GRATUITO Anno XIII Numero 87 Ottobre 2016
Ogni mese un mondo di cultura in Puglia
SOMMARIO EDITORIALE - 5
CINEMA/TEATRO - 42/45
Versoterra
Angelo Laudisa - Alessandro Valenti Marco Baliani - La fabbrica dei gesti
INTERVISTA - 6/11 Luca Bandirali
MUSICA - 12/35 Alessio Lega - Letizia Onorati Alla Bua - Trigono - Roberta Carrieri Johnny Clarke - Giordano Sangiorgi La Rivolta Records - BlogFoolk Keep Cool
LIBRI - 36/31 Maurizio Monte - Giorgia Salicandro Rossana Mitolo - Federico Capone Vittorio Nacci - Luigi Baldassarre Simona Cleopazzo - CoolibrĂŹ
Piazza Giorgio Baglivi 10 73100 Lecce Telefono: 0832303707 Cell: 3394313397 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it fb: Coolclub.it - tw: Coolclublecce Anno XIII Numero 87 Ottobre 2016 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Collettivo redazionale Pierpaolo Lala (Direttore responsabile), Osvaldo Piliego, Dario Goffredo, Chiara Melendugno, Antonietta Rosato, Toni Nisi, Cesare Liaci
ARTE - 46/49 PhEst - Bitume PhotoFest Norman Mommens
BLOG - 50/55 Vaffancool - Brodo di frutta Affreschi&Rinfreschi - Stanza 105 I Quaderni del senno di poi
EVENTI - 56/63 Versoterra - Open Dance Lecce Festival della Letteratura Conversazioni sul futuro / TedxLecce
Hanno collaborato a questo numero la redazione di BlogFoolk (Salvatore Esposito, Ciro de Rosa), Alessandra Magagnino, Giulia Maria Falzea, Lorenzo Madaro, Donpasta, Adelmo Monachese, Mauro Marino, Mino Pica, Francesco Cuna, Daniele De Luca, AnnaChiara Pennetta, Jenne Marasco, Matteo Tangolo, Lucio Lussi, Laura Rizzo In copertina Narcos Progetto grafico e impaginazione Mr. Scipione Stampa Colazzo Srl - Corigliano d’Otranto (Le) www.colazzo.it Chiuso in redazione. Davvero? Non ci credo!
SABATO 5 NOVEMBRE 2016 LECCE tedxlecce.it
H. 15.30
TEATRO POLITEAMA GRECO info e ticket: tedxlecce@gmail.com
EDITORIALE
VERSOTERRA Alla fine di dicembre vado a vedere il nuovo spettacolo dell’attore e regista leccese Mario Perrotta. Fresco del terzo Premio Ubu, l’Oscar del teatro italiano, per l’ambizioso progetto dedicato al pittore Antonio Ligabue, mentre è intento a smontare lo scarno allestimento del “Milite Ignoto” mi inizia a parlare della sua nuova idea. Un progetto sull’emigrazione e in particolare sulla storia di Lireta, una donna albanese dalla vita tumultuosa che più volte e in varie circostanze aveva affrontato il viaggio dall’Albania alle coste del Salento. Ad un certo punto mi dice che gli piacerebbe fare qui questa produzione, coinvolgere artisti, attori, danzatrici, musicisti pugliesi, i giovani richiedenti asilo politico che vivono nelle nostre strutture, mettere un palco in acqua da qualche parte per guardare in faccia i monti dell’Albania. E poi mi chiede. “Voi mi aiutereste?” Ci stringiamo la mano e iniziamo a lavorare. Durante le vacanze di Natale parte l’idea di “Versoterra - a chi viene dal mare” che andrà in scena tra Lecce, San Foca, Marittina di Diso, Porto Selvaggio dal 30 settembre al 2 ottobre. Oltre 100 persone coinvolte tra artisti e tecnici, un’organizzazione complessa, una quarantina di critici e giornalisti in arrivo per assistere agli spettacoli. Il tutto costruito attorno alle storie dei migranti. Nel 1991 avevo quattordici anni. Per la prima volta avevo visto la guerra (vera) in televisione mentre continuavo a giocare alla guerra (finta) ai videogiochi. Quell’anno, dopo la caduta del Muro di Berlino e il conseguente crollo del blocco comunista con la fine delle dittature in vari paesi dell’est, iniziò l’approdo disperato di migliaia di uomini e donne albanesi sulle coste della Pu-
glia. Forse in quel momento, noi che eravamo cresciuti ascoltando le terribili storie da “Mamma li turchi” e che sulle coste notavano le torri cinquecentesche e le torrette della Seconda Guerra Mondiale, ci iniziavamo a rendere conto che quella era una “invasione” pacifica frutto della disperazione. Il mondo è cambiato molto e le rotte sono mutate ma l’immigrazione continua ad essere argomento che divide e che svela ipocrisie, fondamentalismi, razzismi. Per la valenza artistica e simbolica del progetto, Coolclub ha scelto di essere tra gli organizzatori di Versoterra quindi vi aspettiamo dall’alba a mezzanotte per ascoltare le storie dirette da Mario Perrotta che vedranno in scena Paola Roscioli, Ippolito Chiarello, Claudio Prima, Maristella Martella e tanti altri artisti. Questo numero di ottobre (anche se esce con qualche giorno di anticipo) si apre con una lunga intervista a Luca Bandirali, esperto di serie tv e cinema, docente dell’Università del Salento e tra i conduttori della trasmissione “Hollywood Party”. Con lui parliamo del nuovo linguaggio delle serie tv e della rivoluzione che esse hanno portato anche sul grande schermo, di cinema, festival e molto altro. La copertina, per questo, è dedicata a Narcos, la serie incentrata sulla lotta delle autorità colombiane e statunitensi contro il cartello di Medellín e il narcotrafficante Pablo Escobar, protagonista anche di un film appena uscito in Italia anche grazie a un produttore pugliese. Come sempre poi troverete musica, libri, cinema, teatro, arte, eventi. Speriamo di tenervi compagnia anche questo mese. La prima data di scadenza del nuovo giornale (dieci numeri) si avvicina. E speriamo di andare avanti. (pila)
INTERVISTA
RIVOLUZIONE e NARRAZIONE Luca Bandirali, docente dell’Università del Salento e conduttore della trasmissione radiofonica Hollywood Party, ci parla di serie tv (da E.R. a Don Matteo), cinema, festival e molto altro
a cura di OSVALDO PILIEGO Per chi come noi resta legato alle forme di racconto classico (libri, dischi, il giornale che state sfogliando), il nuovo incuriosisce, genera domande. Inutile ormai parlare di rivoluzione digitale, termine addirittura desueto. Quello a cui assistiamo oggi è una nuova fase di compenetrazione dei media e di comunicazione tra di essi molto affascinante che mette lo spettatore consumatore in una nuova posizione. Da sempre l’uomo è affamato di storie, il modo e i tempi in cui ascoltarle, leggerle e vederle è cambiato. Quello che resta è la nostra necessità di trovare un senso nel circostante, la nostra necessità di capire la realtà. La sintesi perfetta tra i nuovi mezzi e il racconto del contemporaneo è oggi la serie tv, un format in cui convergono gli elementi fondanti della nuova comunicazione: la transmedialità e la narratività. Una dipendenza in alcuni casi che sintetizza cultura alta e bassa, intrattenimento e approfondimento, iso-
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lamento e socialità. Tutto ormai è storytelling, in questo flusso in cui tutto i contenuti debordano e ibridano i supporti, in questo nuovo dialogo tra tecnologie e forme di comunicazione abbiamo cercato di mettere un po’ di ordine grazie a Luca Bandirali, redattore della rivista di cultura cinematografica Segnocinema, conduttore di Hollywood Party (programma radiofonico) di Rai Radio 3 e da qualche anno docente dell’Università del Salento. Oggi è sempre più difficile parlare di televisione, paleo o neo-televisione nell’accezione di Umberto Eco. La nascita dei nuovi supporti che si sommano e in parte si sostituiscono alla tv stanno ridefinendo il ruolo “sociale” di questo strumento… Aldo Grasso, con un paragone efficace, ha parlato di “divorzio” fra televisione e televisore. La divaricazione tecnologica fra il prodotto che ancora chiamiamo televisivo e il relativo mezzo è ormai irreversibile. Stefano Cristante ha scritto, in un libro che si chiama “Media Philosophy”, che i media si interpretano filosoficamente anzitutto at-
traverso la loro costituzione tecnologica. In questo senso, lo scenario dei prodotti che continuiamo a chiamare televisivi è effettivamente molto cambiato. Soprattutto le nuove generazioni non guardano “la televisione”, ma consumano contenuti all’interno di un palinsesto che contribuiscono a costruire, su piattaforme come YouTube e su servizi streaming legali o illegali. Esiste ancora il televisore, ma in molti casi è diventato un monitor che si collega a un laptop per vedere una serie tv. Anche l’informazione televisiva si è riposizionata su diverse piattaforme, per cui in realtà gli eventi ai quali si assiste simultaneamente come pubblico-massa sono rimasti pochi, per esempio la partita di calcio. La televisione in senso tradizionale è invece un dispositivo che intercetta un pubblico di anziani, con alcune eccezioni come il telegiornale e i talent. L’obiettivo è comunque l’uomo, che sembra alla ricerca di nuove storie oppure di nuovi modi di vivere le storie. Va di moda oggi parlare di storytelling, un concetto così lontano e allo stesso tempo così moderno.
si tratta di una narrazione che si approssima all’estensione del romanzo, ma si giova della retorica cinematografica più matura, con un secolo di storia alle spalle. Non c’è dubbio che si tratti di una forma nuova e che si rinnova ad altissima velocità, tanto che al presente non si dovrebbe neanche parlare di serie “televisive”, perché la parte televisiva delle serie è un dato puramente contestuale: si tratta di storie seriali audiovisive, lo spettatore ne fruisce dove, come e quando vuole.
Certamente il concetto di storytelling viene da lontano, dal primo atto narrativo che è il mito. Aristotele ne ha dato una sistemazione teorica valida ancora oggi: una storia è “imitazione” di un’azione compiuta e intera, dotata di una certa grandezza. Oggi ragioniamo sullo storytelling associandolo a pratiche che prima non venivano considerate narrative, come l’informazione e in generale una quantità di atti comunicativi: anche una campagna elettorale è storytelling, cioè racconta una storia di quello che si farà per una città o per una nazione. L’avvento di Netflix e lo strabordare di format non cinematografici di altissima qualità sono un fenomeno interessante, a tratti inquietante. Mi riferisco alle serie-tv, che forse altro non sono che la trasposizione del romanzo a puntate, la messa in scena di un fumetto. Come ti spieghi questo fenomeno? Le serie tv hanno rappresentato, dagli anni ’90 in poi, un cambiamento strutturale nel panorama delle forme audiovisive. Molti osservatori, da Freccero a Sepinwall, usano proprio la parola “rivoluzione”. Certamente
Forse la gente ha bisogno di un linguaggio semplice, le immagini in movimento sembrano vincere su tutto (vedi anche i numeri di youtube). Però la letteratura, la narrativa di genere entra nelle serie. Produce quindi contenuti di qualità? I congegni narrativi della serialità sono tutt’altro che semplici. Le nuove generazioni hanno dimestichezza con storie molto complesse, anche prodotti per teenager come “Quantico” intersecano piani temporali e linee narrative discontinue. La letteratura di genere e il fumetto trovano nei media audiovisivi un punto di convergenza, per cui i personaggi di “Game of Thrones” e i personaggi Marvel esistono in tante forme: lo storytelling diventa, per usare un altro termine in voga, “transmediale”. Se per qualità intendiamo una tensione verso la sperimentazione e l’originalità, allora certamente i contenuti attuali del prodotto seriale sono di altissima qualità. C’è anche un avvicinamento, un approssimarsi al reale, un sorta di realismo (anche nella scelta dei soggetti da raccontare), un rapporto che pone lo spettatore in una nuova prospettiva… Se ci pensi, storicamente la fioritura delle nuove serie tv verso la metà degli anni ’90 coincide con il fallimento delle filosofie postmoderne che predicavano la fine delle narrazioni e il prevalere del puro “gioco” linguistico. Arrivano invece questi grandi racconti che fondano mondi narrativi dettagliati e ambiziosi, arrivano prima “X-Files” e poi “E.R.”, che è davvero in termini audiovisivi il manifesto del nuovo realismo, poi ratificato
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da filosofi come Maurizio Ferraris nel decennio successivo. Come dialoga secondo te tutto questo con il cinema? Quanto lo influenza? Quanto i due mondi si avvicinano, si compenetrano? Il cinema, in termini di retorica audiovisiva, è la premessa essenziale della serialità attuale. Non ci sarebbero stati “Breaking Bad” o “Lost” senza la storia del cinema americano, senza Peckinpah e Fuller, senza Milius o Boorman. Poi però la serialità va avanti e spezza i legami, e il cinema resta un po’ indietro. Oggi il cinema spettacolare è una macchina che produce eventi di massa sempre meno accattivanti, mentre il cinema d’autore vive di sprazzi vitali ma anche di un passato che non tornerà. Sempre restando in tema di cinema, se i numeri delle sale non sono incoraggianti, i festival sul tema invece proliferano. Resta comunque un’arte con il suo fascino e il suo tempio (il cinema appunto)? Oppure cosa? Il circuito dei festival tiene in vita solo il cinema d’autore, e il cinema d’autore tiene in vita solo il circuito dei festival. Il primo governo che si accorgesse dell’autoreferenzialità di questo meccanismo potrebbe staccare la spina: stiamo sempre parlando di denaro pubblico. Se invece si preferisce considerarlo, come faccio io, un meccanismo potenzialmente virtuoso, si dovrebbero
pensare i festival come luoghi di aggregazione di un pubblico nuovo, che può trovare nel festival e nelle forme autoriali un momento di riflessione e persino di didattica audiovisiva, coinvolgendo le università. Anche la situazione in Puglia da questo punto di vista è vivace, mi riferisco al cinema prodotto e alle manifestazioni. Cosa ne pensi? La situazione del Salento in particolare è letteralmente rigogliosa, con quattro festival importanti (Lecce, Acaya, Specchia e Otranto) che potrebbero, con una visione d’avanguardia, consorziarsi per costituire un festival “diffuso”, da aprile a settembre. Questa credo sia la sfida del prossimo futuro, i direttori attuali sono intelligenti e preparati per cogliere un’opportunità irripetibile. Per quanto concerne il cinema che si produce qui, va sottolineato il ruolo di Apulia Film Commission che è una realtà solida e forte come pochissime altre in Italia. Il cinema si fa dove si riesce a farlo, dove ci sono professionalità, location e risorse e AFC crea le condizioni adatte per fare il cinema qui, non è solo un fatto di sole, mare e barocco, come si potrebbe pensare superficialmente. C’è poi un cinema prodotto da artisti che fanno parte di questa realtà, e anche in questo caso rilevo una rimarchevole ricchezza. In particolare penso a Edoardo Winspeare, che ritengo il maggior cineasta
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italiano della sua generazione, quello che è arrivato più lontano, sviluppando la poetica più autentica: “In grazia di Dio” è un capolavoro proprio da studiare e attendo con ansia da fan il prossimo film che ha finito di girare e sta montando. Stimo molto il lavoro di Alessandro Valenti con e senza Winspeare, è un artista eclettico, da seguire sempre. C’è Davide Barletti e tutta la sua storia con Fluid Video Crew, e accanto ci sono giovani talenti come Mattia Epifani che ha realizzato uno dei film che ho più apprezzato quest’anno, “Il successore”. Ci sono bravi documentaristi militanti come Paolo Pisanelli, che è anche un direttore di festival e un operatore culturale; e artisti del videoclip come Mauro Russo, che ha uno stile fiammeggiante che potrebbe tranquillamente trasferire al cinema. Insomma, credo che al presente la vitalità del territorio a livello cinematografico abbia persino superato quella della scena musicale, di cui però mi sembra che si parli di più. Serie come Vynil o Roadies ,per parlare un po’ di musica, hanno influenzato il mercato, hanno lanciato un brand senza farlo esplicitamente, anche molte altre serie (Breaking Bad, Narcos) hanno lanciato o rilanciato artisti. È questo il futuro della “tv commerciale”? La musica nel cinema è stata importantissima; la musica nella serialità è ancora più importante, decisiva, oltre alle serie che hai
citato ci sono anche “Glee” e “The Empire”, e altre che stanno partendo ora, come “The Get Down” di Baz Luhrmann. Queste sono storie sulla musica, e persino il pubblico italiano, che al cinema non premia quasi mai i film musicali, mostra di gradire la proposta. Ma anche le serie che non parlano di musica hanno tantissima musica, i music consultants ormai sono figure centrali nella crew di una serie. Io quando guardo una serie ho sempre Shazam aperto, si scoprono delle gemme pazzesche: per dirne una, tempo fa guardavo un episodio di “Suits” e nel finale è partita una strumentale di Charles Bradley, “Dusty Blue”, e sono caduto dalla poltrona per quanto era bella. Cosa ne pensi infine delle serie italiane? Da una parte c’è ancora la vecchia fiction, che si spiega solamente in termini di residualità. Davanti al televisore a guardare “Don Matteo” ci sono persone anziane a cui evidentemente non sappiamo, non vogliamo dare altro. Dall’altra ci sono le nuove serie realizzate con sistemi produttivi avanzati e scritte da giovani autori che pensano in grande: “Romanzo criminale”, “Gomorra”, “1992”, “In Treatment” sono prodotti culturali che ci trasportano in un’altra dimensione estetica, più vicina alla contemporaneità di quanto non sia, paradossalmente, il paese reale nel suo complesso.
MUSICA
ALESSIO LEGA
“Album concerto” è il nuovo lavoro discografico del cantautore salentino che ci racconta anche l’esperienza del progetto “Bella Ciao” C’è il piacere della musica dal vivo e c’è uno scheletro in copertina. Ci sono amore, morte e anarchia, forza vigorosa e dolce nostalgia. C’è politica che si tinge di socialità, c’è passione che si veste di rabbia. Alessio Lega, anzi, “Sant’Alessio Lega protettore dei cantautori” (come dice Ascanio Celestini) è un vulcano in costante eruzione e, tra spettacoli dal vivo, collaborazioni e progetti di varia natura, racconta l’ultimo “Album concerto” registrato dal vivo, a Gambettola, insieme ai Malfattori (i fratelli Zamagna, Giusi Delvecchio e Guido Baldoni). Nove brani inediti e tante belle interpretazioni di capolavori di Bertolt Brecht, Matteo Salvatore, Ewan MaCcoll, Sergio Endrigo e Mikis Theodorakis. Qual è il cemento che tiene insieme i mattoni di un disco così corposo e toccante? Questo è un disco “live”, la registrazione di uno spettacolo, una fotografia fatta in pubblico del lavoro mio e dei musicisti che lavorano con me. Un’opera corale, dunque, dove oltre alla mia voce se ne sentono al-
meno altre tre, come quella stupenda della cantante lirica Giusi Delvecchio. È una sorta di “diario di viaggio cantato” dove portiamo le nostre canzoni e quelle nate lungo il percorso, ma anche i tesori trovati, i testi e le musiche che ci hanno dato ispirazione, con i quali, senza nessuna presunzione ma anche senza nessun complesso, ci confrontiamo. Non le “cover”, con le quali si pensa di attrarre l’attenzione del pubblico distratto, bensì i tesori nascosti della nostra piccola cosmogonia portatile. Diciassette canzoni in questo ultimo album, addirittura diciotto nel precedente. Una generosità e una loquacità che si ritrova pienamente anche nei live, nel rapporto diretto col pubblico. In un mondo sempre più avvezzo a comunicazioni lampo, cotte e mangiate nel giro di un “like”, quanto è ancora importante l’atto del raccontare, prendendosi senza fretta il tempo necessario a spiegare per bene i fatti? Purtroppo i “parlati” non hanno potuto trovare spazio nel disco, ma sono una parte
fondamentale del mio rapporto col pubblico, non per “spiegare” - visto che le canzoni si spiegano benissimo da sé - ma perché la parola è musica, è magia. La mia aspirazione è ripercorrere, in una forma moderna, filtrata dalla mia sensibilità, la strada degli antichi Cantastorie come Cicciu Busacca e Orazio Strano, dove il confine fra cantato e parlato si perdevano e ritrovavano continuamente nel filo della visualizzazione della ballata popolare. Non credo però che questo sia percepito come una bizzarria: il successo di straordinari artisti del Teatro di Narrazione, come Ascanio Celestini, mi ha insegnato che la vocazione narrativa non è solo uno stile, ma proprio una necessità intramontabile del pubblico. Il narratore si rivolge a ogni singola persona e non dà nulla per scontato, perché nella vita nulla lo è. La tua canzone d’autore si veste con estrema naturalezza di motivi politici e sociali. Nel panorama italiano tu sei uno dei “duri e puri”, tra i principali portabandiera di questo modo di intendere l’arte musicale. Perché questa grande tradizione italiana, così radicata fino a qualche anno fa, inizia a essere povera di protagonisti? Certamente una significativa parte del mio repertorio riguarda temi sociali, il lavoro e la guerra. Ma a me questo pare del tutto naturale. Sono gli autori che fanno solo canzoni cosiddette “d’amore” (che poi evidentemente son false, perché non ci si innamora quindici volte all’anno) che mi paiono dei “marziani” precipitati sulla terra e sordi a ogni sollecitazione che non sia quella di non dire cose “scomode”. A me, al contrario, pare che non si possa dire nulla di intelligente se non si dà fastidio a qualcuno. Nell’album spiccano alcune preghiere laiche come “Maria tortura”, “Maria tabacchina” e “Maria solitaria”. Senza addentrarci troppo nel campo (delicato) della religione, quale fascino riveste per te questo espediente narrativo? Ovviamente sono affascinato dalla ritualità perché ho un enorme interesse per la musica popolare e la cultura orale in generale. La sollecitazione delle tre “Ave Marie” è
però venuta da Ascanio Celestini, che per il suo ultimo film “Viva la sposa” m’aveva chiesto un brano. “Però dev’essere un’Ave Maria” m’ha detto. Ho risposto “Ascanio, ma sei sicuro di averla chiesta alla persona giusta? Io non mi ricordo manco quella canonica di Ave Maria”. “No, no, la voglio proprio come potresti scriverla tu”. Allora mi ci son messo sotto, e, man mano che scrivevo la prima, mi venivano altre idee e le appuntavo. Ho finito per scriverne tre. Una la potete sentire nel film, nel disco ho inserito anche le altre due. A metà disco c’è un brano, “Ciao bella”, che non può non portarci ad un altro importante progetto che ti vede protagonista insieme a Riccardo Tesi, Ginevra Di Marco, Elena Ledda, Lucilla Galeazzi, Andrea Salvadori, Gigi Biolcati e Franco Fabbri. All’inizio doveva essere un singolo concerto per ricordare i cinquant’anni del più importante spettacolo del folk italiano, poi si è trasformato in un tour e in un disco. Quanto è importante la memoria storica, quanto è fondamentale rimarcare i temi di “Bella ciao”? “Ciao Bella” è la riscrittura di una canzone d’autore spagnola, ispirata a un canto della rivoluzione del 1936 “Ay Carmela - El ejército del Ebro”, che io ho riadattato per il pubblico italiano riferendola a “Bella ciao”. Lo spettacolo e il disco “Bella ciao”, nati per celebrare il cinquantesimo anniversario (1964-2014) dello spettacolo celeberrimo e scandaloso del “Nuovo Canzoniere Italiano”, ci sono “esplosi” tra le mani: man mano che cantavamo ci rendevamo conto che non solo il pubblico apprezzava, ma che aveva “bisogno” di quelle canzoni, cantate in quella sequenza, suonate in quella maniera al contempo diversa e rispettosa. Nel 1964 quello era uno spettacolo che scandalizzava. Il rischio da evitare era che fosse “un’operazione nostalgia”, invece è diventata - al di là delle nostre più rosee aspettative - una sorta di chiamata collettiva alla centralità della fonte popolare e ai suoi temi nella nostra cultura, uno specchio che ci rimanda l’immagine di un passato nascosto, ma che è un potente ritorno all’idea di un futuro migliore. Matteo Tangolo
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LETIZIA ONORATI
“Black Shop” è il disco d’esordio della giovane cantante leccese. Prodotto dall’etichetta Dodicilune il cd è arrangiato dal pianista Paolo Di Sabatino
“Black Shop” è il disco d’esordio della giovane cantante leccese Letizia Onorati. Prodotto dall’etichetta Dodicilune nella collana editoriale Koinè, distribuito da Ird e negli store digitali, il disco sarà presentato ufficialmente sabato 1 ottobre (ore 21 – ingresso libero) al Teatro Paisiello di Lecce. Black Shop contiene tredici brani firmati tra gli altri da Duke Ellington, Chick Corea, Miles Davis, Thelonious Monk riproposti dal trio che coinvolge con la cantante anche il pianista Paolo di Sabatino (che ha curato gli arrangiamenti) e la violoncellista Giovanna Famulari. Il tour di presentazione del disco toccherà anche Bari (17 novembre - Kabuki) e Roma (25 novembre - Circolo dell’Antico Tiro a Volo). Raccontaci intanto qual è la tua formazione, perché hai iniziato a cantare e come mai ti sei appassionata al jazz. Sono nata in una famiglia di grandi appassionati di musica e probabilmente proprio per questo pare che io abbia cantato prima di imparare a parlare. Ho iniziato a studiare canto a sette anni con la maestra Elisabetta Guido a Lecce e con lei ho affrontato un intenso percorso di studio di canto moderno, soul/gospel e poi jazz che in realtà è sempre stato il mio filo conduttore. Ho seguito numerosi seminari in giro per l’Italia con grandi nomi del jazz come Roberta Gambarini, Bob Stoloff, Rachel Gould ed altri. Tra i momenti più significativi della mia formazione c’è l’incontro con Tiziana Ghiglioni che mi ha fatto crescere molto artisticamente e mi ha indirizzato nella realizzazione di questo cd. Il disco è arrangiato da Paolo Di Sabatino. Ci racconti il vostro incontro e com’è nata l’idea del progetto discografico? Il mio percorso musicale inizia anche con Paolo di Sabatino perché sin dai primi anni di studio ho partecipato alle sue coinvolgenti lezioni di musica di insieme organizzate dalla stessa Elisabetta Guido. L’idea del progetto si è alimentata negli anni fino a quando a luglio 2015, alla fine di una mia
esibizione con il maestro, proprio nella esecuzione di Sophisticated lady, presente anche nel CD, abbiamo iniziato a programmare i successivi passi. L’idea è così diventata una decisa volontà. Il cd è un viaggio sonoro che cronologicamente si svolge tra Softly as in a Morning Sunrise, un tema d’operetta datato 1928, e Black Shop, una canzone che Di Sabatino scrisse nel 2009 per Mario Biondi. Nel mezzo brani di Ellington, Corea, Davis, Monk. Come avete selezionati la scaletta? Qual è stato il vostro approccio? Anche a me piace definire questo progetto un viaggio sonoro perché questi standard sono alcuni di quelli che amo di più e rappresentano la mia storia artistica, il mio viaggio nel jazz. Ogni brano nasce con una personalità forte ed assume una nuova veste con gli arrangiamenti di Paolo di Sabatino e la mia interpretazione di questi capolavori. Tra l’altro avete scelto una formazione davvero minimale con piano e violoncello. Come mai? La formazione è stata definita con il maestro di Sabatino che fin da subito aveva immaginato gli arrangiamenti con la presenza di un violoncello, in modo particolare quello della bravissima Giovanna Famulari. Quali consideri i tuoi maestri/maestre? Ci sono musicisti e cantanti pugliesi con i quali ti piacerebbe collaborare? I miei maestri sono sicuramente i già citati Tiziana Ghiglioni, Paolo di Sabatino ed Elisabetta Guido. Sono numerosi gli artisti pugliesi con cui mi piacerebbe collaborare come ad esempio il sassofonista Roberto Ottaviano. Cosa ti piace ascoltare? Mi piace ascoltare di tutto, sono sempre curiosa di scoprire mondi nuovi ma sicuramente prediligo il jazz. Sin da piccola le note di Miles Davis, Duke Ellington o Thelonious Monk riescono a farmi sognare.
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ALLA BUA
Ventisei anni di storia e il nuovo album “Salenticidio” “Salenticidio” è l’ultimo progetto discografico degli Alla Bua, il gruppo salentino di musica popolare che festeggia ventisei anni di storia. Nel corso della loro lunga carriera centinaia di concerti in giro per l’Italia e l’Europa, collaborazioni importanti e tanti brani inediti. “Salenticidio”, che è anche arrivato nella rosa dei candidati al Premio Tenco nella categoria “Album in dialetto”, propone dieci canzoni incentrate soprattutto sull’importanza della tutela e della salvaguardia del Salento. Abbiamo parlato con Gigi Toma, voce e tamburello del gruppo completato da Fiore Maggiulli (voce e tamburello), Dario Marti (chitarra e voce), Irene Toma (voce e oboe), Michele Calogiuri (violino), Francesco Coluccia (fisarmonica) Salenticidio è il titolo dell’album. Chi ha ucciso il Salento? Il Salento è stato ucciso da diversi punti di vista. C’è una situazione ambientale pessima. La nostra provincia ha la più alta incidenza di tumori ai polmoni. Poi c’è la cosiddetta xylella con l’abbattimento degli ulivi. Non spetta agli Alla Bua denunciare i responsabili ma c’è una desertificazione gra-
ve della nostra terra. Il mare bellissimo, un ambiente fantastico e tutte le feste estive nascondono tanti problemi che sono colti pienamente soltanto da chi vivi il territorio 365 giorni all’anno. Un discorso a parte merita il turismo, che è diventato selvaggio e commerciale, e i danni al territorio cominciano a vedersi. Tutto questo, in realtà, ci scalfisce molto poco perché noi siamo abituati ad essere una terra di conquista e di passaggio. Ma adesso c’è una differenza di non poco conto rispetto al passato: i flussi di persone che la attraversano non lasciano nulla per arricchirla. C’è una possibilità di ripresa? Il Salento è malato ma non è in ginocchio. è necessario rialzarsi, adesso, ripartendo dalla propria indole e dalla nostra storia, per difendere la nostra terra dagli attacchi speculativi e di ogni genere. Cos’è quel rumore che nell’intro dell’album copre il canto e la musica? è il rumore della motosega che abbatte gli ulivi e con essi distrugge i paesaggi, la tradizione e la cultura della nostra terra. Un filo rosso collega l’intro del nostro album
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Quali sono gli ingredienti dell’album? L’album ripercorre appieno le caratteristiche della musica degli Alla Bua. I temi che ci stanno più a cuore sono il rispetto dell’ambiente e tutti i riferimenti, anche con alcuni doppi sensi, all’amore, elemento fondamentale della tradizione popolare salentina. In Terra Russa compaiono i termini folclore e tradizione. In che modo questi termini possono essere declinati nel Salento attuale? Non possiamo dimenticare la nostra cultura, le nostre origini e gli insegnamenti del passato, ma adesso siamo noi la tradizione e non possiamo più vivere di rendita. La musica è veicolo di evoluzione sociale, ed è necessaria l’evoluzione musicale quanto quella sociale. Ritieni utile tutto il lavoro che viene fatto in termini di ricerca e sperimentazione? Le sperimentazioni vanno benissimo se non superano i confini geografici. Noi, infatti, continuiamo a fare delle sonorità che hanno sempre un riferimento al tamburello salentino. Mi piace di meno quando il dialetto salentino viene usato con la musica balcanica. A proposito di evoluzione, che idea ti sei fatto della Notte della Taranta? Ormai è uno degli appuntamenti più importanti a livello europeo, quindi non oso discutere l’idea dell’evento e dell’organizzazione. Sono più discutibili, invece, le scelte musicali. Forse è giunto il momento che un artista salentino diventi il maestro concertatore. E poi c’è un’altra questione: in Salento ci sono tanti artisti della tradizione popolare con una folta discografia. Sarebbe opportuno, a mio avviso, musicare con la taranta anche le canzoni più recenti della tradizione salentina, non solo Kalinifta o gli altri classici del passato. Lucio Lussi
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con “La Tabaccara”, una canzone della tradizione popolare salentina, dove il suono viene gradatamente coperto dal rumore di una motosega.
INTO MY LIFE: NUOVO Cd PER GIACOMO RIGGI MAZZONE C’è un intenso e bellissimo libro di Natalia Levi Ginzurg a cui ho pensato leggendo le note che accompagnano “Into my life”, lavoro discografico di Giacomo Riggi Mazzone per la Workin Label di Irene Scardia. “Lessico famigliare” è il titolo, cercando ho trovato una interessante citazione: “Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti piú diversi della terra”. Questa la suggestione provata ascoltando alcune delle sette canzoni nella tracklist del disco. “Cose” personali, cantare e cantarsi, vezzo proprio di ogni autore, forse più frontale, più esplicito nella canzone che nella poesia dove - quand’è alta - l’Io è nascosto, con/fuso dietro le immagini evocate dalle parole. Quanto esercizio autoriflessivo, quanto sguardo, quanta condivisione per giungere alla sintesi, al distillato capace di comunicare, di muovere emozioni. Con la musica tutto diventa più “facile” e quella che tesse Giacomo è sottile e saggia nei rimandi e nelle citazione di genere. Una poesia personalissima raccolta come in una silloge in questo lavoro nel quale il vibrafonista e compositore si propone per la prima volta nella veste di cantante e autore. Un impasto di rimando psichedelico. La tensione e l’eco del senso dal testo scivolano in una fitta tessitura di suoni e di suggestioni: un tappeto sonoro dedicato alla parola per celebrare affetti, incontri, luoghi. Con Giacomo Riggi Mazzone i musicisti Gabrio Baldacci alla chitarra elettrica e baritona, Brian Vasquez alla chitarra elettrica e Jacobo Alvarez alla batteria.
Mauro Marino
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TRIGONO Il progetto vede insieme il contrabbassista Marco Bardoscia, la pianista Rita Marcotulli e il Quartetto d’archi Alborada Dalla collaborazione tra la pianista Rita Marcotulli, il contrabbassista Marco Bardoscia e il Quartetto Alborada - costituito da Anton Berovski (violino), Sonia Peana (violino), Nico Ciricugno (viola), Piero Salvatori (violoncello) - nasce “Trigono” (Tuk Musik). Il disco propone tredici brani che portano la firma di William Henry Monk, Henry Francis Lyte, Piero Salvatori, Rita Marcotulli, Paolo Fresu, Marco Bardoscia, Richie Beirach e Nico Ciricugno. Tra gli ospiti Maria Pia De Vito (voce in “I’m a dreamer”), Nguyen Le (chitarra in “Andrea’s milonga”) e Paolo Fresu (pianoforte e claps in “Andrea’s milonga”). Per parlare al meglio del disco abbiamo fatto qualche domanda al salentino Bardoscia, alla pianista romana Marcotulli e alla violinista Peana. Com’è nato l’album? E perché “Trigono”? M.B. - Era uno dei miei sogni lavorare con un quartetto d’archi e l’idea è nata una sera a cena con Sonia Peana di Alborada. Il Trigono in astrologia è un aspetto armonico, favorevole alla fusione di due (o più) elementi. Indica un’integrazione positiva delle varie
parti anche se distanti tra loro come caratteristiche o addirittura contrastanti. Al pianoforte interviene anche Paolo Fresu. Qual è stato l’apporto del jazzista sardo? M.B. - Paolo è stato fondamentale. Pochi lo conoscono come produttore ed essere umano. Nel processo creativo/produttivo è stato una guida esterna molto lucida e discreta lasciando a tutti noi molta libertà e direzionando la musica con naturalezza. La Tuk Music è una delle poche realtà italiane che investe sui giovani musicisti e sulla “musica d’arte”. Il rigore del quartetto classico di archi si mischia con il jazz contemporaneo, costruendo linee stilistiche che rappresentano una sperimentazione originale ed esemplare. Come continuare lungo la strada della ricerca musicale? M.B. - L’idea era di mettere insieme mondi apparentemente lontani come la musica colta, il jazz e la forma canzone. E poi sintetizzare un linguaggio jazz squisitamente europeo meno muscolare e intriso della
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Rita Marcotulli
grande tradizione colta senza però restarne prigionieri. Molte sono le declinazioni di questo tema che si possono affrontare in futuro. “I’m a Dreamer” è uno dei pezzi migliori dell’album, arricchito da un fantastico connubio sonoro di archi e contrabbasso. Cosa ha significato lavorare con Maria Pia De Vito? M.B. - I’m a dreamer è la prima canzone interamente scritta da me (musica e testo). Maria Pia è stata molto felice di interpretare il pezzo e partecipare alla stesura definitiva del testo. Il pezzo si divide in due parti, la prima è quasi un recitativo a tempo libero in duo piano e voce. La seconda è una lunga coda per cui ho scritto su un ciclo di cinque misure una tessitura per un doppio quartetto d’archi sovrainciso con l’aggiunta del contrabbasso (nove voci reali quindi) che fa da sfondo alla libera improvvisazione di piano e voce. La tua vita artistica e professionale si divide tra Bruxelles e il Salento. Come cambia la vita di un contrabbassista lungo questa
tratta? M.B. - Sono realtà molto diverse per clima, posizione geografica, numero di posti dove suonare, cose da fare, vedere e sentire. Negli anni ho imparato ad apprezzare i lati positivi di entrambi i luoghi. La vita di un contrabbassista ma soprattutto quella di un uomo cambia in relazione al fatto che i punti di vista sono almeno due (se non di più), questo vuol dire, a mio avviso, che allargare la propria visuale, imparare nuove lingue ed entrare in contatto con altre culture può solo fare bene, senza contare che grazie a tutto questo girovagare ho scoperto il mio significato di casa. A che punto è il livello di sperimentazione in Belgio? M.B. - è molto alto. Del resto, se vuoi fare il musicista lo stato ti aiuta. Quando non ci sono ingaggi c’è un vitalizio che permette di continuare a lavorare con serenità senza dover per forza accettare lavori remunerativi ma di basso livello artistico. Puoi immaginare quanto un sistema del genere, salvo gli imbroglioni che esistono anche in Belgio,
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Marco Bardoscia
alzi il livello artistico. Quali emozioni sono venute fuori durante la preparazione dell’album? R. M. - Ogni volta che si condivide e si concepisce una nuova storia con le note c’è una sorta di curiosità, di eccitazione. La musica si fa soprattutto con le persone con cui condividi emozioni, come dei bambini che si incontrano e non vedono l’ora di giocare insieme. E l’idea di suonare con un quartetto d’archi mi è piaciuta subito. Qual è la sua sensibilità in Trigono? R. M. - Quando si suona insieme avviene una comunicazione inconscia di scambio emozionale. Una pittura a tre mani dove ognuno di noi delinea un colore. Quali sono le potenzialità del jazz italiano? R. M. - Il jazz italiano ha avuto negli ultimi anni un fortissimo incremento di giovani e musicisti talentuosi, questo grazie anche all’inserimento di cattedre di jazz nei conservatori e nelle scuole private. Forse il jazz italiano predilige la melodia, ma si sente forte la necessità di ricercare nuove sonorità. La musica è suono, ritmo e armonia. Questa musica che ha la caratteristica dell’improvvisazione continua a contaminarsi nelle corse del tempo, perchè la musica è un modo per esprimere soprattutto emozioni e non solo un esercizio di stile. Qual è il suo legame con la Puglia e il Salento in particolare? R. M. - è una regione che amo, per la natura, il mare, i trulli, il cibo, e le perone! E poi
c’è anche tutto il movimento culturale che si è creato grazie ad alcune politiche molto valide. Cosa prevede il futuro artistico di Rita Marcotulli? Una vecchia idea sulla pittura di Caravaggio. Si tratta di un concerto multimediale che coinvolge, tra gli altri, Stefano Benni, Marco Dentici e Michel Rabbia. E poi c’è un nuovo lavoro che è nato a Berchidda con il leggendario percussionista Mino Cilenu. Un quartetto d’archi e il jazz. Dall’astrologia alla musica. Qual è il ruolo di Alborada in Trigono? S. P. - è evidente la personalità rilevante del quartetto d’archi in un progetto in cui le musiche sono composte da tutti i musicisti e la condivisione è l’elemento determinante. Spero che traspaia questo ruolo diverso, che non è né di sottofondo o di tappeto sonoro, in particolare nelle improvvisazioni e nei brani musicali originali. Che tipo di incontro è stato con le personalità di Marco Bardoscia e Rita Marcotulli? S. P. Conoscevo già Marco e sono stata proprio io, dopo aver sentito le sue composizioni (una in particolare: “Ninna nanna per la piccola Sara”) a proporre un progetto insieme. Allo stesso modo, da tempo, rincorrevo il sogno di lavorare con Rita. Questi due desideri si sono esauditi in un incontro comune e felice. La grande ammirazione e la stima alimentano il desiderio di suonare più spesso insieme, cosa non facile di questi tempi... Lucio Lussi
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ROBERTA CARRIERI
La cantautrice barese ha scritto dodici canzoni su commissione, tutte da scoprire
Ha occhi grandi, stile da pin-up, rossetto rosso di ordinanza, solcato da un piercing, fare da duro e cuore di panna. Nelle mail si firma Bob, ma lei è Roberta Carrieri. “Canzoni su commissione” (Adesiva Discografica, Self) è il suo terzo lavoro discografico. “Canzoni su commissione” è il titolo, ma anche l’essenza, il nucleo, la materia. Ci spieghi come è nato questo progetto e perché? Questo disco nasce dalla mia amicizia con Leonardo Coen, giornalista e scrittore. Una sera, mentre eravamo per le vie di Milano, alla scoperta dei luoghi della “mala milanese” (lui è la mia guida ai segreti di questa città), io raccontavo di come da Bari sono arrivata qui e lui mi ha detto: «Perchè non ne scrivi una canzone?». Il giorno dopo ho scritto di getto “Innamorata a Milano” e mi sono accorta che questo giochino creativo mi divertiva molto, perciò ho chiesto ad amici e conoscenti, particolarmente comunicativi, di darmi i temi per altre canzoni. Ne ho scritte tantissime e poi ne ho scelte dodici per il disco. La sfida è bella: raccontarsi o raccontare storie attraverso suggestioni, richieste da amici. Quanto c’è di te in queste storie e quanto c’è dei tuoi amici. E, come per un quadro, o un ritratto: hai mai temuto che il prodotto potesse deludere le aspettative, in questo gioco di rimbalzi? Ad essere sincera non ho mai temuto di deludere le aspettative perché l’ho presa come un gioco e, quando si gioca, si va senza giudizio, come in un’improvvisazione. Ero sicura che anche loro si sarebbero divertiti ed emozionati, come stava succedendo a me. E cosi è stato, e poi alla fine le canzoni sono piaciute a tutti e ne sono stata contenta. In questo disco c’è molto di me, mi piace mescolare le storie e i vissuti svolazzando tra fantasia e verità, tra il mio e il tuo. Lo faccio spesso. La vita delle canzoni è sempre fatta di aneddoti. Il dietro le quinte è fondamentale per apprezzare la fattura di un disco. Svelaci un dettaglio divertente e uno imperfetto del making of. Il mio produttore, Paolo Lafelice, ride molto perché in studio di registrazione mi porto la magliettina da lavoro, tipo pigiamino (sudo
mentre suono) e quando mi tolgo le scarpe coi tacchi in sala di ripresa, per star comoda a fare le voci, sparisco dalla sua visuale dietro al mixer perché perdo dieci cm e sono bassina e sembra che io sia andata via. Paolo è una persona preziosa non solo per la sua abilità come produttore e fonico ma anche per la sua umanità. Durante il lavoro mi ha fatto anche da psicologo e da saggio consigliere, un vero “psicoproduttore”. A me piace l’imperfezione, perciò se c’è stato qualcosa di imperfetto non me ne sono accorta perché ne stavo godendo. Il disco è pieno di colori, di sonorità, di tempi dispari. Persino di un supereroe che piange per “una foglia nel vento”. Una sorta di voglia di andare contro per forza, salvo poi ritrovarci tutti nello stesso calderone della fragilità… “Batman”, la canzone di cui parli, ha un tempo irregolare; mi è venuta così forse per l’assidua frequentazione della musica greca, mia antica e viva passione. L’amico Alberto Pugnetti mi aveva chiesto di scrivere un pezzo sulla vergogna di mostrarsi mentre si piange. L’ho scritto durante un viaggio nel quale mi sono ritrovata a difendere un profugo albanese da due signori razzisti e aggressivi che poi se la sono presa con me in maniera violenta e gratuita. Durante il lungo viaggio in pullman, per la rabbia impotente, avevo pianto in silenzio cercando di non farmi vedere da nessuno, ma il profugo se n’è accorto e mi ha detto, con un sussurro: «non piangere...»; mi ha fatta sentire un super eroe. Chi è, oggi, Roberta Carrieri? E la sua vita da cantautrice, raccontata nell’ultima traccia, fa davvero rima con felice? Roberta Carrieri oggi è una cantautrice che cresce, perciò felice. È appena uscito il disco nuovo e già ho voglia di scrivere altre canzoni. Mi sto, tra l’altro, cimentando con una nuova arte, quella del ventriloquismo. Ultimamente giro per concerti con un pupazzo parlante, un coniglio rosa dal nome Jessica, che mi accompagna nelle mille avventure di questa “Vita da cantautrice” e mi fa anche da merchandiser. Se mi seguite su Facebook vedrete che ogni tanto pubblico un video della simpatica coniglietta. Laura Rizzo
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JOHNNY CLARKE
Il cantante e musicista giamaicano per la prima volta nel Salento Grande protagonista della roots music jamaicana degli anni ‘70, Johnny Clarke è autore di alcune tra le hit che ancora oggi risuonano nelle yard di tutto il mondo come “None Shall Escape the Judgement”, “Blooda dunza”, “Up Park Camp”, “Declaration of rights, “Creation rebel”, “Dread a dread” e tante altre. Negli anni ‘80 si trasferì a Londra e venne in contatto con la scena dub e UK roots ed intraprese collaborazioni con produttori del calibro di Mad Professor, King Tubby, Errol Thompson e Prince Jammy. Johnny Clarke si è esibito per la prima volta nel Salento lo scorso 23 luglio presso il “Mercatino delle Arti e delle Etnie” di Lecce in un live set sul Ghetto Child sound system organizzato da “Axum Empire” l’associazione rastafari che da qualche mese sta provando ad animare il capolugo salentino sotto l’egida del Leone di Giuda. Sei finalmente approdato nel Salento dopo aver girato il mondo ed aver visto il Reggae esprimersi a latidudini e in modi
completamente differenti. Si, è vero, anche se la gente che fa reggae è dovunque accomunata dalla stessa energia. Anche se magari si tratta di musicisti di strada, nascosti in qualche angolo di qualche metropoli a suonare, è comunque gente che pensa positivo, che trova utile elevarsi attraverso questa musica, perchè tramite essa estrae i veri principi della vita. A proposito, cosa ne pensi dell’attuale situazione politica internazionale, tra terrorismo, clima di incertezza e nuovo razzismo? Ti dico che questo è uno dei motivi per i quali io adoro Jah Rastafari, adoro la Reggae Music. Perché penso che quando c’è gente che si sente superiore e vuole imporre questa superiorità, poi chi sta sotto a un certo punto si stanca di questa condizione e si chiede cosa si possa fare, cosa si debba fare per sopravvivere, per smettere di avere fame, per avere una vita migliore. Di conseguenza ci sono gli eccessi, c’è gente che si fa esplodere, che subisce influenze negative
a causa della disperazione. Quando non c’è uguaglianza è tutto sbagliato: ad esempio chi possiede una bella e costosa macchina sa di essere differente da tutti gli altri e non gli interessa cambiare le cose, anzi, probabilmente è lui stesso che sa di muovere i fili del mondo, magari dando lavoro a chi sta sotto e tenendoli oppressi dal suo giogo. E così è più facile per loro far credere alla gente come voi che quello sia il giusto esempio da seguire, che loro fanno del bene alla gente e per questo meritano di essere circondati dalla prosperità e dalla felicità. Ma in realtà l’unica cosa che sanno fare è spremere e opprimere la povera gente e circondarsi di felicità materiali. Sono persone dalla doppia faccia, che davanti sono in un modo e dietro in un altro. Invece se io sono ora di fronte a te e sono in un modo, sta’ sicuro che domani quando non ci sarai io sarò allo stesso modo. Il tuo arrivo nel Salento è stato voluto proprio nel 124° anniversario della nascita di Haile Selassie. Al giorno d’oggi, il messaggio di Rastafari può essere ricondotto anche a persone che hanno poco a che vedere con la religione o con la spiritualità in genere? Certamente bisogna prendere atto che, rispetto a diversi anni fa, quando io fui coinvolto nel Rastafarianesimo, ci sono molte più persone nel mondo che vivono come Rasta, ogni anno che passa il Rasatafarianesimo aumenta la sua popolarità, diventa globale. Ma prima d’ora i Rasta non erano che una minoranza. Adesso molti hanno abbracciato questa fede come la retta via e si dedicano ai principi, ad esempio dal punto di vista alimentare, dello stile di vita, eccetera, capisci cosa intendo? Molta di questa gente, però, non usa classificarsi come “Rasta” pur vivendo la propria vita secondo i principi del Rastafarianesimo, senza essere religiosamente coinvolti. A volte questo accade anche perchè i Rasta sono considerati fuorilegge, perseguiti, come succedeva fino a pochi anni fa anche in Jamaica, dove le posizioni sociali più alte come giudici, dottori o avvocati erano negate ai Rasta o ai Bobo Ashanti.
Hai cantato e ti sei esibito in tutti i generi del Reggae, dal rocksteady fino allo stepper, passando per l’early Reggae, il Dj Style, il Roots e molti altri. Ma c’è un genere di questi in particolare su cui preferisci esprimerti? Direi di no, tutti i generi che ho fatto mi sono piaciuti, anche se sussiste una differenza tecnologica. Anni fa, in quelli che io chiamo “tempi d’oro”, avevamo solo quattro tracce, la sperimentazione era piuttosto limitata. Non avevamo internet, non avevamo cd, non avevamo multitraccia, se ti serviva una particolare armonia dovevi chiamare qualcuno che la sapesse fare. La tecnologia oggi ti dà la possibilità di lavorare su molte tracce, dandoti la libertà di sperimentare. E ti piace questo nuovo modo di fare musica? Beh le cose sono cambiate, adesso si può fare molto di più. Il concetto di stile è molto più allargato, così come le melodie, le armonie e le possibilità di fare una canzone. All’epoca la capacità di avere una vibe diversa era deputata alla possibilità di avere differenti strumenti oltre alla drum&bass, e successivamente alla possibilità di mixare il tutto. Ora c’è molta più libertà di espressione, c’è più spazio per la fantasia: più strade hai, più sei libero. Ci sono molti più produttori e molte più produzioni e anche il mio stile è più stimolato da tutto questo. Voglio dire, prima tutti questi stimoli erano dati dalle tante persone presenti durante la registrazione: se ero in studio con King Tubby, era molto probabile che dopo una performance lui mi chiedesse “Johnny, fammela così dai”. E questo avveniva in studio. Adesso invece sono solo a casa mia con le basi che mi inviano chiedendomi “Johnny, canta su questa traccia”, come magari accade con Ariwa di Mad Professor. Tracce, armonie, libertà, libertà di espressione, come nel mio ultimo album. a cura di R&D VIBES trasmissione di cultura e musica roots & dub
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Motta - vincitore PIMI 2016
A FAENZA TORNA IL MEI Il patron Giordano Sangiorgi ci racconta tutte le novità del Meeting delle Etichette Dal 23 al 25 settembre in programma a Faenza il #NuovoMei2016. Il Meeting delle Etichette Indipendenti riparte con una novità: un meeting sul giornalismo musicale, un evento mai realizzato in Italia, ideato da Giordano Sangiorgi e che si avvale del coordinamento di Enrico Deregibus. Assieme all’edizione zero di questo incontro anche tante conferme, quindi spazio alla nuova musica emergente e ancora eventi dedicati a Lucio Battisti, concerti, mostre fotografiche e molto altro. A raccontarci l’edizione 2016 e a discutere con noi delle prospettive future della musica in Italia e delle inedite sfide che aspettano gli addetti ai lavori, proprio Giordano Sangiorgi, patron del MEI. Il #NuovoMei2016 sarà come sempre vetrina della nuova musica emergente. Quest’anno, però, il Meeting introduce un’importante novità: Gli Stati Generali del Giornalismo Musicale, un vero e proprio grande forum sulla stampa musicale... Il MEI ha sempre scelto la formula dell’inno-
vazione: è stato il primo a mettere al centro di una kermesse il cd indipendente, il primo a pensare di premiare la qualità delle produzioni indie aprendo anche ai videoclip fino ad allora scarsamente considerati dal punto di vista artistico. È stato anche il primo a introdurre gli eventi musicali con convegni e confronti accesissimi; il primo a puntare sulla vetrina live con centinaia di band e, infine, per primo si è aperto alle nuove realtà social. Quest’anno invece di chiamare i giornalisti a visitare il festival, ribaltiamo il festival stesso mettendo al centro per due giorni i redattori musicali. Intendiamo in questo modo da un lato riaffermare la dignità che meritano - al pari dei giornalisti che si occupano di politica, per dire -, dall’altro intendiamo fare emergere un dibattito sul futuro della musica in Italia e dell’informazione musicale tra carta, radio, tv e online. Restando in tema di nuovi media e inedite opportunità offerte dalla Rete, in che modo pensi, invece, i musicisti debbano gestire la
promozione e creazione di musica nel 2016? Canali come YouTube o piattaforme come Spotify ridefiniscono anche il ruolo del musicista... Se pensiamo, poi, all’evoluzione del prodotto discografico e della promozione dei musicisti, possiamo affermare che il live è tornato ad avere un ruolo centrale. Sei d’accordo? Temo che per le giovani generazioni digitali under 20 la centralità non sia più il cd e purtroppo neanche più il live. Oggi diffusione, distribuzione e consumo della musica avvengono online. È lì che gli indipendenti e gli emergenti devono fare battaglie per conquistare spazi, assieme ad azioni di informazione efficaci. Chi sceglie, quindi, di produrre dischi fisici oggi? Oltre alle produzioni major che vendono su scala mondiale, certamente i big italiani e i volti che escono dai talent. Per quanto riguarda il mercato indipendente, invece, sceglie di produrre dischi chi vende cd e vinili durante i concerti e poi chi riesce a fare stampare una tiratura minima attraverso il crowdfunding. Si tratta in questi casi sempre più di feticci per i fan e sempre meno di un vero mercato. Quanto conta invece la dimensione degli spettacoli dal vivo e dei festival musicali? A Faenza premierete anche la rassegna pugliese Cellamare Music Festival... Per quanto riguarda gli artisti della scena indipendente ed emergente, la dimensione live complessivamente sta conoscendo una flessione di pubblico che va assolutamente contrastata. Alcune azioni utili ed urgenti per mantenere vivo il circuito live passano attraverso il sostegno di circoli, club e festival che operano come produttori culturali, facilitando con sgravi burocratici e forte scontistica il pagamento del diritto d’autore. Quanto al Cellamare, beh, è stata una straordinaria campagna partita da un fake e diventato alla fine, grazie al lavoro di tantissimi, un vero e proprio festival dalla forte identità musicale innovativa pugliese. Meritano eccome un premio, e anche di più. Sugli scenari futuri, un altro interessante dibattito resta quello sui diritti d’autore nell’era digitale e, in generale, sull’entrata in scena
di soggetti nuovi come Soundreef. Cosa pensi a riguardo? Penso che ogni innovazione qui sia indispensabile e che serva la digitalizzazione per pagare fino all’ultimo euro a ogni avente diritto. Ritengo però che la musica faccia parte del patrimonio culturale di un paese, un patrimonio che non deve essere privatizzato e lasciato in mano solo ed esclusivamente a società di privati che pensano a fare business; cosa legittima, ma solo business. Ciò significa che si rischia di tralasciare la tutela dei più deboli che non rendono economicamente, come i giovani artisti emergenti e le arti minori come la letteratura, la fotografia, la scultura, la danza, che non rendono quasi nulla. Sono favorevole a società pubblico-private che siano controllate dal pubblico, che siano agili, dinamiche, efficienti, trasparenti e digitalizzate al massimo, ma che abbiano come prima mission la tutela del patrimonio culturale musicale e credo al sostegno con supporti economici alle giovani realtà per il futuro della cultura del Paese. Passiamo nel dettaglio al #NuovoMei2016. Quest’anno il Meeting ospiterà eventi dedicati a Lucio Battisti, concerti, mostre fotografiche e molto altro. Ci fai una panoramica veloce su quello che accadrà dal 23 al 25 settembre? Daniele Silvestri, Motta, Calcutta, Omar Pedrini, Extraliscio con Mirco Mariani, capo orchestra di Vinicio Capossela, Moreno Il Biondo, Finaz della Bandabardò, Voina Hen, Leo Pari, Landlord, Iacampo, Mirko Casadei con i Khorakhanè, Boo-Hoos, Avvoltoi, Folkabbestia, Collettivo Ginsberg, Daniele Celona, La Municipal, Landlord, Chiara Dello Iacovo, Iacampo, Emidio Clementi, Ghali, Dulcamara; tra gli ospiti speciali da segnalare i reading imperdibili di Guido Catalano e Lercio e poi tanti altri ancora. Il MEI ospiterà tantissimi artisti interessanti. Insieme a loro oltre 100 band giovani emergenti provenienti dai contest di tutta Italia della Rete dei Festival e progetti come il rinnovamento del Liscio, le premiazioni del PIVI e del PIMI, il premio band emergente dell’anno ai Voina Hen, la proiezione di Rotte Indipendenti, le quattro puntate sulla scena indie andate in onda per il MEI dei 20 anni su Sky Arte e tantissimo altro.
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Questa scelta segnala, credo, la volontà di valorizzare la tradizione musicale e culturale romagnola e di rimarcare un legame con il territorio... È una proposta che mi sembra emergere da tutti i territori: in risposta al mainstream globale e tutto uguale, gli artisti indipendenti rispolverano la loro migliore tradizione locale per riproporla attualizzata ai giovani. Penso a tante regioni e a tante zone dove sta avvenendo e noi siamo certamente tra i propulsori. Anche quest’anno il MEI assegna il PIMI, premio all’artista indipendente dell’anno, e il PIVI, riconoscimento al miglior videoclip indipendente. Le targhe sono andate rispettivamente a Motta e a Calcutta. Cosa pensi del lavoro che questi artisti hanno svolto fino a qui? Hanno entrambi rinnovato profondamente. Motta lo ha fatto con grande qualità nell’area indie rock alternativa che aveva bisogno di freschezza e profondità insieme. Calcutta, invece, ha saputo rinnovare il polveroso mondo pop: ha permesso di indicare una strada per il pop intelligente rispetto alla melassa industriale del pop da talent tutto uguale. Francesco Lettieri poi è uno dei migliori registi di videoclip italiani e ha tutte le caratteristiche per diventare un grande film-maker della nuova generazione. Chiara Melendugno
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Il #NuovoMei2016 si aprirà tra l’altro con un convegno sul Futuro del Liscio e la presentazione del progetto Extraliscio. Di cosa si tratta? Del boom avuto dall’incontro tra le orchestre della tradizione del folklore romagnolo e gli artisti indipendenti che abbiamo ospitato alla Notte del Liscio, svoltasi quest’estate in oltre 30 Comuni in Romagna, che ha ottenuto uno straordinario successo. Extraliscio è il nuovo Punk Da Balera, il Liscio Indipendente, il Liscio 2.0 che incontra il mondo di Mirco Mariani dei Saluti da Saturno e dell’orchestra di Vinicio Capossela con Moreno Il Biondo e Mauro Ferrara del Grande Evento. Un mix unico che sta furoreggiando in Romagna e in Italia.
TUTTI I VINCITORI DELLE TARGHE TENCO Niccolò Fabi, Motta, Peppe Voltarelli, Claudia Crabuzza, James Senese & Napoli Centrale, Francesco Di Giacomo e Paolo Sentinelli con Elio e le Storie Tese sono i vincitori delle Targhe Tenco 2016, il riconoscimento più autorevole della musica italiana. Quest’anno nessun artista e band pugliese era tra i finalisti. Le Targhe sono assegnate da una giuria composta da oltre 230 giornalisti che ha selezionato i cinque finalisti per ogni categoria scegliendo tra una rosa di candidati che comprendeva anche Mino De Santis, Nidi D’Arac, Alla Bua, Pizzicati Int’Allù Core, Radicanto, Raffaele Vasquez, Alessio Lega e I Malfattori ed Erica Mou. Le targhe saranno consegnate dal 20 al 22 ottobre durante la quarantesima edizione della manifestazione in programma al Teatro Ariston di Sanremo che ospiterà, tra gli altri, Bombino, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, il duo Enzo Avitabile & Amal Murkus, e Giacomo Sferlazzo. Info www.premiotenco.it
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Paolo Del Vitto
LA RIVOLTA RECORDS COMPIE 5 ANNI E FESTEGGIA CON UNA RACCOLTA La Rivolta Records, l’etichetta salentina guidata dal batterista e produttore Paolo Del Vitto, compie cinque anni. Per festeggiare questo evento, da metà ottobre sarà disponibile la compilation “Five Years”. Diciannove singoli editi dal 2011 ad oggi di alcune delle band che in questi anni sono entrate nel catalogo o hanno collaborato con questa vera e propria factory che comprende anche i Laboratori Musicali (sale prove, sale di incisione, scuola di musica, spazio eventi, una webradio) e un folto gruppo di professionisti del settore musicale (grafici, fotografi, artisti, musicisti). In scaletta Playontape, The Metropolitans, My Secret Windows, Le Carte, Sofia Brunetta, Pellegrino, Fonokit feat. Caparezza, I Misteri del Sonno, Nu-Shu, Teenage Riot, La Gente, The Clipper, Mutante feat. Carmine Tundo, La Municipàl, IFad, Bundamove, Heidi for president. «La Rivolta Records sono i nuovi suoni, i nuovi rumori. Le Rivolte portano novità e cambiamento, a volte non portano nulla ma fanno gran rumore», sottolinea Paolo Del Vitto. «Lontano da profonde analisi di mercato in un periodo di crisi anche per le grandi major internazionali intraprendere e avviare un’avventura discografica per noi non è stata e continua a non essre una scelta avventata. Abbiamo tempo per fallire e tentare di nuovo, ogni generazione deve avere la sua voce e non nascondersi nell’ombra della precedente». Nel corso di questi anni l’etichetta ha anche organizzato varie edizioni de “La notte della Rivolta” per proporre “live” e in vari contesti la musica di una generazione lontana dalle mode musicali del Salento.
IL TALOS FESTIVAL DI RUVO DI PUGLIA SALTA UN’EDIZIONE Si terrà durante l’estate 2017 la prossima edizione del Talos Festival di Ruvo di Puglia. L’annuncio è arrivato nel corso di una conferenza stampa durante la quale il sindaco Pasquale Chieco, l’assessora alla cultura Monica Filograno e il direttore artistico Pino Minafra hanno illustrato le prospettive future del festival conosciuto e apprezzato a livello nazionale e internazionale. L’amministrazione comunale - insediata da pochi mesi - ha deciso, infatti, di fermare per il 2016 la cadenza annuale del Talos e di mettersi immediatamente al lavoro sulla prossima edizione. Dal 2012 il Festival è tornato alla sua dimensione originale, ritrovando nella direzione artistica del suo ideatore, il trombettista e compositore Pino Minafra, la forza progettuale e la qualità artistica che per nove edizioni dal 1993 al 2000 e poi nel 2004 - lo hanno reso un festival di riferimento nel panorama europeo.
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Una scena tratta dal film Amara
AGOSTO NEL SALENTO
Breve resoconto di una vacanza trascorsa tra musica, eventi, Taranta e tradizioni popolari Fare un resoconto di ciò che abbiamo visto dal vivo in Salento nella seconda parte del mese di agosto non può prescindere da una riflessione che inevitabilmente prenda le mosse da La Notte della Taranta. Analizzando, infatti, questo festival nella sua complessità spesso si tende a sottovalutare come, negli anni, abbia rappresentato un fondamentale elemento di stimolo per la scena culturale salentina, diffondendo un humus di sana concorrenzialità che ha generato un progressivo aumento di rassegne, festival ed eventi culturali, che ogni sera compongono un immenso cartellone di eventi, da imbarazzo della scelta per chi non ha voglia di seguire le affollate tappe della ragnatela del Festival Itinerante de La Notte della Taranta. Certo le proposte sono assolutamente variegate, spaziando nella stessa sera dalle sagre paesane con la pizzica pizzica a buon mercato sparata sui palchi, a concerti di grande spessore artistico fino a toccare convegni di approfondimento
scientifico. Insomma, alla Notte della Taranta va almeno riconosciuto in questo senso il ruolo di involontaria forza propulsiva, con buona pace di chi non ha mai risparmiato “mazzata pesanti” a torto o a ragione. Il nostro originale itinerario attraverso le serate salentine si è aperto il 16 agosto a Trepuzzi con l’appuntamento conclusivo del festival Bande A Sud, giunto quest’anno alla sua quinta edizione proponendo un ricco cartellone di concerti con Renzo Arbore e l’Orchestra Italiana ad aprire le danze, gli scoppiettanti Camillo Cromo e Bandakadabra, il balkan atipico dei DubiozaKolektiv, i salentini Mascarimirì nel progetto originale GitanistanOrkestra, nonché recital di musica classica e sacra. La chiusura della rassegna è stata all’insegna del jazz declinato nella originale cifra stilistica della MinAfrìc Orchestra di Pino e Livio Minafra che hanno proposto dal vivo il loro recente album omonimo. Non potevamo perdere l’occasione per rivedere dal vivo il large ensemble
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pugliese. Dopo averli apprezzati nell’edizione dello scorso anno del Talos Festival, ovviamente non hanno tradito le attese, proponendo un live travolgente, intenso e serrato nel quale non sono mancante anche le fascinose e mistiche voci delle Faraualla a impreziosire l’inconfondibile sound minafroamericano. La conduzione impeccabile di Pino Minfra, le composizioni di Livio (pianoforte) e i fiati di Vito Francesco Mitoli (tromba), Marco Sannini (tromba), Roberto Ottaviano (sax soprano e alto), Gaetano Partipilo (sax soprano e alto), Sandro Satta (sax), Nicola Pisani (sax baritono e conduction), Giorgio Distante (tromba), Giorgio Albanese (fisarmonica), Carlo Actis Dato (sax tenore), Sebi Tramontana (trombone) e Beppe Caruso (trombone), magistralmente supportati dalla sezione ritmica composta da Giorgio Vendola (contrabbasso) e dai due batteristi Vincenzo Mazzone e Giuseppe Tria, sono un spettacolo da non perdere per nessuna ragione con i brani che scorrono man mano come suite tra cambi di tempo e atmosfere, evocazioni e riflessioni, oltre ogni barriera e confine definito. Ci spostiamo nelle campagne di Corigliano d’Otranto, a Lu Mbroia, bella realtà messa in piedi dal cantautore salentino Massimo Donno che il 24 agosto ha ospitato il doppio appuntamento con la presentazione della biografia di Riccardo Tesi “Una Vita a Bottoni” e il concerto di Lucilla Galeazzi. Nella prima parte della serata l’organettista toscano ha presentato il volume ha lui dedicato, stimolato dalle mie domande, mentre a seguire la cantautrice umbra ha presentato un coinvolgente recital nel corso del quale ha raccontato attraverso canti tradizionali e composizioni originali, gli anni della sua formazione, la sua carriera, l’impegno politico, civile e sociale. Le sole corde della sua chitarra ad accompagnare la sua voce intensa e piena, i racconti, le storie raccolte nelle fabbriche e dagli informatori hanno rappresentato le perle vere di un affresco musicale di rara bellezza. Qualche giorno più tardi, il 21 agosto a Montesardo, piccolo centro abitato sull’altura che sovrasta Alessano, ha preso il via il Festival “Musica Antica, Arte e
Cultura” con la direzione artistica di Doriano Longo del quale abbiamo avuto modo di seguire il convegno di apertura “Filosofia, Musica e Magia in Terra d’Otranto tra Rinascimento e Barocco” che ha offerto una preziosa occasione per riflettere su alcune delle più importanti figure della cultura rinascimentale italiana dall’alchimista Matteo Tafuri al martire del pensiero libero Giulio Cesare Vanini fino a toccare gli studi sul Tarantismo di Giorgio Baglivi e la musica di Girolamo Melcarne. Introdotto da una prolusione storica di Manuel De Carli e moderato da Vincenzo Santoro, il convegno ha visto gli interventi di Ennio De Bellis, Luana Rizzo, Adele Spedicati e Andrea Carlino. Anche quest’anno non abbiamo perso una tappa al ristorante Origano di Cantine Menhir dove gli ottimi vini di casa e l’eccellente cucina, sono spesso accompagnate dalla musica dal vivo, e quest’anno abbiamo riascoltato con piacere tra un calice di negroamaro e l’altro Le Train Manouche, che con il loro elegante approccio al gipsy jazz di Django non mancano mai di regalare belle sorprese come una minor swing che ha concluso la serata, esaltando i sapori di un aleatico passito. Avendo perso per un soffio il doppio appuntamento dell’11 e 12 agosto con Ballati! a Muro Leccese, il 25 non potevamo mancare la tappa a Sanarica del festival organizzato da Claudio “Cavallo” Giangnotti. Diventato un vero e proprio format, Ballati! si è affermato negli anni come una di quelle preziose realtà volte a valorizzare la cultura tradizionale del Salento, e non solo dal punto di vista musicale. Aperta dal suono dei tamburi a cornice della ronda in piazza, la serata è entrata subito nel vivo con il bel set, totalmente unplugged, di Anna Cinzia Villani che, sul sagrato della chiesa di Sanarica, ha proposto un recital intenso e coinvolgente spaziando da performance per soli voce e body percussions, ad altre in cui ad accompagnarla è stato il tamburo a cornice o l’organetto. La serata è proseguita sul palco con il concerto dei Mascarimirì che, nella ormai rodata line-up a quattro, hanno dato vita ad una performance serrata, intensa e potente. I nuovi arrangiamenti e un sound
ancor più affilato e moderno hanno spostato ancora più avanti il confine della loro peculiare tradinnovazione, segnando in modo determinante il passo nella loro continua ricerca sonora nelle musiche tradizionali dell’Italia Meridionale. Dal Salento alla Calabria, dalla Campania alla Basilicata, Claudio “Cavallo” ci regala perle vere come una torrenziale “Giulianese” e la nuova versione di “Occhi Turchini” sospesa tra i canti alla stisa del Salento e il canto polivocale dei marsigliesi Lo Cor De Plana. A impreziosire il tutto sono alcuni estratti da “Tam!” come “Lu Ballu” resa ancor più incisiva rispetto al disco, e alcune perle di “Gitanistan”, disco che a cinque anni di distanza dall’uscita, ha ancora tanto da regalare. I bis finali con la complicità di Papet J dei Massilia Sound System sono il preludio al lungo dj set del francese che ci accompagna fino a notte fonda. Abbiamo chiuso la nostra parentesi estiva in Salento, giovedì 1 settembre a Lecce in Via Delle Giravolte, dove è andata in scena la presentazione del singolo “Le Giravolte” di Lucia Minutello e del film “Amara” di Claudia Mollese. Tra musica, parole e immagini ci hanno condotto alla scoperta della storia di Mara, famoso travestito icona di quella Lecce popolare che non esiste più, una città che ha cambiato volto ma che rimane ancora oggi intrisa della sua essenza. La sua vita controversa spesa ad accumulare ricchezza ed immobili, lasciati poi in eredità alla Chiesa, ci è stata raccontata prima dalla splendida canzone, interpretata dalla Minutello, con testo di Giovanni Epifani, già autore per Mascarimirì ed Alla Bua e musica di Marco Leone Bartolo, e poi dalla pellicola della Mollese. Mescolando le immagini di una città ormai sparita e le testimonianze di chi ha conosciuto Mara, la regista pugliese ha colto in modo toccante il dolore e le sofferenze che permeavano la sua vita, ed allo stesso tempo ha riportato alla luce un labirinto di esistenze sospese tra la trasgressione e la forte religiosità popolare. Insomma non poteva esserci una conclusione migliore per questa immersione affascinante nell’estate salentina. Salvatore Esposito
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Foto Giacomo Rosato
PETER HOOK INCANTA L’ANFITEATRO ROMANO Appuntamento di chiusura della decima edizione del Festival Sud Est Indipendente, organizzato da CoolClub, il concerto all’Anfiteatro Romano di Lecce di Peter Hook & The Light (17 agosto) era molto atteso, non solo per vedere in azione dal vivo il bassista di Salford con la band messa insieme dopo il burrascoso divorzio con i New Order, ma anche per fugare le malignità che lo davano alla guida di una cover band di lusso. Hook ed il suo basso sono stati sempre avanti un passo, andando oltre il punk con i Joy Division e verso la new wave con i New Order, ed ancora dando vita a sperimentazioni sonore continue, e dunque vederlo salire sul palco in silenzio, ed alzare al massimo sin dalla prima nota il tasso dell’elettricità è stata una bella sensazione, ma ancor di più lo è stato poter ascoltare in apertura una selezione di brani tratti dal quinquennio d’oro 1981-1986 dei New Order. Terminata la prima parte, Peter Hook prosegue il suo viaggio nel tempo proponendo per intero quel capolavoro che è “Closer”, il secondo ed ultimo capitolo della straordinaria parabola artistica dei Joy Division, pubblicato postumo dopo la morte di Ian Curtis. I The Light accompagnano Hook in modo impeccabile nelle scorribande elettriche, piace e sorprende allo stesso tempo la scelta del doppio basso nella line up ad aumentare il groove di ogni brano, ma anche per rendere in modo ancor più personale le intricate strutture melodiche del repertorio di New Order e Joy Division. (S.E.)
KEEP COOL - Dall’Italia e dal mondo a cura di OSVALDO PILIEGO Angel Olsen My Woman Jagjaguwar Tra le nuove voci dell’America “alternativa” degli ultimi anni è sicuramente una delle più interessanti. La chiave più aggressiva degli esordi aveva definito il profilo di una nuova sacerdotessa in grado di perpetrare il rito del rock. E invece in questo “My woman” compie il salto a ritroso cercando di condensare il pop e il folk americano degli anni 60 e 70 con la sua matrice “grunge”. E sembra di ascoltare l’energia di Horses di Patty Smith in alcuni passaggi, altre volte ci sembra di fare un passo in avanti e subito dopo un salto nel passato. Un disco senza tempo, come la voce di Angel, destinato a durare.
WILCO Schmilco Dbpm records Dieci anni sono abbastanza per consacrare il percorso di una band. I Wilco sono indubbiamente il nuovo classico americano, invecchiati decisamente bene, fedeli alla nutrita schiera di adepti pur mantenendo una propensione al cambiamento. Jeff Tweedy splende più che mai in questo disco, merito di un impianto quasi totalmente acustico, tradizionale verrebbe da dire. Perché il folk contemporaneo dovrebbe suonare diverso? Basta ancora una chitarra acustica e poco più? Secondo me si.
Okkervil River Away ATO Records La band di un tempo è oggi solo l’emanazione dell’unico reduce e front man Will Sheff. Sarà per questo che il disco si apre con la bellissima “Okkervil River R.I.P.” la dichiarazione della fine di qualcosa o forse segno di una rinascita, una nuova vita dopo momenti di pausa, crisi e perdite dolorose. E si percepisce ascoltandolo una certa sospensione, il suo essere stato concepito lontano, in luogo dell’anima, a trovare pace. La carica di lirismo a cui ci avevano abituato in questo “Away” è al massimo livello. Buon viaggio.
ZEN CIRCUS La terza guerra mondiale La Tempesta Dicono che alcune cose sono fatte per rimanere così. Il punk nella sua attitudine dovrebbe esserlo. Intanto noi intorno a esso cresciamo, anche chi lo suona, in alcuni casi. Succede che arriva il nuovo disco degli Zen Circus con la sua irriverenza, con la sua carica “politicamente scorretta” e ti accorgi che stai invecchiando male, oppure sono loro? L’alchimia tra i tre c’è ancora, gli slogan al vetriolo pure, lo sguardo spietato sul circostante anche. Nella “Terza guerra mondiale” non risparmiano nessuno ma alla fine sembra mancare qualcosa.
Devendra Banhart Ape in Pink Marble Nonesuch Devendra Banhart ha sempre avuto qualcosa di magnetico, sarà forse quel suo essere freak e poi dandy, la sua attitudine naturale al tropicalismo, la sua grazie vocale, l’immaginario magico e sensuale che lo circonda da sempre. Intorno a lui e dentro di lui vibra un’aura, un universo affascinante e carezzevole. Non ha mai brillato come un diamante ma sempre come una stella lontana, come un alieno appassionato del nostro pianeta. Il nuovo disco non aggiunge altro, acustico, sbilenco a tratti, tiepido.
NICK CAVE Skeleton tree Bad seed ltd/Mute Non si dovrebbe mai piangere la morte di un figlio. Basterebbe questa reverenzialità per approcciarsi a un disco così doloroso. Da sempre Cave ha esplorato l’oscurità, la sua esperienza personale ha sempre corteggiato il lato buio della vita. Questo si è tradotto in un’estetica e una poetica che ha esplorato gli abissi. Ma questa volta è diverso, la ferita è talmente profonda che la musica si traduce in un lungo requiem in cui l’artista si fa uomo e l’ascoltatore tanto vicino da commuoversi. Nessuno meritava tanto.
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LIBRI
L’ERBA DEL VICINO
Terzo romanzo per lo scrittore pugliese Maurizio Monte “Questo non è il libro che volevo scrivere, è il libro che volevo leggere”. Schietto e diretto come le storie che racconta, lo scrittore pugliese Maurizio Monte parla del suo nuovo romanzo “L’erba del vicino”, frutto di tre anni di full immersion nella scrittura. “Scrivere in maniera semplice”, dice, “è un lavoro che richiede sacrificio”. Di fatto è un ritorno di fiamma con la casa editrice Edizioni Clandestine di Marina di Massa, che aveva già pubblicato il suo primo lavoro “Lecce-Ravenna. Andata e ritorno” e che arriva dopo l’esperienza del secondo libro “Passo domani”, pubblicato dalla salentina Pensa editore. Nel microcosmo di un borgo, ai
piedi dell’Appennino tosco-romagnolo, che racchiude in sé tutti i vizi e le virtù nazionali, “L’erba del vicino” racconta le grottesche implosioni di un modello sociale ancora attuale. Nei primi due lavori c’era un protagonista principale evidente. Questo romanzo possiamo definirlo “corale”? Lo è, ci sono almeno quattro personalità molto forti. Nelle mie letture, i libri che mi sono piaciuti di più sono quelli dei quali mi sono rimasti impressi i protagonisti. Se descrivi bene i personaggi, se sono interessanti, il più è fatto. In questo romanzo non
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ci sono delitti da risolvere. è il racconto di persone che hanno un proprio carattere, interagiscono tra loro in un microcosmo che diventa universale. L’avvocato Caturano e la moglie. Velia e Secondino, madre e figlio, atei e sempre in lotta per difendere la propria dignità contro i dettami della società. E poi c’è la piccola Beatrice, che resta nel cuore del lettore. E molti altri. Quando le loro strade si incrociano, cadono miseramente i luoghi comuni della nostra società. Nel tuo percorso letterario, ho notato una sorta di lente di ingrandimento puntata prima sull’io, poi sulla provincia cronica e infine sulle dinamiche di una microsocietà. Nel primo romanzo, l’emigrato salentino parlava con la pancia della sua esperienza. Il secondo è un romanzo di denuncia molto forte focalizzato sulla provincia meridionale. Il terzo parla in maniera ironica della miseria umana. Tu sei nato in Puglia, attualmente vivi a Trieste, nel corso degli anni hai cambiato undici residenze. Qual è il filo che unisce tutte queste fasi della tua vita e come influenzano la tua scrittura? Cambio residenza in continuazione, non ho un luogo che mi sta a cuore più di un altro, li amo tutti allo stesso modo. In tutti i posti in cui sono stato mi sono integrato perfettamente. Trieste in questo momento è la mia città. Gli unici confini che contano sono i miei confini somatici, per il resto sto bene ovunque. Ho superato da tempo quelli che chiamo confini psicologici. Questo romanzo è il primo a non essere ambientato nel Salento. Questa è una conseguenza consapevole poiché ho scelto di ambientarlo in un non luogo, un posto immaginario, perché per me contano solo le persone. I luoghi li fanno le persone. Non è importante dove si svolge una vicenda o cosa racconti. è molto più importante come racconti la storia. Anna Chiara Pennetta
TORNO QUANDO VOGLIO: STORIE DI SALENTINI ALL’ESTERO I dati sono sempre più allarmanti. C’è una generazione di ragazzi e ragazze del Sud Italia che continua a emigrare. Per studiare prima, per cercare un lavoro stabile e per creare una famiglia dopo. Alcuni tornano ma tanti, troppi, restano. Nel nord Italia quando va bene. All’estero quando il nostro paese non offre possibilità adeguate. Sono un esercito di chef, camerieri, imprenditori, ricercatori, artisti, operai, liberi professionisti disseminati in giro per il mondo. La giornalista Giorgia Salicandro, dalle pagine del Nuovo Quotidiano di Puglia, ha raccontato una sessantina di queste storie che sono adesso confluite in un libro, pubblicato da Milella e distribuito in edicola con il giornale. «Oggi la partenza è un tablet sempre acceso, un telefonino che vibra per il messaggio WhatsApp della fidanzata, un sms a papà che aspetta la chiamata dopo l’atterraggio. Si viaggia iperconnessi, informati, aggiornati», sottolinea il giornalista Vincenzo Maruccio nell’introduzione. Londra, Parigi, Berlino, Bruxelles, Barcellona, Albania (dall’altra parte del mare Adriatico), Oceania e Cina (dall’altra parte del mondo). Spesso si ragiona di questi fenomeni solo con i numeri. Ma dietro le percentuali ci sono storie e persone in carne e ossa. Questo libro è una mappa (parziale ma interessante) della fuga. Ma può anche essere un’introduzione ad un racconto dei ritorni (pila).
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Rossana Mitolo Il cefalo dai capelli rossicci I sognatorI
È un libro denso quello di Rossana Mitolo. Denso di parole, di immagini che si mettono lo sgambetto tra di loro per arrivare subito agli occhi e alla mente, come in una corsa a ostacoli. Precipitano, saltellano, a volte si fermano, immobili, bloccate dalla punteggiatura serrata. E poi ripartono, spedite. Dritte al cuore e allo stomaco. Bum. Tredici racconti, per tredici storie piene di catrame, di pois, di onde di mare, di mercurio e grande coraggio, misto a una paura cane. E soprattutto piene di erre, la consonante che arrota ogni cosa per renderla spietata e avvolgente. Non è un viaggio facile, ma impervio. Bisogna avere scarpe ferrate e spesso un buon intuito per avventurarsi. Ogni personaggio cammina agile nel proprio disagio e arriva dove l’occhio del lettore si posa. Sono ombre, come quelle che si muovono nel booktrailer, realizzato da Ezia Mitolo, artista e sorella della scrittrice; sono ombre di feltro che gridano forte. Chi ha paura del buio, si procuri una luce, il viaggio vale la candela. (Laura Rizzo)
FEDERICO CAPONE Le osservazioni sul tarantismo Capone Editore è molto facile perdersi nel mare magnum della bibliografia sul tarantismo nel quale si mescolano testi scientifici, raccolte di testimonianze e preziosi documenti storici. “Osservazioni sul tarantismo ed altri scritti sulla musica popolare salentina” dell’etnomusicologo Federico Capone è un agile volume edito dai tipi di Capone Editore che offre, non solo una esaustiva panoramica retrospettiva sugli studi e le ricerca sulla fenomenologia legata al morso della tarantola, ma anche una serie di riflessioni di grande interesse sull’evoluzione della musica popolare in Salento. Aperto dalla prefazione di Maurizio Nocera che ricostruisce le origini e la complessità del Tarantismo, il volume ne ripercorre e ne esamina le varie testimonianze storiche susseguitesi dal Basso Medioevo, le modalità, la ritualità e la cura, mettendo in luce i parallelismi temporali e spaziali con altre regioni italiane, e i rapporti con il Cristianesimo, per giungere infine a una rassegna di documenti. Questo ricco apparato documentale ricompone le tracce della storia del Tarantismo e funge da perfetto preludio alla proiezione verso il presente di questo fenomeno, nelle moderne intersezioni musicali con ora altre tradizioni, con il jazz e l’hip hop fino a giungere a La Notte della Taranta. Non mancano alcuni interessanti spaccati sulla canzone folk urbana a Lecce e l’unione tra antico e moderno, così come un ricco apparato iconografico di immagini, per lo più inedite, poste a corredo in appendice. “Osservazioni sul tarantismo e altri scritti sulla musica popolare leccese” è, dunque, un prezioso supporto non solo per gli appassionati che si avvicinano alla tradizione musicale del Tacco d’Italia, ma anche per coloro che più esperti vi troveranno letture e documenti poco noti. Salvatore Esposito - BlogFoolk
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Vittorio Nacci La mandria umana CSA editrice Si scrive per tante ragioni e in tanti modi. La parola in tutti i casi mantiene la sua funzione, precisa, chirurgica delle volte. Lo sa bene Vittorio Nacci che ha approcciato la scrittura funzionalmente alla musica. Autore di canzoni prima con i suoi “Ho sempre voglia” con cui ha anche partecipato a un Sanremo di qualche anno fa e successivamente come autore di brani per altri. Una palestra importante, fatta di suggestioni, capacità di sintesi e dimestichezza con i grandi temi che lo porta oggi a confrontarsi con la narrativa. Lo sforzo di chi racconta è cercare di dare nuovo senso agli archetipi. Vittorio lo fa attraverso piccoli quadri, narrazioni minimaliste che provano a spiegare l’uomo, a declinare l’umanità nella sua splendida diversità. È forse questa la mandria: la tribù, l’uno in mezzo ai tanti, la somiglianza e la differenza, il legame e la voglia di libertà. Intorno a questo e molto altro orbita la sua penna che è al contempo punto di fuga e resa dei conti. “La mandria umana” è un libro di viaggio anche, dentro e fuori se stessi, di scoperta ed esplorazione, bucolico e intimo. “La mandria umana” è auscultazione, dei sentimenti, dei ricordi, della realtà e del mito. Anche se si tratta di racconti l’afflato che muove la narrazione è unisono, la tensione emotiva che ci muove tra le pagine ci porta in luoghi diversi ma sempre con il cuore. La lingua di Vittorio è essenziale, come i grandi maestri del racconto breve vorrebbero, la visione del mondo sensibile, simbolico e visionario. Ogni cosa mandata in terra a incontrarci o a scontrarsi con noi ha un significato più grande, e così ogni cosa raccontata in queste pagine diventa simbolo o metafora, si fa altro. Un inno al vitalismo. (O.P.)
Filosofo, musicista e ironico battutista, Luigi Baldassarre esordisce con questo libro che sin dal titolo è tutto un programma. “Ricotta forte e pensiero debole” racchiude quarantacinque brevi riflessioni, teorie filosofiche per palati semplici. L’autore mette in relazione (improbabile per sua stessa ammissione) temi della filosofia, della scienza e del costume con oggetti banali e vita quotidiana di provincia: il tressette e il quoziente intellettivo, il grande fratello e Cartesio, il parcheggio e il comunismo, la cellulite e la teologia, Maria de Filippi e il lavoro, per fare qualche esempio. Ultima riflessione sulle mutande nuove e il 2012. Perché bisogna essere sempre pronti per la fine del mondo.
SIMONA CLEOPAZZO Irene e Frida Musicaos
Dopo l’esordio nel 2012 con “Tre noci moscate nella dote della sposa” (Lupo Editore), a ottobre è in arrivo “Irene e Frida” di Simona Cleopazzo (Musicaos). L’autrice - classe 1972, madre di tre figlie, da sempre attiva nel terzo settore, attualmente una delle anime del progetto Ammirato Culture House - racconta due “donne parallele” (la moglie e madre Irene e la studentessa Frida), con una scrittura di precisione che mescola dubbi e moti dell’animo, dove l’esattezza geometrica delle passioni e il disincanto svelano il cambiamento.
LIBRI
LUIGI BALDASSARRE Ricotta Forte e pensiero debole Lupo Editore
COOLIBRì - altre letture
a cura di DARIO GOFFREDO
Jonathan Safran Foer Eccomi Guanda
Jacob e Julia sono una coppia di americani ebrei, quarantenni affermati, una vita serena, tre figli maschi. Una famiglia normale sull’orlo di una crisi. Lo scorrere quieto della loro quotidianità si intasa nel tratto in cui si sono accumulati risentimenti, frustrazioni e omissioni, che il patto del dialogo, della comprensione e della condivisione non riesce a portare alla luce. La stratificazione di piccoli e grandi peccati e l’impossibilità di ritrovare l’assoluta complicità dei primi tempi diventano armi da usare contro il coniuge. La catastrofe della fine del matrimonio piomba su Jacob, il quale cerca di capire come essere padre, ex marito, uomo ed ebreo, e si chiede anche come eliminare la polvere dalla nuova casa. Nel frattempo un tremendo terremoto distrugge Israele e il mondo precipita in una guerra contro lo stato ebraico che genera divisioni tra gli stessi ebrei Attraverso un gioco perfetto di incastri, di tempi e di voci, Jonathan Safran Foer descrive la storia dei legami che si attorcigliano senza spezzarsi, dell’amore che non finisce con un divorzio o con l’assenza di intimità. Un romanzo divertente, irriverente e commovente, che si interroga sulle scelte e sull’identità. (Alessandra Magagnino)
John Niven Le solite sospette Einaudi
Se hai superato il sessantesimo compleanno e di colpo la tua comoda vita si ribalta? Se scopri di essere diventata la vedova di un uomo che credevi il più noioso del mondo e invece ha sperperato tutto il patrimonio in giochi sadomaso, come potresti evitare la bancarotta? Potrebbe anche capitarti di essere stata una delle più belle ragazze della scuola, avere avuto una vita avventurosa, ma ti ritrovi a fare l’inserviente in un ospizio, senza soldi e senza prospettive di una vecchiaia serena. Potresti anche essere una ex ballerina su una sedia a rotelle, in un corpo stravolto da 84 primavere e lo spirito di una ragazzina, o una nonna disperata in cerca di una cura per un nipotino malato. In ogni caso potrebbe darsi che la vita ti dia una seconda possibilità: quella di svaligiare una banca e riuscire a risolvere i tuoi problemi. Susan, Julie, Jill ed Ethel, ci trascinano nelle loro rocambolesche avventure, dalle strade di una tiepida Inghilterra alle spiagge di una serena vecchiaia. Tra inseguimenti, risolini e attacchi isterici, John Niven si conferma uno scrittore intelligente, frizzante e divertente fin dalle prime pagine. Se lo leggete in compagnia dovrete giustificare le risate. (Alessandra Magagnino)
Nick Tosches Sotto Tiberio Mondadori Conosco e amo Nick Tosches da diversi anni, da quando incappai, grazie al consiglio di un amico in Il diavolo e Sonny Liston, libro che ho divorato e letto più e più volte. Poi non l’ho più mollato, e ora torna in libreria con questo romanzo, una storia di crimini e inganni che racconta di un uomo chiamato Gesù Cristo. Nei recessi della biblioteca Vaticana viene ritrovato un codice antichissimo, scritto in un latino elegante; narra di un tristissimus hominum, il più tetro fra gli uomini – l’imperatore Tiberio – e di Jesvs, detto Gesù. L’autore che l’ha scritto, nel primo secolo, è Gaio Fulvio Falconio, mandato in esilio da Tiberio nella misera terra di Cesarea. Eppure in quella terra Falconio percepisce subito un’aspettativa diffusa nell’aria, la promessa di una salvezza finale, sancita dal Libro sacro dei Giudei. Tutta una bugia, pensa l’aristocratico romano, ma che potrebbe essere raccolta e rilanciata: con parole nuove, come proprio lui aveva già fatto a Roma con l’imperatore, dando preziosi consigli, scrivendo discorsi costruiti con maestose parole, creando l’illusione di un nuovo dio. Perché non farlo anche qui in Giudea, creare un nuovo profeta e liberarsi di Roma? E per avidità naturalmente, per mungere le nascoste ricchezze di quel deserto. Ed ecco che davanti a lui – tra tutti i malridotti messia possibili, numerosi come mosche – si fa avanti uno strano accattone con gli occhi luminosi. Sono Gesù, dice, “nato dalla sporcizia, figlio del nulla”. Insieme faremo miracoli, miracoli per denaro. Tosches squarcia, irriverente come sa essere lui, il velo dell’ipocrisia religiosa e ci restituisce un mondo chiamato Paradiso e un uomo chiamato Gesù Cristo. (D.G.)
Massimo Carlotto Il turista Rizzoli Messa da parte la saga dell’Alligatore Massimo Carlotto, il più acclamato maestro di noir italiano, torna in libreria con un thriller teso e ritmato. Un serial killer, il Turista, imprendibile e glaciale e Pietro Sambo, ex poliziotto dal passato pesante e oscuro. Sono loro i protagonisti di questo romanzo che lascia col fiato sospeso fino alla fine, sorprendendo il lettore come solo Carlotto sa fare. Chuck Palahniuk Cameron Stewart Fight Club 2 Bao Publishing Certi amici immaginari non vanno mai via. Si legge così sulla copertina del volume americano di Fight Club 2, il fumetto sceneggiato da Palahniuk e disegnato da Stewart Cameron che uscirà in Italia il prossimo 6 ottobre. Il seguito di uno dei libri cult della fine del millennio scorso è un fumetto che promette grandi sorprese a chi ha amato Tyler Durden. E ricordate: la prima regola del Fight Club è non parlare mai del Fight Club. Alain de Botton Il corso dell’amore Guanda Solo Alain de Botton poteva scegliere di raccontare l’evoluzione dell’amore, il percorso di crescita e maturazione compiuto da una coppia dopo l’ebbrezza e l’emozione dei primi incontri. Che cosa c’è dopo il classico «e vissero tutti felici e contenti»? Una riflessione in perfetto stile de Botton sui moderni rapporti di coppia, sulla difficile e meravigliosa arte di amare.
LIBRI
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CINEMA -TEATRO
ESCOBAR PArla ANCHE “Salentino”
Angelo Laudisa è tra i produttori del film di Andrea di Stefano appena uscito anche in Italia “Ma come fa ad avere così tanti soldi?”. “Con la coca!”, risponde candidamente la giovane e bella, ma ingenua, Maria. In questa frase è racchiusa tutta la storia di Pablo Escobar, un personaggio dal vissuto controverso - diviso tra potere, denaro, morte da un lato e beneficenza, generosità, famiglia dall’altro – che rivela la triste doppia faccia della medaglia degli sporchi giochi di potere del sistema. Il punto di vista raccontato nel film è quello limpido e onesto di Nick (Josh Hutcherson) giovane surfista canadese che, in Colombia, il paese dai mille risvolti tra Oceano Pacifico, Mar dei Caraibi e lussureggianti piantagioni di coca, trova nello stesso tempo, l’amore della sua vita Maria e il suo aguzzino Escobar, detto “El Patron”. Dopo essere stato distribuito in più di quaranta paesi diversi, arriva finalmente anche sugli schermi italiani “Escobar: Paradise Lost”, esordio del regista italiano Andrea di Stefano con Benicio del Toro che interpreta il ruolo del capo
indiscusso del narcotraffico internazionale. La pellicola, frutto della collaborazione tra più paesi e uscita in USA e Francia nel 2014, presentata in anteprima al “Toronto International Film Festival 2014 e premiata come “Miglior Opera Prima” al Festival del Cinema di Roma, solo quest’anno viene distribuita in Italia da Good Films, prodotta da Chapter 2, Pathé Production, Roxbury e Orange Studio, anche grazie all’intervento di un produttore cinematografico pugliese ma parigino d’adozione: Angelo Laudisa della Rosebud Entertainment Pictures. «Circa quattro anni fa Andrea iniziò a parlarmi della sua idea di fare un film, non un documentario, sulla figura di Pablo Escobar. Aveva letto la cosa sul trafiletto di un giornale. Credo lo conservi ancora», ricorda Laudisa. «Penso fosse affascinato dalla dualità dell’uomo: grande criminale e trafficante di droga da una parte e benefattore dall’altra. Una figura senz’altro unica nel panorama criminale mondiale».
Parlandoci delle differenze tra le dinamiche produttive e distributive dell’audiovisivo in Francia rispetto a quelle italiane, Laudisa, che partito dall’Italia per Parigi all’età di 30 anni, ormai può considerarsi un parisien tout court, ci dice che «il cinema francese è una vera e propria industria, la prima in Europa, in grado di produrre una media di 300 film all’anno con 215 milioni di biglietti staccati nel 2015. In Italia negli anni ‘40-’50’60 si faceva la gara con gli americani. Poi qualcosa si è rotto. Il presente si regge su poche ma solide realtà: Moretti, Sorrentino, Garrone e pochi altri giovani talenti». Al di là di tutto storie e film come “Escobar” fanno ben sperare che possa esistere un futuro nel panorama cinematografico a venire, alla luce anche di quanto si è potuto vedere alla recente Mostra di Venezia con la vittoria di un altro interessante nome del cinema pugliese, lo sceneggiatore e regista leccese Alessandro Valenti che si è aggiudicato il Premio MigrArti per il corto “Babbo Natale” (vedi articolo a destra). «Mi sembra che sia stata operata una scelta che premia il cinema d’autore più che le produzioni di Hollywood. Lav Diaz, Escalante, Konchalovsky e anche il film di Tom Ford sono da ascrivere più al filone del cinema indipendente. Con la vittoria di Alessandro poi ho avuto subito la sensazione che Cesare Zavattini, Suso Cecchi D’Amico, Ettore Scola abbiano trovato un loro degno erede». Tra l’altro Laudisa e Valenti, in qualità di direttori artistici, sono reduci della prima edizione di Vive le Cinéma – Festival di Cinema Francese che ha portato nel Castello di Acaya, piccolo borgo in provincia di Lecce, guest star del calibro di Chiara Mastroianni, Melvil Poupaud (diretto da Xavier Dolan), Virginie Efira, Marion Vernoux e migliaia di appassionati della famosa Settima Arte in un territorio ben lontano dalle capitali del cinema come Roma, Torino o Venezia, «con una selezione di film non distribuiti in Italia, sottotitolati e con tematiche molto particolari, abbiamo vinto una difficile scommessa con noi stessi, difendendo a spada tratta una scelta forte e condivisa che ci guiderà ancora per la prossima edizione». Jenne Marasco
BABBO NATALE: LA FAVOLA DARK DI ALESSANDRO VALENTI CONQUISTA VENEZIA La favola dark “Babbo Natale” del regista e sceneggiatore leccese Alessandro Valenti ha conquistato (ex aequo con “Amira” di Luca Lepone) la sezione “MigrArti” della Mostra del Cinema di Venezia. Scritto a quattro mani con Matteo Chiarello e prodotto da Saietta Film in partnership con la Fondazione Emmanuel, “Babbo Natale” si era classificato primo su oltre cinquecento progetti presentati al concorso ideato dal Mibac per la promozione di progetti cinematografici che hanno contribuito alla valorizzazione delle culture delle popolazioni immigrate in Italia, nell’ottica dello sviluppo, del confronto e del dialogo interculturale. Nel cortometraggio due ragazzi arabi Nabil e Youssef, fratelli, sbarcano alle Cesine - oasi naturale sulla costa adriatica in provincia di Lecce - dopo il viaggio in mare e si imbattono in un un mangiafuoco dalla barba lunga e sfatto di Mdma. Per i due fratelli è l’uomo della Coca Cola. è Natale, e lui decide di fare un regalo ai due fratellini. «Ho costruito così un immaginario su un “mostro” che cambia volto poiché c’è sempre la possibilità di trovare una persona che riesca a dare un po’ d’amore e un segno di speranza», sottolinea Valenti. «In un momento come questo in cui in Europa si costruiscono nuovi muri, il cinema deve contribuire a distruggere le barriere di ogni tipo».
MARCO BALIANI
Necessità e conflitto di un teatro che esiste Memoria è l’ultima parola di “Kohlhaas”, storico spettacolo che l’attore e regista Marco Baliani ha portato in scena a Castrignano de’ Greci, in provincia di Lecce, nella serata di chiusura del Teatro dei Luoghi Fest, rassegna itinerante dei Cantieri Teatrali Koreja. Questa parola abusata e maltrattata tra le mani di Baliani diventa semplicemente viva. Kohlhaas è uno spettacolo del 1989, è la vicenda di un allevatore di cavalli truffato nel 1500 in Germania e che cerca giustizia fino a diventare un ribelle e a finire impiccato. Quando Baliani apre gli occhi e inizia il racconto, il tempo si ferma e lui incarna la memoria: violenta, penetrante e stordente, è quello che resta. Al centro del suo teatro c’è ancora la necessità e l’urgenza di interrogarsi senza sfuggire allo sguardo degli altri. Cosa chiedi al teatro? Molte domande. Non mi piace il teatro che da tutte le risposte. Mi interessano le domande non risolte che riguardano l’essere umano.
Che tipo di domande fa il suo teatro agli spettatori? I miei personaggi sono figure che non si sono riconciliate con il mondo, mostro i conflitti di quelli che quasi sempre vengono sconfitti. Non mi interessano quelli che hanno risolto tutto, che sanno tutto, neanche quelli che ce l’hanno fatta. Il mio teatro ha a che fare con questo tipo di dogma esistenziale: volere ma non farcela, provarci ma non riuscire. Qual è l’importanza di portare Kohlhaas ancora in scena? Parlare ancora di giustizia, è un tema micidiale, si comprende anche a distanza di anni. Se mi avessero detto che avrei continuato a recitarlo non ci avrei mai creduto. È diventato un cult. È stato il primo esempio di teatro di narrazione. Che cos’è la narrazione? La narrazione orale accade ogni volta che qualcuno vuole raccontare a qualcun altro una storia e ha urgenza, passione e neces-
CINEMA-TEATRO
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sità: serve qualcosa che metta le persone in relazione faccia a faccia, bocca a orecchie. Non si può narrare se non c’è l’altro. Si entra in relazione con qualcuno, in questo il mio teatro è estremo. Dove è riuscito e dove ha fallito il teatro? Il teatro è sopravvissuto, esiste ancora qualcuno che si alza e va a teatro, a me questa cosa meraviglia sempre. È l’incontro eccezionale con qualcosa che ti sconvolge, quando ti trovi di fronte al tuo poeta è un momento di rivelazione. Il teatro ha un ruolo non piccolo in questa società, il pubblico teatrale è in aumento. Succede soprattutto in tempo di crisi: la gente ha bisogno di stare insieme agli altri, è un momento di grande solitudine. La chiesa invece ha perso pubblico perché ha smesso di raccontare, pur avendo tra le mani il più grade capolavoro di sempre. Il teatro fallisce quando non ha una reale urgenza di stare in scena. Il teatro di narrazione ha fallito perché poteva essere meglio della cronaca, è diventato un teatro civile: doveva continuare a inseguire la fabula, il mito, la leggenda, la follia. Bisogna creare il conflitto nelle piccole storie del quotidiano che riguardano tutti, non informare. Il teatro si pasce di questi conflitti. Come si fa a rischiare sempre lo sguardo altrui, come tu scrivi in alcune tue note di regia? La parabola del buon samaritano: quando vedi l’altro, non puoi fare finta che non c’è. La compassione è la condizione base per alzare lo sguardo e vedere gli altri, se entri in relazione rischi. Se non vuoi rischiare ti chiudi ed è più facile. Io è tutta la vita che mi alleno solo a raccontare quello che vedo: le brutture e anche le cose meravigliose. Stai in ascolto, è una forma di allenamento esistenziale. Quale epitaffio vorresti sulla tua tomba? “Sono morto molte volte ma come questa volta mai”. Rubata ad un attore su una tomba etrusca, la trovo deliziosa. Giulia Maria Falzea
OLTREMUNDO DELLA FABBRICA DEI GESTI VINCE IL “CRASHTEST” La Fabbrica dei Gesti con lo spettacolo “Oltremundo” ha conquistato la quinta edizione di “CrashTest - Collisioni di Teatro Contemporaneo”, organizzata dal collettivo teatrale Livello 4 in collaborazione con il Comune di Valdagno, in provincia di Vincenza. La finale (dal 2 al 4 settembre) ha visto confrontarsi, sul tema “Decibel, scenari sonori”, quattro compagnie (oltre alla vincitrice anche Azul Teatro di Lucca, Gatto Vaccino Teatro di Torino, Teatro di Contrabbando di Napoli) selezionate tra le oltre cento partecipanti alla prima fase. La Fabbrica dei Gesti ha convinto la giuria “per l’originale interpretazione del tema di quest’anno e per la capacità di mantenere in costante relazione drammaturgia e suono”. Oltremundo è frutto dell’incontro, nel 2009, tra la danzatrice/attrice Stefania Mariano e l’attore/regista brasiliano del Teatro Torto di Porto Alegre Marcelo Bulgarelli. Un incontro fortunato che ha dato origine a un profondo rapporto di scambio artistico e umano tra i due fino alla nascita dello spettacolo che vede, oggi, sul palcoscenico: Stefania Mariano, Michela Marrazzi, Mariela Cafazzo, Claudio Prima, Emanuele Coluccia. Luci a cura di Marco Oliani, tecnica Emanuele Augeri. lafabbricadeigesti.it
ARTE
PHEST
Sino al 15 ottobre a Monopoli appuntamento con il festival internazionale di fotografia Foto Mattia Insolera
Dopo il Bitume Photofest di Lecce, la fotografia è nuovamente protagonista in Puglia. Dal 15 settembre al 30 ottobre nel centro storico di Monopoli, in provincia di Bari, appuntamento con PhEst, festival internazionale della fotografia che ospiterà gli scatti di Alex Majoli, Enri Canaj, Mattia Insolera, Michal Korta, Piero Martinello, Myriam Meloni, Anastasia Taylor-Lind, Marieke van der Velden, Driant Zeneli. Mostre e incontri tra il Castello Carlo V, il Porto Vecchio, le Chiese di San Salvatore, Santi Pietro e Paolo, San Giovanni e la Muraglia di Porta Vecchia. «PhEST nasce da una necessità, quella di provare a restituire una voce propria alle mille identità che compongono il mare in mezzo alle terre, quella di ridefinire un immaginario proprio e nuovo. PhEST vuole essere un piccolo nuovo spazio in cui questo dialogo possa trovare rifugio«», si legge nella presentazione. Altre info su www.phest.org
La rassegna urbana di fotografia contemporanea, Bitume Photofest, si è tenuta invece a Lecce dal 3 al 10 settembre. Tra gli ospiti Sam Harris, Kalpesh Lathigra, Claudio Beorchia, Giorgio Di Noto, Tommaso Parrillo, Denis Curti, Steve Bisson. Il format ospitava un’esposizione all’aperto (in varie piazze e palazzi della città), una mostra collettiva di progetti fotografici internazionali selezionati tramite open call; una mostra dei risultati del programma di residenza artistica, che ha coinvolto sei artisti in un progetto di tre settimane a Gibellina (Trapani) e un’installazione scelta dall’artista albanese Adrian Paci per le tre sedi dei foto–festival (Malaga, Salonicco, Lecce). Il tema di questa terza edizione è stato Identity flows, ovvero flussi identitari, ma anche identità liquide, immerse in un fluido che si estende e si contrae, una grande massa in movimento come il nostro Mediterraneo, il “mare suonante” (Θαλασσα ηχηεσσα) di Omero. Info 2016.bitumephotofest.it
arte
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dal 15 al 29 settembre Palazzo Baronale - Collepasso (Le)
APHASìA - FRANCESCO SAMBATI
sino al 2 ottobre Castello Aragonese - Otranto (Le)
STEVE MCCURRY ICONS
Dal 15 al 29 settembre nel Palazzo Baronale di Collepasso, in provincia di Lecce, appuntamento con Aphasìa (a-phasìs, senza voce), mostra del fotografo salentino Francesco Sambati, organizzata da Axa Cultura. La mostra nasce dal bisogno dell’artista di “trovare rifugio in una dimensione di solo silenzio”, allontanandosi dal caos di rumori e disturbi della società moderna.
Grande successo nel Castello Aragonese di Otranto per la mostra di Steve McCurry, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, punto di riferimento per un larghissimo pubblico che nelle sue fotografie riconosce un modo di guardare il nostro tempo. La mostra è organizzata da Civita Mostre in collaborazione con SudEst57. Ingresso 10 euro. Info stevemccurryicons.it
dal 24 settembre al 29 gennaio Museo Pino Pascali - Polignano a Mare (Ba)
dal 3 ottobre al 2 novembre Castello - Gallipoli (Le)
Dal 24 settembre al 29 gennaio il Museo Pino Pascali di Polignano a Mare, in provincia di Bari, ospita la mostra di Christiane Löhr. La commissione composta dalla direttrice Rosalba Branà e dai critici Dobrila Denegri e Antonio Frugis ha infatti assegnato all’artista tedesca il Premio Pascali perché “crea raffinate opere e installazioni con elementi della natura”.
Dal 3 ottobre al 3 novembre il Castello di Gallipoli ospita “Naturarte”, una mostra fotografica di Fabio De Marini. Un cantico di ringraziamento alla natura: benché più volte calpestata, deturpata; violentata in mille modi dall’uomo, la Terra, nostra “madre benigna e pia”, continua a sostenerci con i suoi colori, i suoi sapori, i suoi profumi, che ci confortano l’animo. Ingresso 4 euro. Info castellogallipoli.it
Christiane Löhr
NATURARTE
DIARIO CRITICO
a cura di Lorenzo Madaro
Norman Mommens L’artista belga di Spigolizzi
foto Francesco Radino
Giunti nel Capo di Leuca chiunque è costretto a interrompere il proprio viaggio: oltre c’è solo il mare. Lo scultore belga Norman Mommens, con la compagna Patience Gray – scrittrice e giornalista inglese – nel 1970 approdò nelle campagne del Salento estremo, a Salve. Ci rimasero per trent’anni, fino alla loro morte, vivendo un legame estremo con la terra di Spigolizzi e la loro masseria. Oggi questi luoghi sono custoditi da Nicolas Gray, figlio di Patience, e dalla sua compagna. I coniugi Gray sono contrari a un’eventuale musealizzazione – Nicolas precisa infatti che “deve restare un luogo di lavoro” –, ma certamente aspirano a un adeguato rispetto di questa masseria, che ha significato molto per la cultura salentina, e non solo, per diversi decenni. Qui si avverte il ricordo tangibile di Norman e Patience, in particolar modo nelle grandi sculture primitiviste interrate nei terreni vicini alla casa-studio, nei piccoli scudi dipinti su carta e nelle fotografie che narrano di una vita sospesa tra i ritmi della campagna autoctona e le visioni dell’arte. D’altronde, come ricorda Nicolas, “Giunsero qui perché cercavano il sole. Arrivati a Salve si fermarono perché non c’erano più strade. Era la fine del mondo”. Sono stati antesignani della decrescita felice, praticandola costantemente. “Patience e Norman, quindi, approdano nell’agro di Salve spinti da un ‘bisogno di spazio’, sia per lavorare sia per ospitare l’imponente famiglia di lavori di marmo di Norman. Qui lo spazio certo non mancava e per acquistare un pezzo di terra nel Finibus Terrae non era necessario spendere una fortuna”, ricorda Gray, aggiungendo: “Installare la propria casa e il proprio studio nel Salento rappresentava un nuovo inizio. ‘La vita comincia a Spigolizzi!’” diceva. Il 1970, anno del trasferimento in Salento, è uno spartiacque, un vero e proprio momento di rinascita e cambiamento nella vita dell’artista e della sua compagna. Con la scoperta di un sud rurale, allora incontaminato, della natura e del mare e della luce salentina, cambia anche lo stile di vita e il suo lavoro diviene sempre più un percorso privato, che viene scandito dal passare dei giorni nelle mura domestiche o nella campagna circostante incontaminata. Nato nel 1922 ad Anversa, da padre belga e madre inglese, Norman studia all’Accademia d’architettura e arti applicate Elkerlyc, non lontano da Amsterdam. Iniziò a scolpire nel 1952 adottando il granito come materiale d’elezione e vi-
vendo per qualche periodo in una tenda in una cava della Cornovaglia. La sua vita è nomade e avventurosa, l’arte lo spinge a sperimentare, anche a muoversi su versanti apparentemente distanti, scrivendo e illustrando pubblicazioni per bambini. Nel 1962, con la compagna Patience, lascia l’Inghilterra e dopo alcuni periodi trascorsi in Catalogna, in Provenza e a Carrara, ed approdano poi, finalmente, alla masseria “Spigolizzi”. Non lontano dallo Ionio, su un promontorio che scruta silenzioso il mare, circondato da rocce e alberi, vegetazione spontanea e squarci di cielo. Hanno vissuto per più decenni senza elettricità, così Mommens – che morirà l’8 febbraio 2000 – utilizzava soltanto attrezzi manuali per concepire le sue sculture antropomorfe, alcune di grandi dimensioni, che realizzava in marmo con un’attenzione estrema alla levigatezza della materia e al rigore estremo delle forme. Le sue sculture sono essenziali, minimali quasi, sono idoli da osservare, guardiani della natura circostante che vigilano nella silenziosa campagna di Spigolizzi ancora oggi. La casa è un vero e proprio ambiente outsider, sin dall’esterno, le pareti perimetrali sono dipinte e osservandolo con lo sguardo all’insù, sul terrazzo si intravedono sculture, mentre di fronte all’abitazione, al centro di una grande aia, appare, con la solennità di un idolo primitivo, la grande opera Anatolì. Nella masseria “Spigolizzi” aveva anche intenzione – gli eredi conservano i progetti – di fondare una scuola d’arte non convenzionale in quell’angolo di campagna, pensando anche alla realizzazione degli alloggi per gli studenti e alle aule. Dall’incisione su pietra alle tecniche miste su carta, dai dipinti alla scultura: Mommens – sia nelle sue opere figurative, che in quelle di un minimalismo meditato con i toni caldi del Mediterraneo – è sempre stato un talento eclettico, instancabile. Adesso – come capita per il Santuario della pazienza di Ezechiele Leandro a San Cesario di Lecce, ormai vincolato dalla Soprintendenza, eccezionale caso di ambiente outsider in Puglia – però ci sarebbe da intervenire con un restauro conservativo delle opere che sono all’esterno della Masseria, alcune in uno stato del tutto precario, e con una catalogazione scientifica dei disegni, dei libri, dei dipinti, delle opere grafiche e dei suoi scritti, anche quelli epistolari. La sua ricerca merita un adeguato studio e un progetto espositivo esaustivo.
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BLOG BRODO DI FRUTTA Adelmo Monachese
Perché Dio non ha fatto il mondo antisismico? Alla messa per le vittime del terremoto che il 24 Agosto ha colpito il centro Italia (o dovremmo dire Sud Europa per consolidare il concetto di appartenenza a una comunità di Stati? O tra vent’anni sarà prassi indicare la stessa zona scrivendo berzik mitte italien?) il prete che ha officiato la cerimonia (non ricordo quale grado della gerarchia clericale ricoprisse ma ricordo che era vestito di viola, quindi doveva far parte di quelli non scaramantici) ha detto: “Il terremoto non uccide, le opere dell’uomo sì”. Una frase, vera, talmente prevedibile che i bookmakers nemmeno la quotavano. IL TERREMOTO NON UCCIDE Affermazione che descrive il terremoto come un evento che in quanto tale non fa vittime. La terra si muove in modo ondulatorio e sussultorio, ce lo insegnano alle elementari. Un terremoto nel deserto “non fa rumore” perché niente crolla, come l’albero che cade nella foresta ma nessuno lo sente. Su
questo abbiamo il conforto di un autorevole quanto inaspettato parere. Ciro Di Marzio, l’immortale della serie tv Gomorra, nel corso della prima stagione ricorda a Rosario ‘o nano che quando era piccolo e si trovava in orfanotrofio le suore gli dicevano: “Il terremoto è volere di Dio, fa bene alla terra. Il terremoto è una cosa buona”, ulteriore conferma alla tesi della non malvagità del terremoto proveniente da un’altra categoria di rappresentanti delle Chiesa, le suore, a cui viene da credere visto il buon lavoro pedagogico svolto con Ciro. LE OPERE DELL’UOMO Sì Avete presente quando i bambini costruiscono una torre di Lego poi quella cade e il pavimento è cosparso di mattoncini? Quello che la maggior parte delle volte i bambini pensano è: “Mi servono più Lego. Voglio più Lego. Mamma e papà compratemi più Lego e anche il Meccano così sarò a norma”. Stesso problema con i terremoti. L’essere umano, apparso per ultimo
sul pianeta terra, attraversa a livello di coscienza condivisa la stessa fase infantile dei bambini con i Lego: in poche centinaia di migliaia di anni ha deciso che il mondo è suo, è tutto suo, la natura è sua, e costruisce. Diventa bravo ma rimane pur sempre il bambino del pianeta. Il terremoto non uccide, le opere dell’uomo sì. Ma l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Questo sillogismo ci porta alla conclusione che Dio ha voluto che costruissimo cose per portare a compimento l’opera distruttiva ispirata dai suoi terremoti. Ecco quindi che si manifesta una possibilità: Dio ha creato il mondo abusivamente. E come in tutte le case costruite male ecco spiegate con chiarezza tutte le stesse magagne planetarie: inondazioni, siccità, buco dell’ozono. Conseguenze degli allacci, tutti abusivi. Tutto il Creato in sei giorni, doveva fare in fretta? Anche tutte le parabole. Abusive. Sono duemila anni che non trasmettono niente di nuovo.
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Mauro Marino
MARISTELLA MARTELLA LA DANZA DI TARANTARTE Ho sempre molto amato la danza - non quella che stancamente tenta di ripetere canoni di “perfezione” e modelli di corpo ormai per noi remoti - ma la ricerca nel contemporaneo di forme coreutiche capaci di fare sintesi - attraverso il corpo e lo sguardo del danzatore - della complessità comportamentale delle persone: di chi sta al mondo e danza (sempre tutti danziamo: “lu camenatu tou pare ca bballa” recita una straordinaria canzone) senza sapere di danzare. La nostra è terra che ha tenuto in grande considerazione il “corpo” e il suo bisogno di “danzare”, almeno così - con non celato orgoglio - la percepiamo in questi ormai lunghi anni di “risveglio” culturale. Alla danza, il nostro Salento ha affidato molto: nel passato la credenza della cura quando in “segreto” tentava di sanare i guasti della malinconia; nel suo presente (e ahimè, nel suo futuro) nella “consumazione” del ballo popolare, la pizzica-pizzica. Danza di sfida e di corteggiamento. quella salentina, sottesa è
la sensualità, l’erotismo. Un ballo del “due”, circolare e diretto, ammiccante alla “gunnella”, pieno di pudore, vivo nella chiarezza popolare dei segni. Per un momento cerchiamo pace e chiudiamo gli occhi di fronte a ciò che accade sui e sotto i palchi della riproposta folk e riapriamoli di fronte alla qualità della più fine coreutica contemporanea. È nome antico Maristella, congiunzione tra terra, mare e cielo. Nel largo firmamento dei nomi, delle credenze capaci di sincretismi e di suggestioni, Maristella è nome santo pieno dell’inquietudine dello stare. Maristella Martella fa la coreografa e la danzatrice. Danza sulle pietre, doma questioni di musica e di forma, muove lo sguardo ai luoghi sospende il sentire, il giudizio e ri-scopre la poetica intima della terra. Duro e morbido, leggero e pesante, luce e buio materia ancestrale del movimento, nutrimento di un corpo in cerca di armonia. “Prima ho insegnato e poi ho imparato” dice Maristella raccontando la sua militan-
za “pizzicata”; a muovere, la scelta di dare respiro all’istinto. La danza classica l’ha imparata da bambina poi, altro, all’università ha studiato chimica. Chimica? E già, sai com’è, come sono i percorsi delle persone ma poi ti accorgi che un certo “chimismo” serve al fare coreografia. Maristella da grande ha scelto di tornare - andare a cercare nel popolare (e anche lì la chimica serve…) dove la danza accade, la danza rotante del trovarsi centrati con il divino e quella che pesta i piedi per cacciarla la punizione facendosi alleato il divino… In cerca di maestri (Antonio Infantino, Eugenio Bennato) con la misura dell’incoscienza utile al danzatore per essere danzatore, nell’abbandono di sé dove “le parole riempiono ciò che un piede fa in un passo”. Nei suoi lavori la musica dell’Officina Zoè certo tra le più ispirate della scena salentina. Suoni che servono il passo lungo della trance per ritrovare nel “perdersi” il senso della cerimonia, del rito, dell’offrire con la danza il segno del ri-conoscimento.
BLOG
AFFRESCHI&RINFRESCHI
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Daniele De Luca
voi sportivi da pouf leopardato avrete il tempo di allenarvi 2016: anno bisesto. Tradizione vuole che gli anni bisestili siano forieri di sfortuna a muzzi. E anche questo non è stato diverso, soprattutto, e in maniera inesorabile, d’estate è arrivata la sfiga più grande... le Olimpiadi. Sì, diciamolo pure chiaramente, le olimpiadi sono quanto di più anacronistico, noioso e insopportabile esista nel mondo dello sport. Per quattro anni discipline assolutamente improponibili rimangono dormienti (quasi come una cellula di al-qaeda) per poi esplodere in tutta la loro inutilità. Oh, sì, avete ragione, magari c’è pure l’atletica, la “regina” delle discipline olimpiche. Ma ditemi, ora, chi tra qui e il 2020 penserà ancora al salto in lungo, ai 3000 siepi (vera disciplina per dementi: cazzo mi significa saltare in una pozzanghera artificiale messa al lato della pista!) o, anche ai 100 e 200 metri e a Usain Bolt? Posso aggiungere anche che, alla faccia dello sport, l’atletica (e ahimè il ciclismo) è la disciplina a più alto tasso di doping? Ma, io, in fondo, non posso avercela più di tanto con gli atleti. Alla fine, un lavoro devono pur farlo. Quello che mi lascia da pensare (modo elegante
per dire che mi fa girare i cog...ni) sono tutti quelli che si eccitano da matti perché siamo vice campioni di doppia fossa olimpica, oppure perché nel laser radial donne (sto parlando di vela – caro e unico lettore, ma ti giuro che l’ho scoperto solo quest’anno) non siamo riusciti a dare il meglio. Ora, “cuori miei carnali” (cit. donna Annalisa Magliocca, detta Scianel – “Gomorra”), vi vedo tristi e solitari senza più in mano una clavetta da ginnastica artistica (dove, tra l’altro, ci sono le donne più brutte e malfatte dell’intero creato, e lo sfruttamento minorile è più che legalizzato) o un nastrino da ritmica, che vi donava così tanto mentre zompavate da una parte all’altra del vostro caldo salotto. Potete togliervi le calottine da pallanuoto, dismettere il guanto da sciabola, o l’ancora più sensuale calzamaglia da ginnasta e riposarvi dopo l’estenuante fatica che le vostre dita e i vostri cervelli (?) hanno fatto in questi giorni. Cosa rimane adesso? Il nulla o, meglio, lo scontato: i giochi che avevano fatto (una volta) del dilettantismo la loro parola d’ordine, faranno sì che il tennis, il calcio o la pallavo-
lo rimangano gli sport che assicurano pubblicità e soldi. Il calcio – sappilo, ancora tu, mio unico lettore – rimane il motore che fa girare il mondo dello sport. Non fate finta di non capire o – peggio – gli schizzinosi e i sofisticati, sono quei ventidue ragazzotti che permettono alle olimpiadi di sopravvivere (e nemmeno tanto più bene, vista la struttura del torneo di calcio maschile). Ditemi chi è Frank Chamizo? Ora, subito! Non ve lo ricordate, eh? (andatevelo a cercare, non vi aiuterò di certo) Ma, sicuramente, sapete chi è Neymar! Ecco, questo vi spiega l’inutilità delle olimpiadi, la perdita di tempo e di soldi (una marea di soldi) per qualcosa che emoziona quasi quanto un concerto di acid jazz suonato sulle Dolomiti in un pomeriggio di novembre. Mancano quattro anni a Tokyo 2020 (e sperando sempre che il disastro non si abbatta su Roma nel 2024), quindi voi sportivi da pouf leopardato avrete il tempo di allenarvi a preparare commenti all’altezza di un discorso elettorale di Trump. Nel frattempo, mi sia concesso inviarvi, sportivamente, il mio doppio, triplo e anche carpiato... MaffanCOOL!!!
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VAFFANCOOL
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STANZA 105 BLOG
Mino Pica
A BETTER PLACE
Parafrasando Tiziano Terzani, sono innamorato della musica che è stata, affascinato da quella che sarà ma annoiato da quella presente. Mi ritrovo spesso a fotografare lo stato vitale della musica dei nostri tempi, leggendo, ascoltando, e di certo mi pare che non se la passi proprio bene. Questi primi anni 2000 saranno probabilmente ricordati più per le piattaforme e le tecnologie utilizzate che per gli artisti susseguitisi. Scorrendo superficialmente, e velocemente, gli ultimi decenni forse potremmo scrivere, e dire, che siamo passati dai Beatles ai Doors, dai Rolling Stones ai Queen, dai Nirvana agli Mp3, da Spotify a Soundcloud e chissà ancora. La retromania di questi anni, e le reunion generate, probabilmente nasce anche da questo. Reminescenze universitarie mi riportano a McLuhan, alla sua “il medium è il messaggio” e, parafrasando anche questa, sembra naturale dire come anche la musica sia condizionata dalla percezione
del messaggio comunicato, molto più del messaggio stesso. Si ragiona spesso di vinile, di album, copertine, doppio cd e supporto ma la verità è che la plastica è andata a male e l’ascolto è semplicemente liquido, esattamente come liquida è quest’epoca che viviamo. La musica si ascolta online (nel 2015 Spotify ha registrato 30 milioni di abbonati ad esempio) e la curiosità che abbiamo sempre concepito non è più la stessa da tempo; ora la curiosità è la casualità, una casualità figlia in realtà delle nostre stesse preferenze, espresse e lanciate nell’apparente vuoto ogni istante, senza neanche rendercene conto. Siamo sommersi da un linguaggio globale univoco ma siamo noi stessi a fonderlo e formarlo. Che incredibile opportunità! O che incredibile disgrazia? O forse meglio, che incredibile responsabilità! Ogni giorno, ogni ora, siamo noi stessi a fonderlo e formarlo. Ogni minuto su Facebook, ad esempio, si generano 2 milioni di like
e 350 GB di dati passano per i server. Sono più di 200 milioni le mail spedite al minuto e più di 70 le ore di video pubblicate al minuto su You Tube. In tutto questo anche la musica è flusso continuo, ininterrotto che scorre inseguendo like e preferenze e che inevitabilmente viene poi anche dimenticata. Anche la musica come uno streaming continuo, provvisorio e generato, proprio come accade con tutto il resto della nostra quotidianità. Se questo deve essere, allora poniamo maggiore attenzione e selezione ai nostri like, alle nostre scelte, al nostro condividere. Sfruttiamo le pop star dei nostri tempi, mettiamo in comune il nostro gusto educato, il nostro bisogno espressivo. Non accontentiamoci di documentare i nostri movimenti, cerchiamone di nuovi e riprendiamoci la nostro identità. Come ci chiedono e ci illudono da circa 20 anni: we are making the world a better place.
I quaderni del senno di poi di Francesco Cuna | facebook: quadernidelsennodipoi
EVENTI
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VERSOTERRA A CHI VIENE DAL MARE
Il nuovo progetto dell’autore, attore e regista Mario Perrotta
Paola Roscioli foto Luigi Burroni
Dal 30 settembre al 2 ottobre nel Salento tra il centro storico di Lecce e la costa adriatica e ionica - si terrà “Versoterra – a chi viene dal mare”, nuovo progetto dell’autore, attore e regista leccese Mario Perrotta (tre volte vincitore del Premio Ubu, il più ambito riconoscimento teatrale italiano). Tre giorni con spettacoli dall’alba a mezzanotte, circa cinquanta artisti e artiste coinvolti con performance di teatro, musica, danza, fotografia, videomapping, la “messa in scena” della fortunata trasmissione radiofonica Emigranti Esprèss e la prima nazionale dello spettacolo Lireta. Dopo il grande successo del Progetto Ligabue, che nel 2015 ha conquistato il Premio Ubu, l’artista salentino, infatti, ha ideato una nuova produzione corale sul tema della migrazione. E per farlo ha pensato alla sua terra d’origine, terra di approdi e di partenze. Tra gli artisti Ippolito Chiarello e Alessandro Migliucci (registi di percorso), Claudio Prima ed Emanuele Coluccia (progetto musicale e arrangiamenti), Maristella Martella (coreografie), gli attori e le attrici Gabriele Avantaggiato, Lian Cavalera, Dario De Mitry, Chiara De Pascalis,
Angelica Di Pace, Antonio Guadalupi, Simone Maci, Piergiorgio Martena, Elisa Murroni, Diego Perrone, Giulia Piccinni, Maria Chiara Provenzano, Artur Safonov, Paolo Stanca, le cantanti Rachele Andrioli e Rebecca Bove, i musicisti Igor Legari, Vera Longo, Maurizio Pellizzari, le danzatrici e i danzatori Alessandra Ardito, Livio Berardi, Tiziana D’Ascenzo, Stefano De Benedittis, Laura De Ronzo, Fatoumata Piconese e Manuela Rorro, il videomapping a cura di Hermes Mangialardo. VersoTerra è organizzato dall’associazione culturale Permàr e dalla cooperativa Coolclub con il sostegno di Regione Puglia, Teatro Pubblico Pugliese (Accordo di Programma Quadro Rafforzato “Beni ed Attività Culturali”- Fondo Sviluppo e Coesione 2007/2013), Apulia Film Commission, Comuni di Lecce, Melendugno, Diso, Nardò, Tricase, Sac - Porta d’Oriente, Parco Naturale Regionale “Costa d’Otranto-Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase” ed Europarc Federation, Istituto di Culture Mediterranee, La Piccionaia, Duel, Arci Lecce, Lecce Festival della Letteratura e altri partner privati. Info versoterra.it
VERSOTERRA - A CHI VIENE DAL MARE - 30sett/2ott
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EVENTI
Mario Perrotta foto Luigi Burroni
dal 30 settembre al 2 ottobre - ore 11.30 Castello Carlo V - Lecce
EMIGRANTI ESPRèSS
La tre giorni di Versoterra prenderà il via venerdì 30 settembre alle 11.30 nel cortile del Castello Carlo V di Lecce con una prima assoluta, un evento in tre spettacoli pensato per Lecce. Per tre giorni (sino a domenica), Mario Perrotta proporrà una storia, quella del treno Lecce-Stoccarda che partiva tutti i giorni verso le “Americhe” del nord Europa carico di emigranti salentini. I tre spettacoli - organizzati in collaborazione con Lecce Festival della Letteratura - sono la realizzazione live della nota trasmissione sull’emigrazione italiana del dopoguerra, Emigranti Esprèss, realizzata dall’attore e regista per Radio Rai 2. Nel 1980 Mario Perrotta ha 10 anni e da solo, una volta al mese, va in treno da Lecce a Milano, per vedere un po’ più spesso suo padre che lavora a Bergamo e per controllare “l’apparecchio ai denti”. In ogni viaggio viene affidato dalla madre a una famiglia di emigranti scelta sul momento. Brindisi, Bari, Pescara, Ancona, Rimini, Bologna, Parma, Milano; ma anche Zurigo, Stoccarda e Bruxelles in un fuori programma deciso dal padre all’arrivo nella grigia e imponente Stazione Centrale di Milano.
Ogni fermata corrisponde a un capitolo del libro e ritrae un’Italia sopravvissuta a un’epopea di umani affanni. La curiosità di Mario bambino alimenta la sua fantasia insieme ai racconti dei viaggiatori. Scorrono davanti ai suoi occhi le odissee degli italiani che negli anni sono stati costretti ad abbandonare i luoghi d’origine nella speranza di un’esistenza migliore. Nei paesi di destinazione, non così distanti, hanno trovato intolleranza, subito umiliazioni, incontrato condizioni di vita e di lavoro disumane. Cambiano il colore della pelle, i nomi, l’epoca, i mezzi usati e i luoghi di partenza e di arrivo, ma si ripete ancora oggi quel drammatico movimento migratorio che accomuna popoli di diverse sponde geografiche. Attraverso la voce e lo sguardo di un bambino che mescola dentro di sé radici, tradizioni, rimpianti, dialetti, sogni, attese, Emigranti Esprèss è la narrazione di quei viaggi sul treno degli emigranti: non solo la rievocazione di storie italiane strappate alla dimenticanza, ma una sorta di poema popolare che commuove e fa riflettere. Ingresso libero su prenotazione leccefestivaletteratura@gmail.com
VERSOTERRA - A CHI VIENE DAL MARE - 30sett/2ott
EVENTI
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Lireta Katiaj foto Luigi Burroni
dal 30 settembre al 2 ottobre - ore 20.45 Acquaviva di Marittima, Diso (Le)
LIRETA - A CHI VIENE DAL MARE Lo spettacolo andrà in scena in prima nazionale nell’insenatura di Acquaviva di Marittina, frazione di Diso, in provincia di Lecce. “Lireta - a chi viene dal mare”, scritto e diretto da Mario Perrotta è il cuore del progetto “Versoterra”. L’attrice Paola Roscioli – accompagnata da Laura Francaviglia (chitarra) e Samuele Riva (violoncello) – sarà la protagonista della storia di Lireta
Katiaj che sabato 1 ottobre (ore 18 - ingresso libero) alla Fondazione Palmieri di Lecce presenterà in prima nazionale il suo diario “Lireta non cede” (Terre di Mezzo) con Natalia Cangi (direttrice dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano), in collaborazione con Lecce Festival della Letteratura. «Quando ho conosciuto Lireta Katiaj al Premio Pieve nel 2012 (premio annuale organizzato dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano in provincia di Arezzo), mi sono innamorato immediatamente della sua storia d’immigrata, una storia archetipica che contiene in sé tutte le stigmate del migrare: dalle ragioni fino alle conseguenze di una scelta così forte come quella di lasciare la propria terra», sottolinea Mario Perrotta. «In questi tre anni sono tornato spesso intorno alle pagine del suo diario fino a quando uno dei punti centrali del suo racconto, quel volo in acqua con una bimba di soli tre mesi in braccio, non ha fatto cortocircuito con quell’immagine violenta che la cronaca recente ci ha imposto per settimane su ogni mezzo di informazione: il corpo di quel bambino di soli tre anni riverso sulla spiaggia con la faccia nella sabbia. È stato uno schianto: il volo di Lireta, il bimbo sulla spiaggia e mio figlio, tre anni anche lui, che dorme tranquillo nel suo lettino. Da quel momento non ho potuto più tenere insieme queste tre immagini senza avvertire un malessere forte, fisico. E quando accade questo, so che spetta al teatro il compito di sciogliere il nodo allo stomaco. La prima idea, come sempre, è stata quella di una possibile drammaturgia, certo, ma non è abbastanza», prosegue Perrotta. «Perché il bisogno profondo è di maneggiare la materia a lungo, nel tempo e nello spazio, ragionare a più voci e in diverse forme e allora il pensiero corre subito a un progetto che unisca l’invenzione teatrale con la realtà dei luoghi, delle facce e delle voci di chi, ieri e oggi, ha scelto di puntare verso terra attraversando il mare». Ingresso 12 euro Prevendite Clinica dell’Accendino di Lecce e Circuito BookingShow
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EVENTI
VERSOTERRA - A CHI VIENE DAL MARE - 30sett/2ott
1 e 2 ottobre (ore 5.45) San Foca Ex-Cpt Regina Pacis
PARTENZE
L’alba. Il sole sorge sul mare Adriatico salendo dietro i monti di Albania. Rischiara il paesaggio di rocce e sabbia, le mille insenature tra San Foca e Roca e un edificio fatiscente che guarda il mare: l’ex centro di permanenza temporanea Regina Pacis. Nella sospensione della prima luce arrivano migranti con le loro storie di partenze. Le ragioni che, in ogni sud del mondo, inducono a partire suoneranno nelle parole e nelle note degli attori e musicisti coinvolti e degli immigrati ospiti nei centri di accoglienza salentini. Poi, così come sono arrivati spariranno verso l’entroterra. Resterà solo, ingombrante, l’edificio del Regina Pacis con la sua cancellata, trasformata per l’occasione in una esposizione di foto, articoli di giornale, video e suoni di ciò che accadde per anni in quel centro, simbolo del lato oscuro dell’accoglienza. Con la luce del sole ormai alta, gli spettatori lasceranno la costa per ritrovarsi, durante la giornata, negli altri luoghi del progetto. Ingresso libero
1 e 2 ottobre (ore 17.15) Nardò / Porto Selvaggio
APPRODI
Tramonto. Il sole si dissolve sulle acque del mare Ionio e, nella scia di luce che resta, ombre umane riemergono tra la pineta e il mare con le loro storie di approdi. Il pubblico sarà avvolto dalle speranze, le attese e le delusioni di tanti possibili approdi e ascolterà il racconto del nostro mondo così come non lo abbiamo mai pensato, perché diversi sono gli occhi di chi lo guarda e lo racconta. Scopriremo così quale esito hanno avuto le vite incontrate all’alba sull’Adriatico. Con la sera che incalza, non resta che lasciare lo Ionio, attraversare ancora il Salento verso est, affacciarsi sulla scogliera e avventurarsi nella boscaglia che conduce a un palco sull’acqua, in attesa che la storia di Lireta si svolga davanti ai monti di Albania. Ingresso libero
EVENTI
a cura di CHIARA MELENDUGNO
LECCE FESTIVAL DELLA LETTERATURA
Dal 30 settembre al 2 ottobre la rassegna ospiterà incontri e presentazioni sul tema “Invito al viaggio” Dal 30 settembre al 2 ottobre nel centro storico del capoluogo salentino appuntamento con la seconda edizione di “Lecce Festival della Letteratura” che sarà incentrata sul tema “Invito al viaggio”. «Cosa spinge un essere umano a mettersi in cammino? Abbiamo cercato la risposta nei libri e a ogni pagina letta ci siamo imbattuti in una risposta diversa. Chatwin raggiungeva la Patagonia spinto dal suo spirito d’avventura nutrito da ricordi d’infanzia; Kerouac attraversava in lungo e in largo l’America per pura istintiva frenesia di vivere. Tanti altri personaggi dei romanzi che abbiamo letto si sono messi in viaggio, invece, per sfuggire alla guerra, alla povertà. Noi che abbiamo lavorato tanto a questa seconda edizione del nostro piccolo festival abbiamo imparato che si può viaggiare anche rimanendo sempre nello stesso posto». Tantissimi gli incontri in cartellone, divisi per tematiche e diffusi in città. Per la sezione “Lecce Incontra”, in calendario durante la mattina alcuni incontri riservati agli studenti in diverse scuole cittadine. Tra questi anche quello di venerdì 30 settembre al Liceo Scientifico Banzi con Lireta Katiaj, Natalia Cangi, Simona
Cleopazzo e Melissa Perrone su “Lireta non cede, Diario di una ragazza albanese”. Lireta racconterà in prima persona la sua storia di giovane donna migrante che ha ispirato il progetto teatrale di Mario Perrotta VersoTerra. Spazio anche a laboratori e workshop inseriti nella sezione “Officine”. Tra gli appuntamenti previsti sabato 1 ottobre da segnalare quello con Rossella Piccinno, regista e artista multimediale e relazionale, che terrà uno show&tell sul suo approccio artistico al tema del viaggio (Fondo Verri, ore 18.30). Il festival invaderà anche i cortili dei palazzi leccesi, con momenti di lettura aperti a grandi e piccini e racconti interpretati da attori, scrittori e musicisti. Tanti gli Eventi Speciali in diversi luoghi della città, interessanti occasioni di incontri e dibattito attorno ai classici della letteratura internazionale. A chiudere la rassegna, sarà ad esempio, la lettura-concerto “Viaggio in Italia di Goethe”, con Mauro Marino e Pierluigi Epifani (2 ottobre, Fondazione Palmieri, ore 21). Il programma completo è sulla pagina Facebook Lecce Festival della Letteratura. Per info e prenotazioni: leccefestivaletteratura@gmail.com
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sino al 16 ottobre Cantieri Teatrali Koreja - Lecce EVENTI
OPEN DANCE
9 e 23 ottobre Ammirato Culture House
AlICE E LE ALTRE
All’Ammirato Culture House di Lecce prosegue la rassegna “Alice e le altre. Il cinema delle donne”. “Elles tournent” diceva Alice Guy, la prima regista donna nella storia del cinema, esortando le donne a “girare”, a fare cinema, a raccontare attraverso la macchina da presa. Da questo invito nasce l’idea della rassegna - promossa dal centro culturale leccese e dalla Fondazione Musagetes - che proseguirà sino al 23 dicembre con un fitto cartellone di proiezioni, incontri, dibattiti per un percorso senza riflettori e tappeti rossi, per conoscere da vicino i racconti, i sogni, le visioni di registe italiane e straniere. Domenica 9 ottobre (ore 19 - ingresso libero) appuntamento con “Corpo Celeste” di Alice Rohrwacher (Italia, 2011). Marta è tornata a vivere alla periferia di Reggio Calabria (dove è nata) dopo aver trascorso 10 anni in Svizzera. Domenica 23 ottobre (ore 19 - ingresso libero) sullo schermo “Il fondamentalista riluttante” di Mira Nair (Usa, 2012). L’odissea di un ragazzino di dieci anni, arrivato a Bombay con la convinzione di guadagnare in fretta le cinquecento rupie promesse alla madre. Ma nella metropoli piomba in una sorta di girone infernale popolato di criminali, di prostitute e di drogati. www.ammiratoculturehouse.org
Tutto pronto per la nuova edizione di Open Dance, rassegna dedicata al teatro-danza e alla danza contemporanea organizzata dai Cantieri Koreja di Lecce. Dodici gli appuntamenti in programma dal 16 settembre al 16 ottobre, fra performance italiane e internazionali, prime regionali, progetti site-specific e coreografia contemporanea. Dopo l’inaugurazione della Folkwang TanzStudio di Essen (Germania), la prestigiosa scuola tedesca fondata nel 1928 da Kurt Jooss, diretta da Pina Bausch fino alla sua morte, sul palco del teatro leccese si alterneranno grandi nomi del panorama contemporaneo: Stefano Mazzotta ed Emanuele Sciannamea (compagnia Zerogrammi) con Jentu (30 settembre), performance ispirata al Don Quijote di Miguel de Cervantes; Laura Corradi ed Ersilia Danza di Verona in scena con La Stessa Sostanza Dei Sogni (7 ottobre); Simona Bertozzi e la Compagnia Nexus di Bologna con due performances “Prometeo: Contemplazione_Estratto” e “Prometeo: Il Dono”, due dei quattro quadri che compongono il progetto della coreografa intorno al leggendario demiurgo della mitologia greca. Programma completo su www.teatrokoreja.it
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EVENTI
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28 ottobre – ore 21.30 Teatro Palazzo – Bari
SAMUELE BERSANI
Il cantautore di Rimini ripercorre venticinque anni di canzoni, tra sperimentazioni e arrangiamenti inediti, nella nuova tournée prodotta da F&P Group che prende il nome dall’ultimo progetto discografico “La Fortuna che Abbiamo”. Le prevendite sono già aperte sul circuito Ticketone.it e in tutti i punti vendita abilitati. Biglietti da 40 euro – Info 080.975.33.64
29 ottobre - ore 21.30 Teatro Italia - Gallipoli (Le)
OHM - PINK FLOYD
La cantante statunitense Durga McBroom e il percussionista inglese Gary Wallis saranno gli ospiti della serata “Pink Floyd. Gli Ohm, una delle migliori tribute band italiane, affiancati dai due artisti - che hanno collaborato con la band britannica - proporranno un viaggio tra i classici senza tempo come Shine On you Crazy Diamond, Time, Money, The Great Gig In The Sky, Sorrow e altri ancora. Ingresso 20 euro. Info 331.9394120
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EVENTI
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dal 3 al 6 novembre Lecce
Conversazioni Sul Futuro TedxLecce Da giovedì 3 a domenica 6 novembre a Lecce si terrà la quarta edizione della rassegna “Conversazioni sul futuro”, promossa dall’associazione “Diffondere idee di valore”, in collaborazione con numerosi partner pubblici e privati. Quattro giorni con workshop, incontri, dibattiti, confronti, lezioni, proiezioni, musica, presentazioni di libri, le Officine dei Bambini e delle bambine, le Officine del futuro. Ogni anno la rassegna coinvolge circa 100 tra giornalisti, imprenditori, attivisti, blogger, ricercatori, musicisti, docenti universitari, scrittori, designer, amministratori pubblici con una serie di incontri disseminati nel centro storico di Lecce su economia e impresa, politiche giovanili e open data, diritti e inclusione sociale, Europa e attivismo digitale, comunicazione politica, scienza, architettura, filosofia, arte, design, giornalismo e molto altro. Evento principale della rassegna (unico a pagamento) sarà la quinta edizione di TedxLecce che si terrà sabato 5 novembre. Dopo “Innovazione e imprenditorialità”, “Coraggio”, “Futuro” e “Revolutionary Roads” il tema della conferenza sarà “Memoria”. Tra gli ospiti che hanno già confermato la loro presenza Pierdante Piccioni (medico che ha perso e faticosamente ritrovato
la memoria dopo un incidente stradale), Patrizia Spadin (presidente dell’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer), Laura Bosetti Tonatto (“naso” professionista conosciuto in tutto il mondo che crea profumi per le maggiori case cosmetiche), Gastone Garziera (ingegnere che - con Giorgio Perotto e Giovanni De Sandre - ha realizzato nel 1964 la “Programma 101” o “P101” dell’Olivetti, il primo personal computer della storia), Marco Damilano (vicedirettore dell’Espresso), Giovanni Ziccardi (giurista e scrittore, appassionato di criminalità informatica, hacking, diritti di libertà, investigazioni e dissidenti digitali e del rapporto tra diritto e letteratura), Massimo Delle Donne (genetista dell’Università di Verona), Alessandro Treves (neuroscienziato della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste), Pietro Masturzo (fotografo), Riccardo Noury (Amnesty International), Mario Perrotta (attore e regista) e le performance di Daniele Don Pasta De Michele, la compagnia Tarantarte e il Posto.org. Le prevendite per TedxLecce saranno attive nel circuito BookingShow e al botteghino del Teatro Politeama Greco dal 5 ottobre. tedxlecce.it / conversazionisulfuturo.it