Radelet
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Il Salone centrale della Palazzina di Caccia di Stupinigi Interventi conservativi e alcune riflessioni Anna Maria Bava e Franco Gualano
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l Salone di Stupinigi, fulcro della Palazzina e nodo centrale delle scelte architettoniche e teatrali di Filippo Juvarra, viene inizialmente allestito tra il 1732 e il 1734, quando ha luogo un’interruzione per la Guerra di Successione polacca. Nel 1739 l’architetto messinese è ormai morto, e a Stupinigi i lavori riprendono col Prunotto e poi con Benedetto Alfieri; quest’ultimo, riesaminando la fisionomia del Salone dopo che Juvarra aveva già modificato la copertura, costituita in quel momento da leggere calotte e semibacini in struttura lignea, concepisce nel 1764 l’attuale grandioso tetto a padiglione, sorretto da una complessa orditura in legno e rivestito da lastre di rame, allusivo ad un padiglione provvisorio allestito per le battute di caccia1. Gli affreschi dell’interno, completati dai bolognesi Giuseppe e Domenico Valeriani entro il 17332, vengono collaudati da Juvarra stesso, e all’epoca delle sue scelte risalgono ancora i paracamini con gli animali cacciati del lombardo Giovanni Crivelli (1733) e la serie di 36 appliques realizzate da Giuseppe Marocco (1734). La decorazione tutta, diretta con mano sapiente dallo Juvarra, assume un respiro internazionale, tra il Salone stesso e gli adiacenti Appartamenti del Re e della Regina, con gli affreschi di Giovanni Battista Crosato e Charles André van Loo, ed è un omaggio alla politica culturale di Carlo Emanuele III e sua moglie Polissena d’Assia Rheinsfels, destinata a sostenere una difficile presa di potere3. L’interno è un itinerario sorprendente, e non poteva che esser così; c’è intanto “qualche discrasia fra la geometria spaziale tracciata dall’architetto, e la geometria segnata su superfici liscie…per fare da supporto ad affreschi”: sono stati Gabetti e Isola a notarlo, sottolineando che i finestroni “risultano in parte accecati da affreschi che invadono gli spazi predefiniti dall’architettura, per protendersi…fin dentro gli archi degli occhi luminosi, liberamente modellati ad affresco”4. E tra le sorprese emergono sia, in linea generale, quel senso del gioco che alleggerisce il fasto e la gravità del potere sia, più particolarmente, quell’articolata idea della caccia dentro la quale il duca “venator e triumphans” aveva imparato l’arte del governo5. Andreina Griseri, che a più riprese ha analizzato le pitture per il Salone, ha da ultimo sottolineato una fenomenologia della caccia da cui basterà estrarre qualche espressione per comprenderla in toto come metafora della vita: l’indispensabile ambizione e senso dell’onore, l’abilità di scegliere fra audacia e prudenza, di muoversi fra il caso e il capriccio della natura; il procedere con accortezza e inganno sapiente; il gusto serio della conquista e il piacere del gioco6. E non per nulla, 9
all’interno del Salone, per il quale contano più d’uno dei pensieri lavorati per le scenografie del teatrino del cardinal Ottoboni7, s’impone il tema della luminosità, della natura unificante, e il fondale è il giardino, il parco, e non i palazzi della città. Dunque il gioco, il teatro, la caccia e la natura sono concetti chiave per questa nuova idea di palazzo, anzi, di palazzina; non basta ancora: la Griseri ha pure rievocato, per la spazialità del Salone, l’idea della grotta, della conchiglia, nel gusto che il Settecento riscopriva nelle passate Wunderkammer per trasferirle nel teatro, nel giardino e nell’architettura8. Ed anche negli ambienti adiacenti, quello della caccia è il tema al centro di un quadro di molteplici, complementari rappresentazioni, in cui l’attività venatoria stessa viene esaminata tanto come attività reale che mitica, e inoltre proposta nei suoi contrastanti significati, analizzata in tutte le sue implicazioni e valenze. Il restauro della parte bassa del Salone9, sino all’altezza dei capitelli del primo ordine (foto 1 e 2), ma compresa la balconata con le tele, le sculture dorate e le diverse appliques, nonché alcuni brani pittorici del secondo ordine la cui condizione reclamava una certa urgenza, favorito dal completo sostegno economico della Consulta, ha consentito di riesaminare i diversi elementi, tra scene affrescate, figure mitologiche in grande, trofei in scultura e pittura, paracamini in tema, che mostrano la ricchezza iconografica davvero sorprendente della residenza, ora finalmente in uno stato maggiormente consono alla loro importanza e bellezza: le superfici affrescate sono state pulite, anche con l’eliminazione delle efflorescenze saline, consolidate, stuccate nelle piccole e grandi lacune d’intonaco, e infine integrate cromaticamente ad acquarello, per far risaltare nel salone la necessaria
1. Giuseppe e Domenico Valeriani, Salone, apertura centrale lungo l’asse est-ovest e decorazione pittorica, 1733
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2. Veduta di un settore del Salone in alzato, con articolazione spaziale e varietĂ dei temi decorativi
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3. Sommità della volta con il Trionfo di Diana
continuità di lettura, e ridare freschezza, pur senza far troppo nuovo. Le parti voltate sono state restaurate da Nicola Restauri all’epoca dei lavori del padiglione e del sottotetto (1990-1994)10. Vi si nota una summa di raffigurazioni, un vero e proprio inno alla caccia, che ha qui tutta la complessità e densità di un autentico rito, con tutti i corollari che si svolgono nelle anfrattuosità dello straordinario ambiente, animato e solare come un’architettura all’aperto. Al centro, al culmine d’uno spazio fatto con scenografiche ossature d’ininterrotta spinta verticale, senza il tamburo e la cupola tradizionali11, è il Trionfo di Diana, che appare tra le nubi al di sopra del carro celeste che sovrasta un mondo di selve e di rocce, ove sostano le compagne cacciatrici coi cani, e intorno sono medaglioni monocromi con episodi integranti del mito12 (foto 3 e 4); nelle gallerie laterali vediamo cacce di ninfe, di putti, di geni: da un lato, particolarmente suggestiva, quella con le pernici prese nella rete, dall’altro le ninfe che cercano di frecciare un pavone e geni e ninfe recano ali di insetto, quasi di farfalla, come se i due fratelli bolognesi fossero dei novelli Mantegna. Corrispondenze tematiche rispetto alle scene delle varie sale adiacenti (una ninfa corrente coi cani, due giovinette a pie’ dell’albero, ecc.) hanno fatto ritenere al Mallè13 che non si potesse probabilmente prescindere da suggerimenti di Juvarra stesso. Lacunari e pennacchi portano altre scene di caccia o putti e geni con grandi vasi e ghirlande di fiori. Grandi nicchie con figure in monocromo ci presentano Diana e Atteone (nipote di Cadmo, fondatore di Tebe), protagonisti del mito rinverdito dalle Metamorfosi, 12
4. Camera di luce con le ninfe che cacciano un pavone
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Meleagro (uno degli Argonauti) e Atalanta, che cacciarono il gran cinghiale di Calidone, mandato da Diana: figure e vicende in cui umano e divino si uniscono inestricabilmente, con rievocazioni stilistiche dalla Roma imperiale (con sottofondo grecizzante) alla Firenze manieristica. E poi ricchi fregi dorati, panoplie con strumenti di caccia; nel 1773 vi si aggiunsero marmorei busti raffiguranti Cerere, Pomona, Naiade e Napea, usciti dallo studio dei Collino14, a configurare la Palazzina come in un’Arcadia ricca di biade, frutti, fiumi e fonti: la pulitura ha oggi restituito loro tutto il fascino originario. Ma veniamo ad uno dei caratteri precipui di quegli affreschi, quel colorito un po’ sfacciato, quelle tonalità di chiaroscuro che svariano sempre allo stesso modo, quelle gradazioni scalate da cui sempre mancano tanto le note realmente profonde quanto quelle delicatamente evanescenti, come un file fotografico HDR insomma, e allo stesso modo capaci di generare immagini spettacolari oppure deludenti, spiazzanti. Il fatto è che si mirava ad un teatro di effetto tanto straordinario quanto effimero, dunque da rinnovare continuamente nella sorpresa. L’architetto non voleva probabilmente che quelle scene avessero un’eccessiva vita autonoma, staccandosi per qualità intrinseca appunto dalla prevalente funzione di scenografica figurazione dell’architettura: comandava l’equilibrio15. L’ambiente presenta una conformazione complessa16, dai mille rimandi spaziali, come tale prestantesi magnificamente anche all’effondersi delle sonorità musicali; Argan ha sottolineato il comportamento progettuale del Messinese “vivace e nervoso, tutto scatti e trovate”17; è infatti anche da notare che i piani di fondo non stanno mai fermi: per ogni fianco del Salone si aprono tre porte adducenti ad ambienti laterali, e se la porta centrale è alta fin sotto la balconata, col solo diaframma d’un fastigio architettonico-floreale, le più minute aperture laterali sono esaltate nei loro fastigi dalla profondità delle nicchie che avvolgono i busti; al piano superiore, in corrispondenza perfetta con la sottostante porta centrale, un grande arco adduce ad una sorta di camera di luce; se mancano le aperture laterali, le piccole esedre che retrostanno alle illusionistiche figure in monocromo son fatte per flettere comunque le murature. Mettendo invece a confronto i singoli sfondati delle figure mitologiche, piccole nicchie ellittiche con sculture autentiche in basso, si contrappongono in alto con più grandi nicchie illusionistiche con catino che accolgono finte sculture: l’architetto sembra scherzare con noi, senza lasciarci comprendere tutto subito; entro i grandi pennacchi, ma pure nei riquadri modanati, putti e geni portano fiori e vasi entrando e uscendo disinvoltamente dalle cornici dipinte. Alla penombra filtrata dagli arconi con fastigi del piano terra, corrisponde la luminosità delle camere di luce al primo piano e da tali camere al mattino o al pomeriggio si fa strada appunto una luce dilagante, mentre la parte di balaustra lignea dorata che le fronteggia dal lato opposto sembra sui due fianchi flettersi per meglio accoglierla. Saliamo sulla balconata (foto 5): l’imminenza quasi sconcertante delle grandi figure dipinte cede poi il posto all’osservazione minuta delle allusive panoplie con armi, strumenti musicali da caccia, stivaloni, qualche povero animale appeso 14
5. Monocromo con Diana che spruzza acqua sul capo di Atteone, facendogli spuntare le corna
per le zampe, entro cornici solo illusionistiche, ma tutto con ombre così vere da commuovere. Quasi al vertice dei pilastroni, vi sono teste decorative che sporgono in rilievo, ed entro le specchiature decorate del secondo ordine le faretre dipinte sbordano e quasi si fanno stucco modellato, oltre il bordo di detti pilastri poligonali. Sotto i finestroni dell’asse nord-sud del Salone, due grandi teste di cervo di stucco ispessito, con giganteschi palchi di corna vere, sembrano d’un tratto materializzarsi come uscendo dal muro, quasi facendoti sobbalzare: sono le più inquietanti tra le immagini di cervo della Palazzina (foto 6), e lì ad un passo dall’ovale monocromo con Atteone già sfigurato dalle corna ramificate, per un attimo paiono quasi l’emblema sinistro della fine di chi volle veder troppo. Anche a piano terra, le scanalature delle elegantissime paraste ioniche dei pilastri sono in realtà soltanto perfettamente riprodotte in pittura (come nelle altre che corrono 15
lungo i muri), ma si deve andare a toccarle per convincersene (foto 7). In complesso, l’effetto di plasticità dell’ornato diviene massimo grazie ad una serie di artifici; si finisce quasi frastornati, mai ben sicuri di quel che si è visto, ma desiderosi invece di contemplare ancora. Tale complessità di sensi, che abbiamo minimamente cercato di evocare, costituisce la magia del Salone centrale, forse anche più di quanto avrebbe potuto un pittore di grido non così calato nell’insieme dell’organismo. Ritorniamo però a guardare la balconata: la balaustra lignea che la delimita, di andamento molto capriccioso, ad alternare parti sporgenti e concavità, molto borrominiana dunque, appare di un’autografia 6. Particolare con testa di cervo modellata in spietata, tanto la sua forma è già leggibile nei pensieri per il Salone intorno al 172918; stucco con corna vere in veduta zenitale, assume la forma d’una foglia o d’un fiore quadrilobato; consta di 172 colonnine e fu eseguita da Giovanni Draconero e Francesco Raineri, di origini luganesi, come chiarito dalle istruzioni del 173219; era prevista con finitura in parte dorata e in parte grigia, ma poi Juvarra decise che “à luogho di dargli il grigio, e dorura si debba metter à oro di Germania”, come fece Francesco Fariano20 (foto 8 e 9). I restauri hanno evidenziato nei
7. Base dei pilastroni decorati con scanalature illusionistiche
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8-9. La balaustrata lignea del primo piano, prima e dopo il restauro
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balaustrini prove della finitura poi abbandonata, di cui è stata lasciata testimonianza. Essa è arricchita da numerose ventole metalliche a tre luci, che sono state pulite e integrate, e soprattutto da quattro sculture dorate, raffiguranti le stagioni, e altre quattro che introducono nella Palazzina il motivo dei mori, peculiare nell’arte barocca, tutte a loro volta recanti sul capo altri candelabri a più luci. Su tali sculture tutti gli autori hanno sinora conformemente taciuto, a parte le osservazioni del Mallè21 perché, a quanto pare, nulla viene su di esse riportato nei documenti attinenti a salone e balconata. Da una scorsa agli Inventari, dal 1776 al cosiddetto Inventario Gabrielli, effettuata con l’ausilio di Sonia Damiano, che vivamente ringraziamo, risulta che soltanto a partire dal 1926 compaiono per esse riferimenti certi22, possibile segno d’un ingresso tardo in Palazzina, a meno che in precedenza non siano state comprese tra gli arredi fissi, come parte integrante della balconata, da riscontrare dunque nei Testimoniali di Stato. I quattro mori s’inseriscono, due per parte, sui lati est e ovest della balconata, in corrispondenza dei due pilastrini più ampi (foto 10 e 11); la presenza di altre due testine di mori quasi uscenti da intagli di mensole a girali d’acanto, che sormontano grandi volute con altri motivi vegetali, poste proprio direttamente sopra il pilastrino centrale di questi due lati, potrebbe ben a ragione far pensare che tutti appartenessero al disegno d’origine della balaustra stessa, d’orbita juvarriana dunque, non si sa se tempestivamente eseguiti: ma le testine originarie potrebbero esser soltanto il motivo che convinse a sistemare il quartetto sulla balaustra, tanto più che la serie non appare ora neppur omogenea: le due figure (entrambe femminili) con la pelle più scura e le membra più atletiche, d’intaglio anche più ricco ed ambizioso, sembrerebbero maggiormente confacenti ad una fattura di quegli anni: insieme alle testine d’intaglio, potrebbero allora forse ascriversi all’operato dei luganesi Draconero e Raineri, peraltro in questo senso non altrimenti noti, ma è soltanto un’ipotesi, anche perché non sempre la prassi unificava il lavoro di minuseria, intaglio e vera e propria scultura. Le due altre sculture (la cui pelle tende al rosso) parrebbero invece manufatti più tardi, fors’anche non di poco, magari esito di integrazione dovuta a causa di forza maggiore; potrebbe trattarsi di Stagioni (estate e autunno), se non di Cerere e Bacco, stanti i simboli delle spighe e dei pampini che le caratterizzano; lo stesso comune rimaneggiamento delle basi, in tutte queste opere, indica che siamo molto probabilmente in presenza d’un riutilizzo. Le quattro Stagioni, poste sui lati nord e sud della balconata, sono poi opere molto insolite nella scultura piemontese dell’epoca23, e meno ancora sembra vi si possano rilevare i caratteri stilistici e le tracce degli autori a noi meglio conosciuti della prima metà del secolo, come ad esempio Carlo Giuseppe Plura, del quale lo Juvarra è solito servirsi per altari e più minute opere almeno a partire dal 172124 (foto 12 e 13). È peraltro evidente un carattere tipicamente genovese che rimanda a certe opere eseguite nell’orbita di Filippo Parodi, come le statue lignee dorate, anch’esse raffiguranti stagioni, conservate ad Albisola Marina, Villa Faraggiana già Durazzo25. Se il riferimento non è certo diretto come mano, lo è per la caratte18
rizzazione di figure panneggiate, ma seminude, di aperta gestualità, portanti fiori o frutti, femminili per Primavera ed Estate e maschili per Autunno e Inverno; per entrambi i gruppi, i personaggi sono in piedi su basi rocailles a foggia di concrezione rocciosa, più naturalistiche ed efficaci (quasi in metamorfosi) quelle liguri; sempre portanti candelieri poggianti sul capo, da cui doveva derivare un similare effetto luminoso sulla sciolta plastica realizzativa, e con punto di vista obbligato; di più, nell’Inverno, la stessa concezione in figura di vecchio avvolto in mantello e cappuccio, con ai piedi braciere acceso poggiante sulla base26. Si tratta peraltro di riferimento rivolto ad opere datate agli anni Sessanta del Seicento, talchè ci si può domandare se siamo addirittura in presenza di sculture più antiche della balaustrata, qui riutilizzate perché comunque ritenute idonee, o se si tratti di neosecentismo, come propende il Mallè; allo stesso Juvarra sarebbe potuto ben piacere il loro naturalismo dispiegato e coinvolgente, ma l’idea della base rocciosa a contatto col piano superiore della balaustra non pare né probabile né indovinata.
10-11. Scultura lignea portante candelabro raffigurante un Moro prima e durante il restauro
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12-13. Scultura lignea portante candelabro raffigurante l’Inverno prima e dopo il restauro
L’opinione del Mallè, che le legge “d’un barocchismo piuttosto enfatico ed esteriore… con dichiarato impaccio dell’intaglio”27, non ci vede concordi, se non per certa facilità della vena. La già dichiarata assenza di riferimenti documentari all’epoca della costruzione della cantoria legittima peraltro quesiti anche sul fatto che le statue possano esser frutto di una posteriore integrazione del salone con arredi recuperati da altre residenze28, tanto più che il restauro ha fatto emergere, nella stratigrafia delle basi una versione originaria a finto marmo, con un’attenta colorazione che vuol simulare una sontuosa venatura grigio scuro, quasi da scogliera: è impensabile che potesse esser stata scelta per manufatti che dovevano poggiare su di una balaustrata lignea; siamo dunque in presenza d’un riutilizzo che sentì il bisogno di alleggerire l’impatto dei manufatti con un grigio azzurro confacente al Settecento di Stupinigi. S’è già del resto argomentato sul fatto che, scomparso 20
Juvarra, non fossero più eseguiti i gruppi di cervi e cani che dovevano coronare le “porte schermo” del salone, e pure l’aspetto di altre decorazioni possa esserne rimasto condizionato29. Le diverse serie di sculture lignee, trattate ad oro a guazzo, con brunitura, alcune arricchite con lacche policrome, sono state ora ripulite, fissate, integrate con oro in foglia; le lacune delle mani e delle dita non hanno avuto completamenti che sarebbero risultati arbitrari30. Piuttosto vivo è il contrasto, che richiama del resto un allestimento non concomitante, con la balaustrata a “oro di Germania”, che è stata pulita, consolidata, integrata con inserti lignei e resine epossidiche e poi rifinita con uso di oro micaceo e velature ad acquerello. Ma la parte più delicata del restauro è risultato il recupero delle facce inferiori della balconata, ricoperte di tele che si presentavano in uno stato di notevole degrado (foto 14 e 15). In realtà, fin da subito i plafond in tela avevano evidenziato la loro particolare fragilità rispetto alle superfici affrescate, per la loro sensibilità alla variazione dei valori microclimatici, alla luce e alla polvere, tanto che già nel 1740, a pochi anni dalla loro realizzazione, avvenuta entro il 1733, contemporaneamente a quella dei cicli pittorici, venivano quasi interamente ridipinti ad opera di Innocente Bellavite. Ulteriori rimaneggiamenti li avevano interessati nel corso degli anni, e anche ora presentavano problematiche conservative, sia sui supporti tessili (con deformazioni, allentamenti, tagli), sia degli strati preparatori e della pellicola pittorica, con pericolosi sollevamenti, diffuse lacune, abrasioni e alterazioni cromatiche, grandi macchie e gore in tutte le tele. Il restauro è avvenuto in loco, con risultati di grande soddisfazione anche per quanto riguarda la restituzione estetica: attraverso impacchi di seppiolite è stato possibile rimuovere la quasi totalità delle macchie nere che sembravano aver compromesso per sempre la leggibilità della superficie pittorica, recuperando così in maniera sorprendente i colori e la luce originari. La nostra attenzione si posa finalmente sulle trentasei grandi ventole, disegnate da Juvarra fin dal 1733 e originariamente previste con laccatura dei fondi azzurro di Prussia e teste animali ricoperte di rame e argento; furono intagliate da Giuseppe Marocco e indorate da Giovanni Carlo Monticelli31. Potrebbe trattarsi di teste di capriolo (come attestano alcuni documenti32) più propriamente che di cervo, se guardiamo a foggia e grandezza, ma in ogni caso le grandi ventole attestano ancora la perfetta integrazione strutturale decorativa del Salone, oltre a ribadire, rivestendo pareti e pilastri, la vera e propria ossessione di temi venatori continuamente riproposti. Nei sotterranei del corpo centrale vi sono locali destinati a conservatorio delle carni e della selvaggina e corredati da contenitori del ghiaccio foderati e coperti da lamine di piombo, e sulla grande balaustra esterna svettano i mirabili trofei di pietra di Bernero e dei Collino: insomma, nella vasta regione di Stupinigi, uno dei migliori luoghi per svolgere attività venatorie, che a partire dal 1729 cresce d’importanza, con la creazione di rotte sempre più numerose, e che dal 1731 ospita la grande caccia di Sant’Uberto, dal cerimoniale più complesso della norma33, si dispiegano i riti della religione laica e nobiliare della caccia, ed il Salone centrale ne costituisce il tempio. 21
14-15. Particolare di una tela, prima e dopo il restauro
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Le ventole sono ora in corso di restauro presso il Centro di Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” con fondi della Compagnia di San Paolo. L’attenta osservazione degli oggetti e le analisi hanno consentito di rilevare numerose novità, come l’uso di materiali particolari per l’esecuzione del cosiddetto “capo d’opera” (previsto con fondi tutti ad oro e con testa animale dorata a mecca) e di rilevare in due esemplari la firma dell’indoratore, nell’ambito della bottega del Monticelli, come si verrà a precisare in pubblicazione in corso di stampa34. Chiudono i grandi camini gli otto quadri con cacciagione forniti, sempre nel 1733, dall’animalista lombardo Giovanni Crivelli, con abili notazioni realistiche e una sentita partecipazione per la dolorosa vicenda della morte, che può toccar la corte e la caccia soltanto per un attimo di malinconia: notevoli lo sguardo ormai vuoto del nobile cervo, o del capriolo, come l’immobilità che spegne la tipica espressione astuta della volpe, mentre i cani stanno in vigile accortezza o in calma soddisfazione. Che si trattasse di una scelta precisa dell’architetto messinese per il completamento decorativo sul tema venatorio viene confermato da un documento in cui il pittore risulta pagato per “otto quadri per li fornelli del salone della suddetta nuova Fabbrica convenuti dal sig. Abate Juvarra” 35. Ma qual’era stata l’impressione suscitata dal nuovo grandioso ambiente agli occhi dei contemporanei? Qualche informazione ci viene dai giudizi riportati dai visitatori di rango che nel corso del Settecento ebbero accesso alla residenza di caccia36. All’interno della Palazzina il Salone è naturalmente il luogo che colpisce maggiormente l’attenzione, anche se la sua forte teatralità e la sua architettura così complessa e innovativa vengono spesso associate a forme di bizzarria e stravaganza. Così l’incisore Charles Nicholas Cochin, custode dei disegni del Gabinetto del re di Francia e segretario dell’Accademia Reale di Pittura e Scultura di Parigi, che nel 1750 soggiorna per sedici giorni nella capitale sabauda all’inizio del suo viaggio in Italia, evidenziava la spettacolarità e la ricchezza decorativa del salone di Stupinigi ritenendola però allo stesso tempo fin troppo abbondante e sottolineandone l’irregolarità e l’eccentricità, in particolar modo nella scelta del movimento della balaustra, fino ad evocare il gusto di Meissonier37. Ben a conoscenza delle impressioni riportate dal Cochin, nel 1765 giunge a Torino Joseph-Jerôme Lalande; questi riteneva che la singolare forma della facciata mostrasse come Juvarra avesse volontariamente sacrificato tutta l’architettura al salone centrale, paragonando l’idea di fondo a quella sviluppata nel castello francese di Saint Hubert. Il salone si rivelava così l’espressione di un vero e proprio “sogno d’architetto”, troppo azzardato per un palazzo cittadino, sperimentabile e attuabile invece in una residenza di campagna38. Il grande ambiente si trasformava in una sontuosa Sala da ballo, adatta per feste e cerimonie, e in tale veste veniva utilizzata a più riprese, come in occasione delle nozze nel 1773 tra Maria Teresa, figlia di Vittorio Amedeo III, con il conte d’Artois, di cui rimane memoria negli apparati disegnati da Mario Ludovico Quarini, o più tardi, nel 1781, per il matrimonio dell’ultimogenita Marie Carole con il Principe Antonio Clemente di Sassonia, per il quale viene coinvolto il Di Robilant39. 23
Esito d’uno scherzo architettonico, fantasia bizzarra, o traduzione d’ un sogno che fosse, il salone si rivela dunque come il risultato di una serie di intenzioni ben precise, in una concezione unitaria, dove nulla appare effetto di casualità, forzato adattamento a problemi non sormontabili o frutto di seconde scelte, come sembra rivelare anche la testimonianza dei viaggiatori illustri, che ne colgono la rilevanza, l’eccezionalità e il risultato ad evidenza organico e “d’autore”, anche di là da come le personali propensioni artistiche lo facciano giudicare sul piano del risultato o della stessa legittimità.
Note 1 Gianfranco Gritella, L’edificio Stupinigi: l’architettura e il parco, in Carla Enrica Spantigati con Elisabetta Ballaira, Anna Maria Bava La Palazzina di Stupinigi, Torino 2007, p. 12. 2 Fra il 1738 e il 1740 vi furono già ripristini di Francesco Casoli e Innocente Bellavite, Gianfranco Gritella, op. cit., Torino 2007, p. 95. Nel 1776 al sommo della volta, la scena del trionfo fu rimaneggiata da Alessandro Trono, prima delle 64 giornate di lavoro fornite 1846 per ridipinture e rifacimenti vari da Paolo Emilio Morgari: su tali rimaneggiamenti e altre vicende si veda ora Stefania De Blasi, Stupinigi dalla Restaurazione all’Unità d’Italia. Manutenzione e restauri a servizio della corte, in Edith Gabrielli, La Palazzina di caccia di Stupinigi, Firenze 2014, da p. 148, e part. pp. 155-56 3 Andreina Griseri,“Aequa potestas” tra architettura e pittura, in Roberto Gabetti, Andreina Griseri Stupinigi Luogo d’Europa, Torino 1996, p. 59, con bibliografia. 4 Roberto Gabetti, Aimaro Isola, Juvarra dopo Juvarra, in Roberto Gabetti, Andreina Griseri, op. cit., Torino 1996, pp. 9-12. 5
Andreina Griseri, op. cit., Torino 1996, p.63.
Andreina Griseri, Dipingere il mito. Diana, la caccia, per il “Grand tour” illuminista, in Edith Gabrielli, op. cit., Firenze 2014, pp. 23-24. 6
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Andreina Griseri, op.cit., Torino 1966, p. 66.
Ancora Andreina Griseri, “Aequa potestas”tra architettura e pittura, in Roberto Gabetti, Andreina Griseri, op. cit., Torino 1996 p. 74. 8
9 Il restauro è dovuto al laboratorio Persano-Radelet per gli intonaci e gli apparati di illuminazione lignei e metallici, a Barbara Rinetti per la balconata lignea con le sottostanti tele dipinte. 10 Su cui si veda Maurizio Momo, Il progetto di restauro di Stupinigi, in Il progetto per interventi in edifici antichi, Teoria e Pratica, Seminario a cura di Mario Dalla Costa, Roberto Gabetti, Aimaro Isola, Torino, settembre 1991, Quaderno n. 2, Torino 1994, da p. 53.
Rudolf Wittkower, Art and architecture in Italy: 1600 to 1750, Harmondsworth 1958, trad. it. Arte e architettura in Italia 1600-1750, Torino 1972, pp. 368-69. 11
Sui rifacimenti e le manutenzioni pittoriche del Salone già in antico, si veda Stefania De Blasi, Stupinigi dalla Restaurazione all’Unità d’Italia. Manutenzione e restauri a servizio della corte, in Edith Gabrielli, op. cit., Firenze 2014, p. 155. 12
13 Luigi Mallè, Stupinigi, Un capolavoro del Settecento europeo tra Barocchetto e Classicismo, Torino 1968, p. 104. Sua la più ampia analisi del Salone, specie nel rapporto tra architettura e decorazione. 14 Michela Di Macco, Ladatte, Bernero, Collino, scultori per Stupinigi: mutamenti di sensibilità e disciplina sui modelli, in Edith Gabrielli, op. cit., Firenze 2014, pp. 103-04. 15 Andreina Griseri è tornata di recente sul concetto di aequa potestas, in Dipingere il mito. Diana, la caccia, per il “Grand tour” illuminista, in Edith Gabrielli, op. cit., Firenze 2014, p. 22. Si veda, in precedenza, Andreina Griseri, “Aequa potestas” tra architettura e pittura, in Roberto Gabetti, Andreina Griseri, op. cit., Torino 1996, p. 74. Noemi Gabrielli, Itinerario Precisazioni e aggiunte, in Noemi Gabrielli, Museo dell’Arredamento. Stupinigi La Palazzina di Caccia, Torino 1966, pp. 89-90, aveva parlato di
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“stridenti quasi sfacciati i colori, rinserrata in pesanti quadrature le figure a volte di buon disegno”; altri pesanti giudizi a p. 23. Luigi Mallè, op. cit., Torino 1968, pp. 95-98, aveva sottolineato che “non bastano, s’intende, i due Valeriani a spegnere le folgorazioni dell’inventiva juvarriana; il salone nelle sue strutture afferma incoercibile vitalità e la ricchezza di nucleo energetico…così come l’invenzione della quadratura, al di là dell’esecuzione ottusa, continua a sprigionare letificanti e melodici estri barocchetti…” . Juvarra, che a nostro avviso non può non aver ideato almeno lo schema delle quadrature e steso le istruzioni per la scelta e la gerarchia degli episodi, aveva probabilmente prefigurato anche il tipo di risultato pittorico, con scene nello spirito di decorazioni da quinte teatrali. In Andreina Griseri, Civiltà perfezionata e mestieri per il vivere in villa, in Mario Dalla Costa, Roberto Gabetti, Aimaro Isola, op. cit., Torino 1991, p. 165, si rilevava che “erano emersi i Valeriani, il Crosato, e Carlo Andrea Van Loo, in spazi ben definiti e con tre varianti chiare per l’affresco: affine al teatro, al senso del vivere in villa e ai temi della mitologia più elitaria”. Edith Gabrielli, Torino 1714-1735: Juvarra e la pittura, Juvarra e i pittori, in Edith Gabrielli, op. cit., Firenze 2014, p. 64, sottolinea che di fronte al rifiuto dei maestri di grido di trasferirsi in Piemonte, Juvarra avrebbe pescato volentieri nel bacino dei “solidi professionisti”, noti per la loro efficienza ed affidabilità, e questo rappresenterebbe la scelta dei Valeriani. Gianfranco Gritella, Stupinigi. Dal progetto di Juvarra alle premesse neoclassiche, Modena 1987,che ha analizzato la genesi del Salone in un capitolo esemplare, Il salone ellittico, pp. 85-96, ritiene che comunque la soluzione poi realizzata sia “una riduzione semplicistica delle originarie intenzioni dell’architetto (p. 85). 16
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Giulio Carlo Argan, Introduzione, in Gianfranco Gritella, op. cit., Modena 1987, p. 7.
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Si veda in Gianfranco Gritella, op. cit., Moena 1987, p. 86.
19
Ancora Gianfranco Gritella, op. cit., Modena 1987, p. 94.
20
Gianfranco Gritella, op. cit., Modena 1987, p. 95.
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Luigi Mallè, op. cit., Torino 1968, pp. 112 e sgg.
L‘Inventario topografico del 1926, dattiloscritto e annotato a mano, registra “S. Numero quattro statue legno dorato rapp.ti le quattro stagioni sorreggenti candelabro in metallo dorato a tre bracci”; “a due a due sull’asse minore sopra la Galleria” (come ancor oggi), e “N. 4 statue portacandele; scure con panneggi dorati; idem”. Si relazionano con la visione moderna dell’epoca di Telluccini, che le considera opere d’arte. Esse compaiono ugualmente anche nel cosiddetto Inventario Gabrielli (Elenco mobili ed altri oggetti esistenti nella Palazzina di Caccia di Stupinigi C75 VI.6.94, mentre non compaiono nell’Inventario del 1777 del concierge Deabbate. Tali riferimenti sono stati segnalati da Sonia Damiano. Sarebbe necessaria, per segnare un punto fermo, anche una revisione degli Inventari precedenti al 1776, e dei Testimoniali. 22
23 Il richiamo più pertinente potrebbe essere quello con le statue marmoree delle Allegorie delle Quattro Stagioni affidate a Simone Martinez, in origine (1741) pensate per la Galleria del Beaumont, ma poi finite nell’alfieriano Rondo di Venaria; sono quattro figure femminili che presentano con le nostre solo qualche genericissimo accostamento tematico, cfr. Paolo Cornaglia, 17.1-17.4, Simone Martinez, in La Reggia di Venaria e i Savoia Arte, magnificenza e storia di una corte europea, catalogo della mostra, Venaria ottobre 2007- marzo 2008, Torino 2007, vol. II, pp. 282-283. Le stagioni non sono però estranee alla raffigurazione pittorica di Stupinigi, basti pensare alla volta della Sala degli Scudieri, ora in Anna Maria Bava, Franco Gualano, Restauro, in Angela Griseri, Le cacce del re Il restauro della Sala degli Scudieri a Stupinigi, foto p. 25, e figurano anche nei repertori degli intarsi di attribuzione piffettiana, come nelle scene del doppio corpo della camera da letto del re di Stupinigi, in Roberto Antonetto, Minusieri ed ebanisti del Piemonte Storia e immagini del mobile piemontese 1636-1844, Torino 1985 pp. 304-05.
Si veda ora in Franco Gualano, Il “signor Plura scultore rarissimo”. Un luganese alla corte sabauda, in “Arte e storia”, anno 11, n. 52, ottobre 2011, Svizzeri a Torino, da p. 378. 24
Lauro Magnani, L’intaglio tra apparato e statuaria: L’idea di scultura di Filippo Parodi, in Piero BocFederica Lamera, Lauro Magnani, Ezia Gavazza, Il Seicento. Artisti e committenti nel segno del Barocco, in La scultura a Genova e in Liguria, II, dal Seicento al primo Novecento, Genova 1987, pp. 127134; foto 132-134. 25
cardo,
26 Si tratta della statua più somigliante globalmente al modello ligure, di cui non eguaglia però la finezza, mentre le due femminili risultano più accostabili per la gestualità; l’Autunno mostra una concezione agitata e dionisiaca del tutto diversa dal carattere apollineo della statua ligure, alla quale non per nulla si sente il bisogno di aggiungere il piccolo fauno.
25
27 Luigi Mallè, op. cit., Torino 1968, pp. 112-14. Secondo l’autore, le figure dei mori parrebbero d’altra mano rispetto alle Stagioni, per la trattazione più concisa e lineare, ma il meglio starebbe nelle testine su mensole. Non vediamo possibili riferimenti noti all’area cuneese, con rimandi all’ambiente di Perucca e Clemente, ma in presenza di forti limiti tecnici. 28 Le statue esibiscono, come s’è detto, caratteri affatto estranei a quelle della scultura barocca piemontese. E’ da notare che arredi di tipo ligure sono presenti in pochi esemplari nelle residenze piemontesi, fra cui alcuni negli ambienti dell’Appartamento di Madama Felicita, al piano terra di Palazzo Reale; cfr. Umberto Chierici, Rosalba Tardito Amerio, Palazzo Reale di Torino. Appartamento di Madama Felicita, Torino 1971; Maria Grazia Cerri, Gemma Cambursano, Cesare Bertana, Palazzo Reale, Torino 1979; Roberto Antonetto, op. cit., Torino 1985, p. 194, per le consoles della Camera da Parata forse su disegno di Daniel Seyter.
Nella Palazzina di Stupinigi altri arredi genericamente riferibili all’ambito ligure potrebbero essere i delfini (sempre con base rocciosa con finitura originale grigio scuro), di cui una serie di 4, dopo aver errato per diversi ambienti, è stata collocata, dopo il restauro, nella Sala da gioco; altri sono conservati in deposito. Giunti in Palazzina nel 1880, forse non a caso si trovavano allora nel Salone centrale, si cfr. ora in Anna Maria Bava, Franco Gualano, Il progetto museologico, in Edith Gabrielli, op. cit., Firenze 2014, p. 344. 29
Ancora Luigi Mallè, op. cit., Torino 1968, p. 112.
Le due sculture femminili raffiguranti mori, seppur con lineamenti tipicamente caucasici, verranno completate nell’autunno nel corso di restauri relativi a tesi di laurea del Centro di Venaria. 30
31 Noemi Gabrielli, Marita Tagliapietra Rasi, Storia e documenti, in Noemi Gabrielli, op. cit., Torino 1966, pp. 28-29. 32 Archivio Ordine Mauriziano, Inventario de’mobili esistenti nel Real Pallazzo di Stupiniggi nell’anno 1776. “Nel Salone […] Trentasei plache, cad.a a tre brachij, e testa da capriolo sopra, il tutto di bosco intagl.to, e dorato in fondo griggio” (cortese segnalazione di Sonia Damiano). I pagamenti del 1737, già riportati in Noemi Gabrielli, Marita Tagliapietra Rasi, op. cit., Torino 1966, pp. 28-29, a nome di Monticelli per le coloriture, riportavano invece “per aver fatto la testa di cervo di dette placche, con rame e argento”, dove forse l’interesse è più per lo scarico delle somme che per l’oggettivo aspetto del manufatto.
Per questi ed altri dati in proposito, si veda Pietro Passerin d’Entreves, Le cacce reali a Stupinigi: la “Saint Obert”, in Angela Griseri, Il sentimento religioso e le cacce reali. Il restauro della Cappella di Sant’Uberto a Stupinigi, Torino 2014, da p. 9. 33
34 Ringraziamo Stefania De Blasi, del Centro Conservazione e Restauro di Venaria, per le cortesi anticipazioni fornite in proposito. Il restauro si concluderà nell’autunno. 35 Si cfr., in proposito, Anna Maria Bava, Walter Canavesio, Maria Daniela Fabaro, I dipinti, in Edith Gabrielli, op. cit., Firenze 2014, da p. 285. Sui Crivelli si veda il riferimento in Andreina Griseri, Dipingere il mito. Diana, la caccia, per il “Grand tour”illuminista, in Edith Gabrielli, op. cit., Firenze 2014, p. 24, con bibliografia.
Per le notizie fornite dalle fonti locali e dai viaggiatori italiani e stranieri che visitarono la Palazzina cfr: Lucetta Levi Momigliano, La capitale del nuovo regno: gli osservatori esterni e le guide locali, in Sandra Pinto, Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice, Torino 1987, pp.129-184 e Eadem, L’immagine di Torino dal Rinascimento alla fine dell’Antico Regime nella letteratura dei viaggiatori e delle guide locali, in Giuseppe Ricuperati, Storia di Torino. Dalla città nazionale alla crisi dell’Antico Regime, 1730-1798, vol. V, Torino 2002, pp.1029-1057 (entrambi ripubblicati in Lucetta Levi Momigliano, Giuseppe Vernazza e la nascita della storia dell’arte in Piemonte, Savigliano 2004, pp. 241-300); Valentina Assandria, Chiara Gauna, Giuseppina Tetti, L’architettura descritta: viaggiatori e guide a Torino tra Sei e Settecento, in Giuseppe Dardanello, Sperimentare l’architettura. Guarini, Juvarra, Alfieri, Borra e Vittone, Torino 2001, pp. 325-345, in particolare pp. 331-332; Elisabetta Ballaira, Letture: I giudizi e le impressioni dei visitatori. Appunti di viaggio, in Carla Enrica Spantigati, op. cit., Torino 2007, pp. 78-79. 36
37 Charles-Nicolas Cochin, Vojage d’Italie, ou recueil de notes sur les Ouvrages de Peinture et de Sculpture, qu’on visite dans les principales Villes d’Italie, 3 voll., Parigi 1758, I, pp. 30-31: “Cette maison de plaisance du Roi de Sardaigne ne consiste presque qu’en un grand sallon et quelques appartemens; mais il y a des projets du comte Alfieri pour l’augmenter considérablement. Le salon présente un aspect fort riche, et tout-à-fait théâtral: il est entiérement décoré de peintures et d’ornemens, mais toujours en trop
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grande quantité, et d’un goût trop pesant. L’architecture en est fort irréguliere et extravagante, quoique riche par le muovement de la balustrade, qui tourne au premier étage, et conduit dans les appartemens. Cela est dans le goût des folies de Meyssonier”. Sull’abbondanza e la bizzarria decorative del salone cfr. anche: Saint-non, Jean-Honore’ Fragonard, Panopticon Italiano. Un diario di viaggio ritrovato 1759-1761, a cura di Pierre Rosenberg, con la collaborazione di Barbara Brejon de Lavergnée, Roma 1986, p. 1986, pp.76-77: “… le sallon principale est d’une decoration extravagante et assommante à force de Richesse”. Joseph Jerome Lalande, Voyage d’un françois en Italie, fait dans les Années 1765 et 1766, Venezia 1786, vol. I, pp. 298-299: “…la forme singulière de la façade prouve assez que Philippe Juvara, qui en a été l’architecte, a tout sacrifié pour le sallon du milieu (à-peu-près comme an France dans le château de S. Hubert); on est surpris au premier pas que l’on fait de se trouver dans ce salon, qui n’est précédé d’aucune antichambre, et dont la décoration théâtrale a l’air d’une salle de bal… On ne peut regarder ce salon que comme un caprice ou un rêve d’architecte, que l’on n’auroit pas hazardé dans un palais, mais qu’on a cru pouvoir essayer dans une maison de campagne”. Sulla forte impressione visiva che suscitava il salone si veda ancora: M. De La Roque, Voyage d’un amateur des arts, en Fiandre, dans les Pays-Bas, en Hollande, en France, en Savoye, en Italie, en Suisse, fait dans les années 1775-76-77-78, Amsterdam 1783, tomo II, pp. 40-41: “…Le Salon est ce que l’on remarque de mieux” e Giovanni Lorenzo Amedeo Grossi, Guida alle cascine, e vigne del territorio di Torino e’ suoi contorni dedicata a S.A.R. il Duca di Ciablese, Torino 17901791, vol. I, p. 155: “…vago e bizzarro palazzo, nel cui mezzo evvi uno scherzante, e sontuoso salone con otto camini”. 38
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Su tali feste cfr. a Umberto Bertagna, Le feste a Stupinigi, in “Cronache Economiche”, 3-4, 1977.
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Il complesso del Salone Juvarriano Chiara Momo
Il progetto di Filippo Juvarra
N
ella Palazzina di Caccia il progetto di Filippo Juvarra è nitidamente scandito nella distribuzione planimetrica dai fabbricati affacciati sul cortile d’onore, che hanno come fulcro centrale il Salone e come quinte laterali le grandi scuderie simmetriche. La residenza è concentrata nel nucleo centrale: in questo straordinario inviluppo spaziale, contrassegnato dal Salone ellissoidale, appena sollevato rispetto al terreno circostante, si affacciano direttamente sul parco gli Appartamenti Reali - due sale con antistante anticamera e, al piano attico, le camere dei principi, collegate dalla balconata lignea del Salone. L’accesso alle grandi scuderie rettangolari avveniva tramite due atri simmetrici, aperti con arcate non vetrate, verso il parco e la corte d’onore: da un lato collegavano le stalle regie ai Guardarnesi, ai Canili e alla Portineria, dall’altro si affacciavano sui due porticati che univano le stalle alle residenze del corpo centrale. Nell’impianto di Juvarra il porticato, poi trasformato in galleria, è il nodo distributivo del complesso, elemento di passaggio obbligato fra i due nuclei funzionali, la residenza e le scuderie. Questa distribuzione era già rappresentata nella pianta del piano terreno della Palazzina conservata al Cabinet des Estampes di Parigi1. La pianta documenta il primo progetto juvarriano per la Palazzina di Caccia, progetto illustrato da alcuni disegni, tra cui il celebre schizzo prospettico e il prospetto verso il cortile centrale della Palazzina, che taglia in sezione le due scuderie simmetriche. Per l’evolversi del progetto di Juvarra, in particolare per il Corpo centrale e il Salone, si rimanda agli studi specifici2. Il corpo centrale viene realizzato dal 1729 al 1737 nel contesto della costruzione dell’intero complesso, anche se le opere principali di finitura all’interno del Salone, di carattere più specifico, prendono corpo a partire dal 1731 e vanno concludendosi nei due anni successivi. Pertanto fra il 1731 e il 1732 tutte le fabbriche affacciate sulla Corte d’onore, Corpo centrale, Gallerie, Scuderie e Guardarnesi erano in avanzato stato di realizzazione: strutture murarie, volte, coperture, intonaci erano stati completati quasi in ogni ambiente, parte dei pavimenti erano stati posati o erano in corso di posa. Nel 1732 vengono spianate “la Prima corte entrante”, antistante alla cancellata, e la “Corte grande”, l’attuale Corte d’onore, che dava accesso al Corpo centrale e al Salone, a testimonianza che i lavori sull’esterno della fabbrica erano in gran parte ultimati. 29
Pianta al livello della balconata con individuazione dello stato di conservazione
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Il Salone ellittico L’invaso del Salone è costituito, nella parte sottostante la balconata, dalla muratura perimetrale ellissoidale traforata dalle aperture finestrate e dai vani delle porte che comunicano con gli Appartamenti Reali e dai quattro grandi pilastri a pianta mistilinea che proseguendo verso l’alto sostengono la volta del Salone. I pilastri sono legati alla muratura dell’ellissoide da archi che irrigidiscono l’insieme strutturale e contribuiscono a portare la balconata lignea. La complessa architettura dell’invaso è dettata dall’impianto compositivo di Juvarra, con l’asse rettore longitudinale, che coincide con gli affacci verso il Cortile d’onore e il giardino, gli assi della croce di Sant’Andrea che segna gli ingressi degli Appartamenti Reali e l’asse traversale che individua l’accesso alle piccole gallerie di servizio degli stessi appartamenti (guardaroba). Queste geometrie sono segnate visivamente sulle pareti dell’ellissoide da lesene disposte simmetricamente agli assi, che replicate contribuiscono a definire le quadrature decorative e, contrapponendosi binate, sottolineano la presenza degli archi che legano i pilastri alle pareti. Il modellato affrescato delle lesene ioniche dell’ordine architettonico inferiore del Salone prosegue verso l’alto a sostenere i modiglioni lignei che portano la balconata insieme agli archi in muratura collegati ai pilastri. La partitura fra lesena e lesena è ancora interrotta da una cornice (appena sagomata ma resa evidente dal dipinto ad affresco) che percorre l’ellissoide orizzontalmente a partire dall’imposta delle arcate delle grandi portefinestre e delle arcate che immettono nelle due gallerie di servizio. Queste ultime due sono decorate da un fastigio aereo posto a coronamento dell’architrave della porta sottostante, costituito da un vaso in marmo adorno di cespi di frutta. Solo al di sopra delle quattro porte che danno accesso agli Appartamenti Reali la cornice si interrompe per dar spazio alle architetture dipinte dell’architrave della porta, sormontate dalle nicchie ellittiche che ospitano i busti marmorei dei Collino. Nelle partiture laterali, in posizione simmetrica rispetto alle porte, nella muratura ellissoidale del Salone, sono posizionati otto camini in marmo bigio di Frabosa, chiusi da paracamini e sormontati da apparati decorativi dipinti a fresco: grandi vasi con mazzi di fiori, conchiglie e nella specchiatura superiore, al di sopra della cornice, putti alati su ghirlande. L’impianto compositivo dell’ordine inferiore si conclude con la balconata (loggia) del livello mansardato (primo piano) che si appoggia sui quattro pilastri che sostengono la volta e sui modiglioni incastrati nel muro ellittico. Le orditure della balconata sono tamponate inferiormente da un plafond in tela dipinta chiodato a telai lignei, appesi alle soprastanti orditure, che si estende sino alla cornice superiore dove la tela è chiodata al tavolato del pavimento. Anche i modiglioni lignei, costituiti da mensola e sottomensola, sono rivestiti Fig. 1 da tela dipinta sostenuta da una fitta listellatura chiodata su centine modellate. 31
Porzione dei dipinti murali delle pareti, del cornicione e della balaustra lignea con individuazione dello stato di conservazione
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Sopra la cornice della balconata, appoggiato e staffato alle tavole del pavimento e ai pilastri, corre il nastro sinuoso della balaustra lignea dorata, sorretta da pilastrini a sezione mistilinea, con base e cimasa modanate e pilastrini (172) in legno tornito.
Costruzione e decorazione del Salone ellittico Risalgono al 1729 le Istruzioni e i Contratti relativi ai lavori per edificare il rustico del Salone ellissoidale (murature coperture volte in plafond); ai tre anni successivi quelli per la intonacatura e la decorazione del medesimo. L’invaso del Salone è costituito principalmente dalla muratura perimetrale traforata verso il cortile d’onore e il giardino dalle aperture finestrate (e verso gli Appartamenti Reali dai vani delle porte) e dai quattro grandi pilastri che proseguendo verso l’alto sostengono al centro la copertura del Salone. La copertura in plafond è costituita da una grande volta centrale a vela, che si appoggia sugli archi che collegano in sommità i pilastri e da quattro volte perimetrali a semibacino con lunetta, raccordate tra di loro da plafond piani, sostenute sempre dai pilastri e perimetralmente dalla muratura ellissoidale. Il grande invaso è interrotto a livello del piano attico dal tracciato sinuoso della balconata, che si appoggia sui pilastri e sulla muratura perimetrale e divide l’ordine inferiore della quadratura decorativa juvarriana dall’ordine superiore. Già sul finire del 1729 risultano realizzate le strutture in elevazione del piano sotterraneo e del piano terreno del Corpo centrale e realizzate le volte sopra gli Appartamenti Reali, mentre nell’anno successivo, concluse le murature, risultano all’inizio dell’estate già posate le coperture e le gronde per cui si può dare inizio alla costruzione del plafonaggio delle volte del Salone (centinatura lignea, listellatura e intonacatura), terminato entro l’anno insieme alla realizzazione dell’orditura lignea del solaio della balconata (spesa prevista L. 2500)3. Nel 1731, dopo la posa delle soglie e dei davanzali, vengono messi in opera i telai dei serramenti, a partire dal piano terreno, essendo i serramenti del piano interrato (non coinvolti dalle decorazioni) già stati posati nell’autunno – inverno dell’anno precedente. Si può così dare inizio ai lavori per il partito decorativo del grande ellissoide secondo l’offerta fatta l’anno precedente dai fratelli Giuseppe e Domenico Valeriani, di Venezia, “…per la Pittura da farsi nel Gran Salone e Prospettiva della nuova Fabbrica di Stupinigi alla forma e mente dell’Istruttione del Sig. abbate D. Filippo Juvara Primo Architetto Civile…”4. La stretta collaborazione fra pittori e architetto, che fornisce ai pittori i disegni delle partiture e la composizione ed estensione del progetto decorativo, è ulteriormente sottolineata da un articolo della convenzione stipulata a Venezia nel febbraio del 1731 con i pittori: “Innanzi di dipingere saremo obbligati di mostrare li Disegni all’Architetto, e concertare il modo, e quantità d’ornati, che si richiede Fig. 3 in detta opera”5. 33
L’intervento di decorazione, avvenuto dopo la costruzione del ponte reale che si innalza nel Salone per un’altezza di quasi venti metri, inizia nel luglio del 1731 e ai Valeriani (ospitati stabilmente a Castelvecchio) sono affiancate squadre di intonacatori che iniziano ad operare a partire dal piano terreno. Gli intonaci sono a base di calce “dolce” e gesso e dove necessario l’impasto è integrato da polvere di marmo. L’intonacatura e la pittura a fresco (sulle stesure dipinte sono chiaramente visibili le giornate e i ripensamenti) proseguono, insieme al completamento dei lavori architettonici, come la posa di alcuni infissi del piano attico, sino ad autunno inoltrato, quando per il freddo i lavori sono sospesi. Nel 1732 Giuseppe e Domenico Valeriani concludono i lavori di decorazione del Salone, le quadrature degli ordini inferiori e superiori e i cicli pittorici incentrati sul Trionfo di Diana, collaudati da Juvarra nell’inverno e saldati all’inizio del 1733 con una rata aggiuntiva rispetto a quanto pattuito per lavori eseguiti in più rispetto a quanto convenuto in contratto. Questi lavori si riferiscono alla decorazione delle piccole gallerie laterali del Salone a piano attico e a quella dei quattro finestroni laterali del tamburo (poi sostituiti da infissi veri – ma sempre tamponati – da Alfieri), che dilatano, all’esterno, in forma illusionistica la dimensione delle aperture finestrate del Salone. Per permettere ai Valeriani di procedere nei lavori nell’estate del 1732 vengono conclusi i lavori della balconata con la costruzione, al sotto del solaio, dei plafond in tela dipinta, realizzati in tela chiodata su telaio ligneo nelle campiture piane e in tela chiodata su listelli assicurati a centine modellate in corrispondenza dei modiglioni. Prova l’avvenuta decorazione – come asserisce Gritella, a differenza di Mallè e della Tagliapietra Rasi6 – il pagamento del luglio-novembre 1732 a favore del falegname Masazza “per fare il ponte sotto la loggia del Salone per ivi fare il plafond e pittura…..e disfare li medesimi dopo fatte le pitture…”7. Pertanto la decorazione delle tele dei plafond piani (a differenza dell’attuale) risulta essere stata in origine dipinta dai Valeriani con motivi rocaille e cespi di fiori, come convenuto nei contratti e secondo quanto realizzato nei plafond piani dell’ordine superiore. Nello stesso periodo Juvarra redige le Istruzioni per la costruzione della balaustra in legno “della loggia interiormente al Salone”, affidata ai falegnami luganesi Giovanni Dragone e Francesco Raineri che la realizzano entro la fine dell’anno, appoggiandola e staffandola al tavolato del solaio. Per la colorazione della stessa Juvarra in un primo tempo sceglie che sia in parte dipinta di grigio, come i serramenti, e in parte dorata, ma in seguito opta, come da specifica istruzione, per una doratura completa da eseguire “a oro di Germania”8. Contemporaneamente Juvarra fornisce le istruzioni per dare il “Grigio à olio”9 ai “finestroni del Sallone”, da adeguarsi, come tonalità, a quello scelto dai Valeriani per le quadrature. È possibile, a questo punto, procedere alla posa del pavimento in cotto e alla messa in opera dei camini (otto “fornelli”) realizzati da Antonio Casella in “Biggio di Frabosa” e completati l’anno successivo con le tele paracamino dipinte da Giovanni Crivelli. 34
Sezione della balconata e della balaustra con indicazione dei rinforzi in ferro
Degrado delle tele dipinte del plafond della balconata. Interventi di restauro e consolidamento (1739-1740) Già negli anni successivi la relativa fragilità del Salone, o meglio, dei grandi serramenti privi di cornici aggettanti o forse anche la mancanza delle “graticelle in ottone” che proteggevano le vetrate piombate (poi posate) fu messa a dura prova dagli agenti atmosferici. Risulta dai Conti del Real Palazzo di Stupiniggi come nel settembre del 1735 una “nota tempesta” avesse causato danni gravi ai manti di copertura e ai vetri dei finestroni (che furono in gran parte sostituiti), con il probabile allagamento di parte della balconata, e come nel 1738 fossero state fatte “diverse riparazioni alle logge di bosco dipinte dai Valeriani…”10. Ma questi lavori risultarono probabilmente insufficienti se due anni dopo, nel 1740, furono promossi radicali interventi di ripristino. Tolte le tele degradate, in primo luogo, dopo la fornitura di “donzene tre di assi di rovere per li telari” del plafond, i falegnami lavorarono “giornate 228… per far li telari messi in opera sot35
to la loggia del Salone con li Modiglioni ed altri lavori per essa..”; quindi il fabbro Teppa venne pagato “per ferramenta, chiodoni e tela di Giaveno per la loggia del Salone”. Infine conclude i lavori il pittore Innocente Bellavite, pagato per diverse pitture fatte nell’anno 1740 alla “Rel Fabbrica di Stupiniggi, cioè nel Salone il plafone e modiglioni della loggia con diversi rappezzamenti”11. Contribuisce a chiarire ancora l’entità dell’intervento (e a definirne le modalità) il calcolo dei lavori riportato nel Registro Sessioni degli anni 1739-40, che specifica gli importi dei lavori effettuati sulla balconata che assommano ad un totale di L. 2964, cioè: ”Per Provisione di ferro per fare li modiglioni, e barre a mettersi da un Modiglione all’altro, Rubbi 280 4.15… L. 1330”; “Per disfacimento, e rifacimento di detta Loggia, inclusa la tela a provvedersi per il Plaffone, e Modiglioni… L. 734”; “Per la pittura di detto Plaffone, e Modiglioni… L.900”12. Pertanto i plafond piani in tela e i modiglioni (sempre rivestiti in tela) furono totalmente o, per le poche parti superstiti, parzialmente ridipinti da Innocente Bellavite. Inoltre i saggi condotti in occasione dell’intervento di restauro sull’orditura della balconata, nel tratto dove negli anni Novanta sono stati rimossi il pavimento e l’assito del solaio (nella zona centrale della balconata, sopra i finestroni affacciati sul Cortile d’onore) hanno messo in luce la presenza di due mensole in barre di ferro (sezione cm. 5,5 x 5,5) poste ai lati dei due modiglioni centrali e l’inserimento di una barra di collegamento (sempre di sezione cm. 5,5 x 5,5) fra un modiglione e l’altro. Queste mensole in ferro e la barra di collegamento di fatto contribuiscono a sostenere in buona parte l’orditura lignea che porta il pavimento. Confrontando i pesi delle barre ritrovate (kg 23,74 al metro lineare) con il peso espresso in rubbi della fornitura settecentesca (pari a circa kg 2.582), si può presumere che questo intervento sia stato esteso oltre che a tutti i modiglioni presenti nei quattro settori staticamente più a rischio della balconata, cioè quelli posti sugli assi ortogonali del Salone (per un totale di otto), forse anche ai modiglioni rimanenti, di dimensione minore. La presenza di queste armature è stata ultimamente confermata da indagini magnetoscopiche effettuate tramite pacometro13 che hanno evidenziato sotto il rivestimento in tela (e l’armatura lignea di supporto della tela) dei modiglioni l’esistenza di elementi in ferro (barre) che corrispondono al tracciato delle mensole.
Ulteriori interventi nella seconda metà del Settecento Nella seconda metà del Settecento, a completamento dell’apparato decorativo del Salone, vengono inseriti nel 1759 all’interno delle quattro nicchie ellittiche che sormontano le porte che danno accesso agli Appartamenti Reali quattro busti marmorei commissionati ai fratelli Collino, mentre tre anni dopo, nel 1762, anche le due arcate, costruite sull’asse trasversale del Salone, furono completate nella 36
Particolare della struttura del tavolato ligneo della balconata dopo lo smontaggio parziale
Ancoraggio della balaustra sul tavolato. In evidenza la barra diagonale di rinforzo in ferro
Particolare della balaustra lignea prima dell’intervento di restauro
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loro decorazione. Tema minore ma significativo, affrontato già da Juvarra in una serie di schizzi, viene risolto con un fastigio aereo posto a coronamento dell’architrave della porta sottostante, costituito da un vaso in marmo adorno di cespi di frutta. Dopo il rialzamento, su disegno di Benedetto Alfieri, del tetto del Salone, realizzato fra il 1765 e il 1766, intervento totalmente riuscito anche se i plafond e le superfici dipinte furono sottoposte a notevoli rischi, il corpo centrale assume l’attuale configurazione. Le percolazioni d’acqua, conseguenti al parziale smontaggio delle coperture e delle orditure, lasciano segni limitati, ad esclusione del distacco, al centro della volta, di un frammento dell’affresco dei Valeriani rappresentante il panneggio di Diana, fatto reintegrare prontamente da Ludovico Bo, ma che sarà in seguito mascherato dall’inserimento nella volta del grande lampadario in bronzo e cristallo che potrebbe essere stato appeso nel 1773 in occasione delle nozze di Maria Teresa di Savoia con il conte Filippo d’Artois. Le opere di allestimento degli apparati celebrativi della nozze sono affidate a Ludovico Quarini coadiuvato da Ludovico Bo. Nel Salone vengono sistemati gli addobbi e le gradinate per ospitare la corte, che viene suddivisa fra piano terra e balconata, dove è anche collocata l’orchestra. Come scrive Bo, Quarini, da architetto sperimentato, vuole essere sicuro della portata della balconata, cioè verificare se “la Galleria” (balconata) “è sicura à resistere al Mondo” (la folla) “che Sarebbe Concorso”14. Visto che Bo non conosce il sistema strutturale della stessa, avendo iniziato a lavorare a Stupinigi dal 1748, Quarini chiede che vengano effettuate le opportune verifiche e precisamente “Scoprire num° 8 modiglioni per vedere, come Son fatti e per fare assicurare la Galleria”. Non si hanno notizie del risultato dell’ispezione e se ci furono interventi specifici di consolidamento. Dall’iconografia coeva risulta che la balconata è utilizzata. È comunque interessante rilevare che gli otto modiglioni sono presumibilmente quelli collocati sui due assi ortogonali del Salone, quelli su cui convergono i carichi maggiori della balconata. Due di questi sono quelli su cui si è ora individuata la presenza di mensole di rinforzo, realizzate secondo quanto descritto nell’intervento del 1740. I sei modiglioni rimanenti potrebbero sempre, come si è visto, essere stati dotati di mensole nel 1740 oppure essere stati in qualche modo rinforzati da Quarini nel 1773, per diventare agibili al “Mondo”. Con la Restaurazione tutti i simboli del passato vengono aggiornati con il nome del nuovo re Vittorio Emanuele I. A Stupinigi vengono tra gli altri riproposti i monogrammi presenti sulla cancellata, sui cartigli all’esterno del Salone e sulle quattro grandi tele dipinte del plafond piano della balconata collocate in corrispondenza degli assi degli ingressi al Salone dalla corte d’onore, dal giardino e dagli Appartamenti Reali. Questo intervento, vista la vastità del monogramma, ha presupposto opere di adeguamento e manutenzione delle tele. 38
Successivi interventi Ulteriori opere di manutenzione (riprese delle fessurazioni e sollevamenti e distacchi in corrispondenza del giunto tra tela e intonaco, ritensionamento delle tele) si sono avvicendate nel corso dell’Ottocento e del Novecento, anche in occasione di celebrazioni o avvenimenti culturali, come quando Stupinigi, dopo essere trasferita al Demanio dello Stato nel 1919, è assegnata in uso al Ministero della Pubblica Istruzione che istituisce il Museo dell’Arredamento. Agli inizi del Novecento risalgono interventi sulle coperture della Palazzina, anche conseguenti al terremoto del 1914. In particolare Vittorio Mesturino nel 1921 dirige i lavori di restauro della copertura in rame e degli abbaini del Salone. Ritornata nel 1926 all’Ordine Mauriziano, sono documentati lavori di manutenzione e restauro (1946-1947 sino al 1953) per la riapertura della Palazzina dopo i danni subiti dall’occupazione tedesca e ulteriori interventi, anche di adeguamento impiantistico (1959-1960), per la nuova sistemazione a museo, iniziata nel 1961 con le celebrazioni dell’Unità d’Italia. A questo periodo può essere ricondotta la stesura sulla balconata del Salone di un nuovo pavimento a copertura di quello esistente degradato, il cui nuovo livello è segnato da un listello chiodato sullo zoccolo della balaustra. Il pavimento è costituito da doghe di larice dello spessore di cm. 2, lavorate a maschio e femmina, e posate su listelli di ripartizione fissati sul pavimento antico. Inoltre la rimozione di parte dell’assito del solaio avvenuta negli anni Novanta ha permesso di individuare al di sotto del pavimento recente un pavimento preesistente costituito da tavole radiali dipinte di grigio dello spessore di cm. 2,5 e larghezza cm. 18-20, chiodate su assito di ripartizione più sottile e posate sul tavolato del solaio. Nel 1963 Stupinigi è scelta come una delle tre sedi della Mostra del Barocco che sviluppa il suo percorso lungo le maniche affacciate sul cortile d’onore e ha il suo fulcro nel Salone Centrale. Dal 1988 la Palazzina è coinvolta in un progetto globale di conservazione, restauro e adeguamento funzionale per accogliere attività, culturali, artistiche, museali. Una della fasi fondamentali (1990-1994) è stata il restauro del Corpo Centrale, incentrato sulla copertura e sulla volta del Salone (conseguente allo stato molto avanzato di degrado e ai dissesti causati dalle infiltrazioni di acqua meteorica) ed esteso sino all’imposta delle volte in plafond affrescate15. A questo intervento, orientato alla conservazione e salvaguardia del bene, è seguita, nel 2004-2005, l’opera di inserimento a pavimento dell’impianto di riscaldamento a pannelli radianti, consistente anche nello smontaggio e ricollocazione del pavimento storico in cotto. L’ultimo intervento di restauro sulle pareti dell’ordine inferiore del Salone e sulla balconata si pone in continuazione con i due precedenti, nell’ottica del totale rispetto del valore storico e architettonico del manufatto e delle sue stratificazioni. Pertanto i metodi di conoscenza adottati e le successive operazioni di restauro pongono come obiettivo prioritario la conservazione fisica di tutta la materia 39
costituente l’edificio, tenendo conto del valore storico e culturale del bene in oggetto e della sua relativa fragilità. Tutti gli interventi realizzati sono indirizzati alla definizione di metodi conservativi non invasivi per la protezione dell’integrità dell’opera, assicurando all’edificio e alle sue decorazioni una adeguata conservazione nel tempo16.
Note Disegno della pianta del piano terreno pubblicato da Vera Comoli Mandracci in Andreina Griseri e Giovanni Romano, Filippo Juvarra a Torino. Nuovi progetti per la città, Torino 1989, conservato a Parigi, Bibliothéque Nationale, Cabinet des Estampes, Topographie de l’Italie, VB 132 Y, 2. 1
2 Roberto Gabetti, Andreina Griseri Stupinigi Luogo d’Europa, Torino 1996; Andreina Griseri, La Palazzina di Stupinigi, Torino 1982, Gianfranco Gritella, Stupinigi. Dal progetto di Juvarra alle premesse neoclassiche, Modena 1987, Luigi Mallè, Stupinigi. Un capolavoro del Settecento europeo tra Barocchetto e Classicismo, Torino 1968, Noemi Gabrielli, Museo dell’arredamento. Stupinigi La Palazzina di Caccia, Torino 1966. 3
Archivio Ordine Mauriziano (A.O.M.) Mazzo 14, c. 460, 1730, 20 novembre.
4
A.O.M., Reg. Sessioni, 1730 a 1733, c. 72, 1730, 10 febbraio.
5
Gianfranco Gritella, op. cit., Modena 1987, p.80.
6
Marita Tagliapietra Rasi, in Noemi Gabrielli, op. cit., Torino 1966.
7
A.O.M. Conti, 1732, 69.
8
A.O.M., Mazzo 14 c. 466.
Durante gli interventi di restauro sulla balconata è stato messo in luce un balaustrino finito in grigio, forse testimonianza delle prime intenzioni decorative. 9
10
A.O.M. Conti 1738, 40.
11
A.O.M. Conti 1740, 19-1.
12
A.O.M., Reg. Sessioni, 1739 a 1740, c 66, 1740, 16 febbraio.
Si faccia riferimento alla relazione di verifica strutturale prodotta da Valerio Rosa in seguito alle indagini magnetoscopiche eseguite dalla ditta 4emme Service Spa. 13
14
A.O.M. Stupinigi, Epistolario Bo, Mazzo 35. C. 1089, 1773.
Gli interventi sono documentati da Maurizio Momo, A partire dalla cupola: fonti per il restauro, in Roberto Gabetti, Andreina Griseri, op. cit., Torino 1996. 15
16 Il presente approfondimento, così come il progetto di restauro dell’apparato decorativo e della balconata e la direzione dei lavori, è stato condotto con Maurizio Momo, a cui si devono diversi decenni di studi e di interventi sulla Palazzina, unitamente agli Organi di tutela competenti e al coordinamento di Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri.
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Il Salone Juvarriano
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La Consulta di Torino per Stupinigi. La Palazzina di caccia: i restauri dagli anni Ottanta ad oggi Mario Verdun di Cantogno
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on questo breve testo si intende testimoniare, attraverso rapidi accenni, il percorso che ha portato alla nascita e allo sviluppo di alcune associazioni culturali che si sono impegnate nella salvaguardia dei principali beni artistici e culturali del territorio metropolitano. Viene poi approfondito in particolare il ruolo sostenuto dalla Consulta per la Valorizzazione del Beni Artistici e Culturali di Torino, all’interno del più ampio processo di riqualificazione della Palazzina di caccia in corso da molti anni. Alla metà degli anni Ottanta, era stata avviata a Torino una riflessione sulla necessità di un maggior impegno della società civile e delle imprese nel campo della conservazione e della fruizione del patrimonio architettonico ed artistico del territorio. Una circostanza favorevole era rappresentata dalla promulgazione della legge n. 512 del 1982 che assicurava incentivi fiscali per iniziative di mecenatismo mirate alla tutela e valorizzazione dei beni culturali. Le erogazioni delle imprese a favore di enti legalmente riconosciuti, potevano restare sul territorio che li aveva generati, invece di affluire alla contabilità generale dello Stato. Si invogliavano così i privati a destinare risorse economiche per i beni pubblici, potendone controllare il corretto utilizzo o addirittura gestire direttamente la realizzazione. Per avviare una concreta applicazione della legge, priva di un regolamento di attuazione, nel marzo 1985 veniva costituita l’associazione Amici dell’Arte in Piemonte con la finalità di favorire la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale della Regione. L’anno successivo prendevano avvio i primi contatti tra i rappresentanti di alcune delle più importanti imprese ed enti torinesi desiderosi di contribuire alla rinascita di Torino, idee e programmi che si concretizzarono nel 1987 con la costituzione della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino Va posta in questo contesto anche l’iniziativa della Fiat in collaborazione con la Cassa di Risparmio di Torino, sempre nel 1987, per un progetto di recupero di una delle più prestigiose realizzazioni architettoniche della committenza sabauda, la Palazzina di caccia di Stupinigi, che versava in un preoccupante stato di conservazione. Venne a tal fine costituita dall’Ordine Mauriziano, proprietario del bene, e dai due partner promotori dell’iniziativa, la Fondazione Palazzina Mauriziana di Stupinigi con la missione di salvaguardare, valorizzare e promuovere il complesso monumentale. Le linee guida dell’intervento, condiviso con gli Organi di tutela del Ministero per i Beni Culturali e il Paesaggio, tendevano al massimo rispetto del valore stori61
co e architettonico della Palazzina, senza tuttavia escludere interventi di carattere impiantistico per l’adeguamento funzionale delle aree museali. La prima fase di restauro, negli anni 1989-1990, riguardò le Scuderie di Levante, con la realizzazione di spazi adatti ad ospitare vari tipi di attività culturali, istituzionali ed espositive. La seconda fase dei lavori interessò, dal 1991, il Corpo centrale della Palazzina, fulcro dell’intero organismo dove erano e sono conservate le più significative testimonianze del pensiero juvarriano. La scelta fu imposta dall’urgenza di intervenire sulla copertura e sulla sottostante volta del Salone, caratterizzate da un preoccupante stato di degrado e dai dissesti causati dalle infiltrazioni di acqua piovana. Dopo l’intervento sulle coperture si potè operare sulla volta affrescata, consolidando gli intonaci parzialmente distaccati dal supporto ligneo, e reintegrando la superficie pittorica originale. Il restauro delle Gallerie di Levante e di Ponente, delle fabbriche delle scuderie e degli antichi canili di Ponente nel 1994-1997, e successivamente delle fabbriche delle antiche scuderie juvarriane di Levante nel periodo 2000-2002 conclusero i restauri degli edifici fronteggianti il cortile d’onore. L’entità degli interventi effettuati può essere testimoniata dai 10.000 metri quadrati di tetti restaurati, dai 1.000 metri di balaustre e coronamenti ripristinati, dagli 800 serramenti oggetto di recupero, dai chilometri di tubazioni delle reti idriche, riscaldamento, climatizzazione, antincendio ed elettriche interrate e dalle ampie centrali tecnologiche. Negli anni successivi altri Enti, oltre alla Fondazione Palazzina Mauriziana di Stupinigi, sono intervenuti a sostenere la riqualificazione del complesso: la Fondazione CRT, il Ministero per i Beni Culturali e il Paesaggio attraverso le Soprintendenze competenti, la Regione Piemonte, la Consulta di Torino e la Compagnia di San Paolo. Questa efficace partnership ha portato alla riapertura della più importante porzione del percorso museale, sviluppata nelle Gallerie e nell’Appartamento di Levante e nel Corpo centrale imperniato sul Salone. Si è trattato di integrazioni impiantistiche, elettriche e termiche, di restauro di apparati decorativi fissi e mobili, di riallestimento espositivo, di servizi di accoglienza del pubblico, di completamento di restauri esterni su scalinate, terrazzi, cancellata d’onore e facciate, di ripristino dell’impianto storico dei giardini sia del cortile d’onore e che dei parterres a mezzogiorno, di reimpianto delle alberate sul perimetro del parco recintato e sulle rotte di caccia. In questo contesto, particolare rilevanza assume la partecipazione della Consulta di Torino in diverse fasi degli interventi di restauro e valorizzazione, a partire dal 2007, con un investimento complessivo di 750.000 euro. Nel 2007 ancora non c’era certezza di una data di riapertura al pubblico della Palazzina di caccia dove erano in corso complessi interventi di riqualificazione del percorso di visita. Tuttavia tutti i soci della Consulta si trovarono d’accordo nel decidere di finanaziare il reimpianto delle Alberate storiche che connotavano il disegno territoriale legato alla caccia. 62
La messa a dimora di 1700 pioppi cipressini venne dunque decisa per restituire una adeguata immagine al complesso architettonico e naturalistico di Stupinigi, fortemente alterato dall’eliminazione di tutte le alberate, che si era reso necessario in conseguenza del loro invecchiamento e di una tempesta di vento che aveva messo in pericolo l’incolumità di persone e cose. È così oggi, a distanza di otto anni in cui i pioppi hanno avuto modo di svilupparsi significativamente, è nuovamente godibile nella sua totalità lo stretto rapporto tra gli edifici ed il paesaggio: questo infatti era uno dei più evidenti intenti della progettazione juvarriana, mirata a fondere in un’unica immagine l’architettura ed il territorio. Nel 2009 la Palazzina era ancora chiusa, ma la Consulta approvò il restauro dei dodici Medaglioni lignei raffiguranti i primi conti della Genealogia sabauda, dal mitico Beroldo a Pietro. I manufatti erano stati ritrovati anni prima abbandonati nei sotterranei della Palazzina in pessime condizioni, che mettevano a rischio la preservazione dei preziosi rilievi, e per fortuna successivamente ricoverati in adeguato magazzino che ne ha assicurato la conservazione (foto 1). Si tratta di ovali lignei di 2.00 metri di altezza per 1.65 di larghezza raffiguranti personaggi in rilievo, a mezzo busto e in diverse posizioni, sostenuti da un decoro di rami di quercia intrecciati: apparati decorativi, di evidente carattere effimero per feste e cerimonie, che la corte utilizzava con forte intento celebrativo della dinastia. Gli ovali sono attualmente esposti nella grande Scuderia di levante progettata da Juvarra, ristrutturata a fine Settecento e recentemente riallestita come ingresso aulico per l’accoglienza del pubblico in visita alla residenza, in un ambiente in cui sono anche illustrati visivamente e sinteticamente tutti gli interventi sostenuti dai diversi enti pubblici e privati precedentemente citati, nell’arco di oltre venticinque anni. Nel mese di novembre 2011, si riapriva al pubblico la Palazzina di caccia ed in particolare l’Appartamento di levante restaurato e riallestito. La Consulta celebrava questo appuntamento inaugurando il restauro, da lei promosso e sostenuto economicamente, di uno degli ambienti più rappresentativi della residenza sabauda, la Sala degli Scudieri. Venivano così restituiti alla pubblica fruizione sia il ciclo di tredici tele, dipinte da Vittorio Amedeo Cignaroli, raffiguranti le diverse fasi della caccia al cervo, che gli affreschi della volta, opera del pittore veneto Gio- 1. Maestranze Piemontesi. Medaglione raffigurante Pietro, legno, 1770-1780 van Battista Crosato (foto 2). 63
2. Sala degli Scudieri
Il ciclo delle tele illustra, con dovizia di particolari, momenti importanti di una delle attività nella vita di corte che tanto avevano colpito i visitatori inglesi che nel Settecento avevano partecipato alle caccie reali. La tecnica esecutiva è quella della pittura ad olio su tela; con la pulitura è stata recuperata la policromia originale in tutta la sua originaria freschezza. I dipinti della volta evidenziano la rigorosa osservanza della tecnica settecentesca della pittura ad affresco e si trovavano in buone condizioni conservative, salvo alcune parti deteriorate da infiltrazioni di acqua piovana. La decorazione ad olio delle boiseries delle pareti e delle porte presentava invece uno stato di conservazione non buono, e ha richiesto significativi restauri sulle deformazioni del legno di supporto e sulle alterazioni cromatiche della pellicola pittorica. Nel 2013 la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte era intervenuta a restaurare, con fondi ministeriali, la volta dell’Anticappella di Sant’Uberto che presentava gravi problemi di conservazione, a seguito di antiche infiltrazioni dagli ambienti superiori (foto 3). I fondi non erano sufficienti però a restaurare anche le boiseries e le magnifiche tele dell’apparato decorativo delle pareti, perciò Consulta si è resa disponibile a sostenere, nel 2014, questi interventi che includevano anche la piccola Cappella con il dipinto Miracolo di Sant’Uberto di Vittorio Amedeo Rapous (foto 4). Anche in questo caso si è confermata la capacità di collaborazione tra enti pubblici e privati, sensibili alla salvaguardia del patrimonio culturale, in un cantiere di notevole complessità tecnica e metodologica. La condizione conservativa era infatti particolarmente infelice, tale da mettere a rischio importanti opere d’arte, sia nella volta affrescata che nelle boiseries dipinte ad olio e nelle grandi tele raffiguranti svariati giochi di putti. Sempre nel 2014, vengono avviati gli studi per il restauro degli apparati decorativi fissi del Salone dove, molti anni prima, si era già provveduto al consolidamento 64
e al restauro della volta affrescata. In particolare si trattava di intervenire a riqualificare il fulcro della spettacolare composizione juvarriana, restaurando gli intonaci decorati delle pareti, dei pilastri e del cornicione, dei dipinti su tela, del plafond della balconata con la balaustra lignea, dei camini, dei vasi e dei busti in marmo. Dopo gli approfondimenti progettuali, portati avanti in accordo con gli Organi di tutela competenti, che hanno provveduto poi a rilasciare le autorizzazioni necessarie, si procedeva ad invitare alcune qualificate ditte, in grado di eseguire le diverse tipologie di opere, a presentare offerte competitive. Preliminarmente all’intervento di restauro si è avviata anche una fase conoscitiva mediante la realizzazione di saggi stratigrafici e analisi chimico fisiche. All’inizio del 2015, si poteva infine avviare i lavori con piena coscienza delle tematiche restaurative. Le opere venivano suddivise per tipologie omogenee ed in lotti esecutivi tali da consentire sempre un accesso, anche se parziale, al cantiere, per permettere al pubblico in visita alla Palazzina, di poter ammirare lo splendore del Salone e di apprezzare la complessità del lavoro. Dopo aver progettato e finanziato il restauro del Salone, dall’inizio del 2015 Consulta ha offerto alla Fondazione Ordine Mauriziano la propria consulenza progettuale ed organizzativa per predisporre la documentazione necessaria per proseguire i restauri nel Corpo centrale, con la prospettiva di riqualificare gli Appartamenti del Re della Regina. Esiste infatti un residuo di una erogazione liberale disposta alcuni anni fa dalla Fondazione CRT a favore della Fondazione Palazzina Mauriziana di Stupinigi, non ancora completamente utilizzata. Tra le parti si è
3. Anticappella e Cappella di Sant’Uberto
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4. Cappella di Sant’Uberto
quindi convenuto che Consulta provveda a redigere un progetto definitivo di restauro conservativo, che è ora all’esame della Soprintendenza per le Belle Arti e il Paesaggio del Comune e della Provincia di Torino. Successivamente, in base alla quantificazione dei costi globali degli interventi, da approfondire anche mediante progetti esecutivi separati dei due Appartamenti, si potranno definire i Quadri economici, individuando le risorse necessarie e le priorità di esecuzione dei lavori. In parallelo, Consulta ha stabilito di integrare questa fase dei propri interventi offrendo alla Fondazione Ordine Mauriziano un progetto, redatto a propria cura e spese, per il completamento del percorso di visita del Corpo centrale attraverso un ritorno nel piano seminterrato. Questo progetto consentirà di mettere in collegamento gli Appartamenti Reali, attraverso la pregevole scala juvarriana recentemente ristrutturata, con i locali già completati ed adibiti a servizi per il pubblico sotto l’Appartamento di levante. Si potrà così accedere alla caffetteria, attualmente ancora in attesa di essere allestita, e agli ambienti di guardaroba e ritornare, con un percorso alternativo, nella grande Galleria di ingresso da cui prende avvio il percorso di visita, separando in tal modo i flussi in entrata ed in uscita. Con questa serie di lavori e progetti integrati si potrà completare la totale fruibilità pubblica dei più importanti e magnifici ambienti del Museo della Residenza Reale. 66
Relazioni di restauro
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Lo stato di conservazione e il restauro delle tele e della balaustra Barbara Rinetti
L
a complessa decorazione del Salone fu progettata dell’architetto Filippo Juvarra nel 1727 e realizzata dalle migliori maestranze al seguito della corte sabauda. I veneziani Giuseppe e Domenico Valeriani, nel 1732 danno inizio ai lavori per il partito decorativo del grande ellissoide secondo l’offerta fatta l’anno precedente “…per la Pittura da farsi nel Gran Salone e Prospettiva della nuova Fabbrica di Stupinigi alla forma e mente dell’Istruttione del Sig. abbate D. Filippo Juvara Primo Architetto Civile…”. Juvarra fornisce ai pittori i disegni delle partiture e le composizioni. Nel 1732, conclusi i lavori della balconata, vennero realizzati al di sotto del solaio dei plafond in tela dipinta. La decorazione delle tele, a differenza dell’attuale, era dipinta con motivi rocaille e cespi di fiori. La fragilità strutturale del salone, con i serramenti privi di cornici aggettanti e forse anche per la discontinuità delle coperture, ha esposto questi manufatti, particolarmente sensibili all’umidità, ad un grave degrado, che ha causato, nei casi peggiori, la perdita di porzioni di superficie dipinta e altrove ha intaccato la stabilità, con conseguente esfoliazione e polverizzazioni dei pigmenti. Si evidenziavano estese e diffuse macchie brune causate dall’umidità penetrata nell’armatura lignea che ha veicolato il tannino del legno stesso. Pertanto nel tempo le tele sono state più volte rimaneggiate; già nel 1740 la quasi totalità dei plafond viene ridipinta da Innocente Bellavite.
Particolare di una tela dopo il restauro
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Risulta dai pagamenti anche la fornitura di assi di rovere da utilizzare probabilmente per radicali interventi di ripristino e rimozione delle tele degradate. Al primo quarto dell’Ottocento risale la ridipintura sulle tele del plafond della balconata per l’inserimento dei monogrammi reali. Questo intervento, vista la vastità del monogramma, ha presupposto opere di adeguamento e manutenzione delle tele. La complessità degli interventi a cui sono stati sottoposti i dipinti è certamente una causa del degrado dei manufatti, che apparivano notevolmente scuriti a causa dei depositi di polveri atmosferiche e dei ritocchi alterati. Le superfici piane sono vincolate perimetralmente al telaio ligneo mediante chiodatura e nella parte centrale sono assicurate tramite fascette di tessuto incollate ad assi lignee soprastanti. In corrispondenza dei modiglioni la tela è chiodata su listelli assicurati a centine modellate (TAV I-II). Le zone in corrispondenza della chiodatura perimetrale erano particolarmente danneggiate. Gli elementi metallici (molti dei quali inseriti durante interventi di manutenzione succedutisi nel tempo), a contatto con l’umidità, si erano ossidati, con estesa formazione di ruggine. La corrosione e la perdita di funzionalità dei chiodi di ancoraggio avevano provocato alterazioni cromatiche, diffuse lacerazioni e perdita di tensionamento della tela, con conseguenti deformazioni del supporto tessile, individuabili sull’intera superficie delle opere con lacerazioni, pieghe e sacche contenenti detriti. Sono stati eseguiti approfonditi test per individuare la metodologia più idonea alla loro rimozione senza compromettere la delicata superficie pittorica. È risultata efficace l’applicazione di impacco estrattivo di sepiolite (un’argilla dall’elevato potere assorbente). Nelle situazioni di deformazione e formazione di pieghe che compromettevano la conservazione del supporto tessile si è proceduto al parziale smontaggio della parte interessata, al rilascio dall’ ancoraggio, e al riposizionamento della tela.
Particolare di un modiglione prima e dopo l’applicazione dell’impacco estrattivo
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Particolari del degrado delle tele
Tela prima e dopo l’intervento di restauro
Le lacune del supporto sono state risarcite con l’inserimento d’inserti tessili affini sia per tessitura sia per titolo del filato alla tela originale, preventivamente apprettati, saldandolo alla tela originale mediante applicazione puntiforme di adesivo termoplastico (poliammide textile).
Balconata Nello stesso periodo, 1732, Juvarra redige le Istruzioni per la costruzione della balaustra in legno affidata ai falegnami luganesi Giovanni Dragone e Francesco Raineri che la realizzano entro la fine dell’anno, appoggiandola e staffandola al tavolato del solaio. Per la colorazione della stessa, Juvarra in un primo tempo sceglie che sia in parte dipinta di grigio, come i serramenti, e in parte dorata, ma in seguito opta, come da specifica istruzione, per una doratura completa da eseguire “a oro di Germania” finto oro (come risulta dalla fluorescenza a raggi X che evidenzia la presenza di rame piombo e zinco) steso direttamente sul legno senza preparazione. Il degrado della balaustra interessava gli strati di finitura e la struttura del manufatto che presentava cedimenti e sconnessioni nell’assetto che hanno portato 71
alla formazione di estese fessurazioni, anche di grandi dimensioni, in corrispondenza dei balaustrini e dei pilastrini angolari. Il restauro della balaustra ha ovviamente comportato, dapprima, l’analisi accurata dello stato di conservazione e degli ancoraggi. La restituzione della solidità e valenza estetica al manufatto ha previsto il risanamento della struttura nelle fenditure piÚ profonde e strutturali, per mezzo di applicazione di elementi di rinforzo consistenti in inserti lignei. Dopo la pulitura e la rimozione dei Balaustra, particolare dei saggi di pulitura depositi tenaci ossidati, per una corretta lettura del manufatto ed equilibratura cromatica, le lacune sono state reintegrate con nuova doratura e patinati con colori ad acquerello chimicamente stabili e protetti con cera microcristallina.
Particolare della balaustra prima, durante e dopo l’intervento di restauro
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PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGI - SALONE CENTRALE ESEMPLIFICAZIONE DELL’ANCORAGGIO DELLE TELE DIPINTE AL SOLAIO DELLA BALAUSTRA VISIONE IN PIANTA DELLA STRUTTURA TAV. I
Asole di tela incollate alle tavelle lignee
PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGI - SALONE CENTRALE ESEMPLIFICAZIONE DELL’ANCORAGGIO DELLE TELE DIPINTE AL SOLAIO DELLA BALAUSTRA VISIONE IN PIANTA DELLA STRUTTURA TAV. II
Asole di tela incollate alle tavelle lignee
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Il restauro degli intonaci e degli elementi lapidei Galileo Persano e Thierry Radelet
Stato di conservazione
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ella Palazzina di Caccia di Stupinigi, ancora oggi il Salone è il nucleo simbolico e rappresentativo, ed è infatti proprio da qui che si dipartono quattro bracci, disposti a croce di Sant’Andrea, che portano alle altre stanze dell’edificio; la sua pianta è esagonale, ma dall’esterno la forma sembra ellittica, coperta da una cupola su cui venne posata la statua in bronzo di un cervo, simbolo della Palazzina stessa. Il superiore talento di Juvarra, architetto e ideatore della struttura, emerge anche nelle scelte delle maestranze: fu proprio lui infatti a coinvolgere i migliori pittori e artigiani di fiducia che operarono in perfetta sintonia con le sue idee architettoniche. Tra questi spiccano i bolognesi Giuseppe e Domenico Valeriani, a cui venne affidato l’incarico nel 1731 della decorazione della volta e degli interni del salone. Per gli stucchi, intagli, dorature e lavori di ebanisteria in genere l’architetto si servì invece dell’eccellente manodopera locale, rinomata in tutta Europa. Purtroppo oggi (escludendo l’area superiore delle pareti dipinte e la volta del Salone, già restaurate tra il 1990 e il 1994), nonostante i vari interventi di manutenzione compiuti per arginare il più possibile i fenomeni di degrado, gran parte della decorazione era in tal modo compromessa, da pretendere un intervento di restauro necessario per riportare la magnificenza dell’impianto decorativo del Salone al suo stato originario. In particolare, le infiltrazioni di umidità e acqua, penetrate dai serramenti vecchi e da percolamenti provenienti dalla copertura, oggi risanata, hanno comportato la formazione di macchie di umidità piuttosto rilevanti e, in alcuni casi, veri e propri danni ai materiali costituenti le pareti dipinte. Gli intonaci si presentavano con un differenziato stato di conservazione; mentre la parte pittorica e decorativa risultava in buone condizioni, la zona inferiore basamentale appariva seriamente deteriorata. In particolar modo, in corrispondenza dei finestroni era possibile notare, oltre a fessurazioni e crepe, la perdita di coesione delle pellicole pittoriche e considerevoli lacune dell’intonaco. In prossimità delle aperture, inoltre, erano presenti numerose staffe metalliche e chiodi che erano stati utilizzati per raccogliere i tendaggi della sala; anche un vecchio impianto elettrico, oggi non più utilizzato, percorreva i muri del salone. La superficie pittorica delle aree decorate era caratterizzata da uno strato di deposito grigio che alterava i toni originali della colorazione. Ma ciò che più causava spiacevole sorpresa era la ridipintura delle aree basse delle pareti verticali e dei pilastri del salone. Nello spazio compreso tra la zona basamentale fino a circa 3 metri 75
a salire, la decorazione (più volte rimaneggiata probabilmente a causa di continui interventi di ripristino e manutenzione) risultativa totalmente ridipinta e aveva quindi perso, oltre alle delicate tonalità originali, la morbidezza del gioco che si andava a creare tra luci ed ombre nell’imitazione degli elementi decorativi architettonici. I quattro busti, presenti all’interno delle nicchie soprastanti le quattro porte che conducono ai corridoi per l’accesso alle altre aree della Palazzina, risultavano in buono stato di conservazione, all’infuori di un moderato strato di sporco presente sulle superfici, così come i due vasi in marmo grigio posti anch’essi sopra a due porte d’ingresso e le cornici degli otto camini.
Interventi di restauro Dopo un’ormai indispensabile campagna diagnostica, eseguita per ottenere dati necessari al riconoscimento dei materiali utilizzati nella decorazione e delle loro tipologie di degrado, è stato possibile identificare e decidere quali fossero le procedure e le metodologie da adottare per meglio affrontare le problematiche che questo intervento di restauro richiedeva. A seguito delle conclusioni ottenute grazie ai saggi stratigrafici, in cui è stato possibile identificare la composizione della pellicola pittorica, la presenza di diverse ridipinture (in particolare nelle aree basse delle decorazione) e l’entità dello strato di deposito superficiale, è stato deciso di affrontare un metodo di pulitura leggero ma efficace, con acqua demineralizzata e l’utilizzo di tamponi. Ciò ha richiesto forse l’impiego di più ore di lavoro rispetto a impacchi localizzati, ma ha altresì permesso una lavorazione accurata e precisa che ha consentito, muovendo per gradi, di eliminare le ridipinture a tempera senza compromettere gli strati originali di pellicola pittorica.
Particolare di una lesena prima e dopo il restauro
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Terminata la delicata fase di pulitura, è stato affrontato un altro problema piuttosto rilevante, che riguardava le parti basamentali del Salone. Negli anni quest’ultime erano state soggette ad innumerevoli interventi di manutenzione e riportavano numerose stuccature, talvolta grossolane, eseguite con materiali cementizi ormai non più compatibili con la malta originale. Dopo la loro eliminazione è stato quindi necessario ripristinare le lacune con nuove stuccature, utilizzando materiali il più possibile fedeli a quelli originali per granulometria e caratteristiche strutturali. L’intera decorazione poi è stata consolidata grazie all’utilizzo di un fissativo superficiale, previa sovrapposizione di carta velina giapponese che ne ha aumentato la penetrazione. In questo modo sono stati interrotti e limitati i danni provocati dal sollevamento della pellicola pittorica, che avrebbero potuto causarne il distacco e la conseguente perdita. Un’operazione non prestabilita agli inizi del cantiere, ma in seguito divenuta necessaria, è stata la rimozione di antichi elementi metallici, un tempo utilizzati per l’ancoraggio dei tessuti d’arredo, così come il vecchio sistema di impianto elettrico costituito da fili sospesi lungo i muri del Salone e ad oggi inutilizzato.
Particolare tele e balaustra dopo il restauro
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Una volta effettuata l’eliminazione dei corpi elettrici e metallici, è stato necessario stuccare i fori e le lacune lasciate sulle pareti. L’ultima fase ha interessato il risarcimento di tutte le mancanze che rendevano interrotta o incompleta la lettura dell’apparato decorativo. Per far sì che l’integrazione pittorica apparisse omogenea e non risultasse evidente oltremisura, è stato deciso di intervenire con stesure di acquerello che hanno portato ad un ottimo risultato estetico. Oggetto dell’intervento sono stati anche gli elementi lapidei della sala, in particolare i quattro busti in marmo, le cornici dei camini e due vasi con frutta di marmo grigio posti su due ingressi del Salone. Per la loro pulitura (unico intervento obbligato su questo genere di manufatti) è stato utilizzato il carbonato d’ammonio, mediante impacchi con polpa di carta e rifiniture a tampone. Dopo i lavaggi con acqua demineralizzata, il marmo ha riacquistato il suo chiaro e luminoso tono, ridonando alle sculture lo splendore di un tempo.
Particolare di un busto marmoreo prima e dopo il restauro
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Finito di stampare per i tipi de
L’Artistica Savigliano nel mese di aprile
2015