Coolclub it - Giugno 2016

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GRATUITO Anno XIII Numero 83 Giugno 2016

Ogni mese un mondo di cultura in Puglia



SOMMARIO EDITORIALE - 5

CINEMA/TEATRO - 38/41

Tornerà un altro inverno

Salvatore Della VIlla - Alice e le altre Sabina Andrisano

INTERVISTA - 6/11 Carmine Tundo - La Municipàl

MUSICA - 12/29 Inude - Vudz - Jolly Mare - Keep Cool Valerio Daniele - Vinicio Capossela Luigi Mariano - Emanuele Tondo Antonio Amato Ensemble - Luce BlogFoolk - Skanderband

LIBRI - 30/37 Alessio Viola - Federico Mello Coolibrì

Piazza Giorgio Baglivi 10 73100 Lecce Telefono: 0832303707 Cell: 3394313397 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it fb: Coolclub.it - tw: Coolclublecce Anno XIII Numero 83 - Giugno 2016 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Collettivo redazionale Pierpaolo Lala (Direttore responsabile), Osvaldo Piliego, Dario Goffredo, Chiara Melendugno, Antonietta Rosato, Toni Nisi, Cesare Liaci

ARTE - 43/47 Erebo - Maria Mulas Simone Cerio

BLOG - 48/53 Food Sound System - Brodo di frutta Affreschi&Rinfreschi - Stanza 105 I Quaderni del senno di poi

EVENTI - 54/63 Speciale Festival - Sud Est Indipendente Rosamarino - Città della Musica

Hanno collaborato a questo numero la redazione di BlogFoolk (Salvatore Esposito, Ciro de Rosa), Jenne Marasco, Laura Rizzo, Alessandra Magagnino, Riccardo Giulietto Greco, Teresa Serripierro, Giulia Maria Falzea, Giuseppe Amedeo Arnesano, Lorenzo Madaro, Donpasta, Adelmo Monachese, Mauro Marino, Mino Pica, Francesco Cuna In copertina La Municipàl - foto Giacomo Rosato Progetto grafico e impaginazione Mr. Scipione Stampa Colazzo Srl - Corigliano d’Otranto (Le) www.colazzo.it Chiuso in redazione sempre e comunque in ritardo



EDITORIALE

TORNERà UN ALTRO INVERNO Gli organizzatori di eventi della Puglia e del Salento in particolare amano e odiano l’estate. La amano perché è una buona occasione per lavorare, per pensare e progettare concerti, festival, appuntamenti vari. La odiano perché sanno che, mentre tutto il resto d’Italia e non solo, decide di venire a passare le vacanze da queste parti, loro saranno sotto il sole cocente per far divertire quei turisti. Se durante l’inverno i grandi tour passano difficilmente a queste latitudini (carenza di strutture, poco ipotetico pubblico, difficoltà nei trasporti), durante l’estate - negli ultimi anni - il meglio della musica nazionale e internazionale ha fatto tappa da queste parti. L’estate 2016, nonostante la crisi e l’attuale situazione di stallo della Regione Puglia, che al momento ha completamente chiuso i rubinetti non sostenendo rassegne e festival (e speriamo che qualcosa si sblocchi), condurrà qui tanti nomi interessanti. Forse meno degli altri anni - gli organizzatori sono spregiudicati ma non totalmente pazzi - ma comunque mantenendo una elevata qualità.

Nelle pagine finali del giornale trovate una breve mappa dei festival dell’estate pugliese (con qualche incursione in Italia e all’estero). Non c’è tutto ma c’è molto di quello che accadrà (ci scusiamo con gli assenti). Nel suo piccolo Coolclub ha deciso di dedicare all’indie rock italiano la decima edizione del Sud Est Indipendente che dal 15 al 17 luglio sarà ospitato dall’Ostello di San Cataldo di Lecce con una succosa appendice a Lecce il 17 agosto. Tra gli ospiti anche La Municipàl, band nata dalla complicità sonora e canora dei fratelli Carmine e Isabella Tundo. A loro è dedicata la copertina di questo numero. Dopo Daniele Silvestri era arrivato l’artista Millo, dopo i Negramaro ecco La Municipàl. Mainstream ed emergenti, pop e indie, certezze e scommesse: in questi numeri abbiamo cercato di raccontare la Puglia (con più spazio a Lecce e alla sua provincia) culturale che pullula e si muove. Da organizzatori e comunicatori di questa lunga estate di concerti ed eventi vi auguriamo buona lettura e buon divertimento.


INTERVISTA

LA MUNICIPàL L’autore, cantante e polistrumentista Carmine Tundo ci parla de “Le nostre guerre perdute”, disco d’esordio del progetto che condivide con la sorella Isabella.

a cura di OSVALDO PILIEGO foto riccardo giulietto greco

È insolito e allo stesso tempo un piacere dedicare la copertina del nostro giornale a una band “emergente” parola ormai destinata al dimenticatoio come la stessa definizione di musica “indipendente”. È il tempo di fenomeni nuovi, di percorsi artistici fulminei, di successi che nascono dal basso o grazie al popolo della rete. In questo disorientamento, in questa sorta di “caos calmo”, spesso si fanno spazio piccole gemme che conquistano orecchie e cuore in una manciata di ascolti. È successo con La Municipàl, band di Carmine Tundo, “creativo” salentino dalla storia artistica così lunga che servirebbe un altro articolo per raccontarla, che insieme alla sorella Isabella ha intrapreso qualche anno fa un percorso fatto di brani e video



caricati in rete. Un progetto senza volto in principio, un lavoro casalingo, che piano piano è cresciuto, è entrato nelle stanze di tantissime case, ha colpito e affondato sempre più animi sensibili. “Le nostre guerre perdute” - prodotto dalla Rivolta Records, con il sostegno di Puglia Sounds Record e distribuito anche in edicola con quiSalento - era un disco atteso da molti. Il suo arrivo è stato accolto con entusiasmo anche dalla nostra redazione. È un album che fotografa una generazione perduta, con il bagaglio sempre ai piedi del letto, le proprie cose e i sentimenti sparsi negli appartamenti universitari. Canzoni come cartoline di un viaggio per cercare di capire se stessi, parole come moderne dichiarazioni d’amore. Amarezza, nostalgia e una rabbia sottesa sono solo alcuni dei sentimenti che La Municipàl riesce a raccontare con un linguaggio nuovo, poetico e cinematografico. Ne abbiamo parlato con Carmine Tundo, autore dei brani, polistrumentista, cantante e produttore del cd.

Il vostro progetto è la fotografia del tempo che viviamo e allo stesso tempo l’analisi di un passaggio. È la fatica di crescere. È uno sguardo al passato. È la paura del futuro... Ogni giorno da qualche anno a questa parte mi sveglio con delle convinzioni opposte a quelle con cui vado a dormire la notte prima. E il mondo attorno non mi aiuta a fare chiarezza. Mi contraddico di continuo ma questo repentino cambio di prospettiva può essere identificato come qualcosa di simile alla vita. Canzoni come cartoline da luoghi dell’anima, che conservano ricordi, che hanno visto l’amore o qualcosa di simile… Guardando il disco dall’esterno, ora vedo più che altro ogni canzone come un dente dolorante estirpato dalla carne, ma la calma apparente che ne sussegue è solo un posto nuovo per altri denti che cresceranno storti. E poi ci sono i posti reali, la provincia leccese, Milano, Ferrara, le stanze, la distanza, la separazione.


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Credo che nella mia testa tutte queste città facciano parte di un unico luogo, dove ci butto dentro i miei ricordi sfocati. Ho una cattiva memoria e tanti dettagli che ho vissuto e descritto nei brani neanche li ricorderei se non fossero in una canzone. Lettere appunto, il disco a volte assume i tratti di un romanzo epistolare, brani come piccole dichiarazioni d’amore. A volte la musica ha il potere di farci dire quello che le parole non possono. È proprio così, molti brani di quest’album sono stati scritti per una persona. Fino a qualche tempo fa scrivevo e registravo di corsa e consegnavo il cd alla persona in questione e lasciavo che la canzone dicesse quello che non avevo il coraggio di dire. Poi il potere della musica può trasformare una cosa così intima in un qualcosa di diverso, chiunque può fare proprie quelle strofe e buttarci dentro i suoi ricordi, ed è un po’ quello che è successo con alcuni brani de La Municipàl

Questo progetto arriva dopo una serie di esperienze, è Carmine ma è anche Isabella, tua sorella. È un disco intimo e corale allo stesso tempo, come funziona La Municipàl? Funziona che io ingoio e sputo la merda e mia sorella con la sua dolcezza riesce a ripulire il volto di quello che proponiamo. Ed è qualcosa di importantissimo, perché posso dire tutto quello che voglio, al primo ascolto veloce i nostri possono sembrare dei pezzi piacevoli e qualche volta allegri, prendendo “quasi per il culo” chi ascolta distrattamente le nostre canzoni. Isabella è il mio filtro, senza il suo apporto sembrerei solo un depresso con manie autodistruttive e senza nessuna prospettiva sul futuro, un cantautore spaccapalle insomma, che in fondo sono. È difficile cantare l’amore ma è allo stesso tempo impossibile non farlo. È questo il motore immobile del disco? Non so rispondere a questa domanda, In questo preciso istante ho una visone molto cinica della questione, attendo qualcosa che


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mi faccia ricredere. Di certo l’amore smuove la parte più profonda di noi stessi e a volte ci lascia sospesi, leggeri a guardarci felici dall’alto, altre volte libera solo i mostri interiori. Per un po’ La Municipal non ha avuto un volto, perché? Perché è un progetto nato per gioco e non mi sentivo a mio agio nel cantare determinati testi in pubblico e inoltre volevo fare un tipo di percorso che non mettesse il personaggio davanti alla musica. Una scelta politica che va in controtendenza rispetto al trend dei reality e talent show, volevo che la canzone e la musica fossero messe in primo piano rispetto alla figura fisica dell’artista. Inizialmente non volevo fare neanche dei live. Poi viste le numerose richieste, ho cominciato a fare i primi concerti e da lì si è sbloccata un po’ la situazione, ma cerco sempre di portare avanti una certa linea guida. Infatti, anche nel video del singolo “George (Il mio ex penfriend), diretto da AcquaSintetica, ho scelto di non apparire. Il disco ha avuto una gestazione lunga, poi all’improvviso un’accelerazione. Ogni brano scritto in questi anni è stato accompagnato da un video. Questo ha innescato un effetto virale, tante visualizzazioni. Ci racconti la gestazione di “Le nostre guerre perdute”? Il disco è nato un po’ per gioco, ho fatto realizzare i primi video da artisti che mi piacevano molto come Hermes Mangialardo per “Via Coramari” e Gianni Donvito per “Valentina Nappi”, poi avendo a disposizione tanto materiale video grazie ad un altro mio progetto insieme al regista Antonio Passavanti, ho utilizzato le immagini di un mio corto per “Il mercante di occhi”. Mi sono divertito molto e ho deciso di realizzare i video successivi da me con l’aiuto del mio chitarrista Roberto Mangialardo e quindi si è accorciato il tempo di realizzazione.

E ogni volta che finivo di registrare un brano avendo qualcosa di importante da dire, lo pubblicavo, senza pensare a un disco, e questo ha dato dignità e la giusta visibilità a ogni brano. Poi dopo sette singoli era arrivato il momento di racchiuderli in un disco, da qui lo sprint finale per realizzare “Le nostre guerre perdute”. Musicalmente il disco ha una costruzione per strati. È acustico, elettrico, elettronico. Le voci sono l’elemento che tiene insieme tutto, il rifugio. Come avete lavorato per arrangiare i brani. Chi ha lavorato con voi? Parte tutto dal mio studio in campagna, che ho ribattezzato Discographia Clandestina, vivendoci dentro ho avuto tutto il tempo di lavorare agli arrangiamenti e alla produzione, collaborando con molti musicisti e fonici/amici della scena leccese. Poi la decisione di pubblicare il disco con La Rivolta. Siamo entrati in studio nei Laboratori Musicali con la band - Gianmarco Serra, Matteo Bassi e Roberto Mangialardo - dove abbiamo ultimato i nuovi singoli grazie anche all’apporto di Paolo del Vitto, Guglielmo Dimidri ed Emiliano Bassi. L’album esce per la Rivolta Records, un’etichetta intorno alla quale si è costruita una comunità, una famiglia. Mancava da tempo da queste parti una scena, un movimento in cui in molti si riconoscono e partecipano. Ce ne parli? Sono molto fiero della mia scelta di uscire con La Rivolta, da due anni a questa parte siamo riusciti a creare una squadra, grazie al nucleo combattivo composto da Nu-shu, l’altra mia band, Playontape, Teenage Riot e Misteri del sonno e al coordinamento di Paolo del Vitto, presidente e produttore de La Rivolta. Siamo riusciti a creare una famiglia, abbiamo condiviso tanti palchi insieme, ma più che altro abbiamo deciso di supportarci l’un l’altro cercando di creare


una scena, se non ci si vuole bene e non ci si rispetta non si va da nessuna parte, e inoltre è inutile fare dischi se non c’è un pubblico che li segue o viene ai tuoi concerti. Da qui ho fatto una scelta di cuore, accogliendo la sfida dell’amico Paolo che continua a lavorare per ingrandire La Rivolta con nuove uscite e nuove sfide. Sei impegnato in molti progetti, sei autore, batterista e tanto altro. Quante cose fai? Ne faccio tante male: suono la batteria ma non sono un batterista per esempio, faccio dei corti ma non sono un regista e così via. Ho solo deciso da qualche anno a questa parte di realizzare tutte le idee che avevo in testa, più che un musicista mi definisco un creativo, e se posso pensare qualcosa, significa che la posso creare, e quindi ho deciso di buttarmi, levandomi di dosso le ansie e le paura, è la paura che ci blocca. Ho deciso di buttare fuori tutto quello che ho, la mia più grossa paura è quella di svegliarmi un giorno e non avere nulla da dire, nulla da scrivere o non avere dei suoni in testa. E quindi pubblicherò un grosso numero di dischi, non mi importa neanche della qualità, ho bisogno di buttare fuori tutto, in autunno pubblicherò il mio disco di elettronica, poi il secondo album di Nu-shu e poi al lavoro su altri progetti per il 2017. C’è tanta attenzione e tanto affetto intorno al progetto La Municipal, quali sono i vostri prossimi impegni? Dopo tutta la fase produttiva, durata anni è arrivato il momento di portare in giro questo disco. Partirà un tour che ci vedrà impegnati in festival e rassegne. In realtà non vedo l’ora di rientrare in studio perché ho già scritto il secondo album de La Municipàl ma è appena uscito il primo e prima di pubblicarne un secondo è cosa buona e giusta che qualcuno ascolti questo.


MUSICA

INUDE

“Love is in the eyes of the Animals” propone una nuova visione del soul contemporaneo All’ombra degli ulivi, al riparo dalla calura della controra, c’è un Salento digitale che fermenta. Un mosto nuovo destinato a prendere corpo e sostanza, a diventare quella che nella sua eterogeneità si può definire una scena. L’elettronica made in Salento vanta radici antiche, padri fondatori e precursori già negli anni 90. Mai come oggi sembra però così vivace e dinamica. È il caso di progetti come Populous, Congorock, Jolly Mare. A questi e ad altri si aggiungono i giovanissimi Inude. Sono Giacomo Greco e Flavio Paglialunga ed escono in questi giorni con il loro primo ep dal titolo “Love is in the eyes of the Animals” pubblicato da Panorama Musique Records. Un album elegante, la nuova visione del soul contemporaneo, un’interazione uomo-macchina come una liason amoureuse. Un esordio che li promuove immediatamente tra le cose più interessanti in circolazione.

Inude sembra la crasi, la contrazione o qualcosa di simile, dell’espressione “essere nudi”, “mettersi a nudo”. È un po’ la vostra idea di musica? La musica stessa per noi è sincerità, un’onesta apertura verso l’altro: laddove i nostri caratteri non arrivano la musica ci aiuta a dire qualcosa che forse in una normale conversazione non diremmo mai, ci spoglia di alcuni impedimenti verbali mettendoci a nudo, neutralizzando e dando una forma alle nostre paure. Sì, è la nostra idea di musica. In un’occasione vi ho detto che secondo me suonate musica soul. Cosa ne pensate? Su questo punto abbiamo pensieri contrastanti, forse adesso riusciamo a dire solo quello che non facciamo. Indubbiamente l’influenza soul in alcune melodie e nel cantato è fortissima, ma troviamo difficile definire la nostra musica con un solo genere.


MUSICA

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Immaginiamo l’elettronica come un altro componente del gruppo ed è come se ci rapportassimo ad essa come una figura fisica, cercando un equilibrio tra gli elementi che abbiamo a disposizione e non lasciando mai troppo spazio alla macchina. Veniamo da altri generi e suoniamo entrambi da tanto tempo, quindi ci diamo da fare per rendere tutto quanto più live possibile. Anche per questo motivo con noi c’è Francesco Bove, il terzo elemento della band: oltre ad essere un fonico ed ancor prima un musicista, si occupa di looppare, effettare e fare tutto quello che le nostre quattro mani non consentono. Quindi in tutto direi che siamo in quattro.

Ascoltandovi vengono in mente nomi come Thom Yorke, James Blake, ma c’è tanto altro nella vostra musica. È facile rifarsi a quelli che noi riteniamo essere i pilastri della musica contemporanea, ma a questo aggiungiamo una buona dose di varie influenze musicali; entrambi veniamo da esperienze e ascolti del tutto differenti, in alcuni brani vien fuori un’anima etno-folk mentre in altri un’anima elettronica underground. Forse è un obiettivo più grande di noi, ma ritenendo la musica il linguaggio universale vorremmo riuscire a creare un suono universale ed avvicinare generi e pensieri in un periodo in cui la divisione sembra prevalere su tutto. Nonostante la forte componente elettronica dei vostri brani, dal vivo suonate quasi tutto in diretta. È in quel momento che diventate tre e non più due…

Avete preso il tempo giusto per queste nuove tracce, avete incontrato le persone giuste che hanno collaborato con voi. Ci racconti la gestazione di questo ep? Siamo molto felici di come stanno andando le cose, si è creato un team che ci sprona e ci aiuta a dare il massimo e ci riteniamo fortunati ad aver incontrato persone che credono in questo progetto tanto quanto noi. Abbiamo anche avuto il piacere di collaborare con Jo Ferliga degli Aucan che si è occupato del missaggio e del master finale. Federico Fiumani canta “il vero amore è negli occhi di un cane vagabondo” il vostro disco si intitola “Love Is In The Eyes Of The Animals”. Cosa significa per voi? Fiumani canta il vero. Viviamo con una sensibilità particolare i nostri tempi, ed i nostri testi sono spesso delle riflessioni aperte sulla figura dell’uomo e sul suo rapporto con la natura. “Love is in the eyes of the animals” è un verso di Hudea, uno dei brani dell’Ep: crediamo fermamente che l’unica vera forma di sentimento puro sia insita nella parte più istintiva ed animalesca dell’uomo. Forse ce ne stiamo dimenticando. (OP)


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MUSICA

VUDZ

Un viaggio tra balcani, elettronica, swing, funk e jazz

Da sempre la Puglia è terra di incontri, di mescolanza, di arrivi e partenze. Un’immagine ormai inflazionata, forse, che però rende bene l’idea di cosa in questi anni è successo dal punto di vista musicale. Quelli che erano i nostri generi di tradizione ne hanno incontrati altri e ne sono stati irrimediabilmente influenzati. Questa ibridazione ha generato mostri ma in molti altri casi ha tracciato nuovi percorsi musicali molto affascinanti. È il caso delle musiche dei dirimpettai balcanici che hanno trovato dall’altra parte del mare una nuova linfa e musicisti in grado di elaborare nuove grammatiche musicali. È così che nascono i Vudz, incontro appunto tra viaggi musicali diversi approdati in un progetto capace, partendo dalle musiche dei balcani, di spaziare nell’elettronica, lo swing, il funk, il jazz. Il risultato è “Balkan trip” uscito in questi per Bajun records in collaborazione con Irma records. I Vudz sono Giancarlo Dell’Anna (tromba), Luca Manno (sax), Gianluca Ria (bassotuba), Cristian Martina (batteria) e Marco Rollo (piano e synth) che ha risposto alle nostre domande.

Siete musicisti che da sempre orbitano in numerosi progetti, come e quando nasce l’idea di mettervi insieme? Prima di tutto, siamo amici che suonano insieme. Ci siamo conosciuti dieci anni fa con il progetto Opa Cupa. VudZ parte inizialmente dall’idea mia e di Giancarlo di allargare quello che all’epoca era un duo, i Balkan Trip, che ha dato il nome al disco. Così è nata la band. Il Salento, da anni ormai, vanta una scena che guarda e s’ispira ai Balcani. Anche nel vostro sound si sente questa influenza, è forse il punto di partenza? La realizzazione di un progetto è sempre un punto di arrivo. Provenendo da un’esperienza di musica balcanica abbiamo lavorato su brani che avevano quella matrice. Successivamente, realizzando i nostri brani inediti ci siamo allontanati da quell’area geografica musicale, con molta naturalezza. C’è anche tanto altro, un’attitudine swing incontra il jazz elettrico, i ritmi in levare e l’amore per la canzone… Ognuno di noi ha contribuito alla realizza-


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zione delle undici tracce. Cristian nel brano “Blakey” ci ha messo tutto il suo sound afro-jazz. Luca è l’uomo Balkan Jazz del gruppo, con il suo stile unico che si può apprezzare in “Estam Bretone” e “Hora”. Giancarlo con le sue melodie orecchiabili e ballabili caratterizza “Snatch” e “Gambling”. Io sono l’anima più elettronica nordica in “Breakfast Groove” e “The Bridge”. Gianluca è il groove inconfondibile dei VudZ. Tante e piacevoli sono le collaborazioni all’interno del disco. Il bassista Fabrizio Palombella con il brano “Game Over”. Alessandro Monteduro alle percussioni in “Blakey”. Lele Spedicato dei Negramaro con la sua chitarra in “Snatch”. Altri amici come Luigi Bruno (chitarra), Rocco Nigro (fisarmonica) e le Femme Folk. Un ringraziamento per il loro grande supporto va a Papa Leu, Rankin Lele e Morello Selecta che credono fortemente in noi. Come Riccardo Rinaldi, co-produttore per Irma Records con la sua etichetta Bajun Records. Come avete scelto le voci del disco? Abbiamo scelto di dar voce e testo ad alcuni brani. Giorgia Faraone, l’unica voce femmini-

le, ha contribuito alla stesura del testo e melodia del brano “Bubble”, che delinea il cambio dello stile dal balkan al funky electro. Giorgia è la cantante ufficiale del gruppo nei live. Vincenzo Baldassarre, voce esplosiva che ha firmato i brani “Blakey”, impreziosito dalle note del sassofonista jazz Rosario Giuliani, e “No trust”. Collaborazione di rilievo è quella di Giovanni Pellino, in arte Neffa. In occasione della partecipazione dei nostri fiatisti nel suo brano sanremese “Sogni e nostalgia”, ha deciso poi di dare testo e voce a “Sorcery”, con un risultato affascinante. La danza è un elemento strettamente legato al vostro sound, il vostro incedere ritmico è un invito a muoversi, a ballare. Come vivete la dimensione live? I nostri live da sempre sono stati accompagnati dalla forte energia sprigionata da ritmiche avvolgenti e dinamiche. E quando essa si propaga e raggiunge la pelle di chi ascolta è inevitabile il coinvolgimento. Il movimento danzante è creativo ed è uno scambio necessario e vivace tra noi e il nostro pubblico. (OP)


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JOLLY MARE

“Mechanics” è l’esordio discografico del nuovo astro nascente dell’italo disco nel mondo Ancora buone notizie dalla musica elettronica “made in sud”. Michele Martina, in arte Jolly Mare, è il nuovo astro nascente dell’italo disco nel mondo. Una definizione comunque riduttiva per un compositore che attinge al pop italiano di Vasco Rossi e Pino Daniele così come alla musica colta. Un approccio fresco che lo ha portato a esibirsi sui palchi di grandi festival come Sonar e frequentare nel 2013 la Red Bull Music Academy. Esce in questi giorni il suo primo album “Mechanics”, pubblicato in Italia da 42 records e in America su vinile per Bastard Jazz. Da tempo c’era bisogno di un nuovo “marchio italiano da esportazione” e poi arrivi

tu, in poco tempo hai fatto tantissime cose, ci racconti la corsa che ti ha portato fino a “Mechanics”? Si un po’ di cose le ho fatte, ma quando mi guardo indietro l’unica cosa che penso è che avrei potuto fare molto di più. Forse è per questo che ho deciso di lavorare ad un album, per raccontarmi e per riflettere. Se scrivi un EP hai poco tempo per soffermarti sui dettagli, i brani sono pochi. Io volevo andare nel dettaglio, poter mettere a fuoco i particolari, giocare con i generi e con gli stili. Italo disco è una definizione riduttiva per descrivere la tua musica, che è intrisa di riferimenti alla nostra tradizione italiana


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Ci parli del tuo singolo “Hotel Riviera” con Lucia Manca? Una canzone che ha dentro un mondo di suggestioni, un omaggio... È un brano autobiografico, scritto per raccontare la fine di una storia che si era conclusa da poco. Parla di una coppia che si rivede in un hotel fatiscente lungo la riviera romagnola dove comprende che non c’è più futuro ed è tempo di salutarsi definitivamente. C’è dentro l’estetica del cantautorato dei primi ottanta, anche se di tanto in tanto parte qualcosa che confonde totalmente l’ascoltatore, non sopporto l’idea di essere didascalico. Il disco ha poi un grande respiro internazionale, una costruzione di atmosfere molto differenti tra di loro, passi dal dance floor a momenti decisamente più distesi. Perché non mi piace pormi dei limiti, voglio produrre senza esclusione di colpi e senza distinzione di genere. Se proprio dovessi essere classificato o ricordato, mi piacerebbe esserlo per il gusto più che per un genere specifico. anni ‘80 ma è anche piena di riferimenti colti. Hai ragione, fa comodo classificarla cosi ma sono contento che tu ci veda dell’altro. Il richiamo al passato non è istintivo, non lo faccio in maniera consapevole. Quando mi siedo a comporre o ad arrangiare un brano non mi impongo di suonare “settanta” o “novanta”, mi lascio guidare dal suono, da quello che vuole comunicarmi. Per questo nella mia musica è facile trovare un vecchio piano elettrico accostato all’assolo di una tastiera super moderna. Perché è proprio questo che mi diverte, poter giocare con l’estetica senza l’obbligo di scomodare l’immagine e la materia.

Come nascono le tue collaborazioni? Chi ha lavorato con te a questo disco? Da una buona intesa a livello personale, senza quella non può nascere niente di interessante. A parte Lucia gli altri cantanti del disco li ho conosciuti a New York qualche anno fa, per mail ho inviato una strumentale a testa e loro mi hanno mandato indietro la linea vocale ed il testo. Non ho dovuto modificare nulla, era già tutto perfetto al primo colpo. Alex Semprevivo che suona batteria e percussioni nel disco è uno dei miei amici più cari, con cui ho cominciato a suonare la chitarra poco più che adolescente. Paco Carrieri l’ho ascoltato per la prima volta molti anni fa in un live insieme ad Alex e sono rimasto shockato, allora non producevo neppure. (OP)


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VALERIO DANIELE

Due nuovi lavori discografici per il chitarrista, compositore e produttore salentino Chitarrista, compositore, anima di uno studio di registrazione e produttore: Valerio Daniele da molti anni mette pensiero e mani in numerose produzioni musicali che si muovono dal Salento. Difficile fare un elenco dei musicisti e delle voci con cui ha collaborato e molto ingombrante anche lo scaffale di progetti discografici che portano la sua firma e che variano tra jazz, musica popolare, musica colta e molto altro. Recentemente sono usciti “Acqua minutilla e ientu forte” in coppia con il trombettista Giorgio Distante per il collettivo DeSuonatori e “Sine Corde”, per l’etichetta Anima Mundi con il sostegno di Puglia Sounds. Partiamo dall’esperienza dei Desuonatori (www.desuonatori.it). Il sottotitolo è tutto un programma: coordinamento di autoproduzioni per la socializzazione di musica inedita in nuovi contesti di fruizione. Il progetto

coinvolge molti musicisti ed esperienze provenienti da tutta la Puglia. Qual è il bilancio di questi primi tre anni di lavoro? Dieci dischi pubblicati, due stagioni di concerti e tantissime persone incuriosite: lo definirei un bilancio positivo. Stiamo proprio in questi giorni programmando la terza stagione di concerti e abbiamo tre nuovi dischi in cantiere. Molti musicisti italiani (e non) hanno aderito al progetto. Credo che il nostro lavoro sotterraneo abbia stimolato idee e generato qualche piccola possibilità. Ne siamo felici. Parlaci di “Acqua minutilla e ientu forte”, del tuo incontro con Giorgio, del criterio che avete seguito per comporre i brani e del perché della scelta di “rivisitare” Fimmine Fimmine. Il mio incontro con Giorgio risale ormai a molti anni fa, credo una quindicina. Di lui ho sempre amato l’estrema profondità d’approccio,


la serietà con cui pensa la musica, oltre che il lirismo straordinario di cui è capace. Abbiamo, in tutti questi anni, partecipato a decine di progetti, fino a quando, un paio d’anni fa, immaginammo un lavoro su misura per noi. Con chitarra elettrica, tromba ed effettistica analogico/digitale. All’inizio gran parte del concerto era basato sull’improvvisazione, sulla composizione istantanea, anche grazie alla trasmutazione timbrica e alla non prevedibilità ottenibile attraverso un certo uso degli effetti. Non amiamo e non utilizziamo, ad esempio, la loop station il cui principio di ripetitività è opposto al suono e al risultato dinamico che vogliamo ottenere. Prediligiamo invece suoni in perenne movimento e mutamento, riverberi, stratificazioni, modulazioni estreme. Gradualmente, tuttavia, abbiamo deciso di virare verso una scrittura più meditata. Siamo, sia io che Giorgio, amanti dei temi lunghi e appassionati oltre che dell’improvvisazione. Trovo che il disco sia una conciliazione fra queste due anime. “Due giornate nel campo di tabacco” è una nostra versione del brano tradizionale “Fimmene fimmene”. Abbiamo immaginato la scansione temporale di due giornate di lavoro e della notte che le separa. Perché un brano tradizionale? Perché no? La melodia di quel canto è ricca di un fascino eterno, di una memoria antica, atavica e di asprezza, ruvidità, bellezza. Fimmine Fimmine è, in qualche modo, il punto di congiunzione con Sine Corde, appena uscito per Anima Mundi. Undici canti, quasi tutti tradizionali ma poco presenti nella discografia attuale, nei quali sei accompagnato da alcune voci importanti e da pochi altri musicisti. Raccontaci la genesi di questo disco e

la necessità che ti ha spinto a confrontarti e trasformare il repertorio della musica popolare salentina. Ho lavorato e lavoro tuttora come chitarrista e arrangiatore per molti progetti di cantori e cantrici della riproposta. Da qualche anno progettavo di condensare in un disco la mia personale visione su una parte del repertorio tradizionale salentino. Nel tempo, il fascino che le singole melodie esercitavano su di me ha lasciato il posto alla generazione di una sorta di universo interno organico e unitario. Non so spiegarlo bene a parole… tuttavia, credo che il disco ne sia una diretta conseguenza. Ho smesso di considerare le melodie tradizionali come occasione per costruirvi arrangiamenti. Ho cominciato invece a scrivere musica di sana pianta, a cercare connessioni sottili ma viscerali fra un certa via compositiva e quel linguaggio antico, una sorta di personale semantica, in fondo, che prescindesse completamente dalla parafrasi e che invece porgesse la musica all’ascoltatore in modo diretto, crudo, naturale. Anche l’improvvisazione, che nei precedenti lavori assumeva un carattere rilevante, su “Sine corde” ha lasciato il passo a cellule sonore più essenziali e rigorose. Il testo è quasi sempre cantato integralmente, spezzato il meno possibile; ho preferito introduzioni o code strumentali agli intermezzi. Alessia Tondo, Enza Pagliara, Dario Muci, Ninfa Giannuzzi, Rachele Andrioli, Emanuele Licci, Marco Stanislao Spina (marimba), Giorgio Distante (tromba), Roberto Gagliardi (sax e harmonium) ed Egidio Marullo (videoclip) sono le persone che ho voluto al mio fianco per questo lavoro. E li ringrazio infinitamente per la generosità e per l’unicità che esprimono nella musica e nella vita. (Pilala)

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Foto Luca Zizioli

VINICIO CAPOSSELA

Il lungo viaggio delle “Canzoni della Cupa” Chi conosce Vinicio lo sa: nei suoi dischi l’abito non solo fa il monaco, ma anche la tracklist. Con tanto di cappello adatto all’occasione. Dopo una gestazione, durata all’incirca 13 anni, il 6 maggio Capossela ha lasciato libere le sue “Canzoni della Cupa”, per travasarle in un doppio cd che stenta a trattenerle. Strabordano, vengono fuori dal supporto, uno e bino (se si passa il termine), composto, appunto, da due parti, due scompartimenti di un unico treno, con destinazione à rebours (e non solo). C’è polpa e osso, come il sapore delle terre da cui provengono; c’è pietra, magia, buio e luce accecante; ci sono “Polvere” e “Ombra”, come recitano i due titoli a cui è affidato il compito di presentarle, distinguendo le sezioni. E c’è un Vinicio infilato in nuove vesti che profumano di folk e terre di frontiera. A noi il compito di prendere tutto il tempo necessario per fare, insieme al capotreno, questo viaggio lungo, a volte impervio, a volte sentimentale, in tutti gli anfratti narrati e cantati e suonati con maniacale (e vivaddio) premura. Non si fa a tempo a trovare un punto di riferimento che già, nella traccia successiva, si perde il bandolo della matassa. E si viaggia, di stazione in stazione, osservando dal finestrino un panorama variopinto, fatto di ballate, canti di lavoro, serenate d’amore e anche d’ingiuria, canzoni sui lupi mannari, pezzi da ballare, lamentazioni. Trovano posto santi, creature fantastiche, demoni, atmosfere cupe e sentieri non battuti dal sole. Proprio questi ultimi rappresentano il filo conduttore del disco, quello che, in qualsiasi terra interna,

viene chiamato sentiero della Cupa e che lascia intendere ciò che nella penombra non si deve (e si vuole) raccontare per intero. Quello che si chiede alla “Polvere”, primo capitolo di questa epopea, non è immediatamente comprensibile: registrato nel 2003, a Cabras, in Sardegna, in un momento in un cui l’idea di creare un disco «folk rurale/ancestrale», per usare le parole di Vinicio, stava prendendo forma, modellando materia ardente che proveniva dall’Alta Irpinia, ma che presto trovò contaminazioni di vario genere e numero, è un’immersione in apnea nella tradizione, per cristallizzarne tempi, spazi atmosfere e profumi. Nume pagano e tutelare di questa operazione, Matteo Salvatore, cantore di Apricena, la cui lingua aspra al sapore di pietra, come le cave da cui proviene, rappresenta la chiave di accesso. Meno in “Ombra” si resta nel secondo capitolo, quello che assomiglia di più al Vinicio a noi noto, che mescola personaggi fantastici, creature mitologiche, ululati, stridii di treno e fruscii di mani passate sul grano a canzoni dalle fattezze più rassicuranti. Il totale, composto da ventotto brani, fa un disco largo, largo come il supporto volutamente fuori misura, tanto da non entrare in qualunque scaffale, largo come un poema epico che dilata tempo e spazio, largo come il numero degli strumenti usati e dei musicisti chiamati a rapporto e largo come il cappello del suo comandante, da cui, per ogni opera nuova, lo stupore viene fuori in vesti ben calzate. L’abito per Vinicio fa il monaco, eccome. Vi avevamo avvisati. Laura Rizzo


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EMANUELE TONDO Sguardo a Sud-Est Dodicilune

LUIGI MARIANO Canzoni all’Angolo Esordisco/Audioglobe

ANTONIO AMATO EnSemble Speranze Dodicilune

Salentino d’origine, da anni trasferito per lavoro a Vicenza, il pianista Emanuele Tondo esordisce con “Sguardo a Sud-Est”. Nonostante la lontananza da casa, infatti, lo sguardo musicale e artistico punta sempre nella direzione del tacco d’Italia. Il cd propone sette composizioni originali del musicista e due classici (My Ideal e I’ll Be Seeing You). «Molti brani hanno come titolo il nome stesso della località in cui ho vissuto e altri invece nomi di persone a cui mi sono legato», sottolinea Tondo. «Ho voluto fissare indelebilmente questi ricordi attraverso la musica e per mezzo di essa dar vita a tutti gli stati d’animo che mi hanno reso felice e tristemente abbattuto. Sono debitore verso la musica perché mi ha dato la possibilità di raggiungere l’essenza vera e autentica della vita». Il musicista è affiancato dal sassofonista Francesco Geminiani, dal contrabbassista Luca Pisani, dal batterista Massimo Chiarella e dalla cantante Beatrice Milanese, autrice anche del testo del brano “Alfonsina”.

A sei anni di distanza da “Asincrono” torna Luigi Mariano. Il cantautore propone un pop/rock lontano dalle mode del momento. “Canzoni all’angolo” (Esordisco/ Audioglobe) contiene undici tracce, tra ballate e ritmi graffianti con testi che trasudano rabbia, disillusione, sarcasmo, autoironia, malinconia. Chitarrone acustiche, assoli elettrici, armoniche a bocca: Mariano si destreggia tra il rock americano e la tradizione folk italiana. Il suono in tre brani è arricchito anche dal quartetto d’archi diretto da Antonio Fresa. Il disco - prodotto artisticamente e arrangiato come il precedente da Alberto Lombardi - ospita Simone Cristicchi (“Fa bene fa male”), Neri Marcore (“Canzoni all’angolo”) e Mino De Santis, coautore di un brano tra italiano e dialetto salentino (“L’ottimista triste”). Completano la tracklist la cover (tradotta in italiano) di “The Ghost of Tom Joad” di Bruce Springsteen e “Come orbite che cambiano” sulla fine del grande amore tra l’astrofisico Stephen Hawking e la sua prima moglie Jane.

Antonio Amato è sicuramente uno dei volti più noti della musica popolare salentina. “Speranze” è il nuovo progetto discografico del suo ensemble appena uscito per Dodicilune con il sostegno di Puglia Sounds Record. In circa dieci anni di attività, il gruppo è riuscito a sviluppare un sound originale, riconoscibile e alternativo al suono legato strettamente alla pizzica. Il cd propone, infatti, brani originali e brani classici della tradizione (“La tabaccara” e “Vorrei Volare”) nei quali strumenti acustici e sonorità della tradizione si intrecciano con l’elettronica. I testi originali, pur ispirandosi alla poetica dello stile popolare, affrontano tematiche attuali. In scaletta anche “Lu Bene Mio” di Matteo Salvatore e “La Malarazza” di Domenico Modugno. L’ensemble è completato da Antonio Marra (batteria), Armando Ciardo (violino e viola), Valerio Rizzello (oboe e tastiere), Palmiro Durante (chitarra), Luigi Baldassarre (basso). Ospite il trombettista Andrea Sabatino.



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LUCE

“Segni” è l’esordio della cantautrice barese Un incidente in moto, il dolore, le cicatrici. Poi la rinascita: ricominciare dall’amore. Sono questi i “Segni” raccontati da Luce, cantautrice barese, nel suo disco d’esordio prodotto da C&M - Cultura e Musica di Tommy Cavalieri e con il sostegno di Puglia Sounds Record 2016. Il suo è un pop/rock cantautorale in cui i brani nascono da un giro di chitarra o di pianoforte, con influenze nordeuropee e italiane (dai Sigur Ros a Yaël Naïm, passando per i Mogwai, i Tango with Lions, Skin e Linda Perhacs con gli italiani Lucio Dalla, Lucio Battisti, Elisa e Giuliano Sangiorgi). Partiamo dal principio: il tuo percorso è cominciato molto presto. A 15 anni suonavi il pianoforte e scrivevi i tuoi primi pezzi, nel 2013 hai autoprodotto il tuo primo EP “Ora”. Quando hai capito che la musica sarebbe diventata il tuo lavoro? La musica può portarti in giro per il mondo e ti rende indipendente economicamente. Ma questo è persino secondario, perché fare musica ti rende libero. Libero da ogni forma di oppressione, dalla frustrazione, dallo spazio e dal tempo. La musica è un viaggio e la destinazione è sconosciuta. Quando suono, scrivo e canto sono libera. E poi arriva “Segni”. Il momento in cui hai capito che avresti realizzato il tuo primo album… Il disco è il vero inizio per un artista, è lo strumento che ti permette di presentarti al mondo della musica in tutta la tua integrità.

Con il mio produttore Tommy Cavalieri (Sorriso Edizioni Musicali), e con il management Roberta Ruggiero e Claudio Brescia (R&B Comunicazione e Produzione), abbiamo iniziato a lavorare al disco a Ottobre 2015, lasciandoci trasportare dall’energia positiva di ogni singolo pezzo. Qual è il punto di incontro tra le sonorità nordeuropee a cui ti ispiri e quelle che fanno parte della tua terra? Le mie influenze musicali in questo disco si sono scontrate ma in maniera del tutto naturale. L’ispirazione nord europea della parte musicale si è fusa al calore della scrittura in italiano, e tutto questo ha portato alla realizzazione di “Segni”. Un disco che parla della mia rinascita, che ho amato dal primo istante, che è frutto di tanto lavoro e che abbraccia tutti gli ascolti fatti nella mia vita. C’è una canzone a cui sei più legata? Oltre a “Segni”, che dà il titolo al disco e che parla di un momento molto difficile ma molto importante della mia vita, sono legata a “La promessa”. È una canzone che parla della libertà di amarsi, della quotidianità, di una casa da dividere. È una canzone che sa di costruzione, che parla d’amore così come ne parlano “i grandi”: cucinare, addormentarsi e risvegliarsi con la persona che ami accanto, affrontare le diversità. Perché anche dividersi vuol dire crescere. E io adesso, per la prima volta nella mia vita, mi sento “grande” davvero.


KEEP COOL - Dall’Italia e dal mondo a cura di OSVALDO PILIEGO Anhoni Hopelessness Secretly Canadian Anthony torna ma non è più lo stesso. Cambia il suo nome così come fa con la veste musicale che lo circonda. Anhoni è donna. è musica elettronica. è uno sguardo rivolto all’esterno e non solo intimità dolorosa esplorata fino a questo momento. Un lirismo dance inedito e pulsazioni nuove su cui la sua voce sembra liberarsi, prendere aria e restituire vento. “Hopelessness” è un disco energico dopo l’elogio della fragilità umana. Balliamo questa tristezza.

Radiohead A moon shaped pool XL Ci si aspetta sempre qualcosa di più dai Radiohead e bisogna ammettere che il loro marketing è sempre un passo avanti al mercato della musica. Anche questa volta scompaiono dalla rete il tempo necessario per scatenare la psicosi collettiva per poi riapparire con il nuovo album. Un disco che mette da parte la sperimentazione per tornare alla forma canzone e un approccio intimista che tanto mi ha fatto amare “Ok Computer”. Metadone per i fan in crisi di astinenza.

ALA.NI You and I No format E poi arriva una voce, lo strumento per eccellenza, e il mondo cambia consistenza. Delle voci mi innamoro da sempre, da quando ho cominciato ad ascoltare musica. E non poteva non succedere anche questa volta. Lei è Ala.ni per anni corista dei Blur e adesso autrice di un album capace di citare la prima Fitzgerald, di essere antico e moderno allo stesso tempo, carezzevole e straziante come tutti gli amori. Consigliatissimo, per me è già un classico, una sorpresa e una nuova passione.


Band of Horses Why are you ok Caroline Alcune canzoni appartengono ai luoghi secondo me. I Band of Horses sono la mia auto sulla strada che costeggia il mare con la mia compagna, il mio cane e il surf. È inverno. Non cambieranno di certo la storia della musica ma sono in grado di rendere una giornata perfetta. A volte non bisogna chiedere molto altro a un disco. Rock da cowboy che contempla grandi spazi, ispirato, ammiccante, trascinante, così lontano e così vicino. Non al livello dei primi album ma il ritorno fa sempre piacere.

KinG of the opera Pangos Session Buzz Supreme Mistero della fede. Alcuni artisti italiani si muovono sempre nella penombra, anche quando, come in questo caso, brillano di luce propria. King of the opera è il nuovo progetto di Samuel Katarro, al secolo Alberto Mariotti. E questo album è il sunto della strada fatta fino a qui, la raccolta di brani vecchi e nuovi e cinque cover (The Replacements, The Cure, The Waterboys, Tom Waits e Sonic Youth) celebrazione del 1985, anno di nascita di Alberto. Un viaggio liquido tra psichedelia, folk, rock.

Afterhours Folfiri o Folfox Universal C’era molta attesa per questo disco che segna il nuovo corso degli Afterhours, band a cui tutti dobbiamo molto. Dagli anni ottanta ad oggi hanno costruito una discografia monumentale, hanno espresso una poetica nuova, esplorato suoni e visioni. E mentre Manuel Agnelli spiazza tutti con la sua partecipazione a un talent in qualità di giudice tornano con un disco rock come non facevano da tempo. “Folfiri o Folfox” parla di malattia, di morte e rinascita. Diciotto nuovi brani che sembrano dire “rock and roll will never die”.

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SKANDERBAND

Le tradizioni musicali delle due sponde dell’Adriatico nel progetto ideato e diretto da Michele Lobaccaro Nata nel 1998 dall’idea di Michele Lobacaro, polistrumentista e già fondatore dei Radiodervish, di far interagire le tradizioni musicali delle due sponde dell’Adriatico, quella italiana e quella albanese, la Skanderband si è evoluta negli anni in un progetto musicale sempre più articolato, coinvolgendo numerosi musicisti e focalizzando la ricerca nel riannodare i fili che legano la musica arbëreshë delle enclavi albanesi a quella della terra delle Aquile. Abbiamo intervistato il polistrumentista pugliese per farci raccontare la genesi e la gestazione di questo progetto. Come nasce l’esperienza di Skanderband? Skanderband nasce da un laboratorio che a sua volta prende forma dalla curiosità e dall’innamoramento per la musica albanese. Quando nel 1991 crollò il regime comunista, in Albania si ebbe una vera e propria apertura dei confini di questa nazione, ed in particolare in Puglia assistemmo all’arrivo della Vlora, questa grande nave carica di profughi albanesi che attraccò al porto di Bari. Da quel momento i contatti con l’Albania furono più intensi e già nei primi anni Novanta ci fu la possibilità di fare le prime

esperienze di viaggio in quel paese fino ad allora sostanzialmente sconosciuto. Quello che si sapeva ci arrivava da Radio Tirana che captavamo sulle onde medie e dove ascoltavamo queste trasmissioni molto interessanti ed affascinanti per chi amava la world music. Una volta arrivati in Albania scoprimmo che era una terra ricchissima dal punto di vista culturale, pur essendo relativamente piccola come estensione del territorio e anche come popolazione. è in realtà un paese molto variegato e tra nord, sud e centro ci sono grandi differenze musicali con stili molto diversi e tutti molti interessanti. Nel corso di questi tuoi viaggi in Albania hai avuto modo di effettuare anche ricerche sul campo? Inizialmente quello che abbiamo fatto è stato recuperare quanti più documenti e materiale possibile dall’Albania, quindi dischi, cd, cassette. Quando sono rientrato in Italia, sulla base di questo interesse, ho avuto modo di conoscere anche musicisti albanesi che erano venuti da noi ed avevano anche avuto modo di suonare, e così c’è stato uno scambio più approfondito da cui sono nati


poi anche viaggi fatti insieme a loro proprio in Albania. A partire dal 1998 abbiamo messo su diverse formazioni che hanno avuto come obiettivo quello di esplorare la musica albanese e più di recente questa esplorazione si è allargata alla musica Arbëreshë, quella che avevano portato in Italia coloro che erano emigrati cinquecento anni fa, creando poi diverse comunità. Ci sono diversi paesi arbëreshë in molte regioni del Sud Italia come Puglia, Molise, Calabria e Sicilia dove hanno conservato la lingua, le tradizioni, modi musicali e anche l’impronta religiosa bizantina. Abbiamo dato vita, così a prima questo laboratorio e successivamente al disco per raccontare una storia di emigrazione che va da cinquecento anni fa, fino all’ultima ondata migratoria dagli anni Novanta al Duemila. Il racconto di fondo è interessante perché chi è venuto cinquecento anni fa, fuggendo dalla dominazione ottomana, ha portato un certo tipo di musica, chi invece è venuto negli anni più recenti ha avuto modo di assorbire quella cultura e di arricchire ancor di più il patrimonio culturale albanese. Si è avuta la curiosa situazione con brani che che appartengono a tutte due le sponde dell’Adriatico ma sono suonati in modo differente, nello stile del Sud Italia e in quello balcanico dell’Albania. La musica del Meridione d’Italia ha subito l’influenza arbëreshë e viceversa, dando vita ad un laboratorio lungo cinque secoli di integrazione culturale ed oggi, per quello che accade con i grandi fluissi migratori, diventa un punto di vista importante da studiare. Come hai scelto i musicisti che hanno preso parte al disco? Devo dire che il nostro non è stato l’unico progetto multiculturale in questo senso, perché in Puglia se ne sono creati anche altri, essendosi diffuso il grande amore per la tradizione albanese tra la fine degli anni Novanta e il Duemila. Ci siamo ritrovati a lavorare al disco proprio quei musicisti che avevano passione per questo progetto e che provengono da diverse esperienze musicali in gran parte dalla world music. Partendo dalle voci si può dire che questo sia un disco tutto al femminile perché c’è innanzitutto Eleonora Bordona-

ro che è siciliana ma vive a Roma ed è attiva in diversi progetti musicali, ed è una appassionata ricercatrice dell’area arbëreshë della Sicilia. Lei collabora anche con Ambrogio Sparagna, il quale ci ha donato “Kendime”, brano da lui composto ed ancora inedito che nasce da un testo recuperato da una raccolta di canti arbëreshë dell’Ottocento. Ci sono poi Meli Hajderaj, cantante albanese dalla voce meravigliosa, arrivata in Italia negl’anni Novanta, e Mimma Montanaro, arbëreshë dalla voce antica di San Marzano in Provincia di Taranto, altro luogo ricchissimo di tradizioni. Venendo, invece agli strumentisti, abbiamo la violinista albanese Anila Bodini che ha collaborato a lungo ed è stata parte anche dei Radiodervish, Guido Sodo che è un altro esperto di musica etnica, Max Però all’organetto, Pierpaolo Petta alla fisarmonica che è un musicista arbëreshë di Piana degli Albanesi, il maestro Domenico Virigili di Napoli, il percussionista Pippo D’Ark D’Ambrosio che suona anche con i Radiodervish, Francesco De Palma alla batteria, e Gianluca Milanese al flauto che suona anche nell’Orchestra della Notte della Taranta. C’è poi anche Marina Latorraca che suona il trombone alla balcanica ma con uno stile molto personale ed il percussionista Mimmo Gori, il cui incontro ha permesso di mettere in cortocircuito la musica arbëreshë e la musica albanese con i progetti di musica italo-albanese che avevo creato. Lui organizza da anni il Festival Dello Scorpione nella provincia di Taranto e che ha una sezione dedicata proprio alla realtà dell’Arberia, in virtù della presenza di una comunità arbëreshë a San Marzano. Da ultimo ma non meno importante abbiamo avuto la collaborazione di di alcuni musicisti della Fanfara Tirana. Come avete selezionato il repertorio di brani da proporre nel disco? Il repertorio dei brani è quello relativo alle prime canzoni che abbiamo condiviso e da quelle ne abbiamo selezionate sette, tra tradizionali e composizioni d’autore che però sono abbastanza recenti, essendo relative agli anni Settanta. Pur essendo all’epoca l’Albania un paese molto isolato, la musica di questi autori kossovari ha attraversato il

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mare in maniera quasi clandestina ed è arrivata come nel caso di “Baresha” o di “Festa E Madhe” nei paesi arbëreshë dove sono diventate delle vere e proprie hit molto popolari, nelle quali gli italo-albanesi si identificano. Altro discorso va fatto per brani come “Lule Lule” che ha cinquecento anni ed appartiene indistintamente alle due popolazioni. Abbiamo scelto i brani che ci piacevano di più inserendoli all’interno di un percorso che parte con un canto a cappella “Madonna De Li Grazi”, cantato dalla Bordonaro e che rappresenta la radice del Sud Italia che parte ed attraversa il mare fino ai Balcani per giungere ad Istanbul con le sue sonorità. Nel disco sono presenti anche alcune composizioni originali… Quasi fossero una sorta di isole queste canzoni sono collegate da brani che ho composto io e servono da punti di incontro. Sono brani ispirati a quel clima musicale ed hanno un taglio più onirico allontanandosi molto dagli stilemi noti della musica balcanica che ci ha fatto conoscere Bregovic. Volevamo documentare la ricchezza di questa terra, qualcosa di ben diverso dall’unza unza che abbiamo imparato a conoscere.

Quali sono state le ispirazioni alla base delle tue composizioni? L’influenza è arrivata da tutti questi anni di ascolti ed anche di creazione di brani originali. Questi sono solo alcuni di quelli che ho scritto perché ne abbiamo anche altri. L’idea alla base del laboratorio è quella di proporre una tradizione viva perché non basta fare un recupero filologico di quello che c’è o di quello che si può andare a scovare che è certamente interessante ma non ci basta. Non ci piace mettere in museo questi modi musicali o queste tradizioni ma per noi è importante dargli vita e viverle, renderle vitali e ciò significa apportarvi la propria visione. Questo era lo spirito che ci ha animato come Radidervish in tutte le nostre visioni della world music, legarci alle radici ma creare anche musiche attuali. Come saranno i concerti della Skanderband? Durante i concerti ci saranno gran parte dei musicisti che hanno suonato nel disco. Attualmente siamo impegnati con la promozione con gli showcase a cui seguirà un tour nei paesi arbëreshë e poi una serie di concerti nei principali festival world. Salvatore Esposito

MARE E MINIERE: SEMINARI DI MUSICA, CANTO E DANZA POPOLARE IN SARDEGNA Aperta da una lunga serie di concerti che hanno toccato Carbonia, Iglesias, Ozieri, Villamassargia, e Villacidro, “Mare e Miniere” entra nel vivo con la serie di “Seminari di Musica, Canto e Danza Popolare” che si terranno dal 27 giugno al 2 luglio a Portoscuso (CI). “Educazione al valore della memoria come insegnamento per il futuro” è questo l’obiettivo principale che la rassegna persegue, ormai da anni, proponendo una settimana di vacanza-studio nel fascinoso Sulcis-Iglesiente con un ricco programma di stage dedicati alla musica popolare. Tra gli ospiti il percussionista e cantante italo-francese Carlo Rizzo, Luigi Lai, leggenda vivente della musica sarda e depositario del repertorio tradizionale del doppio flauto isolano,

Totore Chessa che terrà il corso di organetto diatonico, Elena Ledda e Simonetta Soro (canto popolare), Pietro Cernuto (flauti di canne e zampogna), Nando Citarella e Nathalie Leclerc(percussioni e danze popolari), Alessandro Foresti (canto corale), Giuseppe Molinu (ballo sardo) e Simone Bottasso (musica d’insieme). Altra importante novità di quest’anno è l’introduzione del laboratorio per bambini “Una Miniera di Idee” condotto da Agnese Ermacora e Giorgio Maria Condemi. Info www.mareeminiere.it

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ALESSIO VIOLA

“Fidati di me fratello”, una storia vera di famiglia, cinismo e criminalità

Ex giocatore di rugby, ex operaio, fondatore della storica Taverna del Maltese di Bari, giornalista, scrittore: Alessio Viola torna con “Fidati di me fratello (una storia vera)” appena uscito per Aliberti nell’interessante collana I fuorilegge. La storia parte con un omicidio di mafia. Quello del padre dei due protagonisti. Da qui si dipana la storia di Vitino e Franchino. Il primo aspirante boss. Il secondo invece “traviato” dalla droga e dal cinismo del maggiore, suo “quasi padre”. Il lettore è avvisato. Il romanzo parte da una storia vera. Perché, tra le tante, hai scelto di raccontare proprio questa storia. Perché è una di quelle storie “minori”, quelle che riguardano i protagonisti piccoli delle grandi vicende malavitose. Si fa un gran clamore attorno all’arresto di un boss, per dire. Poi, nelle cronache si chiude con “altri dieci arresti”, persone di cui non sapremo mai niente. Ecco, io trovo che raccontare le loro storie ci aiuti a capire molto meglio questi fenomeni che non il clamore media-

tico e le conferenze stampa a effetto sui boss arrestati. La carriera di un aspirante boss barese passa dal controllo di droga e prostituzione. Nel libro ci sono interessanti riferimenti alla collusione di pezzi dello Stato per l’arrivo degli stupefacenti dall’Adriatico. Argomenti sempre attuali: nonostante l’impegno delle forze dell’ordine e la “pulizia” nei centri storici (penso a Bari, soprattutto) la criminalità domina ancora le nostre città? L’Adriatico non ha mai smesso di essere un ponte, non un mare. Ponte tra malavite strettamente innervate con l’economia reale dei Paesi che vi si affacciano. Non dimentichiamo che ci sono state richieste di arresto da parte della magistratura italiana per uomini politici e perfino presidenti di paesi nostri dirimpettai. L’attualità di questi giorni dimostra come sul traffico di esseri umani, ben più redditizio della droga, il nostro mare abbia ripreso in pieno il suo ruolo di ponte veloce e facile da attraversare.


Tra le pagine di tanto in tanto fa la sua comparsa la cucina. Panzerotti, ricci, brasciole, lumache, qualche ricetta leccese. Il connubio tra criminalità organizzata e cibo sembra inscindibile. Non c’è film, fiction, romanzo che racconta le mafie che ad un certo punto non passa da una tavola imbandita. Come mai secondo te? Ma perché è nel nostro codice genetico, la convivialità. Questi non sono marziani, discendono come noi dai greci e dai latini. Da un “modus” di vivere che fa del convivio il momento essenziale del vivere quotidiano. Il cibo, il vino aprono le menti, favoriscono gli affari e i commerci. La natura di questi ultimi, poi, può essere la più diversa. Ma questo siamo, i buoni come i cattivi. “Anche le nonne di Bari Vecchia, quelle dei clan, sapevano tagliare, pesare e mescolare le dosi di eroina e lo facevano mentre preparavano le orecchiette”. Questa è una delle frasi che ben sintetizza secondo me il clima della storia che racconti. Quel clima di omertà e di connivenza che circonda i malavitosi. È come dicevamo prima. Riguarda quella “normalità del male” su cui scrivo da tempo. E su cui non ci si può stancare di invitare alla riflessione. Madri di famiglia che prendono nelle proprie mani il controllo dei clan, per dire. E che non interrompono il loro ritmo di vita di casalinghe. Preparano paste al forno e pianificano rapine ed estorsioni. Tutto “normale”, vivono e si muovono come noi. Sono pesci nell’acqua, non alieni. Ci sono anche alcuni “scontri etnici” diciamo così. Tra gli italiani e gli africani, tra gli africani e gli albanesi, tra i leccesi e i baresi. Scontri che però non impediscono ai malavitosi di fare affari. Hai voluto raccontare anche questa conflittualità del male… Il denaro tiene unito il male a qualunque latitudine. Ogni rivalità etnica o antropologica cessa di fronte agli affari. Il razzismo è roba buona per la propaganda ormai, ma

sotto le bandiere del denaro non ci sono più etnie o colori della pelle. Certo, agli ultimi è riservato il ruolo di schiavi, ma non riguarda la razza, è solo una questione di opportunità commerciali. Basti guardare il rispetto e la tranquillità con cui i cinesi esercitano il loro ormai dilagante dominio commerciale. Fanno accordi con i clan locali, tutti lavorano felici e contenti dei loro fatturati. Nel libro manca completamente la musica. Quale potrebbe essere invece la colonna sonora di una storia criminale/familiare di questo tipo? È vero. Nei miei libri c’è sempre una colonna sonora, questa volta però la storia era talmente agra, così dolorosa che non mi sentivo di incollare a vite così disperate i miei gusti musicali. Questi non ascoltano musica, se non in radio nelle macchine, i soliti neomelodici, ma mi sarebbe sembrato un luogo comune fin troppo abusato. Il male, il dolore, non hanno una colonna sonora. Il romanzo, pubblicato da Aliberti, rientra nella collana “The Outlaws/I Fuorilegge”. Ci racconti l’esperienza di questa “band” italo/statunitense? Francesco Aliberti è un editore giovane, curioso, coraggioso. I fuorilegge sono un gruppo di autori giovani che si è fuso con gli indolenti, diciamo, e di cui faccio parte per alzare l’età media. Attraverso il lavoro di traduttore di Nicola Manuppelli, uno degli scrittori fuorilegge, si è stabilito un contatto ed un rapporto con alcuni scrittori americani, in particolare il grande Robert Ward, l’autore di Miami Vice per intendersi, che sta dando vita a questa esperienza di collane parallele italiane e americane. Un’esperienza di scrittori che non se la tirano, che sono amici, collaborano, si scambiano esperienze si sostengono a vicenda. Se pensiamo al provincialismo ed all’inferno di gelosie ripicche rivalità nel mondo letterario italiano questo è un esperimento rivoluzionario. (pilala)

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FEDERICO MELLO

“Le confessioni di un nerd romantico” è il nuovo libro del giornalista e blogger leccese che “non smetterete di leggere neanche per guardare Facebook” Giornalista e blogger leccese, Federico Mello ha lavorato per il Fatto Quotidiano, l’Huffington Post, Servizio Pubblico su La7 e attualmente è consulente di Ballarò su Rai3. Esperto di media, Internet e social network, ha scritto numerosi saggi. In questi giorni esce “Le confessioni di un nerd romantico” (Imprimatur) un saggio/racconto innovativo e alternativo, ricco di fonti ma rivolto a tutti, che indica una via d’uscita sostenibile dalle nostre vite troppo tecnologiche. Il libro sarà presentato mercoledì 29 giugno alle 19 all’Ammirato Culture House di Lecce. Cosa significa essere un Nerd romantico? In questa società iperconnessa, ormai siamo tutti “nerd”, tutti iper-tecnologici. Partendo da questa constatazione l’approccio “nerd romantico” propone un passo avanti in consapevolezza e benessere personale: essere

“nerd romantici” vuol dire imparare ad usare la tecnologia invece di farsi usare da essa. “Non smetterete di leggere neanche per guardare Facebook” è un ottimo auspicio molto difficile da mettere in pratica. La nostra vita sembra ormai scandita dai post dei social. Tanto che sottolinei “Non viviamo più una vita vera intramezzata da interruzioni digitali, bensì una frustrante esistenza virtuale interrotta frequentemente dalla vita vera”. Esiste una via d’uscita? Innanzitutto dobbiamo capire perché sviluppiamo questo attaccamento morboso alle tecnologie connesse. Mi sono interrogato a lungo, mi sono “auto-hackerato”, ho studiato e riflettuto. Alla fine, come mostro nel libro con un linguaggio (spero) accessibile a tutti, ho scoperto che le stesse piattaforme social sono progettate e modificate di continuo


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per alimentare la nostra dipendenza (proprio come le multinazionali del tabacco studiano e implementano additivi che possano alimentare il vizio del fumo). Capire questi meccanismi è il primo passo per poter tornare padroni dei propri comportamenti. Nel tuo libro definisci il “Tempo-bio”. Di cosa si tratta? Il “Tempo-bio” è un concetto di manifesta e immediata utilità. Parto da quanto è successo con il cibo: nel diciottesimo secolo non aveva senso parlare di “cibo biologico”, senza le scoperte fondamentali della chimica, tutto il cibo, allora, era “biologico”. Solo negli ultimi decenni, quando il cibo “standard” è diventato quello industriale, ecco che è nato il concetto di un cibo “come una volta”, biologico appunto. La stessa riflessione si può fare a mio avviso con il tempo: ora che il nostro tempo standard è sempre connesso, always on, ecco che diventa importante tutelare porzioni di tempo (ore, giorni, settimane), ecc., nelle quali riscopriamo la libertà di non essere connessi. Nel 2007 hai esordito con “L’Italia spiegata a mio nonno”, un libro nato dal tuo blog e poi approdato su carta. Com’è cambiato il nostro Paese, quello da raccontare ai più anziani o ai più giovani? Io vedo un cambiamento generale, non solo in Italia. La società va sempre più assomigliando ad Internet: saltano i corpi intermedi (partiti, sindacati), le figure autorevoli (esperti, maestri); sembra che la sola possibilità offerta a tutti di poter dire la propria, implichi che tutte le opinioni abbiano lo stesso valore. È un processo pericoloso a mio avviso: tutto ciò che è comodo viene ritenuto giusto, ogni cosa che implica sforzo, sbagliata, o inutile; “Sti cazzi” sono le parole chiave della nostra epoca. Per questo, da nerd romantico, penso che sia arrivato il momento di riscoprire forme più profonde, più antiche. E in questo libro aspiro a spiegarle a tutti, nonni e nipoti. (pilala)

“IO NON L’HO INTERROTTA” IL GIORNALISMO POLITICO A SAN CESARIO DI LECCE Venerdì 8 e sabato 9 luglio a San Cesario di Lecce appuntamento con la seconda edizione di “Io non l’ho interrotta”, rassegna dedicata al giornalismo e alla comunicazione politica. Il programma ospiterà seminari al mattino (nel Palazzo Ducale) e incontri serali (nell’Ex Distilleria De Giorgi) che coinvolgeranno, tra gli altri, Marco Damilano (l’Espresso), Stefano Bartezzaghi (La Repubblica), Gianluigi Paragone (La Gabbia – La7), Alessandro Gilioli (L’Espresso), Eva Giovannini (Ballarò – Rai3), Antonio Sofi (Gazebo – Rai3), Giovanna Pancheri (SkyTg24), Wanda Marra (Il Fatto Quotidiano), Marianna Aprile (Oggi), Dino Amenduni (Proforma), Stefano Cristante (sociologo), Vittorio Alvino (OpenPolis), Gennaro Pesante (addetto stampa Camera dei Deputati), Serena Fortunato (Moscabianca), Adelmo Monachese (Lercio.it), Francesco Costa (Il Post) e Lorenzo Pregliasco (YouTrend). Giovedì 30 giugno (ore 19 – ingresso libero) alle Officine Cantelmo di Lecce spazio all’anteprima della rassegna con la presentazione del volume “La democrazia del talk show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la politica, l’Italia” (Carocci) di Edoardo Novelli con la partecipazione di Danilo Lupo (La Gabbia - La7) e Felice Blasi (presidente CoreCom Puglia). Info 3394313397 info@iononlhointerrotta.com


PANE, PIETRA E POESIA La Puglia in versi da Bodini ai giorni nostri La Puglia è di pane, di pietra e di poesia; la sua natura carsica è capace di filtrare il “sentire”, lo lascia venir su mutato in parole, in versi, in canzoni. È sempre stato così. Io conosco il Novecento, non sono un critico e la passione per la poesia è cresciuta nell’inciampo: nomi, biografie, versi, occasioni, piccole e grandi folgorazioni, hanno impastato incontri, dato storie alla mia militanza. Antonio Leonardo Verri da Caprarica di Lecce su tutti – mio iniziatore alle “cose” di qui, ma tanti altri hanno dato lucido alla passione e rinvigorito la certezza riguardo alla intima natura della nostra “lunga terra”. Tenendo ben presente il passato di Comi, Bodini, Pagano, Gatti, Serricchio e di tanti, tanti altri, ormai nello scrigno della memoria, rimango in un tempo a me vicino e faccio dei nomi. Vittore Fiore “nato sui mari del tonno” a Gallipoli e cresciuto a Bari; il mite e “domestico” Ercole Ugo D’Andrea illustre e segreto nella città che fu del Galateo; il per me “necessario” Vittorino Curci da Noci – nel suo “La ferita e l’obbedienza” leggo: “Scrivere poesia (…) vuol dire essenzialmente ascoltare” e mi esalto nella “missione” del divulgare, del fare poesia l’agire, l’esserci, ogni atto - anche il più piccolo - mosso all’aver cura. Già, l’accudire, non è in questo la poesia? Non è nel dono dell’accogliere voci-parole per darle, donarle nel suonare del verso?

Non è nell’attenzione volta a chi la sceglie come sponda della propria sensibilità? Ma torniamo ai poeti di Puglia, ché tutti hanno mostrato questo vivo sentimento dell’”aver cura”, sarà perché il margine meglio si presta all’attenzione: guardare dalla “linea di confine” ti mette le radici e spinge lo sguardo oltre il valico, ti fa custode e nomade e il far rivista spesso è diventato – nella nostra storia letteraria - lo strumento per fortificare il far versi, per trovar compagni nel cammino e muovere in dialoghi che di volta in volta hanno allargato, spostato, estinto il limine, la linea di confine. Prima “L’Albero” di Comi, poi l’“Esperienza Poetica” di Bodini e il “Critone” di Pagano, più vicino a noi il “Pensionante de’ Saraceni” di Verri. Oggi gli “Incroci” di Lino Angiuli il poeta monopolitano, quello de “L’appello alla mano” dove leggo “le mani hanno cento occhi” aprendo i miei al Mediterraneo dei conflitti cantato da Giuseppe Goffredo, o alla Taranto ferita di Angelo Lippo, o al Salento tarantato di Maurizio Nocera, o alle immense rabbie di Michelangelo Zizzi o a quelle meridiane di Salvatore Toma, Pierluigi Mele, Elio Coriano a quelle ancora insopite della nostra amata Claudia Ruggeri e a quelle della straordinaria Comasia Aquaro con “i pugni al sole e nel volto una folla”. Abbiamo padri e madri, abbiamo fratelli e


sorelle nella tanta lingua della Puglia: le voci della poesia ci aiutano a guardare, a meglio interpretare ciò che ci è intorno e la natura, il paesaggio, le persone, le città ci appaiono per come sono in una sensibilità percepita, esplicitata, detta in un verso. C’è verità lì? Certo svelamenti capaci di accompagnare nel varco del senso, dell’ovvia consuetudine dello stare al mondo. La poesia è pane e le voci dei nostri poeti hanno il sapore di quelle differenze che solo il pane di Puglia sa così bene sintetizzare. Una geografia ideale delle cose che accadono oggi in Puglia sul versante del fare poesia possiamo trarla dal programma della “Notte dei Poeti” iniziativa promossa da “Teca del Mediterraneo - Biblioteca Multimediale del Consiglio Regionale della Puglia” per l’organizzazione di “Farm”, con le voci messe in campo da Incroci, da Lega Italiana Poetry Slam, dal Fondo Verri, da Poesia in Azione, da Inchiostro di Puglia nei borghi di Otranto, Ostuni e Trani. Agire, fare! La poesia e i poeti servono a scrivere la vita: la via possibile. A scovare tracce, servono! A segnare lo spazio, a recuperarlo dall’oblio e dalla nostalgia. Dalle malìe di quanti dimenticano le parole, scordano la melodia e fanno finta di non sapere… chiudono gli occhi per non sentirsi responsabili. È cruda la poesia quando insegue, scrive la vita, il reale, il quotidiano e ciò che lo trascende. è urlo, la poesia. Urto, scontro. Così è, così è da sperare sempre sia la poesia… e il poeta: un coraggioso capace di guardare la polvere nascosta sotto il tappeto della consuetudine. Guardala per decifrarne i resti, l’origine, il primo canto dove dorme la speranza di un risveglio. Per salvare le parole dalla loro esistenza momentanea, transitoria e condurle verso ciò che è durevole. Per trovare il peso della voce, il canto, l’atto che comunica, va all’altro. Trovare un palco, un’alzata, un gradino, un niente e declamare, spiegare il verso al vento che lo porti a chi non sente. A chi si ostina muto a credere e a non credere nella terra di mezzo del senso, dell’ascolto, dell’accogliere. Del dubbio. Di questo abbiamo bisogno, di farci “capaci”, pagina bianca… solo quella può contenere un futuro possibile, solo quella un’altra voce! Un altro noi… Mauro Marino

UN PO’ DI MUSICA PER L’ESTATE DEI QUADERNI DEL BARDO Proseguono le pubblicazioni dei Quaderni del Bardo di Stefano Donno, che da circa un anno porta avanti l’attività della casa editrice fondata dal poeta Maurizio Leo. Pamphlet, saggi, racconti e raccolte di poesie: formato piccolo, vendita online, distribuzione “militante” nel corso delle presentazioni e nella storica libreria leccese Palmieri. Già una quindicina di titoli in catalogo e tante novità per l’estate. In arrivo “The Doors. In direzione del prossimo whiskey bar” dell’avvocato e autore di noir Giuseppe Calogiuri (da poco è uscito il suo “Cloro” per Lupo Editore), un breve saggio - con introduzione del docente universitario Daniele De Luca - su uno dei gruppi che ha fatto la storia del rock. Sempre in ambito musicale, in “Sono nato cantando… tra due mari” Carlo Stasi racconta (con qualche aneddoto e un inedito) la carriera del cantautore salentino Franco Simone. In questo caso la prefazione è curata dal giornalista e critico musicale Eraldo Martucci. Infine, a pochi mesi di distanza da “Guerrigliera” la scrittrice Eliana Forcignanò torna con “E libera non nacqui”, un poemetto con prefazione di Simone Giorgino.


COOLIBRì - altre letture

a cura di DARIO GOFFREDO

David Trueba Blitz Feltrinelli La fine di una storia è l’inizio di un nuovo viaggio personale, intimo sicuramente, fisico a volte. Succede poi di ritrovarsi lontani da casa, traditi, a fare i conti con il presente e immaginare un futuro. Parte da un sms al destinatario sbagliato, il nuovo romanzo di David Trueba, il terrore di ogni amante, l’inconscio che porta il traditore a sbagliare invio. E così che Beto il protagonista di Blitz si aggira solo per le strade di Monaco, con la possibilità del ritorno in una Spagna in piena crisi e una nuova opportunità davanti.

Haruki Murakami Vento e flipper Einaudi Haruki Murakami è lo scrittore e saggista che, insieme a Banana Yoshimoto e Yukio Mishima, è diventato uno dei simboli della scoperta e della diffusione in Occidente della letteratura giapponese. Einaudi ha da poco pubblicato il volume che raccoglie i due romanzi brevi “Ascolta la canzone del vento” e “Flipper”, accomunati dallo stesso io narrante. Inedito in Italia, il libro è stato pubblicato in Giappone tra il 1979 e il 1980. Nell’introduzione autografa Murakami ci racconta gli esordi della sua longeva carriera letteraria.

ANDREA CAMILLERI L’altro capo del filo Sellerio Centesimo libro e venticinquesimo episodio del Commissario Montalbano per il novantenne Andrea Camilleri. Lo scenario che fa da sfondo all’indagine sull’omicidio di una bella sarta è una Vigata indaffarata per l’emergenza quotidiana degli sbarchi di migranti. L’età dello scrittore e di Salvo si fanno sentire, perché lo sfondo e la storia non riescono ad amalgamarsi. Resta il piacere di leggere, la bellezza di alcuni passi intimisti e l’affetto per i personaggi ormai tanto cari. (Alessandra Magagnino)


Michel Houellebecq La vita è rara Bompiani Con questi due volumi Bompiani propone tutta l’opera in versi del discusso scrittore francese, uno degli autori destinati a entrare a pieno titolo nella storia della letteratura di questo inizio secolo. Per Houellebecq la poesia è dolore, sordo, brutale, e va attraversata fino in fondo. La forma è l’unica cosa che può salvare il poeta dal suicidio, ancorandolo alla realtà. Una realtà che in tutte le sue raccolte è triste, desolata e desolante, fatta di gesti meccanici che tradiscono la loro inutilità. Un libro impreziosito da uno splendido artwork di copertina di Pericoli.

Demetrio Paolin Conforme alla gloria Voland Otto anni dopo l’esordio con “Il mio nome è legione”, Paolin si conferma lo scrittore che più e meglio di tutti in Italia in questo momento affronta le tematiche legate al male in tutte le sue forme. Nelle 400 pagine tesse una storia che si sviluppa nell’arco di sessant’anni dalla più grande tragedia del ‘900, l’Olocausto, fino ai giorni nostri. Paolin domina e plasma la materia romanzo con un’abilità da romanziere navigato, perfettamente aderente alla realtà in cui viviamo e capace, con la sua penna, di lasciare segni evidenti sulla pelle del lettore.

MATTEO BUSSOLA Notti in bianco, baci a colazione Einaudi La scrittura ironica di un autore padre di tre figlie. Il libro racconta la grande avventura di chi si ritrova ad apprezzare le piccole cose. Matteo Bussola, disegnatore di fumetti per la nota editrice Bonelli (Dylan Dog tra gli altri), è amatissimo sui social network, dove spesso commuove e fa ridere proprio partendo dall’intimità delle sue quattro mura dove spesso si nasconde il lato prezioso del quotidiano. Tra dialoghi improbabili e scenette familiari, il romanzo ci porta dentro una casa abitata “veramente”.

LIBRI

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CINEMA -TEATRO

SALVATORE DELLA VILLA

Condannato a essere attore ma preferisco la provincia Se non avesse fatto l’attore sarebbe stato un serial killer. Infatti, parla della sua vocazione, che poi è diventata un mestiere, come una condanna. Salvatore Della Villa è attore e regista, dopo una formazione torinese, è tornato nel Salento e nel 2012 ha fondato la compagnia che porta il suo nome. Ha imparato a essere attore senza fare una scuola, continua a ripetere che “ha sentito la chiamata” e se potesse farebbe un altro lavoro. Il suo è un percorso di esperienza e prove continue sul campo, di energia comunicativa tra parole e azioni. «Essere attore ha in sé uno sviluppo naturale», dice. «La tecnica si impara, ma l’istinto non può essere frazionato e segmentato. L’attore è un animale che affina l’istinto con l’analisi razionale. È come il genio: conosce senza ancora sapere, e poi è un bambino che ha la maturità artistica senza essere ancora maturo». Nonostante una formazione non classica, è uno che con i classici decide di confrontarsi. Lo scorso anno ha portato in scena “Caligola”, di Albert Camus. Poche settimane fa ha coordinato una residenza teatrale al Castello di Copertino con Peter Lories (story editor di

fama internazionale), Marina Polla De Luca (attrice), Giuseppe Manfridi (drammaturgo, romanziere e sceneggiatore) e Alfredo Traversa (attore). “Four Shakespeare For You” prevedeva una serie di attività per favorire esperienze di contaminazione tra artisti pugliesi e internazionali. Fare residenza nel panorama teatrale attuale vuol dire creare delle realtà formative e creative fondamentali, favorire lo scambio di idee e vivere il teatro in modo completo e totalizzante. Il progetto è stato sviluppato in due fasi: la prima legata alla drammaturgia shakespeariana, la seconda di allestimento della performance finale. L’incontro di personalità, culture e linguaggi artistici diversi è legato da un aspetto comune: l’alterità, intesa come sguardo verso il diverso, in una doppia valenza artistica e sociale. Sceglie però come guida la prudenza. «Bisogna approcciarsi a Shakespeare con grande prudenza. Bisogna essere coscienti del lavoro che si sta facendo. Usare il massimo della professionalità è obbligatorio, bisogna sapere cosa fare». Secondo Della Villa il vero problema è il teatro scadente, vale a dire ad esempio la deliberata azione


di deformazione di un testo, come quelli di Shakespeare, che sono universi complessi e compiuti. Non si attualizza un testo che è già moderno, cioè non lo si amputa dai suoi arti, non lo si violenta per farne una parodia di se stesso, senza prima sapere qual è il significato della parola poetica. Questo non vuol dire rifare le opere fedelmente. Carmelo Bene, l’attore più dissacrante della storia italiana, è stato comunque uno dei più fedeli interpreti di Shakespeare. L’autenticità è l’unica chiave possibile: si può e si deve alleggerire il testo, ma prima bisogna studiarlo e conoscerlo per restituire la sua natura. Se Salvatore Della Villa dovesse scegliere uno dei personaggi dell’ampio bestiario shakespeariano, non saprebbe a chi succhiare il sangue: sono le dinamiche psicologico emotive a interessarlo. Si può ritrovare nella follia di Amleto, sentire le voci dalle orecchie di Jago, annegare con Ofelia, arrampicarsi su per un balcone e spiare Giulietta. E in tutto questo l’attore rimane se stesso per prima cosa, non c’è compenetrazione, non c’è mimesi. Ma nonostante la possibilità di essere multiforme, e di avere un pubblico, Della Villa diventa sarcastico e cinico quando si parla di cosa che manca davvero al teatro: «La disciplina, la libertà e il rigore». Sostiene la necessità di un teatro che sia raro, unico, vale a dire non terreno di conquista per avventori impreparati, per quanti lo usano come vetrina, o peggio come contenitore per far risuonare la propria voce, «in molti si occupano di teatro e pochi fanno teatro». E poi affonda: «Lecce è città che culturalmente è indietro di trent’anni. È un libro con una bella copertina ma scritto male e con molte pagine bianche. Ha la necessità di cambiare con urgenza le dinamiche politiche e culturali. Chi ha delle proposte deve poter parlare con chi è competente, la competenza ha un suo valore specifico». La sua prospettiva, la speranza, sono le province, salentine, nello specifico, più affamate e con più voglia di fare e di farlo bene. Alla mia domanda di rito: Quale epitaffio vorresti sulla tua tomba, la risposta, accompagnata da un sorriso sornione tipico dell’attore animale è «Ma li mortacci vostra!». Giulia Maria Falzea

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“ALICE E LE ALTRE”: CINEMA AL FEMMINILE ALL’ACH DI LECCE All’Ammirato Culture House di Lecce prosegue la rassegna “Alice e le altre. Il cinema delle donne”. “Elles tournent” diceva Alice Guy, la prima regista donna nella storia del cinema, esortando le donne a “girare”, a fare cinema, a raccontare attraverso la macchina da presa. Da questo invito nasce l’idea della rassegna - promossa dal centro culturale leccese e dalla Fondazione Musagetes - che proseguirà sino al 23 dicembre con un fitto cartellone di proiezioni, incontri, dibattiti per un percorso senza riflettori e tappeti rossi, per conoscere da vicino i racconti, i sogni, le visioni di registe italiane e straniere. Mercoledì 15 e sabato 18 giugno - nell’ambito dell’articolato programma della Free Home University - spazio a due appuntamenti “extra” con la proiezione a cura di Natalia Pershina (Gluklya) e di “Preuzmimo Benčić“ (Take Back Benčić), della visual artist canadese Althea Thauberger. La rassegna prosegue venerdì 24 giugno con la proiezione di “E ora dove andiamo?”, il film diretto ed interpretato dalla regista e attrice libanese Nadine Labaki, presentato nella sezione “Un Certain Regard” del 64º Festival di Cannes. Info www.aliceelealtre.it


TUTTO SU MADELEINE

Sabina Andrisano racconta il suo nuovo cortometraggio Prodotto da Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni, Film commission di Varese e dell’Alto Milanese, “Tutto su Madeleine” è il nuovo cortometraggio della giovane regista brindisina Sabina Andrisano. Il corto si presenta, in tutta la sua leggerezza, come uno spaccato delle relazioni umane al femminile, che scorre sul filo della tragi-commedia degli equivoci, in perfetto stile Almodovar, con donne sull’orlo di una crisi di picco glicemico anzichè di nervi. Se non altro per le meravigliose carrellate imbandite di dolci di ogni forma e colore che scorrono sotto il naso delle protagoniste, placidamente impegnate in queste quotidiane esperienze di estasi, strizzando l’occhio anche al buon Ozpetek e ai suoi film. Madeleine (Ornella Rossetto), la donna protagonista della storia, ha 60 anni e sembrerebbe o parrebbe avere un’allegra relazione dangereuse con Renè (Eugenio Coppola), un ragazzo di 30 anni, più giovane di lei, generando scandalo e scatenando così l’ira funesta delle comari, sue clienti di pasticceria, che, invidiosissime, non perdono tempo a trastullarsi in chiacchiere ed affermazioni di disappunto, prevedendo nefasti epiloghi della relazione e generando così un cortocircuito fulminante del pettegolezzo, da blackout esistenziale della saga delle apparenze.

A cosa ti sei ispirata per costruire la storia? Il mio lavoro è il frutto di una curiosità che nutro per l’universo femminile tanto complesso e misterioso. Le donne di qualsiasi età mi affascinano molto, riescono a stupirmi continuamente, più degli uomini. Sarà anche per l’appartenenza al genere ma, quando ho pensato a Madeleine, avevo in mente il volto singolare ed eccentrico di una Donna, così ho deciso di tessere la narrazione attorno a una mia immagine mentale: una signora matura, accanto un giovane, entrambi di spalle ed entrambi nudi davanti a una parete con due porte. Raccontare la storia di un amore tra persone di età differenti per riportare tutti i luoghi comuni che si generano a riguardo. La mia coppia sarebbe stata interpreta da due attori che conoscevo e avevo già visto a lavoro. Inizialmente scrivevo confrontandomi con entrambi. Ben presto ho dovuto abbandonare la mia idea iniziale: il fatto di posare totalmente svestiti davanti alla macchina da presa era un’ idea che non avevano gradito molto e così la narrazione ha preso nuove strade. Nonostante io sia una persona fortemente cinica sono al contempo ironica, dunque ho deciso di vederne il lato positivo e di trasformare il soggetto da drammatico in una commedia leggera. Dicono che sia una cosa difficilissima


far ridere il pubblico. Le proiezioni mi hanno dato favore di esserci riuscita. Il mio intento narrativo inziale? è solo rimandato.

la sua gente. Ho semplicemente fatto delle sue virtù e dei suoi vizi uno dei temi dei miei racconti.

Ci presenti i tuoi protagonisti sottoforma di macchiette caricaturali, enfatizzandone i difetti ed estremizzandone le caratteristiche fin quasi a scivolare nel grottesco di un racconto di genere, con primissimi piani di bocche fameliche che bucano lo schermo, sguardi ammiccanti, danze voluttuose all’insegna del peccato. Il tutto condito da immagini accese in technicolor. Descrivici questo campionario umano di tipi psicologici. “Desaturare il meno possibile” - un mio motto. Colorerei tutto se potessi, lo esalterei al massimo. Tutto su Madeleine è molto acceso con alcune predominanti come il rosso. Una tonalità che esprime peccato, lussuria ma anche passione. Le pettegole che circondano la pasticcera hanno una forte componente caratteriale, sono sì dei clichè, ma tutte profondamente sviluppate, finiscono infatti per passare continuamente dal ruolo di antagoniste a quelle di protagoniste. Nel sottotesto alcuni dei vizi capitali: Gemma, conformista e cattolica pecca di gola e reprime il suo desiderio sessuale. Vilma modaiola e egocentrica. Clara invidiosa e arrogante. Tosca ingenua e dolcemente superficiale.

Il pezzo musicale, composto da William Simone, che fa da colonna sonora, presenta degli accenti da nouvelle-noir francese, conferendo a tutto il film un’atmosfera vagamente peccaminosa ed accattivante. è stato tutto intenzionale o dettato dal caso? Tutto intenzionale. La storia della colonna musicale è uno dei miei migliori ricordi per quel che riguarda il corto. William Simone è un musicista brindisino, nasce percussionista e perfeziona la sua tecnica a Cuba. Vive e lavora da diversi anni nella scena underground e jazz bolognese. L’ho contattato ed è stato subito disponibile. L’ho raggiunto per una settimana nella sua casa di montagna: lui suonava qualsiasi tipo di strumento, io cercavo le parole e cucinavo tantissimo. Il cibo e la natura ci hanno donato il mood perfetto.

Il film fa ridere ma fa anche riflettere. Quali tematiche hai voluto sollevare? Madeleine con toni leggeri si avvicina, senza dare un giudizio impositivo, alle tematiche di genere e di accettazione sociale. Parla di libertà di espressione e di diritto ad essere e stare al mondo preservando una propria identità dichiarata, al contempo diritto alla riservatezza. Sono cresciuta in un piccolo paese della Puglia che, vuoi dimensioni o per mancanza di luoghi di aggregazione culturali, conduce le persone a osservare costantemente la vita degli altri, dimenticando di vivere pienamente la loro. Io sono nata e cresciuta per un pezzettino della mia vita all’estero e poi dopo il liceo sono ripartita per studiare e lavorare in settentrione. Alcuni meccanismi sono simili un po’ ovunque ma meno esposti e certamente meno soffocanti. Nonostante ciò manca spesso la mia terra e

Madeleine deve custodire un segreto, soffrire le ingiurie e imparare a infischiarsene godendosi ciò che ha, amando ed impiegando il proprio tempo impastando dolci e deliziando, con squisite leccornie zuccherose, la vita di chi le vuole bene, come Lara e Renè, ma anche di chi le vuole male, come Vilma, con slanci di generosità quasi da propiziatorio gesto scaramantico di buon ritorno. Nella vita è tutta questione di buono o cattivo karma? Tutto su Madeleine ha viaggiato sotto una buona stella, lo dimostra l’apprezzamento ricevuto al Festival europeo del cinema di Lecce. Ha visto la luce e il suo sviluppo grazie alla sinergia di persone meravigliose come la mia troupe e di numerosi collaboratori e finanziatori che hanno creduto fortemente nel progetto. Nella vita ci vuole una buona dose di coraggio e di fortuna, tanto lavoro, ma certamente molto dipenderà dal Karma, anche il corto, anche quest’intervista... Poi è chiaro che tutti viviamo dovendoci modellare alle regole, cercando di accomodarci come meglio si riesce, soffriamo le ingiurie, custodiamo segreti e cerchiamo, non sempre riuscendoci bene, di alleggerirci la vita come fa Madeleine. Madeleine è un po’ ognuna di noi. Jenne Marasco

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ARTE

EREBO Paolo Ferrante aka Evertrip lancia la sua “pseudo-rivista” improntata sui modelli dei periodici per le famiglie

Pochi esemplari composti da 64 pagine, un sommario con tanti approfondimenti, immagini uniche, pubblicità e rubriche umorali. In questo modo Paolo Ferrante (aka Evertrip), sperimentatore dalla pratica artistica multiforme, realizza Erebo una vera e propria “pseudo- rivista” improntata sui modelli dei periodici per le famiglie. Quello di Ferrante (classe 1984) è un linguaggio alchemico affascinante, vissuto attraverso l’utilizzo di vari medium dai quali l’artista genera un’opera dove il corto circuito culturale, formale e semantico si traduce in un oggetto poetico o in un codice visivo dal valore narrativo ed estetico intimamente rigenerato. Erebo (che verrà presentata ufficialmente il 15 giugno presso LO.FT- locali fotografici a Lecce) è un’operazione di ricerca artistica editoriale ben costruita così, dalla decontestualizzazione dell’immaginario collettivo agli automatismi espressivi, e dai finti collage alla costruzione dei significati nel linguaggio pubblicitario, nella rivista emergono anche delle tracce che rimandano alle esperienze della poesia visiva. Erebo è un supporto cartaceo di parole e immagini che veicolano, anche con effetti parodistici, un racconto


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personale che oscilla tra elementi surreali, concreti e concettuali e che vede come principale oggetto d’indagine la comunicazione di massa. In questo nuovo numero di CoolClub alcune anticipazioni insieme a Paolo Ferrante, ma se volete leggere l’intervista integrale sfogliate il nostro sito. Dopo l’esperienza di “Tegumenta-dizionario emozionale”, raccontaci come è nata l’idea di Erebo e quali sono stati gli spunti processuali che ti hanno portato a questo nuovo lavoro? Erebo nasce la notte del 1 febbraio 2016. Stavo cercando un modo per unire dipinti, fotomontaggi, scritti, sogni in un unico concept come feci con Tegumenta, e all’improvviso ebbi la folgorazione. Alle due del mattino, in pieno dormiveglia, mi comparve questo termine che avevo letto in giro, l’Erebo, le tenebre sotterranee della mitologia greca. Ma la vera intuizione fu accostare il suono e l’assonanza di questa parola con quella di un settimanale con cui molti di noi sono cresciuti: Epoca. Pensai che l’epoca che stiamo ancora vivendo è un’era oscura, buia. La fanzine affronta vari argomenti e approfondimenti “di stampo esistenzialista”, ma qual è la vera ossessione della voce narrante? Come in Tegumenta, esiste in effetti una voce narrante, una coscienza estranea che risponde nella sezione Lettere al Direttore, dove emana la sua saggezza, oppure nell’inchiesta sulla regressione nei ricordi. Direi che è un tentativo continuo di prova-

re a osservare la vita, gli sbagli, le vittorie, le esperienze, i dolori, gli amori, da un’ottica esterna, come un satellite che fotografa la Terra dallo spazio. Vedere la vita dall’esterno... ecco sì, forse è questa l’ambizione del Direttore di Erebo. Nel tuo lavoro emerge un approccio legato anche alla poesia visiva. In questo tipo di ricerca ibrida sulla quotidianità, il linguaggio e la forza immagini, qual è la tua riflessione sui nuovi media in rapporto al linguaggio dell’arte contemporanea? Non ho molto a che fare con la poesia visiva, anzi negli ultimi tempi cerco un modo per distaccarmi proprio dalla parola. Spero di riuscirci in futuro. Per rispondere alla tua domanda, credo che la tecnologia abbia sempre dato un apporto all’arte, fin dall’antichità. Si potrebbe dire che gli sviluppi e i progressi scientifici, se ben veicolati, possono aggiungere nuove esperienze alla pratica artistica. Ultimamente mi sto appassionando per esempio dell’errore nell’elettronica, il cosiddetto Glitch. Esiste un filone chiamato glitch art che basa tutto sull’effetto estetico, trasformandolo in una cosa fine a se stessa. A me invece interesserebbe stravolgere il Glitch, dargli un senso, veicolare l’errore per ottenere un linguaggio regolamentato. Il tuo liquore preferito? Ovviamente Tegumenta, il liquore di sali che si estrae dal petto di chi amiamo. Da oggi anche all’aroma vanigliato. Giuseppe Amedeo Arnesano


DIARIO CRITICO

a cura di Lorenzo Madaro

MARIA MULAS

Predilezioni e incontri, amicizie e progetti di uno dei punti di riferimento della fotografia internazionale Una mostra – Ladies vs Gentlemen, con opere di Andy Warhol, a cura di Spirale Milano e di chi scrive (dal 24 giugno fino al 30 novembre al castello Carlo V di Lecce) – e un incontro, quello con Maria Mulas, protagonista internazionale della fotografia, autrice di alcuni tra i più intensi ritratti del padre della Pop Art. Un progetto espositivo, promosso dal R.T.I. Theutra, Oasimed e Novamusa, che intende puntare l’attenzione su alcune icone riconosciute e misconosciute del padre nobile della Pop-Art - da Marlyn Monroe a Marella Agnelli e oltre -, insieme a una selezione di scatti di Maria Mulas concepiti nel 1987 alle Stelline di Milano. Oggi Maria Mulas è un punto di riferimento della fotografia internazionale, in questo dialogo rivela predilezioni e incontri, amicizie e progetti. Che ricordi ha di Andy Warhol e quando vi siete incontrati? Non era assolutamente un chiacchierone, parlava poco; se gli facevi domande, lui rispondeva. Ma non era un tipo che interveniva per primo, era timido. L’ho fotografato sia in America che in Italia, era molto riservata come persona. Lo osservavo a lungo, ero affascinata, avevo davanti a me un artista che

ha rivoluzionato l’arte contemporanea. Lui è stato il primo grande artista Pop, ed è riuscito a diventare più famoso di tutti gli altri. Era gentile, dolce, molto deliziosa come persona. Quando è morto, mi è dispiaciuto moltissimo. Ci capivamo senza parlare. Ogni giorno, per tre giorni, ci siamo visti, in occasione della sua mostra del 1987 alle Stelline in corso Magenta a Milano. Nel 1974 era già stato a Milano per la sua mostra personale alla galleria Iolas, ma l’avevo incontrato anche a New York, mi era sembrata un’idea originale quella della Factory. Era molto warholiana, il posto era molto coerente con la sua filosofia. Quali sono le opere di Warhol che preferisce? Quelle più comuni, Marilyn, per esempio, perché mi piace molto come personaggio. La sua vita è una vita accanto agli artisti, compagna di strada e testimone oculare di molti di loro. Conoscevo bene quasi tutti gli artisti, li ho ritratti a lungo. Per esempio, anche Joseph Beuys è stato importante per me, sono stata anche nel suo studio di Düsseldorf per ritrarlo. Ho ritratto anche Bruce Nauman, Enzo Cuc-


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Perché ha scelto il ritratto nel suo percorso d’artista? Amo molto gli artisti, mi piace molto fare il ritratto, mi sono detta meglio fotografare loro e basta poiché fotografare tutti non ha senso. Sono stata tra le prime a farlo con gli artisti, d’altronde mi ispiravano simpatia, erano intelligenti. La gente che non conosci ti annoi anche nel fotografarla. Devo conoscerla. Così è stato per Gianfranco Pardi, Emilio Tadini e Valerio Adami, quando veniva a Milano da Parigi: insieme a Gianni (Colombo, ndr) sono stati tra i miei più cari amici. Com’è stato il rapporto con Ugo Mulas, suo fratello? Ugo è stato il primissimo a fotografare gli artisti. Ci somigliavamo molto, tra i fratelli era quello a cui rassomigliavo di più. Amava molto gli artisti, adorava Fausto Melotti, per il quale era come un figlio. Eravamo fratelli, quindi avevamo lo stesso istinto. Non l’ho mai copiato, ma a entrambi ci interessava ritrarre gli artisti. Ma ho scelto di non mettermi in mezzo, se non fosse mancato probabilmente non li avrei neppure fotografati. Ma era il mio istinto, e l’ho seguito. Qual è la differenza tra la fotografia in bianco e nero e quella a colori? Un tempo preferivo la fotografia in bianco e nero, però sono stata previdente e facevo uno o due rullini a colori. Secondo me è molto interessante… il colore dà più l’idea della volgarità di oggi. Rispecchia di più la realtà attuale. Il prossimo progetto? Sono a conoscenza di un libro di ritratti. Ci stiamo lavorando da un po’, ci saranno almeno cento ritratti. Non solo artisti – tra cui Sonia Delunay, Andy Warhol, Nauman e tanti altri –, ma anche intellettuali, scrittori e poeti. Foto © Maria Mulas, Andy Warhol #14, Fondazione Stelline, Milano 1987

arte

chi, Luciano Fabbro, che è stato tra i migliori artisti italiani. Negli ultimi decenni sono morti tantissimi artisti molto bravi. Un altro molto bravo – un caro amico – era Gianni Colombo, spesso la sera andavamo in giro per mostre.

A LECCE DIECI DISEGNI DELL’ARTISTA ENZO CUCCHI Dei magnifici cinque protagonisti della Transavanguardia, Enzo Cucchi è probabilmente l’artista più visionario e ineffabile. Dieci suoi disegni sono esposti fino al 17 luglio da Scaramuzza Arte contemporanea a Lecce, rivelando la vibrante intensità di una pratica estremamente vitale. Concepiti tra il 1985 e il 1991, incassati in cornici concepite dallo stesso Cucchi, le piccole dieci carte in mostra realizzate con diverse tecniche esprimono un immaginario ancora carico di suggestioni per l’artista marchigiano. I paesaggi sintetici ed ineffabili, neri come il bitume; le case surreali da cui si generano vigorose spine, i volti essenziali e trasfigurati. Emergono così improvvisamente dai paesaggi brulli, le figure antropomorfe che vivono una condizione marginale su piattaforme sospese: tutto, in Cucchi, rivela mistero, mitologia, cultura popolare. Secondo la curatrice della mostra, Marinilde Giannandrea, “Le opere in mostra si collocano un percorso ideale dentro il lessico dell’artista e rappresentano una perfetta sintesi del suo sillabario visivo”. Il genius loci permane, d’altronde era uno dei punti cardinali della Transavanguardia, il movimento teorizzato dal critico Achille Bonito Oliva sul finire dei Settanta, rivelando un ritorno alla pratica pittorica e a uno sguardo interiore verso le proprie radici visive e antropologiche. Cucchi, che vive a Roma da diversi decenni, non ha mai dimenticato certe storie marchigiane, come emerge dalla selezione di disegni che approdano a Lecce in via Libertini. (Lor. Mad.)


DAI MIGRANTI AGLI EROI

Il Castello di Gallipoli ospita per tutta l’estate la mostra del fotografo Simone Cerio e una collettiva coordinata da Renzo Buttazzo e Lara Bobbio Dopo il grande successo della personale di Michelangelo Pistoletto che l’estate scorsa ha coinvolto oltre 35mila visitatori, sino al 2 ottobre le sale del Castello di Gallipoli ospitano due interessanti mostre e una serie di appuntamenti. Info castellogallipoli.it LA PRIMA AURORA Inaugurata da Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency, quella di Simone Cerio è una mostra fotografica composta da venticinque storie di migranti sbarcati sulle coste siciliane. Un viaggio tra oggetti recuperati, portati da Paesi lontani, abbandonati per strada e reinterpretati che offrono al visitatore la possibilità di un’approfondita riflessione sulla condizione di migrante. «La Prima Aurora – sottolinea Cerio - è un corpo di fotografie “ritagliate” dal contesto in cui il soggetto è inserito che sposta l’attenzione dalla drammaticità dell’evento alla persona come essere unico ed esclusivo, scevro di qualsiasi caratterizzante, come lo spazio che ne identifica la condizione attuale. Gli oggetti, per lo più trovati nel luogo di transito, di-

ventano simboli della dignità quotidiana che questi protagonisti tentano di recuperare, una volta chiusa la fase di separazione dalla propria terra». HEROES Dal 26 giugno, inoltre, nel Castello spazio a un percorso di visioni e racconti, un pulsare di simboli e atti simbolici. Eroi tra arte e design ad opera di Renzo Buttazzo e LRJLB[[]]Lara Bobbio. Segni, assemblamenti, fusioni, opere che si legano, si animano, in un dialogo in continuo mutamento. Testimonianza tangibile di un linguaggio contemporaneo immerso nel contemporaneo stesso e le sue criticità. Heroes coinvolgerà, oltre alle opere dei due curatori, anche gli artisti Ada Mazzei, Andrea Buttazzo, Andrea Epifani, Daniele dell’Angelo Custode, Giuseppe Maietta, Massimo Maci, Monica Righi, Oronzo de Stradis, Peppino Campanella, Paolo Guido, Tonio Pede. L’inaugurazione del 25 giugno (ore 19.30 - ingresso su invito) vedrà anche la partecipazione di Hongmei Nie considerata da molta critica la più grande cantante lirica cinese del mondo.


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dal 19 giugno al 2 ottobre Castello Aragonese - Otranto (Le)

Dal 19 giugno il Castello Aragonese di Otranto ospita gli scatti di Steve McCurry, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, punto di riferimento per un larghissimo pubblico che nelle sue fotografie riconosce un modo di guardare il nostro tempo. Steve McCurry Icons è una mostra che raccoglie in oltre 100 scatti l’insieme e forse il meglio della sua vasta produzione, per proporre ai visitatori un viaggio simbolico nel complesso universo di esperienze e di emozioni che caratterizza le sue immagini. Con le sue foto ci consente di attraversare le frontiere e di conoscere da vicino un mondo che è destinato a grandi cambiamenti. La mostra inizia infatti con una straordinaria serie di ritratti e si sviluppa tra immagini di guerra e di poesia, di sofferenza e di gioia, di stupore e di ironia. In una audioguida Steve McCurry racconta

arte

STEVE MCCURRY ICONS

in prima persona molte delle foto esposte. In mostra viene proiettato un video di National Geographic dedicato alla lunga ricerca che ha consentito di ritrovare, 17 anni dopo, “la ragazza afghana” ormai adulta. All’inaugurazione oltre al fotografo parteciperà anche lo scrittore Roberto Cotroneo. La mostra è organizzata da Civita Mostre in collaborazione con SudEst57. Ingresso 10 euro. Info www.stevemccurryicons.it

dal 2 luglio al 30 settembre Lecce, San Cesario di Lecce, Bitonto

LEANDRO UNICO PRIMITIVO Per fortuna dopo molti anni di oblìo si sono riaccesi i fari sull’opera di un outsider come Ezechiele Leandro. A 35 anni dalla sua scomparsa, infatti, “Leandro unico primitivo” è un percorso sull’artista salentino che si muoverà tra la Distilleria De Giorgi e il Santuario della Pazienza a San Cesario di Lecce, il Museo Sigismondo Castromediano di Lecce e la Galleria Nazionale di Bitonto. La mostra – a cura di Antonella Di Marzo, Lorenzo Madaro, Brizia Minerva, Tina Piccolo – è una retrospettiva dedicata all’autore che si era mosso tra pittura, disegno, scultura, assemblaggio, collage, installazione. Ogni sezione propone un percorso autonomo e di ricognizione con opere cronologicamente varie e concepite con differenti linguaggi e approcci. Sarà aperto al pubblico, dopo molti anni di chiusura, anche il Santuario della Pazienza - inaugurato nel 1975 nel

giardino di casa Leandro - esempio di architettura visionaria e ricco di statue e personaggi creati con pietra, bottoni, legno, creta, stoffa, ferro, piastrelle e materiali di risulta, recentemente oggetto di una dichiarazione di interesse culturale da parte del Ministero. L’inaugurazione è pevista sabato 2 luglio (ore 19 - ingresso libero) nella Distilleria De Giorgi di San Cesario di Lecce. Info 0832683503


BLOG FOOD SOUND SYSTEM Donpasta

MISS MYKELA, Una incallita mangiatrice di musica Nu pipirussu, un peperoncino, così definirei Miss Mykela. Una piccola grande bomba di energia e sorrisi, umanità e intelligenza. Non si può non volerle bene, per il suo coraggio e la forza che sprigiona sul palco, per la tenacia con cui persegue il suo percorso, assai radicale, nel mondo della musica. L’intervista rivela in pieno tutta la bellezza del pensiero di questa soldata dell’amore. «Mi sono avvicinata alla musica grazie a produzioni Jungle, DnB e Trip Hop, vengo incoronata tra le regine del reggae in Italia con un disco che mi ha portato a girare il mondo e che mi ha dato grandissime soddisfazioni, ma ora sono nel pallone da circa un anno e mezzo. Sono cambiata molto, ho cercato di lavorare dopo “We Ladies” ad un mio disco ma arrivata quasi alla fine ho bloccato tutto. Sono assolutamente cosciente di cosa sono stata nel passato, ho capito cosa sono ora ma devo capire dove voglio andare, quindi in questo momento sono tornata a collaborare a stretto contatto con Insintesi, un

progetto che mi ha sempre riconosciuta pienamente come loro frontwoman e continuo a divertirmi con altre collaborazioni che ho in cantiere. Una delle più gradevoli e promettenti è quella con ManuFunk, con il quale probabilmente si andrà oltre il semplice progetto di Duo chitarra/voce. Ci stiamo lavorando su ma non voglio anticipare nulla». Tra il Salento e la festa c’è un ottimo rapporto. «Uno dei motivi per cui non sono mai andata via è proprio il legame che ho con la mia terra. Per tante ragioni ho sbagliato, perdendo occasioni irraggiungibili oramai, ma ho trovato un equilibrio e ho comunque sempre cercato il modo di vivere la musica e la festa grazie all’energia della gente che mi circonda. Siamo fortunati a vivere in una regione calda nel cuore e nell’anima». Parliamo di militanza e musica. «Viviamo di musica, amiamo, ricordiamo, ci emozioniamo, ci arrabbiamo grazie alla musica, io non credo sia possibile immaginare un mondo senza. Per questo credo che il concetto di militanza sia spesso inscindibile

senza obbligatoriamente associarlo a questioni sociali o politiche». Senza pensarci troppo, tre artisti e tre ricette. «Una domanda del genere implicherebbe una lista di artisti interminabile, come fai a sceglierne solo tre? L’unico modo che ho per venirne fuori è nominarti gli ultimi tre della playlist che sto ascoltando mentre rispondo alle tue domande: Gill Scott Heron, Robert Glasper, Nina Simone. Sono una mangiatrice di musica incallita, non c’è un genere che io preferisca, i miei artisti preferiti sono veramente tanti e ascolto di tutto, basta che sia musica di qualità. La mia risposta riguardo l’aspetto culinario cerca di riassumere il mio gusto per “l’esotico, il tradizionale, il finger food” che adoro da morire.. mi gioco la carta sushi, turcinieddhri, frisa al pomodoro. Da qui capirai che il fatto di essere onnivora non riguarda solo la musica ma anche il cibo. Se mi inviti a pranzo sono una buona forchetta, ho qualche intolleranza alimentare ma in genere do grosse soddisfazioni».


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Mauro Marino

I FILI INASPETTATO DI UN INCONTRO ILARIA CAFFIO E DARIO GOFFREDO Certe volte è il caso a cucire il destino; per quanto piccolo o breve questo possa essere, un tratto di strada insieme Ilaria Caffio e Dario Goffredo lo stanno percorrendo. Il “caso” è stato la pubblicazione quasi contemporanea di due raccolte di poesia on-line nel Magazzino di Poesia di Spagine: “Verrà l’estate” per Caffio e “Atti minimi di sopravvivenza” per Goffredo. Da qui l’incontro, il pensarsi insieme nella “poesia detta” in un recital a due voci che si è rivelato di rara intensità, dettato dall’inciampo nell’emozione della “prima volta”, ma la poesia è più forte, fa cura, protezione e le voci vengono fuori limpide, chiare, frontali nello svelare l’intimità dei versi, ché questa è la materia della loro scrittura, l’intimità di uno sguardo capace di uno scavo, di fare della poesia il balsamo, l’auspicio, la formula delle loro e delle nostre tante rinascite. In occasione del debutto del recital al Fondo Verri, sabato 30 aprile 2016,

Massimo Grecuccio è intervenuto con una lettura critica parallela dei due testi poetici, scrive: «(…) Emergono fili inaspettati tra le parole della Caffio e quelle di Goffredo. (…) Una trilogia di stagioni, primavera, estate, autunno, una triplice metafora è la cornice entro la quale s’inscrivono le due avventure poetiche. Verrà l’estate e Atti minimi di sopravvivenza sono separati dall’estate. L’amante di Verrà l’estate abita la primavera, guarda l’estate e sbircia da lontano l’autunno. L’amante di Atti minimi di sopravvivenza, invece, vive nell’autunno, si volge indietro all’estate, e intravede, nei frutti troppo maturi dell’estate i fiori della primavera. La quarta stagione, che integrerebbe la triplice metafora rendendola quadruplice, è nell’ombra. Tuttavia, la quarta stagione è l’orizzonte ultimo sia di Verrà l’estate, sia di Atti minimi di sopravvivenza. Ed è singolare, ma non sorprendente, che sia evocata in maniera esplicita, in Verrà

l’estate, là dove si agita, a intermittenza, un’euforia d’amore. L’ossessione d’amore, che in Verrà l’estate assume i colori dell’euforia cangiante, e in Atti minimi di sopravvivenza quelli poco variati della disforia, penso che sia, in entrambi i casi, il sogno di un labirinto, nel quale gli amanti si aggirano senza il filo di Arianna. Stare nel labirinto, non guadagnare l’uscita, è molto probabile che sia, in entrambi i casi, l’esito con ostinazione cercato”. *** Ilaria Caffio è nata a Taranto nel 1991, vive a Lecce dove si è laureata in filosofia. Organizzatrice culturale cura gli incontri di Filosofia a distanza ravvicinata, “Verrà l’estate” è la sua prima raccolta di versi. Dario Goffredo è nato a Lecce nel 1974, vive e lavora a Lecce. È membro della redazione di coolclub.it, sue poesie e racconti sono stati pubblicati su riviste e antologie, “Atti minimi di sopravvivenza” è la sua prima raccolta di versi.

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AFFRESCHI&RINFRESCHI


Steve McCurry iconS

otranto castello aragonese

19giugno 2ottobre2016 mostra promossa da

cittĂ di otranto

stevemccurryicons.it prodotta da

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Adelmo Monachese

“TU MI DEVI TRE BACI. IO UN CONO 5 STELLE AL CIOCCOLATO”. E IL TRAGICO EPILOGO Arriva l’estate e con essa sbocciano tormentoni radiofonici che appassiranno solo con il malinconico incedere dei primi singoli autunnali. Da qualche anno c’è un nuovo genere di tormentone: le pubblicità di coni gelato con velleità poetico pop. Tutto è iniziato con il cornetto Cinque Stelle Sammontana e il suo detestato spot che ora l’Algida è riuscito a far rimpiangere grazie alla scelta di associare il suo sempiterno cornetto ai versi di J-AX e Fedez. Ora tutti si chiedono come sarà andata a finire quella favola moderna che ha interessato, appassionato, ossessionato l’Italia nell’estate 2014, anno in cui per la prima volta abbiamo seguito tutti insieme il primo corteggiamento mediatico di un giovane poeta che conservava un nobile distacco per le cose terrene e una scarsa igiene personale consistente nel “lavarsi con il mare asciugarsi col vento” e che con i suoi versi anticonformisti ha dato

un esempio dell’amore ai tempi dei social, facendo della sua amata l’inconsapevole testimonial della marca dei Gelati all’italiana, una fanciulla che chi conosce ci dice essere un’appassionata della vita, dei valori della famiglia e della ricostruzione unghie. Amava frequentare un grazioso bar-gelateria sulla spiaggia e si è vista corteggiare a furia di gelati offerti a qualsiasi ora del giorno e della notte fin quando l’innamorato più dolce di tutto il litorale non ha deciso di farsi avanti con l’ormai famosa formula che prevedeva lo scambio dei tre baci a fronte della cessione di un cornetto gelato. Arrivato sul luogo dove secondo i piani del poeta avrebbe finalmente coronato il suo sogno d’amore, il ragazzo ha deciso che quel chiosco sulla spiaggia che di notte brillava delle luci dei videopoker, sarebbe stato il teatro di un incubo. Racconta un testimone: “è arrivato con ‘sto cono in mano convinto di farle una sorpresa, invece ha scoperto che la

ragazza era un’affezionata frequentatrice del posto perché apprezzava molto di più il calippo che il gestore le offriva lontano da occhi indiscreti”. Di lì, la tragedia. Il poeta al grido di “Equitalia!” ha messo in fuga il titolare del bar e ha condotto la ragazza avanti a un monitor e l’ha costretta alla visione di un dvd contenente la raccolta delle peggiori pubblicità della storia: dai sottaceti di Emanuele Filiberto a Simona Ventura e la sua coreografia per Pittarosso, il gattino virgola e tutta la serie di spot telefonici di Aldo Giovanni e Giacomo. I poliziotti l’hanno salvata prima che partisse la serie uncut di Roberto Carlino, che probabilmente le sarebbe stata fatale. Lui, il profeta della poesia marittima, ancora sconvolto e con il cono gocciolante stretto nella mano, prima di essere portato via dalle forze dell’ordine ha declamato: “La mia estate italiana? Fanculo, il prossimo anno vado a Ibiza”.

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BRODO DI FRUTTA


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STANZA 105 BLOG

Mino Pica

PRESTO, è TARDI

Non iniziare presto perché il pubblico farà tardi o non arrivare presto perché sarà il concerto ad iniziar tardi? Non ricordo chi ha posto il problema su facebook, ma per la scienza questo dilemma non sarà mai risolto. Quello che potremmo provare a risolvere, invece, presto prima che sia tardi, è la nostra attenzione collettiva, sempre più scadente, proprio durante i concerti. La musica sembra diventare sempre più una scusa, una periodica visita di cortesia obbligata alla zia acciaccata del paese, che lasciamo parlare mentre guardiamo il nostro display. Nel tempo, ho sempre riscontrato dettagli migliorabili per un concerto, per esserne meglio confortato, probabilmente a causa di una indole indie snobistica, puntigliosa, che circola in giro. Certo è che l’umiliazione che sta subendo in questo ultimo biennio la musica live, a volte, induce a gettare quella spugna sul ring. Se assistiamo ad un concerto di musica classica tratteniamo persino il

respiro, educati in silenzio; nei locali o rassegne siamo invece ultras indisciplinati che si ritrovano al foro italico degli internazionali di tennis di Roma. Poca la gente che ascolta, molta quella che chiacchiera, c’è chi dà le spalle e chi non si accorge della fine o dell’inizio del concerto. Giustificare tutto ciò è impresa ardua, una spiegazione artisticapsicosocioscientifica non la leggerebbe nessuno. Mancano due minuti alla fine di questa pagina, ma basta pensare a quanto la nostra attenzione quotidiana sia castrata da mille impulsi che riducono la nostra soglia di attenzione. Non leggiamo, ascoltiamo, vediamo, non ci interessiamo. Lo facciamo solo a piccolissime dosi. Sarebbe interessante vedere un concerto in pillole. Sarebbe interessante rendere ridicoli, in maniera evidente, i nostri gesti quotidiani che feriscono e abbattono inesorabilmente la nostra attenzione. Si potrebbe pensare di annunciare un live su facebook e sulla

stampa, mettere sul palco (in rigoroso ritardo) una poltroncina e delle semplice cuffie che trasmettono il disco. Non dare spiegazioni, allo stesso modo di un pubblico che non ne offre agli artisti. Prenderci in giro, spogliare le situazioni per andare oltre le apparenze. Potremmo anche pensare di ostinarci a proporre dei short live di 10 minuti con le sole intro proposte dei brani, o ancora far interrompere l’esecuzione quando si percepisce troppa distrazione al di là del microfono; aver pronto sul palco un display da guardare, dar le spalle alla disattenzione. Cambiamo la destinazione dei significati, mutiamo luoghi, mettendoli a nudo, trasformandone la fruizione. Dove diavolo è finita la condivisione emotiva. La vera consolazione di questa infinita possibilità di impulsi e proposte è che esistono eccome artisti, album e concerti interessanti, bisogna solo cercare, offrire attenzione prima che sia troppo tardi.


I quaderni del senno di poi di Francesco Cuna | facebook: quadernidelsennodipoi


EVENTI

a cura di CHIARA MELENDUGNO

UN’ESTATE DA FESTIVAL

Breve guida “non definitiva” degli eventi in Puglia Da giugno parte ufficialmente la lunga estate dei festival musicali, con una miriade di appuntamenti live dislocati su tutto il territorio nazionale. Anche la Puglia offre un ventaglio di scelta molto ampio, con rassegne che incontrano i gusti più diversi, dal rock al jazz, passando per l’elettronica, fino alla musica popolare. A favorire la creazione di una vera e propria rete di tutti o quasi i festival della regione fino al 2015 ci aveva pensato Puglia Sounds. Solo l’anno scorso la struttura regionale aveva finanziato 8 reti tra 33 festival per un totale di oltre 200 concerti. Numeri importanti, che hanno delineato la “geografia” della musica sul territorio, con rassegne consolidate da tempo oppure nate avverando un sogno. È

questo il caso del Cellamare Music Festival (all’inizio Coachellamare), la pazza e bellissima avventura di Antonio Conte e Tommi Bonvino. Il loro festival made in Puglia è stato annunciato quasi per gioco attraverso una locandina “fake” pubblicata su Facebook sul modello del più famoso festival musicale americano, il Coachella. Tra gli headliner inziali i pugliesi Checco Zalone, Al Bano e Romina Power, Toti&Tata, Gianni Ciardo. In breve tempo il gioco è diventato realtà e ora il festival di Cellamare si prepara alla tre giorni di musica in programma a fine agosto nel campo sportivo del comune in provincia di Bari. «Ci aspettavamo che locandina ed evento girassero per un paio di giorni, ma non molto di più – confessa Tommi Bonvino.


Invece si è creato un vero e proprio movimento di opinione, che ci ha portati dritti negli uffici del Comune di Cellamare, dove abbiamo trovato un’accoglienza calorosa. Una volta messa in moto una macchina del genere, non potevamo certo fermarla bruscamente». A spingere Conte e Bonvino verso la realizzazione del sogno «il sostegno prima da parte di migliaia di utenti dei social, poi più concreto da parte di altri creativi e operatori del settore musicale di tutta la Puglia e non solo. Si è subito creato un gruppo che ha iniziato a capire cosa davvero si potesse fare». Nella lineup, tutta rigorosamente pugliese, anche Moustache Prawn, Una, Fabryka, La Municipàl, Molla, Think About It, Sofia Brunetta, Big Charlie, MEry Fiore, Fonokit, non giovanni, I Misteri del Sonno, K-ANT Combolution e molti altri. Il Cellamare si preannuncia come un evento mediatico di grande impatto identitario, dalla forte connotazione pugliese; in ogni caso il territorio regionale farà da palcoscenico da giugno sino a settembre a sonorità differenti, in arrivo dall’Italia e dall’estero. Orientarsi non è sempre facile e questa piccola panoramica sui festival pugliesi può diventare utile per scoprire nuovi appuntamenti o semplicemente ricordare le date importanti, attraversando i generi musicali. JAZZ E DINTORNI Partiamo dalle rassegne che indagano le sonorità jazz e blues. La prima, in ordine di tempo, è il Bari in Jazz. Il festival metropolitano giunto alla sua dodicesima edizione andrà avanti sino al 28 luglio, con una nuova direzione artistica, quella del trombettista Luca Aquino. Nel 2016 il festival si espande come un’onda sonora dal capoluogo pugliese per undici comuni della città metropolitana, con oltre venti concerti. Tra gli ospiti James Taylor Quartet, il violoncellista Ernst Reijseger, Elida Almeida, Fresu, Sosa & Morelenbaum, il sassofonista francese Samy Thièbault; e ancora Pat Thomas, la pianista islandese Sunna Gunnlaugs, Paola Turci e Carmen Souza. Dal 21 al 31 luglio a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, torna Festambiente Sud, promosso da Legam-

biente. Sul palco alcune star del panorama jazz europeo e mondiale: Bojan Z, Lars Danielsson, Caecile Norby, Paolo Angeli, Alborada String Quartet, Omar Sosa e Paolo Fresu. Dal 25 luglio al 4 agosto un altro festival diffuso: il Locomotive Jazz Festival di Raffaele Casarano che propone sette date itineranti e quattro a Lecce che ospiteranno Musica Nuda, Peppe Servillo, Gianluca Petrella e John De Leo, Enrico Pieranunzi e molti altri. Due i Festival dedicati al pianoforte. Nel Salento dal 3 luglio il Piano Piano Festival, a cura di Irene Scardia, con Mirko Signorile, Emanuele Coluccia, William Greco, Alessandro Lanzoni e altri. Dall’8 luglio al 17 agosto nella città bianca “Pianostuni” con Cesare Picco, Rita Marcotulli, Ezio Bosso, Michael Nyman, Remo Anzovino. A traghettarci idealmente dal jazz verso l’elettronica, infine, il Locus Festival di Locorotondo che dal 15 luglio al 27 agosto mescola queste due sonorità, offrendo uno sguardo sempre interessante sulle novità della stagione musicale appena conclusa. Un sound d’avanguardia che arriva dritto da New York e dal Regno Unito con l’icona dell’hip hop DJ Premier, live con la sua band The Badder il 23 luglio; e ancora il 24 luglio spazio al collettivo newyorkese Snarky Puppy. Il 30 luglio sul palco la vocalist Andreya Triana da Londra e il 31 luglio la band di Leeds (UK) Submotion Orchestra. A chiudere la rassegna “il genio inglese dell’elettronica” Floating Points (5 agosto) e la “star del jazz americano” Kamasi Washington (27 agosto). ELETTRONICA Gli amanti di questo genere troveranno coinvolgenti le proposte del Fuck Normality Festival, rassegna dedicata alle sonorità contemporanee, in programma il 13 agosto al Sudestudio di Guagnano, in provincia di Lecce. Ospiti confermati di questa edizione Slow Magic, Yakamoto Kotzuga, Matilde Davoli, Machweo, Catalano, Aemris. Tra elettronica e club music segnaliamo anche Infestazioni Soniche, il free beach festival di scena sulla spiaggia del lido Odissea di Vieste (Foggia). Il nucleo centrale della rassegna si svolgerà dal 7 al 9 agosto e ospiterà

EVENTI

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EVENTI

anche Robert Babicz, Ancient Methods e Spencer Parker. WORLD MUSIC Prima di passare, infine, agli happening di musica rock e indie, facciamo una veloce carrellata delle rassegne di musica world e popolare. La prima, la più conosciuta, ovviamente è la Notte della Taranta di Melpignano (27 agosto). A reinterpretare il repertorio della musica tradizionale salentina con l’Orchestra Popolare sarà nel 2016 Carmen Consoli; la cantantessa è la prima donna alla guida della kermesse. Sino al 17 luglio, invece, nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia la rassegna internazionale di musica popolare “Suoni della murgia nel Parco” con la direzione artistica di Luigi Bolognese ospita i tedeschi Ensemble Oni Wytars, Daniele di Bonaventura Band’union, Quartetto l’Escargot, Caora Dhubh, Trioamaro, Raffaello Simeoni & Micrologus, Med’ensemble e Uaragniaun. Nel mese di agosto ogni anno si tiene anche il Carpino Folk Festival, rassegna dedicata alla musica tradizionale nel cuore del Gargano. Dall’11 al 17 settembre a Cutrofiano (Lecce) torna Li Ucci Festival. Il festival diretto da Antonio Melegari propone sette giorni di concerti, mostre e incontri per ricordare un’intera generazione di cantori capaci di tramandare il patrimonio popolare salentino. ROCK E INDIE Ultimo spazio quello dedicato al rock e alla musica indipendente. Il 10 agosto un altro evento al Sudestudio di Guagnano, questa volta per il Contronatura Festival che ospiterà Cosmo, progetto solista di Marco Bianchi dei Drink To Me. Alcuni giorni prima, dal 5 al 7 agosto a Melpignano, in provincia di Lecce, appuntamento, invece, con il So What Festival. Tre giorni di incontri, mostre, uno spettacolo teatrale, una serata dedicata ad Emergency, quattordici concerti e dj set con ospiti italiani e internazionali come The Skatalites, 99 Posse, Panda Dub, Assalti Frontali, Iseo & DodoSound. Nel Sud Salento “Esco di Radio”, trasmissione di Mondoradio, propone un festival itinerante. Sabato 30 luglio ad Alessano con Crifiu e Mino De Santis e martedì 9 agosto a Tricase con

Carolina Bubbico Quartet, Moods e Bundamove. Spostandoci più a nord troviamo invece il Giovinazzo Rock Festival (28, 30 e 31 luglio) che quest’anno accoglierà la nuova area Rock Village. LOCATION Non possiamo escludere da questa rassegna tutti quegli spazi che, come ogni anno, ospiteranno - dentro e fuori i festival - grandi nomi nazionali e internazionali. Torre Regina Giovanna (località Apani, Brindisi) con Max Gazzè, Skunk Anansie, Almamegretta; il PostePay Parco Gondar di Gallipoli con David Guetta, Prodigy, Paul Kalkbrenner e Sean Paul; il Forum Eventi di San Pancrazio Salentino con Vinicio Capossela, Luca Carboni, Massimo Ranieri e Antonello Venditti. IN ITALIA Spostando per un attimo lo sguardo alle rassegne italiane, con una necessaria semplificazione ci limitiamo a segnalare il Torino Todays Festival (con M83 e John Carpenter); Lo Street Music Art Fest (Assago Summer Arena di Milano con Mumford and Sons, Robert Plant, Pharrell Williams e altri); il Ferrara Sotto Le Stelle (con le esibizioni di Glen Hansard, Wilco, The Last Shadow Puppets e Mogwai); il Pistoia Blues con Brian Auger, Bastille e l’unica data italiana di The National e Damien Rice; il Rock in Roma (tra gli ospiti David Gilmour e Bruce Springsteen & The E Street Band); lo Sponz Fest di Vinicio Capossela; il tradizionale appuntamento con Umbria Jazz. A settembre, infine, l’Home Festival di Treviso (con Editors, Eagles of Death Metal e altri). DESERT TRIP Chiudiamo questa (non esaustiva) guida all’estate dei festival con una menzione speciale. Siamo idealmente partiti dalla “versione regionale” del Coachella, il Cellamare Music Festival; ci sembra giusto concludere, quindi, con il Desert Trip, il mega happening musicale in programma a Indio, in California il 7,8 e 9 ottobre, ribattezzato “Oldchella”. Ad alternarsi sul palco saranno infatti i grandi “vecchi” del rock, dai Rolling Stones a Bob Dylan; da Paul McCartney a Neil Young, con Roger Waters e gli Who.


SUD EST INDIPENDENTE

Il Festival firmato da Coolclub compie dieci anni Tre Allegri Ragazzi Morti, Go!Zilla, I Ministri, La Notte, La Municipàl, Niagara, Lim, Giorgio Tuma sono alcuni degli ospiti della decima edizione del Sud Est Indipendente, festival ideato e organizzato dalla Cooperativa CoolClub, con la direzione artistica di Cesare Liaci, e con il patrocinio del Comune di Lecce. Dal 15 al 17 luglio (abbonamento 18 euro + dp) appuntamento all’Ostello del Sole di San Cataldo, in provincia di Lecce, per una tre giorni di musica in riva al mare. E per gli amanti del rock il Sud Est Indipendente ha pensato anche ad un imperdibile fuori programma: mercoledì 17 agosto (ore 22 - ingresso 20 euro + dp - prevendite BookingShow) nell’Anfiteatro Romano di Lecce arriverà Peter Hook – membro e fondatore di New Order e Joy Division, pioniere della musica anni ‘80 e ‘90, un vero mito per le sue “invenzioni” in campo di musica dance – con la sua nuova band The Light. La tre giorni all’Ostello di San Cataldo prenderà il via venerdì 15 luglio (ore 21) con i brindisini Plof, con il loro indie/sperimentale e una sana dose di umorismo. Sul palco arriveranno poi i Go!Zilla, una fuzz psychedelic punk band formata nel tardo 2011 a Firenze che propone un suono che prende ispirazione dalle atmosfere Grunge degli anni 90 e i singoli garage / surf 60s mixando il tutto con un’attitudine di matrice punk durante i live. In chiusura tornano al Sud Est Indipendente i Tre Allegri Ragazzi Morti che presenteranno, tra gli altri, i brani di Inumani, il titolo del nuovo album che contiene undici nuove canzoni che arricchiscono l’immaginario

fantastico del trio mascherato che da più di vent’anni accompagna le nostre esistenze. Sabato 16 luglio (ore 21) la seconda serata del festival ospiterà i tarantini A Morte l’amore, La notte, band fiorentina (evoluzione dei Two More Canvases) con brani in italiano e suoni saturati e psichedelici. La Municipàl proporrà i brani dell’album di esordio “Le Nostre Guerre Perdute”, prodotto da La Rivolta Records con il sostegno di Puglia Sounds Record. Ospiti principali i Ministri, una delle band rock italiane più seguite ed apprezzate che con il loro Cultura Generale Tour hanno inanellato una serie di sold out in giro per il paese. Domenica 17 luglio (ore 19) il festival si concluderà con una lunga giornata di musica che partirà dal tardo pomeriggio con le band vincitrici del contest (che partirà nei prossimi giorni) e con Giorgio Tuma, tornato a cinque anni di distanza dal precedente album con “This Life Denied Me Your Love”, Lim aka Sofia Gallotti, progetto di musica ambient evocativa che combina spazi esoterici con atmosfere esistenzialiste e sognanti, e Niagara, il duo torinese composto da Davide Tomat e Gabriele Ottino (già assieme in progetti come N.A.M.B. e Gemini Excerpt) che non si limita ad esplorare i confini della musica elettronica, ma amplia il concetto stesso di produzione musicale coinvolgendo varie forme d’arte visiva, sia in studio, con una cura maniacale dell’artwork e dei videoclip, sia dal vivo, con visuals psichedelici e l’uso di nuove tecnologie segretissime. Info SeiFestival.it


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11 giugno - ore 21 Lu Mbroia - Corigliano d’Otranto (Le)

ROSAMARINO

Ninfa Giannuzzi, Rachele Andrioli, Simona Gubello e Meli Hajderaj sono le quattro protagoniste di Rosamarino. La nuova produzione di Kurumuny – Musica dalla Terra, appena uscito con il sostegno di Puglia Sounds Record, sarà presentata ufficialmente negli spazi all’aperto dell’Associazione Art&Lab “Lu Mbroia”. Ospite della serata il chitarrista e polistrumentista Maurizio Pellizzari. Info e prenotazioni 3381200398 - 3383651843.

15/18 maggio Lecce

PENSA DIFFERENTE “Pe(n)sa differente. Festeggia il tuo peso naturale!” è la manifestazione internazionale di sensibilizzazione, informazione e formazione su anoressia, bulimia, obesità e altre in/differenze, giunta alla nona edizione. Quattro giorni in varie location di Lecce con tavole rotonde, incontri, eventi, proiezioni, mostre, reading, spettacoli di teatro e di danza. Info pensadifferente.it

12 giugno Castello - Gallipoli (Le)

Benvenuta Kalopolis Il Castello di Gallipoli ospita la terza presentazione (dopo Corigliano e Otranto) di Benvenuta Kalopolis, nuovo progetto ideato e promosso da Ada Fiore. Può la cultura generare “un’economia gravemente etica”, costruire nuove relazioni kalopatiche, (legate alla bellezza), realizzare nuovi sistemi di franchising intellettuale, sviluppare un’idea di “marketing di virtù” in grado di far fronte ai veri vizi? è la vera sfida con cui Industria Filosofica ha deciso di avviare la sua attività. Benvenuta Kalopolis: città-mondo bella, ha come scopo quello di dimostrare come il pensiero filosofico unito alla creatività, sia in grado di tradursi in azioni concrete, incidere positivamente sulle abitudini comuni e determinare nuove e possibili strategie di mercato. Liberamente ispirato all’enciclica “Laudato sii”, Kalopolis è un “mondo da portare nel proprio mondo” per recuperare un nuovo modello dell’essere umano, della vita, della società, della relazione con la natura. è un luogo in cui i miti della modernità come l’individualismo, il progresso indefinito, la concorrenza, il consumismo, il mercato senza regole vengono sostituiti da un diverso equilibrio ecologico: quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi. Info www.industriafilosofica.it


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17 giugno - ore 22 Barcollo - Torre Santa Susanna (Br)

BAMBOO

Il Barcollo di Torre Santa Susanna festeggia 5 anni dall’apertura con il concerto dei Bamboo. Lo scopo della band romana è quello di creare musica con strumenti “alternativi” del tutto lontani da quelli tradizionali, oggetti comuni della vita di ogni giorno. Viti e bulloni, citofoni e giocattoli, camere d’aria, tubi e bidoni, catene e segnali stradali, righelli trapani e tanto tanto ancora. Ingresso libero

18 giugno - 18.30 Palazzo Baronale - Novoli (Le)

NOVOLI E NUVOLE

Le sale del Palazzo Baronale di Novoli ospitano una piccola rassegna di fumetti e illustrazioni dedicata ad Andrea Pazienza. Discussioni, performance e una mostra realizzata da diversi autori italiani per ricordare (nel sessantesimo anno della sua nascita) il fumettista prematuramente scomparso nel 1988. Ospite della rassegna Antonello Vigliaroli, ideatore del progetto “Splash! Archivio Andrea Pazienza”.

13/19 giugno Masseria Ospitale - Lecce

COSTRUIRE UN’ARENA Dal 13 al 19 giugno la Masseria Ospitale sulla Lecce Torre Chianca ospita una residenza workshop per progettare e costruire la nuova Arena estiva. In collaborazione con l’associazione Gridshell.it, infatti, la Masseria si trasformerà in un laboratorio di studenti, artisti, architetti, docenti universitari e makers che animeranno e trasformeranno i campi tradizionalmente coltivati in luoghi di scambio e creazione artistica, in officina d’arte vera e propria. Guidati da Sergio Pone (Docente di Architettura all’Università Federico II di Napoli) e dai progettisti e ricercatori di Gridshell.it, realizzeranno strutture leggere in legno ispirate ai principi dell’autocostruzione, del riuso, dell’ecosostenibilità, del fare insieme. Durante tutta la settimana saranno organizzati incontri, concerti, aperitivi, pranzi e cene sociali che sosterranno l’iniziativa, all’insegna della condivisione. Tra gli ospiti Vincenzo Costantino Cinasky con il recital “Nato per lasciar perdere” (16 giugno), gli attori della compagnia Improvvisart (15 e 18 giugno), Claudio Cavallo Giagnotti dei Mascarimirì e le sue selezioni musicali (17 giugno). Durante l’estate nella nuova Arena si terranno i concerti di Daniele Silvestri (18 agosto) e Damian Marley (2 settembre). Info www.masseriaospitale.com



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20 giugno - ore 21.30 Officine Culturali Ergot - Lecce

21 giugno Castello di Gallipoli (Le)

CLAY AND FRIENDS

SOLSTIZIO D’ESTATE

La rassegna curata da XO Booking giunge al suo ultimo appuntamento con il concerto dei canadesi Clay and Friends. L’idea della band si forma nel backstage di uno show di freestyle: da quel momento si plasma l’idea di un gruppo definito da un sound soul-hop, una commistione live di hip-hop, jazz e reggae.

Al Castello di Gallipoli la stagione estiva sarà inaugurata da uno spettacolo dell’Atelier di Teatro Rituale condotto da Ilaria Mancino. “Solstizio d’estate: mangiamo i frutti e conserviamo i semi”, con una installazione luminosa dell’artista Daniela Chionna, vuole essere una riflessione collettiva per sintonizzare le fasi della nostra vita con la Natura e recuperare il ritmo di questa sintonia. info@castellogallipoli.it

23/24 giugno Lecce - Bari

24 giugno – ore 21 Molfetta (Ba)

Doppio appuntamento nelle Feltrinelli di Lecce e Bari per gli AfterHours in giro per presentare il nuovo album “Folfiri o Folfox” che esce a quattro anni di distanza dal precedente “Padania”. Diciotto brani nei cui testi Manuel Agnelli affronta argomenti delicati come la solitudine, la perdita del padre e la consapevolezza di essere diventato definitivamente un uomo adulto.

Unica data in Puglia per Mika. In tour da più di un anno tra Europa, Asia e America, dopo i sold out a Roma, Milano e Firenze dello scorso anno, Mika, artista libanese, torna in Italia per incontrare il suo nutritissimo pubblico cantando tutti i più grandi successi, ormai davvero tanti, di un’artista dalla carriera sempre in ascesa. Info 0809698125

AFTERHOURS

MIKA


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dal 23 al 25 giugno Squinzano (Le)

CITTà DELLA MUSICA Da giovedì 23 a sabato 25 giugno a Squinzano torna l’appuntamento con la rassegna Città della Musica. Organizzata dal Comune di Squinzano con la direzione artistica di Pino Lagalle dell’agenzia Ribalta, con il patrocinio del Ministero della Cultura, della Siae e della Regione Puglia e con il sostegno di altri partner pubblici e privati, la rassegna ospiterà, tra gli altri, il trombettista Enrico Rava, il pianista e compositore Enrico Intra, il direttore d’orchestra Beppe Vessicchio, il cantante Pino Ingrosso, la cantautrice Carolina Bubbico, la vocalist jazz Elisabetta Guido, i gruppi finalisti del Premio Nicola Arigliano e del concorso Salento Cantaestate e molti altri ospiti. Sin dalla nascita la manifestazione vuole celebrare Squinzano come città della musica che nel corso del novecento ha visto crescere e affermarsi la grande tradizione bandistica, rappresen-

tata soprattutto nel periodo diretto dai fratelli Ernesto e Gennaro Abbate ma che ancora oggi porta la Banda di Squinzano in giro per l’Italia. Nel piccolo centro del nord salento è nato, inoltre, Nicola Arigliano che viene ricordato ogni anno con una serata dedicata alle nuove realtà del jazz italiano e con la partecipazione di ospiti speciali che dopo Franco Cerri e Stefano Bollani saranno Enrico Rava ed Enrico Intra che si esibiranno il 23 giugno. Info ilmusical@libero.it


EVENTI

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UNICA DATA IN PUGLIA

INFO: 080/9698125 - WWW.VRCONCERTI.IT

WWW.TICKETONE.IT - WWW.BOOKINGSHOW.IT


PUGLIA SOUNDS


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