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Capitolo i Cronaca di una rivoluzione annunciata
È molto comune, tra gli studiosi, l’affermazione che la vicenda della Unione europea in generale è caratterizzata da decisioni e atti che hanno innescato effetti non previsti (le famose unintended consequence), cosicché molti degli sviluppi dell’Europa come unione di popoli e stati non sono il frutto di un progetto, ma piuttosto del fatto che, per così dire, gli avvenimenti hanno preso la mano ai responsabili politici e ad altri attori e hanno dato forma al processo di costruzione europea. Se ciò è vero in molti casi, non lo è affatto in quello della moneta unica. Questa vicenda, infatti, è stata progettata e si è sviluppata secondo un preciso disegno, i cui effetti erano non solo previsti, ma anche attesi. Inoltre, per la intenzionalità di chi l’ha voluta e per il suo contenuto politico, di creazione di un potente strumento di unificazione degli europei, non è esagerato parlare di una rivoluzione. Si è trattato quindi di una rivoluzione, ma annunciata. Di essa è utile qui mettere in rilievo alcuni elementi distintivi. Le premesse Si è già chiarito che questo libro è dedicato soprattutto all’euro come entità fisica, fatta di monete e banconote. Tuttavia, non si devono dimenticare altri aspetti, che sono altrettanto importanti. Uno di questi è che l’euro è parte di un processo politico, istituzionale, economico e finanziario di cui la entità fisica è il risultato più visibile per i cittadini. Mentre le monete e le banconote hanno materializzato l’euro solo il 1° gennaio di
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dieci anni fa, la moneta unica europea esisteva già da tempo. La vicenda è nota e inoltre è disponibile ovunque una quantità di informazioni più che sufficiente in merito; ma ricordare alcuni momenti di questo processo non può fare male. La previsione della istituzione di una moneta unica è inserita nel Trattato di Maastricht, quel documento approvato nel 1992 e ratificato l’anno successivo da tutti i paesi membri che ha, tra l’altro, segnato il passaggio da “Comunità” a “Unione” europea e che ha istituito la cittadinanza comunitaria. Leggiamo che cosa dice il Trattato, all’articolo 3a: 1. … l’azione degli Stati membri e della Comunità comprende … l’adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. 2. Parallelamente, … questa azione comprende la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio che comporterà l’introduzione di una moneta unica, l’Ecu, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nella Comunità conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. 3. Queste azioni degli Stati membri e della Comunità implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile.1
Il Trattato di Maastricht, in altre parole, stabilisce l’adozione di una moneta unica come parte del processo di costruzione 1
Grassetto aggiunto.
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di una unione economica e monetaria, avviata con il Trattato di Roma del 1957. Quest’ultima consiste in generale nel fatto che stati indipendenti integrano le loro economie per ottenere benefici di scala, come ad esempio una maggiore efficienza interna e una maggiore solidità rispetto a eventi esterni. Tuttavia ci sono diversi gradi in cui questa integrazione può realizzarsi e, a partire dal 1957, l’Europa ne ha saliti diversi. Prima è stata un’area preferenziale di scambi commerciali, con tariffe doganali ridotte tra i paesi; poi un’area di libero scambio, con la eliminazione delle tariffe doganali tra i paesi partecipanti; quindi è stata un’unione doganale, con le medesime tariffe nei confronti dei paesi terzi e una politica comune di commercio estero; è stata poi un mercato comune, con le medesime norme sui prodotti e il libero movimento di beni, capitali, lavoro e servizi. Una unione economica e monetaria vera e propria, invece, è fatta di un mercato unico con un’unica politica monetaria. Si può affermare con qualche approssimazione che il Trattato di Maastricht stabilisce il passaggio dal mercato comune al mercato unico e che la introduzione dell’euro (nel Trattato ancora definito come Ecu2) è parte integrante del disegno di costruzione di una vera e propria unione economica e monetaria. Questo disegno è stato realizzato in tre tappe. Nella prima, partita nel 1990, sono state rimosse le barriere alla integrazione finanziaria tra i paesi, in particolare attraverso la creazione di un meccanismo di fluttuazione fissa dei cambi tra le monete. Il “mercoledì nero” del 16 settembre 1992, quando per l’attacco degli speculatori Italia e Gran Bretagna furono costrette a uscire da questo meccanismo, dimostrò che occorrevano più decisi passi in avanti. Nella seconda tappa, avviata nel 1994, è stato 2 Un nome successivamente modificato in euro, secondo alcuni perché aveva un significato solo in una lingua (il francese: scudo), mentre in altre era un acronimo (in inglese: European Currency Unit), secondo altri perché in tedesco “Ein Ecu” ha assonanza con “una mucca”. In ogni caso, il nome euro fu scelto perché radice del nome Europa e per questo presente in tutte le lingue ufficiali comunitarie.
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quindi creato un Istituto monetario europeo che associava le banche centrali rendendole parzialmente indipendenti dai governi nazionali, sono stati fissati i criteri di convergenza, è stato definito il Patto di stabilità tra i paesi e sono stati identificati gli undici stati che avrebbero fondato la Eurozona, o Eurolandia che dir si voglia: si trattava in pratica dei paesi membri della Unione con l’esclusione, per diverse e note ragioni, della Gran Bretagna, della Grecia (successivamente rientrata nella operazione), della Svezia e della Danimarca. Nella terza tappa, avviata nel 1999, sono stati fissati in modo irrevocabile i criteri di conversione delle monete nazionali diventate unità divisionali della moneta unica anche se solo come moneta “scritturale”, è stata istituita la Banca centrale europea insieme a un Sistema europeo delle banche centrali ed è stata avviata la pianificazione del changeover, ossia della sostituzione delle monete nazionali con l’euro, fissata, appunto, al 1° gennaio 2002. Di questa vicenda, riportata qui in modo più che sommario, ai fini della riflessione condotta in questo libro vanno sottolineati due punti. Il primo è che la selezione dei paesi che dovevano costituire la Eurozona è stata condotta in base a una lettura “aggiustata”, o meglio “politica”, dei criteri di Maastricht, i quali prevedevano che ogni paese dovesse garantire precisi target riguardanti la stabilità dei prezzi, un deficit e un debito pubblico sostenibili, la stabilità dei tassi di interesse nel lungo periodo, la stabilità dei tassi di cambio e una dimostrata volontà di non ricorrere alla svalutazione della propria moneta. Gli italiani ricordano bene la “Eurotassa”, ufficialmente presentata come un prestito; ma non bisogna dimenticare neanche che, per rientrare nei parametri del Patto di stabilità, ad esempio la Germania vendette i terreni che appartenevano alle ferrovie statali, rivalutò le sue riserve auree e tagliò temporaneamente il budget della sicurezza sociale e che la Francia incorporò nel bilancio pubblico i fondi pensionistici della impresa di telecomunicazioni France Telecom. Tutto ciò, naturalmente, si
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aggiunse agli sforzi chiesti ai cittadini ma anche alle parti sociali di fare ogni tipo di sacrificio per rispettare il Patto di stabilità – sforzi che furono compiuti e che testimoniano al di là di ogni ragionevole dubbio il consenso popolare che quella operazione comunque ottenne. Il punto, tuttavia, è che di fatto i criteri di Maastricht furono raggiunti anche con operazioni di “finanza creativa” che furono ritenute legittime per ragioni squisitamente politiche. Il secondo punto è che, come molti critici sostennero all’epoca, la Unione economica e monetaria non richiedeva per necessità il passaggio a una moneta unica. Queste posizioni furono espresse soprattutto dai britannici, i quali avevano ottenuto una clausola di opting out, ossia il diritto di decidere di non partecipare alla moneta unica pur essendo parte costitutiva e rilevante della Unione monetaria. Il Regno Unito, infatti, utilizzò quella clausola e si tenne stretta la sua sterlina perché – come l’allora ministro del tesoro Gordon Brown sottolineò – l’adozione dell’euro non era stata valutata utile per gli interessi economici britannici “in modo chiaro e non ambiguo”. Questa opinione, sicuramente plausibile al di là di ogni giudizio tecnico, ci porta più vicini al tema dell’altra faccia della moneta. La questione si può porre in questi termini: ma se la creazione di un’unica moneta non era necessaria al fine di completare la Unione economica e monetaria, quali furono le ragioni della sua adozione? Conseguenze volute Questa domanda diventa ancora più intrigante se si leggono le dichiarazioni dell’epoca di politici e grand commis, protagonisti della introduzione della moneta unica. Non c’è, a questo proposito, grande differenza tra i rappresentanti degli stati nazionali e quelli delle istituzioni della Unione. Tutti ammettono, riconoscono o rivendicano significati della operazione che vanno ben al di là – molto al di là – di una operazione di politica monetaria.
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Tra i rappresentanti nazionali si possono citare Rudolph Edlinger, ministro delle finanze austriaco che parla dell’euro come dell’«alba di una nuova era della storia»; il presidente francese François Mitterrand, secondo il quale l’obiettivo della Unione europea si può sintetizzare in «una moneta, una cultura, uno spazio sociale, un ambiente»; il premier spagnolo Felipe Gonzalez, secondo il quale «la moneta comune è la più grande cessione di sovranità dalla fondazione delle Comunità europee»; il cancelliere tedesco Helmut Kohl, che parla della introduzione della moneta unica come del «processo più decisivo per questo e per il prossimo secolo». Per quanto riguarda i rappresentanti delle istituzioni comunitarie, si può menzionare innanzitutto Jacques Santer, presidente della Commissione europea fino al 1999, che nel 1998 dichiara: L’euro è anche un potente fattore per forgiare una identità europea. I paesi che condividono una moneta comune sono paesi pronti a unire i loro destini come parte di una comunità integrata. L’euro porterà i cittadini a essere più vicini insieme, e fornirà una manifestazione fisica del loro crescente avvicinamento.
Ma non vanno dimenticati Wim Duisenberg, presidente della Banca centrale europea, secondo il quale la moneta unica «è… una pietra miliare sulla via di una Europa unita» e Yves De Silguy, commissario europeo agli affari economici e finanziari, per il quale «la introduzione della moneta unica è il più importante evento dalla Seconda guerra mondiale». Lo stesso Romano Prodi, subentrato a Santer, in un discorso pronunciato due settimane dopo il changeover, dichiara: Per milioni di cittadini europei, le banconote e le monete che portano in tasca sono il segno tangibile del grande progetto politico dell’Europa Unita. Dal punto di vista simbolico, esso
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supera il pur forte impatto emotivo provocato dalla soppressione del controllo d’identità alle frontiere intracomunitarie. L’euro diventa in questo modo un elemento chiave del loro senso di identità europea e di un destino comune, così com’è già segno tangibile del carattere irreversibile dell’integrazione europea.
Anche i media fecero da eco per questa percezione condivisa. Lo European, ad esempio, scrisse che quello della moneta unica era «il progetto più audace in cui il continente si sia imbarcato nella sua lunga storia». Il New York Times, dal canto suo, sottolineò: «La introduzione di una moneta comune europea, l’euro, quest’anno ha marcato il più grande trasferimento di sovranità volontario e in tempo di pace compiuto nella storia da parte di un gruppo di stati». La enfasi mostrata in particolare dai dirigenti politici e istituzionali europei nei confronti della moneta unica ha, in modo esplicito o implicito, un significato politico. Per Hans Tietmeyer, governatore della Bundesbank, la banca centrale tedesca, «una moneta europea porterà i paesi membri a trasferire la loro sovranità sulle politiche finanziarie e salariali, così come gli affari monetari. È una illusione pensare che gli stati possano mantenere la loro autonomia sulle politiche fiscali». Ma anche Jacques Delors, precedente presidente della Commissione europea e uno dei principali protagonisti della progettazione della Unione monetaria, afferma che questa non può funzionare senza un governo europeo della economia, che deve essere un contrappeso politico. È del resto proprio come contrappeso politico alle tendenze tecnocratiche ed economicistiche della Unione che la cittadinanza europea viene istituita con il Trattato di Maastricht e che nello stesso periodo vengono prodotti documenti come la Carta sociale della Ue e il Libro bianco su crescita, competitività e occupazione, che rappresentano una sorta di contrappeso sociale alla Unione economica e monetaria.
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Tutte queste dichiarazioni, in apparenza sproporzionate rispetto al tema sul tappeto, hanno insomma, specialmente se rilette oggi, un significato univoco: l’affermazione che la introduzione di una moneta unica è un passo avanti non commensurabile con altri nella costruzione della Unione europea. Ma c’è qualcosa di più: si tratta della piena consapevolezza che una moneta unica è destinata a connettere gli stati e i cittadini come niente altro potrebbe fare. Non si tratta, quindi, soltanto di legare storie diverse in un destino comune, ma proprio di radicare il senso dell’essere uniti come europei nei cuori dei cittadini attraverso i loro portafogli. Nella storia del dibattito sulla cittadinanza europea è ricorrente l’adattamento all’Europa della citazione attribuita al nostro Massimo D’Azeglio: abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani. Si può affermare che, negli intenti dei leader del processo di europeizzazione, la introduzione della moneta unica non solo come astratto punto di riferimento per le politiche monetarie e finanziarie, ma anche come oggetto in metallo e carta, abbia avuto il significato di fare un decisivo passo in avanti nel “costruire gli europei”. Si può discutere – e sarebbe proprio il caso di farlo – sul sapore elitario e paternalistico di questo motto, ma qui è importante che il suo richiamo indichi la consapevolezza di un valore della operazione dell’euro che va oltre la dimensione monetaria ed economica. Divisi nelle monete, uniti nelle banconote Una conferma di questa intenzione si può trovare guardando all’apparato simbolico incorporato nelle monete e nelle banconote, frutto di un lungo processo di progettazione e dibattito tecnico e politico, che in alcuni casi ha coinvolto gli stessi cittadini, sia in quanto individui che come organizzazioni, e sia al livello europeo che a quello nazionale. Si possono citare al riguardo due casi. Il primo è che fu proprio in Italia che una domenica del febbraio 1998 il ministro Carlo Azeglio Ciampi andò in televisione nella trasmissione di massimo ascolto e lanciò un
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referendum in diretta tra i telespettatori per decidere quale doveva essere la immagine “italiana” della moneta da un euro. Come sappiamo perché è nei nostri portamonete, fu l’uomo di Vitruvio disegnato da Leonardo da Vinci a prevalere su altre ipotesi; e questo caso può essere ricordato come il primo serio esperimento (serio perché la decisione fu quella espressa dai telespettatori) di teledemocrazia nel nostro paese. Il secondo caso è che il disegno delle monete fu modificato seguendo le indicazioni delle associazioni dei ciechi, ai quali fu chiesto di “collaudare” i prototipi di moneta tenendo conto delle esigenze dei non vedenti. L’apparato simbolico dell’euro si distingue nettamente tra le monete e le banconote. È utile esaminare questo apparato in modo analitico, un esercizio che peraltro chiunque può compiere mettendo mano al suo borsellino e al suo portafoglio. Le monete hanno un lato comune e un lato riservato a immagini e simboli nazionali. Per quanto riguarda la faccia comune, nelle monete da 1, 2 e 5 centesimi viene rappresentato un globo sul quale è disegnata l’Europa – il messaggio politico è in questo caso che si intende evitare di costruire una “Fortezza Europa”. Le monete da 10, 20 e 50 centesimi contengono una mappa dell’Europa con i confini di ciascuno stato membro chiaramente delimitati, in modo da rappresentare la Ue come un insieme di nazioni ben identificate. Le monete da 1 e 2 euro dipingono una Europa senza frontiere. C’è chiaramente una gerarchia di valori ascendente dei messaggi politici espressi da queste immagini. Il retro delle monete, invece, contiene elementi appartenenti al patrimonio culturale di ogni stato membro. La scelta di queste immagini è stata compiuta autonomamente dai singoli stati, anche, come ricordato, attraverso forme di coinvolgimento dei cittadini. In alcuni casi gli stati hanno inserito l’immagine del proprio monarca (obbligati in ciò dalle rispettive costituzioni); in altri casi sono stati selezionati gli emblemi nazionali (ad esempio l’arpa celtica per l’Irlanda), immagini legate alla storia del
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paese o a caratteristiche distintive dell’ambiente naturale (come la stella alpina nel caso dell’Austria), raffigurazioni di personaggi (uomini e donne) di rilevanza storica per ragioni politiche, artistiche o culturali; immagini di edifici storici come il Colosseo. Le banconote, al contrario delle monete, non contengono simboli nazionali ma raffigurazioni comuni a tutti gli europei. Significativamente, dato che il passato che accomuna gli europei (specialmente quello del Novecento) è fatto soprattutto di sangue, si scelse di utilizzare immagini anonime, di oggetti non esistenti, ma nello stesso tempo ispirati a tradizioni artistiche e architettoniche condivise. Dopo un lungo processo di selezione, si scelse di produrre immagini che si riferivano a sette grandi stili architettonici propri della tradizione europea: lo stile classico, quello romanico, quello gotico, quello del Rinascimento, quello del Barocco e del Rococò, quello caratterizzato da acciaio e vetro e infine quello contemporaneo. Si sottolineò che ciascuno di questi stili non poteva essere considerato patrimonio specifico di un singolo paese, ma era piuttosto una eredità comune europea. Così, nelle banconote, a parte la quantità di simboli “ufficiali” della Ue (la bandiera, le stelle e il nome “euro” in lettere latine e greche), compaiono immagini delle tradizioni architettoniche della storia d’Europa. In particolare, sul verso delle banconote sono rappresentati porte, cancelli e finestre aperti, per rappresentare l’apertura dell’Europa, la trasparenza della sua politica e il passaggio a una nuova era. Sul retro, invece, sono raffigurati ponti, che simbolizzano il punto di comunicazione tra confini e culture e il superamento di antiche fratture. In pochi centimetri quadrati, insomma, viene riassunto il senso comune di una lunga storia e indicata una direzione di sviluppo futuro. I simboli servono appunto a questo e si dice che siano stati inventati dalla specie umana anche per la loro sinteticità ed economicità. Le monete e le banconote dell’euro sono in ogni caso un esempio di un apparato simbolico portatile e completo – come è stato detto, «avere l’Europa in tasca».
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Verso il Big Bang Introdurre una nuova moneta, soprattutto se essa sostituisce 12 monete diverse e coinvolge (tanti erano al momento del changeover) 320 milioni di cittadini, è tutto meno che uno scherzo. Si trattava anzi, come chiarì la Banca centrale europea, del «più grande changeover monetario che il mondo abbia mai visto». Le istituzioni europee e nazionali, ma anche le banche e una miriade di altre società (dalle poste alle autostrade ai servizi di trasporto pubblico) dovettero affrontare problemi logistici imponenti: dallo stoccaggio delle vecchie monete e banconote alla custodia di quelle nuove (14 miliardi di banconote e 59 miliardi di monete), dall’adattamento dei bancomat alla riprogettazione delle macchine per la distribuzione di biglietti, bevande, ecc. Tali problemi furono aggravati e resi più stringenti dalla decisione di adottare una strategia che all’epoca fu definita Big Bang Scenario, in base alla quale la nuova moneta non sarebbe stata introdotta in modo processuale, ma con un cambiamento istantaneo. In questo quadro, si decise ad esempio che, salvo eccezioni, il periodo di doppia circolazione delle vecchie monete insieme all’euro sarebbe durato solo due mesi. Tra i protagonisti dell’epoca è ancora aperta la discussione se sarebbe stato giusto adottare un approccio più graduale, ma resta il fatto che l’euro è stato introdotto con un Big Bang. Non si trattava però soltanto di affrontare e gestire enormi problemi logistici. L’aspetto più complicato era informare, motivare e coinvolgere i cittadini in una operazione che avrebbe cambiato profondamente le loro vite. Anche di questo c’era consapevolezza, benché sicuramente non pari alle dimensioni del problema. Pochi mesi prima del changeover, in un giro di conferenze di sensibilizzazione nei paesi della Eurozona, il presidente della Banca centrale europea Wim Duisenberg a questo proposito diceva: È cruciale che facciamo del nostro meglio per assicurare che le banconote e le monete dell’euro siano ben accolte dai citta-
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dini. Una rapida accettazione da parte della generalità del pubblico dipenderà molto dalla nostra capacità di comunicare con il “nostro” popolo sulla “nostra” moneta. Se noi avremo successo, daremo un contributo importante a convincere gli europei che una Europa unita non è una idea astratta e remota, ma qualcosa di effettivo e dinamico. Il successo del changeover dell’euro dipenderà largamente dalla informazione che i cittadini dell’area euro riceveranno sulla loro nuova moneta. Questo aiuterà loro ad affrontare il changeover. E aiuterà anche alcuni di loro ad abituarsi ai tagli [delle monete] che differiscono da quelli a loro familiari.
In relazione a queste preoccupazioni e intenzioni fu progettata e messa in opera una grande campagna di comunicazione intitolata “The euro. our Money”, per la quale la sola Banca centrale europea stanziò 80 milioni di euro. A questo proposito, i ricordi dei protagonisti dell’epoca e il lavoro di interpretazione degli scienziati coincidono su un punto particolarmente interessante. Il punto è questo: mentre la campagna e la stessa attività di comunicazione istituzionale dei responsabili politici e amministrativi della Unione e degli stati membri tendevano a presentare (o a “vendere”) l’euro come un oggetto (o prodotto) il cui significato era essenzialmente economico e gli effetti positivi di tipo pratico, il messaggio che effettivamente fece breccia tra i cittadini fu al contrario un messaggio di tipo politico, legato all’idea di “entrare in Europa”, naturalmente con diverse accentuazioni connesse alla circostanze nazionali in cui aveva luogo questa “entrata” (le virgolette sono d’obbligo, perché in effetti nessuno dei soggetti coinvolti in quel momento stava da un’altra parte). Merita particolare menzione, in questa cornice, la campagna “The Euro Made Easy”, progettata e realizzata dalla Commissione europea – per la precisione dalla Direzione generale della politica dei consumatori – in partnership con i governi nazionali, organizzazioni di cittadini, imprese pubbliche e private,
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che si proponeva di facilitare il recepimento della moneta unica da parte dei cittadini comuni. Il punto di partenza della campagna era la presa d’atto che non solo soggetti in evidenti condizioni di debolezza (come ad esempio i ciechi o gli anziani), ma una fetta molto più larga della popolazione (stimata fino al 30% del totale) rischiava di subire processi di esclusione a causa del changeover, soprattutto per la scarsa fiducia verso i mezzi di comunicazione ufficiali. Fu quindi progettata una campagna di “informazione di prossimità”, realizzata nei paesi della Eurozona da istituzioni e/o da organizzazioni civiche, che consisteva nella formazione di soggetti che, per la loro contiguità fisica con, e la loro credibilità presso i cittadini (medici di famiglia, farmacisti, insegnanti, ma anche operatori degli uffici postali, parroci e ovviamente sportellisti delle banche ecc.) potevano fornire un pacchetto di informazioni di base sul passaggio alla moneta unica, sul modo di calcolare il valore delle merci, sui rischi che andavano evitati e così via. Questa attività era accompagnata da iniziative di incontro come feste per i bambini, mostre itineranti, incontri ospitati dagli uffici postali nei piccoli comuni, ecc. Solo in Italia, sotto la responsabilità del movimento Cittadinanzattiva, furono attivati circa tremila informatori di prossimità che contattarono direttamente diverse centinaia di migliaia di persone. Raramente una esperienza di mobilitazione civica per la messa in opera di un provvedimento pubblico era stata realizzata nei termini e con le dimensioni che assunse il programma sulla informazione di prossimità3. “Si adatteranno” Nessuno sapeva, in realtà, che cosa sarebbe successo effettivamente. Mai una operazione di questa portata era stata tentata e tutti gli esiti erano possibili. Di fatto, però, essa funzionò 3 Secondo una ricerca di Eurobarometro della primavera del 2002, del programma aveva sentito parlare quasi il 40% dei cittadini europei e circa il 12% di essi ne aveva direttamente beneficiato. In Italia dichiaravano invece di averne beneficiato il 15% dei cittadini, una percentuale superata solo in Olanda (Eurobarometro 57.1, 2002).
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e il changeover fu, in ultima analisi, un successo. Quello che qualche funzionario spocchioso sosteneva senza rendersi conto di ciò che diceva (“I cittadini si adatteranno”) è proprio quello che accadde, soprattutto per merito dei cittadini stessi. I cittadini si sono adattati e l’euro è diventato rapidamente una realtà. Ciò naturalmente non avvenne senza problemi, da quelli più piccoli a quelli decisamente più grandi. Un esempio aneddotico di quelli piccoli è quello – famoso all’epoca – di una famiglia francese che andava in vacanza in Italia e che la mattina del 1° gennaio 2002 al confine di Ventimiglia cercò senza successo di cambiare i propri euro francesi in euro italiani. Per quanto riguarda i problemi più grandi, non si può non menzionare l’insieme di tentativi di approfittare dell’inevitabile disordine per organizzare truffe e soprattutto aumenti indebiti dei prezzi di beni e servizi. Con riferimento all’Italia la vicenda è nota ed è legata sia all’arrotondamento del valore dell’euro (1 € = 2.000 lire anziché 1.936,27, e la differenza non è poca), sia alla equazione 1.000 lire = 1 euro, che fu applicata non solo da molti vituperati commercianti, ma anche, ad esempio, da diverse società di trasporto pubblico ai biglietti di autobus e metro. Va anche ricordata la martellante campagna di discredito preventivo della moneta unica promossa da diversi ambienti internazionali e nazionali, da posizioni e con intenzionalità differenti. L’epicentro di questa campagna fu la Gran Bretagna, dove ancora oggi sono individuabili 15 siti internet dedicati solo alla mobilitazione contro la moneta unica, e dove all’epoca uno degli argomenti più utilizzati fu quello dello Eurocreep, neologismo creato per indicare la penetrazione dell’euro in modo occulto e subliminale tra i cittadini britannici. Su questa strada si arrivò a sostenere, nei giornali popolari inglesi, che le monete di cioccolata con l’effigie dell’euro, vendute anche in Gran Bretagna, erano lo strumento di una strategia di persuasione occulta per fare dei bambini inglesi degli agit prop dell’euro contro l’amata sterlina.
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Malgrado tutto questo, il supporto dei cittadini nei confronti dell’euro fu indiscutibile. Vediamone la evoluzione in questa tabella, relativa a diversi anni e a diversi paesi. Tabella 1 – Supporto per l’euro (in %). Anno Francia Germania Italia Spagna uk ue 15 Primavera 2000 67 50 81 75 22 58 Primavera 2001 67 53 83 68 25 59 Primavera 2002 67 67 87 80 31 67 Primavera 2003 75 70 82 75 24 66 Fonte: Matthias Kaelberer, Trust in the Euro: Exploring the Governance of a Supra-National Currency, in European Societies, 9(4) 2007, pag. 630.
Perfino nei tre paesi Ue non entrati nell’area dell’euro (Danimarca, Regno Unito e Svezia) nei primi mesi del 2002 più del 60% dei cittadini ritenevano che la introduzione della moneta unica fosse l’evento più importante nella storia dell’Europa e più dell’80% di essi erano convinti che l’euro sarebbe diventato una moneta internazionale come il dollaro4. Anche in relazione a questo impatto positivo, nel 2008 la Commissione europea tracciava un bilancio della Unione economica e monetaria e della moneta unica in cui i pro superavano decisamente i contro. Tra i pro: bassa inflazione, stabilità macroeconomica, integrazione economica e dei mercati, integrazione dei mercati finanziari, protezione da eventi esterni negativi, rafforzamento delle economie dei paesi membri, creazione della seconda moneta mondiale, istituzione di un polo di stabilità per l’Europa e l’economia mondiale, sviluppo di una solida struttura di governance economica, creazione di 16 milioni di posti di lavoro. Tra i contro: crescita potenziale troppo bassa, persistenti differenze tra i paesi, mancanza di una chiara strategia internazionale, bassa immagine pubblica. Tra le nuove sfide la Commissione indicava la globalizzazione, l’aumento dei prezzi di cibo ed energia, il rapido invecchiamento della popolazione. 4 Flash Eurobarometer, 121/2, 2006.
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Alla luce di quanto è accaduto subito dopo, si può senz’altro giudicare un po’ avventata la tesi della Commissione. E forse anche l’affermazione del premio Nobel Robert Mundell nello stesso periodo: «L’euro è stato un assoluto successo e l’Europa sta meglio ed è più forte grazie ad esso». Ciò non significa, tuttavia, che avesse ragione un altro premio Nobel, Milton Friedman, che nel 2001 profetizzava: «L’euro è stato adottato in realtà per scopi politici, non economici, come un passo verso il mito degli Stati Uniti d’Europa. Io credo che di fatto il suo effetto sarà esattamente l’opposto». Successo o tragedia che sia stato dal punto di vista economico, il passaggio alla moneta unica – un evento che gli studiosi hanno definito «un gigantesco esperimento di scienze sociali applicate» – ha avuto indiscutibilmente un esito positivo. Che cosa sia diventato l’euro dopo lo €-Day, in che modo si sia caratterizzato come un identity marker per i cittadini europei e in che modo essi lo abbiano usato è l’oggetto dei prossimi capitoli.