Coolclub.it - Agosto 2016

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GRATUITO Anno XIII Numero 85/86 Agosto Settembre 2016

Ogni mese un mondo di cultura in Puglia



SOMMARIO EDITORIALE - 5

CINEMA/TEATRO - 32/35

Nostalgia Canaglia

Pantaleo Rielli e Cristian Manno Giuseppe Pezzulla - Le Sorelle Marinetti

INTERVISTA - 6/11 Luca Pacilio

MUSICA - 12/25 Luigi Bruno - Luigi Mariano Gabriele Blandini - Sidewalk Cat Keep Cool - Carmen Consoli BlogFoolk - La Notte della Taranta

LIBRI - 26/31 Daniele Sidonio - Mauro Scarpa CoolibrĂŹ

Piazza Giorgio Baglivi 10 73100 Lecce Telefono: 0832303707 Cell: 3394313397 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it fb: Coolclub.it - tw: Coolclublecce Anno XIII Numero 85/86 Agosto/Settembre 2016 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Collettivo redazionale Pierpaolo Lala (Direttore responsabile), Osvaldo Piliego, Dario Goffredo, Chiara Melendugno, Antonietta Rosato, Toni Nisi, Cesare Liaci

ARTE - 36/39 La Prima Aurora - Steve McCurry Verremo Tutti Dimenticati - Mario Cresci

BLOG - 40/45 Vaffancool - Brodo di frutta Affreschi&Rinfreschi - Stanza 105 I Quaderni del senno di poi

EVENTI - 46/62 Bande a sud - Locus Festival Contronatura Festival - Cosmo Peter Hook - Damian Marlet Daniele Silvestri

Hanno collaborato a questo numero la redazione di BlogFoolk (Salvatore Esposito, Ciro de Rosa, Flavia Gervasi), Alessandra Magagnino, Giulia Maria Falzea, Lorenzo Madaro, Donpasta, Adelmo Monachese, Mauro Marino, Mino Pica, Francesco Cuna, Daniele De Luca, Francesca Santoro, Simone Coluccia, AnnaChiara Pennetta, Federica Nastasia, Jenne Marasco In copertina Peter Hook Progetto grafico e impaginazione Mr. Scipione Stampa Colazzo Srl - Corigliano d’Otranto (Le) www.colazzo.it Chiuso in redazione ricordando una bombetta famelica e una bomba infame



EDITORIALE

NOSTALGIA CANAGLIA La Puglia è la meta preferita dagli italiani. La Puglia. Prima di tutti. Incremento dopo incremento, anno dopo anno, siamo diventati (come si diceva un tempo) la California d’Europa. Che poi non ho mai capito bene cosa voglia dire. Certo, da piccolo, immaginavo che sulle spiagge ci fossero figaccioni e prosperose bagnine alla baywatch. La Puglia è la prima meta del turismo “interno” e si posiziona bene anche nella classifica degli stranieri. Eppure c’è qualcosa che non torna. L’estate porta con se i turisti e le immancabili polemiche. Che sono più o meno sempre le stesse da anni e anni. Spiagge sporche, trasporti insufficienti, parcheggio selvaggio o abusivo, lidi troppo cari, ristoratori improvvisati, troppa gente di qua, poca gente di là. I turisti vengono nonostante la Puglia o nonostante alcuni pugliesi. Nel frattempo, come ogni anno, si discute di caporalato e di raccolta di pomodori (nella Capitanata) e di angurie (nel Salento). A Rignano Garganico, dove esiste un vero e proprio ghetto che ospita i giovani lavoratori delle campagne, c’è scappato il morto per una rissa. A Nardò il nuovo tanto discusso sindaco Mellone ha bloccato il lavoro nei campi durante le ore più calde e ha cercato di migliorare la situazione abitativa nelle “baraccopoli”. Polemiche, tante polemiche anche lì. Insomma la solita Puglia e la solita estate tra eccellenze (tantissime), concerti, spiagge incontaminate, centri storici tirati a lucido e tante cose davvero brutte (aggettivo semplice ma efficace). Vieni a ballare in Puglia cantava Caparezza. E anche la star Madonna è “cascata” nel tranello. Avvistata

in un resort di lusso, sui social ha cadenzato la cronaca della sua permanenza qui (come un Gianni Morandi qualsiasi). E - la regina della danza pop - ha ballato anche la pizzica. Ci sono le prove. E ha cenato nella Melpignano che tra poche settimane ospiterà il concertone della Notte della Taranta. A proposito di polemiche. Ogni anno il festival dedicato alla tradizione musicale salentina si porta dietro tonnellate di parole. Quest’anno la Maestra Concertatrice (per la prima volta una donna) sarà Carmen Consoli. Ancora top secret gli ospiti. Ospiti che non mancheranno in giro per la Puglia. Damian Marley, su tutti, che chiuderà l’estate salentina, Daniele Silvestri, Kamasi Washington ultima chiccha di un’altra bella edizione del Locus Festival, Shunk Anansie, Vinicio Capossela, Davide Guetta, Sean Paul e Alborosie solo per fare qualche nome. E poi c’è l’incredibile avventura del Cellamare Festival. Coolclub, invece, manda in cantina la decima edizione del suo festival, il Sud Est Indipendente, con Peter Hook, nostro uomo copertina, e la sua nuova band The Light. Un viaggio nei primi due dischi dei Joy Division per ricordarci com’eravamo e come siamo. Per capire dove andiamo invece ci prendiamo una piccola pausa. Buon agosto, buona lettura, buona visione e soprattutto buon ascolto. Ci vediamo a fine settembre. (pila) Ps Qualche minuto fa è morto Guglielmo Minervini, ex assessore regionale, inventore dei Bollenti Spiriti. Direttamente e indirettamente anche noi dobbiamo molto a lui, alla sua visione e alla sua tenacia. Ciao Gu!


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non sono i soldi, ma le idee che contano Luca Pacilio ci racconta come la nascita di Youtube ha dato nuovo senso ai videoclip

a cura di OSVALDO PILIEGO Dopo l’esecuzione, la registrazione, la messa in scena sul palco, la musica arriva alla sua rappresentazione per immagini, incontra il video, diventa un piccolo film. Supera la riproduzione del musicista che esegue, la documentazione del gesto del suonare e diventa altro, interpreta la canzone, abbraccia la video arte, la performance. Diventa un prodotto autoriale, in alcuni casi con un valore a se stante. Un fenomeno, quello del videoclip che oggi più di ieri assume senso e conquista un posizione preponderante nella diffusione della musica. Tutti i dispositivi e i nuovi supporti nascono e si sviluppano a favore delle immagini e dei video. Il consumo e l’attenzione del consumatore predilige sempre di più questi formati più diretti, coinvolgenti e “meno impegnativi”. I canali stessi di diffusione, i nuovi social sono moltiplicatori incredibile di contenuti in movimento. A questo si aggiunge una vertiginosa democratizzazione dell’accesso

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alle tecnologie che ha permesso a “quasi” tutti di realizzare prodotti video in formati e qualità professionali. In questi ultimi anni questo movimento ha investito anche la Puglia creando una scena varia e interessante di giovani autori e case di produzione specializzate nella realizzazione di videoclip. Suggestionati da tutti questi input abbiamo cominciato a interrogarci sull’argomento e abbiamo incontrato un libro a chiarirci le idee. Si tratta di “I videoclip nell’era di youtube, 100 videomaker per il nuovo millennio” di Luca Pacilio edito da Bietti. Abbiamo parlato con lui del libro ma non solo. Inutile parlare ancora di liquidità della musica, di scomparsa del supporto. È arrivato il momento in cui la funzione del videoclip diventa parte integrante del prodotto discografico. È merito della diffusione di canali e supporti in grado di diffonderli, condividerli e riprodurli infinite volte. Cosa rappresenta

secondo te oggi il videoclip? Dopo aver rischiato di morire o di diventare un fenomeno marginale, il videoclip oggi, grazie al mutamento che sottolinei, quello della piattaforma attraverso la quale viene principalmente diffuso (la rete), è un linguaggio vitalissimo. Forse non è mai stato tanto in salute come adesso: continua a conservare la sua funzione promozionale, ma, in linea con le trasformazioni in cui è incorso dopo gli anni Novanta, ha assunto anche lo status di contributo creativo ulteriore che l’artista musicale offre al suo pubblico. Per comprenderlo basta guardare al modo in cui è utilizzato dalle grandi star. Prendiamo Beyoncé: il suo disco del 2013 è stato lanciato come un visual album, in cui, fin da subito, ogni canzone era abbinata a un video diretto da un grande nome del settore. Lo stesso è avvenuto con Lemonade. Anche Purpose di Justin Bieber è stato lanciato nello stesso modo.


Novanta e che si lega molto ai mutamenti intervenuti nella musica. Sempre di più c’erano pezzi musicali non legati a front artist, ma a progetti artistici di diversa natura in cui la perfomance (il canto, il ballo) che prima dominava i video, veniva a latitare (basti pensare al fenomeno dei DJ). A quel punto i videomaker hanno avuto un ruolo preponderante che prima, negli anni Ottanta, il decennio delle star che monopolizzavano lo schermo, non avevano potuto ritagliarsi. Il videomaker è diventato un autore e ha ridisegnato le coordinate del videoclip. A quel punto anche le grandi icone della musica hanno reinventato il loro ruolo e il modo di rappresentarsi.

L’immagine in generale sta cambiando la sua funzione, diventa preponderante come l’artwork dei dischi un tempo. Cosa ne pensi? Sì, e questo si riconnette a quanto ho appena detto: il lavoro sull’immagine sta rivendicando una sua marca inventiva che cammina in parallelo con la musica. Non si tratta soltanto di conferire un corredo visivo alle canzoni, si tende a creare un’opera dotata di una sua autonomia artistica. Di una sua identità. Se all’inizio i videoclip, quindi, erano un semplice accompagnamento alla musica delle band, dei contributi, in seguito hanno cominciato a esprimere altro, veicolare le mode ad esempio, definire le icone, rappresentarle. Da un po’ il videoclip è poi una forma d’ “arte” a se stante che ha definito una sua autorialità, stili differenti… È un cambiamento che è iniziato negli anni

Nel libro segnali 100 e più videomaker del nuovo millennio degni di nota per linguaggio e stile. Ci racconti il lavoro di cernita che hai fatto? Il libro è nato dalla constatazione che di tutta la videomusica degli anni successivi al 2000 non esistessero trattazioni esaustive. In particolare si continuava a discettare di alcune figure fondamentali che avevano segnato la svolta dei Novanta (Gondry, Jonze, Cunningham eccetera), come se dopo nulla fosse accaduto. In realtà negli anni Zero, sulla base della rivoluzione che quelle figure avevano determinato, si è creato un nuovo stimolante panorama e altri straordinari talenti si sono messi in luce. Ho deciso di parlarne e di tracciare una sorta di mappatura del settore un po’ più aggiornata. La selezione è stata lunghissima, eccitante e dolorosa nello stesso tempo. È stata l’occasione per rivedere tante cose straordinarie, di contattare molti di questi videomaker, di operare confronti e fare scelte, anche difficili. Alla fine la mia selezione risulta molto personale, non rifacendomi a luoghi comuni della qualità o a consolidate opinioni, ma a miei convincimenti e alla precisa volontà di dare rilievo a titoli generalmente sottovalutati. È anche accaduto che un regista mi abbia chiesto come mai avessi scelto un suo certo video e non un altro che si sarebbe aspettato. Il videoclip influenza il cinema e naturalmente il cinema entra nei videoclip. C’è uno

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scambio continuo, anche di ruoli, registi cinematografici si prestano ai videoclip e videomaker diventano registi cinematografici… Quando si opera nell’ambito dell’immagine è normale che il cinema sia un traguardo al quale si ambisca. Ogni videomaker ha un film che vorrebbe realizzare, un copione nel cassetto che sogna di tradurre in film. Alcuni ci riescono, altri no. Ma il loro confronto con il grande schermo non è detto che sia così idilliaco poiché la macchina produttiva cinematografica è molto più conservatrice e vincolante di quella del videoclip, che è un campo più libero e in cui la sperimentazione non è solo incoraggiata, ma una chiave possibile di successo del prodotto finito. Il che spiega per quale motivo tanti cineasti ogni tanto si facciano tentare dal video musicale, dalla possibilità, cioè, di cimentarsi in un ambito meno costrittivo, più fluido e in cui certe frustrazioni da set non esistono. Quali videoclip hanno segnato un cambiamento radicale nella storia della musica? Domanda da un milione di dollari! Sledgehammer di Peter Gabriel, diretto da Stephen R. Johnson è sicuramente un video-svolta. Si era negli anni Ottanta e, naturalmente, Peter Gabriel ne era il centro attrattivo e performante, ma mai come in quel caso la sua immagine veniva manipolata, diventava materia modellabile. Guar-

dandolo era impossibile non chiedersi (e io all’epoca me lo sono chiesto, e da lì ho cominciato a interessarmene sistematicamente): ma chi ha diretto questa figata? Era di Stephen R. Johnson, autore di altri capisaldi, come Road To Nowhere dei Talking Heads, per esempio. Sledgehammer ha fatto intravedere per la prima volta una strada che è stata poi percorsa nel decennio successivo, perché, con un’evidenza inedita, erano due i grandi artisti protagonisti di quel video, il musicista e il regista. Alcuni artisti più di altri hanno riconosciuto nel video un prodotto importantissimo per la diffusione della propria immagine e la propria musica. Chi sono i più rappresentativi secondo te? David Bowie e Madonna, con i loro video, hanno steso un vero e proprio manifesto sull’immagine della star e sulla sua celebrazione. Le regole di quel manifesto sono valide e applicate ancora oggi: tutte le icone contemporanee fanno riferimento a loro, consapevoli o meno. Youtube ha rivoluzionato questo pianeta, nel bene e nel male. Telegraficamente: YouTube è la ragione per la quale parliamo ancora di videoclip. È stata la sua salvezza e la sua rifondazione. Ha affrancato lo spettatore dal flusso dittatoriale


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della televisione, lo ha reso attivo nella scelta del dove, come, quando e quante volte vedere un clip. L’approccio decisamente democratico alle tecnologie permette quasi a chiunque di poter realizzare un buon prodotto, almeno dal punto di vista della qualità dell’immagine. Questo ha permesso a molti giovani autori di farsi strada, abbattendo un po’ i confini tra mainstream e indie, grandi produzioni e amatoriale. Cosa ne pensi? È così e anche in questo YouTube ha avuto un ruolo decisivo, perché ha permesso all’artefice di dribblare i filtri dei canali televisivi tematici e di proporsi in maniera diretta, senza intermediari. Questo ha finito con lo stimolare la creatività, poiché in rete più si è inventivi più si ha possibilità di essere notati e apprezzati. Lo dice anche il regista Nabil nella prefazione del mio libro: nel videoclip contemporaneo non sono i soldi, ma le idee che contano. La Puglia in questi ultimi anni è diventata una scuderia di giovani e talentuosi registi (Tiziano Russo, Gianni De Blasi, Acquasintetica, Mauro Russo, Fernando Luceri e tanti altri) e una location molto gettonata per la realizzazione di tantissimi video clip. Che idea ti sei fatto? La Puglia è un territorio da sempre attento

allo sviluppo e alla valorizzazione dell’audiovisivo e la sua vitalità sul fronte videomusicale, ulteriore esempio ed ennesima riprova, non può sorprendere. Mi pare che ci sia il tentativo di portare questo linguaggio su certe forme di espressione meno convenzionali, meno consacrate a quei topoi che hanno fatto la croce e la delizia del video italiano, e più sensibili, invece a certe istanze ed espressioni del video internazionale. Sarebbe bello se questa potesse divenire una vera e propria scena del videoclip, che fungesse da traino e ispirazione per tutto il settore nostrano. Quello della musica è un mercato in continua evoluzione, i social, le nuove piattaforme come Spotify rappresentano un nuovo scenario. Tutto cambia molto velocemente. Come credi che cambieranno i videoclip (penso ai primi esperimenti a 360°)… È difficile fare previsioni. I videoclip sono molto cambiati anche in relazione ai canali attraverso i quali sono stati diffusi. Internet ha aperto possibilità prima inimmaginabili. Per prevedere come cambieranno bisognerà capire in che direzione punteranno la tecnologia e le strategie di comunicazione. Per il momento anche gli esperimenti a 360° sono declinazioni del medesimo principio, quello dell’interazione, che si è imposto con lo sbarco del video in rete.


MUSICA

LUIGI BRUNO

In attesa del nuovo disco dei Muffx, ispirato a “L’ora di tutti” di Maria Corti arriva il primo volume della Mediterranean Psychedelic Session Chitarrista, cantante, compositore, leader dei Muffx, organizzatore di eventi e fondatore della IllSun Records, il salentino Luigi Bruno negli anni ha collaborato con importanti nomi del rock sperimentale italiano (Claudio Simonetti, Aldo Tagliapietra) e con tantissimi protagonisti della scena musicale pugliese. In attesa dell’uscita del nuovo album completamente strumentale della sua band principale, ispirato a “L’ora di tutti” di Maria Corti, Bruno è pronto per lanciare il primo volume del nuovo progetto Mediterranean Psychedelic Session. Dopo molti live in giro per l’Italia con varie formazioni (dal solo all’orchestra), feste del suono tra brani inediti e pezzi già conosciuti ma completamente rivisitati, arriva un disco (in uscita a metà settembre per Irma Records e IllSun, prodotto da Riccardo Rinaldi del Guru Studio di Bologna) apparentemente caotico. In realtà è un lavoro di sintesi. C’è dentro tutto quello che ha attraversato e continua a nutrire la musica di Bruno e un compendio del melting pop sonoro che è oggi la nostra terra: Africa, rock, balcani, tradizioni. I brani sono anche un modo per ironizzare su alcuni cliché che

caratterizzano la Puglia. Questo si unisce a un lavoro sul suono corale. Ascoltando il disco sembra di ritrovarsi al centro di una festa. «Un po’ di anni fa (forse per semplice noia) ho deciso di intraprendere un percorso di ricerca e confronto fuori dagli schemi prestabiliti o ipoteticamente “normali”, che mi potesse permettere di non snaturarmi ma allo stesso tempo di trovare un punto d’incontro spontaneo e senza forzature tra il mio linguaggio musicale e altri apparentemente distanti anni luce», sottolinea il musicista. «Ho deciso di partire dalla mia terra, dalle sue sfumature alle volte lucide e altre opache, tanto allegra quanto triste, rilassata ma anche tanto incazzata. Poi ci ho preso gusto, ho esplorato “altri sud” e così nel disco capita anche di imbattersi in una cumbia colombiana rivisitata in stile rumba gitana ed è divertente vedere che il tutto funziona allo stesso modo, forse perché al di là di ogni retorica alla fine è vero che la musica è la “lingua” universale, basta solo saperla parlare correttamente e io mi sforzo di farlo». La chitarra di Bruno è quasi una voce. Al margine della tecnica, il suo approccio allo strumento conferisce un


timbro unico, riconoscibile. «Questo è uno dei complimenti più belli che un musicista possa ricevere. Tuttavia a essere sinceri, quello che denoti non è frutto di virtù ma al contrario è il risultato di pura pigrizia. La verità è che odio profondamente la chitarra, mi sarebbe piaciuto studiare pianoforte (ma questa è un’altra storia). Essendo appunto tanto pigro da non aver avuto voglia di applicarmi su altri strumenti ho scelto di convivere e accettare di esprimermi con il mezzo ormai a me più familiare. Questa necessità ha richiesto stimoli “particolari” che mi avrebbero permesso di non abbandonare del tutto la musica. Perciò invece di perdere ore ad emulare i guitar hero mi sono cimentato a studiare e riprodurre fraseggi di fisarmonica o di strumenti a fiato piuttosto che un assolo pirotecnico di Steve Vai. Insomma roba tutt’altro che coerente col mio strumento. Suppongo che quello che alla fine è emerso come “premio di consolazione” è stata una pronuncia chitarristica insolita», scherza. Il disco, ricco di collaborazioni, è anche una sorta di censimento della scena musicale salentina. «Se intraprendi un percorso del genere la prova del nove è condividere tale viaggio con “animali” di altra specie, altrimenti sarebbe finito tutto in un inutile esercizio di accozzaglia senza senso, squallido sia dal punto di vista artistico ma ancora peggio noioso da quello umano. Mi sono guardato intorno, ho osservato, ho cercato, sempre in rapporto al progetto ho voluto tirare fuori e dentro allo stesso tempo. Nandu Popu dei Sud Sound System che “mpunna” in contesti lontani dai suoi nel primo singolo Surfinikta, ”lu tamburrieddhu” di Giancarlo Paglialunga in un ambiente rock senza forzare, la voce di Claudio Cavallo Giagnotti dei Mascarimirì come sintetizzatore umano, il genio di Mauro Tre come bassista in un brano surf, Giorgio Doveri, violinista di Officina Zoè, nella psichedelia “rurale” e la lista potrebbe andare avanti per molto tempo. Insomma nonostante tutto siamo ad una festa tra amici, la colonna sonora di una festa deve avere uno stile che non sconfini e allo stesso tempo mai ripetitiva altrimenti che festa sarebbe se il Dj mandasse in loop sempre la stessa canzone?». (O.P.)

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LA SAGRA DEL DIAVOLO COMPIE CINQUE ANNI Luigi Bruno è anche l’ideatore e l’organizzatore con Giulio Vaglio della Sagra del Diavolo, un appuntamento fisso dell’estate salentina, giunto quest’anno alla quinta edizione. La location scelta questa volta è “Masseria Lo Prieno” tra gli ulivi delle campagne di Galatone. La rassegna negli anni ha visto avvicendarsi tra gli ospiti Claudio Simonetti (Goblin), Aldo Tagliapietra (Le Orme), Vincenzo Vasi e Valeria Sturba (Ooopopoiooo), Dome La Muerte, Richard Sinclair, The Cyborgs oltre a numerosi artisti locali, fotografi, performer, e agli “insoliti personaggi” che hanno animato un’atmosfera carica di zolfo e divertimento. Sabato 20 Agosto (dalle 20 - ingresso 6 euro) spazio a mostre d’arte e di fotografia, installazioni e performance teatrali, uno strano mercatino e molto altro. Sul palco si alterneranno Mi Linda Dama, che rievocano l’antica tradizione musicale Sefardita, intrecciandola con sonorità arabe e melodie del bacino del Mediterraneo; Telepathic Dreambox, formazione tarantina entrata a pieno titolo, con il loro disco d’esordio, nella “nuova psichedelia” italiana; Ombrass, istrionica street band di fiati e non solo; Giungla, una grintosa vocalist e polistrumentista dalla popolarità in forte ascesa; La Batteria che fonde perfettamente prog e funk in un autentico, quanto attuale, suono vintage. La Sagra del Diavolo ospiterà anche la presentazione ufficiale del disco di Luigi Bruno e la Mediterranean Psychedelic Orkestra. In chiusura Jam del Diavolo e dj set con Max Nocco e le Psychocandy. Info sagradeldiavolo@gmail.com


MUSICA

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LUIGI MARIANO

Canzoni all’angolo è il nuovo disco del cantautore salentino/romano che ospita Simone Cristicchi, Mino De Santis e l’attore Neri Marcorè È quasi un biglietto da visita, un’autobiografia. “Canzoni all’angolo”, il nuovo disco di Luigi Mariano, fa una cosa semplice: ti racconta chi è Luigi Mariano. è un disco pieno di spunti, di riflessioni, di ritmo, di ricerca. Una serie di racconti che il cantautore condivide con altri artisti e amici (Simone Cristicchi, Neri Marcorè e Mino De Santis) che rendono imperdibile questa collezione di brani che comprende anche la cover (tradotta in italiano) di “The gost of Tom Joad” di Bruce Springsteen. A sei anni di distanza da “Asincrono” (2010) Mariano propone undici nuove tracce nelle quali ha riversato un lungo periodo di lavoro, riflessioni, live, emozioni. Qualche settimana fa “Canzoni all’angolo” ha ricevuto anche il Premio Lunezia Doc 2016. Poeta, cantautore, osservatore, sognatore, cantastorie. Chi è Luigi Mariano? Uno che scrive. Scrivo da quando avevo una decina di anni: racconti, pensieri, riflessioni, lettere e zibaldoni vari. Non potrei vivere diversamente. La mia è sempre stata una

scrittura molto creativa e libera, recalcitrante a eventuali direttive imposte, piuttosto anarcoide, dai ritmi del tutto personali e imprevedibili. La scrittura è dunque la forma di comunicazione, a volte anche di sfogo, che io prediligo maggiormente, con cui ho iniziato a esprimermi e a rapportarmi agli altri in modo più intimo, superando lo scoglio delle mie timidezze. è stato meraviglioso, verso i diciotto anni, trasformare e completare questa mia caratteristica, dandole un indirizzo più specifico, inserendola nella “forma canzone”, dopo aver imparato a suonare la tastiera e la chitarra, folgorato dall’amore che avevo sia per la musica che per la parola. In fondo il testo di una canzone, specie per chi (come me) gli dà un preciso valore letterario, e quindi non solo di semplice accompagnamento alla musica, è anche un piccolo racconto, una storia: sia essa composta da una carrellata di emozioni oppure da reali personaggi che compiono alcune azioni, all’interno di una trama, proprio come nei film. Io sono tutto un riflessivo, ponderato


e molto consapevole di tutto ciò che vive e sceglie, comprese le immani difficoltà che arrivano scegliendo le strade più ripide, in salita. Come definisci questo tuo nuovo lavoro? A che punto sei della tua “vita artistica”? è probabilmente un cd di pop rock cantautorale, molto più intimista del precedente. Nei brani più lenti e melodici ha, qua e là, molte venature nostalgico-evocative, con melodie senza tempo, che tratteggiano i temi, trovati al pianoforte. In quelli più energici ho invece ripescato, dalla mia memoria, la mia passione adolescenziale per il rock&roll, per Springsteen o per il blues più classico. Comunque è, soprattutto un disco di musica popolare. Tengo a precisarlo perché è una vera scelta stilistica, che mi corrisponde pienamente, e preferisco non ci siano equivoci. La mia ambizione artistica, conscia o istintuale che sia, è un po’ quella di avvicinare la qualità a un gusto popolare. La mia cifra artistica è la sincerità, spietata e totale, ho repulsione per le maschere e per le tendenze musicali modaiole, mi metto a nudo senza pudori e basta, miscelo malinconie e catarsi, sono attento a chi vive ai margini del mondo con dignità, ho sarcasmo per le ipocrisie e per la disonestà intellettuale. Tutto questo è la materia prima dei miei brani. A proposito di emozioni, partiamo dalla fine (o forse dall’inizio). Questo “Canzoni all’angolo” è dedicato a una persona importante, che non c’è più… Ho perso mio padre due anni fa, per una grave malattia: il disco è dedicato a lui. Almeno quattro brani non sarebbero mai stati scritti senza questo grave distacco e perdita, che sto ancora metabolizzando. I pallet che si vedono in copertina, appesi alla parete alle mie spalle, sono un omaggio al suo lavoro (commerciante di generi alimentari) e rappresentano le radici da cui partire, per trovare la propria strada. Li ho dipinti con i colori della musica, riscattando la sua vita fin troppo convenzionale. E, staccandomi da quella parete, ho preso la mia strada verso la chitarra.

Undici tracce e tante collaborazioni importanti. Da Simone Cristicchi a Neri Marcorè, passando per il tuo “amico” Mino De Santis. Come si sviluppa questo intreccio di mani e voci e testi? Nasce sempre tutto dall’amicizia e dalla comunanza di modi di essere e di sentire. Visto il mio pudore e la mia discrezione, farei molta fatica a coinvolgere (in miei progetti) degli artisti, per giunta famosi, senza avere già un rapporto di fiducia ben consolidato, perché non sopporto il mettere in imbarazzo nessuno. Cristicchi lo conosco bene dal 2003 e l’ho incoraggiato in ogni tappa del suo percorso, fino alla vittoria d Sanremo e alla svolta (di successo) nel teatro civile. Neri Marcorè l’ho conosciuto nel 2007 durante una mia esibizione con band in un locale romano, ma è stato soltanto alcuni anni dopo che gli ho parlato (durante una cena) di questo mio progetto del disco e della canzone in cui si poteva duettare. L’amicizia con Mino De Santis, invece, è più recente, ma ci sentiamo fratelli fin dal primo istante. Abbiamo scritto assieme il folk-reggae “L’ottimista triste”, io ci ho messo l’idea iniziale e la musica, lui ha scritto il testo: è uno dei pochi episodi ironici del disco, e ci siamo divertiti da matti, registrando il suo intervento nello studio di Marcello Zappatore. Ti fermerai nel Salento per l’estate per portare in giro il tuo nuovo disco in formazione acustica. Chi ti accompagna nei tuoi live? Sto girando il Salento a suonare fin dai primi di luglio. Sono stato ospite del concerto di presentazione del disco di Mino De Santis e del Premio Apollonio. La formazione con la quale invece mi esibisco nei miei concerti veri e propri è composta da Danilo Cacciatore al piano e ai cori e da Alessio Gaballo al basso elettrico e alla seconda chitarra. Tra i vari prossimi appuntamenti, mi piace ricordare quello dell’11 agosto nel Castello di Andrano. Tornerò invece a suonare a Roma in autunno, per continuare lungo la scia dei concerti, che mi spingerà poi a toccare varie regioni del centro nord, portandomi in giro col disco, a farlo conoscere e (spero) apprezzare nel resto d’Italia. Simone Coluccia Esco di Radio - Mondoradio

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GABRIELE BLANDINI II giovane trombettista tra Bundamove e Manu Chao Dalla piccola scuola di musica e dalla banda del suo paese, Aradeo, ai palchi di prestigiosi festival in giro per il mondo al fianco di Manu Chao. Il ventottenne Gabriele Blandini è uno dei trombettisti più promettenti e richiesti nel panorama musicale pugliese. Laureato in Biologia agroalimentare, di giorno porta avanti il laboratorio di famiglia, di notte si divide in vari progetti. «La passione per la tromba è esplosa dopo aver visto un concerto di Cesare Dell’Anna. Rimasi folgorato dal suo stile che tuttora mi condiziona molto. Mio padre gli chiese di darmi qualche lezione e da quel giorno diventai suo allievo. Sicuramente Cesare e l’esperienza dell’Albania Hotel hanno condizionato molto il mio cammino». Numerose collaborazioni importanti, concerti in giro e la partecipazione in vari dischi. «Negli ultimi anni ho avuto molta fortuna e sono riuscito a collaborare praticamente con quasi tutto l’universo musicale pugliese e non solo, diciamo che mi son trovato nel posto giusto al momento giusto, ho avuto la fortuna di registrare nei dischi di Sud Sound System, Apres La Classe, Crifiu, Carolina Bubbico, Danilo Seclì, Io te e Puccia ma anche nei dischi di Niccolò Fabi, Fedez, Rocco Hunt, Anansi, Quartiere Coffè e molti altri artisti nazionali». Esperienza centrale e continuativa di questi anni resta quella con i Bundamove. «Non vorrei essere presuntuoso ma secondo me all’interno della band suonano alcuni dei migliori musicisti che io abbia mai conosciuto. Da loro ho imparato davvero tanto, sono i più versatili in assoluto, hanno la capacità di suonare ogni genere musicale esistente con estrema facilità e ammiro molto questa capacità di salire sul palco ad accompagnare qualsiasi Mc o cantante e, senza alcuna prova, portare

a casa uno spettacolo incredibile. Abbiamo appena pubblicato Rollover, il nuovo singolo che segna il nostro ritorno alle nostre origini “funkettone” che avevamo perso negli ultimi anni. Stiamo lavorando al nuovo album che uscirà nei primi mesi del 2017». Il tuo percorso artistico ad un certo punto ha incrociato quello di Manu Chao. «Premetto che mi sento ancora un fan ma la storia che mi ha portato a lui ha dell’incredibile. Nel 2013 il Parco Gondar di Gallipoli chiude dopo anni di trattative il suo concerto. Mi sono presentato sul palco durante il loro soundcheck e sono riuscito ad avvicinare Manu e in un pessimo inglese gli ho detto: “ciao, io sono il trombettista della tua cover band, se prima o poi ti servisse un trombettista io ci sono e so già tutti i pezzi”. Lui mi ha risposto: “Ok allora stasera sei dei nostri”. è stata l’emozione più grande della mia vita. Da allora è nata un’amicizia che mi ha portato nel 2015 ad essere scritturato nel suo tour Europeo e successivamente quello in America latina». Dalla Russia alla Colombia passando per Argentina e Balcani ad oggi Gabriele ha fatto circa 50 concerti in più di 40 nazioni. «Suonare con Manu Chao non è semplicemente suonare con una star ma è molto di più. Manu è un personaggio incredibile, ha una personalità a tratti incomprensibile e per questo molto affascinante. Mi ha insegnato sicuramente che si può essere umili ed educati anche se sei un divo con milioni di dischi venduti, che si deve sempre essere disponibili e gentili con chi viene a vederti. Tutta la band si comporta con incredibile normalità. Molti artisti che ho conosciuto dovrebbero andare a “lezione di umiltà” da lui». Simone Coluccia Esco di Radio - Mondoradio


Steve McCurry iconS

otranto castello aragonese

19giugno 2ottobre2016 mostra promossa da

cittĂ di otranto

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IL PROGETTO SIDEWALK CAT E STEFANO RIELLI CONQUISTANO IL TUSCIA IN JAZZ Il Tuscia in Jazz, giunto alla sua undicesima edizione e da sempre trampolino di lancio di nuovi talenti, parla decisamente salentino. Nonostante la recentissima formazione (aprile 2016) il primo posto è andato ai Sidewalk Cat. Scelti all’unanimità dalla giuria internazionale composta da Lenny White, Cyrus Chestnut, Buster Williams, Rosario Giuliani, Aldo Bassi, Elisabetta Antonini, Fabio Zeppetella si preparano ad incidere il loro primo cd live proprio nell’ambito della prossima edizione del Tuscia in Jazz. I Sidewalk Cat sono un progetto inedito nato tra le mura domestiche leccesi dall’incontro tra alcuni giovani musicisti: Marco Papadia (chitarrista ed autore delle composizioni) Sofia Romano (voce - nella foto a destra) Filippo Galbiati (piano) e, poi, completato dalla ritmica di Andrea Esperti (contrabbasso) e di Giovanni Martella (batteria). Il progetto è caratterizzato da sonorità moderne, dal gusto europeo e dalle tinte ora delicate ed evanescenti, ora decise e violente. Il nome, traducibile con “gatto randagio” è ricordo dei primi passi mossi da Marco e Sofia nel contesto dell’arte di strada leccese. Altra nota di merito per la musica salentina il premio al contrabbassista Stefano Rielli come miglior musicista. Diplomato in contrabbasso al conservatorio di Lecce e in musica jazz a Parma, Rielli fa parte del trio Karabà (Alessandro Casciaro, piano e composizione, e Alberto Stefanizzi, batteria) che si è classificato al secondo posto.

TUTTI I VINCITORI DEL PREMIO NAZIONALE FOLK Sleego, Hosteria di Giò, N’Espiral, Sancto Ianne e La Sornette sono i gruppi vincitori del Premio Nazionale Folk. Il concorso dedicato alla musica folk e alla world music italiana, promosso da “Li Ucci Festival” di Cutrofiano, in provincia di Lecce, dal “Meeting degli Indipendenti” di Faenza e dalla Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli ha subito coinvolto altri festival italiani: “Musica Nelle Aie” di Castel Raniero (Ra), “Umbria Folk Festival” di Orvieto (Tr), “Taranta Sicily Fest” di Scicli (Rg) e Ande Bali e Cante di Rovigo. Ai gruppi vincitori nelle varie categorie sarà data la possibilità di esibirsi durante il Festival di Musica Popolare di Forlimpopoli (26 e 27 agosto), Li Ucci Festival (dall’11 al 17 settembre) e il Mei (dal 23 al 25 settembre). Info su liuccifestival.it e meiweb.it


KEEP COOL - Dall’Italia e dal mondo a cura di OSVALDO PILIEGO Michael Kiwanuka Love & hate Polydor Un grande ritorno quello di Michael Kiwanuka. Accolto qualche anno fa come la nuova voce del soul inglese (ricorderete tutti il singolo “Home Again”) si affranca dal rischio di diventare una fabbrica di tormentoni da spot televisivi. Si affianca alle mani preziose di Danger Mouse che ricostruisce il suono di questo artista spingendolo in una dimensione nuova che ondeggia sensualmente tra Isaac Hayes e Marvin Gaye. Un disco liberatorio fatto canzoni lunghe come viaggi.

Ryley Walker Golden sings that have been sung Dead Oceans è considerato tra i giovani cantautori più interessanti del momento. Riesce a mettere d’accordo i puristi del folk e i virtuosi del genere. Parlando di lui hanno scomodato album e artisti apparentemente intoccabili. “Astral weeks” di Van Morrison per la preziosità degli arrangiamenti e Nick Drake per la vena fortemente intimista. Tutti riferimenti che lo proiettano in un limbo musicale anni settanta, una bolla in cui la sua musica si libra su tappeti jazz, cerca di raggiungere nuove altezze, dimenticando forse, ogni tanto che la bellezza è nelle cose semplici.

Parquet Courts Human performance Rough trade Ho un debito sentimentale con i Pavement, ogni volta che ritrovo qualcosa di Stephen Malkmus in una nuova band sviluppo un senso di appartenenza quasi tribale. Perfettamente a loro agio nel percorrere traiettorie musicali sbilenche i Parquet Courts sono cresciuti all’ombra dei Velvet Underground, sono andati a scuola dai Sonic Youth, hanno imparato la lezione di Wire e fatto bisboccia con gli Strokes. Nonostante tutto questo hanno proclamato una loro indipendenza stilistica che attraversa la storia del rock e diventa contemporanea.


Yak Alas Salvation Octopus, Kobalt Label Services Giusto per non dimenticare che l’Inghilterra è sempre la patria dei Sex Pistols arriva questo power trio a fare un po’ di rumore. Una carica garage e noise come non si sentiva da tempo, un motore a due tempi, capace di grandi sfuriate e di ballate lisergiche. Il suono è abrasivo, saturo, l’approccio quasi naif come gli Stooges degli esordi. Solo sostanza, minimalismo rock, bando alle finezze, il disco come direbbe Brian Eno è pieno di “errori felici”, quelli che allontanano dalla perfezione delle macchine e ci ricordano di essere umani.

Elza Soares A Mulher do Fim do Mundo Circus Un disco un po’ strano per questa rubrica. Ai malinconici come me non può non piacere la musica brasiliana, il tropicalismo, una visione romantica ed erotica di quei luoghi. Ed Elza Soares era una delle voci che ci hanno cantato quel mondo. Fino a questo disco che sceglie di raccontarci l’altro Brasile, quello ferito, quello tradito, violentato. Elza lo fa a 79 anni con un album di inediti, una voce roca e un impianto musicale rock, dissonante, punk, rumoroso, frenetico e sporco come le storie e i luoghi che racconta.

Air Twentyears Warner Music Volano gli anni, venti sono tanti. Anniversario importante per gli Air, nati nel 1996 appunto ma consegnati alla storia due anni dopo con l’indimenticabile “Sexy Boy”. Il resto della storia è una collezione di album quasi tutti impeccabili. Il tocco francese lo chiamano, lezione di eleganza per il mondo intero, riproposta di una visione cinematica della musica. Il disco non è solo una collezione dei brani più famosi ma anche un archivio di chicche per collezionisti (le collaborazioni con Jarvis Cocker, Charlotte Gainsbourg, Francoise Hardy) e un paio di inediti.

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CARMEN CONSOLI

La cantantessa in cattedra all’Università del Salento per parlare della sua “Notte della Taranta” Che Carmen Consoli fosse così a suo agio nei panni di oratrice in un’aula universitaria non è forse risaputo ai più. Eppure la raffinata cantantessa catanese, Maestra concertatrice della diciannovesima edizione de La Notte della Taranta, lo scorso 22 luglio ha intrattenuto gli studenti dell’Università del Salento imbastendo una lectio appassionata e ricca di spunti sul mestiere della musica. Si è presentata puntuale nell’aula magna dell’ateneo salentino al cospetto di un folto uditorio di studenti, con fare umile e cordiale, con un’attitudine naturale al rispetto di qualsiasi pubblico. È entrata nel discorso in punta di piedi, ma ha disquisito di musica con profonda consapevolezza, con spirito critico e con lo slancio civile che la contraddistingue. Sì perché, analizzare le dinamiche della creazione e della distribuzione del prodotto musicale oggi in Italia può essere al tempo stesso un garbato, ma incisivo discorso civile. Un discorso civile, e quindi per definizione appassionato, che Carmen Consoli ha sapientemente articola-

to percorrendo tematiche di grande attualità: il tempo, la creazione artistica e l’etica del musicista. E poi, il suo personale rapporto con La Notte della Taranta, con il Salento e qualche considerazione a caldo sulla sua esperienza in corso di maestra concertatrice del più grande festival italiano di world music. Il tempo “Per lavorare bene ci vuole tempo e passione”, questo è in qualche modo il leitmotiv dell’allocuzione della cantantessa. E il tempo è la parola chiave che l’artista catanese declina nelle plurime accezioni del termine, senza dimenticare il tempo musicale. Allora, il lavoro artistico concepito come dedizione che richiede tempo non è che una pubblica dichiarazione etica. Una critica incisiva ma educata alla “civiltà dello spettacolo” dove l’arte è una merce di consumo e una canzone un prodotto che deve funzionare. E così la cantantessa si fa storica della musica popular e ricorda, per averne fatto esperien-


za, che negli anni novanta dettava legge il pensiero unico de “il pezzo deve girare”, secondo la filosofia pop dei discografici di allora con spiccato accento milanese. Oggi il pezzo deve andare in radio – aggiunge – e allora deve rispondere a una serie definita di canoni che lei stessa ha sempre sentito come delle vere e proprie limitazioni artistiche. Nella composizione di una canzone, l’autore non deve superare i classici due o tre accordi, deve affidarsi alle soluzioni armoniche più semplici, e, dal punto di vista dei contenuti, non affrontare tematiche scomode. Il processo di confezionamento dell’oggetto musicale è sottomesso alla legge della rapidità, della semplificazione del messaggio perché sia fruibile ai più e di facile consumo. La musica che suona nei dischi è regolata dal click, dal metronomo. I ritmi biologici sono quantizzati e resi più semplici per un ascolto standardizzato. Il tempo musicale e il tempo biofisico ed esperienziale dell’artista non coincidono più. E allora sarebbe il caso – chiosa l’artista – di prenderci il tempo necessario per fare bene le cose, perché fare le cose per bene richiede un certo tempo. Gli spazi e il tempo per coltivare e sviluppare il proprio talento musicale sembrano, invece, progressivamente ridursi. E qui la cantantessa spende parole di sincera stima e riconoscenza per quei rari luoghi della musica come La Notte della Taranta dove artisti e musicisti hanno modo di misurarsi con il proprio talento. Di contro, si suona sempre meno nei locali, le occasioni di formazione si riducono, mentre si è da subito esposti nei reality o ci si autoproduce su internet prima che i tempi siano maturi. Il messaggio è chiaro e inequivocabile e risuona con delicato garbo femminile nell’aula magna dell’ateneo salentino: dopo vent’anni in cui la cultura è stata violentemente mortificata, è tempo di liberarsi delle limitazioni artistiche che la “civiltà dello spettacolo” impone. Il mistero della creazione artistica Carmen Consoli è un’artista che studia e questo pare chiaro all’intero auditorio già dopo qualche battuta. La consapevolezza e l’umiltà con cui affronta tematiche più consuete in un corso di sociologia della musica

o di storia della popular music che in uno studio di registrazione, che di certo le è più familiare, denotano una certa attitudine all’approfondimento critico, all’analisi. E non avevamo dubbi che quella stessa attitudine, quella stessa dedizione, amplificata dal potere della passione guidassero il lavoro musicale della cantautrice catanese. Le sue canzoni, la sua musica sgorgano dall’urgenza di scrivere, ma si accompagnano alla disciplina. Dopo l’istinto, d’altronde, ci vuole il mestiere – su questo Carmen Consoli non ha dubbi. E ancora una volta torna sul concetto che tempo e lavoro nobilitano l’arte. Nel lavoro di creazione artistica le conoscenze, quelle strettamente legate al mestiere ma non solo, incanalano e rafforzano istinto e potenzialità e, secondo una concettualizzazione particolarmente felice del lavoro di creazione, la Consoli suggerisce che la musica composta altro non è che codificazione dell’istinto. Ma allora, come si concilia la “società dello spettacolo” con l’etica della buona creazione musicale? L’artista non deve seguire le mode, ma farsi seguire dal proprio pubblico, crearla una moda e non avere paura di disattendere le aspettative. E qui è chiaro che è proprio il percorso che la Consoli ha seguito nella propria carriera musicale. L’aula è attenta e partecipe. Gli applausi a scena aperta si susseguono. Sì perché l’artista non solo dà prova delle proprie competenze, di un’intelligenza fine, di capacità oratorie e argomentative degne di un’aula universitaria, ma si fa mentore e guida al cospetto dei tanti studenti accorsi per ascoltarla e li esorta a credere nel proprio lavoro e nelle proprie inclinazioni, sottraendosi alla banalità delle leggi del mercato. La Notte della Taranta e Carmen Consoli Era il 2006 quando Carmen Consoli calcò per la prima volta il palco de La Notte della Taranta come ospite. Quell’anno c’era anche Lucio Dalla, ricorda. Ma il più grande festival italiano di world music lo conosceva già, lo seguiva dalla prima edizione, quella del 1998 diretta da Daniele Sepe. Lo conosceva e lo seguiva con interesse e ammirazione. Sì perché, pensava, anche i siciliani dovrebbero avere un festival così.

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Un festival in cui radici e identità vengono recuperate, il dialetto e la poesia popolare nobilitati. “Ho sempre amato la musica popolare”, dice la cantantessa, e la ragione è chiara: ritornare alla nostra musica popolare ci ha permesso di distogliere lo sguardo dalla tradizione musicale americana. Grazie alla musica popolare abbiamo finalmente smesso di imitare gli americani e abbiamo cominciato a suonare la nostra musica. La Notte della Taranta, incarna un processo di lenta ma efficace consapevolezza del valore aggiunto delle nostre tradizione popolari e lei, siciliana, guardava “la Taranta” e il Salento come gli appassionati di blues guardano Memphis e New Orleans. La Taranta è un modello di sviluppo culturale e di internazionalizzazione della musica popolare che è la nostra. Dal Salento ci hanno mostrato che potevamo creare una risorsa economica, che potevamo diventare internazionali e far parlare di noi e della nostra identità musicale. Ed è proprio sull’identità che si sta giocando la sfida della Consoli come maestra concertatrice della diciannovesima edizione de La Notte della Taranta. L’identità è quella salentina, l’idioma, il linguaggio musicale sono quelli salentini ed è con questi ingredienti che l’artista sta lavorando. Ha studiato, sta ancora studiando perché – dichiara – volevo parlare di qualcosa avendone consapevolezza. C’è tanta passione nella sua conduzione musicale, tanto rispetto e tanta umanità e non è un caso che abbia tenuto a sottolineare che tutto il gruppo si sta impegnando e un po’ innamorando. La formula pare funzionare e quando si prova con l’orchestra, si suona insieme, si lavora l’atmosfera è quella di una famiglia, si respira armonia. Il gruppo è composto dai musicisti dell’orchestra e dai direttori artistici Luigi Chiriatti e Daniele Durante. “Sono una cuoca discreta – afferma con una metafora – ma ho degli ingredienti eccezionali”, alludendo a orchestrali e direttori artistici. Con Daniele Durante la Consoli lavora a stretto contatto per la preparazione del concertone e insieme stanno costruendo un nuovo percorso di ricostituzione dell’identità del linguaggio musicale salentino. Flavia Gervasi

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dall’8 al 27 agosto Salento

LA NOTTE DELLA TARANTA Una ragnatela di 44 spettacoli, 16 comuni coinvolti, 200 artisti in scena e 6 piazze dedicate alla storia della musica popolare italiana: è il programma del Festival La Notte della Taranta che dall’8 al 24 agosto torna a coinvolgere gli spettatori nei centri storici della Grecìa salentina e di Lecce, Galatina, Alessano e Acaya. Un viaggio sonoro in 16 tappe che esplora le modalità di esecuzione della pizzica nei diversi territori della Puglia dal Gargano a Santa Maria di Leuca e della riproposta popolare nel Sud Italia attraverso la Sicilia, il basso Lazio e la Campania. Novità del festival 2016 è la sezione Altra Tela che ospiterà in 6 piazze della Grecìa salentina progetti speciali da tutta Italia. Concerti e incontri che partiranno alle 20.30 in una piazza diversa da quella che ospita la tappa del Festival. Luoghi e suggestioni che invitano all’ascolto in una dimensione certamente più intima. Concerti e incontri che sapranno al contempo emozionare ma anche coinvolgere gli spettatori. Tra gli ospiti Giovanni Mauriello, napoletano, storico fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare (10 agosto - Acaya), Pino Ingrosso (19 agosto - Soleto), Dario Muci (20 agosto - Martignano), Giorgio Tirabassi con Romantica (21 agosto - Castrignano de’ Greci), Alfio Antico (22 agosto - Cutrofiano), Bella Ciao (23 agosto - Sternatia). Sabato 27 agosto il Concertone finale con la Maestra Concertatrice Carmen Consoli. Ingresso libero. www.lanottedellataranta.it


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MI SCUSI IL PARAGONE Daniele Sidonio e il suo viaggio nella musica d’autore italiana da Guccini a Caparezza “Non chiedete a uno scrittore di canzoni che cosa ha pensato, che cosa ha sentito prima dell’opera: è proprio per non volervelo dire che si è messo a scrivere. La risposta è nell’opera” (Fabrizio De Andrè). E invece, Daniele Sidonio c’è andato dagli scrittori di canzoni e, senza impudenza, bensì con l’amore di chi nella musica ci vede la ricerca, ha chiesto loro come la parola possa diventare poesia e come la poesia trovi la voce. Così è nato “Mi si scusi il paragone. Canzone d’autore e letteratura da Guccini e Caparezza” (Musicaos Editore), un viaggio tra le pieghe del cantautorato italiano da Vasco Brondi a Brunori, passando per Vinicio Capossela, Godano, Pierpaolo Capovilla, Guccini, Stefano Benni, Caparezza, Dente e molti altri. Nel saggio, Sidonio non si è limitato alla parafrasi dei testi, ma ha voluto cercare quelle voci, intervistare i bardi e farsi raccontare come si fa “a far suonare” (bene) le parole con la musica. In origine, era l’aèdo. Come nasce l’idea di indagare il rapporto tra musica e letteratura in questi moderni cantastorie? Nasce da una notte fiorentina di tre anni fa. Da studente di filologia cercavo un pro-

getto di ricerca che mi stimolasse, e l’ho trovato rifugiandomi nelle mie due passioni più grandi, la musica e i libri. I cantautori, spesso, narrano in musica. Mi sembrava interessante capire cosa narrano, e come. Ho iniziato così ad analizzare le discografie scovando citazioni, reminiscenze, omaggi e vere e proprie letture in musica di testi letterari. In origine era l’aèdo, il cui verso «versa e toglie alla morte chi viene cantato», scrive Capossela in un brano del 2011. La storia, nell’atto della sua narrazione, libera il protagonista dalle leggi del tempo e della mortalità, e questo nella canzone d’autore capita spesso. “Mi si scusi il paragone” è un titolo originale, non c’è dubbio. Ma perché? Perché racchiude il senso del libro, che è a tutti gli effetti un testo comparatistico. Ho preso in prestito un inciso di Francesco Guccini, buttato lì ironicamente durante l’intervista raccolta nel saggio mentre paragonava l’autore di canzoni a un maiale, ché più lo nutri e più viene buono quando lo ammazzi. Così lo scrittore, o il cantautore, più si lascia influenzare da ciò che legge, più tirerà fuori forme e contenuti completi e profondi. Ori-


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ginale, ironico, leggero e preciso. È Guccini, è, spesso, la canzone. È, spesso, la letteratura. Il libro nasce come indagine filologica e critica del cantautorato italiano. Ma anziché lasciar parlare i testi delle canzoni, con le tue interviste, hai deciso di estendere lo sguardo a quello dei protagonisti. Ho cercato di accoppiare l’indagine filologica all’inchiesta giornalistica, facendo tastare il polso delle canzoni agli autori stessi e riflettendo assieme a loro sulle influenze letterarie, sulle differenze formali tra musica e letteratura, sui temi che trattano. Credo che il risultato sia molto più fruibile e interessante rispetto a una “semplice” ricerca filologica sui testi, che rimane comunque l’embrione originale del progetto. Prima della stagione tutta novecentesca dei grandi interpreti, la “musica colta”, da Bach a Gershwin, si esprimeva attraverso i suoi stessi creatori. La canzone d’autore, benché si ascriva nel fin troppo ampio contenitore della musica leggera, può esprimere gli stessi intenti? Sul significato di canzone d’autore si potrebbe discutere per interi secoli, ma credo che oggi si possa intendere come canzone di qualità. Quella in cui l’autore, attraverso la mescita colta di parole e note, esprime se stesso in un modo altro – non necessa-

riamente migliore, ma sicuramente diverso – rispetto al pop o ad altri generi. Premesso che Bach, assieme a Monteverdi, è stato un pioniere da questo punto di vista, il concetto di autorialità si è fortificato dall’Ottocento in poi grazie all’estetica romantica, che cominciava a considerare la musica alla stregua della letteratura in quanto a evocatività e potenza seduttiva. In questo senso è sicuramente legittimo avvicinare il cantautorato alla musica colta di Sette e Ottocento. Per questo lavoro, hai intervistato tanti artisti, come si legge nel titolo, da Guccini a Caparezza. Da quello che hai potuto carpire, è tutto genio o c’è anche del “mestiere”? Non necessariamente i due termini sono nemici. Il genio è uno spirito che spinge a creare, il mestiere serve a indirizzare quello spirito. Nessuno degli artisti con cui ho dialogato ha confessato di sedersi ogni giorno al tavolino per scrivere, perché la creatività fa parte del genio. Certo è che quando si decide di confrontarsi con un modello letterario, citandolo espressamente o mettendolo in musica, allora lì il mestiere entra in gioco, e spesso lo fa divinamente. Nella canzone d’autore genio e mestiere vanno a braccetto, perché “se son d’umore nero allora scrivo” cantava Guccini nell’Avvelenata, ma se chiedi a Capossela “che musica fai?”, ti risponderà “la musica che mi serve”. Federica Nastasia



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IL SOLE E IL GALLO: Una Favola in Griko

Abbiamo ancora bisogno di favole? Assolutamente si. Esce in questi giorni “O Ijo ce o gaddho. Il sole e il gallo”, una favola scritta da Mauro Scarpa, illustrata da Alberto Giammaruco ed edita da Kurumuny. Un libro che gioca con i colori e con la lingua che si parla (o meglio si parlava) nella Grecìa Salentina. Un’operazione leggera e importante allo stesso tempo che vale la pena raccontare. «Ho scritto il testo mentre preparavo un laboratorio per bambini dai 2 ai 4 anni. Doveva accompagnare un libro gioco sui colori. L’ho fatto leggere ad Alberto (con cui lavoro da 16 anni) che ha commentato “Questo testo è dritto, semplice, chiaro. Voglio illustrarlo”. Dopo aver costruito il “prototipo”, abbiamo chiesto ad un’amica educatrice di “testarlo” in uno spazio gioco di Firenze. I suoi feedback sono stati incoraggianti per cui abbiamo continuato a lavorare, sia sul testo che sul formato», sottolinea l’autore. «Ho sempre pensato che la semplicità sia alla fine di un percorso. Il grosso del lavoro sta nel capire profondamente cosa si vuole comunicare e perché. In questo caso, il lavoro di tutela della lingua grika è anche, e soprattutto, possibilità di mantenere un dialogo tra generazioni attraverso la lettura e il gioco». Il libro è parte di un progetto più ampio. «L’anno scorso abbiamo realizzato una mappa sonora geolocalizzata che raccoglie le testimonianze delle persone che ancora parlano il griko. Inoltre le presentazioni diventano l’occasione per “lavorare” coi bambini che si trovano a costruire dei libri unici, colorati, ricchi di storie personali e realizzati con tecniche differenti. Ecco, la comunicazione, in questo caso, tende a valorizzare il protagonismo dei bambini considerati costruttori di una cultura emozionante».

FROM STRIP TO SREET ARNESANO OSPITA TRE GIORNI TRA FUMETTI E STREET ART Da giovedì 1 a sabato 3 settembre il Palazzo Marchesale di Arnesano, in provincia di Lecce, ospita “From strip to street” una rassegna che vuole riflettere su fumetto e street art. Tantissimi gli autori in mostra, fumettisti e street artist. Tra i fumettisti Martoz, Daniele Caluri, Tuono Pettinato, Salvatore Giommaresi, Marco Corona, Alberto Ponticelli, Giuseppe De Luca, Massimo Pasca, Davide Toffolo. Wany (che sarà presente e intervistato dal giornalista Giuseppe Arnesano), Tomoz, Etnik, Filippo Montedoro, Corn 79, Chekos’art fra i nomi degli street artist. La rassegna ospiterà workshop, incontri con Andrea Mi dello IED di Firenze, Antonello Vigliaroli del MAT archivio Andrea Pazienza, Stefano Cristante, i fondatori del progetto Viavai, lo scrittore Francesco Carofiglio. Una tre giorni ricca di dibattiti e riflessioni a voce alta. Non mancherà lo spazio dedicato all’arte dal vivo e all’esposizione dei fumetti. Info 3803660538.


COOLIBRì - altre letture

a cura di DARIO GOFFREDO

Ester Viola L’amore è eterno finché non risponde Einaudi Come finisce l’amore ai tempi del social? Semplice, con una notifica su Facebook. Olivia fa l’avvocato divorzista, per mestiere fa lasciare le persone. Ma cosa succede quando a essere lasciata è lei? Un libro irriverente e divertente sulle piccole manie dei giorni nostri, su cosa significa soffrire su whatsapp e su come sono mutati i nostri atteggiamenti nei confronti degli altri grazie alla tecnologia. Un libro leggero, che fa ridere e non manca di fare sorridere.

Wu Ming 5 e Francesca Tosarelli Ms Kalashnikov Chiarelettere Wu Ming 5 è uscito dal gruppo. E lo ha fatto con questo libro scritto con la fotoreporter di guerra Francesca Tosarelli. Un libro che alterna l’esame di coscienza dello scrittore con i racconti dagli angoli più estremi del pianeta di una donna che parla di donne che hanno scelto di non stare a più a subire e hanno imbracciato le armi per resistere. E come tutti i divorzi non sono mancati i litigi a suon di comunicati stampa e interviste tra Pedrini (Wu Ming 5) e il resto della banda di scrittori.

Monaldi & Sorti Malaparte. Morte come me Baldini e Castoldi Nel pieno del fascismo, durante un party di aristocratici, ufficiali nazisti e miliardari americani, lo scrittore Curzio Malaparte viene accostato dalla polizia segreta di Mussolini che lo accusa dell’omicidio di una giovane poetessa inglese, morta quattro anni prima. Malaparte decide di darsi alla macchia e condurre in clandestinità un’inchiesta per capire chi lo vuole incastrare. La coppia del giallo storico italiano torna questa volta lasciando le atmosfere secentesche per addentrarsi in un epoca buia della storia italiana. E lo fa col suo solito stile.


Andrea Gibellini Le regole del viaggio Effigie La lirica come visione del mondo non è un’idea così antica di poesia come potrebbe sembrare. Abituati come siamo a leggere poesie dure, disincantate, narrative, antiliriche, è bello ogni tanto immergersi in un libro come Le regole del viaggio che ci riporta a una dimensione poetica altra. Una luce lirica e onirica dove il canto che attraversa le cose e il paesaggio si libera completamente e finalmente all’immaginazione.

Angela Carter Figlie sagge Fazi Angela Carter, scrittrice inglese postmoderna, torna in libreria grazie alla casa editrice Fazi, che ripropone il suo ultimo romanzo. L’umorismo dirompente, l’impudenza nel trattare i tabù sessuali, le avventure picaresche di una famiglia allargata sono gli ingredienti di una storia sapida e teatrale, in cui si susseguono scambi di persona degni di Shakespeare e il moltiplicarsi di coppie di gemelli. Nora e Dora Chance, figlie del famoso attore Melchior Hazard devono scegliere cosa indossare per il centesimo compleanno del padre che non le ha mai volute riconoscere. Cosa indosseranno? (A. M.)

Andrea Tarabbia Il giardino delle mosche Ponte alle grazie Biografia romanzata del Macellaio di Rostov, autore di 56 omicidi seriali tra il 1978 e il 1990. Mentre l’Urss si avvia inesorabilmente verso il crollo, la furia assassina di Andrej Romanovič Čikatilo si abbatte su bambini, donne e adolescenti accomunati dalla miseria o che dall’incapacità di adattarsi al modello socialista, simboli del fallimento del sogno sovietico. Tarabbia esplora la follia, affidando il racconto ad una voce in prima persona, una sorta di lunga confessione, ricca di flashback, meritandosi la selezione per la cinquina del Premio Campiello e per il Premio Vigevano. (A. M.)

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CINEMA -TEATRO

Evò ce Esù

Un documentario e un festival per riscoprire il griko e le lingue degli altri Una voce fuori campo ci dice “questa è la lingua, questo è il naso, questi gli occhi, questo è il cuore”, e fin qui nulla di strano, se non fosse che il tutto ci viene raccontato con una lingua incomprensibile ai più, una lingua arcaica che custodisce un segreto e che viene usata come un codice cifrato di perduta memoria, tramandata oralmente in famiglia e usata come modo singolare di comunicare all’interno della propria comunità, per riaffermarne l’appartenenza, una lingua magica dal sapore ancestrale, intrisa di dignità ed eleganza autentica: il Griko, anima di un popolo, quello della Grecìa Salentina. Campi lunghi su specchi di paese, zagareddre che si insinuano in tortuosi zigzag, pietre che riflettono bagliori accecanti del sole del Sud, rumori di antichi mestieri, Canti di Passione che fanno della musica in Griko un collante universale e storie di un vissuto le cui vicende sono racchiuse nello scrigno di una lingua: ritroviamo tutto questo in “Evò ce Esù”. Scritto e diretto da Christian Manno e Pantaleo Rielli, e sostenuto dalla Regione Puglia nell’ambito della tutela e valorazzione delle lingue minoritarie pugliesi, il documentario è pensato per narrare il territorio attraverso l’approccio filmico, teatrale e musicale. Le tecniche di indagine, che vanno dall’etno-dialogo all’annullamento della macchina da presa, lo inquadrano nell’ambito dell’antropologia visuale, restituendoci una fotografia del reale che parla di memoria e si proietta nel futuro. Il

documentario è il primo lavoro editoriale dell’omonimo format per la salvaguardia, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio linguistico e culturale della Grecìa Salentina, curato dal Parco Turistico Culturale Palmieri di Martignano, con l’Associazione Salento Griko e la Cooperativa sociale Open. Il format esprime anche la rassegna cinematografica “Evò ce Esù - Visioni di confine tra visi e parlate”, che tornerà dal 2 al 4 settembre, nata per favorire l’incontro e il dialogo con le culture che resistono alla globalizzazione linguistica ed antropologica. La rassegna ospiterà sedici pellicole provenienti da geografie e confini linguistici variegati (Congo, Brasile, Messico, Gran Bretagna, Norvegia, Irlanda, e l’Italia (Sicilia, Sardegna, Puglia, Piemonte, Friuli) e con lingue arcaiche e nascoste (Occitano, Kinande, Sardu, Griko, Mebengokre-Kayapò, Sàmi, Gaelico, Chinanteco, Euskera, il dialetto Siciliano, quello Salentino, fino alla Lingua dei Segni). Il Laboratorio “Evò ce esù - Io e la lingua dei miei padri, la mia lingua e le tante lingue del vissuto” è invece un percorso esperenziale che pone l’utente davanti al griko, con i linguaggi del film, della musica, del teatro, della poesia, del cibo. «La lingua grika non viene più tramandata. Per questo motivo abbiamo identificato una linea di racconto che filmasse i protagonisti, soprattutto anziani, che la considerano come parte del loro vissuto», sottolinea Rielli. «Non ci illudiamo che questa lingua da dom-


ani possa rifiorire perché decidiamo di farla apprendere a chiunque. Da qui la necessità di utilizzare forme di linguaggio più contemporanee e accattivanti. Nel documentario ritroviamo musicisti come i fratelli De Santis e gli Arakne Mediterranea che nella loro ricerca musicale indagano e studiano questa materia. Silvano Palamà, poi, fornisce una cornice storica, rappresentando la linea di congiunzione tra il dovere dell’uomo di cultura di fare archivio e memoria, ma anche quello dell’uomo sentinella che sente il dovere di suonare il campanello d’allarme. Perché, per proiettare tutto questo nel futuro, c’è una responsabilità che deve coinvolgere un po’ tutti. Il documentario si propone di far scattare la scintilla di interesse verso questa forma di comunicazione arcaica, facendo riscoprire la bellezza della lingua», prosegue. «Da bambino percepivo il griko come un codice che i miei familiari usavano tra di loro per non farsi capire. Era una lingua di cui avevano quasi “vergogna”. Una “lingua dello scherno” che è stata abbandonata man mano con l’avvento della scolarizzazione e dell’emancipazione culturale e sociale», va avanti. «Secondo linguisti e glottologi questa lingua è morta, perché non esistono parametri di utilizzo nel parlato e nella scrittura. Diverso il discorso per il ladino in Trentino o l’arbereshe in Calabria conosciuto e praticato da quasi tutti gli abitanti». La musica nel documentario ha un ruolo fondamentale. «La musica è un linguaggio universale, travalica i limiti restrittivi della comprensione linguistica», sottolinea Rielli. «I Canti di Passione, legati alla Settimana Santa, assumono quel valore aggiuntivo non solo nella melodia, nel tema sacro o nel fatto che sono collocabili in una tradizione specifica, ma anche nella gestualità, nella mimica. La musica diventa il linguaggio del racconto del vissuto. Il Griko è una lingua che ha espresso un certo numero di vocaboli che nel tempo non sono stati ampliati, quindi non ha aderenza con la contemporaneità. Quando Rocco De Santis scrive in Griko oggi, scrive delle cose altissime perché pensa e scrive in Griko. Se invece gli si chiede di tradurre qualcosa, si perde di autenticità». Jenne Marasco

SANTI E CAPORALI NEL DOCUMENTARIO DI GIUSEPPE PEZZULLA Nel ghetto di Rignano Garganico è ambientato “Santi Caporali”, breve documentario del giovane film maker Giuseppe Pezzulla con la colonna sonora a cura di Tommaso Primo e Vincenzo Foniciello, che racconta il lavoro nei campi, lo sfruttamento, il caporalato. Il film si apre con una certa vena di suggestione mistica, con una voce fuori campo che ci conduce sul promontorio del Gargano, territorio famoso per il luogo di preghiera dedicato a San Pio da Pietrelcina: il maestoso santuario di San Giovanni Rotondo, descritto architettonicamente come una sontuosa costruzione, la chiesa più capiente d’Italia (può ospitare all’interno fino a 7000 persone), realizzata da Renzo Piano, e quasi interamente finanziata dalle offerte dei pellegrini. Rignano Garganico è situata appena a 16 km da San Giovanni Rotondo, dove arrivano ogni anno migliaia di cercatori di Dio, di guarigione e di spiritualità. I pellegrini, ma anche migliaia di cercatori di fortuna e di speranza per il futuro: i migranti. Nel documentario Pezzulla inserisce il racconto delle associazioni che lavorano nel ghetto di Rignano e le storie di tre testimoni, Gora, Bouacar e Yvan Sagnet. Le loro sono parole di speranza, di futuro, di ostinata ricerca di Dio e di una possibilità di vita, che è la motivazione di fondo che ha da sempre spinto la natura dell’uomo a muoversi nel mondo. Pezzulla ci mostra le contraddizioni vive di una terra come quella pugliese, da sempre divisa tra l’inferno delle fatiche quotidiane dei comuni mortali, da un lato, e la grande aura di misticismo religioso che suggestivamente circonda i santi in paradiso, dall’altro. Ed è così che, di fronte a tanta disperazione piena di speranza, si palesa e si consuma ogni giorno, nell’indifferenza generale e in tutta la sua crudezza, l’inaccettabile ossimoro contemporaneo dei nostri tempi, divisi appunto tra santi e caporali. Jenne Marasco


LE SORELLE MARINETTI Approda anche in Puglia la Famiglia Canterina l’ultimo spettacolo di Turbina, Elica e Scintilla Turbina, Elica e Scintilla Marinetti (Nicola Olivieri, Matteo Minerva e Marco Lugli) sono le sorelle canterine più longeve d’Italia. Nate da un’idea dell’autore e produttore Giorgio Bozzo, già dal 2007, quasi ogni sera, la luna dà loro appuntamento nei più importanti palchi d’Italia, forse ci arrivano in bicicletta raccogliendo tulli tulli tulipan con una missione complicatissima: ricordare a questo paese sprecone e volgare che, un tempo, riusciva a vivere e prosperare con mille lire al mese. “La famiglia canterina”, il loro ultimo lavoro, sarà in Puglia per due date: Cisternino il 19 agosto e Lecce il 27, insieme al trio, prototipo a colori delle Lescano, Francesca Nerozzi, Jacopo Bruno e la Direzione musicale di Christian Schmitz. Con l’eleganza di cui sono portatrici naturali, hanno risposto ad alcune domande. Le sorelle Marinetti hanno tutte le caratteristiche per essere impopolari, fanno swing anni trenta mentre impazza il rap, sono uomini che interpretano un trio femminile

sacro e in Italia ancora non si comprende il concetto di gender e invece, come accade ogni tanto alle persone che sanno lavorare, sono amatissime e corteggiate e hanno anche lavorato con Capossela, Arisa e Cristicchi. Quali sono state le paure e le speranze che hanno accompagnato la nascita del trio? Be’, essere quello che gli altri non si aspettano che tu sia è un punto di forza, prima ancora che di debolezza. Però sorprendere, spiazzare può essere importante per attirare la curiosità del pubblico su di te, ma non basta ad attivare un percorso, una carriera. Devi far seguire immediatamente la qualità e la sostanza. Questo è quello che il pubblico ha capito venendo ai nostri spettacoli: viene per divertirsi, ma intuisce che sotto c’è un lavoro di ricerca storica, di tecnica vocale, di perizia recitativa che conferma la sorpresa e giustifica tutto il progetto. Per il resto quella di non seguire la corrente è una scelta precisa: ovviamente sappiamo di essere “fuori moda”, ma il teatro è un luogo nel quale meglio si esprimono le originalità.


Qual è il lavoro storico e d’archivio preliminare che affrontano le Sorelle, è un lavoro fisico d’attore, vocale? La parte di ricerca è stata svolta da Bozzo e Schmitz. Noi abbiamo portato la nostra preparazione di attori e cantanti. È stato un lavoro molto lungo quello precedente al debutto del progetto: quasi cinque anni di ricerca e più di un anno e mezzo di preparazione prima di calcare un palcoscenico. Ma se non fosse stato così forse saremmo state un fenomeno passeggero. Le sorelle Marinetti escono mai dal personaggio? In camerino dopo una rappresentazione le sorelle tornano in un paio di grossi trolley, pronte per essere trasportate alla prossima rappresentazione. Sul palco non possono che esserci loro, queste tre signorine della media borghesia torinese (l’Eiar aveva sede a Torino) così moderne da lavorare come “impiegate del microfono”. Cosa manca al teatro in genere e al teatro italiano in particolare? L’orgoglio di sentirsi una cosa diversa dalla televisione. Quello del teatro è un lavoro artigianale: o lo sai fare o ti si dovrebbe accompagnare alla porta. In TV invece, grazie ai talent show, si è data l’illusione a chiunque di essere un artista. I due ambiti dovrebbero essere separati. Invece la TV continua a fare incursioni nel teatro, con risultati a dir poco grotteschi. Qual è il futuro di una compagnia che parla di passato? Noi ci auguriamo duraturo e roseo e qualcosa deve aver funzionato se da dieci anni giriamo per i migliori teatri italiani. Ci permettiamo un’osservazione: cosa c’è di strano nel “parlare di passato”? Il teatro deve farlo per missione: è un luogo nel quale, oltre al divertimento e all’intrattenimento, devono conservarsi i nostri migliori valori, la nostra cultura, la nostra storia, la nostra identità. A cosa è servita la canzonetta durante la guerra?

A divertire e a far sentire moderni dei meravigliosi ragazzi – i nostri genitori, nonni, bisnonni – in un momento in cui ne avevano davvero bisogno: fuori dalla finestra c’era un regime in agonia e si avvicinava una terribile guerra mondiale. Bisogna ricordare che lo swing negli anni Trenta è stato ciò che negli anni Cinquanta fu il rock’n’roll, o negli anni Settanta il punk: la musica dei giovani che faceva inarcare il sopracciglio ai più anziani. La famiglia canterina è il vostro ultimo spettacolo che riporta le canzoni del Trio Lescano e quelle di interpreti olandesi: una famiglia che canta nel momento storico in cui la famiglia si sfalda e si ricompone. C’è un messaggio politico (nel senso artistico) nel vostro lavoro? Il nuovo spettacolo, “La Famiglia Canterina”, nasce dalla voglia di allargare il nostro cast. Dopo anni di lavoro come trio abbiamo trovato in Francesca Nerozzi e Jacopo Bruno degli ottimi compagni di viaggio con i quali scandagliare il repertorio della canzonetta sincopata di quegli anni: non dimentichiamo che le Lescano al tempo cantarono con le migliori voci maschili e femminili. Nomi come Silvana Fioresi, Maria Jottini, Alberto Rabagliati, Ernesto Bonino, che oggi a molti dicono poco, ma allora erano delle vere star della radio. E poi non dimentichiamo i nostri preziosissimi musicisti, senza i quali non saremmo nulla! Non crediamo di avere un messaggio politico esplicito, ma certo la nostra è una “famiglia allargata”, un gruppo di persone che trova la propria giustificazione grazie all’affetto reciproco e all’aiuto – in questo caso artistico – che sa mettere a disposizione degli altri. Il messaggio politico è quindi quello della solidarietà e della tolleranza. Quale sarebbe l’epitaffio sulla tomba delle Sorelle Marinetti? Nacquero nell’era dello swing e risorsero al tempo del rap. Non ve ne libererete tanto facilmente. Giulia Maria Falzea

CINEMA-TEATRO

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ARTE

DAI MIGRANTI AGLI EROI

Il Castello di Gallipoli ospita per tutta l’estate la mostra del fotografo Simone Cerio e una collettiva coordinata da Renzo Buttazzo e Lara Bobbio “La Prima Aurora” e “Heroes” sono le due mostre che saranno ospitate per tutta l’estate nelle sale e negli spazi esterni del Castello di Gallipoli. «Angioini, veneziani, aragonesi, borboni e tante altre civiltà nei secoli hanno reso questo castello una roccaforte strategica per la difesa di Gallipoli e per il commercio nel Mediterraneo», sottolinea la direttrice artistica del Castello, gestito da Orione Srl, Raffaela Zizzari. «I tempi moderni l’hanno visto dormiente, come una balena spiaggiata che contemplava tristemente il mare. Dopo la riapertura nel 2014 e la personale del Maestro Michelangelo Pistoletto, quest’anno il testimone passa a Simone Cerio». Il giovane fotografo, in collaborazione con Emergency, propone una mostra che prende la pancia e fa capire con semplicità che gli uomini sono tutti uguali. «“La Prima Aurora” è un reportage atipico sulle esperienze di vita dei migranti di Sicilia», prosegue. «E poi c’è Heroes: gli artisti e le artiste Ada Mazzei, Andrea Buttazzo, Andrea Epifani, Daniele dell’Angelo Custode,

Giuseppe Maietta, Massimo Maci, Oronzo de Stradis, Peppino Campanella, Paolo Guido, Tonio Pede, Simone Franco riuniti attorno a un’idea di Renzo Buttazzo e Lara Bobbio. Performance, dipinti, istallazioni, suoni e sculture si integrano alla perfezione con la piazza d’armi, i corridoi, le grandi sale, le terrazze e gli anfratti nascosti del Castello. La mostra offrirà anche un’occasione alternativa per vivere il castello nel fascino delle notti d’estate salentine grazie a un programma di incontri, presentazioni, concerti, performance teatrali e artistiche. Progettare e organizzare tutto questo richiede mesi di duro lavoro», prosegue la Zizzari «Quando arriva il momento magico dell’apertura del grande portone che affaccia sul mercato coperto, non possiamo che essere felici nel vedere che tante persone provenienti da tutte le parti del mondo apprezzano il vero tesoro dell’isola di Gallipoli e condividono le scelte fatte nell’organizzazione delle mostre e degli eventi». Info castellogallipoli.it


arte

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dal 2 agosto al 18 settembre Castello Carlo V - Lecce

Analoghìa La mostra a cura di Lorenzo Madaro è un dialogo condiviso fra tre artisti diversi tra loro (Matteo Fato, Luigi Massari e Luigi Presicce), ma complementari per via dei loro approcci a una pratica pittorica che predilige simbologie e analogie, ma anche per un’attitudine plurale che include pittura, installazione, azione performativa e riflessione dilatata sugli spazi. Il Castello ospita anche “Andy Warhol Ladies vs Gentleman” e gli scatti di Maria Mulas.

dal 2 luglio al 30 settembre Lecce, San Cesario di Lecce, Bitonto

LEANDRO UNICO PRIMITIVO A 35 anni dalla sua scomparsa “Leandro unico primitivo” è un percorso sull’artista salentino Ezechiele Leandro che si muove tra la Distilleria De Giorgi e il Santuario della Pazienza a San Cesario di Lecce, il Museo Sigismondo Castromediano di Lecce e la Galleria Nazionale di Bitonto. La mostra è una retrospettiva dedicata all’autore che si era mosso tra pittura, disegno, scultura, assemblaggio, collage, installazione. Info 0832683503

dal 12 al 17 agosto Calimera Verremo tutti dimenticati La mostra “Verremo tutti dimenticati” dell’artista Francesco Cuna con testo critico di Giuseppe Amedeo Arnesano - ospitata in una casa privata dei primi del Novecento - accoglie un ciclo di disegni dedicati dal pittore al tema dell’informazione contemporanea e più in particolare all’insensatezza della modalità di acquisizione delle notizie. Una pratica quotidiana che vede l’informazione ridursi ad una stratificazione incompleta, o peggio inesatta, di elementi che costruiscono un’idea spiazzante ed apparentemente incomprensibile di ciò che accade nel mondo. Verremo tutti dimenticati perché non esiste uno spazio di memoria utile, un’acquisizione di senso corretta, e verremo tutti dimenticati perché la storia di ciò che ci circonda non è differente da noi, è la nostra stessa biografia, narrata e storpiata sul nascere da un modo assurdo di informare ed informarsi. Verremo tutti dimenticati, come una notizia che scorre sulle home page di un social qualunque, soppiantata dalla prossima, vera o presunta, novità. Per questo motivo la riflessione di Cuna non si svolge in uno spazio espositivo consueto, ma è ospitata tra le stanze della residenza storica di Donna Ninì dove le opere, appuntate alle pareti scrostate, sono come un invito, l’ennesimo, ad una memoria più attenta, consapevole, lavorata alle radici, ricercata alla fonte. Info e orari 3283424615 - Ingresso libero


DIARIO CRITICO

a cura di Lorenzo Madaro

MARIO CRESCI

Campi Salentina secondo un maestro della fotografia Nell’estate del 1967 Mario Cresci (Chiavari, 1942; vive e lavora a Bergamo, con un’intensa attività espositiva ed editoriale in Italia e all’estero) avvia una collaborazione con un gruppo di urbanisti e architetti che da Venezia si erano trasferiti a Tricarico, in Basilicata, per lavorare al piano regolatore del paese. Era stato infatti incaricato di fotografare il centro abitato e gli interni delle case «e di avvicinarmi quindi alle storie di quelle famiglie», come ha recentemente raccontato a Luca Panaro in un dialogo pubblicato su “Flash Art” (n. 292, aprile 2011). Nasce così un pregnante e continuativo lavoro di ricerca, un archivio prezioso in cui confluiscono storie private, immagini di piccoli e umili universi domestici, intrecci di vite anonime che posano vicino ai reliquiari fotografici della propria famiglia, custoditi con cura perché testimoni di attimi fondamentali o delle persone che non ci sono più. «L’ossessione di una identità oltre la storia che pervade queste foto è certamente della civiltà contadina meridionale, ma forse essa la sente oggi più come nostalgia che come certezza», avverte Goffredo Fofi nel testo introduttivo di L’archivio della memoria, una raccolta di fotografie di Cresci eseguite tra il 1967 e il 1980 “nell’area meridionale” (Regione

Piemonte, Torino 1980). E d’altronde questa ossessione è al centro di una mappatura che in Basilicata ha visto Cresci impegnato per decenni a registrare mutamenti e immobilismi, storie collettive e intime, di anonimi protagonisti di una storia ormai mitica. Da allora, naturalmente, la ricerca di Mario Cresci si è mossa su diversi crinali, ha indagato l’immagine sempre attingendo all’osservazione del reale e a un meditato e intellettuale sguardo alla storia dell’arte, proseguendo così la sua sofisticata “catalogazione” e “misurazione”. Nei primi anni duemila – come ampiamente analizzato in tempi recenti da Dino Borri – il dipartimento di architettura e urbanistica del Politecnico di Bari stava allestendo un nuovo piano regolatore a Campi Salentina e Cresci fu invitato a “leggere” il paese, a interpretare il suo centro storico e la periferia. La mostra allestita nell’ex biblioteca comunale di Campi è pertanto una “restituzione” di questo viaggio solitario di Cresci nelle piazze e nelle vie del paese, un momento di dialogo e confronto con i suoi abitanti – e non solo – che così potranno conoscere meglio il luogo in cui vivono, in cui viviamo. Perciò quando in un recente festival della fotografia, promosso a Bari dal museo del Politecni-


co, ho visitato la mostra di Cresci, pensando immediatamente di proporre al Comune di Campi Salentina questo progetto espositivo, che l’ha accolto con entusiasmo. Era d’altronde una naturale prosecuzione di questa indagine di Cresci, che mediante la mostra potrà trovare nuove verifiche, nuovi confronti con il tessuto sociale cittadino. Lo sguardo analitico di Cresci su Campi Salentina è anche ironico, talvolta surreale, come quando ritrae un uomo con in mano sei palloncini di plastica bianchi ai piedi del portale della chiesa matrice; l’attigua piazza è il luogo di una socialità costretta tra i tubi e i materiali adottati per il suo restyling, così la possiamo osservare solo da un pannello che indica gli aspetti tecnici del lavoro di ristrutturazione, ormai compiuta da tempo. Nelle vie del centro pochi abitanti, che appaiono e scompaiono tra le architetture private; mentre la periferia è il teatro delle connessioni tra i particolari decorativi kitsch delle abitazioni e le tracce di natura domestica. Regna un silenzio assordante in questi scatti, anche nella scena che ritrae una giovane squadra di rugby, o nella geometrica cancellata rossa con cui l’artista astrae la facciata di una casa privata. Non c’è più – d’altronde non avrebbe senso – in questi scatti quello sguardo espressamente etnologico e antropologico degli scatti realizzati a sud quasi mezzo secolo fa, quando sulle tracce di Ernesto De Martino ha perlustrato palmo a palmo la Basilicata e il sud in generale, compresa Martina Franca; così come non c’è quella visione di un sud a tutti i costi rigoglioso e sorprendente. C’è però un luogo, un paese, una luce reale. Convivono verità e immaginazione, realtà e visione. Questo testo è nato in occasione della sua personale – con gli scatti dedicati a Campi Salentina – allestita alcuni mesi fa nell’ex biblioteca comunale di Campi Salentina, curata da chi scrive e da Pio Meledandri, e promossa dal museo della fotografia del Politecnico di Bari (a cui appartengono le fotografie) e dal Comune di Campi Salentina. Ma è un testo inedito, poiché il Comune non ha più pubblicato il catalogo previsto per l’occasione.

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dal 19 giugno al 2 ottobre Castello Aragonese - Otranto (Le) STEVE MCCURRY ICONS Per tutta l’estate il Castello Aragonese di Otranto ospita gli scatti di Steve McCurry, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, punto di riferimento per un larghissimo pubblico che nelle sue fotografie riconosce un modo di guardare il nostro tempo. Steve McCurry Icons è una mostra che raccoglie in oltre 100 scatti l’insieme e forse il meglio della sua vasta produzione, per proporre ai visitatori un viaggio simbolico nel complesso universo di esperienze e di emozioni che caratterizza le sue immagini. Con le sue foto ci consente di attraversare le frontiere e di conoscere da vicino un mondo che è destinato a grandi cambiamenti. La mostra inizia infatti con una straordinaria serie di ritratti e si sviluppa tra immagini di guerra e di poesia, di sofferenza e di gioia, di stupore e di ironia. In una audioguida Steve McCurry racconta in prima persona molte delle foto esposte. In mostra viene proiettato un video di National Geographic dedicato alla lunga ricerca che ha consentito di ritrovare, 17 anni dopo, “la ragazza afghana” ormai adulta. All’inaugurazione oltre al fotografo ha partecipeto anche lo scrittore Roberto Cotroneo.La mostra è organizzata da Civita Mostre in collaborazione con SudEst57. Ingresso 10 euro. Info www.stevemccurryicons.it


BLOG BRODO DI FRUTTA Adelmo Monachese

#DISCOLIBRO/2 Dopo il successo di #Discolibro1 in cui abbiamo fatto incontrare il popolo della notte con la massa pallida del lettori forti, eccoci alla presentazione dell’atteso #Discolibro/2. Per l’esordio avevamo preparato un inno al mare e alle sue creature ed è stato un successo. Tra i partecipanti il 25% dei discotecari si è incuriosito e ha comprato il libro proposto, dichiarando poi una lieve difficoltà nell’individuare l’ingresso del carica batteria e nel controllo del Wi-Fi. Il 18% dei lettori forti ha ammesso di essere riuscito a godersi una serata di danze sfrenate, tra loro il 98% ha riportato: acido lattico, slogature e maggiore percezione dei testi della Beat generation e di Verlaine & compagni. D’estate si va al mare ma ci si sposa anche parecchio, ecco svelato allora il tema della pre wedding, bachelor/bachelorette party night summer book 2016: #Discolibro/2 Libro special guest: la storia delle storie d’amore: I Promessi Sposi. Art director now from Milano: Alex Manzoni. Started music: all remix rivisitation discography

Albano&Romina in the love and in the loop. Vocalist: Marco Predolin che farà il suo ingresso trionfale ascendendo dalla dance floor fin su alla consolle grazie all’ultimo modello di montascale per anziani Stannah (exclusive sponsor della serata. In azienda da quando il presidente ha concesso il ramo marketing al nipote neo laureato in marketing alla LUISS hanno cambiato drasticamente strategie di promozione). Introdurrà così: Benvenuti signorine e signorini nel disco club col privè più innominato d’Italia! Solo per voi nella vostra ultima festa prima del “Sì” il ramo del lago di Como oggi volge a mezzanotteeeee! Signorini e signorine vi condurrò nell’oscurità, celebreremo in segreto i vostri addii al celibato e al nubilato perché qui, oggi, ci sono tanti Promessi Sposi!!! Stanotte è vietato fare i Bravi… i vostri matrimoni s’hanno da fare ma né stasera né all’alba quindi chi non alza le mani si prende la peste entro domani!!! Scatenatevi ora, adesso, perché del senno di poi ne son piene le fosse…

Dj set live from Milano il poeta della disco to disco. Un Dj che è un classico, ragazzi vi siete preparati? Perché stasera qui con noi c’è Alex Mazoni! Perché noi siamo come il HYPERLINK “http:// it.wikiquote.org/wiki/ Mare” \o “Mare” mare, che riceve acqua da tutte le parti, e torna a distribuirla a tutti i fiumi…i fiumi dell’ammmmmore… Per chi ancora non è un Promesso: questa è la notte giusta per provarci, magari qualche sventurata vi risponde… E se dopo il matrimonio le cose vi vanno male sentite il consiglio of my friend Cristoforo: “All’avvocato raccontate le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliare” Vai ‘O Fra!!! E se il HYPERLINK “http:// it.wikiquote.org/wiki/Coraggio” \o “Coraggio” coraggio uno non se lo può dare stanotte Dj Manzoni ce lo pompa nelle casse! Prima di andare via date uno sguardo a chi vi festeggia e rimane single… e date il vostro addio ai molti.


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Mauro Marino

Norman Mommens il grande serafino Ada Martella sale e scende per le scalette che dal borgo di Specchia portano alla Cappella di Santa Caterina. Lì ha allestito lo scorso luglio - per la festa di Cinema del reale - una preziosissima mostra: “Messaggi da un continente sommerso”, una piccola raccolta di fotografie - scattate da Francesco Radino nell’arco di un ventennio - che raccontano parte della vita e del lavoro dello scultore fiammingo Norman Mommens (1922-2000) che ha vissuto nel Salento per trent’anni insieme alla sua compagna, scrittrice e orafa inglese, Patience Gray (1917-2005). Ada - aiutata da Nicolas Gray e Maggie Armstrong ha messo mano al ricchissimo archivio dello scultore e della sua compagna, ha già sistemato un “catalogo” dell’opera scultorea ed è alle prese con le carte, i disegni, le lettere. Sono trascorsi sedici anni dalla scomparsa di Norman Mommens, il suo “Grande Serafino” è ancora ben piantato nella campagna di Spigolizzi, lo vedi salendo da Torre Pali verso l’alto, in un’aia di fronte alla casa di Norman

e Patience. Una terrazza di mondo dove necessario ancora appare l’esercizio del fare e del contemplare. Quanto Silenzio! Sempre gentile e sorridente Norman col suo bel parlare, con la tenacia delle mani che maturavano animi e pietre, quasi che il Marmo fosse morbida argilla e il Cuore degli Uomini pasta di mandorla da proteggere, via via bagnandola di sapienza per evitare il secco. Lieve, nella sua grande accogliente potenza, curioso di sapere e generoso nel dare aperture alle visioni, ai palpiti, ad ogni emozione, come a voler rifondare in ogni atto la sacralità della Vita, come moto d’origine che coglie voci e fa il cuore aperto ad assorbire scosse, colpi, come a togliersi dal guscio individuale, dall’Io, per volgersi all’altro invitandolo ad osare l’avventura inoltre al piccolo degli affanni, indietro e in avanti, dentro un’idea che non consuma e sa la cura come nutrimento alla gioia che vibra il senso e fa l’artista angelo servitore, attento sempre, all’opera, fragile e vitale tra la solita umanità sospesa, a

tenere la danza, il ritmo, la memoria. Norman Mommens era un uomo controcorrente, anche perché a differenza dei tanti salentini emigrati altrove, lui, ha seguito il percorso inverso. È emigrato a Salve. Fiammingo di nascita e inglese d’adozione s’è formato alla Scuola Superiore di Architettura e di Arti visive di Amsterdam. Nel dopoguerra ha lavorato come disegnatore, progettista di stand e pittore di scenografie teatrali. Nel 1952 ha iniziato a scolpire la pietra nelle cave di granito della Cornovaglia. Dal quel momento la sua “fame di pietra” non si è più estinta e dal 1962, anno in cui ha incontrato Patience Gray la compagna della sua vita, ha vissuto nel Mediterraneo dapprima a Carrara, poi nell’isola di Naxos, poi ancora cinque anni a Carrara e infine dal 1970 a Salve, nella masseria Spigolizzi, diventata di tutti gli artisti del Capo di Leuca e della provincia, ma anche di artisti provenienti da tutto il mondo, i quali, grazie alla sua guida, hanno potuto scoprire il Salento più autentico.

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AFFRESCHI&RINFRESCHI



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Daniele De Luca

Fermatevi, cogliete la bellezza del silenzio 12 luglio 2016. Ore 11.30. Linea ferroviaria Andria-Corato. Puglia. Due treni si scontrano violentemente. 27 morti... siete diventati tutti ingegneri! 14 luglio 2016, Ore 22.30. Nizza. Francia. Un attentatore suicida con un camion cerca e falcia decine di persone presenti sul lungomare per festeggiare la presa della Bastiglia. 84 morti... ora tutti esperti di sicurezza nazionale! 15 luglio 2016, Ore 22.00. Istanbul, Ankara e Smirne. Turchia. Le forze armate tentano un colpo di Stato contro il presidente Recep Tayyip Erdogan. Più di 250 morti... all’improvviso, come per magia, tutti analisti di politica internazionale! E il silenzio? E quella meravigliosa e sana capacità di fermarsi a riflettere davanti alla morte? Ahimè, “[...] perduti nel tempo come lacrime nella pioggia”. Non c’è scampo ormai alle vostre analisi e alle vostre parole evacuate in piena libertà. I fatti – che siano drammatici o meno – non vi impediscono di sparare una quantità immane di cazzate. Eppure è

facile... non sapete qualcosa o, semplicemente, non avete idea di cosa stia succedendo... beh... state zitti. Chiudete la bocca e troncatevi le mani per impedirvi di scrivere quello che nessuno vi ha, in fondo, richiesto. Ma lo so, lo so, ormai ce ne siamo accorti, avete una vita triste, avete bisogno di farvi notare, nemmeno il vostro animale domestico (cane, gatto, ramarro o armadillo che sia) vi prende più in considerazione, riconoscendovi come suo pari. La vita dovrebbe essere silenziosa o, almeno, non gridata, guardata con umiltà, pensate allora a come dovremmo osservare la morte. Il passo indietro davanti alla sofferenza è d’obbligo, la maestà della morte dovrebbe inibire dal pronunciare stupide parole senza valore alcuno. E, invece, sembra tutto vano. Più sangue scorre e più vi accanite, scatenando i vostri pochi neuroni ancora non bruciati da letture, a dir poco, inaffidabili (o assenti). Lo ammetto, questo non è un pezzo normale: poco sarcasmo, ancor meno ironia

ma tanta rabbia. Ma considerate che non son state settimane facili, l’Europa è debole, gli strumenti per difenderla insignificanti e i suoi cittadini... beh, lasciamo perdere. Non volete che almeno la voglia di prendere a schiaffi questi analisti e commentatori da “Corriere dello Sport” cresca imperiosa? Ecco, sì, occupatevi di calcio (sempre ne siate capaci), magari di bocce o uncinetto. Se proprio volete, continuate a pubblicare frasi rubate qui e là (e di cui anche wikipedia si vergognerebbe) sull’amore o sui vostri piccoli accompagnatori a quattro zampe (o a due, se ne trovate) e lasciate perdere le cose serie. Sì, lasciate perdere quello che non capite o non conoscete... vi dirò una cosa: la città, la regione, la nazione intera sapranno farsene una ragione e vivranno magari più felici. Fermatevi, cogliete la bellezza del silenzio, la sentite? No? Ahia, peccato. Allora vediamo se, a questo punto, riuscite a fare vostro il mio più becero, vastaso e urlante... MaffanCOOL!!!

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VAFFANCOOL


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STANZA 105 BLOG

Mino Pica

LA STANZA DELLO SPIRITO E DEL TEMPO

Un anno in questa stanza equivale ad un solo giorno all’esterno. L’aria è più densa, la temperatura oscilla, non c’è niente, è tutto completamente bianco, tutto sembra infinito: non ci si può resistere a lungo. In Dragonball Gt, in questa stanza qualsiasi persona può ottenere un anno intero di allenamento speciale, lasciando che passino solo 24 ore nella realtà. Mi chiedo se la nostra epoca sia entrata in questa stanza ed abbia dimenticato di uscirne, assuefacendosi ai suoi ritmi. Viviamo sotto lo stesso cielo della precarietà del lavoro da diverso tempo ormai e spesso non ne cogliamo il senso, accettiamo le regole senza proporre di migliorarle, senza cogliere anche le potenzialità della liquidità di cui noi stessi ci nutriamo. Viviamo insoddisfatti del clima, a qualsiasi latitudine e stagione ci troviamo, ci lamentiamo insomma potenzialmente di ogni cosa: dalla retorica politica al rigore di Zaza, dai gggiovani dispersi nel

nulla all’assenza di Maestri, dall’ignoranza di chi ha i mezzi fino a chi nasconde i propri. Il fattore comune e principale di questa stanza ideale, che arreda le nostre menti, è la nostra disattenzione individuale e collettiva: sembra infinita e senza limiti, una disattenzione densa a cui non possiamo pensare di resistere a lungo. è una disattenzione figlia di limiti consentiti superati probabilmente; sottoposta ai mille impulsi dettati dalla nostra quotidianità. Luglio appena trascorso, come tanti altri mesi degli ultimi anni, ci ha offerto una serie di fatti infiniti che hanno stimolato la nostra attenzione, generando la nascita di opinioni, discussioni, like, mancati approfondimenti, mancati dibattiti, mancate domande, a cui inevitabilmente non sono poi corrisposte risposte. Il 12 luglio la tragedia di Andria ha sconvolto tutti, due giorni dopo siamo stati travolti da quella di Nizza, il 16 luglio dal golpe fallito in Turchia,

dopo qualche giorno parlavamo invece sopratutto dei Pokemon; il 20 luglio per qualche ora si è parlato del G8 di Genova e nello stesso giorno della nomina di Trump; il 22 luglio la strage di Monaco è durata ben poco, sempre in termini di attenzione collettiva, in quanto l’indomani la Juve ha acquistato Higuain. A breve, come ci ha spiegato Inside Out, tutti questi ricordi saranno cancellati dalla nostra mente. Ne abbiamo davvero troppi da gestire in questa stanza dello spirito e del tempo. Probabilmente lì fuori, nella realtà, più leggeri e liberi, potremmo affrontare diversamente tutti questi impulsi. O forse ci stiamo semplicemente continuando ad allenare, a formare i nostri anticorpi. Quanto a lungo però potremo resistere in questa dannata stanza? “Come dite?” “Vi ricordo che avete deciso voi di entrarci, potete uscire quando ne avrete volontà”. “Ah, grazie”.


I quaderni del senno di poi di Francesco Cuna | facebook: quadernidelsennodipoi


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a cura di CHIARA MELENDUGNO

BANDE A SUD Il direttore artistico Gioacchino Palma ci racconta la quinta edizione della rassegna che porterà a Trepuzzi, in provincia di Lecce, Renzo Arbore, Minafric e Faraualla, le bande di strada e molti altri ospiti Si può parlare di ambiente, lotta sociale e politica a suon di banda? Certo che si può se la banda è sociale. La quinta edizione di Bande a Sud, il Festival degli immaginari bandistici che si svolgerà a Trepuzzi dal 4 al 16 agosto, lo dimostra con i fatti ospitando le migliori formazioni nazionali e internazionali che reinterpretano la tradizione popolare in chiave moderna. Il programma è ricco di contaminazioni sonore, di giovani che fanno della musica uno strumento viatico e che vivono l’ensemble come una microsocietà. Gioacchino Palma, maestro e compositore oltre che direttore artistico del Festival, fotografa lo scenario che Bande a Sud vuole raccontare. Qual è l’ispirazione della quinta edizione di Bande a Sud? L’ispirazione è nata dall’idea di banda sociale. Ci sono alcune street band che negli ultimi anni si configurano come bande di professionisti che nascono però intorno ad un’idea di tipo sociale, ambientalistica, politica e che vanno in giro per creare movimento e interagire con la popolazione. La musica per loro è un mezzo di comunicazione. Ho riflettuto sul fatto che tutti i tipi di bande

sono bande sociali, sia quelle tradizionali che quelle moderne. Una banda musicale in realtà è concepita come una microsocietà all’interno della quale, oltre che suonare, ciascuno si occupa di aspetti diversi, si crea un mini gruppo con tutte le sue particolarità. C’è una vita che va al di là dell’esibizione durante il concerto. Se pensiamo che le bande balcaniche, ad esempio, sono nate intorno ai riti del matrimonio e dei funerali, la banda e la musica diventano il mezzo e non il fine della performance. Da matrimoni e funerali si passa oggi alla lotta sociale? Il filone “sociale” è questo ma declinato in modi differenti. Musicalmente parlando, lo ska e il reggae, l’hip hop e le posse nascono come aggregazione sociale nelle periferie che poi diffondendosi diventano mediaticamente importanti. Lo spirito con cui quei movimenti sono nati è lo stesso delle bande. Da qui la nostra scelta di invitare i Dubioza Kolektiv insieme alla fanfara macedone (9 agosto) o Richie Stephens and The ska nation band (12 agosto). Così come i Gitanistan Orkestra (10 agosto). Claudio Cavallo ha riunito intorno a sé musicisti che sono


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Bande a Sud però mantiene saldo il legame tra contemporaneità e tradizione. Certo, le nostre bande, in origine, hanno avvicinato realtà diverse. Con le prime trascrizioni per fiati e ottoni di repertori colti, il popolo si è appropriato della musica colta attraverso l’opera lirica e sinfonica. Bande a Sud proporrà due serate in forma rappresentativa, con costumi e scenografia in cui la cassa armonica farà parte della scena”. La quinta edizione sembra la più matura e consapevole. Viene fuori un chiaro intento di seguire un percorso che apre alla modernità e alle nuove generazioni per coinvolgere un pubblico sempre più ampio. Cosa ne pensa? Tutte le edizioni hanno avuto un tema che è stato sviluppato in maniera consapevole. Rispetto al coinvolgimento di un pubblico ampio e più giovane è giusto dirlo poiché stiamo dando attenzione ad un repertorio più vicino alle nuove generazioni. Questo c’è, ma c’era anche prima. La manifestazione offre ogni anno una serata con artisti di punta come gli Opa Cupa, Vinicio Capossela, Goran Bregovic e quest’anno Renzo Arbore. Abbiamo sempre pensato che dovesse esserci un portavoce che con la sua popolarità potesse rivalutare un repertorio popolare e dare nuovo slancio ad un messaggio di promozione culturale. Quest’anno abbiamo scelto Arbore che con la sua Orchestra italiana per primo ha portato agli immigrati italiani la musica popolare napoletana. Anche questo è un modo di interpretare il concetto di banda sociale. Si parlava di “contaminazioni”, tra gli eventi collaterali arriva lo Street Art Fest. Chekos, insieme ad altri artisti, produrrà un murales a Casalabate con elementi bandistici legati alla tradizione lirica salentina. è un modo per reinterpretare spazi urbani

dal 4 al 16 agosto Trepuzzi (Le) BANDE A SUD Il programma di Bande a Sud si aprirà il 4 agosto in Largo Margherita a Trepuzzi con Renzo Arbore e L’Orchestra Italiana. Dal 6 all’8 agosto una tre giorni all’insegna di musica, magia, divertimento in piazza e al mare, fra Trepuzzi e Casalabate, con la Festa delle bande di strada (6 agosto), Bandakadabra (7) e P-Funking (8). Martedì 9 appuntamento con Dubioza Kolektiv feat Dzambo Aguševi Orkestar. Il giorno dopo a Casalabate Mascarimirì in Gitanistan Orkestra. L’11 agosto si torna a Trepuzzi con “L’Elisir d’Amore” di Gaetano Donizetti. Il 12 Richie Stephens & the Ska Nation Band mentre il 13 concerto di musica sacra prima delle Bande da giro tradizionali per la festa patronale dedicata alla Madonna Assunta (14 e 15 agosto). Il 16 agosto ultimo appuntamento con la Minàfric Orchestra, ensemble guidato da Pino Minafra, che incontra sul palco il quartetto vocale femminile Faraualla. Ingresso libero. Info bandeasud.it con opere che restino nella quotidianità dei luoghi. La città come ha accolto la trasformazione del concetto di tradizione bandistica, in relazione al fatto che Bande a Sud si conclude con la sentita festa patronale della Madonna dell’Assunta? Ha capito il nostro intento. E lo ha fatto anche grazie ad una persona. Marcello Taurino, presidente del Comitato feste patronali scomparso alcuni mesi fa, è stato un amico ma anche una figura importantissima per descrivere cosa è accaduto a livello locale. Il Comitato feste, legato fortemente alle sue tradizioni e nato per difendere la tradizione, è stato investito da questo Festival che portava in paese musica bandistica di ogni tipo. Marcello è stato di una curiosità e di una lungimiranza straordinaria. E la città si è calata in questa trasformazione in modo molto libero da un punto di vista intellettuale. Anna Chiara Pennetta

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qui nel Salento, derivanti dalla tradizione gitana. Lui si è posto il problema di come cercare di integrare diversi stili all’interno della nostra tradizione musicale conditi in salsa bandistica.


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sabato 6 agosto Erchie (Br)

ROCK’N’ROLL PARTY Torna il festival che come ogni anno, tra tante sorprese e ospiti di fama internazionale, farà rivivere a tutti gli appassionati la magia dei mitici anni ‘50. Il campo sportivo di Erchie si trasformerà in una vero e proprio villaggio della provincia americana, in cui non mancheranno mercatini vintage, stand gastronomici, lunapark con giocolieri ed artisti di strada e persino uno stylist corner per trasformare il proprio look in vero stile anni ‘50.

Dal 5 agosto al 16 settembre

Torre Santa Susanna (Br)

UNDER WATER FESTIVAL il Barcollo di Torre Santa Susanna ospita “Under Water Festival”. Una serie di concerti che ospiteranno Mammooth (5 agosto), Duo Bucolico (10 agosto), Indianizer (15 agosto), Giungla (19 agosto), Live a Surprise (una serata tutta da scoprire - 26 agosto), Anudo (2 settembre), lo spettacolo teatrale Pirati Seconda Navigazione (9 settembre) e il cantautore Bianco (16 settembre). Ingresso libero. Info 3270118072

dal 5 al 9 agosto Melpignano (Le)

SO WHAT FESTIVAL / YEP! Melpignano torna rock. Dal 5 al 9 agosto nel piazzale del Convento degli Agostiniani - che a fine mese sarà preso d’assalto dagli amanti della Taranta - ospita cinque giorni dedicati al rock e ai suoi derivati con due interessanti festival: So What e Yep!. Dal 5 al 7 agosto si parte con So What Festival. Tre giorni di incontri, mostre, uno spettacolo teatrale, una serata dedicata ad Emergency, quattordici concerti e dj set con ospiti italiani e internazionali. La prima serata (dopo un incontro e uno spettacolo) i concerti con Tobia Lamare & 54 Songs Band e Boundless Ska Project che apriranno l’atteso live del gruppo culto The Skatalites. Sabato 6 la seconda serata si aprirà con Electrojezus e Float Flow. A seguire il progetto che vede insieme M1, componente del duo hip hop newyorkese “Dead Prez”, e Bonnot il pluripremiato DJ e produttore degli “Assalti Frontali” che si esibiranno subito dopo. In chiusura tornano nel Salento i 99 Posse. Domenica 7, infine, So What Festival si concluderà con le esibizioni di Uncle Jungle, No Finger Nails, gli spagnoli Iseo & Dodosound e i francesi Panda Dub. Lunedì 8 parte lo Yep! con I misteri del sonno, Inude, I Cani e il dj set di Max Casacci dei Subsonica. Martedì 9 infine Astenia, Noon, La municipàl e Calcutta.


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KAMASI WASHINGTON CHIUDE IL LOCUS FESTIVAL Lo spazio è il tema della dodicesima edizione del Locus Festival, che si sviluppa attraverso percorsi musicali avventurosi, l’arte e il design d’avanguardia, fra grandi performance e installazioni di luce in uno dei borghi più belli d’Italia: Locorotondo, nel cuore della Valle d’Itria, magico angolo di Puglia fra le colline non lontano da bellissime spiagge. Partito il 15 luglio il festival sta inanellando una serie di successi di pubblico e di critica affermandosi come uno dei festival più interessanti in Puglia e in Italia. Una line-up di alto livello internazionale che rispecchia le tendenze più evolute ed attuali della musica mondiale di quest’anno in ambito soul, jazz, black, ed elettronico. Cinque weekend focalizzati essenzialmente in due scene musicali: New York e Regno Unito, oggi più che mai straordinariamente vitali e innovative. Venerdì 5 agosto in Piazza Aldo Moro appuntamento con il giovane neuroscienziato inglese Sam Sheperd, ai più conosciuto con il nome di Floating Points, che si è affermato nella scena elettronica internazionale con un suono estremamente personale e intrigante. Sabato 6 agosto al Mavù spazio al Locus Future Dance con Theo Parrish, Jolly Mare e Zippo. Sabato 27 agosto al Mavù evento conclusivo con Kamasi Washington, il nuovo santo-

ne del jazz, figura che ricorda quella di Sun Ra almeno dal punto di vista iconografico. Ha pubblicato nel 2015 un disco che già nel titolo è un manifesto programmatico della sua impresa musicale. The Epic è un disco titanico, denso, impegnativo capace di scardinare barriere, intraprendere nuovi percorsi sperimentare nuovi linguaggi del jazz contemporaneo sconfinando spesso e volentieri. Un album che lo ha proiettato direttamente nell’olimpo del genere accanto ai grandi nomi del passato. Kamasi Washington è a detta di molti il futuro del jazz, sicuramente è tra i live più attesi dell’estate pugliese. Il Locus Festival 2016 è organizzato da Bass Culture Srl e da Turné Srl in collaborazione con il Comune di Locorotondo e con il sostegno della Regione Puglia. Audi è Official Partner per il secondo anno consecutivo. L’azienda vinicola Tormaresca ha etichettato una selezione dei suoi vini pregiati nel segno del Locus. Importanti e preziosi anche i contributi della BCC Locorotondo, della Sartoria Latorre e della birra Palm, oltre al supporto di una articolata e dinamica rete di partner tecnici, media e territoriali. La direzione artistica è curata da Gianni Buttiglione. Info e programma completo su www.locusfestival.it


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lunedì 8 agosto Anfiteatro Romano - Lecce

LA NOTTE DELLA RIVOLTA L’etichetta salentina La Rivolta Records presenta il meglio della la sua produzione artistica e festeggia i cinque anni di attività con “La Notte Della Rivolta Festival”. Nel corso della serata sul palco si alterneranno La Municipàl, I Misteri del Sonno, Teenage Riot, Playontape, Nu-Shu, Heidi for president, Ifad, The Clipper, Buckingum Palace. Inizio ore 21.30. Ingresso 5 euro (cd incluso).

11/12 agosto Muro Leccese

BALLATI

Ritorna in Piazza del Popolo a Muro Lecce il Festival della Tradinnovazione organizzato da Dilinò e Mascarimirì. Per questa edizione la cultura Rom-Salentina incontra le musiche del Sud Italia. Ritorna “Sapori in Ronda” e novità di quest’anno la vestizione e parata artistica dal Pollino. Nelle due serate sarà proiettato anche il documentario Gitanistan. Ingresso libero.

dall’8 al 24 agosto Sud Salento

ESCO DI RADIO

Sino al 24 agosto prosegue la quinta edizione di Esco di Radio Live, festival dedicato alla produzioni musicali salentine e pugliesi ideato, organizzato e promosso da Mondoradio Tuttifrutti. Lunedì 8 agosto (ore 21.30 - ingresso gratuito) in Piazza Girolamo Comi a Lucugnano appuntamento con Anna Cinzia Villani & MacuranOrchestra e con il reggae di Treble Lu Professore, autore e storico fondatore dei Sud Sound System, in concerto con il suo nuovo progetto The Dangeroots, che proporrà i brani che hanno caratterizzato la sua carriera artistica e le nuove produzioni. Martedì 9 agosto (ore 21.30 - ingresso gratuito) in Piazza Giuseppe Pisanelli di Tricase per la Festa di San Vito spazio a Carolina Bubbico Quartet, Moods e Bundamove. Ultimo appuntamento estivo del festival mercoledì 24 agosto (ore 21.30 - ingresso gratuito) in Piazza Castello a Tiggiano con Carolina Bubbico Trio e La Municipàl che proporrà i brani dell’album di esordio “Le Nostre Guerre Perdute” che comprende le nuove canzoni composte da Carmine Tundo (chitarra e voce) e Isabella Tundo (piano e voce) affiancati sul palco da Roberto Mangialardo (chitarra), Matteo Bassi (basso), Gianmarco Serra (batteria). L’album è il frutto di un’intensa ricerca artistica e arriva dopo un raffinato lavoro di fidelizzazione, che ha dato grande visibilità e credibilità al progetto. Info 3804580810 - www.mondoradio.net


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dal 5 al 26 agosto Lido Le Cesine - Lecce

Tropical Party

Ogni venerdì di agosto ritorna il Tropical Party in spiaggia. Sulla costa adriatica si aspetterà il sorgere del sole in spiaggia ballando sui ritmi del reggae, del dub, dell’electro, della jungle, dello ska, della bass music, dell’hip hop, dell’indie rock, della drum’n’bass, del roots e tanto altro ancora. Ospiti diversi ogni settimana guidati dalla voce di Miss Mykela. Ingresso libero. Inizio ore 23 Info 3472571292

agosto Cotriero - Gallipoli (Le)

Aperitivi musicali

dal 6 al 27 agosto Kum Beache Club - San Foca

EL SABATONE

Quest’anno la festa vintage più grande della costa salentina va in scena al KUM Beach Club sulla litoranea San Foca – Roca. Da undici anni il party dell’eclettico artista salentino Tobia Lamare ospita ogni sabato sera migliaia di anime in cerca di groove. Una festa per hot pants o pantaloni a zampa, tacco o infradito, converse o bowling shoes, capelli cotonati o camicette a quadri, mocassini o sneakers, un party dove puoi essere te stesso.

Proseguono gli appuntamenti con gli aperitivi al tramonto del Cotriero di Gallipoli, località Lido Pizzo. Dalle 18 (ingresso libero) tutte le sere ospiti pugliesi, nazionali e internazionali. Tra gli appuntamenti Mylious Johnson (8 agosto), il ritorno del cantautore spagnolo da sempre innamorato della musica italiana Tonino Carotone in concerto con Mistura Louca (9), Apulian Black Connection (10 agosto), Chop Chop Band in dj set (11), Orchestrina Mata Bicho (12), Gopher (13), Vito Santamato (14), The black in the deeptech (15), Resina Sonora (16), The crowsroads (17), Malavida (18), La chirurgia etica (18), Caffè Cinaski (20), Carlo Chicco (21), Raina da Villa Ada (24). Tra gli eventi serali appuntamento il 12 agosto con una serata reggae con Dj War, Jahmaikol, Mattune e Papamassi. Info 3406662833



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COSMO

Il cantautore ospite del Contronatura Festival «Il mio è un disco sincero ma non per questo paraculo». Marco Jacopo Bianchi, aka Cosmo, imperversa nelle radio nazionali con il brano “L’ultima festa” che dà anche il nome al nuovo album uscito per la 42 Records (distribuzione Master Music e Believe). Acclamato all’ultimo Spring Attitude, il festival di musica elettronica di Roma, è salito sul palco del MiAmi di Milano, registra il tutto esaurito in giro per l’Italia e non disdegna i tour radiofonici estivi. Sperimenta l’elettronica e scrive testi in un italiano diretto e contemporaneo. La sua musica piaceva sin dalla fondazione dei Drink to me. E piace adesso con il suo secondo album da solista. Il 10 agosto sarà sul palco del Contronatura Indipendent Music Festival, ospitato al Sud Est Studio nelle campagne di Guagnano, in provincia di Lecce. La line up promette di fare l’alba con l’unica data italiana di James Holden & Camilo Tirado che presentano “Outdoor Museum of Fractals”; i live di Cairobi, Cosmo, Weird Black, Dubla e il dj set di Stefano Libertini Protopapa (Eurocrash). Intanto Cosmo ci racconta del successo radiofonico inaspettato e di quanto c’è da imparare dal palco. «Scrivo il più possibile in maniera sincera ultimamente. Questo disco è sincero, semplice, comunicativo ma non per questo paraculo». “L’ultima festa” è trasmesso in tutte le radio. «Il successo radiofonico dipende dalla canzone e basta. I contatti radiofonici per girare on air li avevo anche prima ma non si è mai mosso nulla perché non c’era la canzone. Ora c’è, ha fatto tutto lei».

Ospite nei club e in numerosi festival, Cosmo è spesso ospite dei tour radiofonici. A Lecce, ad esempio, era nel cast di Battiti Live, promosso da RadioNorba. «Il tour delle radio nelle piazze non è un ambiente familiare per me ma è un mondo che non disdegno. Ci vuole un certo grado di professionalità e di esperienza per gestire queste cose. Vedo tanti artisti che sanno come muoversi su questo genere di palchi, performano per la gente già durante il soundcheck. Io sono abituato a un’ora di concerto live e per me conta solo quello. Non sputo nel piatto in cui ho mangiato fino ad ora e cioè la nicchia indipendente, ma non disdegno neanche quest’altra dimensione. Volevo solo che la mia musica raggiungesse il maggior numero di persone». I “Drink to me” e il progetto solista sono due anime dello stesso corpo. «Il gruppo resterà in stand by un po’ più a lungo del previsto ma abbiamo intenzione comunque di continuare parallelamente. Dopo il primo disco di Cosmo ho fatto un altro disco con i Drink to me. L’ultima festa ha avuto un successo inaspettato. Senza i miei quattro dischi precedenti, compresi quelli con i Drink to me, non sarei mai arrivato ad essere la persona che sono ora. È stata una fucina di preparazione. Il pubblico indipendente mi ha permesso di girare, fare 70 date l’anno, continuare a tenere alto il livello di esperienza, suonare tanto. Ora il live di questo tour è il più intenso che abbia fatto in vita mia». Anna Chiara Pennetta



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11/13 agosto Parco Gondar - Gallipoli (Le)

Gusto Dopa al Sole

Il Gusto Dopa al Sole quest’anno travalica i suoi confini tradizionali del reagge e dell’hip hop. Tra gli ospiti ci sarà anche il dj e produttore francese David Guetta (12 agosto) per una serata che si annuncia imperdibile. La serata d’apertura dopo Dj Gruff proporrà (per la prima volta insieme) Alborosie e Sean Paul. La chiusura è riservata a Freddie McGregor, Sud Sound System e Après La Classe. Info gustodopaalsole.com

16 agosto Torre Regina Giovvanna - Apani (Br)

Skunk Anansie

11/12/17 agosto Leverano, San Marzano, Grottaglie

BANDADRIATICA

Prosegue il tour estivo della BandAdriatica per celebrare i dieci anni di attività. Prossimi appuntamenti a Leverano, nell’ambito di Meat & Sound (11 agosto), San Marzano (12 agosto) e Grottaglie (17 agosto). Su youtube è disponibile il videoclip di Terra, nuovo singolo estratto da Babilonia, quarto lavoro discografico della Bandadriatica, prodotto da Finisterre, promosso con il sostegno di Puglia Sounds Record.

Una nuova estate si affaccia tra mille novità sull’area di Torre Regina Giovanna, in contrada Apani, immersa nella riserva naturale di Torre Guaceto. Quest’anno, il filo conduttore del festival del Baccatani Wave 2016 è Play your colours: l’arte astratta, la Bauhaus e la corrente del Movimento moderno dei primi del ‘900 con i suoi precursori ed eredi, fino a giungere al graffitismo degli anni ’80 faranno da sfondo a questa edizione della rassegna. Ospiti principali gli Skunk Anansie (16 agosto), da sempre una delle rock band più amate del pianeta, da anni capace di regalare al grande pubblico successi intramontabili quali Hedonism e You’ll Follow me Down. Tra gli altri appuntamenti in programma Max Gazzè (6 agosto), 13 agosto (Hortus Folk Festival), Reebot (20 agosto) e il Funerale della Regina (27 agosto). Una novità di quest’anno è Hortus: un’iniziativa ideata da Torre Regina Giovanna per l’estate, un modo per vivere la natura e per gustare i sapori più veri della tradizione pugliese/ brindisina. www.torrereginagiovanna.com


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13 agosto Forum Eventi - San Pancrazio Salentino (Br)

VINICIO CAPOSSELA

Cantautore, poeta, scrittore e fantasmagorico entertainer, Vinicio Capossela sarà in concerto per una tappa del “Canzoni della Cupa Tour”. Composto da due lati, Polvere e Ombra, “Canzoni della Cupa” è un’opera originale, su cui Capossela ha lavorato per tredici anni e che arriva a cinque anni di distanza dal suo ultimo album di inediti. E proprio come il disco, anche il nuovo tour è composto da due lati. Info www.forumeventi.net

13 agosto Piazza del Popolo - Copertino (Le)

EMANUELE TONDO

“Sguardo a Sud-Est” è il titolo del nuovo lavoro discografico del pianista salentino Emanuele Tondo, prodotto dall’etichetta Dodicilune, distribuito in Italia e all’estero nel circuito IRD e nei migliori store digitali. Il cd propone sette composizioni originali del musicista e due classici come My Ideal di Leo Robin, Newell Chase e Richard A. Whiting e I’ll Be Seeing You di Irving Kahal e Sammy Fain.


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dal 26 al 28 agosto Cellamare

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CELLAMARE MUSIC FESTIVAL

16 agosto Parco Gondar - Gallipoli (Le)

PRODIGY

Una delle migliori band live di musica elettronica calcherà il palco del Gondar per il Synphonya Festival, con installazioni e live mapping ad hoc per un’esperienza multisensoriale tra effetti e luci di grande impatto, con ritmi martellanti, ganci melodici, parole o frasi ripetute come mantra: il loro stile è di grande effetto, tutto votato all’adrenalina dovuta al groove e alle esplosioni che sono disseminate nelle composizioni.

20 agosto SudEstStudio - Guagnano (Le)

Knick Knack

Ultimo appuntamento per rassegna Knick Knack tra musica House e Techno eclettica, solare e colorata. In consolle si alterneranno Underspreche, Haiku, Boris e I/Y, duo residente a Berlino e, parzialmente, anche in Salento dove hanno di fatto una seconda casa, il palco del Mister Knick Knack, sul quale saliranno per il loro terzo anno consecutivo.

Da venerdì 26 a domenica 28 agosto nel Campo Sportivo di Cellamare, in provincia di Bari, arriva il Cellamare Music Festival, nato per scherzo su Facebook e fortemente voluto da più di 1000 sostenitori, diventato realtà grazie alla più grande campagna di crowdfunding mai realizzata in Italia per un festival musicale con oltre 27mila euro raccolti. Un cartellone composto da ben 90 band e artisti indipendenti pugliesi che si alterneranno a ciclo continuo su due palchi. Una 3 giorni di musica, arte e cultura a tutto tondo. Tra i nomi più noti, oltre al martinese Renzo Rubino e al tarantino Diodato, artisti che hanno fatto la storia del panorama musicale indipendente pugliese come i Nidi d’Arac, U’ Papun, Camillorè e quelli che si stanno affacciando con successo alla scena musicale locale e nazionale come Moustache Prawn, Una, Fabryka, La Municipàl, Molla, Leland Did It. Il Cellamare Music Festival però non è solo musica ma anche workshop con giornalisti ed esperti del settore, enogastronomia, con lo spazio dedicato allo street food rigorosamente pugliese, arte e artigianato, con molti dei più interessanti designer e artigiani locali. Ci sarà inoltre un allestimento che rispecchierà a pieno lo stile e lo spirito che ha contraddistinto finora il festival sul web. Info cellamaremusicfestival.com


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PETER HOOK

Mercoledì 17 agosto nell’Anfiteatro Romano di Lecce, per il Sud Est Indipendente, rivive il mito dei Joy Division Può una data essere rappresentativa di un’intera scena musicale cittadina? Nel caso di Manchester la risposta è assolutamente positiva: 4 giugno 1976. Quel giorno, nella Lesser Free Trade Hall, i Sex Pistols portarono la loro rabbia distruttiva... e nulla fu più lo stesso. Già il luogo non era uno qualunque. Esattamente dieci anni prima – nella sala maggiore – uno spettatore aveva urlato “Giuda!” in faccia a Bob Dylan, il quale si era “permesso” di collegare il jack alla sua chitarra acustica, rendendo elettrico il folk. Ma in quella sera di inizio estate del 1976 l’atmosfera era completamente diversa: da Londra arrivavano notizie che fiamme sempre più grandi si stavano diffondendo per la città. Scintille accese da quattro emarginati del sottoproletariato urbano della capitale (supportati da un lenone quale Malcolm McLaren) che avevano accolto – ed esasperato – la filosofia dei Ramones del Do It Yourself: non sai suonare, fottitene, impara tre accordi e forma una band. In un’epoca in cui i gruppi musicali si perdevano in lunghe, estenuanti e onanistiche suite, la velocità, l’urgenza, l’istinto, la rabbia strappata alle corde di una chitarra diventavano il nuovo modo di essere. L’arrivo a Manchester di Johnny Rotten, Glen Matlock, Steve Jones e Paul Cook era atteso come un’apocalisse rigenerante. La gri-

gia, industriale e torbida città incastrata tra Cumbria, Lancashire e Yorkshire sembrava non aspettare altro. Quel nord dell’Inghilterra, che i Monty Pyton avevano definito come il terzo mondo, viveva tra indigenza e arretratezza culturale. I giovani dei sobborghi, da Salford a Trafford, tentavano la fuga mentale nelle droghe o nei dischi che - esasperatamente lenti – arrivavano lassù. Il concerto del 4 giugno diede la scossa necessaria. Erano stati i Buzzcocks (la prima punk band della città) ad organizzare l’evento che vide la presenza di non più di un centinaio di persone. Tra quelle, Steven Patrick Morrissey (inutile vi dica chi sia, vero?), Martin Hannet e Tony Wilson (fondatori della Factory Records), Mark E. Smith (leader di The Fall), Mick Hucknull (cantante dei Simply Red). Ma, soprattutto, Bernard Sumner e Peter Hook... i futuri Joy Division. Sumner e Hook – vecchi compagni di scuola, orgogliosamente figli del proletariato della malfamata Salford – uscirono dal concerto decisi a formare una band. La mattina dopo, Peter Hook, senza sapere nemmeno cosa fosse, comprò per 35 sterline il suo primo basso. I due trovarono, per caso, in un giovane solitario di Macclesfield il loro cantante: Ian Curtis. Con Steven Morris alla batteria tutto era compiuto. Ma cosa esattamente? Ancora non era chiaro e il suono


dei Warsaw (il loro primo nome in omaggio a David Bowie) era crudamente grezzo e ancora legato ai dettami punk. Ma una novità c’era ed era proprio il basso di Hook. Le prime linee di quello che sarà il post-punk erano tracciate. E con la trasformazione nei Joy Division questo diventava sempre più prepotentemente realtà. Con Tony Wilson della Factory dietro di loro, i Joy Division, in solo due anni, furono in grado di costruire una storia quasi irripetibile. Tra il 1978 e il 1980, con due LP e qualche EP, seppero porre le basi musicali di tutto quello che venne dopo. Furono (e sono) fonte di ispirazione per tutti i gruppi new wave, alternativi, indie (o come diavolo volete chiamarli) dagli inizi degli anni ‘80 a tutt’oggi. La nervosa chitarra di Sumner, l’irato basso di Hook, la precisione tecnica di Morris sono tutto quello che una band vorrebbe avere. E poi, sì, poi ci sono i testi e la voce di Ian Curtis. Adagiatevi sul basso di Peter Hook in New Dawn Fades, in A Means to an End o in Heart and Soul e ascoltate lo spleen sofferente di Curtis. Una sofferenza e una malattia che porteranno alla tragedia. Il 18 maggio 1980, il giorno stesso della partenza per il primo tour negli Stati Uniti, Ian Curtis porrà fine alla sua vita a 23 anni. Da quello che ricorda Hook nel suo Unknown Pleasures - Inside Joy Division, nessuno nella band aveva compreso quanto malsano e pericoloso fosse il disagio personale di Curtis. Per questo lo shock fu terribile e pose i sopravvissuti davanti a una difficile scelta: cosa fare del futuro? Una cosa era certa, nessuno avrebbe sostituito Ian nei Joy Division, perché questi non ci sarebbero stati più. Un nuovo nome, un nuovo cantante, una nuova linea musicale avrebbero dovuto delinearsi. Seguendo l’ambiguità scelta per la prima denominazione (e che gli aveva fatto collezionare serie critiche e accuse di filonazismo), Bernard Sumner propose New Order. Per il ruolo di cantante la questione fu un po’ più complicata. Peter Hook aveva duettato con Ian Curtis in Interzone e, soprattutto, lo aveva supportato sul palco nei momenti di crisi determinati dall’epilessia. Hook sarà colui il quale aprirà il disco d’esordio Movement cantando in

Dreams Never End ma questa si rivelerà solo una eccezione. Sumner si assumerà, da quel momento in poi, la responsabilità di fronteggiare il pubblico anche con la voce. Movement è il disco del limbo e dell’indecisione. Nessuno dei New Order lo riconoscerà come veramente suo, ed era giunto il momento di cambiare definitivamente. Nel 1981/82 l’elettronica stava prendendo sempre più piede, e la techno si affacciava timidamente e con difficoltà sulle piste da ballo. Peter Hook comprese ancora una volta prima degli altri il cambiamento dei tempi, forzando la mano di Sumner e Morris spingendoli verso strade nuove e inesplorate. Nacque così il dodici pollici più venduto nella storia: Blue Monday. Non si tratta solo di tecnologia, o di sinth, ma l’intero sostrato musicale sarà seminale per le band successive. Tutti dovranno fare i conti con questo singolo, e con quelli che usciranno dalle menti di Hook/Sumner/Morris: Temptation, The Beach (tra l’altro scritta a Taranto), Thieves Like Us, The Perfect Kiss, ecc. Gli anni ‘90 furono anni di riconsiderazione del progetto New Order. In particolare, Peter Hook sarà l’epicentro fondamentale della scena acid house di Manchester e non solo. Le strade dei tre sodali saranno costrette a dividersi e questo avverrà in maniera non consensuale. Nel 2007 Hook sbatterà violentemente la porta dietro di sé, e i problemi legali tra lui e il resto della band rimangono a tutt’oggi irrisolti. Ma questo non ha impedito alla sua influenza di scomparire. Anzi. Quasi un anno fa i New Order sono usciti con un nuovo splendido album che sembra non aver superato la barriera del tempo: Music Complete. Ascoltatelo! Nei giri di basso c’è tutto Peter Hook, in ogni singola pennata sulle corde si sente la carica del ragazzo di Salford. Mi piace credere che sia un omaggio all’amico lontano e mai dimenticato. Quello stesso amico che ancora oggi gira per i palchi di tutto il mondo divulgando il verbo malato dei Joy Division o quello nevrotico dei New Order a poderosi, instancabili e cupi colpi di chitarra a quattro corde! Daniele De Luca

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DAMIAN MARLEY

Il 2 settembre il cantante sarà per la prima volta in concerto nel Salento Essere figlio d’arte non sempre è un vantaggio: spesso può rivelarsi una fardello o, addirittura, una condanna. Il nome Marley ha certamente semplificato l’accesso al mondo della musica ai primi figli del Re del Reggae che hanno deciso di seguire i passi del padre: per Ziggy, Stephen, Julian e Ky-Mani, però, il confronto con la grandezza paterna è stato sempre impietoso. Con Damian Marley, tuttavia, le cose sembrano essere andate diversamente. Damian, figlio di Bob e della modella jamaicana-canadese Cindy Breakspeare (Miss Mondo 1976), nasce appena tre anni prima della morte del padre. Inizia a suonare da ragazzino e già a 14 anni esordisce al Reggae Sunspalsh con il suo primo gruppo, The Sheperd. I rapporti e le collaborazioni artistiche con gli altri fratelli Marley sono stati sempre positivi: la produzione dell’album di esordio, “Mr Marley”, è di Stephen che sulla copertina del disco mette la foto del piccolo Damian tra le braccia del padre. Se Bob Marley era noto nei ghetti di Kingston come “Tuff Gong”, per l’abilità nelle arti marziali imparate per sopravvivere ai bulli di quartiere, Damian diventa così “Junior Gong” a rimarcare e rivendicare la regale discendenza. Il secondo album, “Halfway Tree” del 2001, è ben accolto da critica e pubblico e gli vale il primo Grammy come miglior disco reggae. Ma è nel 2005 con “Welcome to Jamrock” che Junior Gong diventa la stella del reggae del nuovo millennio: spinto in cima alle

classifiche dalla titletrack, basata sul remix della version di “World a reggae music” di Ini Kamoze, il terzo album di Damian rivela al mondo la qualità, lo stile e la potenza del giovane cantante che mescola il new roots con l’hip-hop, l’r&b e la dancehall. Il singolo è stato definito dal New York Times “la migliore canzone reggae del decennio” ed è stato inserito tra le “Top 100 Songs” del decennio dalla rivista Rolling Stone. L’album si avvale della sostanziosa collaborazione del fratello Stephen e vanta featuring importanti come Bobby Brown, Black Thought, Rovleta Fraser, il rapper Nas, Bounty Killer e Chew Stick. Damian Marley ha anche il merito con “Khaki Suit”, di ripescare e restituire ai palcoscenici una figura singolare e importante del rub-adub degli anni ‘80, Eek-A-Mouse, che porta con sé in tour, rilanciandone la carriera. Nel 2010 la collaborazione con Nas porta alla pubblicazione di “Distant relatives”, registrato tra la California e la Florida e prodotto ancora da Stephen Marley che insiste per far suonare le basi da musicisti in studio invece che utilizzare version digitali. Damian si dimostra un artista curioso e versatile, saldamente ancorato alle radici del reggae ma interessato a sperimentare collaborazioni con le più diverse esperienze musicali: nel 2006 duetta con Gwen Stefani in “Now That You Got It”, nel 2009 partecipa alla realizzazione del singolo “Fire”, del rapper B-Real dei Cypress Hill, nel 2011


collabora con il cantautore hawaiiano Bruno Mars nel brano “Liquor Store Blues”, nel 2012 invade i dancefloor di mezzo mondo cantando in “Make It Bun Dem” di Skrillex, la nuova stella della dubstep. Di sicuro, però, la collaborazione più eccentrica ed entusiasmante è quella che da vita ai “Superheavy” insieme a Mick Jagger (Rolling Stones), al cantante soul Joss Stone, a Dave Stewart degli Eurythmics e ad Allah Rakha Rahman (compositore indiano e autore di colonne sonore). L’album omonimo dei Superhaevy esce a settembre 2001 con 17 tracce (nell’edizione deluxe) trascinato dal singolo “Miracle worker” e porta Damian al di fuori dei confini della musica il levare. Seguono tra il 2013 e il 2015 i tre volumi di “Set Up Shop” per l’etichetta Ghetto Youths International, che stabilizza e formalizza la collaborazione col fratello Stephen: oltre ad ospitare le più belle voci della musica jamaicana e non solo, la collezione lancia la terza generazione dei Marley con due tracce di Jo Mersa, figlio di Stephen, la notevole “Treat You Right” di Daniel Bambaata, figlio di Ziggy, e “Cry to me” di Skip Marley, figlio di Cedella. Il tour 2016 d Damian “Junior Gong” Marley farà tappa a Lecce nella nuova Arena Concerti della Masseria Ospitale il 2 settembre: sarà il suo debutto in terra salentina e sancirà il suo ritorno in Italia dopo le tre tappe dello scorso anno e il lungo intervallo dalla turnè del 2011. Quella di Lecce sarà la prima data italiana del 2016 e l’unica al Sud, visto che l’artista giamaicano si esibirà nei giorni successivi a Senigallia, Pisa, Sesto San Giovanni e Pordenone. Tra i brani in scaletta le sue grandi hit come Make It Bun Dem, More Justice, It Was Written e Road to Zion, le cover “paterne”, tra cui quasi sicuramente Sun Is Shining, Confrontation, War, Could You Be Loved, Get Up Stand Up, ed il gran finale con Welcome to Jamrock. a cura di R&D VIBES trasmissione di cultura e musica roots & dub

DANIELE SILVESTRI Inaugura l’arena della Masseria Ospitale di Lecce Giovedì 18 agosto (ore 22 - ingresso 23 euro), dopo il sold out di marzo al Teatro Politeama Greco, Daniele Silvestri torna nel Salento per inaugurare il palco dell’Amo - Arena Masseria Ospitale sulla Lecce/Torre Chianca. Il cantautore romano presenterà alcune canzoni che hanno accompagnato la sua carriera e i brani del suo ultimo lavoro discografico “Acrobati”. Dopo “Quali Alibi”, che ha accompagnato l’uscita del disco prodotto da Sony Music, e “Acrobati”, title-track e canzone “manifesto”, da poche settimane è arrivato in radio il nuovo singolo “Pochi giorni”. Durante l’Acrobati Summer Tour, organizzato da OtrLive, Silvestri è affiancato da Piero Monterisi (batteria), Gianluca Misiti (tastiere), Gabriele Lazzarotti (basso), Duilio Galioto (tastiere), Sebastiano De Gennaro (percussioni e vibrafono), Daniele Fiaschi (chitarre), Marco Santoro (fiati e cori). Il concerto leccese è promosso da Associazione Cultural Roots, High Grade, Molly Arts, Coolclub, Masseria Ospitale con il patrocinio del Comune di Lecce. Info 3294499610 - 3331803375. Prevendite Ticketone e Bookingshow


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dall’11 al 17 settembre Cutrofiano (Le)

LI UCCI FESTIVAL

Il festival diretto da Antonio Melegari propone sette giorni di concerti, mostre e incontri per ricordare un’intera generazione di cantori capaci di tramandare il patrimonio popolare salentino. Come ogni anno il festival si chiuderà con il concerto de Li Ucci Orkestra che ospita alcuni dei principali esponenti della musica popolare salentina. Ingresso libero. Info liuccifestival.it

24/25 settembre Faenza

Festival del giornalismo musicale Per la prima volta in Italia tutto il giornalismo musicale, da quello delle grandi testate alle webzine, alle radio e tv e a tutti i new media, sarà a raccolta al #NuovoMei2016 di Faenza. Un importante momento di confronto e riflessione per i giornalisti e per chiunque scriva di musica nell’era di internet, con la rivoluzione epocale e repentina che ha coinvolto la produzione, la promozione e la fruizione musicale. info meiweb.it


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