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M A G A Z I N E G R AT U I T O D I A R T E E C U LT U R A
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Giu-Lug 2011 Anno X N.2
Museo Archeologico
Quanti conoscono la storia più antica di Milano? Probabilmente pochi, ma una visita al Museo Archeologico è l’occasione ideale per colmare le proprie lacune. La fotografia in copertina del Museo è di Roberto Denti.
Mimmo Paladino
Monumentale ed enigmatica. Sono queste le due principali caratteristiche della mostra dedicata ai primi 34 anni di attività di Mimmo Paladino. La mostra è ospitata fino al 10 luglio nel Palazzo Reale di Milano.
54° Biennale di Venezia
Con il titolo di “ILLUMInazioni” e la curatela della critica Bice Curiger conta più di 80 paesi partecipanti. Padiglione Italia: una sorta di catalogazione di tutto quello che è arte dalla pittura alla gastronomia.
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MILANO
Il Conservatorio di Milano Magnifica struttura, fra i suoi “studenti” Puccini, Ponchielli e Catalani
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l portone non viene aperto a tutti. Solo chi ha vera passione, viene accolto in questo Istituto di Formazione Musicale, che non ha pari in tutta Italia, e che, prendendo per mano il futuro musicista, con altissima competenza e professionalità lo conduce sino al conseguimento dei diplomi accademici di primo e secondo livello, corrispondenti a lauree universitarie triennali e quinquennali. La stessa struttura è di per sé l’anticipazione dello spirito che aleggia all’interno: severamente morbida, granitica ma confortante, giusta per incutere quel sano senso di istintivo rispetto verso intelligenze accoglienti ma selettive e, perchè no, potenzialmente severe. Il progetto di attualizzazione del Conservatorio prende forma verso il 1803, in un periodo di false illusioni in cui si inneggia a Napoleone come all’alleato che scaccia l’austriaco invasore, e poco prima che questo sogno si disgregasse, assumendo le sembianze di una nuova sudditanza, questa volta di marchio francese. Ma in giro c’è tanta sete di cultura, sulla scia di un illuminismo che ha affascinato e contagiato oramai tutta l’Europa. Nel 1807 il Conservatorio vede la luce, nonostante la resa di Brentano de Grianty, suo promotore. In questi anni i musicisti di successo sono esclusivamente stranieri e su tutti troneggia un austriaco ardente e prolifico, un certo Amadeus Mozart, già defunto da più di 10 anni. La Scala di Milano non può seguitare a mettere in scena lavori di autori stranieri, ma ha bisogno di rappresentazioni frutto di artisti nostrani: il genio, si sa, non si crea, ma la tecnica e l’alta professionalità si possono coltivare e far fiorire. La grande Scala pretende nuovi talenti ed una scuola di musica che li possa forgiare: il Conservatorio. L’idea originale del Grianty, Direttore dei Teatri, era quella di assimilare il concetto di Conservatorio a quello di Orfanotrofio,
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foto di Riccardo Mocci un luogo, cioè, in cui ospitare bimbi soli dando loro un’istruzione musicale unitamente a quella tradizionalmente scolastica, non tanto per amore verso il prossimo, ma, come documentano i resoconti del periodo, per dimostrare quanto fosse meritata la sua qualifica. Nel 1808, alla sua inaugurazione, il Conservatorio ospita 18 elementi, 12 maschi e 6 femmine, istruiti da 14 insegnanti, in un rapporto allievo/docente quasi di 1 a 1, tipico dei curati insegnamenti artigianali di tradizione italiana, mentre i corsi sono scomposti in 3 gradi, in un crescendo di difficoltà, che parte dallo studio del solfeggio per arrivare alla declamazione, al ballo e, oltre ancora, allo studio della scena cantata con accompagnamento orchestrale. Dono di Napoleone, l’anno successivo, sono 12 Metodi in lingua francese, in preziosa pelle e rifiniti in oro, dei quali solo 3 saranno successivamente tradotti in italiano: quello di canto, di clarinetto e di fagotto. Abitudine italiana è quella di insegnare a voce, senza avvalersi di testi, o consultandoli il meno possibile. Poche nozioni e tanta
pratica, applicazione indefessa ed esecuzione fedele di quanto insegnato dal maestro. In questo periodo il Conservatorio sembra quasi “spingere” l’allievo verso lo studio della musica, più che prendere atto di esigenze di perfezionamento da parte dell’alunno stesso. Sarà solo con Rossini e con gli altri grandi che lo seguiranno a ruota, come Donizetti e Puccini, che questa tendenza si invertirà. L’Italia vuole emergere e la musica è solo una delle tante aree di possibili successi. Il Conservatorio inizia ad assumere così un ruolo fondamentale, ascoltando le richieste di una nazione sempre più indipendentista e vogliosa di libertà culturali, sociali e politiche, le stesse che stanno per portarla verso la sua tanto ambita Unità, in una fusione di ataviche esperienze e tradizioni fra nord e sud. Il Teatro alla Scala esige talenti ed il Conservatorio glieli dà, in un equilibrio perfetto tra domanda ed offerta. Nel 1816 la Biblioteca assume la qualifica di Archivio Musicale della Lombardia, mentre nel 1850 viene fondato il Liceo Musicale. Sempre al passo coi tempi, il Conservatorio inaugura nel 1965 il corso di Musicologia e, nel 1969, quello di Composizione Elettronica. Attualmente 2 sono le sale del conservatorio: la Sala Verdi, o Sala Grande, e la Sala Puccini. La Sala Verdi nasce nel 1908 sul 1° chiostro di S. Maria della Passione. Bombardata nel 1943, viene ricostruita all’architetto Reggiori e successivamente restaurata, nel 2001, dall’architetto Cerri. La sua acustica viene considerata fra le migliori di Europa. La sala Puccini, inaugurata nel 1952, conta 450 posti ed è dedicata soprattutto ad iniziative didattiche e concerti pubblici. Ambedue le Sale sono disponibili per l’organizzazione di eventi corollario ai concerti. Il Conservatorio, magnifica struttura che si pregia di aver annoverato fra i suoi “studenti” personaggi come Puccini, Ponchielli e Catalani, è oggi una delle più importanti al mondo per lo studio della musica, grande vanto di una Milano maestra di cultura e civiltà. Milena Moriconi
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MILANO
Museo Archeologico Un tuffo nella Milano antica Q
uanti, tra i lettori, conoscono davvero la storia più antica della città in cui vivono, Milano? Probabilmente pochi, ma una visita al Museo Archeologico sembra essere l’occasione ideale per colmare le proprie lacune. Riaperto di recente, lo scorso 20 aprile, e vestito a nuovo grazie a un ampliamento nell’adiacente palazzina di via Nirone, il museo civico del capoluogo lombardo è una vera scoperta, sia per la suggestione dei luoghi in cui è ospitato, sia per la ricchezza delle sue collezioni. La sede attuale, inaugurata negli anni sessanta del Novecento, si trova in corso Magenta, presso l’ex convento della chiesa di San Maurizio, complesso architettonico costruito nell’VIII secolo e strutturato secondo la consueta “enfilade” di spazi alternativamente coperti o all’aperto, i chiostri. La chiesa adiacente– costruita su fondazioni medievali – risale al Cinquecento, come ci suggerisce il prezioso ciclo di affreschi eseguiti da Bernardino Luini, ed è aperta al pubblico per la visita, ma non appartenente in maniera diretta al percorso museologico. E lo stesso intreccio di storia, civiltà e secoli che si rincorrono si riscontra anche
Paladino. In questo modo, la differenza tra antico e moderno non viene concepita come dicotomia insanabile, ma come una necessaria stratificazione storica che arriva sino a noi e si mostra in tutta la sua integra nudità, come dimostra anche il criterio adottato per l’esposizione delle collezioni. Nella prima parte dell’itinerario, quella di corso Magenta per intenderci, attraversiamo le sale allestite secondo un percorso temporale – a piano terra ci viene raccontata la storia di Milano tra il V secolo a.C. e il V d.C., dalle origini celtiche al suo declino come città imperiale, mentre nell’interrato le tecniche costruttive dell’edilizia milanese e la sua cultura materiale, con un piccolo excursus sull’arte
Nel patrimonio museale l’intreccio di storia, civiltà e secoli che si rincorrono di Israele e del Gandhara. La seconda, di via Nirone, viene invece mostrata per aree geografiche, suddivise a loro volta in nuclei tematici, dove la storia viene a diretto contatto con la civiltà e il folclore: mentre il piano terra è riservato alle esposizioni temporanee e all’attività didattica, al primo piano si trova la sezione altomedievale, al secondo quella etrusca e al terzo la greca. La civiltà antica spalanca le braccia al visitatore: occorre perciò lasciarsi guidare all’interno di spazi in cui reperti anche molto differenti tra loro – sculture, suppellettili, oggetti di oreficeria, ma anche opere in ceramica – si sanno esprimere in maniera sintetica grazie a un allestimento razionale e coerente, fatto di teche non in-
nel patrimonio museale, raccolto a partire dall’Ottocento e costantemente incrementato grazie a lasciti, cauti acquisti e premi seguiti a spedizioni archeologiche. Crescita che, d’altra parte, ha implicato una naturale espansione verso un edificio adiacente – collegato al primo con una passeggiata che incontra la torre poligonale romana, con affreschi del XIIIXIV secolo in dialogo serrato con l’opera dell’artista contemporaneo Mimmo
vasive, disposte ordinatamente, e di fondi e piedistalli dai colori tenui. La scelta è perciò quella di un linguaggio semplice, orchestrato da pannelli didattici chiari e comprensibili: destinato agli studiosi e agli esperti così come agli amatori e agli appassionati, secondo un principio democratico di arte e cultura per tutti. In seguito alla recente riapertura del museo abbiamo rivolto alcune domande a Donatella Caporusso, Direttrice del Museo e Conservatore Responsabile Civiche Raccolte Archeologiche di Milano SC: Che cosa significa per lei la riapertura al pubblico del Museo Archeologico, nel contesto museale milanese? DC: Sarà per i cittadini l’occasione di scoprire le origini di Milano e la ricchezza delle collezioni archeologiche della città. SC: Quale tipo di allestimento si è preferito, anche alla luce dell’importante ampliamento? DC: Un allestimento che permetta di apprezzare la qualità artistica dei reperti, ma nello stesso tempo di contestualizzarli nella loro cultura di appartenenza, in modo che anche i visitatori non esperti possano seguire e comprendere agevolmente
il perc o r s o espositivo. SC: La restituzione di una parte importante di arte e cultura cittadina ai milanesi, è coincisa con notevoli gesti di mecenatismo: come si inseriscono l’opera di Paladino e la donazione di Koelliker nel contesto preesistente? DC: Il museo è nato alla fine dell’Ottocento proprio anche grazie alle donazioni di privati. Il generoso gesto di tali donazioni ribadisce l’importanza dell’apporto del singolo alla vita e all’arricchimento delle collezioni museali. Museo Archeologico, Corso Magenta 15 Apertura: mar - dom dalle 9 alle 17,30 Ingresso: gratuito fino al 19 giugno Silvia Colombo
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Hayez
MOSTRE A MILANO
nella Milano di Manzoni e Verdi
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ual è il vero significato de “Il bacio” di Hayez? L’addio all’amata del giovane volontario che sta partendo per la guerra o il simbolo della nuova nazione che è appena nata, grazie all’energia e all’amore delle giovani generazioni che avevano combattuto per la sua libertà? Qualunque sia il senso che vogliamo attribuire all’opera, questo capolavoro resta uno dei quadri più popolari e riprodotti di tutti i tempi. Non per nulla, anche nel 1859, appena tre mesi dopo la libe-
dente e Direttore della Pinacoteca e le abbiamo rivolto alcune domande. La Mostra di Hayez si chiude con “Il Bacio”. Quanto è stata importante questa opera anche a livello popolare nel sottolineare i valori del Risorgimento? “Il Bacio” è un’opera importante che ancora oggi viene considerata una specie di icona, soprattutto per la modernità di quell’atto che coglie un momento di intimità tra due giovani, inconsueto per la
speranza e ricostruzione. Gli stessi, d’altra parte, che caratterizzarono i “Promessi Sposi” del Manzoni, la storia d’amore di altri due giovani, Renzo e Lucia, che, dopo numerose vicissitudini, trova il suo lieto fine. Siamo, insomma, in pieno Romanticismo? Bisogna chiarire bene i termini. Il Romanticismo naturalmente favorisce attraverso un linguaggio semplice la comunicazione al pubblico. E prelude, in certo qual modo, alla cosiddetta pittura di genere che ha per soggetti scene ed eventi della quotidianità, ma Hayez, che aveva una formazione accademica, oltre all’attenzione ai concetti di naturalezza e sentimento, che si esprimono attraverso un bacio passionale e carico di emotività, sa far emergere nel quadro il significato del contesto storico. Se osserviamo bene il suo sfondo, le scale e il capitello, ci tornano alla mente atmosfere di un’abbazia medioevale. Fu questo l’aspetto che colpì particolarmente Mazzini: il recupero da parte del pittore veneziano della nostra storia, soprattutto quella dei Comuni, nei quali si coltivavano quelle istanze di libertà e indipendenza da cui sarebbero scaturiti gli ideali risorgimentali. Può sembrare strano che un autore come Hayez, accademico e classicheggiante, abbia potuto cogliere aspetti tanto moderni ? Hayez era un grande conoscitore della pittura classica. Sapeva addirittura realizzare i colori da solo ed era affascinato da Tiziano, Paolo Veronese, Raffaello e Canova. Ma era anche una persona estremamente attenta alla storia nazionale e che amava documentarsi. Ad esempio per re-
In occasione della mostra, abbiamo rivolto alcune domande a Sandrina Bandera, Soprintendente e Direttore della Pinacoteca di Brera alizzare la seconda versione dei “Vespri Siciliani” decide di partire per la Sicilia. Cerca di immergersi nel territorio, di coglierne gli stimoli, ripercorre un cammino per conoscere a fondo il Paese. In altri termini, se vogliamo, anticipa, artisticamente, la spedizione dei Mille. Certo, Hayez guarda alla pittura antica, ai modelli classici, ma tra i suoi personaggi storici o biblici c’è sempre un richiamo alla realtà dell’epoca. In alcune opere si possono riconoscere, infatti, i volti noti di esponenti politici sostenitori del Risorgimento. Anche nei numerosi ritratti di personaggi del suo tempo riconosciamo lo stile accademico che fa campeggiare la figura, grazie a sfondi di tradizione classicheggiante, ritratta in modo aristocratico, cercando di valorizzarne lo sguardo e le fattezze, pur con qualche accenno alla quotidianità (la tabacchiera di Manzoni). Stile destinato a essere superato di lì a poco dalla pittura di genere, decisamente più verista e meno nobilitante. Ugo Perugini
Francesco Hayez, Il bacio, 1859 olio su tela, cm 112 x 88 Milano, Pinacoteca di Brera razione dal dominio austriaco, per celebrare l’avvenimento, quando l’opera venne esposta, insieme a numerosi altre che raffiguravano le battaglie del Risorgimento, a Brera - che la ospiterà in modo definitivo dal 1886 - colpì immediatamente l’immaginario collettivo. Si tratta di un piccolo dipinto ma racchiude in sé una
Hayez nella Milano di Manzoni e Verdi Milano, Pinacoteca di Brera 12 aprile - 25 settembre 2011 incredibile forza evocativa che ha molto contribuito alla fama di Francesco Hayez, definito, anche da Mazzini, il maggiore artista del nostro Risorgimento. La Mostra di Brera su Hayez (aperta fino al 24 Settembre 2011), curata da Fernando Mazzocco, Isabella Marelli e Sandrina Bandera, non poteva non avere, come suggello finale, quest’opera. Abbiamo incontrato Sandrina Bandera, Soprinten4
pittura dei tempi, e perciò di grande effetto sulla gente. Vorrei ricordare le circostanze in cui fu realizzato. Nel 1859, a Milano si sentiva palpabile il sentimento di fierezza per la vittoria della II guerra di Indipendenza e la popolazione aveva accolto con grandi speranze unitarie l’ingresso di Vittorio Emanuele II, futuro Re d’Italia. Tre mesi dopo a Brera si svolgeva la tradizionale mostra annuale all’interno dell’Accademia e si volle celebrare il particolare momento (si erano appena concluse le 5 giornate) suggerendo agli artisti che vi partecipavano di celebrare la liberazione della Lombardia e mettere in evidenza questo sentimento di unità che aleggiava nel Paese. Tutti i pittori realizzarono opere che raffiguravano battaglie risorgimentali o scene di eroismi. L’unico che si differenziò dagli altri fu proprio l’anziano Francesco Hayez, che aveva compreso che in quel momento la popolazione sentiva il bisogno di puntare sui sentimenti, di dare spazio ai giovani e alle loro speranze future. “Il Bacio” rappresentava in modo efficace questi ideali di
Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni, 1841olio su tela, cm 120 x 92,5 Milano, Pinacoteca di Brera
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MILANO
Il Museo Martinitt e Stelline S
econdo l’ICOM «il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali dell’umanità e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto.[…] ». Nel gennaio 2009 ha preso dunque vita, secondo queste semplici e al contempo innovative indicazioni, il Museo Martinitt e Stelline, unico nel suo genere a Milano. Museo storico, che parla della vita quotidiana dei milanesi attraverso gli occhi dei ragazzi e della ragazze orfane, ossia coloro che venivano denominati, simpaticamente dai cittadini, Martinitt e Stelline, appunto. I due orfanotrofi di Martinitt e Stelline sono antichissime
fondazioni benefiche, attive nella città fin dal Cinquecento: oggi l’A zienda di Servizi “Istituti Milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio” ne ha ereditato la storia e vanta un patrimonio artistico, storico e archivistico di enorme valore. Al fine di salvaguardare e divulgare la storia degli enti e della città che da cinque secoli ne è lo scenario, sono state profuse cospicue risorse, in primis attraverso la tutela degli archivi e, successivamente, con l’istituzione del Museo Martinitt e Stelline. Il museo individua come tema culturale la fragilità umana, declinato attraverso lo studio di tutti i possibili temi e soggetti che sono correlati a questo argomento; la caducità, propria della natura umana, è indagata attraverso le vicende quotidiane, frequentemente adombrate dalla storia dei potenti. Spesso, le narrazioni storiche, infatti, traboccano delle gesta di un’umanità influente, relegando nell’oblio le vicende dei diseredati e delle persone “comuni”: sebbene i beneficati siano più numerosi dei
colo, lo scenario spaziale è principalmente legato alla città di Milano. Gli archivi storici delle aziende e degli istituti storico - culturali che tuttora caratterizzano il territorio milanese, sono la fonte attraverso cui il tema viene studiato e diffuso. È da questi archivi che è nato il Museo interattivo Martinitt e Stelline. Il Museo, infatti, compie una ricostruzione storica attraverso le fonti d’archivio salvaguardando e divulgando il patrimonio culturale di numerose istituzioni milanesi. L’ampia partecipazione di soggetti, di natura eterogenea,
Un contributo allo studio di un tema praticamente sconosciuto al pubblico generale: la fragilità umana benefattori, tuttavia non hanno avuto quasi mai voce nella grande storia. Il Museo Martinitt e Stelline intende esattamente narrare un fenomeno indagato dalla storiografia di settore, ma sconosciuto al grande pubblico: le vicende dell’umanità che ruota intorno agli enti assistenziali milanesi, tra XIX e XX secolo, attraverso documenti provenienti da numerosi archivi della città di Milano e della Lombardia. Si tratta di consegnare al grande pubblico la storia di soggetti vulnerabili e le azioni, l’attivismo di una Milano benefica che da sempre sostiene le vicende dei cittadini meno abbienti. Specificamente, gli argomenti affrontati dal Museo Martinitt e Stelline sono: le antiche e nuove povertà, la pedagogia e la didattica dall’800 ai primi del ‘900, l’educazione al lavoro, l’industria agli inizi del 900, il lavoro femminile, la filantropia. I temi affrontati hanno come limite cronologico il periodo compreso tra il XIX e il XX se-
legati a Milano permette di porre in risalto una metodologia lavorativa che mira a divenire una rete stabile per la produzione e divulgazione dei saperi e di sottolineare la peculiarità del territorio Milanese: una città che si è storicamente qualificata come la capitale di uno sviluppo economico etico, capace di creare ricchezza e benessere per i suoi cittadini. È opportuno sottolineare che l’uso diversificato di registri linguistici e di modalità d’approccio ai temi di ricerca, permette una diffusione capillare dei contenuti museali presso fasce sempre più ampie della popolazione. Gli argomenti, ovvero i percorsi tematici, trattati nelle singole sale del Museo, attraverso percorsi multimediali e, soprattutto, interattivi e coinvolgenti per il pubblico, rappresentano la vera portata rivoluzionaria data dalla nascita di questo Museo. Infatti, a differenza di qualunque museo storico assimilabile a questo, la presenza dell’interazione sale musealipubblico, permette di superare l’annoso problema della scarsa vitalità e diffusione della cultura d’archivio. Il Museo si candida a divenire un luogo d’eccellenza nel panorama culturale milanese perché, oltre ad assolvere a tutti i criteri di scientificità, divulgazione e conservazione, propri di ogni istituzione museale, ha la virtù di eliminare ogni possibile barriera nei confronti del fruitore, attraverso l’uso di allestimenti e installazioni quasi “viventi” . Il pregio dell’iniziativa consiste nella volontà di creare linguaggi alternativi ed attraenti, in grado di coinvolgere il visitatore senza annoiarlo. Si tratta di un’operazione culturale assolutamente innovativa, che oltrepassando l’acceso dibattito sul destino dei musei, sulla loro limitata fruizione e attrattività, mira ad illustrare un capitolo storico scarsamente contemplato (benefattori e assistenza nella Milano del XIX secolo), con l’obiettivo prioritario di rendere vitale ed interessante per il grande pubblico una delle principali fonti del sapere contemporaneo: l’archivio. Dunque, grazie all’inestimabile dono che un singolo eccezionale filantropo ha fatto alla comunità istituzione museale colma una grave lacuna ed incrementa lo studio di un tema praticamente sconosciuto al pubblico generale: la fragilità umana. Cristina Cenedella Direttrice del Museo Martinit e Stelline
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MILANO
MUSEO DEL ‘900 IN PROGRESS Due nuove mostre: “Fuori!” e “Aldo Carpi”
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l Museo del 900 non smette di crescere. Lo fa proponendo due mostre che trattano temi opposti. La sezione Focus presenta il lavoro di Aldo Carpi e in particolare il quadro dal titolo “La mia famiglia”. Molti video ci raccontano “Fuori !, Arte e spazio urbano dal 1968 al 1976” curata da Silvia Bignami e Alessandra Pioselli. Chiediamo al progettista degli allestimenti Fabio Fornasari: cosa l’ha ispirata riguardo al progetto dei nuovi spazi mostre che il Museo ha aperto di recente? In generale tutto il museo è concepito come una variazione sul tema dell’installazione d’arte. Lavora con le opere come all’interno di un’installazione che non si limita a esporre le opere ma assegna a loro un ruolo lun-
go una lunga strada che attraversa l’edificio. Come fosse un campionario di spazi. La strada attraversa spazi di differente dimensione, con differenti qualità ma che si accomunano in una relazione di sguardi con l’esterno. Le due mostre al piano terra che sono state aperte a metà aprile sono due mostre che non avevano nulla in comune. Ciò che le accomuna è l’approccio: due installazioni che mostrano due condizioni differenti della vita umana: lo spazio pubblico e il privato. Per “Fuori!” il tema è lo spazio urbano che viene investito dall’attività degli artisti. Fare convivere dieci proiezioni video più un’installazione di diapositive in un unico spazio mi ha permesso di elabo-
Santa Maria della Passione Bella e discreta tra dipinti e concerti d’organo
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iscreta ma bellissima. Questa è la Milano di via Conservatorio, via Donizzetti e via Bellini dove sorge la basilica di Santa Maria della Passione. La chiesa stessa sembra aver ereditato quella discrezione e riservatezza ma anche un fascino senza tempo che caratterizza le strade in cui è stata edificata. Seconda basilica della città per dimensioni dopo il Duomo, Santa Maria della Passione è dedicata all’amore e alla sofferenza di Cristo e Maria. La chiesa cinquecentesca sorge su un terreno dove un tempo esisteva una cappella nella quale si venerava un affresco della Pietà con la Madonna seduta ai piedi della croce e il Cristo morto disteso sulle sue ginocchia. Questo piccolo edificio fu ampliato per volere di Daniele Birago e trasformato nell’ampia basilica che è oggi mantenendo il culto per la Vergine Addolorata. L’opera originaria, ideata da Giovanni Battagio, fu proseguita da C r i s to f o ro Solari detto
il Lombardino. Sua è anche la grandiosa cupola ottagonale che realizzò nel 1530. Nel 1572 si procedette a un ampliamento della chiesa con le tre navate disegnate da Martino Bassi. La facciata barocca è il frutto di numerosi interventi, da Martino Bassi e Matteo Rinaldi, che si prolungarono fino al secolo XVIII. Vi risaltano tre bassorilievi: al centro la Deposizione della Croce, a destra la Flagellazione e a sinistra la Corona di Spine. L’interno della chiesa è una vera e propria pinacoteca. Sono presenti opere di Crespi, Nuvolone, Peterzano, e molti altri. Sotto la volta ottagonale della cupola sono collocati gli otto quadri del ciclo illustrativo della Passione di Cristo. Ma quello che forse colpisce di più entrando nell’ottagono sono i due organi delle nicchie ai lati dell’altare maggiore. L’amore per la musica di Santa Maria della Passione è anche testimoniato dalla sua partecipazione a Cantantibus Organis un calendario di concerti d’organo che offre ad un pubblico di appassionati occasioni di ascolto del re degli strumenti. L’iniziativa che va da ottobre a luglio prevede appuntamenti musicali in varie chiese e basiliche di Milano. Anna Guainazzi
rare l’idea di un cinema continuo, un expanded cinema che riassembla le visioni in un continuo zapping spaziale. Per la mostra di “Aldo Carpi” invece è la vita di una famiglia che si riassume in una music box, uno spazio minimo che decostruisce. Come ha interagito a livello di progettazione con le opere che dovevano essere esposte? Prima idea è che lavorare con le opere d’arte è come lavorare con le persone. Non sono inanimate. Nel senso che non sono inattive. Ciascuno di noi ha un ruolo nella vita degli altri e non si ha mai uno stesso ruolo per tutti. Così le opere. Esporre un’opera significa innanzitutto conoscerla, capire da dove viene e che lingua parla. Così ad esempio per le opere di Aldo Carpi. Non si tratta solo di pitture, o d’immagini di famiglia. Sono nell’insieme la famiglia di Aldo Carpi. In tutto quel lavoro e nel lavoro dei figli si ascolta qualcosa di speciale che racconta una qualità particolare del crescere insieme. Per questo una Music Box, una scatola sonora con la musica del figlio Fiorenzo Carpi, le illustrazioni di Pinin e gli esperimenti cinematografici di Cioni. Il lungo percorso espositivo di “Fuori!” è visibile dall’esterno e permette un’interazione con l’interno del Museo. I passanti si troveranno coinvolti, inaspettatamente, in una commistione elettrizzante tra passato e presente. Clara Bartolini
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MOSTRE A MILANO
MIMMO PALADINO M
onumentale ed enigmatica. Sono queste le prime due caratteristiche della mostra dedicata ai primi 34 anni di attività di Mimmo Paladino, ospitata fino al 10 luglio a Palazzo Reale, che colpiscono il visitatore. Caratteristiche ben evidenti nell’opera simbolo dell’esposizione che fa bella mostra di sé “en plein air”, incastonata tra il Duomo e Palazzo Reale. Quella montagna di sale (35 metri di diametro e 10 metri di altezza), che tante polemiche – film già visto in occasione delle discussioni scatenate dal dito di Cattelan – ha suscitato prima della sua definitiva collocazione. «La Montagna – secondo l’artista campano, milanese d’adozione – ha bisogno di un luogo pieno di gente, è un’opera popolare, non ha paura del confronto». Nel proporla ai milanesi Paladino afferma: “mi sono molto divertito in questi 20 giorni di preparazione perchè ho trovato persone straordinarie che mi hanno fatto ripetere l’esperienza rinascimentale quando gli operai lavoravano con gli architetti” e prevede: «accadranno delle cose magiche». Quindici anni fa in piazza del Plebiscito a Napoli fu così. Prima di essere cancellata dai fuochi d’artificio di capodanno, Nino D’Angelo tenne un concerto sulla sua cima e, prima ancora, in moltissimi vi si arrampicarono per recuperare un po’ di sale, materia dal forte sapore scaramantico. Gesti che Paladino interpretò come «una specie di appropriazione dell’opera da parte della comunità». Appropriazione che è avvenuta anche a Milano, dove se la maggior parte delle persone finora si è accontentata di “appropriarsene” osservandola con curiosità o usandola come sfondo per il proprio ritratto, una piccola minoranza si è spinta oltre. Alcuni teppisti, nel corso delle feste rossonere per la vittoria del tricolore, hanno danneggiato i cavalli che punteggiano di nero il cando-
A me i vostri occhi
re del sale. Un atto estremo e condannabile, ma purtroppo destino non inusuale per le opere d’arte, soprattutto, esposte nei luoghi aperti. Basti pensare che anche la blindatissima Gioconda di Leonardo nel 1956 fu vittima di un attacco con l’acido e dopo pochi mesi fu colpita con un sasso. L’atto di vandalismo può dunque essere portato a testimonianza di come quell’enorme ed enigmatico accumulo di sale sappia non lasciare indifferenti, catturando lo sguardo dei passanti. Realizzando l’obiettivo di ogni opera d’arte: uscire dall’ombra per brillare di luce propria. Situazione che si ripete anche all’inter-
I trent’anni di attività artistica del maestro campano, milanese d’adozione, in mostra a Palazzo Reale fino al 10 luglio no delle sale di Palazzo Reale, dove le 50 opere – che annoverano 30 dipinti di grandi dimensioni, sculture e installazioni –, attraverso l’uso del colore e dei simboli, delineano un panorama carico di fascino alquanto enigmatico, su cui l’artista non sembra voler diradare le nubi svelandone il significato. In questo senso si pos-
Mimmo Paladino al lavoro; © Peppe Avallone sono interpretare le tante opere senza titolo e quella che – pur appropriandosi con i propri incastri di un’intera parete di 8 metri di larghezza per circa la metà di altezza – è destinata a non averne uno né oggi, né in futuro essendo stata etichettata dall’artista con la dicitura “Non avrà titolo”. A sgombrare il dubbio sulla volontà di non offrire una chiave di lettura alle proprie opere, ci pensa Paladino stesso. Nel catalogo della mostra, alla domanda del curatore Fabio Arensi circa i simboli e i segni contenuti nelle opere, l’artista risponde: «se ne adopero, talvolta, non ne conosco assolutamente il significato: li avrò visti, li avrò immaginati». E incalzato su come i visitatori dovrebbero osservare i suoi lavori, Paladino non ha dubbi: «Per quello che sono». Tra le tante opere esposte, a differenziarsi e a meritarsi una citazione è quella più piccola e meno invadente. Esposta al centro di una sala spoglia – con una sedia, qualche schizzo tracciato a mano sulle pa-
reti e una lampadina che pende dal soffito – “Silenzio, mi ritiro a dipingere un quadro” irradia tutto il suo fascino, catalizzando l’attenzione sul momento che segna l’inizio del percorso artistico sintetizzato nelle sale di Palazzo Reale. Un’affascinante avventura iniziata negli anni Sessanta e accelerata dal fermento culturale milanese quando Paladino, negli anni Settanta, si trasferì all’ombra della Madonnina per iniziare la sua scalata nel mondo dell’arte. Un’ascesa realizzata con successo. La sala dedicata all’installazione dei Dormienti, trentadue sculture circondate da una
Silenzioso mi ritiro a dipingere un quadro, Olio su tela, cm 70 x 50, 1977
Mimmo Paladino, La Montagna di Sale - Milano, Piazzetta Reale, 2011, © Lorenzo Palmieri
composizione eco-acustica creata dal giovane musicista David Monacchi voluto fortemente dal maestro, lascia incantatati per l’atmosfera suggestiva. L’ospitalità del piano nobile del sancta sanctorum meneghino dell’arte – un riconoscimento offerto raramente ad artisti contemporanei e in particolare a quelli italiani – e la possibilità di modificare il profilo “orografico” del cuore di Milano sono segni tangibili di come Paladino oggi rappresenti una figura di riferimento del mondo artistico contemporaneo. Simone Macchi
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MILANO
Giò Ponti Nell’edilizia il materiale più importante è l’arte
Pirelli (1956-1961), alla Chiesa progettata per l’ospedale San Carlo (1961-1965), tra gli altri. Tutte “creazioni” che faranno parte di itinerari proposti alla città. Non mancano i suoi apporti architettonici in Italia e all’estero, con particolare riferimento alla Finestra arredata, un nuovo tipo di serramento realizzato tra il 1953 e il 1954, inteso come un omaggio a Philip Johnson. La seconda tappa nella conoscenza di Giò Ponti e il rapporto con la manifattura Richard-Ginori è al Grattacielo Pirelli, ove sono esposte ceramiche e disegni che celebrano la creatività e la versatilità attraverso alcune delle serie più note come La conversazione classica, Le mie donne, La venatoria. Alla Triennale e al Pirellone dal 6 maggio al 24 luglio 2011
“Amate l’architettura, la antica, la moderna. Amate l’architettura per quel che di fantastico, avventuroso e solenne ha creato -ha inventatocon le sue forme astratte, allusive e figurative che incentrano il nostro spirito, scenario e soccorso della nostra vita”
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uella sopra è una delle affermazioni di Giò Ponti che introduce alla conoscenza di questo architetto che, oltre a essere uno dei primi architetti globali del Novecento, con edifici realizzati e progettati in Italia e in Europa, ma anche in paesi extraeuropei, è stato anche un designer riconosciuto a livello internazionale quanto un noto teorico e critico dell’architettura. Alla sua curiosità e al suo genio si devono le nascite di “Domus” e “Stile”. Maestro indiscusso dell’architettura, primo direttore artistico della Triennale con Sironi, sua è la Prima Mostra Triennale di Milano nel 1933 e il coordinamento di molte delle edizioni successive. Ancor oggi il suo “lascito indiscusso” aleggia negli spazi della Triennale. “Giò Ponti, come dice Davide Rampello, è stato il riferimento più alto di tutto il ‘900 italiano per la complessità che ha sviluppato, per ridondanza progettuale, lui era un fiume in piena. Sfido a trovare un altro architetto che si sia interessato di tutte le cose di cui si è interessato lui, che ha creato le cose che ha creato lui, che ha mosso imprese. Uno che si è misurato con tutti i materiali possibili, dalla ceramica alla porcellana, dal legno al ferro, e che alla fine per citare le sue parole ha affermato che “nell’edilizia il materiale più importante è l’arte”. Milano è privilegiata attraverso alcuni modelli di studio e/o disegni relativi al primo edificio per la società Montecatini (1936-1938), alla Torre 8
Giuliana de Antonellis
Pittori piuttosto pittoreschi
PIERO MANZONI Un re Mida sui generis
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l 12 agosto 1961 – mentre l’Europa si spaccava in due con l’inizio dell’edificazione del muro di Berlino – in quel di Albisola Marina, alla Galleria Prescetto, Piero Manzoni tirò fuori il proprio coniglio dal cilindro. In occasione della vernice di una sua personale, espose per la prima volta la sua opera più famosa e famigerata: la “Merda d’artista”. Tirata in novanta copie, la creazione fu presentata racchiusa in scatolette di latta recanti, oltre al nome, la seguente dicitura in italiano, tedesco, francese e inglese: «Contenuto netto gr. 30, conservata al naturale, prodotta ed inscatolata nel maggio 1961». Il prezzo fissato per i 90 barattoli, rigorosamente numerati, corrispondeva al valore corrente dell’oro. Quello che in altre epoche – a seconda del contesto storico e sociale – sarebbe stato scambiato per una goliardata, un’offesa al pubblico pudore o semplicemente uno scherzo di cattivo gusto, venne interpretato come un gesto di rottura con la tradizione artistica in voga. Non ci volle alcuna interpretazione per intuire come l’esposizione di una siffatta opera simboleggiasse anche la degenerazione e decadenza dell’arte moderna. La provocazione colse nel segno, ma forse lo fece fin troppo bene. Invece di far riflettere fin dove si potevano spingere i confini tra ciò che era considerato arte e quelli che erano semplici prodotti dell’ingegno, la “Merda d’autore” si impose come oggetto di culto. Le scatolette di Manzoni,
oggi, sono conservate nelle principali collezioni artistiche ed esposte nei grandi musei d’arte moderna, come la Tate Modern di Londra. E, visto che un buon metro per giudicare il valore di un’opera – giusto o sbagliato che sia – è osservarne il valore commerciale, non si può negare il fatto come Manzoni sia stato il primo uomo a trasformare la merda in oro. Meglio di un mago e degli alchimisti che invece di cercare nei propri scarti s’incaponirono con la pietra filosofale. Il 23 maggio 2007 nelle sala della casa d’aste Sotheby’s – poche ore prima che il Milan si vendicasse con il Liverpool per la sconfitta in quel di Istanbul due anni prima – un collezionista si aggiudicò l’esemplare numero 18 per un quarto di milione di euro (per i maniaci della precisione, 124mila €). Cifra record per una delle novanta opere, più che dell’ingegno, dell’intestino dell’artista. Anche se questo punto è controverso perché se si tiene fede alla testimonianza di Agostino Bonalumi, amico dell’artista, le famigerate porzioni da trenta grammi non sarebbero di “produzione manzoniana” ma semplicemente di gesso. Manzoni, dunque, sarebbe stato un falsario di se stesso. Se così fosse come la prenderà quel fantomatico collezionista che ha investito duecentocinquanta milioni delle vecchie lire in quella che pensava essere una cagata d’autore e si ritrova tra le mani un oncia di dozzinale gesso? Massimo Zanicchi
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MOSTRE A MILANO
I ritratti di Michel Compte “E’ un cavaliere errante della fotografia: un vagabondo, un avventuriero, un nomade con la macchina fotografica”
Compte si destreggia da Parigi a New York con grande classe e professionalità. “Michel Compte. Crescendo Fotografico”, titolo della mostra curata da Walter Keller e ideata da Serena Baccaglini e Francesca Silvestri, ripercorre gli anni ottanta-novanta, quelli delle superdive come Sharon Stone, dei musicisti del calibro di Miles Davis e delle top model inossidabili quali Carla Bruni. Divenuto un brand internazionale grazie anche alle sue doti, in un ambiente competitivo come quello della moda, ha fotografato moltissimi personaggi famosi. Il percorso espositivo al primo sguardo, tra le 87 immagini di personaggi celebri immortalati dall’obiettivo di Compte, può apparire un palcoscenico troppo patinato e se vogliamo, effimero. Se ci soffermiamo invece davanti ad alcuni ritratti come quello dell’artista Louise Bourgeois, ad esempio, notia-
S Giorgio Armani, W Magazine, 1992, 150 x 70 cm © Michel Comte Estate / I-Management SA
ono le parole dell’attrice Geraldine Chaplin, ritratta più volte da Michel Compte, celebrato in un’ampia rassegna alla Triennale dal 10 maggio al 3 luglio 2011. Karl Lagerfeld fu il primo a fiutare il talento di Compte alla fine degli anni settanta e a sradicarlo dalla Svizzera per affidargli le campagne pubblicitarie di Chloè e di Ungaro. Il fotografo, rigorosamente autodidatta, da allora inizia la grande scalata verso le riviste glamour e le passerelle di tutto il mondo. Ed è subito successo.
Anish Kapoor a Milano Le moltiplicazioni della realtà T
re i vocaboli per definire il grande evento artistico che ha preso il via il 31 di maggio alla Rotonda della Besana (fino al 9 ottobre) e alla rinnovata Fabbrica del vapore (fino 8 gennaio 2012): rosso, monumentale, percettivo. Sono gli elementi identificativi dell’artista indiano Anish Kapoor. Nello spazio “cattedrale” della Fabbrica del Vapore è istallata una gigantesca opera site-specific. Si tratta di un grosso volume in acciaio lungo 60 metri e alto 8 percorribile anche dai visitatori. L’opera verrà coperta progressivamente da una montagna di terra rossa di circa 160 metri cubi. La Rotonda della Besana ospita invece una selezione di opere tra cui My Red Homeland, 2003, una monumentale installazione formata da cera rossa disposta in un immenso contenitore circolare e composta da un braccio metallico connesso ad un motore idraulico che gira sopra un asse centrale, spingendo e schiacciando la cera in un lento e silenzioso atto infinito di creazione e distruzione. Non mancheranno altre note opere in acciaio C-Curve, 2007; Non Object (Pole), 2008; Non Object (Door), 2008; Non Object (Plane), 2010 solo per citarne alcune. Ancora però le sorprese non sono finite sempre a partire dal 31 maggio, in occasione della Biennale, nella Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia, sarà presentata l’opera Ascension del 2003 già esposta in Brasile e in Cina.
Carla Bruni, Vogue Italia, 1996, 120 x 120 cm © Michel Comte Estate / I-Management SA
Kapoor considera, per sua stessa ammissione, il colore rosso come “un mezzo di investigazione emozionale” e la cera, un elemento malleabile in continuo divenire. L’acciaio, come materiale dominante e le gigantesche dimensioni delle sue opere, creano un continuo gioco di richiami e un nuovo modo di concepire lo spazio e l’arte in esso inserita, falsando la percezione della realtà. Le sculture in lucido metallo riflettono, scavano, colorano e moltiplicano ciò che le circonda in una molteplicità di direttrici, diventano giganteschi caleidoscopi. L’osservatore, stupefatto rimane immediatamente imbrigliato da queste nuove dimensioni. Inizialmente la sensazione è quella di sentirsi perso, confuso senza riferimenti, come sospeso in uno spazio senza equilibrio. In seguito, l’adattamento alla moltiplicazione delle angolazioni, dei punti di vista, creano il coinvolgimento nella nuova “dimensione Kapoor”. Rotonda della Besana – via Enrico Besana,12 31 maggio - 9 ottobre 2011 Fabbrica del Vapore – via Procaccini, 4 31 maggio – 8 gennaio 2012 Orari: lunedì 14.30 – 19.30. Da martedì a domenica 9.30-19.30, giovedì e sabato 9.30-22.30
mo nella sua ricerca della perfezione stilistica, una spiccata sensibilità ed una capacità introspettiva meno nota. Questi fotogrammi indagano sull’intimità dell’universo femminile a testimonianza di un periodo storico contemporaneo. Tra gli ambienti più interessanti dell’esposizione segnaliamo una saletta dove si trovano venti collage, ognuno composto da provini fotografici di diversi rullini per dimostrare la complessità del lavoro prima di raggiungere lo scatto definitivo come solo i grandi maestri sanno fare.
Mariantonia Ronchetti
Francesca Bellola
Frank Zappa, Private Sitting, 1989, 30 x 30 cm © Michel Comte Estate / I-Management SA
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IN EVIDENZA
Roberta Musi - Franco Tarantino I due artisti uniti per l’Aeronautica
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ranco Tarantino vanta una collaborazione quarantennale con l’Aeronautica Militare. Negli anni ‘70, infatti, Tarantino instaurò con il generale Pisano, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, un prezioso rapporto lavorativo che prosegue ancor oggi attraverso il supporto dei successivi generali che nel frattempo si sono susseguiti. Molte sono le opere di Tarantino presenti negli spazi prestigiosi del Comando 1^R.A. - Istituto Medico Legale e Aeroporto di Milano-Linate.
“Una volta che avrete imparato a volare, camminerete sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare” Ha realizzato, inoltre, cartelle di grafica per i personaggi di passaggio dal Comando di Regione ed un francobollo per la Zecca di Stato sui Caduti di Kindu. Ora l’artista si appresta, insieme alla poliedrica ed intraprendente Roberta Musi
con la quale collabora attivamente da anni, a raggiungere un ulteriore traguardo: la splendida opera (300 X 215 cm.) intitolata “Le-ali nel tempo” (vedi foto) sarà dona-
Le ali del tempo, acrilico su tela, 210 X 300 cm, Foto di Paolo Manusardi
Musi e Tarantino all’Ottagono, Foto di Paolo Manusardi
Tina Parotti
Carla Ferraris
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rtista poliedrica e gallerista affermata, Tina Parotti è conosciuta dal pubblico oltre che per i suoi lavori, che si estendono dalla pittura alla grafica alla poesia, anche per il suo spazio espositivo “Gallery House” di Arconate (MI) che ospita, oltre alla sua collezione permanente, artisti affermati ed emergenti tra i più innovativi ed interessanti del panorama contemporaneo. Nelle opere della Parotti, sulla scia del post-modernismo, emerge una sorta di “ripensamento” tecnico/concettuale dei movimenti storici dell’arte, che non rientra tuttavia nel citazionismo, ma anzi
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ario Bernardinello vanta una carriera quarantennale davvero sfolgorante. Nel 2009 infatti, le sue opere sono state battute all’Asta da Christie’s, prima casa d’Aste internazionale, presso l’Hotel Gallia di Milano insieme a quelle di illustri maestri tra i quali Hans Hartung, Arnaldo Pomodoro, Emilio Tadini, Marco Lodola. I fondi raccolti sono stati devoluti in beneficenza alla Fondazione Champion for Children a favore dei bambini abruzzesi delle zone colpite dal recente terremoto. 10
segne”. L’opera, ricca di simbologie vecchie e nuove, è realizzata appositamente per l’occasione dai due artisti. In essa si sprigiona un forte dinamismo dovuto a spirali di colore che spingono in alto la scena, attraverso una sequenza cronologica di una formazione del PAN e la immettono, successivamente, in un mondo che inneggia al “passato”: Pegaso, con le sue ali svolazzanti e le mongolfiere che si innalzano colorate e festose nel cielo dimostrano la temerarietà dei nostri predecessori alla costante ricerca di imitare gli uccelli. Nella complessità della composizione, vive un costante e gioioso movimento che richiama l’operosità dell’uomo alla ricerca di sempre nuove interessanti esperienze. Sullo sfondo le Frecce Tricolore volteggiano e rafforzano il legame tra il passato e il mondo attuale tecnologico. Nel dipinto, il genio di Leonardo da Vinci osserva lo svolgersi del sogno umano del volo che aveva particolarmente a cuore come testimoniato dalle sue parole: “Una volta che avrete imparato a volare, camminerete sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare”. Musi e Tarantino sono stati invitati dall’Aeronautica, durante una recente manifestazione, ad esporre parte della loro produzione all’Ottagono, prestigiosa “location” che attualmente ospita il Cacciatore di Stelle di Paladino.
Simbolica ed essenziale
sviluppa una pittura istintuale ed emozionale, al contempo spaziale ed esplorativa, simbolica ed essenziale. I suoi lavori risultano squillanti e dinamici, costruiti sull’associazione di forme e cromie; seppur tematicamente eclettici i suoi dipinti rimangono fedeli alla visione del dato reale che la Parotti ha acquisito nell’arco della sua ricerca. Da quest’ultima nascono non solo dipinti su tela, ma anche complementi ed oggetti d’autore ispirati dalla natura circostante che le valgono il consenso di pubblico e critica, nonché numerose partecipazioni ad eventi e mostre nazionali ed internazio-
Mario Bernardinello F.B.
ta dal Gen. Nello Barale al nuovo Comandandante la 1^R.A., il quale la collocherà, in tenuta stabile, nel palazzo, il 7 settembre 2011 in occasione “del passaggio delle con-
Presidente del Circolo Artistico Culturale Milanese e membro della Permanente, Bernardinello è tra i componenti di spicco del transvisionismo, un movimento nato nel 1995, allo scopo di “vedere che cosa ci sia al di là della materia e che la materia stessa e il gesto con cui viene trattata guidano a vedere, a percepire, a partecipare”. Bernardinello è stato insignito di importanti onoreficenze. Tra le numerose e prestigiose partecipazioni ad eventi e mostre nazionali ed internazionali di Bernardinello, ricordiamo quelle più recenti a Palazzo dei Normanni a Palermo, al
nali. Tra questi ricordiamo la personale di aprile allo Spazio Arte di Gavi (AL), la collettiva di maggio “Among the serious playful, things” alla Onishi Gallery di New York e la collettiva “Sconcerti” a Quinto Cortile (MI) in programma per i prossimi 13 e 14 giugno. www.tinaparotti.com info@tinaparotti.com tel. 3382105247
Una vita dedicata all’Arte Museo San Matteo di Pisa e al Circolo della Stampa di Milano. L’artista presenterà la sua ultima produzione in una mostra intitolata “Astratto caldo” il prossimo settembre-ottobre in data da stabilire, presso lo spazio Atelier al Museo della Permanente di Milano.
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IN EVIDENZA
Maurizia D’Ippolito opere che hanno suscitato in me questa forte emozione, senza nulla togliere alle pregevoli figure di stampo cubista che l’artista propone su tele ad olio di medio e grande formato, sono i paesaggi di media e piccola grandezza; vere chicche che l’artista compone con grande creatività a mo’ di raffinati puzzle di carta. Dalle mille stagnole policrome che l’artista recupera scartando cioccolatini, caramelle o altro, nascono così delle vere e proprie opere d’arte, piccoli capolavori dalla cromia cangiante. Quelli proposti dall’artista, eseguiti con grande manualità, sono paesaggi geometrici dai contorni ben definiti, che sembrano modificare la loro intensità se cambia il punto di osservazione. Essi non sono riconducibili a luoghi reali, ma sono luoghi dell’anima; percorsi emozionali molto personali, all’interno dei quali è possibile riconoscere e ritrovare il quotidiano, fatto di mille sfumature e sensazioni. Guardare le opere di Maurizia D’Ippolito significa dunque perdersi in un mondo fatto di pace e tranquillità; i suoi paesaggi inanimati invitano alla riflessione e all’ascolto di suoni e voci che esistono solo nell’immaginario e che, proprio per questo, sono in grado di evocare in chi li guarda emozioni e sentimenti persi nella memoria. La sensazione è quella di viaggiare senza mai spostarsi, sognare
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ntroduce l’artista il critico Sabrina Sottile: “Qualcuno ha detto che l’opera d’arte deve essere “euritmica”; tutti i suoi elementi infatti devono comporsi in un insieme secondo un rapporto costante che obbedisce a leggi precise. Ci deve essere cioè un certo equilibrio fra le parti; una particolare armonia tra la forma e il colore; una simmetria di equivalenti attraverso il quale esprimere al meglio la propria creatività. Queste osservazioni sembrano rivivere pienamente nei lavori di Maurizia D’ippolito. L’artista di Latisana è stata per me una vera e propria scoperta; un’esplosione di luci, colori e forme espressive in perfetto equilibrio. Le
Dalle mille stagnole policrome che l’artista recupera scartando cioccolatini, caramelle o altro, nascono delle vere e proprie opere d’arte senza mai addormentarsi. Perdersi in un mondo irreale fatto di emozioni e sensazioni a fior di pelle”. L’artista ha partecipato a numerose esposizioni collettive e personali, tra le quali ricordiamo: la 1° e la 2° edizione di Cittadella arte in fiera di Sarzana (SP) rispettivamente nel 2009 e nel 2010, Artisti migliori italiani a Villa Panfili - Roma. Tra le più recenti manifestazioni segnaliamo Torino Arte 150 e Sanremo sotto le stelle. Il prossimo appuntamento di Maurizia D’Ippolito sarà presso il Caffè Letterario di Pordenone dove presenterà le sue opere in una mostra personale dal 1 al 31 luglio 2011.
Pier Domenico Magri Palazzo Recalcati, storica dimora nobiliare milanese recentemente restaurata, ospita le opere dell’artista
denza artistica e di design per i quali la città di Milano si è dimostrata sensibile. La struttura originale dell’edificio fu ampliata tra la fine del ‘600 e la prima parte del XVIII° secolo per poi subire un’imponente opera di restauro durante gli anni ‘20. Riportato all’antico splendore da un ulteriore intervento di ripristino nel 1997, Palazzo Recalcati conserva intatti particolari architettonici di pregio come la corte porticata bramantesca e la ringhiera
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ier Domenico Magri ha alle spalle un considerevole numero di prestigiose mostre istituzionali pubbliche. Recentemente ha presentato in collaborazione con lo studio Art-Action di Milano, una ventina di opere nella mostra personale intitolata “Solo Scudo” al Castello di Belgioioso con la presentazione e testo critico a cura di Giacomo Prati della Soprintendenza ai Beni Culturali di Milano. Magri espone dal 7 giugno al 30 agosto 2011, nella prestigiosa sede di Palazzo Recalcati presso il famoso ristorante l’Assassino di Milano in compagnia di artisti
Quadratura murale, 100 x 100 cm - olio su tela, 2011
Quadratura murale, 100 x 100 cm - olio su tela, 2010
del calibro di Mimmo Rotella e Osvalda Pucci. La mostra itinerante è curata da Azzurra Casiraghi e Brasilia Pellegrinelli, accreditate consulenti d’arte di Milano e titolari dello studio d’arte Art-Action. La location, situata nella storica dimora nobiliare milanese di Palazzo Recalcati di via Amedei, 8 all’interno della cerchia delle mura romane del capoluogo lombardo costruito alla fine del Quattrocento, è stata recentemente restaurata seconQuadratura murale, 80 x 80 cm - olio su tela, 2011 do i canoni più moderni di ten-
Quadratura murale, 70 x 100 cm - olio su tela, 2010
settecentesca della scalinata d’ingresso. Ristorante l’Assassino Palazzo Recalcati, Milano, Via Cornaggia (angolo Via Amedei) Inaugurazione 7 giugno dalle 18,30 alle 20.00 www.art-action.it info@art-action.it 11
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MOSTRE A MILANO
Terre Vulnerabili A growing exhibition
Il nuovo OK
Ok Arte festeggia il suo 10° anniversario cambiando look! La cover è completamente rinnovata, così come la nuova veste grafica per un taglio editoriale sempre più mirato a valorizzare la Cultura e i Tesori nascosti del nostro Paese, a partire dalle tradizioni più suggestive del territorio. La rivista “OK ARTE” è leggibile anche sul portale www.okarte.net www.okarte.it di ampia visibilità visitato da migliaia di visitatori ogni giorno. Sul portale trovi l’elenco dei punti di distribuzione delle copie. Un vero e proprio “Compagno di Viaggio nel mondo dell’Arte” tel. 347-4300482 info@okarte.org
Pascale Marthine Tayou, Plastic Bags
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a luna è arrivata all’ultimo quarto ha lazione, sono i più importanti, poiché poscompiuto il suo ciclo per riprendere sono far crollare tutta la catena. poi, daccapo, una nuova fase. Un altro esempio è il mettere in rilievo che Quella in corso all’Hangar Bicocca è la la vulnerabilità può essere anche permeaquarta “tranche” di un unico progetto di bilità al mondo, quindi all’altro così come Chiara Bertola curato in collaborazione alla conoscenza. con Andrea Lissoni, intitolato “Terre vulTerre Vulnerabili si trasforma, per un’ultinerabili” che ha preso avvio nel mese di otma volta, mostrandosi interamente nello tobre del 2010 e che ha visto, nel suo inspazio “alto” dell’Hangar intorno alle setsieme, la partecipazione di una trentina di te torri opera di Anselm Kiefer, che occuartisti italiani e stranieri, scelti tra i più rappano in permanenza la parte centrale del presentativi giovani emergenti e tra i più salone accogliendo ulteriori quattro nuosignificativi nomi affermati da tempo. ve opere: quelle di Alberto Tadiello, di Il sottotitolo della rassegna, “A growing Pascale Marthine Tayou e di Nari Ward exhibition” (una mostra in divenire), ci appositamente realizzate e quella di Rosuggerisce una modalità scelta, che è anman Ondák inedita in Italia. Ne vede alche uno dei concetti alla base di questa cune trasformarsi ancora (Bruna Esposirassegna. to, Margherita Morgantin) altre crescere Alla prima delle quattro fasi, hanno infatoppure sciogliersi (rispettivamente Ludoti preso parte 15 artisti, cui si sono provica Carbotta, Adele Prosdocimi e Invergressivamente aggiunti altri a ogni fase nomuto), altre ancora sommarsi ad altre successiva, che ha visto così aumentare il preesistenti molte infine muoversi e rinumero delle opere e degli artisti in espocombinarsi fra loro in nuove ed inaspettasizione. Anche molte delle singole opere te configurazioni. si sono evolute nel corso del progetto graDal 6/5 al 17/7/2011 zie a interventi degli artisti, nati da scamFabrizio Gilardi bi di vedute tra gli operatori stessi, ma anche tenendo conto delle osservazioni dei visitatori. Il progetto tenta di mettere in rilieVia Conservatorio, 12 – Milano vo aspetti che possono essere positivi nel conVia San Giovanni Sul Muro, 2 – Milano cetto di vulnerabilità, per esempio il dare Per informazioni e prenotazioni: importanza a chi o alle Serate Musicali Uff. Biglietteria cose che a prima vista tel. 02-29409724 dal lun. al ven. 10– 17 ne hanno poca e quindi sono per certi aspetmail: biglietteria@seratemusicali.it ti le più vulnerabili ma, sito: www.seratemusicali.it visti da un’altra ango-
Serate Musicali
CHIAR DI LUNA Ristorante E’ possibile gustare oltre ai deliziosi piatti tipici della casa, delle originali e squisite pizze
Pizze Filosofiche Pizza Pitagora Il padre del più famoso tra i teoremi, era un convinto vegetariano. La pizza a lui dedicata ha i colori della Pianura della Verità. Potrete trovarvi il verde del paté di olive, il bianco della mozzarella e l’arancione delle carote. Pizza Cartesio All’insegna del rigoroso dualismo, la Pizza Cartesio separa il corpo dalla mente, ovvero il pomodoro dalla mozzarella. E nutre il primo con del grana e la seconda con delle noci, la cui forma ricorda quella del cervello umano.
Pizza Kant Gialla come la luce che illumina la mente, la pizza Kant un delizioso mix di mozzarella, grana, crema di mais e peperoni gialli! Consigliata a tutti i sostenitori della ragion pura!
Pizza Nietzsche Una pizza dai sapori forti, così come forte e decisa la Volontà di Potenza di cui parlava uno tra i più eccentrici filosofi di tutti i tempi. Pomodoro, mozzarella, uovo, pecorino, lardo: una pizza per veri Super-uomini
Sala Verdi del Conservatorio Teatro Dal Verme
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Chiar di Luna chiuso martedì e mercoledì via Gandolfi, 12 24042 Capriate S. Gervasio (Bergamo) tel: 02 9091110 www.chiardiluna.it info@chiardiluna.it
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Continua il successo dell’artista triestino che, attraverso l’uso della fotografia digitale, sta raccogliendo consenso e interessi crescenti da parte della critica e del pubblico
IN EVIDENZA
Dietro la luce, glierlo, allora, nel suo farsi ricorrendo a un ‘operazione come quella artistica che, comunque la si guardi, resta statica, finita, contingente, senza correre il pericolo di snaturarlo, banalizzarlo? Qui a Balestra viene in aiuto la forza dinamica ed evocativa della luce ed emerge in modo chiaro la capacità di coglierne tutta l’essenza, mettendola in continuo, assillante contrasto con la sua assenza, il nero incombente, che sovrasta e angoscia. Quello che ne risulta è un doloroso “chiaroscuro” che è contemporaneamente “intreccio vitale di desiderio e razionalità”. Quello che, in altri termini, è la stessa condizione umana, combattuta tra l’ansia di comprendere e la paura dell’ignoto. Si evidenziano nel ciclo Beats (antitesi) mini porzioni di luci bianche, riposte in geometrie spaziali ben delineate nella loro essenza, apparentemente statiche ma sospese in un equilibrio composito di straordinaria vibratilità nello spazio. E per Balestra, il compito che si assume la luce è anche quello di essere portatrice di speranza, ricordo, sensualità, evoluzione. Capace di compiere il miracolo dell’equilibrio, dell’armonia tra forze opposte. E qui torna alla mente il concetto di “sinolo” aristotelico, l’unione dei due elementi, materia e forma, materia e spirito, che caratterizzano l’essenza della natura umana. Questi continui sconfinamenti filosofici sono d’obbligo. Balestra è stimolato ed incuriosito dall’osservazione degli effetti del passare del tempo sulle cose, sulle persone, sull’ambiente. D’altra parte, è lo stesso artista che, soffermandosi su alcune sue opere intitola-
Silvio
dal ciclo “Spirit & MMatter , Night & Day “
cupa bensì occupa solamente di fluire incondizionatamente”. In che modo cercare di decrittare un’opera come quella di Balestra se non attraverso le categorie del pensiero, visto che è il pensiero nella sua cangiante metamorfosi ciò che si vuole cogliere, per così dire, “in corpore vili”?
una provocazione autenticamente intellettuale. Di questo, ormai da tempo, la critica e il pubblico si sono accorti. Uno dei più recenti riconoscimenti gli è stato assegnato alla Fiera di Parma 2011, dove, oltre a essere stato finalista per il premio della critica con la computer grafica, gli è stato attribui-
Chi si appresta a compiere un fantastico viaggio nel mondo di Balestra è atteso da un compito di astrazione in certi casi non semplice, ma assolutamente indispensabile per poter cogliere tutte le sfumature di
to quello dei Galleristi che ha suggellato in modo molto prestigioso una consolidata presenza nel mondo della nuova arte fotografica. Le sue opere fotografiche vengono ampiamente riconosciute anche a livello
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a fotografia per Silvio Balestra è esclusivamente un mezzo per esprimere la propria espressività interiore. Ecco perché hanno scarsa rilevanza l’oggetto inquadrato, la sua forma, i suoi contorni. Mentre, assurge a un ruolo fondamentale la luce, la sua presenza contrastata, i vuoti e i pieni che si creano, e, con essa, la possibilità di cogliere, quasi, con l’allegoria di trasparenze e opacità, il pensiero nel suo formarsi, la delicata e sensibile rete delle sinapsi che reagisce ai continui stimoli sensoriali. Se analizzare le opere di Balestra porta a qualche considerazione filosofica non deve stupire, in quanto alla base della sua ricerca, a detta dello stesso autore, si collocano i concetti di spazio, tempo e vita che rappresentano i principi primi sui quali gli studiosi del pensiero di ogni epoca hanno orientato la propria interpretazione della realtà. Se andiamo a fondo nella riflessione, ci accorgiamo che questi tre principi si reggono su un elemento semplice: il divenire. E, alla fine, è proprio il divenire, e la necessità di coglierne l’essenza primaria, “l’atto puro”, come suggerirebbe Aristotele, quello che spinge l’artista a travalicare ogni limite del “pensabile” a livello razionale per affrontare sfide orientate - e sono proprio le parole di Balestra – verso “una visione superiore del tutto, dell’infinito, dell’impossibile”. Ma divenire è movimento. Come co14
dal ciclo “Spirit & Matter”
te Spirit & Matter, rivela: “Il tempo, questa fantastica e deleteria unità di misura che passa incessantemente e costantemente non si ferma mai di fronte a nulla; non guarda in faccia a nessuno, non si preoc-
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IN EVIDENZA
il pensiero:
Balestra
cerca - e dinamiche emotive, tutt’altro che scontate. Ancora una volta, in queste opere troviamo il contrasto bianco e nero con presenze di rosso e altri colori che però non alterano il valore della scala cromatica complessiva. Sembrano una variante controllata e non invadente. Particolarmente suggestivi certi effetti tridimensionali, impronte legger-
mente rilevate, cascami di graffiti attirati da invisibili calamite, florilegi abnormi, coralli neri, e il contrasto, nell’anomia complessiva, di forme geometriche varie che si ripetono come simulacri di lontane certezze. Come fare, anche qui, a non ricordare certi richiami alla filosofia pitagorica? Il processo, però, nel caso di Balestra appare capovolto. Il significato della realtà non lo si comprende rendendola misurabile e numerabile come avrebbero voluto i seguaci della scuola di Pitagora. Al contrario, sono i numeri che, spogliati della loro apparente inequivocabilità, sono in grado di richiamare la complessità della vita. Sanno ricondurre a quell’equilibrio, a quell’armonia, così precari e affascinanti, tra gli opposti in perenne contrasto, che danno il senso alla nostra esistenza e alla nostra faticosa ricerca interiore. www.silviobalestra.com info@silviobalestra.com Ugo Perugini
dal ciclo SPIRIT & MATTER
“Il tempo, questa fantastica e deleteria unità di misura che passa incessantemente e costantemente non si ferma mai di fronte a nulla”
internazionale; recentemente per il secondo anno consecutivo Balestra è stato insignito del prestigioso “Merit Award B&W contest 2011” della patinata rivista californiana “B&W magazine” dedicata al mondo della fotografia in bianco e nero. D’altra parte, il lavoro di Balestra non si ferma qui. Anche nella computer grafica vera e propria il processo di affinamento delle risorse alle quali l’artista attinge si è fatto ancor più raffinato, al limite della sfida. Il ritorno di questo termine non è per nulla casuale! Chi può pensare che attraverso l’uso di Microsoft® Excel®, programma che ha la funzione di semplice foglio di calcolo, sia possibile arrivare a rappresentare immagini di una sconcertante efficacia espressiva attraverso un uso attento e stilisticamente controllato del “mousepainting? Balestra lo fa. Riesce a realizzare, attraverso un’elaborazione visiva di sequenze numeriche apparentemente insignificanti, ipotesi di nuovi mondi comunicativi, carichi di messaggi - per quanto celati dietro una subliminalità che impone una costante ri-
dal ciclo BEATS
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IN EVIDENZA
Maurizio Bono
Quando l’Informatica diventa Arte La computer grafica in mostra alla galleria Il Borgo N
ato a Palermo nel 1970, Maurizio Bono attualmente vive e lavora a Sciacca, in provincia di Agrigento, dove svolge l’attività professionale di ingegnere. Si è avvicinato all’arte in età adulta con lo studio delle belle arti ma è da quaranta anni che possiede una passione atavica per il disegno e per ogni espressione legata alla scrittura creativa. Perché Maurizio Bono non si ferma all’informatica e al disegno. Egli apprezza anche gli aspetti letterari della creatività che rintraccia anche nella scrittura, in testi poetici, aforismi e racconti “non sense” sempre dotati di inaspettata ironia. In questo modo l’autore dimostra il suo incondizionato amore verso la lettura a completamento dell’espressione della riflessione interiore, già iniziata con lo studio dell’immagine e della sua manipolazione. Tra le esperienze professionali di Bono maturate nel passato occorre annoverare l’insegnamento di Decorazione all’Accademia di Belle Arti “Eleonora d’Aragona” di Sciacca in Sicilia dal 2007 al 2010. Da qualche anno Maurizio Bono è impegnato nella realizzazione di composizioni miste fondate sulla combinazione dell’immagine fotografica con il disegno, per le quali si avvale dell’ausilio di “software” specialistici. Nell’universo visivo dell’artista siciliano il disegno si illumina di nuove direzioni formali nella fusione con la foto-
Sleeper, 125 x 100 cm
Nautilus, 120 x 90 cm
grafia, due strumenti che riflettono il passaggio tecnologico dalla tradizione alla computer graphica, dalla storia dell’arte alla sua rivoluzione culturale. Le opere di Maurizio Bono trattano questo delicato argomento con inedita sobrietà creativa ed inaspettata immediatezza visiva, che contraddistinguono una personalità capace di esprimersi attraverso la dirompenza del colore e l’originalità del soggetto rappresentato. Talvolta i pannelli di Bono rappresentano l’intreccio di sentieri differenti, un crocevia di strade che conducono all’universo visionario della psiche umana. L’ermetismo grafico è celebrato dalla presenza costante di elementi simbolici ed emblemi più o meno visibili che costituiscono il linguaggio artistico di Maurizio Bono. La sovrapposizione di simbolismi genera un affascinante codice comunicativo da decifrare. Proprio per queste ragioni lo stile dell’artista può essere considerato enigmatico.
Ptrolio, 60 x 90 cm
Nella simbologia “chisciottesca” si ritrovano alcuni dei suoi moduli ricorrenti come le stesse fessure, indicanti l’auspicio del superamento di ogni chiusura verso il mondo. Sono segni che vibrano di sensazioni oniriche e dialogano nell’intensità di un cromatismo saturo di contrapposizioni tonali, giocando sul valore coloristico delle cangianze. Spesso l’atmosfera caliginosa è complice di questo gioco cromatico e in questo tipo di ricerca artistica enfatizza l’emozionalità del colore, la fierezza della forma e l’intensità nella poesia del contrasto. Ci si perde nell’incanto dello spazio, inghiottito dall’imponenza del microcosmo. Esso diviene asse portante e al tempo stesso scenario monumentale del suo filone creativo, catturando lo sguardo dell’osservatore e intrappolandolo nel dettaglio visivo. Non è sempre semplice riuscire ad uscirne, ritornando alla realtà perché le opere di Maurizio Bono riescono a creare profonde prospettive verso l’interiorità. Sabrina Falzone
Prospettive interiori Mostra personale di Maurizio Bono Vernissage: martedì 5 luglio ore 18 Dal 5 al 19 luglio 2011 a cura di Sabrina Falzone Galleria Il Borgo Corso San Gottardo 14, Milano Orari: da martedì a venerdì ore 16-19; sabato h.10-12 Chiuso lunedì e festivi Ingresso libero (Si ringrazia Sanja Kocman per la collaborazione) info@sabrinafalzone.info www.sabrinafalzone.info 16
Notte, 135x75 cm
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ITINERARI IN LOMBARDIA
Il Duomo di Lodi
Un inno al patrono San Bassiano
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assiano, un nome veramente poco diffuso, forse qualcuno non sa neppure che possa essere un nome di battesimo. Ma basta avvicinarsi al territorio del lodigiano e sicuramente capiterà di incontrare più di un nonno Bassiano e Bassano nella versione più popolare. San Bassiano è il patrono di Lodi e, come spesso accade, il protettore diventa parte integrante e fondamentale nella vita della città. Di richiami al Santo Patrono è pieno il Duomo di Lodi. La Cattedrale nasce con la costruzione della nuova Lodi. Dopo la distruzione di Lodi Vecchio ad opera dei Milanesi nel 1158, Federico Barbarossa sponsorizza la costruzione della nuova città. E a testimonianza della continuità fra i due centri urbani, inizia la costruzione del Duomo con l’utilizzo di pietre di Lodi Vecchio. Nel 1163 vengono traslate anche le spoglie del Santo Patrono dalla Basilica di San Bassiano di Lodi Vecchio alla nuova Cattedrale. Di richiami al Santo è piena la Chiesa, dalle reliquie situate in un altare ottocentesco della cripta ai numerosi affreschi, alla bellissima statua duecentesca in rame dorato posta accanto al terzo pilastro di sinistra che in origine era situata in un’edicola della facciata, dove ora invece è collocata una copia in bronzo, risultato degli ultimi restauri effettuati fra il 1958 e il 1964. La facciata è asimmetrica per la presenza del campanile, caratterizzata da una serie di aperture di epoche diverse, da una cornice di archetti e dall’edicola con la statua del Patrono. La Chiesa nella sua struttura è immagine e simbolo della Gerusalemme Celeste e il simbolismo è rappresen-
tato proprio dal portale. Le sculture risalenti agli anni 1180-85, comprendono due leoni stilofori del protiro scolpiti mentre prendono uno un’aquila col serpente e l’altro un agnello. Nella lunetta il Cristo in trono che sembra voglia esprimere il suo potere celeste sul destino dell’uomo; il fedele varca la
soglia ed entra. Si trova in un ampio interno, suddiviso da importanti pilastri cilindrici a tre navate a sistema alternato. Il Duomo, dedicato all’Assunta, contiene importanti affreschi in onore della Madonna come il “Trittico” di Alberto Piazza, numerose “Madonne in trono” e una
serie di piccole “Madonne del latte” di pittori anonimi. E’ certamente una Cattedrale da visitare, tra le più vaste della Lombardia, ricca di opere, testimone del percorso che la sua costruzione e restauro ha avuto attraverso i secoli. Ivana Metadow
CONTEMPORANEA11
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ostra d’Arte Contemporanea presso la chiesa antica dei SS. Marco e Gregorio a Cologno Monzese dal 7-5-2011 al 15-5-2011 organizzata dall’Associazione Amici dell’Arte e promossa dai curatori Donato Carissimo e Carlo Catiri. Con “Contemporanea 2011”, l’Associazione Amici dell’Arte si propone di dare avvio a un appuntamento periodico con l’arte contemporanea, proseguendo l’intenso lavoro di promozione culturale sul territorio di Cologno Monzese che ha già dato vita a diverse mostre. Sono sedici gli artisti che attestano quella straordinaria vitalità dell’attività creativa che l’Associazione A.A. con “Contemporanea11”, vuole raccogliere, valorizzare e far conoscere innescando un dialogo proficuo tra fruitori e artisti, tra artisti e critici, tra artista e artista. Durante il periodo espositivo, oltre alla presentazione del catalogo, una conferenza dal titolo “Il Mestiere dell’Arte” ha significato il senso dell’esposizione e indicato la direzione dell’operazione culturale che ha coinvolto gli artisti: Bonfanti, Di Battista, Epifania, Fornai, Gagliardi, Galli, Lombardi, Lux, Maggia, Nones, Nucci, Pettinato, Ritorno, Rossetti, Scotti e Tramontin. Sicuramente durante la conferenza, le problematiche proposte dagli artisti in esposizione hanno trovato il giusto contesto per prendere spessore. In particolare si è voluto evidenziare come risulta sempre più difficile e problematico affrontare il tema dell’artisticità e definirne la sua sostanza costitutiva. Delimitare il campo di azione della creatività e fissare delle regole interpretative sembra oggi più incerto e indeterminato. Eppure è sempre più urgente per l’Arte, ritrovarsi, sentirsi parte di un sistema e significare la propria esistenza in modo tangibile. Il Mestiere dell’Arte è un mestiere difficile ed il percorso che lo accompagna è tanto affascinante quanto misterioso e nella sua unicità si deve individuarne il valore assoluto. Questa è una ricerca che deve unire, in perfetto equilibrio, speculazione teorica e pratica realizzativa. Tale bipolarità, che da sempre accompagna il lavoro dell’artista, caratterizza l’esito finale dell’opera, che si configura come un insieme di forze dinamiche e contrastanti che si esprimono attraverso forme e colori in espansione. La creatività, nella sua libertà assoluta, deve comunque manifestarsi in una forma attrattiva o repulsiva, ma sempre coinvolgente che trasformi comunque le dinamiche tradizionali della comunicazione. Sostituire cioè il flusso lineare da oggetto a soggetto nel più interattivo azione-reazione con una simbiosi perfetta tra manifestazione e coscienza. Allora l’opera d’arte si potrebbe definire come una tensione. Una specie di campo magnetico che attrae le nostre capacità percettive, possedendo in sé la potenza per trasformare semplici impulsi sensoriali in elaborati concetti astratti per la nostra mente e l’energia per infondere sottili e profonde emozioni per il nostro inconscio. Donato Carissimo e Carlo Catiri 17
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MILANO
Silvio Pellico & Cristina Archinto Trivulzio -MadrigaleAmore nell’800 tra Risorgimento, Notte di Novelli sogni “Conforterò le tue notti, allontanerò il buio che ancora avviluppa il sonno. Svaniranno gli incubi e i ricordi antichi che ancora tormentano il tuo animo e avremo notti limpide e chiare. Notti di baci, d’amplessi e di novelli sogni”
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’ una poesia romantica della marchesina milanese Cristina Trivulzio, alla quale Silvio Pellico dedica alcuni versi in una cantica intitolata Le Chiese: “E in un talun di quegli alberghi santi/Una donna io vedea ch’erami stella;/E a lei movendo i guardi miei tremanti,/S’umiliava mia ragion rubella/Mi parea ch’a me un angio-
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Poesia, Letteratura e Musica
lo davanti/Stesse per me pregando, e allora in quella/Amica del Signor ponendo io speme/Ah,sì, diceva in ciel vivremo insieme!” Silvio Pellico confida all’amico Ferdinan-
Prigione dei Piombi, Venezia
do Rossi di Vandorno il suo amore per la Marchesina Trivulzio, che nel 1819 ha solo vent’anni: non voglio più amare - se posso – Disgraziatamente v’è quella compagna delle passeggiate mie solitarie, quella fanciulla di 20 anni, quella che mi porgeva il latte, dopo averlo libato colle sue labbra – la sua immagine è qui, profondamente scolpita… Nel novembre dello stesso anno, Cristina sposerà il Conte milanese Giuseppe Archinto, innamorato, ma geloso e possessivo. Sarà Vincenzo Monti a scrivere il componimento per il loro matrimonio, intitolato “Il ritorno d’amore al cespuglio delle quattro rose”. Fu la musica ad unirli, lui era stato allievo del musicista Alessandro Rolla e Cristina era un’apprezzata musicista, infatti la vediamo nel ritratto del 1824 con il figlio Luigi, accanto alla propria arpa. Silvio Pellico, nato a Saluzzo nel 1789, visse a Lione, ma durante il periodo Napoleonico, nel 1809, raggiunse la famiglia a Milano per presentarsi OK
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Puoi assicurarti l’invio a casa dei prossimi numeri della rivista. Il costo della copia e della spedizione è di complessivi 4 euro. Puoi effettuare prenotazioni della rivista e donazioni con un bonifico a favore dell’Associazione culturale OK ARTE, Banco di Brescia IBAN IT16Y0350001604000000013222 specificando nella casuale: Desidero ricevere i prossimi X numeri di OK ARTE a questo indirizzo: Nome, Cognome, Città, Cap, Indirizzo. Informazioni e chiarimenti scrivendo a info@okarte.org - tel. 3397684287 18
alla visita di leva. Sarà scartato, ma entrerà in contatto con la migliore cultura della società e con intellettuali come il Foscolo che formeranno il gruppo “Il Conciliatore”. Appassionato di teatro otterrà il pri-
mo successo con la Francesca da Rimini, ma iscrivendosi alla carboneria, diventerà ben presto bersaglio della censura austriaca. Arrestato il 13 ottobre del 1820 e condotto in carcere, prima a Santa Margherita, poi ai Piombi di Venezia ed infine in Moravia nello Spielberg, sarà graziato solo nel 1830. Nonostante le cattive condizioni fisiche e morali riprenderà la sua attività letteraria a Torino e nel 1832 pubblicherà “Le mie Prigioni”, suscitando ovunque simpatie per l’Italia ed odio contro lo straniero. Morirà nel 1854. La relazione con Cristina fu caratterizzata da un lungo epistolario e dopo ben 17 anni dal loro primo incontro, anteceden-
te l’arresto di Silvio, Cristina rammarica che lui non le abbia confessato i propri sentimenti. Solo nel 1847, anno nel quale pubblica una raccolta di dieci componimenti intitolata “Poesie inedite” gli comunicherà l’annullamento del proprio matrimonio, con la speranza di un futuro insieme. La partenza (madrigale) L’alba era chiara/Quando partii cara/ Mi era la città che lasciai,/ma mi attendeva l’amore/A lungo sognato e il cuore/ Mi tremava nel petto e piansi/Lacrime di gioia e di speranza/ e colle mani bagnate accarezzai/infine il tuo viso e baciai i tuoi limpidi occhi. Cristina teme però, che la presenza dell’ex marito a Torino possa turbare la loro serenità; inoltre il figlio Luigi, nel 1848, combatte sulle barricate a Milano e Cristina si vede costretta a scrivere al Conte Archinto per perorare la causa del figlio ed il diritto che lui abbia idee contrarie alle sue. Altre relazioni furono attribuite al Pellico, come quella con Juliette Colbert, marchesa di Barolo, ma alcuni affermano che il vero amore di Silvio fu proprio Cristina, nonostante Vincenzo Gioberti in alcuni scritti, sostiene che il matrimonio tra i due sia discutibile, perché lei sarebbe alle seconde nozze. ….Desidero che il matrimonio di Silvio Pellico non si avveri, perché Silvio è buono e non merita di diventar la favola dell’universale opinione. Questo scritto di riferisce alla chiacchiere che circolavano a Torino circa l’imminente matrimonio di Silvio e Cristina (da Lettere inedite di V. Gioberti e l’on. abate G. Napoleone Monti, Roma 1936) Clara Terrosu
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I T I N E R A R I C U LT U R A L I I N V A L S E S I A
Il Sacro Monte di Varallo Un percorso didattico destinato ad illustrare ai fedeli in modo chiaro ed univoco la storia della vita di Cristo L
o si definirebbe un presepe a primo impatto, un luogo in cui l’arte fonde le sue massime espressioni di scultura, architettura e pittura all’interno di un paesaggio naturale caratterizzato da grotte e folta vegetazione. Le prime cappelle erano costruzioni molto semplici che riprendevano nei modelli architettonici e nei materiali utilizzati le caratteristiche tipiche della Valsesia. Nasce così il complesso del Sacro Monte di Varallo, ideato e realizzato alla fine del XV secolo da padre Bernardino Caimi con l’intento di riprodurre realisticamente i luoghi della Palestina, testimoni della vita di Cristo, permettendo a tutti coloro che non avevano le possibilità di intraprendere un viaggio, un’immersione nella realtà della Città Santa. Era la risposta ad un esigenza popolare, alla sete di conoscenza che poco a poco stava coinvolgendo anche le classi meno abbienti della popolazione che, nonostante le limitazioni culturali, volevano avvicinarsi più concretamente alla storia, alla
fede, alla figura di Gesù. La naturalezza e l’aspetto evocativo iniziale dettato dalla semplicità vengono arricchiti nel primo ‘500 da Gaudenzio Ferrari, che diede un ruolo sempre maggiore alla scena sacra all’interno delle cappelle e organizzò il racconto focalizzando l’attenzione sulle sculture a grandezza naturale che narravano il tema principale mentre i dipinti e gli affreschi sulle pareti completavano la scena facendo da supporto e contestualizzando ogni avvenimento. L’artista concentra la sua attenzione su personaggi tratti dalla vita di tutti i giorni, raffigurati dettagliatamente e con estremo realismo per favorire l’immedesimazione. La prima svolta a livello contenutistico avviene nel tardo ‘500 quando le ondate della Riforma arrivarono a farsi sentire anche in Italia e si fece man mano più impellente l’esigenza di catalizzare l’attenzione della gente, investendo nella struttura per darle più organicità e consequenzialità logica oltre all’intento educativo e formativo di importanza fondamentale che
venne perseguito con l’aggiunta di ulteriori cappelle e la trasformazione della maggior parte di quelle esistenti. L’intero complesso venne riprogettato dall’architetto Galeazzo Alessi per iniziativa di Giacomo D’Adda che volle sostenere il progetto portando avanti l’eredità morale della famiglia Scarognini da sempre coinvolta in iniziative artistiche. Il progetto dell’Alessi introdusse una raffinata cultura del tardo Rinascimento dal forte impatto visivo e scenografico che modifica il significato del Sacro Monte voluto da Bernardino Caimi: ai sacri luoghi si sovrappone la Nuova Gerusalemme intesa quale città ideale; reinterpretazione in cui si insinua la voglia di rinnovamento e la tensione verso il ritorno ad una purezza più evangelica. In questo stesso periodo si colloca l’intervento dell’arcivescovo Carlo Borromeo che, catturato dalla particolare bellezza ed unicità del luogo, avrebbe voluto portare numerosi esperti teologi e architetti per mettere in ordine il percorso ed i “misteri”. Le sue indicazioni tornarono utili al vescovo di Novara, Carlo Bascapè, sotto il quale il carattere deciso della Controriforma emerse dominante. Egli trasformò
il complesso religioso in un percorso didattico destinato ad illustrare ai fedeli in modo chiaro ed univoco la storia della vita di Cristo, sottoponendo i contenuti religiosi ad un rigido controllo, secondo i canoni del Concilio di Trento conclusosi nel 1563. Il vescovo interagiva con gli artisti e la fabbriceria, guidava la trama degli episodi da mettere in scena nelle singole cappelle, chiedeva che fossero chiamati a lavorarvi artisti di “qualità”. L’intento pedagogico si evidenzia in particolar modo sulla scelta di cosa dovesse essere raffigurato in ogni cappella. La flagellazione, la salita al Calvario, la crocifissione, la deposizione nella sindone, sono tutti temi rappresentati con estremo realismo e accento marcato su espressioni di dolore, sofferenza evidenziando la grandiosità e la pesantezza della condanna inflitta a Cristo come se fosse tramite tutto quel travaglio culminato sulla croce che avesse avuto un senso la sua morte. Nessun accenno alla resurrezione: la potenza salvifica di Dio che opera nel mondo e vince l’ingiustizia, l’umiliazione, la cattiveria e il male e ristabilisce Gesù alla destra del padre ridandogli vita per sempre. Erika R. Cerboni
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M O S T R E I N I TA L I A
54° BIENNALE di VENEZIA
Padiglione Italia: una sorta di catalogazione nazionale di tutto quello che è arte, tra pittura, scultura, fotografia, ceramica, costume, gastronomia...
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a 54esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, cioè la Biennale, è un unicum imperdibile. E questo, per un motivo preciso: l’affidamento del Padiglione Italia a Vittorio Sgarbi. Per chi conosce la complessa macchina della Biennale questa nostra affermazione potrebbe apparire come un’eresia: d’altronde l’esposizione, la più importante esposizione d’arte del mondo - quest’edizione dal titolo “ILLUMInazioni” è sotto la curatela della critica svizzera Bice Curiger - conta più di 80 paesi partecipanti e ci si aspetta un affluenza di oltre i 400mila visitatori e come al solito un’eco mondiale. Eppure, tutto questo rischia di essere messo in ombra dal piccolo Padiglione Italia, rinato
Enrico Robusti, tragico destino di una gallinella ripiena, olio su tela - Venezia Padiglione Italia - Arsenale
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Georges de Canino, particolare di “Golem” acrilico su tela, cm. 210 x 270, anno 2011
dalle ceneri del Padiglione Italiano, e dilatatosi all’infinito, appunto per desiderio di Sgarbi, prima ancora che nella superficie espositiva nel senso che il critico ferrarese gli ha voluto attribuire. Il fatto è che questa 54esima edizione cade giusto nel 150esimo dell’Unità di Italia e la cosa ha permesso di immaginare per l’occasione una sorta di catalogazione nazionale di tutto quello che è arte, tra pittura, scultura, fotografia, ceramica, costume, gastronomia... Due edizioni fa gli artisti invitati al Padiglione Italia furono appena due (Vezzoli e Penone), la scorsa edizione una ventina, quest’anno solo a Venezia più di 200. Ma oltre a Venezia, Sgarbi ha progettato “padiglioni Italia” sparsi in tutte le regioni, talvolta anche due per regione, che dovrebbero far lievitare il numero di artisti invitati a circa duemila. E come se non bastasse, sono stati ipotizzati ottantanove “padiglioni Italia” in tutte le sedi degli istituti di cultura all’estero per ospitare i nostri artisti che lavorano oltre frontiera e che saranno collegati a Venezia con altrettanti monitor; un padiglione a Venezia viceversa per gli artisti stranieri che operano nel nostro paese; e infine un padiglione per i giovani delle venti Accademie di Belle Arti d’Italia. A latere una serie di iniziative, dalla mostra a Ca d’Oro di De Dominicis fino all’esposizione di tremila prosciutti culatelli, passando per la segnalazione con appositi cartelli di decine di siti d’arte sparsi per la Penisola che dovrebbero far da “pendant” al padiglione lagunare. Di fatto, Sgarbi si è dimesso da curatore, affidando a duecento intellettuali e uomini di cultura la scelta dei pittori da invitare e anche nei padiglioni regionali le liste sono state demandate a commissioni che comprendevano scrittori, giornalisti, musicisti, pubblicitari… Con l’attenzione che non ci fosse neppure un critico, poiché Sgarbi individua nel cosiddetto “curator” il responsabile della perdita di creatività di un settore in cui è impossibile deviare dal mainstream e combattere le potenti lobby che si sono formate e dominano il mercato, imponendo tristemente il solito stile e i medesimi artisti. Non è un caso che il titolo della mostra di Sgarbi, prendendo spunto dalla presenza nel Padiglione Italia di una ricostruzione del
museo della mafia di Salemi opera del geniale Inzerillo, sia “l’arte non è cosa nostra”. Intendendo che il contemporaneo debba essere salvato dalle cosche e coschette che lo dominano e che limitano la libertà imponendo alla ribalta i soliti nomi. La scelta – come chiunque può capire è coraggiosa, inusuale e titanica, ma è anche la più utile per avere una visione della produzione artistica, non forzatamente ed unicamente filtrata dal gusto personale del critico o del curatore, poiché, come
dicevamo, gli invitati sono stati selezionati da grandi personalità di riconosciuto prestigio internazionale a cui è stato chiesto di indicare un artista che abbia avuto una rilevanza nel primo decennio di questo millennio, dal 2001 al 2011. Una rappresentazione caleidoscopica che non si limita alle scelte dei critici e non segue le tendenze delle gallerie, ma alimenta lo straordinario connubio tra arte, letteratura, filosofia, come dichiarato da Sgarbi: “L’obiettivo – ha spiegato - è il risarcimento del rapporto fra letteratura, pensiero, intelligenza del mondo e arte, chiedendo, non a critici d’arte, neppure a me stesso, quali siano gli artisti di maggiore interesse, ma a scrittori e pensatori, il cui credito è riconosciuto per qualunque riflessione essi abbiano fatto sul nostro tempo’. Dalla A di Accardi Carla passando per la la D di Dorfles Gillo, la F di Frangi Giovanni, la P di Alessandro Papetti, la R di Enrico Robusti, si arriverà alla V di Luciano Ventrone e alla Z di Zanta Marco: alla fine, come una sorta di vocabolario dell’arte italiana, un catalogo di 1500 pagine raccoglierà il lavoro di tutti questi artisti. Alcuni famosi e celebrati (Kounellis e la Beecroft e Chia), altri di buon livello, altri infine completamente sconosciuti ma il cui valore andrà ora saggiato.
Pier Paolo Ramotto, Scendeva puro sulla neve...Giove - Padiglione Italia - Regione Umbria
Cinzia Chiari
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MOSTRE
Meridiano Acqua Meridiano Fuoco Non solo Biennale di Venezia
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Venezia, il cosiddetto “chilometro dell’arte” nel Sestiere di Dorsoduro - che si estende a partire dal Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Ca’ Pesaro fino a Punta della Dogana, comprendendo lì Accademia di Belle Arti, il Museo Guggenheim, il Museo Vedova, i Magazzini del Sale, la Collezione Pinault a Punta della Dogana - ospiterà un importante evento artistico e culturale, L’esposizione internazionale d’arte, Meridiano Acqua Meridiano Fuoco. L’evento sperimenta il superamento dei confini oltre il sottile legame tra acqua e fuoco quali elementi legati da un nesso che li pone in posizione intermedia tra gli opposti complementari, terra e aria. Essi hanno sempre stimolato attività culturali e artistiche dalla forte connotazione simbolica. Tale connotazione potrebbe essere ricercata nell’elementarità fluida e trasparente, diafana e purificatoria propria dell’acqua che nei suoi riflessi è suscitatrice di sogni ed evasioni, o nella rovente e sfavillante luminosità e arsura catartica del fuoco. Proprio da questo differenziarsi e quasi contrapporsi, i due elementi traggono una reciproca vitalità che si traduce in stimolo creativo. La mostra si svolge dal 5 giugno al 30 settembre 2011 in concomitanza con la Biennale di Venezia - Arti Visive e avrà la propria sede principale ai Magazzini del Sale, nello storico Magazzino Gardini, affascinante sede della Reale Società Canottieri Bucintoro 1882 (Presidente Lucia Diglio, Vice Presidente Silvano Seronelli), unico Magazzi-
no del Sale con una struttura a tre “ponti”, quasi l’interno di una nave, Società che collaborerà all’evento promosso da Art&fortE (con il suo eclettico Presidente-professionista-artista Piergiorgio Baroldi), con la sua Sezione Cultura Bucintoro Cultura – Art&salE (della quale Baroldi è anche responsabile). Nelle immediate adiacenze, altre mostre, di alto profilo quali “Salt of the Earth”, alla Fondazione Vedova il Padiglione della Biennale Arti Visive della Catalogna e delle Isole Baleari, L’evento promosso dall’Accademia di Belle Arti di Venezia, l’Evento Collaterale della Biennale di Venezia “The future of a promise” con la partecipazione di artisti dei Paesi Arabi, co-organizzato da Edge of Arabia e Bucintoro Cultura-Art&salE. Fra le opere esposte ai Magazzini del Sale evidenziamo il nuovo e sensazionale Mostro della Laguna, un’opera unica nel suo genere, lunga più di 6 metri è realizzata in acciaio inox e vetro, come narrato da Alberto Toso Fei, viaggiatore, giornalista ed esperto di storia veneziana, sulla base di un’antica leggenda. Splendida la GRU ART dorata e decorata realizzata sul pontile esterno dei Magazzini del Sale da PG Baroldi (nella foto). A Palazzo Ca’ Zanardi, nella sua prestigiosa sede multifunzionale, al piano nobile, la seconda location individuata per la mostra verrà esposta la sezione Meridiano Fuoco dove gli artisti sperimentano i percorsi roventi, di sfavillante luminosità e catartica arsura di cui il fuoco è causa ma anche effetto.
Gli artisti invitati sono Gianmaria Potenza, Ferruccio Gard, Piergiorgio Baroldi, Adolfina de Stefani e Antonello Mantovani, Luigi Ballarin, Andrea Giorgi, Gerardo Di Salvatore, Resi Girardello, Daniela Grifoni, Ruggero Maggi, Lughia, Anna Santinello, Susanna Viale, Piero Ronzat, Lucio e Cesare Serafino, Vincenzo Vanin, Grieco Eleonora, Ornella Piluso – topylabrys, Giannino Ferlin, Luca Dall’Olio, Il Mostro della Laguna con Simona M. Favrin, Nicola Moretti, Jean Blanchaert (consulente culturale), Alberto Toso Fei (consulente storico). In contemporanea, nello spazio espositivo di Art&fortE LAB di Ca’ Zanardi, si terrà anche l’esposizione suggestiva del nuovo PADIGLIONE TIBET, per il quale anche è previsto un grande interesse di pubblico e di critica. Durante i quattro mesi di durata dell’evento, nelle sedi dello stesso si terranno inoltre altre manifestazioni. www.meridianoacquameridianofuoco.it
Roberto Lucato Villa Benzi Zecchini ha accolto l’eredità dei suoi “cattivi” maestri
staccare la spina 50 x 70 cm, 2009 applicazioni e olio su tela
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i è conclusa con grande successo di pubblico e critica il 1° maggio la mostra antologica d’arte contemporanea -Roberto Lucato e i suoi “cattivi” maestri- che si è tenuta dal 16 aprile presso Villa Benzi Zecchini con il Patrocinio della Fondazione Villa Benzi Zecchini e del Comune di Caerano San Marco. La Fondazione Villa Benzi Zecchini registra il pienone per l’inaugurazione di questo evento culturale dedicato al confronto tra l’artista veneto Roberto Lucato e i maggiori esponenti dell’arte contemporanea della seconda metà del XX secolo: Schifano, Mambor, Biggi, Pozzati, Emblema e Celiberti, i cosiddetti “cattivi” maestri di Roberto Lucato. Le prestigiose sale espositive della villa hanno accol-
to l’eredità artistica di celebri autori, a testimonianza dell’avanguardia italiana del dopoguerra, e in questa cornice espositiva il percorso sulle opere di Roberto Lucato ha evidenziato in maniera tangibile le contraddizioni del nostro tempo, le sue aberranti conseguenze sul genere umano non solo nella sua collettività ma anche sul sin-
golo individuo. Sono tele che si rivolgono al sociale, che gridano la disperazione del crollo di valori a cui tutti noi abbiamo assistito con troppa passività. Lucato ci incita a prendere in mano questi valori e ad avere il coraggio di opporsi a questa mera situazione socio-politica, portando il nostro contributo di “uomini pensanti”. Il suo è un appello di aiuto al mondo, un mondo che si può cambiare insieme con la volontà di ognuno. Un applauso meritato a Roberto Lucato e ai suoi pensieri. Ricordiamo gli appuntamenti dell’artista appena conclusi: dal 13 al 20 maggio Prebiennale di Venezia 2011 presso Scoletta di San Giovanni Battista (Campo della Bragora) e al Palazzo Barolo di Torino dal 20 al 31 maggio per la rassegna d’arte contemporanea “Torino Arte 150” dedicata all’Unità d’Italia. www.robertolucato.it www.villabenzizecchini.it
Sabrina Falzone
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IN EVIDENZA
Professione:Reporter Il documentario al quadrato cumentare il documentario, per farsi reporter del suo reporter, per porre la giusta (forse) domanda e non per azzardare risposta, per fare della macchina da presa il “giudice terzo” del film. E mentre a molti cineasti italiani dell’epoca riuscivano film perchè dicevano (i “politici” Rosi, Petri, Maselli ecc.), il “Reporter”, ad Antonioni, riuscì così tanto perchè interrogava e si interrogava. La crisi sociale, secondo Antonioni, parte dalla crisi dell’individuo, e all’approfondimen-
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rofessione: reporter, film antonioniano datato 1975, rappresenta forse l’opera più riuscita, o per meglio dire matura e consapevole, sulla condizione contemporanea della società occidentale, quella che meglio registra la sua profonda crisi e le sue vane glorie. Si seguono le vicende di David Locke, reporter angloamericano che, scoperta la morte di tale Robertson, facoltoso trafficante d’armi a lui somigliante e precedentemente intervistato in un’albergo in mezzo al deserto africano, stanco di un’esistenza vuota perchè senza veri affetti e perchè si trova ad essere soltanto spettatore di ciò che mostra (è la presupposta “oggettività” del suo lavoro a rivendicarlo), decide di prendere il suo posto nel mondo e cercare di trovare quindi un ruolo attivo, un’utilità alla sua vacua esistenza(Robertson armava la mano ai ribelli di un Fronte di Liberazione africano), ma poi si ritrova cosciente dell’inutilità del suo atto, scoprendo l’impossibilità di annullare il proprio essere semplicemente scambiando un paio di carte d’identità. La maturità stilistica del “Reporter” consiste proprio nel fecondarsi continuativamente di interrogativi, facendo della sua ricerca cinematografica ed esistenziale un sentiero senza direttive nè punti d’approdo. Ed ecco saltare agli occhi la differenza tra Antonioni e tutti gli altri: egli è infatti consapevole della sua inconsapevolezza, come individuo e come artista, di fronte al mondo e al suo invincibile mistero, alla sua ineludibile distanza rispetto all’uomo; quindi utilizza il meccanismo-cinema per do-
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to di quest’ultima vuole fermarsi, poichè non c’è modo di esprimere le cause di ciò che è inesprimibile, come non sappiamo fino in fondo i fini e le cause della natura che tanto ci affascina ma che altrettanto sa rivelarsi tanto indifferente alle sorti dell’uomo. Antonioni vuole interrogarsi ed interrogare sul cinema e sull’esistenza, anche in veste di uomo che si esprime attraverso il cinema; vuole interrogare l’esistenza attraverso il suo cinema; un’interrogazione che risiede nell’atto visivo stesso, ed il famoso piano sequenza di sette minuti che quasi esplica e riassume tutto l’accaduto toglie il fiato e ne è, in tal senso, esempio lampante. Luca Impellizzeri
Rubrica del Prof. Purpura
Comunicazione visiva ed emozionalità C
omunicare in modalità visuale è sempre stato un bisogno per l’uomo fin da tempi remoti. Ricordiamo le scene di caccia e di vita quotidiana rappresentate sulle pareti delle caverne in cui l’uomo abitava. Le rappresentazioni miravano a fini di buon auspicio, ad un miglior perfezionamento delle strategie di caccia in gruppo e a raccontare le esperienze a chi non era presente. Ecco che il rappresentare la scena serviva anche come strategia per programmare la futura azione. Da allora rappresentare visivamente le esperienze dell’uomo è diventata sempre più una necessità tanto quanto la comunicazione verbale. Ogni individuo vive le proprie esperienze nel mondo, in modo personale, con le proprie emozioni e in assonanza alla propria personalità. Emozioni ed esperienze simili tra gli uomini, sono invece a volte molto diverse, nelle sfumature, a seconda della capacità psicofisiche, culturali e intellettive dell’individuo. Per rappresentare le emozioni e le esperienze, impresa molto difficile, l’uomo utilizza il simbolismo, le forme (spigolose, curve carezzevoli, morbide), le figure, i paesaggi, i colori (forti accesi, caldi, freddi, sfumati, trasparenti), i chiaro scuri, le figure allegoriche, il tutto per riuscire a comunicare al meglio quei messaggi emozionali che desidera produrre e comunicare come suo estremo bisogno interiore. A questo proposito, ci accorgiamo quanto sia importante lo studio della psicologia della forma e del colore. Studi evidenziano come essi stimolino, tramite i sensi e i processi mentali, veri e propri cambiamenti fisiologici nell’organismo, creando tensioni emotive, as-
sociazioni di pensieri e altre emozioni. La rappresentazione iconica ha anche una valenza ludica per il fruitore, la sua espressività ha una valenza creativa, proiettiva, artistica, affettiva, inoltre, nell’elaborato l’intenzione comunicativa deve rispettare alcune direttive per la lettura delle immagini: codifica, decodifica, progettazione e l’interpretazione del messaggio visuale, al fine di comunicare la stessa emozione di quella vissuta. Ecco che il prodotto dell’artista non è soltanto un complesso elaborato cognitivo ma diventa un prodotto anche dell’inconscio. L’esperienza di chi fruisce e di chi osserva sono governate da un’interazione di forze fisiche esterne e interne, assimilate, ordinate e plasmate secondo la propria personalità. Ecco che l’emozione è la prima forza scatenante, elemento da cui tutti i processi della vita quotidiana che l’uomo affronta, vengono influenzati sia nelle decisioni, nei comportamenti e nei rapporti.
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IN BREVE
Le fabbriche dei sogni
Gli oggetti divenuti icone del “design”
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n occasione del cinquantesimo anniversario del Salone del Mobile il Triennale Design Museum dedica, dal 5 aprile 2011 al 26 febbraio 2012, la sua quarta edizione agli uomini, alle aziende e ai progetti che hanno contribuito a creare il sistema del design italiano dal dopoguerra a oggi. Attraverso una carrellata di oggetti diventati icone e nuovi che lo diventeranno si sviluppa un racconto che esalta la grande capacità e abilità dei designer italiani e stranieri che hanno contribuito con le loro “fabbriche” a rendere importanti oggetti quotidiani e non. Il percorso della mostra è da un lato lo sviluppo di un pensiero teorico preciso e approfondito che deriva dal-
le riflessioni portate avanti dal curatore, Alberto Alessi, su questi temi negli ultimi anni, dall’altro una modalità di trattazione poetica, artistica e favolistica che attinge all’immaginario di Lewis Carroll e Antoine de Saint-Exupéry. Il progetto di Martí Guixé è, infatti,concepito come una delle avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie: gli oggetti entrano in dialogo con i progettisti e le storie dei grandi uomini di impresa si intrecciano con le loro biografie personali in un’atmosfera giocosa e ricca di emozioni e suggestioni. Un’occasione straordinaria per scoprire attraverso nuovi punti di vista alcuni fra i più celebri oggetti del Made in Italy.
Catalogo Electa Foto di Marco Curatolo Giuliana de Antonellis
Marilena Benini & Ornella Bertoldi
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rosegue fino al 2 luglio 2011, presso Il Laboratorio Sperimentale per le Arti Visive in via Plinio 46, la mostra di Marilena Benini e Ornella Bertoldi. Marilena Benini si laurea all’istituto Superiore per le Industrie artistiche di Urbino nel 1994. Attualmente insegna presso l’istituto di grafica Strocchi di Faenza. Le sue opere sono esposte presso le sedi di enti pubblici e gallerie in tutta Italia. Le opere di Marilena sono piccoli mondi collocati all’interno di scatole e cassetti recuperati dove troviamo dei collage polimaterici creati sempre con materiali di recupero, vecchie carte, fili di nylon. Grande magia e poesia avvolgono il fruitore in una favola senza tempo espressa con una infinita elegante leggerezza. Le sculture di Ornella Bertoldi sono in terracotta leggermente colorate con engobbi (pigmenti di terra colorati). L’artista affronta tematiche legate al mondo
Paesaggi e Vedute d’Italia L’Associazione Italian Art in the World - Onlus di Torino con il patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Torino, del Comune di Vinovo, organizza la 4° Mostra collettiva di pittura paesaggistica denominata “Paesaggi e Vedute d’Italia” Speciale Italia 150, che si svolgerà dal 22 settembre al 2 ottobre 2011, presso l’area espositiva denominata Ala Espositiva nel centro storico del Comune di Vinovo – Torino. Per informazioni e iscrizioni ASSOCIAZIONE ITALIAN ART IN THE WORLD - ONLUS email: info@spinart.it tel: 0114531915 - 3200921876
femminile. Le donne, con l’incarnato reso attraverso il biscotto (terracotta), trasudano erotismo e sensualità attraverso sguardi e atteggiamenti maliziosi ma anche molto ironici e giocosi. Come le donne del nostro tempo, talvolta tristi, ma con una prorompente fisicità sinonimo di forza di seduzione: la storia di tutte le donne nel loro piccolo mondo fatto di ricordi speranze e attese. Via Plinio 46, all’interno della galleria Milano Città Studi. Dal lunedi al sabato dalle ore 16 alle 19 Valeria Modica
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Hanno Collaborato: Clara Bartolini Donato Carissimo Carlo Catiri Cristina Cenedella Erika R. Cerboni
Cinzia Chiari Silvia Colombo Giuliana De Antonellis Sabrina Falzone Carla Ferraris Fabrizio Gilardi Alessandro Ghezzi Anna Guainazzi Luca Impellizzeri Simone Macchi Ivana Metadow Milena Moriconi Ugo Perugini Antonio Purpura Mariantonia Ronchetti Clara Terrosu Massimo Zanicchi
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Bar Il Cortiletto di Achille Cennami all’interno dell’Accademia di Brera 23
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Guariento e la Padova “Carrarese” L’ambizioso progetto mette davanti agli occhi dello spettatore “un’eccellenza tutta Italiana”: la corte Carrarese e la vita raffinata che vi si conduceva analizzata in tutti i suoi aspetti
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l grande evento espositivo allestito a Padova ripercorre il “secolo d’oro” dell’arte patavina cominciando dall’epilogo. Gli
affreschi di Arpo Guariento alla Reggia, e poi Altichiero e Giusto de’ Menabuoi, chiudono il XIV secolo apertosi nel 1303 con Giotto ed il capolavoro degli Scrovegni. La grandezza della Signoria è raccontata per immagini, come oggi o forse più di oggi, funzionali per rendere il valore di una città che con i suoi 40mila abitanti si era venuta a connotare come metropoli di rango europeo, sia per la sua produzione artistica, sia come una grande capitale della cultura. La mostra si organizza, attraverso 10 sezioni, in diverse sedi espositive: i Civici Musei agli Eremitani, Palazzo Zuckermann, il Museo Diocesano e la Casa del Petrarca ad Arquà. In quest’ultima è allestito un approfondimento sul Poeta e i suoi anni padovani. L’ambizioso progetto mette davanti agli occhi dello spettatore, quella che oggi potremmo definire “un’eccellenza tutta Italiana”: la corte Carrarese e la vita raffinata che vi si conduceva analizzata in tutti i suoi aspetti: la letteratura, i libri, la musica, la scienza, la scultura, le arti applicate la monetazione e la moda. Guariento,
il primo artista a ricoprire il ruolo di pittore di corte, decorò le tombe dei carraresi e
sodi esemplari della storia classica. In questo senso, l’episodio figurativamente più rilevante, è la decorazione della Sala degli Uomini Illustri, forse iniziata dallo stesso Guariento, sulla falsariga del famoso De Viris Illustribus di Petrarca. L’artista sviluppò un linguaggio personale che prendeva le mosse dall’esperienza giottesca e trovava continuo arricchimento nei continui scambi con l’ambiente veneziano. Gli affreschi nella cappella privata rendono, forse più di ogni altro capolavoro, l’originalità del Guariento, infatti, gli episodi, resi con numerosi particolari realistici, si sviluppano nel generale tono del raffinato linguaggio del gotico internazionale. Curiosa la copertura del soffitto che era decorato con una serie di tavole rappresentanti gerarchie angeliche, che hanno giovato al Guariento l’appellativo di Pittore degli angeli. Padova, 16 aprile – 31 luglio 2011
la loro cappella privata presso la Reggia. Il programma decorativo, vedeva l’esaltazione dei valori e delle gesta della Signoria la cui legittimazione avveniva attraverso epi-
Civici Musei agli Eremitani, Palazzo Zuckermann, Museo Diocesano, Casa del Petrarca ad Arquà Petrarca Mariantonia Ronchetti
89° Festival all’Arena di Verona I
l prossimo 17 giugno si riaccende la magica atmosfera del Festival lirico all’Arena di Verona, giunto alla sua 89° edizione: 6 titoli in scena fino al 3 settembre in un susseguirsi di 49 serate. L’89° Festival 2011 inaugura e conclude con due nuove produzioni, La Traviata di Giuseppe Verdi per la regia di Hugo de Ana e la direzione di Carlo Rizzi, e Roméo et Juliette di Charles Gounod, regista Francesco Micheli e direttore Fabio Mastrangelo. Nel cuore del Festival gli allestimenti storici delle opere verdiane per la regia di Gianfranco de Bosio: Aida sarà diretta dal M° Daniel Oren e Nabucco vedrà sul podio Julian Kovatchev. In programma anche le riprese de Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini per la regia di Hugo de Ana e con il debutto “areniano” del giovane direttore veronese Andrea Battistoni, e de La Bohème di Giacomo Puccini, regia di Arnaud Bernard e direttore John Neschling. Accettando l’invito del Sindaco Flavio Tosi a celebrare a Verona la ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha manifestato la volontà di partecipare all’inaugurazione del 17 giugno. L’Orchestra ed il Coro dell’Arena con tutto il pubblico lo accoglierà sulle note dell’Inno di Mameli, per una serata indimenticabile. In scena, come da tradizione, saranno protagoniste le voci più note del panorama lirico internazionale insieme agli attesi debutti di giovani artisti emergenti. Dal 17 giugno per 9 serate si alterneranno nel ruolo di Violetta Ermonela 24
Arena, fotografia di Tabocchini Gironella
Jaho e Inva Mula ne La Traviata, accanto agli Alfredo Francesco Demuro e Francesco Meli. Giorgio Germont sarà Vladimir Stoyanov, Gabriele Viviani e il debuttante in Arena George Gagnidze. Repliche: 24 giugno - 2, 12, 16, 21, 28 luglio - 4, 11 agosto. Segue con 15 spettacolari serate Aida, nello storico allestimento del 1913 di Ettore Fagiuoli, che dal 18 giugno vedrà in scena nel ruolo di Aida Micaela Carosi, Amarilli Nizza, Hui He e Lucrezia Garcia, saranno Radamès Fabio Armiliato, Salvatore Licitra, Carlo Ventre, Walter Fraccaro e Marcello Giordani. Repliche: 26, 30 giugno - 10, 13, 17, 19, 24, 26, 30 luglio - 7, 14, 28, 31 agosto - 3 settembre. Dal 25 giugno per Il Barbiere di Siviglia tanti artisti debuttanti, a partire dall’attesissimo direttore
d’orchestra veronese Andrea Battistoni. La voce tenorile di Antonino Siragusa, “specialista” del repertorio rossiniano nei panni del Conte d’Almaviva, si darà il cambio con Lawrence Brownlee nel sedurre Aleksandra Kurzak e Rocio Ignacio nel ruolo di Rosina, con l’intraprendente aiuto dei Figaro Aris Argiris e Dalibor Jenis. Repliche: 1, 8, 14, 22, 29 luglio Il patriottico Nabucco verdiano, proposto nella riedizione storica per i festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia, vedrà protagonisti dal 9 luglio nomi molto noti al pubblico areniano. Ambrogio Maestri, Marco Vratogna, Leonardo López Linares, George Gagnidze si alterneranno nel ruolo di Nabucco, accanto alle celebri voci di Dimitra Theodossiou, Maria Billeri e Lucrezia Gar-
cia in Abigaille. Repliche: 15, 20, 23, 27 luglio - 5, 12, 21, 25 agosto - 1 settembre Dal 6 agosto le straordinarie voci di Fiorenza Cedolins e Marcelo Álvarez faranno rivivere in Arena l’amore appassionato di Mimì e Rodolfo de La Bohème pucciniana. Repliche: 13, 19, 26, 30 agosto - 2 settembre Il Festival lirico 2011 concluderà con l’opera dedicata alla storia d’amore veronese per eccellenza: Roméo et Juliette, sesto titolo d’eccezione in scena dal 20 agosto con i giovani emergenti Nino Machaidze e Stefano Secco nei ruoli dei protagonisti. Repliche: 24, 27 agosto Biglietteria – Via Dietro Anfiteatro 6/B, Verona tel. 045 800.515, e-mail: biglietteria@arenadiverona.it, www.arena.it