I Diavoli di via Padova

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Capitolo 1

In casa non consumo molto anche perché non c’è quasi mai niente. Colazione non la faccio ma dopo poco che sono sceso dal letto mi viene voglia di consumare. Caffè, succo, birra, kebab – il cevice no, non sopporto il pesce. È un modo di fare qualcosa. Nell’armadio ho giusto il necessario per uscire. Non mi piace stare in casa, dopo un’ora, meno di un’ora, se non dormo devo uscire. La casa è bianca, bianco latte, niente quadri, le luci quelle che servono. Vivo qui da vent’anni. No. Ventuno. Allora esco. Scendo a piedi, guardo i ballatoi, sto al terzo, vado giù. La ringhiera del terzo, del secondo, del primo. La gente si è aggregata per magnetismo, per somiglianza. Al terzo c’è chi osserva, un pensionato un fotografo una violoncellista due studentesse un assistente sociale. Al secondo chi lavora, una barista un meccanico un postino un medico. Al primo chi si nasconde, due travestiti un pusher un paio di chissà. Al piano terra il retro dei negozi, il tabaccaio i peruviani che cucinano polli la farmacia il bar del Bangladesh l’alimentari indiano il parrucchiere cinese. Così mi sveglio, il mondo arriva addosso.


MATTEO SPERONI

Nel palazzo il tempo è scandito da apparizioni e scomparse frequenti. Un giorno qualcuno svanisce e non c’è un portinaio che ti racconti una trama credibile. Il portinaio non esiste proprio, dove c’era la guardiola ora si raccoglie la spazzatura. Le storie degli scomparsi sono sussurri, ipotesi, insinuazioni, spunti per l’immaginazione di chi inventa un futuro per gli altri, tragico o avventuroso. Altre volte sulle scale origli confidenze sul passato vergognoso di qualcuno che è approdato da qualche ora, ancora prima che abbia sistemato il materasso. Il palazzo al quale mi sono ancorato è un’area di sosta per sciami di esseri in viaggio. Apro il portone con difficoltà, la serratura non ha mai funzionato. Mi capita di aiutare chi non riesce. La mossa è facile. Tasto e scossone. Fuori. Non importa se ci sia sole o pioggia fine, è domenica sono tutti in giro. Quelle monete sulla scrivania le ho prese? Ma per mangiare o bere è come in un paese, puoi lasciare segnato. Il conto aperto non fa per me, forse devo abituarmi a essere di nuovo in una comunità nella quale però non sono entrato io, è lei che in un decennio si è annidata intorno a me. Ci conosciamo per nome, puoi scendere mangiare e bere anche in ciabatte come fa Bel. In strada verso destra lo incontro «ciao Bel no grazie la birra ora no ci vediamo dopo». Alla birra e all’amico peruviano preferisco salsicce e friarelli nella pasticceria napoletana che non è solo pasticceria. Lì – bisogna superare la rotonda, a piedi sono tre minuti – oltre alle salsicce vendono anche i biglietti per i concerti di Gigi d’Alessio. La via si accende prima che io sia sveglio, aiuta. È domenica, ci sono più voci e meno motori, le sentivo già sa10


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lire dall’abbaino mischiate alla musica. I peruviani stanno proprio sotto la mia finestra, si piazzano al bar del Bangladesh, il trillo della sveglia sa di salsa e merengue. Quando sono arrivato qui da Lambrate il quartiere seguiva i ritmi della città, la domenica era tutto chiuso. C’era la pizza al trancio appena a destra nella via Padova e una latteria aperta – in via Stazio – che ora non c’è più, poi il silenzio delle feste, anche se la festa te la immagini chiassosa. Non è mai stato così. Il giorno di festa a Milano è sempre stato muto. Adesso la gente è in giro, si muove in tutte le direzioni esce da TodoLatino e da AsiaEuropa con sacchetti di carta che gocciolano colori, i cinesi tengono aperto quattordici ore su ventiquattro 365 giorni su 365. Ti affacci sulla via Padova, io la chiamo fiume Padova a corrente umana continua, e passeggi in un prato di fiori parlanti, profumi e piante carnivore. C’è da fare su questo asfalto in movimento, anche il nulla. Chiacchierare ridere discutere camminare in su e in giù entrare e uscire da case negozi e cortili. C’è vita qui. Che bel posto per un perdigiorno come me. Due maghreb in venti passi. A destra il kebab egiziano, si fuma narghilè ai tavoli sul marciapiede, a sinistra appena più avanti l’altro nordafrica, gestione cinese frequentazione marocchina. Due bar stessa lingua – arabo – ma nel secondo il tono è secco, non cambiano solo i dialetti, anche gli argomenti, lo capisce uno di Lambrate. Di fronte, dopo il narghilé, a formare un triangolo di locali, la bottega di Carlos, terra di birra di Cuzco e luogo neutrale dove si parla spagnolo e arabo passando dall’italiano. Sulla rotonda, su quel piccolo lago lungo il fiume Padova, s’affaccia un altro bar di cinesi. Lì davanti ci so11


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no tutti, eccitati ma non con la stessa vibrazione dei ragazzi che la domenica stirano la nottata alla luce della mattina. Signore bambini sorelle mariti compagnie giovani infiltrate da solitari in cerca di compagnia. Arabi italiani cinesi albanesi slavi. I sudamericani preferiscono l’enclave del Bangladesh in Transiti, la via dei Transiti, musica dalle autoradio e fiesta. Da lì sono partito circa tre minuti fa. «Salsiccia e friarelli per favore». In una ciotola di plastica fuma il pasto domenicale, non mi sento un barbone con questa salsiccia in strada, sarà che mangiano bevono parlano tutti o forse la serata prima, con calma ricorderò che cosa ho fatto ieri. Ma che cosa vuoi che abbia fatto? Non mi sento osservato, faccio quello che voglio stretto nella giacca stropicciata, la ciotola, la faccia gonfia, non mi sento straniero, mentre mordo la salsiccia mi viene pure voglia di suonare se solo sapessi suonare qualcosa. Attento però meglio attraversare sulle strisce. «La bevi una birra adesso se no mi offendo». Dopo colazione la birra ci sta. «Sì Bel, Corona però». «Quella che vuoi». Bel – cinquantenne peruviano migrato a Miami e New York da otto anni qui – spezza la sigaretta sul muro per entrare, lo fa sempre, una sigaretta dura tre birre. Un filo di fumo si alza dal mozzicone nascosto dietro la schiena. «Non si può fumare dentro, sempre tu». La scena è stata provata centinaia di volte. Il bengalese Rott da dietro il bancone riprende Bel, «non ti do più da bere», lui riattizza la sigaretta con un tiro che sa di sberleffo, Rott scivola fuori dalla sua postazione, Bel aspetta l’ultimo mo12


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mento, quando la distanza tra loro è un passo esce con una giravolta e spegne la brace. Solo allora la birra compare sul banco. «Lo vedi che cosa mi è successo?» «Che cosa Bel?» A me pare tutto normale. «Guarda i capelli». «E allora?» «Questi capelli». «In effetti». «Ieri è venuta a trovarmi una signora, un’anziana che non vedo da mesi, quando passa mi vuole sempre bene. Lei è peruana, dicono che fa la maga, fa le medicine, dio sa che cazzo ci mette nelle… nelle… come si chiamano?» «Le bottigliette, le boccette?» «Quelle lì. Dice che ho i capelli troppo fini, che così cadono e mi dà una bottiglia piccola piccola. Quando è andata via ne ho messa una goccia giuro una goccia davanti e guarda qui». Sull’occhio destro di Bel scende un rivolo anomalo, un ciuffo abnorme, nerissimo. Mentre salgo e scendo da casa per recuperare le monete – le sigarette non me le danno a credito – penso a quanti soldi potrebbe fare la maga, risolverebbe i problemi di tutti, di Bel di tanti altri. Il suo incantesimo fluido potrebbe trasformare il quartiere in una zona residenziale. «Ragazzi ce n’è per tutti!» Figuriamoci, una ricetta infallibile per curare la calvizie. Non può essere vera, questa storia non può essere vera. «Sì, pacchetto morbido grazie». Accanto al raccoglitore di sigarette c’è lo sportello del13


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le schedine, quanti giochi si possono fare qui dentro, lotto enalotto gratta e vinci win for life lotto svizzero cavalli. Per registrare una schedina c’è più coda che in posta, se almeno avessi il vizio di giocare, ma niente, mi annoio subito. L’Adri no. Guardalo lì, con il suo nuovo raccolto di foglietti che finiranno per trasformarsi in foglie morte. Non ne ha mai azzeccata una grossa, di quelle che ti fanno paonazzo e ti seccano la bocca. L’Adri si siede e li compila, tra un appartamento e l’altro marca decine di x, guarda l’orologio e scrive, guarda l’orologio e scrive. Fa l’agente immobiliare, lui, vende case in zona.

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