OK ARTE novembre - dicembre 2010

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ok Arte MAGAZINE

Nov - Dic 2010

G R AT U I T O

D I A RT E

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C U LT U R A

Anno IX N.4

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Mostre a Milano

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Tiziano a Palazzo Marino pag.2, Filippo Lippi a Palazzo Reale pag. 3, Dai Borromeo al Simbolismo a Palazzo Reale pag. 6, Basilico alla Fondazione Stelline pag. 8

La Basilica di San Marco Milena Moriconi

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iazza San Marco, zona Pontaccio. Vecchie foto che la ritraggono riflessa nelle acque del Naviglio, con carrozzelle, trainate da cavalli, che le sfilano davanti accompagnando in passeggiata signore della Milano bene di allora. Quella romantica suggestione è passata. Il Naviglio coperto, le carrozzelle sostituite da utilitarie e suv. Ma Lei, la basilica di San Marco, da aristocratica signora, conserva inalterato il suo fascino. E’ parecchio datata la madama, ma i suoi 800 anni se li porta magnificamente. Nasce per volere di Lanfranco Settala, Priore Generale degli Eremitani di Sant’Agostino, nel lontano 1200. Il suo nome è un omaggio al patrono di Venezia, ed ai veneziani, per il grande contributo dato ai milanesi nella lotta contro Federico Barbarossa, sconfitto definitivamente nella Battaglia di Legnano del 1176. Nata in stile gotico, la chiesa subisce numerose modificazioni. a pag. 2

al 16 novembre il Museo Diocesano ospiterà la nuova edizione dell’iniziativa “Un capolavoro per Milano”. Dopo Caravaggio, Mantegna e Botticelli è arrivato il turno di Filippo Lippi. L’artista fiorentino, con la sua “Natività” oggi conservata nel museo civico di Prato, sarà il protagonista dell’ottava edizione di “Un capolavoro per Milano”. Dal

Raccolta Al Fann Dieci secoli di Arte Islamica

Clara Bartolini

Grande tela del primo ‘700 esposta nella Basilica di San Marco a Milano, opera del pittore milanese Stefano Maria Legnani (1661-1713) detto “il Legnanino”; rappresenta San Gerolamo che traduce le Sacre Scritture. Questo quadro di proprietà della Pinacoteca di Brera è da quasi due secoli in deposito a San Marco.

Un capolavoro per Milano D

Morandi ad Alba pag. 7, Rauschemberg a Villa Panza (Va) pag.8, Joan Mirò a Pisa pag.10, Giorgione a Padova pag.11, Gamec Bergamo pag. 19, Michel Comte a Lucca pag.23

Miniatura dipinta su seta con una coppia principesca con attendenti. Asia Centrale, inizi del XV secolo d.C.

Filippino Lippi

Massimo Zanicchi

Itinerari culturali

16 novembre al 30 gennaio, l’opera, il cui titolo completo è “Natività con San Giorgio e San Vincenzo Ferrer”, sarà ospitata dal

Museo Diocesano nell’ambito di un percorso culturale iniziato nel 2002, in collaborazione con Anima sgr, che ha già coinvolto più di 200mila visitatori. Il soggetto del dipinto, che come nelle precedenti 7 edizioni dell’iniziativa sarà esposto singolarmente in modo da stimolare l’approfondimento del messaggio pittorico e poetico dell’artista, rappresenta un tema tipico della fase matura di Filippo Lippi. a pag. 3

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È

davvero un privilegio poter godere della bellezza proposta dall’appassionata ricerca di una coppia che ha fatto dell’Arte Islamica la sua missione, raccogliendo una Collezione di rilevanza internazionale. E’, infatti, una storia bella e speciale quanto rara quella di Sheikh Nasser Sabah Ahmed al-Sabah e sua moglie, Sheikha Hussah Sabah Sa-

lem al-Sabah. Bisogna aggiungere che è merito della passione del curatore della mostra Giovanni Curatola, Professore di archeologia e arte Musulmana, l’aver saputo scegliere tra i tanti oggetti a disposizione, 350 pezzi dell’intera Collezione, una sintesi efficace capace di grande esaustività storica e rappresentativa anche dal punto di vista della varietà degli elementi, in grado di soddisfare le attese del-

lo spettatore più competente e curioso. Ma ritorniamo ai protagonisti, è quasi una favola dei nostri tempi quella che ha portato lo Sceicco a iniziare, con una splendida bottiglia in vetro smaltato d’epoca Mamelucca del XIV secolo comprata quasi per caso durante un viaggio, una ricerca instancabile, sostenuto da sua moglie, appassionatasi immediatamente alla ricerca, come lui. a pag. 14

Il sogno di Dalì

In prima assoluta “la Stanza di Mae West” Silvia Colombo

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utti conoscono Salvador Dalì, e la mostra milanese, a Palazzo Reale, costituisce un’occasione per approfondire ciò che l’artista ha creato nel corso della sua lunga vita (19111984). Dalì è un eccentrico. Consapevole di essere

dotato di un talento innato (inizia a disegnare a 14 anni), negli anni venti viene espulso per due volte dall’Accademia di Belle Arti di Madrid perché non vuole essere giudicato da docenti che non ritiene alla sua altezza. Nel 1939, dopo averne fatto parte per un lungo pe-

riodo, viene cacciato dal gruppo surrealista –tra gli altri motivi– per le sue simpatie hitleriane; e ancora, quando si trasferisce in America e aderisce al franchismo, infrange una vetrina ove sono esposte delle sue opere perché non è soddisfatto dell’allestimento. a pag. 20


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NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

La Basilica di San Marco

Milena Moriconi

da pag.1 iazza San Marco, zona Pontaccio. Vecchie foto che la ritraggono riflessa nelle acque del Naviglio, con carrozzelle, trainate da cavalli, che le sfilano davanti accompagnando in passeggiata signore della Milano bene di allora. Quella romantica suggestione è passata. Il Naviglio coperto, le carrozzelle sostituite da utilitarie e suv. Ma Lei, la basilica di San Marco, da aristocratica signora, conserva inalterato il suo fascino. E’ parecchio datata la madama, ma i suoi 800 anni se li porta magnificamente. Nasce per volere di Lanfranco Settala, Priore Generale degli Eremitani di Sant’Agostino, nel lontano 1200. Il suo nome è un omaggio al patrono di Venezia, ed ai veneziani, per il grande contributo dato ai milanesi nella lotta contro Federico Barbarossa, scon-

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fitto definitivamente nella Battaglia di Legnano del 1176. Nata in stile gotico, la chiesa subisce numerose modificazioni. Lo stile barocco, che intorno al 1600 ha lentamente spodestato il gotico, viene ulteriormente manipolato dal più poderoso degli interventi: il Maciachini (o Maciacchini come scritto dal Merzario), architetto dallo stile, e a quanto sembra anche dal carattere, prepotente ed inconfondibile, ne ridisegna completamente la facciata. Conserva solo la lunetta con Madonna e Bambino, mosaico di Angelo Inganni, le 3 statue di santi sovrastanti, ed il campanile del XIV secolo, ma per il resto, compie un’autentica rivoluzione visiva, sostituendo un finestrone centrale con un gigantesco rosone, ed inserendo 5 piccoli campanili e 2 finestroni a bovindo a fianco dell’entrata. Il lavoro è fatto bene, e niente di meno ci si può aspettare da

chi, in soli 3 anni, è riuscito a costruire un Cimitero Monumentale spettacoloso, i cui richiami sono così poco religiosi e così tanto laici, da far pensare al Maciachini come un appartenente alla massoneria. Ma è ora di entrare in chiesa. Mamma mia, sembra non finire mai coi suoi 96 mt di lunghezza! Tre navate e nove cappelle ci accolgono in un silenzio irreale. Notevoli, fra le cappelle, quella della famiglia Foppa, decorata con storie dei santi Pietro e Paolo, opera di Paolo Lomazzo, e quella dedicata a San Marco, con un bell’altare del Legnanino. Nella navata di destra si nota un Presepe in carta del Londonio, recentemente restaurato. La scuola leonardesca è presente grazie ad una Madonna con Bambino di scoperta recentissima. Nella parte meridionale del transetto si trova l’area dei sarcofagi, la cui costruzione si pone come inizio verso la metà del XIV secolo. L’Arca di Martino Aliprandi raffigura, al centro, la Santissima Trinità, mentre nelle nicchie laterali spiccano le figure di San Marco e Sant’Agostino. L’Arca di Salvarino Aliprandi, grande sostenitore dei Visconti, è molto più semplice: solo il defunto in ginocchio da-

vanti a Cristo che lo benedice e due angeli. Una nota sul sarcofago di Lanfranco Settala, situato nel mezzo della parete centrale: nonostante la posizione di spicco, non si tratta dell’omonimo costruttore della chiesa, bensì del personale confessore dell’Arcivescovo Giovanni Visconti. E poi, non si può omettere un riferimento al grande e pregevolissimo organo, costruito da Giacomo Antegnati nel 1564, ampliato da Costanzo Antegnati nel 1604, e definitivamente strutturato dal Balbiati nel 1875. L’ultima revisione, ad opera degli stessi Balbiati, è del 1899, con inaugurazione da parte di un nome eclatante: Amilcare Ponchielli. Ma al di là delle pregevoli opere artistiche, San Marco è famosa per una serie di curiosità che è doveroso citare. Il grandissimo Wolfgang Amadeus Mozart soggiorna in canonica per circa 3 Ultima, ma solo per citamesi, approfittandone per zione e non certo per imsuonare il gigantesco orga- portanza, è la Cappella no, mentre Verdi vi dirige il Musicale, formata da 3 cori, requiem, da lui stesso com- 4 organisti ed orchestra, che posto, durante la messa so- è attiva non solo per eventi lenne celebrata per la morte culturali o funzioni solendel Manzoni. La scrittura ni, ma anche per accomdel requiem dà una spinta pagnamento di cerimonie al ritorno a nuova vita per private al fine di sosteneVerdi, precipitato, proprio re economicamente l’Assoin quel periodo, e dopo la ciazione. Fra gli organisti, i composizione dell’Aida, in nomi di Carlo Mascheroni, uno stato di totale apatia. vincitore della I° edizio-

ne del Concorso d’Organo di Noale, e Fabrizio Castiglioni. Il “Piccolo Ensemble”, nato nel 1988 dall’iniziativa di pochi, giovani diplomati alla costante ricerca di nuove prassi stilistiche e specialisti nell’esecuzione di musica antica, collabora stabilmente, sin dal 1992, con la Cappella Musicale, dotandola di un ulteriore tocco di prestigio qualora ve ne fosse bisogno.

Tiziano a Palazzo Marino

Esposizione straordinaria dal Museo del Louvre

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atale a Milano: il monumentale albero di Piazza Duomo, le vetrine della Rinascente, i giochi di luce sui palazzi di Piazza della Scala, e da due anni a questa parte anche il grande capolavoro esposto a Palazzo Marino. Nel 2008, come dimenticarlo, era arrivata in città la straordinaria Conversione di Saulo di Caravaggio; nel 2009 il San Giovanni di Leonardi di Vinci, e quest’anno, grazie ad eni e alla collaborazione con il Comune di Milano, sarà la volta di Tiziano, e della sua Donna allo Specchio, in esposizione dal 3 dicembre al 6 gennaio. Si tratta di una delle opere più seducenti del pittore veneto, parte delle collezione del Musée du Louvre: una splendida donna dalla pelle candida sta sistemandosi alla toeletta i capelli, lunghi e sciolti sulle spalle, intingendo le dita in un’ampolla per unguenti. L’abito è allentato, la veste cade morbida sul petto. E’ aiutata da un giovane servitore, raffigurato in ombra, che regge due specchi: uno piano davanti a lei e

uno, inclinato alle sue spalle, convesso. In questo modo permette a lei di vedere la chioma che scende sulla schiena, e a noi di godere della maestria con la quale Tiziano raffigura il riflesso di tutta la stanza. La caratteristica dello specchio convesso è infatti quella di dare una più ampia visuale, anche se deformata ai bordi. Così l’artista gareggia con la scultura, fornendo su un unico piano bidimensionale due diversi punti di vista e ponendo anche le basi per un virtuosismo ottico che sarà ripreso nella storia dell’arte successiva. I due personaggi ritratti sono stati variamente identificati: alcuni hanno suggerito che potesse trattarsi di Alfonso d’Este e della sua amante, altri pensano che si tratti di un autoritratto giovanile di Tiziano con la sua amata, altri ancora di un dipinto che esalta la bellezza petrarchesca delle donne veneziane e le loro virtù, o di un ritratto ideale, personificazione della Pittura. Il dipinto restituisce in ogni caso, attraverso la

percezione dell’intimità di un ambiente domestico, alcuni tra gli aspetti meno noti della cultura del Rinascimento italiano: sulla tela si possono leggere l’esaltazione dei valori estetici e morali della bellezza femminile del tempo, i codici del comportamento virtuoso delle dame, le loro abitudini, il loro vestiario, la cultura dell’amore cortese che dominava il mondo relazionale della Venezia a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento. Un dipinto complesso, dunque, valorizzato dalle curatrici, Valeria Merlini e Daniela Storti, in senso monografico, grazie all’analisi precisa di tutti gli spunti pittorici, tematici ed interpretativi rintracciabili nella tela. L’appuntamento, come sempre gratuito, è da non perdere, e non vi è alcun dubbio che milanesi e torneranno a radunarsi a Palazzo Marino durante le festività natalizie.

Tiziano, Donna allo specchio, particolare

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Filippo Lippi: l’ottava meraviglia

Protagonista la “Natività con San Giorgio e San Vincenzo Ferrer” Massimo Zanicchi

da pag.1 al 16 novembre il Museo Diocesano ospiterà la nuova edizione dell’iniziativa “Un capolavoro per Milano”. Dopo Caravaggio, Mantegna e Botticelli è arrivato il turno di Filippo Lippi. L’artista fiorentino, con la sua “Natività” oggi conservata nel museo civico di Prato, sarà il protagonista dell’ottava edizione di “Un capolavoro per Milano”. Dal 16 novembre al 30 gennaio, l’opera, il cui titolo completo è “Natività con San Giorgio e San Vincenzo Ferrer”, sarà ospitata dal Museo Diocesano nell’ambito di un percorso culturale iniziato nel 2002, in collaborazione con Anima sgr, che ha già coinvolto più di 200mila visitatori. Il soggetto del dipinto, che come nelle preceden-

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dell’artista, rappresenta un tema tipico della fase matura di Filippo Lippi. Le sue numerose varianti della natività, infatti, furono dipinte tutte nel suo periodo pratese (dal 1452 al 1466). Quella in mostra a Milano, una tempera su tavola destinata originariamente alla chiesa di san Domenico, rappresenta una delle opere più interessanti realizzate durante la sua permanenza a Prato. Databile intorno al 1456, per volere dei committenti, è fortemente legata al culto di san Vincenzo Ferrer, difensore della Chiesa contro l’eresia, canonizzato nel 1455. Se l’idea generale della composizione è da attriLippi, Natività, particolare buirsi a Lippi, l’esecuzione invece si può ascrivere ad ti 7 edizioni dell’iniziativa alcuni suoi collaboratosarà esposto singolarmente ri della bottega pratese. in modo da stimolare l’ap- Oltre all’intervento del suo profondimento del mes- assistente Fra Diamante, saggio pittorico e poetico nella figura esile di san

pletare la scena, infine, si Giorgio e in trovano il bue, l’asino, i paquella degli anstori e una schiera di angeli. geli si può ricoNella tavola colpisce tanto noscere il tocco l’eleganza della figura dei di Domenico santi, quanto la descrizione di Zanobi. I naturalistica dello sfondo personaggi so(memore della tradizione no raffigurapittorica che ha in Giotto ti secondo i il suo caposaldo) compodettami delsto da una vegetazione forla iconogramata da una serie di piante fia classica. simbolo della penitenza Al centro del(vite, mirto e agrifoglio). la pala, tra la Per tutto il periodo Madonna e dell’esposizione sarà possan Giuseppe sibile ammirare la tavoin adoraziola di Lippi recandosi al ne, si trova il Museo Diocesano, al nubambin Gesù. mero 95 del corso di Porta Ai margiTicinese, dal martedì alla ni della sacra domenica dalle 10 alle 18. famiglia poi Il costo del biglietto d’invi sono, sulAutoritratto gresso è 8 euro (6 € per i la sinistra san gruppi, 5 € per i ridotti e 2 Giorgio, anche lui in adorazione, e racchiuso il Cristo a simbo- € per le scolaresche). Il giorsulla destra san Vincenzo leggiare la visione che gui- no preferibile per la visita è Ferrer con lo sguardo ri- dò il santo nel proprio ruolo il martedì quando la tarifvolto a una “mandor- all’interno della Chiesa. fa ordinaria cala del 50%, la” di luce al cui interno è In secondo piano a com- assestandosi a soli 4 euro.

Tra storia e fede: il Museo Diocesano

Francesca Mariano

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naugurato da meno di un decennio il Museo Diocesano di Milano si è affermato ormai a livello nazionale come importante sede espositiva che riflette l’identità storico culturale e religiosa del territorio in cui è radicato. La prima idea del Museo risa-

le al 1931, quando il beato Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, incoraggiò la nascita di una istituzione dedicata a promuovere “l’amore per l’arte presso le persone dedicate a Dio” e al tempo stesso volta ad impedire la dispersione del cospicuo patrimonio artistico della diocesi. Solo nel 1960

un accordo tra il Comune di Milano e la Curia avvierà il progetto di ristrutturazione dei chiostri di Sant’Eustorgio, indicati come sede del nuovo Museo: rimasto però sulla carta il progetto venne ratificato e ripreso nel corso degli anni ’80, a cura dello studio dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso.

Il 5 novembre del 2001 il Museo Diocesano venne aperto al pubblico e, oltre a conservare e promuovere i preziosi beni artistici della diocesi, che ricordiamo essere una delle più ricche d’Italia, dall’anno successivo, ha adottato il progetto Un capolavoro per Milano, con l’obiettivo di far ar-

rivare in città ogni anno per l’appunto un’opera d’arte con l’intento di far conoscere ai milanesi capolavori conservati in altri luoghi, in Italia o all’estero. L’iniziativa che ha ospitato i capolavori di Antonello da Messina, di Caravaggio e Mantegna tra gli altri, ha avuto un grande successo di pubblico e prose-

gue tutt’oggi. La sede che accoglie i locali del Museo Diocesano è tra le più importanti e prestigiose di Milano: il complesso monumentale di Sant’Eustorgio è costituito dall’insieme unitario della basilica e dell’antico convento domenicano, formatosi nel corso dei secoli in un’area

di grande importanza per la storia del cristianesimo ambrosiano. Sulla piazza di Sant’Eustorgio si trova infatti, ancora oggi, il fonte in cui san Barnaba intorno al I secolo, avrebbe battezzato i primi milanesi, dando inizio alla chiesa locale. Sant’Eustorgio è quindi luogo di storia e di preghiera, che ben definisce, fin dalla storia della sua fondazione e del suo culto, l’identità del cristianesimo ambrosiano. Il complesso basilicale è stato fondato in epoca paleocristiana, ricostruita in forme romaniche fra l’XI e il XII secolo e rimaneggiato nella prima metà del XIII secolo, dopo l’insediamento dei domenicani. In questo momento si avvia la costruzione dell’annesso convento che ingloba un preesistente ospedale. Il convento visse una grandiosa stagione fino alla seconda metà del Quattrocento, quando con la fondazione di un secondo polo domenicano in città, Santa Maria delle Grazie, Sant’Eustorgio perse progressivamente il ruolo predominante che fino a quel momento aveva rivestito nel contesto milanese. Le collezioni del Museo Diocesano sono state allestite nel 1996 dall’architetto Antonio Piva, tenendo presente la particolare struttura architettonica del complesso di Sant’Eustorgio ed esaltando così l’incontro tra storia e fede che per secoli hanno caratterizzato il sito ambrosiano.

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Acquario Civico

Espressione del liberty A

gli albori del secolo scorso, in un clima di grande incertezza politica ma di forti fermenti di rinnovamento, in una Milano

il Duca Giuseppe Crivelli Serbelloni al quale è dedicata la targa accanto all’ingresso. Le ragioni di un acquario all’Esposizione erano almeno due: la prima il richiamo per il pubblico

alla ricerca della propria affermazione, si inaugura il 28 aprile 1906, in occasione dell’apertura del traforo del Sempione che collegava direttamente l’Italia all’ Europa, l’esposizione universale dedicata ai trasporti. Dei duecentocinque padiglioni sviluppati tra

costituito da un’attrazione scientifica innovativa, l’acquario milanese è infatti uno dei primi al mondo, la seconda era l’interesse verso il mondo sottomarino all’apice dopo l’uscita di “Ventimila leghe sotto i mari” di Jules Verne (1870). L’architetto Locati forma-

Mariantonia Ronchetti

L’edificio dell’acquario rispecchia pienamente i canoni dello stile liberty che nella capitale meneghina, a queste date, non era più considerato una scelta stravagante di architetti

mondo marino, fluido e colorato, si prestava particolarmente bene ad un’interpretazione art nouveau. L’impianto, forse un po’ rigido del fabbricato, è alleggerito dalla ricchezza delle decorazioni. Lungo le pareti esterne tondi in cemento accolgono i sinuosi movimenti del corpo di: tartarughe, polpi, coccodrilli, granchi, rane, aragoste mentre un marca piano di piastrelle in ceramica corre lungo tutto il perimetro raffigurando pesci e animali acquatici caratteristici del racconto di Verne. Tra le grandi finestre del piano nobile riquadri in ceramica firmate R. Ginori mostrano la flora acquatica i cui nomi sono indicati negli eleganti caratteri liberty sottostanti. Nel corpo di fabbrica sporgente tra la porta d’ingresso e quella d’uscita troneggia, Nettuno dio dei mari; sotto di lui la fontana dall’esotica testa d’ippopotamo di Giovanni Chini. La parte posteriore dell’edificio si apre con un porticato semicircolare su un giardino dove sono collocate le vasche che riproducono gli ambienti tipici della Pianura Padana. L’edificio riaperto nel 2006 è stato oggetto di un lungo restauro che ha riporin vena di sperimentazio- tato l’esterno all’antico ni, bensì accettato come splendore e ha completauno dei possibili linguag- mente rinnovato gli interni. gi dell’architettura ufficiale. La natura, quale fonte L’Acquario Civico si trova ispiratrice trova anche ne- in via Girolamo Gadio n.2 gli edifici pubblici e privati piena espressione: le linee ammorbidiscono i prospetti mentre le pareti esterne

Ok Arte Milano

Edito dall’Associazione Culturale Ok Arte Direttore responsabile Avv. Federico Balconi Direttore editoriale Francesca Bellola Responsabile Pubbliche Relazioni Serena Baccaglini Pubbliche Relazioni Elena Marradi Progetto Grafico e impaginazione Kerr Lab kerr@email.it Parco Sempione e Castello Sforzesco, rimane l’Acquario Civico dell’architetto Sebastiano Locati, situato ai margini del Parco accanto all’Arena Civica. Fervente promotore del progetto fu

tosi a Brera si trasferì per un certo periodo a Parigi dove aggiornò le proprie conoscenze artistiche su un gusto eclettico che gli consentì di interpretare liberamente epoche e stili.

si arricchiscono di eleganti decorazioni realizzate attraverso l’accostamento di materiali inusuali quali il cemento e la ceramica, il vetro e il ferro battuto. Nel caso dell’Acquario il

Stampato dalla Igep Via Castelleone 152 CR Testata OK Arte Reg. Tribunale di Milano del 6 maggio 2008 n. 283

Hanno collaborato: Serena Baccaglini Clara Bartolini Francesca Bellola Carlo Catiri Silvia Cipriano AmarenaChicStudio Silvio Colombo Giuliana De Antonellis Isabella De Matteis FAI Carla Ferraris Fabrizio Gilardi Alessandro Ghezzi Paola Teresa Grassi Anna Guainazzi Gianluigi Guarneri Luca Impellizzeri Francesca Mariano Ivana Metadow Milena Moriconi Ugo Perugini Giacomo Maria Prati

Bar Il Cortiletto di Achille Cennami all’interno dell’Accademia di Brera

Antonio Purpura “Caro” C. Roccazzella Mariantonia Ronchetti Clara Terrosu Yari Massimo Zanicchi

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Museo della Scienza e della Tecnologia Un laboratorio culturale nel cuore di Milano

Anna Guainazzi

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l Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano sorge all’interno dell’antico monastero olivetano di San Vittore al Corpo costruito agli inizi del ‘500, quando i monaci Olivetani presero possesso e ampliarono le vecchie strutture del convento benedettino e della basilica. Nel 1560 iniziarono i lavori per la realizzazione della nuova chiesa al posto dell’antica basilica medioevale e vennero anche progettati ampliamenti oltre ai chiostri principali. L’8 giugno 1805 un decreto napoleonico dispose che il monastero fosse convertito in ospedale militare. Sotto la soprintendenza del colonnello del Genio vennero avviati i lavori per adeguare gli ambienti del convento alle nuove esigenze militari. I lavori si conclusero tra il 1807 e il 1808. Negli anni successivi l’ospedale lasciò il posto alla Caserma delle tramezze, aprendo e chiu- nell’agosto del 1943 i bomVoilore. L’esercito francese dendo aperture. Ma i se- bardamenti su Milano cedette il quartiere a quello gni della antica opulenza colpirono l’edificio, nonoaustriaco; in seguito giun- erano scomparsi. Negli an- stante fosse già disposto il se l’esercito italiano con i ni ’30 nacque l’idea di cre- trasferimento della caserCavalleggeri, infine con il are un museo dedicato alla ma nella Cittadella delle glorioso 27° Reggimento tecnica all’interno del con- Milizie di Baggio, l’eserciArtiglieria da Campagna vento. Nel 1942 fu costitu- to ne era ancora ospite. Per che costituì la Caserma ita la “Fondazione Museo un paio d’anni, la Caserma Villata. L’esercito italiano Nazionale della Tecnica e Villata non esistette se non continuò ad usare il vec- dell’Industria”, promossa come cava di materiale. Le chio Monastero secondo i da Guido Ucelli di Nemi e volte dei chiostri, delle galsuoi bisogni, aggiungendo Arnaldo Salamini. Quando lerie e dei locali minori, ri-

L

maste senza protezione, venivano distrutte dall’acqua; il gelo ed il sole procuravano frane e crolli. Nel 1947 la Fondazione si trasformò in ente morale. Tre mesi più tardi furono decisi i lavori e realizzati in due lotti: il primo affidato all’impresa Cugini Cerutti destinato a bloccare il processo di decadimento e a mette-

re in sicurezza la fabbrica; il secondo affidato all’Impresa Giovanni Bertani che realizzerà il progetto dell’architetto Portaluppi di riconversione a museo. L’inaugurazione avvenne il 15 febbraio 1953 alla presenza dell’allora presidente del consiglio dei ministri De Gasperi. Negli anni successivi le raccolte vennero progres-

sivamente ampliate con l’apertura di nuove sezioni. Nel 1964 venne realizzato il padiglione aeronavale, per ospitare gli oggetti tuttora più importanti contenuti: la nave scuola Ebe ed il Conte Biancamano. Nel 1969 fu inaugurato il padiglione ferroviario. Nel 1993 furono aperti i primi laboratori interattivi. Nel 1999 il museo venne trasformato in fondazione di diritto privato. Oggi il Museo della Scienza e della Tecnica si estende su 40.000 mq ed è il più grande museo tecnico-scientifico in Italia. Le sue collezioni, che ospitano circa 10.000 oggetti, presentano l’evoluzione scientifica e tecnologica ed esplorano il complesso rapporto uomo-macchina a partire dalla figura di Leonardo da Vinci. Il Museo rappresenta fin dalla sua nascita un luogo fondamentale non solo per la ricerca, lo studio e la conservazione, ma anche per la diffusione della cultura scientifica e della sua applicazione tecnologica e pratica. Al suo interno si realizzano visite guidate alle collezioni storiche, attività nei laboratori interattivi, eventi scientifici, progetti speciali, mostre, spettacoli teatrali, conferenze,convegni, concerti, corsi di formazione, giornate e serate dedicate alle Istituzioni, all’Aziende e ai cittadini.

La fortuna critica di Leonardo

a fortuna critica del pit- e perfettamente formatore è stata immediata to, appariva, nei confrone non ha mai subito oscu- ti della comune umanità, ramenti. Già per il Vasari un esemplare ideale di es«volle la natura tanto favo- sa. Come la chiarezza e la rirlo, che dovunque è rivol- perspicacia dell’occhio si se il pensiero, il cervello e riferiscono più proprial’animo, mostrò tanta divi- mente all’intelletto, così nità nelle cose sue che nel la chiarezza e l’intelligendare la perfezione di pron- za erano proprie dell’artitezza, divinità, bontade, sta. Non si abbandonò mai vaghezza e grazia nessun all’ultimo impulso del proaltro mai gli fu pari». Per prio originario imparegil Lomazzo «Leonardo nel giabile talento e, frenando dar il lume mostra che hab- ogni slancio spontaneo e bi temuto sempre di non casuale, volle che ogni prodarlo troppo chiaro, per ri- prio tratto fosse meditato servarlo a miglior loco et ha e rimeditato». Per il pitcercato di far molto intenso tore Delacroix, Leonardo lo scuro, per ritrovar li suoi «giunge senza errori, senza estremi. Onde con tal arte debolezze, senza esageraha conseguito nelle facce zioni, e quasi d’un balzo, a e corpi, che ha fatto vera- quel naturalismo giudiziomente miracoli, tutto quel- so e sapiente, lontano del lo che può far la natura. Et pari dall’imitazione servile in questa parte è stato supe- e da un ideale vuoto e chiriore a tutti, tal che in una merico. Cosa strana! Il più parola possiam dire che ‘l metodico degli uomini, colume di Leonardo sia divi- lui che fra i maestri del suo no». Non a caso lo storico tempo si è maggiormente aretino gli ascrisse l’avvio occupato dei metodi di esedella “Maniera moderna”, cuzione, che li ha insegnaponendolo all’inizio del- ti con tanta precisione che la terza parte delle Vite. le opere dei suoi migliori L’ultima cena (particola- allievi sono sempre confure) Per Goethe, «Leonardo se con le sue, quest’uomo, si rivela grande soprattutto la cui maniera è così tipicome pittore. Regolarmente ca, non ha retorica. Sempre

attento alla natura, consultandola senza tregua, non imita mai sé stesso; il più dotto dei maestri è anche il più ingenuo, e nessuno dei

li successivi. Le sue figure esprimono una sensibilità e uno spirito incredibili; traboccano d’idee e di sensazioni inespresse. Vicino

suoi emuli, Michelangelo e Raffaello, merita quanto lui tale elogio». Scrive Hippolyte Taine che «non c’è forse al mondo un esempio di genio così universale, inventivo, incapace di contentarsi, avido d’infinito e naturalmente raffinato, proteso in avanti, al di là del suo secolo e di quel-

ad esse, i personaggi di Michelangelo non sono che atleti eroici; le vergini di Raffaello non sono che placide fanciulle, la cui anima addormentata non ha vissuto. Le sue, sentono e pensano con ogni tratto del viso e della fisionomia; ci vuole un certo tempo per stabilire un dialogo con loro:

non che il sentimento che esse esprimono sia troppo poco definito; al contrario, esso scaturisce dall’intero aspetto, ma è troppo sottile, troppo complicato, troppo al fuori e al di là del comune, impenetrabile e inesplicabile. L’immobilità e il silenzio di esse lasciano indovinare due o tre pensieri sovrapposti, e altri ancora, celati dietro quello più lontano; s’intravede confusamente questo mondo intimo e segreto, come una delicata vegetazione sconosciuta sotto la profondità di un’acqua trasparente». Per il Wölfflin,[100] «è il primo artista che abbia studiato sistematicamente le proporzioni nel corpo degli uomini e degli animali e si sia reso conto dei rapporti meccanici, nell’andare, nel salire, nel sollevare pesi e nel portare oggetti; ma anche quello che ha scoperto le più lontane caratteristiche fisionomiche, meditando coordinatamente sopra l’espressione dei moti dell’animo. Il pittore è per lui il chiaro occhio del mondo, che domina tutte le cose visibili». La Vergine delle rocce Per

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Octave Sirén, Leonardo «fu fiorentino fino al midollo, benché più sagace, più duttile, più intelligente dei suoi predecessori. Più tardi s’interessò ai problemi pittorici via via che andava approfondendo quelli scientifici; dal che deriva la presenza, nella sua arte, di tendenze nuove e di tratti sconosciuti ai suoi contemporanei. Il passaggio dai dettagli precisi, dai contorni netti, alle gradazioni del chiaroscuro, alla corposità dello sfumato, riassume una tendenza generale nella pittura del Rinascimento; ma ciò che attorno a Leonardo non si attuò prima di due o tre generazioni, in lui divenne maturo nello spazio di venti o trent’anni». Per Emilio Cecchi «da lui ebbe origine una pittura d’intensità insuperata, dove il rude chiaroscuro e luminismo di Masaccio è genialmente dedotto in una quantità di espressione plastica che, se ancora una volta dobbiamo richiamarci al ricordo della Grecia, non si può confrontare che alla grazia misteriosa e sublime della scultura prassitelica» fonte Wikipedia


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Arte

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Dai Borromeo al Simbolismo

Cinque secoli di arte sacra a Palazzo Reale Silvia Colombo

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al 1610 al 2010: quattrocento anni di storia dell’arte. Questo il periodo intercorso dalla canonizzazione di San Carlo Borromeo a oggi, e Milano celebra la ricorrenza allestendo una mostra sull’arte sacra lombarda: un po’ in ritardo sulla scaletta espositiva, finalmente il “Sacro Lombardo. Dai Borromeo al Simbolismo” è

Milano dal 1565 al 1584) ai primi del Novecento, metta in luce la trasformazione artistica del tema sacro: prima stilisticamente più rigoroso, dal pieno ‘600 grandioso e, nei due secoli a venire, lucido e infine intimo e personale. Se il contributo di Giulio Cesare Procaccini, Daniele Crespi, il Morazzone e il Cerano, le voci corali dello stile fortemente voluto da Federico Borromeo – ar-

Tiepolo, Battesimo dell’imperatore Costantino

aperta al pubblico dal 6 ottobre e ci accompagnerà sino al nuovo anno. L’idea messa in atto dai curatori dell’evento è la creazione di un cammino, artisticoculturale e spirituale, che attraverso i secoli, da Carlo Borromeo (arcivescovo di

civescovo meneghino dal 1595 al 1631, nonché promotore di uno stile pittorico controriformato –, conduce a un evidente cambiamento espressivo, colmo di una ‘pietas’ cristiana fatta di umiltà e penitenza, quello dei Ligari, di Andrea Pozzo

Pietro Ligari, San Francesco Saverio battezza una principessa indiana

Hayez, Ecce Homo

e di Alessandro Magnasco incorso tra Sei e Settecento perviene a esiti corali più grandiosi, che culminano con l’operato di Giambattista Tiepolo (1696-1770), presente in mostra con “Battesimo dell’imperatore Costantino” (1757-1759), dalla chiesa di San Silvestro a Folzano (Brescia). Nella pala d’altare del maestro veneto, dove papa Silvestro è raffigurato nell’atto di battezzare un imperatore Costantino non più tracotante, bensì genuflesso, uno sfondo architettonico dal sapore teatrale si unisce alla tavolozza cromatica e all’eleganza tipiche della regione di provenienza. E veneziano di nascita, poi trasferitosi a Milano, è anche Francesco Hayez, noto per i suoi ritratti di Alessandro Manzoni, della borghesia più in vista della città, nonché autore di scene sacre come la pala “San Michele arcangelo trafigge il drago” (1839) della chiesa di Sant’Andrea a Iseo, capolavoro che per cromia e grandiosità ricorda il conterraneo Tiepolo, ma che nel complesso cede il passo al Romanticismo. Con Hayez, scomparso in età avanzata nel 1882, siamo ormai agli sgoccioli del percorso espositivo del “Sacro Lombardo”, giacché in questo momento gli strascichi del tardo Romanticismo si sovrappongono al Simbolismo, di cui Gaetano Previati (1852-1920) è

uno degli esponenti. La sua “Madonna dei gigli”, tela eseguita tra il 1893 e il 1894 e restaurata in occasione di questa mostra, è un prestito proveniente dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano. Lo stile muta, fitti tratteggi di colore sono affiancati gli uni agli altri, la pennellata è franta ma restituisce una figuratività umile e maestosa: la Madonna con il bambino in grembo è al centro dell’opera ed entrambi sono attorniati da una corona di gigli – simbolo di purezza – che divide la superficie del quadro in due parti quasi simmetriche. La Vergine è figura sacra e profana, a metà fra cielo e terra, ed esprime la sua maternità in modo naturale, guardando con affetto il bimbo proteso verso il fiore: è così che il sacro, infine, approda a una dimensione non solo strettamente cristiana, ma universale. “Sacro Lombardo. Dai Borromeo al Simbolismo”, a cura di Mons. Franco Buzzi, Stefano Zuffi, Ferdinando Mazzocca, Simonetta Coppa, Giuseppe Fusari; Milano, Palazzo Reale, 6 ottobre 2010 – 6 gennaio 2011. Orari: lunedì 14,30-19,30; da martedì a domenica: 9,3019,30 (giovedì: apertura sino alle 22). M1 Duomo.

Hayez, Arcangelo Michele, Parrocchiale Sant’Andrea Apostolo, Iseo

Tomas Rajlich

Pittura analitica a Cascina Roma Isabella De Matteis

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opo le personali di Giorgio Griffa, Gianfranco Zappettini e Pino Pinelli, il ciclo di esposizioni dedicato alla corrente della pittura analitica riprende a San Donato Milanese presso Cascina Roma con la mostra di Tomas Rajlich, artista di fama internazionale considerato uno degli esponenti di punta dell’astrattismo contemporaneo. Da sabato 20 Novembre e sino a domenica 19 Dicembre, la Galleria d’Arte Moderna ospiterà “Toccare la luce”, una selezione dei suoi lavori, a partire da alcune tele storiche degli anni Settanta per arrivare alle opere più recenti, come i celebri monocromi di grande formato realizzati negli anni Novanta. Rajlich è nato nel 1940 nella Repubblica Ceca e si è formato a Praga come scultore; la sua affermazione arriva nel 1968 con una mostra al Museo Rodin di Parigi de-

dicata alla scultura cecoslovacca. Un anno più tardi, a seguito dell’occupazione sovietica del suo paese, decide di trasferirsi in Olanda dove comincia a dedicarsi alla pittura, diventando, in pochi anni, uno degli

autori di riferimento della “pittura analitica” o “pittura – pittura”, la corrente che tende all’analisi degli elementi fondamentali del dipingere: luce, colore, materia. A partire da questi, gli artisti appartenenti al movimento sottopongono la pittura all’analisi cui gli autori concettuali sottopongono parti di real-

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tà, trasformando la pittura stessa nell’oggetto dell’indagine artistica, depurata da ogni connotazione emozionale. Il gesto dell’artista, la sua progettualità, assumono i caratteri della semplificazione, di analisi degli elementi fondanti del dipingere, con esiti che ne esaltano l’essenza. A Rajlich sono state dedicate numerose personali in prestigiosi musei e gallerie d’arte d’Europa e le sue opere fanno oggi parte di importanti collezioni private e pubbliche, come quella del MoMa di New York, del Centre Pompidou a Parigi, dello Stedelijk Museum di Amsterdam. La mostra, comprendente circa 40 lavori, è corredata da un catalogo pubblicato da Silvana Editoriale, con testi di Claudia Rajlich, Alberto Zanchetta e Silvia Pegoraro che scrive: “Per Rajlich la pittura è un’attività metamorfica che continuamente trasforma se stessa, chi la pratica, chi la guarda”.


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Arte

miti e leggende

I Maya

Morandi e la sua amata Bologna I paesaggi, fonte d’ispirazione

mi anni trenta è autore di una pittura più astratta fortemente lirica. Durante la guerra l’artista si rifugia a Grizzana, il paesino sull’Appennino tosco-emiliano dove realizzerà dei paesaggi di rara bellezza e di un’intensità talvolta lacerante. Longhi affermerà con enfasi: “Morandi cresceva frattanto instancabilmente e io lo vidi salire fino al culmine, che mi pare fosse il più alto da lui raggiunto, dei paesaggi del 1943”. Si susseguono le numerose partecipazioni alle mostre nazionali che giungeranno all’apice nel 1948 quando otterrà il premio per la pittura suscitando polemiche perché preferito a De Chirico e a Carrà. Lavorerà fino alla fine imprimendo alle sue opere una forte intensità ed una poetica malinconia caratteristica dalla sua arte “non vi è nulla di più astratto del reale”.

Francesca Bellola

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Clara Terrosu

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l bassopiano storico dei Maya occupava un territorio molto vasto, di circa 250.000 Km quadrati; oggi fanno parte di questa regione il Messico centrale, il Guatemala, la penisola dello Yucatan, l’Honduras e l’El Salvador. Spesso si usa il termine “Messicano” in contrapposizione a quello Maya per designare in particolare la civiltà non Maya del Messico. Nella zona tra il Mar dei Caraibi ed il Pacifico, si succedono tre diversi ambienti naturali, sia per clima che per vegetazione e le abitudini di vita cambiano spostandosi da una costa all’altra e da Sud verso Nord. Nella penisola dello Yucatan i brevi corsi d’acqua scorrono sotterranei e tutta la costa settentrionale presenta lagune sulle cui rive cresceva la mangrovia. Tale zona, già

in epoca precolombiana, serviva all’estrazione del sale. La popolazione, prevalentemente contadina, basava l’alimentazione sui prodotti agricoli. A causa della foresta tropicale era necessario rimuovere le erbacce ed i Maya che usavano strumenti primitivi per il disboscamento, riuscirono a creare uno spazio adeguato dove coltivare i prodotti essenziali alla sopravvivenza e tracciarono nuove vie commerciali. La necessità di vincere la terra e gli elementi hanno rinvigorito e temprato l’animo di questo piccolo popolo sognatore, ma deciso! La vita e le credenze religiose risentivano dell’ambiente

ostile che frequentemente presentava cicloni, eruzioni e terremoti. La cultura Maya è considerata la più evoluta, dotta e brillante fra le 123 famiglie etniche individuate e la sua avventura si colloca tra i primi 15 secoli della nostra era. Il periodo di maggior splendore si trova tra il III ed il XII secolo e la sua “morte” ufficiale, dal punto di vista militare, risale al 1697 a Tayasal (Peten – Guatemala) Forse ispirati dalle acque che scorrevano sotterranee, i Maya veneravano i Nove Signori della notte, chiamati Nove Dei (Bolontku) che presiedevano ai diversi mondi sotterranei sovrapposti. I simboli della morte ritornano sovente nell’ iconografia Maya. A esempio, Ah Puch, il dio della morte, accompagnato dalla civetta, da un cane, che veniva seppellito insieme al defunto come guida e dall’uccello moan, una specie di sparviero, è rappresentato sotto forma di scheletro adornato di sonagli. Il dio della guerra e dei sacrifici è Ek Chuah, figura nera a volte con coda di scorpione; personalità ambivalente, è venerato da viaggiatori e venditori, spesso considerati come spioni, e grazie a loro è considerato il protettore del cacao. Ixtab, la dea del suicidio, dei sacrificati e delle donne morte di parto, é sospesa nel cielo per mezzo di una corda annodata al collo. I suoi protetti avevano il diritto di andare direttamente nel paradiso Maya, luogo idilliaco, eden con i ceiba, gli alberi sacri. Secondo la leggenda, un ceiba gigantesco attraversava tutto l’universo, dal sottosuolo, sede dei malvagi dopo la morte, fino al mondo celeste. Per i Maya le malattie e la morte non erano un fatto accidentale o naturale, ma rappresentavano il castigo degli dei per le colpe passate. I sacerdoti erano anche astronomi e fecero calcoli che arrivarono a milioni di anni. Le stele venivano erette in date regolari con la rappresentazione di cifre che permettevano calcoli stupefacenti. Molte divinità erano connesse a professioni, come tutti i corpi di artigianato, compreso i tatuatori e gli allevatori d’api. Continua...

l fatto più curioso [..] è che, mentre tutti lo conoscono come autore di nature morte, pochi sono a conoscenza dell’altra attività, quella di pittore del paesaggio…Io considero questi dipinti fra i più alti capolavori del paesaggismo di tutti i tempi. In essi si sente un’affettuosa attenzione verso l’opera giovanile di Corot”. Questa autorevole affermazione di Federico Zeri racchiude la personalità di Morandi assorta a contemplare i lunghi silenzi delle campagne e delle colline italiane, vere fonti ispiratrici. Una vita straordinariamente normale, povera di avvenimenti e di mondanità, è l’essenza della grande avventura artistica di Giorgio Morandi rappresentata in maniera sublime nella mostra “Morandi l’essenza del paesaggio” ad Alba presso la Fondazione Ferrero. L’evento, promosso dalla Fondazione Ferrero, con la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e la Regione Piemonte, e realizzato in collaborazione con la Fondazione Longhi di Firenze, affronta per la prima volta al mondo, in maniera così scrupolosa e approfondita, il tema assai caro al maestro, quello del paesaggio. L’esposizione curata da Maria Cristina Bandera, ospita dal 16 ottobre al 16 gennaio 2011, una vasta produzione di 70 opere e precisamente 64 dipinti e 6 acquerelli di assoluta qualità. La curatrice, reduce dell’ultima mostra dedicata al pittore bolognese al Metropolitan Museum di New York, ripercorrendo i cinquant’anni di carriera dell’artista, ne ha ricostruito, attraverso i numerosi prestatori e collezionisti privati e pubblici in Italia e all’estero, una visione più innovativa. Il percorso espositivo segue un ordine cronologico partendo da un nucleo importante di oli rarissimi degli anni “Dieci” per proseguire ai paesaggi degli anni “Venti” dove riaffiora la conoscenza di maestri del passato quali Piero della Francesca. Negli anni successivi, quelli della guerra vissuti a Grizzana, l’artista raggiunge uno stile più puro e raffinato. L’esposizione si conclude con l’ultimo decennio degli anni cinquanta quando la sua pittura è più rarefatta – notevole il Cortile di via Fondazza – ed il raffronto tra i paesaggi e le nature morte è più labile. Giorgio Morandi (1890-1964), pittore schivo e solitario, rappresenta una delle figure più importanti del nostro secolo. Tutto si svolge nella sua abitazione di via Fondazza insieme alle sorelle in pieno centro a Bologna. Tutto in modo

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Morandi, Cortile di via Fondazza

semplice, come in una sorta di luogo metafisico, così sono nate molte delle sue opere di rara bellezza come gli scorci dei cortili di via Fondazza. Studente modello all’Accademia della sua città, simpatizza con Severo Pozzati e Osvaldo Licini di qualche anno più giovane, suoi compagni di corso; ben presto si ribella all’impostazione accademica e inizia a guardare agli impressionisti francesi come Cézanne. La sua pittura, a partire dagli anni venti, si rivolge principalmente alle nature morte, ai paesaggi e ai fiori. Frequenta alcuni giovani intellettualmente aperti che ruotano attorno

alle riviste letterarie, come Riccardo Bacchelli celebre autore del Mulino del Po e letterato de “la Ronda”, e successivamente i pionieri futuristi Pratella e Boccioni. Inizia a praticare anche una tecnica apparentemente minore come l’incisione che lo porterà ad ottenere nel 1930, la cattedra “per chiara fama” per l’abilità nell’arte incisoria. Persino De Chirico che tende a polemizzare su tutti, scrive di Morandi pagine di grande ammirazione. Dai pri- Morandi, Paesaggio

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Arte

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I Gluts di Rauschemberg A Villa Panza di Biumo di Varese

Giuliana de Antonellis

“A

lla fine degli anni ‘50 ho acquistato Rauschenberg che considero un trait d’union tra l’Espressionismo Astratto e la Pop Art, perché utilizza immagini della vita reale per creare un rapporto con il passato come memoria. Se si guarda alle sue opere si vede anche il segno dipinto non solo il collage e l’oggetto. Per questa ragione era naturale ca-

pire la Pop Art… Quando i Rauschenberg arrivarono a casa vi erano pochissime persone interessate. Sentivo un grande interesse per lui perché vedevo nei dettagli una relazione ad avvenimenti del passato. E’ una sollecitazione della memoria”..(Giuseppe Panza, 1987) Con queste parole il collezionista e amico spiegava il suo interesse per un artista che sin dagli anni ’50 aveva stupito

i l mondo dell’arte, perché il suo lavoro rompeva gli schemi abituali e si rivolgeva agli “scarti” dell’uomo contemporaneo e a trovare nuovi modi di impiego, donando loro una seconda vita. E così, davanti agli oggetti più disparati, ammucchiati nel suo studio,

Rauschenberg ha impiegato il medesimo approccio diretto per affrontare i Gluts (1986–89 e 1991–95) assemblaggi di oggetti di recupero, la maggior parte in metallo, che rappresentano la sua ultima serie di sculture, 40 dei quali sono esposti a Villa Panza di Biumo dal 14 ottobre 2010 al 27 febbraio 2011. Per la realizzazione di queste opere per circa un decennio, Rauschenberg si è recato nella Gulf Iron e Metal Junkyard, discarica fuori Fort Myers, Florida, vicino alla sua casa-studio, raccogliendo ferraglie come segnali stradali, tubi di scappamento, radiatori, saracinesche e molto altro ancora, che pian piano ha trasformato in assemblaggi poetici e spiritosi, in cui il risultato finale ha un effetto ben diverso dalla somma delle singole parti. L’occhio ne rimane colpito, la mente riflette, la mano vorrebbe averli realizzati. E’ questo l’effetto che fanno a chi le guarda o ammira o le studia. A chi gli

chiese allora di commentare il significato dei Gluts, Rauschenberg rispose: “E’ il momento dell’eccesso, l’avidità è rampante. Tento solo di mostrarlo, cercando di svegliare la gente. Voglio semplicemente rappresentare le persone con le loro rovine […] Penso ai Gluts come a souvenir privi di nostalgia. Ciò che devono realmente fare è offrire alle persone l’esperienza di

guardare le cose in relazione alle loro molteplici possibilità”. Rauschenberg sceglieva questi oggetti non solo per il loro valore quotidiano ma anche per le loro proprietà formali. “Gli oggetti abbandonati mi fanno simpatia e così cerco di salvarne il più possibile.” Il ritorno di Rauschenberg a Villa Panza è un momento eroico per la casa è come rinnovare una tradi-

zione, cioè il periodo vissuto dall’artista nelle sue stanze. La mostra è, come dice Marco Magnifico, da guardare, non da capire. E’ allegra, gioiosa, piena di energia, energia tipica degli americani, come l’artista. Il FAI, in collaborazione con la Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, il Robert Rauschenberg Estate di New York, con il contributo e il patrocinio di Regione Lombardia e Provincia di Varese, con il patrocinio del Comune di Varese, con il patrocinio e il contributo del Consolato degli Stati Uniti d’America a Milano e della BSI di Lugano, rende omaggio a una delle più grandi forze creative dell’arte americana dagli anni ’50 nella prestigiosa sede di Villa e Collezione Panza a Varese. Per maggiori informazioni: www.fondoambiente.it

Gabriele Basilico

Passato e futuro a Istanbul Giuliana de Antonellis

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li anni 70 e tutto quanto accadeva nel mondo operaio attirarono l’attenzione di un giovane architetto sulle periferie industriali e in particolare sulle fabbriche. Da qui l’inizio di un crescente lavoro di ricerca e di analisi della città e una profonda lettura del

territorio fotografandone la trasformazione nel tempo. Gabriele Basilico è uno dei fotografi italiani più noti ed è stato anche l’unico italiano a partecipare, nel 1984, alla prestigiosa missione fotografica francese Datar. I suoi progetti in Italia e all’estero, tra i quali Bord de mer (1984-85), Beirut (1991), Sezioni del paesag-

gio Italiano (1998), Interrupted City (1999), Silicon Valley (2007), Mosca Verticale (2007-08), Milano (2008) hanno un taglio documentarista, indagano sin nelle fessure di un edificio o di una strada, confrontano il vecchio e il nuovo della crescita urbana, mettono in luce le contraddizioni stridenti tra le diverse

culture, rimandano a tempi passati e invitano a tempi futuri. Una sua affermazione è “la città è il teatro dove si svolge il ritmo dell’identità urbana”, per cui nelle sue istantanee è possibile rendersi conto delle somiglianze e delle discordanze, come se Basilico con il suo sguardo fotografico avesse abbattuto le barriere geografiche e la presenza dell’uomo, per parlare solo della città. Il suo è un cogliere la geometria e l’anima del luogo che a volte diventa non-luogo. La mostra Istanbul 05.010 presenta 32 immagini che evidenziano i cambiamenti avvenuti nella città nel corso del tempo: la metropoli turca che si rinnova senza perdere l’anima dell’antica Costantinopoli. Lo sguardo attento del fotografo milanese analizza sia i quartieri storici, con la loro identità ben precisa, che quelli in via di espansione, identici in ogni parte del mondo, sia le zone decadenti, sull’orlo del crollo, che quelle più eleganti. Queste foto mostrano il risultato urbano senza i suoi artefici e abitanti e rappresentano un modo autonomo di conoscere la città, fra documentazione architettonica e memoria umana, una città intesa come corpo fisi-

co in perenne “movimento”. “Come il narratore di talento, dice Luca Doninelli, sa cavare il fascino delle sue storie dalla scrupolosa messa in fila degli eventi, senza nulla concedere alle facili evocazioni d’atmosfera, così Gabriele Basilico usa la propria formidabile esperienza e tecnica per te-

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nere lontani i fantasmi del preconcetto (quale che sia, è sempre il lavoro duro e serio a snidarlo, a dissiparlo), lasciando che la complessità delle cose si trasformi in esattezza di sguardo.” Fino al 12 dicembre 2010 alla Fondazione Stelline di Milano. www.stelline.it


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Fotografie che sfidano l’inquietudine Paola Teresa Grassi

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naugurata il 19 ottobre, immagini inquietanti / disquieting images rimarrà allestita presso la Triennale di Milano fino al 9 gennaio. La selezione di fotografie, curata da Germano Celant e Melissa Harris, caporedattore di Aperture magazine e docente di Photo & Imaging al Tisch e alla Columbia di New York, esplora il difficile concetto di inquietudine. Ingaggiati dai curatori, i fotografi esposti sono autori di una narrazione che ne attraversa i fluidi segmenti di senso: comunità, genere, dipendenze, infanzia violata, stravolgimento ecologico, guerra, ossessioni, abusi sugli animali e conflitti domestici. Testimonianze o metafore, documenti o argomenti, tutti i frammenti raccolti sfidano l’interpretazione e la riflessione del soggetto interpretante, vi-

sitatore consapevole al quale, infatti, viene richiesto di avere compiuto almeno 14 anni. Significato e “sottotesto” si rincorrono in una sequenza di immagini che chiedono “presenza di sguardo”: è l’evento a essere inquietante o è la reazione di chi guarda a generare inquietudine? Istinto primario, naturale, e contemporaneamente condizione di spirito alimentata da cause esterne, la “disquietude” produce una condivisa sensazione di sospetto e di disagio. La distanza fra testa e pancia viene meno ed esplode fragoroso il giudizio: minaccioso, angosciante, scomodo, sgradevole, fastidioso. Gli spietati “ecosistemi” che producono o in cui si produce questa esplosione trovano il loro tempo nei cruciali decenni degli anni Sessanta e Settanta, e attraversano tutti i continenti con un gesto che ormai cono-

sciamo come globale: Iraq, Vietnam, Haiti, Rwanda, Afghanistan, Giappone, Texas; ma, anche, con un progressivo riguardo localizzante, entrano dentro metropoli e piccole città, da Seattle a Palermo. In una collettiva di grande respiro, che coinvolge Julio Cesar Aguilar Fuentes, Diane Arbus, Letizia Battaglia, Nina Berman, Elena Dorfman, Donna Ferrato, Nan Goldin, Philip Jones Griffiths, Pieter Hugo, Alfredo Jaar, Yoshiyuki Kohei, Sally Mann, Robert Mapplethorpe, Mary Ellen Mark, Richard Misrach, James Nachtwey, Michael Nichols, Paolo Pellegrin, Gilles Peress, Eugene Richards, Lise Sarfati, Stephanie Sinclair, Brian Weil e Zalmai, le coordinate per imparare il coraggio del reporter e l’attenzione dettagliante dell’artista. Sono previsti incontri e convegni. Catalogo Skira

Elena Dorfman, Rebecca 1, 2001 © Elena Dorfman/Edwynn Houk Gallery

Triennale di Milano

pittori piuttosto pittoreschi

Armand Guillaumin, Un autunno di mostre artista baciato dalla fortuna no dei luoghi che celebrano Milano in Italia e nel mondo è la Triennale: il tempio dell’architettura e del design. Che si tratti della Triennale storica o della Bovisa, entrambe svolgono un ruolo determinante. Il marchio Triennale è sinonimo di modernità, di evoluzione, di ricerca, senza dimenticare la tradizione e l’innovazione. Il risultato

si nutre del sogno mentre dall’altra affonda le proprie radici nella quotidianità. Per capire cosa accade in Europa in architettura vi è la mostra “European Union Prize for Contemporary Architecture Mies van der Rohe Award 2009” (2 – 31 ottobre 2010) in cui si presentano i progetti vincitori e selezionati del Premio per l’architettura contemporanea dell’Unione Europea Premio Mies van

ne sulla condizione del pianeta e dei suoi abitanti. Per vedere in immagini la crescita spasmodica di una città dall’11 novembre 2010 al 9 gennaio 2011 è in mostra “Brasilia1960-2010 Storie, opportunità e contraddizioni di un’utopia realizzata”, in cui vengono messe in evidenza le celebrazioni, le critiche e le contraddizioni che ne accompagnano lo sviluppo, fino al suo significato contemporaneo. Ma

è un autunno ricco di mostre, convegni o incontri, tali da soddisfare l’esigenza culturale specialistica. Si è iniziato con una mostra dedicata all’Alfa Romeo sullo sfondo delle vicende culturali e sociali dell’Italia: Il segno Alfa. (24 settembre 2010 – 10 ottobre 2011 a cura di Francesco Casetti). In essa si è evidenziato l’immaginario che accompagna l’automobile con la sua industria e la sua tecnologia: un immaginario che da un lato

der Rohe 2009. Dal 19 ottobre 2010 – 9 gennaio 2011 a cura di Germano Celant e Melissa Harris nella mostra “Disquieting Images” la Triennale ospita una raccolta internazionale di immagini inquietanti per i loro contenuti problematici come inquinamento, sesso, AIDS, mafia, sadomasochismo, guerra, droga, travestitismo, violenza sugli animali, sfruttamento della natura e dell’essere umano. Un percorso per immagini che invitano alla riflessio-

se si vuole conoscere come eravamo, cosa usavamo e quali siano le relazioni tra gli oggetti bisogna immergersi nel mondo del design e lasciarsi accompagnare dalla mostra “Quali cose siamo” fino al 27 febbraio 2011. In questa terza interpretazione di Triennale Design Museum è che in Italia esista un grande e infinito mondo parallelo a quello del design istituzionale, un design invisibile e non ortodosso e che ognuno ha nella sua dimora.

Giuliana de Antonellis

Vinse centomila franchi alla lotteria e fu l’ultimo del gruppo a morire

Massimo Zanicchi

L’

ironia della vita è ben sintetizzata dall’intro di uno dei pezzi più famosi di Alanis Morrissette: «An old man turned ninety-eight, he won the lottery and die the next day» (Un vecchio compì novantotto anni, vinse alla lotteria e morì il giorno dopo). Una beffa che ha rischiato di toccare in sorte a uno degli impressionisti meno noti al pubblico: Jean-Baptiste Armand Guillaumin. Nel 1891 vinse centomila franchi alla lotteria promossa dal Crédit Foncier. Una somma oltremodo ingente – soprattutto se si pensa che qualche anno prima il quadro di Monet che ha segnato l’inizio dell’epopea degli impressionisti, “Impression au soleil levant”, era stato venduto a mille franchi – ma che avrebbe potuto dimostrarsi tardiva. Guillamin, infatti, al momento della vincita aveva quarantanove anni, in un’epoca in cui la vita media si assestava attorno ai quaranta. Dopo un’esistenza mediamente grigia – per un lungo periodo il pittore lavorò presso il servizio d’igiene della città di Parigi controllando la rete stradale tre notti alla settimana – Guillaumin accolse la novità con entusiasmo. La sua prima esclamazione sembra sia stata:

«Ottimo! Potrò dipingere il mare». E a vedere come sono andate le cose, aveva molti motivi per rallegrarsi della situazione. A differenza del novantottenne cantato da Alanis Morissette, Guillaumin ebbe trentasei lunghi anni per potersi godere il botti-

no, guadagnandosi il titolo, mai assegnatogli da nessun manuale di storia dell’arte, di “Impressionista più fortunato”, anche in considerazione della circostanza che sopravvisse a tutti i membri del gruppo, morendo per ultimo nel 1927 alla veneranda età (in barba alle statistiche) di ottantasei anni. Forse fu proprio la fortuna sfacciata a offuscarne il talento e di conseguenza la notorietà postuma che spettò alla gran parte dei suoi colleghi. A testimonianza della

sua bravura si possono citare i fratelli Van Gogh, intenditori di pittura quanto un macellaio in materia di salami, che nel giudicarlo lo paragonavano ai più grandi. Ma l’etichetta bohemien, con il suo carico di disperazione e malasorte, che in tanta narrativa e saggistica contrassegna i protagonisti del movimento impressionista, mal si concilia con il vincitore di una lotteria che, per di più, per guadagnarsi la pagnotta è stato a lungo un ordinario dipendente pubblico (avendo lavorato, oltre che per la municipalità di Parigi, anche per la compagnia ferroviaria francese). Allargando il discorso ai suoi soci è ironico, senza dubbio, come la maggior parte di loro abbia vissuto in piena miseria per cominciare a far muovere montagne di soldi solo dopo la morte. Lui perlomeno, mutuando nuovamente le parole della cantautrice canadese, a differenza dei suoi sfortunati compari, nel buio della sua tomba non si deve essere sentito come quel tale che ha ricevuto la «death row pardon two minutes too late» (l’assoluzione dalla pena di morte due minuti troppo tardi). D’altronde Guillamin era un predestinato, non a caso nacque al numero 10 di rue de Rivoli, la centralissima via parigina che costeggia il Louvre.

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Arte

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Joan Mirò: i miti del Mediterraneo Pisa, Palazzo Blu dal 9 ottobre 2010 al 23 gennaio All’inizio del ‘900 gli artisti della Catalogna, di fronte alla tragedia della guerra civile e a un nuovo governo sempre più autoritario, condividono con i compatrioti la necessità di rivendicare un’identità che, fino ad allora, era un dato di fatto che non necessitava di una narrazione. L’artista ritrova questa identità nel paesaggio, nella luce. I motivi preferiti di Miró sono insetti, lumache e serpenti, oltre naturalmente alle donne, simbolo stesso della Madre Natura, e agli uccelli, visti come animali mitologici. Analogamente, lo stile si scinde in creazioni in cui si identificano pennellate uniformi di colori vivi, forme dai contorni vigorosi, immagini riconoscibili, a pitture cosmiche, quasi astratte rese in un grande vuoto spaziale attraverso linee tenui e quasi trasparenti. Anche nella sua maturità, Miró continuerà questa ricerca parallela tra rappresentazione della realtà esterna, attraverso la narrazione di tipo mitologico, e l’aspirazione a una pace interiore, ben espressa dalle illustrazioni per le Costellations di André Breton, in cui la poesia, grande passione di Miró, si coniuga con la sua raffigurazione di uno spazio infinito in cui linee,

Mariantonia Ronchetti

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opo il grande successo di Chagall dal 9 ottobre Blu Palazzo d’ arte e cultura a Pisa ospita la seconda iniziativa di un ciclo triennale di mostre dedicato ai grandi protagonisti dell’arte del Novecento e al loro rapporto con le tradizioni, la luce e le culture del Mediterraneo. Chi meglio di J. Mirò può interpretare in maniera esemplare questo tema? L’itinerario espositivo presenta 110 opere, tra dipinti, sculture, lito-

grafie, disegni e illustrazioni, nelle quali, attraverso il potere trasformatore della poesia e del mito, l’artista catalano esprime la complessità del reale. Se da un lato, la poesia costituisce per Miró lo strumento per aprire lo spazio e accrescere le sue capacità di artista, il mito è una forma di racconto che aiuta la comprensione della realtà.

colori e forme si compongono e si scompongono. Chiudono il percorso espositivo le sezioni dedicate al mito della donna, della Madre Natura e dell’uccello mitologico. Qui s’incontrano lavori caratterizzati da colori vivi, pennellate spesse, pesanti tracce di nero che esprimono la violenza del ciclo vitale e della natu-

ra. L’esasperazione delle linee, la rarefazione dell’aria intorno alle figure atrocemente deformate costituiscono il tentativo disperato di esorcizzare i mostri che il mito porta con sé.

Emilio Farina: ponteggi d’artista

Dai bozzetti al “Mise en scene” del Duomo di Siena Serena Baccaglini

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ino a dicembre sarà possibile ammirare l’opera di Emilio Farina, Mise En Scene, il ponteggio d’artista realizzato sul fronte della berniniana Cappella del Voto del Duomo di Siena, recentemente rielaborato e che trasforma una struttura da cantiere in un’opera d’arte site-specific, di cui

abbiamo scritto nel numero di giugno. Inoltre, alla Biale Cerruti Art Gallery di Siena si è avuta l’occasione di scoprire come Emilio Farina sappia accostarsi, creare confronto e trovare nuovi equilibri, reinterpretando e integrandosi con i complessi monumentali nei quali si inserisce, perché vengono presentati a Siena per la prima vol-

ta i bozzetti che sono stati il percorso di preparazione e nei quali si delinea l’idea e l’artista studia armonie antiche con l’uso delle terre, con colori e materiali particolari. Un’occasione quindi per seguire il percorso creativo dal primo nascere dell’idea alla realizzazione finale: dalle policromie raffinatissime del pavimento del Duomo, per sentieri

creativi particolari, alla realizzazione dell’opera con i suoi 30 metri di pura poesia. Siena ha dedicato una giornata all’incontro con Emilio Farina, una serata speciale ad invito nella elegante Champagnerie Cava de’ Noveschi con la presenza dell’artista e ospite d’onore Lucia Bosè (vedi foto), attrice straordinaria, “la unica” come la chiamava l’amico Picasso e amica dello stesso Farina. L’incontro con l’artista, la visione dei bozzetti, progetti, disegni esposti per la prima volta e infine dell’opera all’interno del Duomo: un percorso di conoscenza nel mistero della creatività di un artista unico. L’idea di questo progetto-percorso è di Serena Baccaglini e Andrea Burroni in collaborazione con il nostro giornale che ha seguito le varie fasi di un evento così significativo per la città di Siena. I bozzetti di Emilio Farina sono di grande impatto: alcuni sono di oltre cinque metri ed esprimono pienamente quella che sarà l’idea finale, visibile al duomo di Siena fino a fine anno e ci fanno capire lo studio atten-

to dell’artista del pavimento del Duomo di Siena e in particolare per le Sibille, i cui bellissimi bozzetti sono esposti per la prima volta nella Galleria Biale Cerruti. Le Sibille del Duomo sono quasi tutte lavorate in marmo bianco su fondo nero, inquadrate da una cornice a scacchiera, posate su un piano color rosso mattone; è possibile identificarle per via del fatto che ciascuna

ha un cartiglio annesso e simboli inerenti le loro profezie, relative al Cristo e episodi della sua Vita. Queste misteriose creature sembra rimandino al mondo dei tarocchi e il loro fascino e la suggestione possiamo ritrovarli nei bozzetti contemporanei del Farina. Siena ancora una volta ci affascina con percorsi inusuali dall’arte antica all’arte contemporanea!

Lucia Bosè con Anna e Andrea Burroni


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Festival Tina B Il Mistero e l’Artista Da Praga a Venezia

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ina B. il Festival d’Arte Contemporanea di Praga alla sua quinta edizione, è quest’anno approdato in Italia, alla Biennale Architettura di Venezia nell’ambito di uno dei progetti collaterali: Passion for clean ideas all’Arsenale. Il Festival Tina B. è un grande evento d’arte organizzato ogni anno a Praga dal 2006. Per un periodo di 3 settimane nel mese di ottobre, Praga è diventata la mecca dell’arte contemporanea. Tina B. è l’acronimo di “ This is not another Biennal “, in quanto questo festival vuole esprimere quanto di più innovativo esiste nelle ultime tendenze d’arte, offrendo a giovani artisti e curatori da tutto il mondo uno straordinario palcoscenico: la città di Praga! Quest’anno il festival si è tenuto dal 7 al 24 ottobre e agli organizzatori dell’evento si è aggiunta Serena Baccaglini che ha curato l’edizione italiana e la collaborazione con Porsche Italia. I new media, light art, video art, performance e le aree più innovative che l’arte contemporanea esplora sono stati presenti in questo Festival unico nel suo genere. Tina B. 2010 sarà presente in Italia in tre momenti diversi: in contemporanea con la Biennale di Architettura di Venezia sono stati presentati gli artisti Giuliana Cunéaz (IT), Anna Monichi (IT), Katja Loher (CH) & Hans Focketyn (CH) all’Arsenale. Da agosto fino a novembre 2010 Tina B. inaugurerà una mostra

Samsa, Tina B.

presso la sede di Porsche a Padova con la presenza di sei artisti. A novembre, sempre a Venezia, Tina B. sarà presente con le opere selezionate dal Festival di Praga, nello spazio della Fondazione Claudio Buziol sul Canal Grande. Il tema del Festival quest’anno è “Solutions and evolutio: può l’arte oggi gettare nuova luce sui problemi della società del 21mo secolo? Alcuni degli artisti Tina B a Praga e in italia: Anna Monichi, creativa italiana è presente col suo progetto “Barbie Chair”, una reinterpretazione di un oggetto cult, scomposto e ricomposto per creare un altro oggetto di uso comu-

Tina B.

ne, la sedia. Il progetto ha vinto il concorso di design al Salone Internazionale del Mobile di Milano 2004 Giuliana Cunéaz vive e lavora a Milano. Nel suo lavoro utilizza tutti i mezzi artistici, dalle video-installazioni alla scultura, dalla fotografia alla pittura e dipinge anche su schermi. Neither Snow nor Meteor Showers è un’installazione creata nel 2010, che si espande nello spazio per mezzo di diversi tipi di segno: animazione 3D, pittura, stampa digitale su tela e scultura. L’artista svizzera Katja Loher, che risiede a New York, esplora il campo dove la lingua e la forma visiva si riuniscono

in un insieme di tecnologie attuali e drammatiche sculture. La video-scultura Collapsoscope simula le micro società che manifestano la battaglia contro l’aumento della produttività in un mercato in perenne espansione. Federico Paris è l’artista che idealmente congiunge Tina B. Praga e Tina B. Italia in quanto le sue opere, “Samsa” e “Achab” sono presenti nella sede Porsche Italia di Padova e nel cuore di Praga, nello storico palazzo Nosticuv Palac che ospita il Ministero della Cultura. Un artista innovativo nell’ideazione, nella ricerca dei materiali, nell’uso straordinario della luce.

Alberto D’Atanasio

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enezia è la città del mistero per eccellenza l’elemento dell’acqua che la pervade e la permea: è il simbolo del cambiamento, perché l’acqua purifica e dona vita nuova come un perenne battesimo, ciò che rende Venezia eterna e quindi vincitrice sul deterioramento inerente allo scorrere del tempo. Venezia è una maschera simbolo non solo del carnevale. La maschera della città lagunare non è grottesca; non cela ma rivela, dà figura e dona nuova identità a una qualche natura interiore di ciascuno, altrimenti sommersa. Venezia è un ponte tra la staticità e il divenire che unisce terra e acqua sia con il fuoco delle fornaci che formano vetro e forgiano il ferro dei fasciami delle navi, sia con l’aria che diviene vento che gonfia le vele e porta ogni uomo al mistero di altre terre e altri cieli da esplorare. Ma la realtà che è palese, e non ha mistero, alcuno è che questa mostra riunisce circa quaranta artisti provenienti da tutto il mondo ci sono ma-

estri acclarati dalle pagine della Storia Dell’Arte ed esordienti uniti da un unico tema e scopo: dare figura all’idea del Mistero. La mostra in questo modo è

una sorta d’itinerario, un viaggio dove ogni opera diviene tappa, sosta, finestra da cui guardare nuovi orizzonti accompagnati dal lavoro dell’artista. Si scopre così quello che ha dipinto l’arcano, chi invece ha preferito immagini recondite della memoria. C’è l’artista che ha dato figura alla simbologia mistica, chi in-

vece a quella mitologica. Troverete il mistero che si rivela nel sogno e volti che sono l’immagine stessa della rivelazione, tutti hanno dato immagine al più alto dei misteri ovvero quello che dà uno scopo e un motivo a tutto come al niente. Perché il mistero in fondo è che la vita si rinnova nella conoscenza e in quell’amore che non ha tempo né tempi, ed è con l’energia che da quest’amore s’irradia che si può dare un senso al passato e colorare il presente, si può annullare ogni male e vincere la noia del razionale e infine vivere il mistero più oscuro e antico quello della vita oltre la morte. Organizzazione: Andrea Chinellato – Cà Zanardi Direttore artistico Veneto Spettacoli di Mistero: Alberto Toso Fei Presentazione e saluto: Piergiorgio Baroldi – Art&fortE Curatore e critico: Alberto D’Atanasio Luogo: Spazio Art&fortE LAB, Palazzo Cà Zanardi, Cannaregio 4132, Venezia Periodo di apertura: dal 31ottobre al 21 novembre

La “Tempesta” di Giorgione Fascino e mistero a Padova

Ugo Perugini

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ndagare il rapporto tra Giorgione e la città di Padova significa penetrare anche nello spirito di un’epoca. Cogliere i fitti collegamenti umani e ideali tra diversi personaggi del tempo come Niccolò Copernico, che si dilettava di pittura, o Giulio Campagnola, amico intimo di Giorgione, incisore, pittore, miniatore, intagliatore di gemme, musico e poeta. Personaggi che praticavano la filosofia neoplatonica e avevano interessi alchemici ed ermetici, quasi in odore di eresia. Ma soprattutto avversavano la Signoria veneziana che aveva portato al declino di Padova, dove, a causa delle difficoltà economiche la popolazione si era quasi dimezzata. Insomma, nella sua “Tempesta” Giorgione avrebbe inserito una sorta di messaggio nascosto, riproducendo Padova con alcuni dei suoi più rappresentativi monumenti e una serie di allusioni ad argomenti padovani - dalla fondazione della città per opera di Antenore alla fine drammatica della signoria dei Carraresi - allo scopo di denunciare la prepotenza del dominio veneziano. Questa “patavinitas”

di Giorgione, che fa presumere un committente padovano dell’opera, la si può distillare attraverso un processo di analisi di significati complessi e simbolici, quasi codici segreti, celati per evitare che i soggetti che esercitavano un controllo, come la Chiesa, ne intuissero la verità nascosta. C’è qualche critico che per spiegare questo fenomeno rievoca la poesia del “dolce stil novo”, dove dietro al tema dell’“amore” si celavano contenuti e idee di una setta, alla ricerca della libertà. Vista secondo questa nuova ottica, la “Tempesta” assume tutto un altro fascino. Il paesetto potrebbe davvero essere Padova, con il simbolo del Carro su una porta dipinta (a rappresentare la casata dei Carraresi), col ponte, quasi una semplice passerella di legno, la Chiesa dei Carmini, la torre isolata in lontananza. E in questo compito ci aiuta una ricostruzione in tre dimensioni, affidata a un filmato a cui è dedicata una sala, attraverso incisioni, dipinti, mappe dell’epoca, che cerca di svelare le trame nascoste di questo avvincente “giallo” giorgionesco. Musei Civici degli Eremitani di Padova dal 16 ottobre al 16 gennaio 2011 dalle 9 alle 19, chiu-

sura il lunedì non festivo. Biglietto intero 8 euro, ri-

dotto 5 euro. In esposizione 70 opere e una sala

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multimediale. Il Catalogo è stato realizzato da Skira.


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Dinamismo vitale del colore

La tempesta pittorica di Pier Domenico Magri Giacomo Maria Prati

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agri sa imboccare la terza via fra riconoscimento e artificio, presenza plastica e ricreazione rappresentativa, tessitura di un dialogo implicito, quasi esoterico, che sostanzia l’opera quale mito, fondazione

Homini. La figurazione formante di Magri, natura naturans, può apprezzarsi quale naturale riaggregazione di un immaginario tumultuoso e gioioso, intrinsecamente allusivo e performativo nel rapporto fra percezione e assimilazione. In ogni sua opera si coglie istintivamen-

stessa accoglibilità. Ulteriore livello di consapevolezza che riveste le ricchezze visive e ideative, carica magicamente la stessa espressività, come se la materia pittorica fosse un energia tattile colta nella piena coscienza di un processo trasformativo, nella sua metamorfica reattività, anche inconscia, muscolare, alla scena della genesi artistica che l’interferisce. Da ciò deriva una risultante impositiva nella rigenerazione dell’idea di realtà quale ri-scoperta e riconoscimento. La teatralità/ scenicità si mostra spontaneamente innata, antiretorica in quanto celebrativa della vita presa di petto,

visceralmente, senza altre mediazione che la propria stessa arte. Ci e si narra come proiezione kunderiana dell’effimero esistenziale, dilatazione e dipanazione dell’improvvisazione della vita trasposta in una idealità immanente, ultrattiva. Figurazione implicita, germinativa e filosofica, dove evapora ogni riconoscibilità sociale o stilemica, sfugge ogni atteggiamento scenico per lasciare spazio alla narratività di un più libero e ampio senso di presenza raccontabile, alieno da ansie comunicative o dimostrative, tale da obliarci della preesistenza di quid preposto rintracciabile.

SOLO SCUDO immaginale. La sua opera è filosofia in movimento, speculativa per natura. La valenza di specularità permette il massimo espressivo nel senso di riduzione dell’allontanamento fra idea e opera, percorso e sua rintracciabilità, matrice e fenomeno. Lo scarto fra essenza e visione, fra sogno e relitto resta un soffio ineffabile. Si rivela compiuto in Persona

te la presenza viva e decisa di un’identità dominante che si pone quale summa dei riflessi e delle identità possibili, esaltazione riassuntiva del Mito dell’arte in se stessa. Dipingere per Magri è un’impresa rituale, una prova per l’artista e per la stessa materia, mobilitazione/nobilitazione di tutto il rapporto fra l’artista e il suo percorso. Archeti-

po di se stesso, sineddoche. Resta implicito il suo valore sacrificale. Talismano e memento mori, alterità inquietante e spettro visibile. In ogni sua opera si avverte un’istanza di riaffermazione identitaria intensificante la relazionalità, precisazione di una specifica alterità/singolarità, prometeica autoce-

lebratività che sa porsi quale nuovo linguaggio condivisibile e partecipabile. Magri sà entrare in dialettica con i propri materiali, interloquisce in diretta nell’opera con i propri rappresentati. In Magri il gesto pittorico, così vigoroso e consapevole, virilmente preciso e lucido, connota la visione e la sua

Inaugurazione sabato 13 novembre ore 16,30 Personale di Pier Domenico Magri a cura di Brasilia Pellegrinelli e Azzurra Casiraghi Pro Loco di Crema, piazza Duomo n. 22 dal 13 al 21 novembre 2010 orari di apertura: da martedì a domenica ore 10 – 12 - ore 15 - 18

Espressioni liquide Alda Berera: profondità

Ultime opere di Francesca Pettinato Carlo Catiri

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tezza della materia si fa più evidente, dove cangianti e smaltati trapassi di colore si contrappongo al profondo blu del mare. Di notevole interesse anche le composizioni “sciame” e “svegliarsi”, dove un fitto intrecciarsi di delicate e morbide

d un anno di distanza dalla mia precedente recensione del lavoro di Francesca Pettinato, con grande piacere torno a scrivere di lei sulle pagine di questo giornale, a commento delle sue ultime opere che solo da poco ho avuto il piacere di osservare. L’artista, che continua a stupirci per la sua continuità produttiva e l’originalità della sua ricerca artistica, ha imboccato, in ambito naturalistico, una strada importante che consolida i risultati delle sue passate Il lento mutare esperienze. Il tema marino continua ad essere presente e linee curve contrapposte a dominante: in “alba chia- segmenti appuntiti e spezra” si evoca il risveglio ed zettati evocano una natura il continuo rigenerarsi della rigogliosa e impenetrabile. natura nel trascorrere se- Foglie e fiori stilizzati rireno e costante del tempo. splendono in modo cristalUn bellissimo uccello ac- lino con colori saturi di luce quatico sinuoso e ricco di che inondano lo spazio. Il piume multicolori riempie soggetto principale risiede lo spazio con eleganti forme negli elementi naturali, ma ondulatorie in cui i raggi il significato vero delle comdel sole ne svelano la bellez- posizioni dell’artista va oltre za. In “Jonathan” la lucen- la loro semplice descrizione.

Si parte dalla trasparenza dell’acqua e dalla preziosità di un fiore per arrivare a significare il senso profondo della vita. Il trascorrere del tempo, il fluire delle stagioni, il movimento continuo dell’acqua di un oceano e la nascita di una vita sono forse i veri soggetti di Francesca Pettinato. Se ci si sofferma su u n’u l t i m a opera “s t i l l a” - che in qualche m o d o sintetizza tutta la più recente ricerca estetica della ceramista, si percepisce immediatamente quanto finora affermato. Una gravida goccia in rilievo tenta di uscire dalla composizione - e distaccarsi quindi dal suo ambito materiale che la delimita e la conforma - per trasformarsi in nuova vita: essenza di luce e di colore. Superare la propria condizione “liquida” per diventare metafora della complessità e mutevolezza della natura.

ed equilibrio compositivo La natura, fonte ispiratrice

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paesaggi distesi e pacati di Alda Berera, artista milanese stabilita nell’Oltrepò pavese dove attualmente risiede, si alternano a soggetti decisamente più complessie tormentati. La natura appare come un’illimitata fonte di luce e radiosità che si sprigiona attraverso una magica armonia di cromatismi. Nelle sue opere riaffiorano abili pennellate e intense dinamiche di trasparenze e di effetti di luce generate dal variare dei colori del cielo e dell’universo. La sua pittura è il susseguirsi dei vari linguaggi realistici raffrontati con l’oggettività e la mutevolezza di vibrazioni tonali che inducono lo spettatore a percepire il paesaggio della propria anima. Riportiamo una breve ma esaustiva recensione sull’artista del critico Paolo Levi: “Principali referenti del fare artistico di Alda Berera sono elementi tratti dal mondo della natura, alberi che, in un misterioso processo di metamorfosi operato dall’artista, assumono sembianze animate e proprio come esseri uma-

Uomo albero

ni danzano o si mettono in cammino sfidando i limiti del quadro, distendendo e ondeggiando i rami su sfondi che richiamano immense distese di cieli e mari. La pittrice utilizza una ricca gamma di colori brillanti che si accostano a formare coreografie caratterizzate da un profondo equilibrio compositivo. Bagliori improvvisi e sfumature sottili si al-

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ternano in un coinvolgente gioco di rimandi costruito da segni morbidi e densi. I cromatismi naturali lasciano spazio alle tonalità dell’immaginazione portando nel quadro un senso di brio unito a una misteriosa inquietudine, trasmessa dal contesto pur familiare ma indecifrabile, sospeso in un’atmosfera onirica e surreale”.


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Elisabetta Fontana: raffinatezza ed eleganza Gianluigi Guarneri

Seduzione cosmica ed essenza divina

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ensioni plastiche si fanno viaggio ideativo e sublimano in emozioni materiche definendo il percorso figurativo di Elisabetta Fontana. Un fluire cosmico di raffinata bellezza contagia lo spazio attorno, lo piega alle inconsapevolezze del tempo, evocando spazi codificati, dove l’antitesi vita – morte, amore –odio, buio – luce, gioia –sofferenza diventano i paradigmi di un nuovo divenire. Un viaggio vissuto nelle incertezze della materia, lamento lontano di elementi primordiali, raccontato e sotteso nelle vaporose luminescenze dell’interiorità. Vaghi riflessi traslano in infinite sfumature di luce, assumendo nuove tonalità che dilatano lo spazio oltre il limite immaginabile. Un limite che viene evocato dall’artista nelle sottese atmosfere dei ricordi, nelle sofferte esperienze di vita, negli eventi inattesi e sfolgoranti dell’esistenza. Esperienze che sublimano sulla tela diventando energia plastica, fluido vitale, creatività eruttiva. Nella dimensione estrema di una rarefatta sospensione compositiva, preziose “gocce di luce” si fanno anime

emergenti, mute testimoni dell’amore, ora presente, forte, inattaccabile, ora effimero, vago, lontano, evanescente. La rosea neutralità “dell’amore speculare, ” io e te”, si perde nell’irrevocabile “vertigine dei sensi”, nel tramonto di un “Eden “perduto nell’oblio. Raccontare l’amore, l’immancabile sofferenza, la solitudine, il distacco trova nell’artista la voce più autentica, che assume le sembianze di una raffinata vestale, intima custode delle “stanze dell’anima”. In questi scrigni inaccessibili, arde la fiamma della pura interiorità che dirama attorno a sé perpetue faville di luce. Tramite un moto

vorticoso, dinamico, irre- Elisabetta Fontana esprifrenabile, lacrime scintil- mono un fascino misterioso lanti evocano lontane idea- che divampa ed irrompe sul lità femminili, sottese nella substrato in modo dramsilente atmosfera di un effi- matico, al di là del limite mero istante. Una realtà so- dell’inquieta ombra dell’imspesa che contrae attorno a ponderabile. Una seduzione sé lo spazio tempo per poi, cosmica si diffonde sulla improvvisamente dilatarsi, tela, si espande come un esplodere nelle cromie di- dolcissimo profumo femrompenti, magmatiche, in- minile per divenire essenza candescenti della materia. divina, linfa vitale, vibratile Materia che diviene pro- presenza, fluttuante in un fonda ricerca di assoluto, di inedito “Apeiron” figurativo. indomita sperimentazione, di continuità ideativa. Fuggendo da una mimesi spazio-temporaI PERCORSI D’ANIMA le, le opere di Personale alla galleria

Mostre di Elisabetta Fontana

Punto Arte di Parma dal 11 ottobre al 15 novembre 2010

TRA SOGNO E REALTÀ

Il lento mutare

Personale alla galleria Immagini Spazio Arte a Cremona dal 12 al 30 dicembre 2010 L’evento fa parte di un progetto ambizioso che riunisce 25 artisti da tutta Italia per gestire uno spazio espositivo a New York nel quartiere Chelsea, interamente occupato da gallerie e caratterizzato da un’intensa attività artistica.

Luciano Fastelli La forma e il colore

Carla Ferraris

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a sempre la “forma”, intesa nel senso più profondo del termine, è ciò che dà prima origine all’opera d’arte, permettendone la fruizione pubblica; sia essa figurativa o astratta, riconoscibile o aleatoria, velata o materica, è la forma l’origine percettiva dell’opera. Ad essa si accosta il colore, fonte artistico-emozionale mai detraibile dalla composizione: che si tratti infatti di cromie variegate, monocromi o bianco/neri, il colore è costituente ed essenziale nell’opera e ne assiste la forma primaria compositiva. Secondo Kandinsky “... il rapporto inevitabile fra il colore e la forma ci conduce a osservazioni sugli effetti che la forma esercita sul colore. La forma stessa, anche quando è del tutto astratta ed è uguale a una forma geometrica, ha un suo suono interiore, è un essere spirituale dotato di proprietà che fanno tutt’uno con questa forma” (da Tutti gli scritti 2, Dello spirituale nell’arte Scritti critici e autobiografici Teatro Poesie Edizioni Feltrinelli 1974).Coniugando abilmente forma e colore Luciano Fastelli crea immaginari vivifici e ben calibrati dal punto di vista compositivo, in cui è racchiusa buona parte dell’arte antecedente. Penso, ad esempio, all’ope-

Grande Fleur 90x70

ra digitale “Oltre lo sguardo”: una presenza solitaria, accennata, guarda all’orizzonte verso l’impetuosa luce (salvezza? speranza?), rimandando l’osservatore a quell’introspezione interiore derivante dall’archetipico conflitto uomo/ natura, conscio/inconscio con cui ogni essere umano si confronta durante la propria esistenza e che fu già caro alla stagione nichilista. Accenni quasi costruttivisti sono invece riscontrabili nel suo “Grand Fleur”, carico di cromatismi intensi e decisi, in cui la “presenza”, ”l’essere” è suggerito dalle forme antropomorfe appena abbozzate, che ben si fondono nella composizione digitale. Una caratteristica interessante di queste opere è

senza dubbio la fusione di cromia e forma umana mai troppo oppressiva, sempre suggerita ma non ostentata; a questo si aggiunge la capacità dell’artista di spaziare tra differenti tematiche (naturalistiche, paesaggistiche o più psicologiche), pur rimanendo fedele a soluzioni creative da cui scaturiscono un nuovo approccio all’immagine ed il dialogo tra realtà e mondi atemporali. Luciano Fastelli parteciperà alla Rassegna d’Arte Contemporanea di Monreale (PA) presso la Civica Galleria d’Arte Moderna “Giuseppe Sciortino” Complesso Monumentale Guglielmo II dal 1 al 30 novembre 2010. Tel. 347-7044354 luciano.fastelli@fastwebnet.it

Profumo di muschio

Francesco Brandimarti “Le mappe mentali” e l’inconscio

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ato a Fermo nel 1965, lermo in via Pascoli n.3 Francesco Brandimar- con una sua opera intitolati vive e lavora a Monte San ta: “Mappa mentale con 4 Pietrangeli in provincia di porte sensoriali”. L’opera del Fermo. Pittore autodidatta, 2010, selezionata e pubbliha trovato supporto per la cata nel catalogo, entrerà a propria formazione artisti- far parte della collezione del ca nel linguaggio comuni- Museo di Arte Contempocativo che lo affascina da ranea di Monreale (PA) “G. sempre, soprattutto nell’am- Sciortino”. All’evento inbito della sperimentazione e terverranno oltre al critico della provocazione, elemen- Prof. Paolo Levi, il sindaco ti che ricorrono nella sua di Palermo e le autorità delproduzione, i cui soggetti rappresentano la sua memoria di vita. Ha al suo attivo un’esposizione a Roma e una a Londra, che gli sono valse il premio della critica internazionale per l’attività svolta nell’ultimo biennio, in cui ha dimostrato una notevole capacità interpretativa dell’attuale periodo storicosociale. L’artista è presente in importanti collezioni private ed è stato pubbliMappa mentale con 4 porte sensoriali cato in numerosi cataloghi ed enciclo- la regione Sicilia. Citiamo pedie nazionali ed estere. Il una recensione di Paolo 20 novembre alle ore 17.00 Levi sulla sua notevole atBrandimarti parteciperà tività artistica: “Le opere alla mostra collettiva alla di Francesco Brandimarti galleria: “Il tempio” a Pa- presentano un fitto ordito

di intersezioni segniche da cui affiorano stralci criptici. Tasselli rettangolari lacerano la superficie, aprendo nuovi orizzonti all’immaginazione; il dipinto cresce su fondi scuri, su cui si rincorrono miriadi di pigmenti vivaci. Nella continua sperimentazione della tecnica l’artista esprime la propria creatività, definendo la sintassi di un linguaggio personalissimo e coinvolgente. I guizzi di colore sono solo apparentemente liberi di percorrere la superficie; in realtà, essi si intersecano in un reticolo che richiama la limitazione della veduta data dalle inferiate di una cella. Le “Mappe mentali” di Brandimarti svelano un’indagine tra le pieghe dell’inconscio. Nel caos dell’esistenza le grate che impr ig ionano L’Io si lacerano, aprendo il varco da cui si può accedere a un livello di consapevolezza superiore, a una libertà prima sconosciuta”. Monte San Pietrangeli (FM) Piazza Umberto I n.12 Tel. e Fax 0734 960119


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“Al Fann” a Palazzo Reale Dieci secoli d’arte islamica La collezione: Dar al-Athar al-Islamiyya dal Kuwait in prima mondiale a Milano, dal 20 ottobre 2010 al 30 gennaio 2011

Clara Bartolini

da pag.1 davvero un privilegio poter godere della bellezza proposta dall’appassionata ricerca di una coppia che ha fatto dell’Arte Islamica la sua missione, raccogliendo una Collezione di rilevanza internazionale. E’, infatti, una storia bella e speciale quanto rara quella di Sheikh Nasser Sabah Ahmed al-Sabah e sua moglie, Sheikha Hussah Sabah Salem al-Sabah. Bisogna aggiungere che è merito della passione del curatore della mostra Giovanni Curatola, Professore di archeologia e arte Musulmana, l’aver saputo scegliere tra i tanti oggetti a disposizione, 350 pezzi dell’intera Collezione, una sintesi efficace capace di grande esaustività storica e rappresentativa anche dal punto di vista della varietà degli elementi, in grado di soddisfare le attese dello spettatore più competente e curioso. Ma ritornia-

È

mo ai protagonisti, è quasi una favola dei nostri tempi quella che ha portato lo Sceicco a iniziare, con una splendida bottiglia in vetro smaltato d’epoca Mamelucca del XIV secolo comprata quasi per caso durante un viaggio, una ricerca instancabile, sostenuto da sua moglie, appassionatasi immediatamente alla ricerca, come lui. In breve tempo rispetto all’immensità del patrimonio accumulato, sono riusciti a raccogliere circa 20.000 oggetti. Otto anni impegnativi, nei quali con passione, intelligenza, competenza e lungimiranza, hanno saputo trovare e riconoscere veri capolavori e oggetti curiosi, testimoni comunque del momento storico dal quale pervenivano. Dagli utensili alle vere opere d’arte, tutto è servito a gettare una nuova luce sulla civiltà Islamica, con manufatti la cui provenienza spazia dalla Spagna all’estremo Oriente. Uno sforzo sostenuto da un grande sogno,

regalare al loro Paese una collezione d’inestimabile rilevanza storica e artistica. Il 25 febbraio 1983, in occasione della Festa Nazionale del Kuwait, Sheikh Nasser e Sheikha Hussah, offrono al Paese, e al mondo in-

tero, l’incredibile dono del prestito permanente della Collezione chiamata poeticamente Dar al-Athar al-Islamiyya. Un’apposita sala del museo Nazionale del Kuwait viene destinata a ospitare 1200 eccezionali opere d’arte islamica in grado di fornire un panorama pressoché completo e di altissimo livello, che non sfigura certamente con altre importanti raccolte mondiali. Ma anche nelle favole prima del lieto fine accadono terribili avvenimenti. Il 2 agosto 1990 il mondo assiste sgomento all’invasione e alla devastazione del Kuwait da parte del vicino Irak. La guerra e il buio interrompono il sogno nel quale tuttavia un piccolo miracolo accade. Delle 20.000 opere, 107 scelte e partite pochi giorni prima della tragedia per una mostra itinerante dal titolo Islamic Art & Patronage, si salvano. Il miglior ambasciatore possibile per questo sfortunato paese. Questa coppia straordina-

ria, con paziente tenacia ha ricostruito la Collezione arrivando oggi all’incredibile numero di 26.000 opere. Questo ennesimo miracolo ha suggerito la possibilità di preparare una nuova mostra itinerante: “Al-fann Arte della Civiltà Islamica”. Una parte della Collezione dedicata al settore dei gioielli indiani, in viaggio da quasi dieci anni, è stata ammirata in tutto il mondo tramite la straordinaria mostra intitolata Treasury of the World. Jewelled Arts of India in the Age of the Mughals. Alcuni tra i gioielli più belli saranno esposti anche a Palazzo Reale. La mostra milanese, che propone la Multiforme civiltà Musulmana, presenta nella prima parte un percorso che va dagli inizi fino ai tre grandi imperi cinquecenteschi, Ottomani, Safavidi e Moghul. Si possono

ammirare tappeti e tessuti, raffinati metalli cesellati, ceramiche, sculture, miniature, oggetti in avorio, pagine del Corano mirabilmente dipinte, manoscritti splendidamente miniati, scatole in avorio decorate con uccelli e piante; sfarzosi tappeti decorati in lana e bellissimi tessuti; o pugnali di giada incastonati con rubini e smeraldi, il gioco degli scacchi in cristallo di rocca. Nella seconda parte vengono proposti i temi della calligrafia, la decorazione geometrica, gli arabeschi e l’arte figurativa, quest’ultima per smentire una pretesa iconoclastia musulmana. Chiude la mostra, un tripudio di preziosissimi gioielli. Il catalogo, edito da Skira, segue l’impostazione della mostra. Dopo l’anteprima milanese, l’esposizione sarà portata a Vienna, in Corea e in Canada.

Fiabe che nascono dal mare

Ugo Perugini

C

ome Venere dalle onde del mare, così nascono le fiabe degli Aborigeni australiani, dei Maori della Nuova Zelanda, e dei popoli navigatori delle isole dell’Oceania. E da questi racconti, proiettati sullo sfondo di una natura ancora incontaminata, prendono forma personaggi, visioni, sogni, immagini affascinanti, cariche di valori artistici e culturali, spesso ignoti alla

nostra civiltà. Si narra, ad esempio, di Tangaroa, dal viso tatuato, che viveva dentro una conchiglia, come riportano certe leggende tahitiane, si racconta delle famose canoe dei maori, e si descrivono gli animali più strani, dagli spaventosi serpenti, ai koala vanitosi, dagli uccelli favolosi ai canguri danzanti, fino alle vicende dei popoli contro le devastazioni dei papalagi, cioè gli stranieri, così chiamati dalle popolazioni di Samoa

e Tonga. Tutti questi personaggi e queste storie fantastiche, riproposte da Luigi Dal Cin, con un contributo

anche di Folco Quilici, il noto documentarista, sono state tradotte da una serie di abili disegnatori per l’infan-

zia in illustrazioni emozionanti, curiose, delicate, piene di umorismo e poesia, in grado di ricreare atmosfere particolari che riescono a far emergere, attraverso la rivisitazione di antichi miti, l’anima autentica di un continente e dei suoi abitanti. Ogni anno a Sarmede, piccolo paese delle Prealpi venete in provincia di Treviso, si tiene una “Mostra internazionale dell’Illustrazione per l’infanzia”. Quest’anno, per la prima volta, questa rassegna, che in passato ha girato un po’ tutto il mondo, è presentata anche a Milano e precisamente presso la Galleria del Credito Valtellinese in corso Magenta al 59. Sono previsti 40 artisti provenienti da 20 Paesi del mondo con oltre 300 tavole originali. Ospite d’onore di questa manifestazione sarà Emilio Urberuaga, autore di albi illustrati di grande successo e creatore di personaggi come Manolito e Olivia. Da ricordare che la Galleria del Credito Valtellinese ospiterà anche un nutrito calendario di attività didattiche, laboratori, iniziative che consentiran-

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no ai visitatori di scoprire i segreti di coloro che creano le immagini facendole scaturire da un testo. Echi di mari lontani. Fiabe dall’Oceania - Mostra Internazionale d’illustrazione per l’Infanzia - Dal 15 ottobre al 15 novembre presso la Galleria Credito Valtellinese di Milano, corso Magenta 59. Orari da martedì a domenica dalle 10.000 alle 18.00, chiuso il lunedì. Ingresso libero. Per informazioni tel. 0248008015 – galleria arte@creval.it


Giovanni Marinelli

Senza titolo, 2005, fotografia stampata su carta politenata ai sali d’argento, montata su pannello “leger”, h. 750 x 500 x 10 mm

Gallerie di riferimento:

Galleria d’Arte Cinquantasei – Bologna – tel. 051250885 Studio Ambre Italia – Novara – tel. 348.4112981 / 3939743869 Galleria Zamenhof - Milano - Tel. 02.83.66.08.23

Mostre

Arte Padova fiera dal 12 al 15 novembre 2010 Immagine Arte fiera - Reggio Emilia dal 26 al 29 novembre 2010 Museo di Monreale (PA) Raccolta d’Arte Contemporanea - dal 02 al 30 novembre 2010 V Biennale d’Arte di Ferrara - Chiostro di S. Anna e Salone di S. Francesco dal 16 al 25 novembre 2010 “The Ways of Art” III Edition - Berlino - Galleria Infantellina Contemporary - dal 11 dicembre al 15 gennaio 2011 Via Urbania, 1 – 61100 Pesaro – Tel.0721.24869 www.giovannimarinelli.com – photo@giovannimarinelli.com


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Arte

NOVEMBRE - DICEMBRE 2010

Il tormento dell’esistenza di Franko B Al PAC presentata l’inedita Performance

Giuliana de Antonellis

L

a sua ultima apparizione a Milano fu in occasione della mostra “Rosso vivo” nel 1999 e già allora aveva destato scalpore per il suo modo di affrontare temi anche intimi dell’uomo. Franko B, milanese di nascita, è un artista coraggioso ed eclettico, protagonista della scena live internazionale, che esprime nell’arte il tormento dell’esistenza con intensità e genialità inventiva senza eguali, rendendo nelle sue performance sopportabile l’insopportabile. Al PAC, primo spazio pubblico ita-

liano ad ospitare una personale dell’artista, presenta l’inedita performance Love in times of pain, strettamente legata con l’ultima e più recente produzione, l’omonima installazione Love in times of pain del 2009. L’opera rievoca alcuni dei temi centrali del lavoro di Franko B quali la morte, l’erotismo, il dolore e la compassione, proposti in una chiave inedita attraverso l’utilizzo esclusivo del colore nero: una dimensione monocromatica a tratti impenetrabile, elegante oblio che ricopre animali imbalsamati e tele di un denso strato di colore.

Se nella precedente produzione l’artista aveva utilizzato il bianco per coprire i tatuaggi che campeggiano su tutto il suo corpo e farne una sorta di tela, una pagina incontaminata sulla quale inscrivere i segni del proprio linguaggio, in “I STILL LOVE” l’uso dell’acrilico nero gli permette di ricreare invece la tensione tra la vita e la morte, tra luce e ombra, tra presenza e assenza. Una tensione che ritorna anche nella recente serie di dipinti in mostra dal titolo Black Painting (2007). In mostra anche una nuova serie di “cuciti”, rica-

mi inediti che raffigurano animali, corpi, volti e ragazzi che si amano, la cui fragile bellezza è delineata sulla tela bianca da un tratteggio di cotone rosso, dove il filo colorato rimanda formalmente al sangue sul corpo imbiancato dell’artista delle performance degli anni novanta. Completano l’esposizione i video e le fotografie delle performance più famose, e l’installazione Golden Age (2009), una serie di inginocchiatoi totalmente ricoperti d’oro. Catalogo bilingue 24 ORE Culturadal 9 ottobre – 10 novembre 2010 www.comune.milano.it/pac

Centro Forma C. Catiri e G. Pastore Mostra di pittura a San Donato M. Robert Doisneau

ricerca. Da questo incontro è nato un sodalizio importante che ha cementato una stima reciproca, portando i due pittori a confrontarsi nella mostra attuale che

struzioni geometriche tridimensionali a stemperati accostamenti cromatici. Le sue luminose composizioni sono sempre accompagnate ed arricchite da audaci tagli compositivi, decisamente innovativi rispetto alle opere del passato. Le cose rappresentate si caricano di energia, a volte piegandosi e frantumandosi in un continuo incresparsi di colori e di superfici nitide e taglienti, altre volte manifestandosi in dinamiche presenze solide, in un serrato gioco di compenetrazioni e di intersezioni. Anche Giuseppe Pastore esporrà le sue opere ad acrilico più recenti, in cui spesso ricorre una tematicafigurativa rivolta soprattutto allo studio della figura femminile affrontata in composizioni di viva immediatezza in cui i piani geometrici, disposti in modo essenziale evidenziano delicate stesure cromatiche articolate con abbinamenti sobri e ben calibrati. Nelle

insieme hanno progettato. Carlo Catiri presenterà le sue ultime opere ad olio ed alcuni disegni ad acquerello, in cui si potranno osservare gli esiti della sua ricerca artistica, volta ora a coniugare complesse co-

sue composizioni si respira una calma fuori dal tempo che rende l’atmosfera ferma e silenziosa quasi ovattata in cui nuvole, alberi, barche e figure sembrano costruirsi in uno spazio astrattamente bidimensionale.

Dal mestiere all’opera

Fabrizio Gilardi

È

aperta fino al 17 novembre, al Centro Forma di Milano, la mostra “Dal mestiere all’opera” dedicata al fotografo parigino Robert Doisneau, scomparso nel 1994. La prima impressione che abbiamo avuto nella nostra visita, la sera dell’inaugurazione, è stata quella di immagini che uniscono al pregio artistico, una grande valenza documentaria di epoche ormai lontane parecchi decenni. La grande maggioranza delle stampe in esposizione è dedicata alla Francia e, in particolare, a Parigi, ritratte in un arco di tempo che va dal termine della seconda guerra mondiale agli anni sessanta, fatta eccezione per un paio di immagini anteguerra

Le desert du Colorado, 19660

e altrettante degli anni settanta. Nel 1960 Doisneau ricevette dalla rivista Fortune, l’incarico di effettuare un servizio nella zona di Palm Springs, piccola città situata in una zona desertica della California e una ventina degli scatti presi da Doisneau in quella circostanza, costituiscono la seconda sezione della mostra presentata al Centro Forma. Il contrasto tra i due settori della mostra è netto, e, forse anche per nostalgia generazionale di fotografie viste in qualche solaio della nostra infanzia, ci permettiamo di esprimere una preferenza per la raffinatezza delle immagini del “dopoguerra francese in bianco e nero”. Se il valore documentaristico è intrinseco in questi scatti, la forza artistica viene fuo-

ri con prepotenza in molte fotografie. In questo senso ci hanno particolarmente colpito opere quali “Au bon coin”, dove l’emozione dataci dal surrealismo supera la forza dell’evocazione; il contrasto di luci tra i volantini e lo sfondo della strada in “Lancio di volantini” e tra la porta e l’interno dove si svolge la scena sovraccarica di umanità, in “Mademoiselle Wanda”; il campo innevato del “Prete operaio”, con il mezzo di trasporto e la figura umana decentrati in lontananza, e, nel campo, le stoppie dei cereali che, nella loro disposizione, creano uno stacco alla regolarità del resto dell’immagine, e che ci hanno ricordato una veduta di microrganismi al microscopio. Infine una nota per “Il cacciatore e i gasometri”, con una periferia che, in modo un po’ visionario, tenteremo di riassumere così: il post-industriale prima che diventasse post. Le emozioni da noi provate durante la visita, e il lascito che sentiamo di avere, ripercorrendola nello scrivere queste righe, ci fanno propendere per consigliare ai lettori di recarsi a vedere la mostra. Il Centro Forma si trova all’interno dello storico deposito dei tram, in piazza Tito Lucrezio Caro 1, zona Ticinese. La mostra è aperta tutti i giorni, lunedì escluso, dalle 10 alle 20; nei giorni di giovedì e venerdì l’apertura si protrae fino alle 22. Il costo del biglietto è di 7.50 euro, ridotti 6.50 euro, scuole 4 euro.

C. C.

N

ella giornata di martedì 30 novembre 2010 alle ore 18.00, presso lo spazio espositivo di Cascina Roma a San Donato Milanese, si inaugurerà una mostra di due pittori milanesi, Carlo Catiri e Giuseppe Pastore. La mostra rimarrà aperta sino al giorno 15 dicembre 2010 negli orari previsti dalla galleria. Nella serata di inaugurazione saranno presenti i due artisti che si intratterranno con gli invitati presentando le loro opere esposte. La presente mostra è un momento importante per i due artisti che vogliono qui significare un percorso che li ha uniti negli ultimi anni del loro lavoro. Catiri e Pastore si sono conosciuti qualche anno addietro presso il Laboratorio Civico di Incisione a Milano dove entrambi lavoravano e sperimentavano nuovi ambiti di

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Arte

Maria Cristina Carlini ponte tra Occidente e Oriente

Ugo Perugini

I

l percorso artistico della scultrice Maria Cristina Carlini ha, ormai da tempo, un respiro e una risonanza internazionale. Di origine milanese, l’artista trova inizialmente nella ceramica il medium più confacente alle proprie necessità espressive, aderendo nel corso degli anni ‘80 alla nuova corrente artistica New Ceramics. In seguito Maria Cristina Carlini si avvicina a materiali diversi, come l’acciaio corten, il ferro, il bronzo e scopre come le dimensioni monumentali siano in grado di potenziare l’efficacia espressiva delle sue opere. Le numerose mostre in sedi pubbliche e private in tutta Europa negli anni ‘90 le consentono di raccogliere consensi anche da parte della critica più accreditata. Gli anni che vanno dal 2003 al 2008 sono quelli che rappresentano la raggiunta maturità artistica della Carlini e le consentono di farsi conoscere soprattutto nel nostro Paese, raccogliendo prestigiose attestazioni. Al 2007 risale l’inaugurazione della scultura monumentale “La Porta della Giustizia”, collocata all’ingresso della Corte dei Conti di Milano, nel piazzale-giardino. Il 2008 vede anche l’inau-

Carlini, Legami II, 2009, acciaio corten e piombo - Shanghai

gurazione di due sculture monumentali: una presso la Nuova Fiera di Milano Rho e l’altra in piazza dei Valdesi a Cosenza. Nell’aprile 2009 la città di Parigi ospita le sue sculture nella Mairie del V arrondissement e nelle vie del centro storico per la mostra “Maria Cristina Carlini. Sculture nella città”, a cura di Luciano Caramel, di cui Legami viene acquisita ed esposta in permanenza. In Spagna, da maggio a luglio, diverse sculture monumentali sono ospitate nelle strade di Madrid,

in Calle Mayor, Paseo de la Castellana, Calle de Juan Bravo, Plaza Alfredo Mahou, oltre a bozzetti, gigantografie e sculture esposti presso l’Istituto Italiano di Cultura. Nel 2010 – dopo la mostra tenutasi presso il Castello Aragonese di Reggio Calabria in gennaio/ febbraio – Maria Cristina Carlini approda con successo in Cina. Il 5 marzo, in occasione del 40° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, viene inaugurata a Pechino una sua scultura monumentale dal titolo “Viandanti” che

viene collocata all’esterno, nello spazio antistante l’ambasciata italiana. La collaborazione con la Cina si sviluppa in modo molto interessante anche attraverso l’esposizione di quattro sculture nella Città Proibita di Pechino, dal 17 marzo al 10 aprile. E’ la prima volta che una scultrice contemporanea è ospitata all’interno delle mura del Palazzo dell’imperatore. L’opera “Legami II”, in acciaio corten e piombo, allude alla complessità delle relazioni umane e ben si inserisce nella solennità e magnificenza di questi spazi, come la scultura dal titolo evocativo “Fortezza”, in acciaio, nelle cui pareti vi sono profonde fenditure che consentono all’osservatore di apprezzare la scultura anche al suo interno, in un gioco di rimandi sia spaziali che temporali. Gli altri due lavori si intitolano “Letteratura” e “Out & In”. Di grande successo anche la mostra “Maria Cristina Carlini. Works in Passage”, tenutasi dal 27 maggio al 1° ottobre, a Denver, nel Colorado, presso gli spazi esterni di due campus universitari (Mountain College e Auraria Campus). Qui vengono esposte 30 opere dell’artista tra cui spiccano sette sculture mo-

numentali di cui tre inedite, la prima dedicata a Icaro, la seconda, dal titolo Granvia, e la terza Isole. Dal 15 luglio al 31 agosto tiene una personale presso la Shandong University of Art and Design di Jinan, e le viene conferita un’onorificenza per la sua attività artistica e di promozione della cultura italiana in Cina. Le sculture monumentali esposte sono “Legami II” e “Fortezza”. Anche l’opera “Letteratura”, viene posizionata all’inter-

biente che lo circonda. La scultrice ha presentato la sua opera “Danzatrici”, realizzata per questo evento, formata da tre elementi in acciaio corten. Altro avvenimento di grande importanza per l’artista lombarda è stata la possibilità di rappresentare l’arte italiana a Shanghai in concomitanza con l’Expo 2010. E, proprio al centro della città, nella Piazza del Popolo, suo cuore politico e culturale, dal 25 settembre al 31 ottobre, sono state

Carlini, Le Danzatrici, 2010, 3 elementi in acciaio corten - Pechino

no del Quartiere Italiano di Tianjin, città gemellata con la regione Lombardia. Il tour cinese della Carlini è proseguito poi dal 25 settembre al 10 ottobre a Pechino per la Biennale Internazionale d’Arte, che aveva per tema l’ecologia, come relazione tra lo stile di vita dell’uomo e l’am-

ospitate due tra le sue opere più significative: “Fortezza” e “Legami II”. Ancora una volta, queste sculture monumentali sviluppano un nuovo dialogo tra Occidente e Oriente, attraverso la poderosa forza evocativa dei messaggi che, nella loro funzione di arte pubblica, sono in grado di trasmettere.

Bobo Ivancich De La Torriente Da Venezia fin oltre l’oceano

Silvia Cipriano

B

obo Ivancich. Il marchese artista di fama internazionale, amante della poesia, della vita e del bello perché per Bobo la fonte di ogni ispirazione creativa viene dalla percezione, dalla trasformazione e dalla metabolizzazione della bellezza che ci appaga e ci stimola, bellezza che diviene quindi soggettività ed unicità. Bobo infatti dipinge solo chi gli piace, è un artista libero che ha ritratto amici, scrittori, attori, da Hemingway a Jude Law a Giuseppe Cipriani; immortalati nelle sue cornici anche il presidente Kennedy mentre regge un bellini, il barman Claudio del Harry’s bar a Venezia mentre prepara un cocktail e Harvey Weinstein nel suo studio di Hollywood. Veneziano, appartenente ad una nobile famiglia italiana e cubana, ha da sempre vissuto nell’arte. La sua famiglia era molto legata a Ernest Hemingway ed Ezra

Bobo Ivancich con Paris Hilton

Pound ad esempio. Inizia a dipingere in tenera età ed è a soli 18 anni che le sue opere vengono comprate dalla grande collezionista Evelyn Lambert, amica di Peggy Guggenheim nonchè membro della celebre Fondazione. Più tardi le sue opere saranno vendute ad influenti collezionisti e famiglie

come Getty, Rosekrans, Cipriani, Versace e battute all’asta da Sotheby’s e Christie’s. Bobo deve il suo successo anche alle amicizie che ha saputo mantenere, creare, ereditare. Un considerevole esempio di influenza creativa nella vita dell’artista è data dalla sua amicizia con il grande maestro Gino De

Dominicis di cui è stato protetto ed erede spirituale. Bobo Ivancich non dipinge solo ritratti ma è un artista eclettico che spazia dall’arte concettuale all’astrattismo, all’iperrealismo e anche all’arte digitale. Opere di tal genere, dedicate a New York, sono state esibite recentemente all’evento milanese del jet set internazionale presso il Palazzo Recalcati che ha visto protagonista anche la scrittrice Carmela Cipriani. Bobo Ivanchich si divide tra New York e Venezia. Dopo aver esposto in mostre e fiere da Londra a Pechino esibisce anche Miami, presenzia al Miami Art Basel, all’Avant Gallery e al Rockfeller Center di New York. Il suo legame con l’Italia è comunque imprescindibile e il suo filo rosso che lo unisce all’”America” ancor più. Difatti la sua “consacrazione americana” è avvenuta a Marzo di quest’anno con la sua personale in una delle più importanti gal-

Bobo Ivancich con Quentin Tarantino sulla barca dell’artista

lerie italiane, Pio Monti di Roma, nella quale sono passati i più grandi artisti del 900’, da Damien Hirst a Kounellis, da Gino De Dominicis a Tano Festa; la mostra romana è stata curata da Alan Jones, noto critico e autore del libro “Leo Castelli, l’italiano che inventò l’arte in “America”. Sempre circondato da personaggi di grande notorietà internazionale che apprezzano la sua arte e con i quali si impegna anche nella

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beneficenza, perché come ogni vero artista non dimentica di dare anche uno sguardo profondo e benevolo al mondo, da cui prende forza ed energia creativa e, a cui la restituisce donando. Dalla nostra inviata a NY


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Arte

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Gradimir Smudja: l’arte nel fumetto Per dipingere i grandi maestri ci vuole un grande pennello

Massimo Zanicchi

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radimir Smudja ha elevato il fumetto ad arte raccontando le gesta di Van Gogh e Lautrec attraverso irriverenti tavole d’innegabile impatto. Il confine tra ciò che può essere considerato arte e quanto non merita di essere definito tale è materia assai densa di dubbi e di scetticismo. L’ambiguità s’infittisce ul-

teriormente se il discorso si allarga al mondo dei fumetti. Può il fumetto essere elevato ad arte? La risposta positiva a questo quesito la offre, senza alcun margine di dubbio, l’opera di Gradimir Smudja. Serbo di nascita, giramondo trapiantato in quel di Lucca, Smudja, con il suo solido curriculum che annovera esperienze quale fine caricaturista e pittore acclamato, rappresenta un esempio unico. Con il suo pennello straordinario e la sua penna irriverente, si è “macchiato della colpa” di aver giocato con i grandi maestri dell’arte. Il risultato di questo gradevole misfatto è racchiuso nei numerosi e deliziosi albi i cui protagonisti sono Vincent Van Gogh, Toulouse Lautrec e tutto l’apparato bohemien della Parigi di fine Ottocento. Il suo esordio nel mondo dei fumetti risale al 2003 quando l’editore parigino Guy Delcourt, ricevendolo di persona, se lo vide arrivare con un’ingombrante e pesante valigia metallica. All’interno erano conservate le tavole dipinte su legno (una vera rarità per il genere) che raccontavano una singolare biografia di Vincent Van Gogh prendendone in pre-

Una novità Ok Arte, lo spazio “Sell Art” Clara Bartolini

I

l nuovo spazio vuole essere una vetrina per rendere più visibili gli artisti che entreranno a far parte del gruppo scelto da Ok Arte. Gli artisti verranno selezionati da una commissione appositamente preposta a questo compito e coloro che entreranno a far parte di Sell Art potranno fruire di molte interessanti occasioni. La possibilità di essere visti da un pubblico sempre più vasto che legge il giornale on line; tra questi i molti collezionisti in contatto con Ok Arte e i responsabili di Musei con i quali il giornale mantiene un rapporto costante; la segnalazione delle mostre che gli artisti vorranno veder inserite nell’elenco giornaliero posto in prima pagina, uno sconto speciale in caso si desideri avere un articolo sul giornale, la possibilità di poter partecipare a collettive o personali organizzate espressamen-

te dal giornale in gallerie o luoghi di interesse particolare. L’elenco dei nomi degli artisti sarà segnalato immediatamente all’apertura dello spazio, cliccando sul nome si potranno vedere opere e testi inseriti. Un piccolo drappello di artisti apre la strada a quelli che verranno man mano ad aggiungersi, Nicola Brindicci per la fotografia, Giancarlo Nucci per la pittura, ed io con opere polimateriche e collage digitali. Sell Art

non intende sostituirsi ad una Galleria d’arte, piuttosto essere un mezzo più sfaccettato e dinamico, in grado di intercettare opportunità che si presentino nel mondo ormai vastissimo di Internet. Il suo interesse: avere sempre il polso dello stato dell’Arte a livel-

lo nazionale e internazionale per trarre per se e per i suoi iscritti le informazioni, i vantaggi e le opportunità che ne possono derivare. Chi volesse aderire potrà inviare la richiesta a info@okarte.org scrivendo “Desidero entrare nello spazio degli artisti di “SELL ART”. Gli sarà inviato via mail un modulo da compilare, per ottenere un servizio in abbonamento della durata di un anno, sul modulo tutti i dettagli dell’accordo ed il costo di partecipazione. Nel sito vi potranno essere dodici opere per ogni artista, la biografia, il curriculum, le recensioni, le tecniche e quant’altro l’artista ritenga necessario. Siamo certi di farvi cosa gradita offrendo questa nuova opportunità, sostenuti dal successo e dall’incremento continuo di visitatori nel sito. E sempre di più saranno anche grazie a questa iniziativa. www.okarte.org

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stito, con ottimi risultati, lo stile pittorico. L’editore non si lasciò sfuggire l’occasione: Vincent e Van Gogh è stato uno strepitoso successo pubblicato in 17 paesi nel mondo tra cui figura anche l’Italia (a cura della Grifo edizioni). Negli anni successivi la fantasia e la tavolozza di Smudja non si sono fermati a dormire sugli allori, facendo germogliare i quattro volumi della serie Il bordello delle muse dedicati a Toulouse Lautrec (al momento la Grifo edizioni ha tradotto in italiano solo i primi due episodi). Ogni singola sequenza delle tavole di Smudja – cucita assieme alle altre da trame infarcite di trovate originali e un impareggiabile humour –, per stile, ricchezza

di particolari, incisività e brillantezza dei colori, rappresenta un piccolo capolavoro. Ma la forza delle sue opere è anche la capacità divulgativa che racchiudono. Senza alcuna pretesa di voler competere con i manuali di storia dell’arte, spalancano una porta sul

mondo della pittura e dei suoi protagonisti anche a quanti probabilmente non metterebbero mai piede in un museo. In un mitico spot televisivo degli anni Ottanta, tirato fuori dal cassetto a più riprese nei decenni successivi, un imbianchino si aggirava per il centro di una città in sella a una bicicletta con un grosso pennello sulle spalle. Al vigile che lo fermava – con indosso la divisa da bobby londinese resa improbabile dall’accento da ghisa milanese – spiegava che per «dipingere una grande parete ci vuole un pennello grande». L’agente lo redarguiva sostenendo che non occorreva un «pennello grande», ma «un grande pennello». Grande come quello guidato sapientemente da Gradimir Smudja per ritrarre i suoi colleghi: i grandi maestri dell’arte.

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GAMeC Bergamo A

Il Museo Privato

vent’anni dall’apertura della GAMeC, dedicare una mostra al collezionismo d’arte contemporanea della città di Bergamo e del suo territorio significa esplorarne le ‘potenzialità nascoste’ e scoprirne l’inaspettata ricchezza. Nel 1991, anno di apertura della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, l’amministrazione comunale di allora scelse, su indicazione della direzione dell’Accademia Carrara e del suo Consiglio, di dare conto del ricco impegno e dell’interesse della città per l’arte moderna e contemporanea, inaugurando la Galleria con la presentazione della mostra Collezione privata, Bergamo. Arte italiana del XX secolo, dedicata alle più importanti collezioni bergamasche che annoveravano opere d’arte dei primi settant’anni del Novecento. A seguito della mostra, alcuni cittadini di Bergamo – tra loro Gianfranco Spajani e Gianfranco e Marta Stucchi – maturarono la volontà di donare il me-

glio delle loro collezioni al Comune di Bergamo e all’Accademia Carrara per la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, nel solco della grande tradizione di mecenatismo che caratterizza in modo unico la città di Bergamo, sin dalle origini dell’Accademia Carrara fondata da Giacomo Carrara nel 1796. Tratto distintivo della mostra ‘IL MUSEO PRIVATO. La passione per l’arte contemporanea nelle collezioni bergamasche 06.10.10 - 09.01.11’ è quello di presentare quanto e in che modo il quadro culturale della città si sia aggiornato dal 1991, anno di apertura della GAMeC, attraverso una

selezione delle opere d’arte contemporanea che i collezionisti bergamaschi hanno acquisito nel corso della loro esperienza. Le collezioni di arte contemporanea del territorio bergamasco riuniscono un numero notevolissimo di opere di grande qualità, in moltissimi casi veri e propri ‘pezzi’ da museo che non sono mai stati esposti in pubblico, e questa mostra offre un’occasione unica per ammirare un patrimonio di circa 200 opere per la maggior parte inaccessibili. Dal 6 ottobre al 9 gennaio 2011. A cura di Giacinto Di Pietrantonio e M. Cristina Rodeschini

Igor e Svetlana Kopystiansky

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a GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, in collaborazione con il Musée national d’art moderne - Centre Georges Pompidou di Parigi, è lieta di presentare una selezione di opere video di Igor e Svetlana Kopystiansky. Igor e Svetlana Kopystiansky sono una coppia di artisti concettuali che, dal 1988, vive e lavora a New York, realizzando opere sia individualmente che in collaborazione. Concentrandosi soprattutto su mezzi come la fotografia, il video e la diaproiezione, Igor e Svetlana Kopystiansky hanno sviluppato negli anni un

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corpus di lavori che unisce poesia del quotidiano e rigore concettuale. La loro indagine sulla natura dei linguaggi e dei media che si basano sulla registrazione dello scorrere del tempo – come, appunto, il video, il cinema e la fotografia – oltrepassa i limiti di una ricerca puramente formale e riesce a toccare temi come la memoria, la fragilità dell’esistenza umana e l’inconscio. Per la prima volta in Italia sarà possibile ammirare una selezione di opere video dei due autori, legate tra loro dal tema dell’im-

magine cinematografica e raccolte in un programma concepito appositamente per l’occasione. Le opere in mostra sono il frutto di un metodo di lavoro che riesce a coniugare una profonda conoscenza teorica – nel caso specifico della storia del cinema – con una spiccata attitudine poetica. Immagini e sequenze tratte da capolavori di Alfred Hitchcock, Michelangelo Antonioni, Ingmar Bergman e JeanLuc Godard sono estrapolate e modificate, con lievi accorgimenti tecnici, con il risultato di svelarne una dimensione nascosta. Come in tutto il loro lavoro, ciò che a un primo sguardo appare già conosciuto e familiare è visto sotto una luce nuova e inattesa. Dal 6 ottobre 2010 al 9 gennaio 2011 Intero: € 6,00, ridotto: € 4,00. Il biglietto consente di visitare tutte le mostre in corso Orari d’apertura: martedì – domenica: ore 10 – 19. Giovedì: ore 10 – 22.

Gallery House di Arconate Collezione Permanente di Tina Parotti

F. B.

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a nostra rivista ha seguito con interesse il percorso creativo di Tina Parotti sin da quando, pochi anni fa, gestiva una galleria nel cuore di Brera. Il ritrovo ideale sia per gli artisti che per gli appassionati d’arte che desideravano un confronto in un clima discreto e accogliente. Nel 2006 l’eclettica Tina ha aperto la sua bellissima casa-galleria ad Arconate a pochi chilometri da Milano; un ambiente ricercato ed elegante che ospita la sua vasta e ricca produzione. Tina è anche una formidabile artista e, grazie alla sua originalità e fervida produttività, vanta un’immensa produzione grafica che spazia dai disegni ai biglietti d’arte personalizzati su carta pregiata, ai gioielli in argento e oro all’oggettistica in legno. Il suo fermento creativo non conosce limiti e abbraccia anche la scrittura, sfociando nella composizione di versi poetici. Magnifici i disegni su stoffa e su biglietti molto richiesti soprattutto dai giovani. Lo “showroom” inoltre,

ospita opere di selezionati artisti sia affermati che giovani emergenti più talentuosi che si distinguono per la ricerca continua di nuovi linguaggi espressivi. Parotti, socia del Museo della Permanente di Milano, predilige organizzare mostre in collaborazione di Enti pubblici e privati. Ha esposto in prestigiose rassegne nazionali

e internazionali e le sue creazioni sono ambite sia dai collezionisti che dai Musei. Invitiamo i lettori a visitare lo spazio anche nel periodo natalizio dove non mancheranno simpatiche occasioni e spunti per regali originali senza spendere una fortuna. www.tinaparottti.com Arconate, via per Buscate 25 tel. 338-2105247

Latifa Echakhch Le Rappel des Oiseaux

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a GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta la prima personale in un’istituzione italiana dell’artista Latifa Echakhch. La mostra ‘Le rappel des oiseaux’ è parte del programma espositivo Eldorado, che la GAMeC dedica agli artisti emergenti più interessanti sulla scena internazionale, invitati a concepire un progetto inedito per gli

spazi del museo. Attraverso un’estrema varietà di mezzi espressivi che spaziano dall’installazione al video, dalla pittura alla fotografia, Latifa Echakhch esplora le dimensioni dell’identità individuale e collettiva, il concetto di cultura e i sentimenti di appartenenza e sradicamento. Le sue opere sono realizzate a partire da oggetti comuni, che l’artista presenta come tali o dopo averli mo-

Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo

Via San Tomaso, 53 - 24121 Bergamo Tel +39 035 270272 - Fax +39 035 236962 - www.gamec.it

www.OKARTE.net - www.OKARTE.org

News d’arte dall’Italia - News d’arte dal mondo Ogni giorno più di 100 nuove notizie e migliaia di visitatori Chiedi come esporre tutte le tue opere info@okarte.org – tel. 3474300482

dificati attraverso azioni semplici. Tutto il lavoro di quest’artista riconduce alla dimensione della soggettività e dell’esperienza individuale i grandi temi del mondo contemporaneo: la violenza dei fondamentalismi nazionalisti e religiosi, le ricadute nel presente del passato colonialista, le implicazioni nella quotidianità dell’ideologia modernista. La mostra curata di Alessandro Rabottini, sarà documentata da un catalogo monografico edito da JRP.


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Il sogno di Dalì A Palazzo Reale una sua personale

Silvia Colombo

da pag.1 utti conoscono Salvador Dalì, e la mostra milanese, a Palazzo Reale, costituisce un’occasione per approfondire ciò che l’artista ha creato nel corso della sua lunga vita (1911-1984). Dalì è un eccentrico. Consapevole di essere dotato di un talento innato (inizia a disegnare a 14 anni), negli anni venti viene espulso per due volte dall’Accademia di Belle Arti di Madrid perché non vuole essere giudicato da docenti che non ritiene alla sua altezza. Nel 1939, dopo averne fatto parte per un lungo pe-

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riodo, viene cacciato dal gruppo surrealista – tra gli altri motivi – per le sue simpatie hitleriane; e ancora, quando si trasferisce in America e aderisce al franchismo, infrange una vetrina ove sono esposte delle sue opere perché non è soddisfatto dell’allestimento. Dalì è una figura ambigua: dandy dai baffi lunghissimi, è innamorato della sua Gala, ritratta in innumerevoli opere e compagna di una vita, aderisce alla politica più per scherzo che per convinzione e accumula nella sua casa una quantità incredibile di oggetti kitsch (oggi esposti presso la Fondazione GalaSalvador Dalì di Figueras,

Destino, 1946

L’

aperta al pubblico nel 1983), sulla scia delle antiche raccolte di ‘mirabilia’ custodite nelle wunderkammern rinascimentali. E il catalogo di episodi biografici, accaduti o alterati – le ‘false memorie’, così come le definisce lo stesso Dalì –, si potrebbe prolungare ben oltre, sebbene l’eredità dell’artista catalano non si limiti a ciò. Mentre le prime prove artistiche di Dalì, eseguite quando è appena adolescente, risentono di un tocco impressionista, già durante gli anni dell’Accademia madrilena, grazie al suo costante aggiornamento, alla grande ammirazione per Picasso e per le ultime tendenze stilistiche europee, le tele prendono un’altra direzione, quella cubista e metafisica. Il 1929 coincide con la svolta definitiva, giacché Dalì incontra Gala, ancora sposata con il poeta Paul Éluard, ed entra a far parte del gruppo Surrealista francese. Ed è a Parigi, a contatto con un clima culturale rinnovato e con le teorie di Freud, che l’artista mette a punto il suo metodo pittorico ‘paranoico-critico’: uno stile lucido e lenticolare (intatto anche in seguito alla scissione con il gruppo di Breton) in stridente dialogo con rappre-

La mano di Dalì, 1977

sentazioni sur/reali, che a loro volta divengono veicolo di sogni, desideri e pulsioni da parte di chi le osserva. E “il fatto che neppure io, mentre dipingo, capisca il significato dei miei quadri, non vuol dire ch’essi non ne abbiano alcuno”, ricorda lo stesso Dalì. Protagonista dell’esposizione a Palazzo Reale, “Dalì. Il sogno si avvicina”, è l’opera di quest’artista complesso, talentuoso e instancabile,

filtrata attraverso un tema particolare, il paesaggio. Una successione di sette stanze che sviluppa un visà-vis dell’artista con le opere del passato e del presente, con la propria interiorità e i desideri – in quest’occasione è stato riproposto per la prima volta l’allestimento della Stanza di Mae West –, e con un’evoluzione stilistica inevitabile, che lascia spazio a rappresentazioni paesaggistiche desolanti.

L’epilogo, un nucleo di opere – dai tratti e dagli stili differenti – nato dal rapporto tra Dalì e Walt Disney, ha infine il dono della sintesi. “Salvador Dalì. Il sogno si avvicina”, mostra a cura di Vincenzo Trione, Milano, Palazzo Reale, 22 settembre 2010 – 30 gennaio 2011. Orari: lunedì dalle 14,30 alle 19,30; da martedì a domenica 9,30-19,30; giovedì orario prolungato fino alle 22,30.

Stagione Filarmonica 2010/2011

Associazione Orchestra Filarmonica della Scala riunisce musicisti del Teatro alla Scala che realizzano un’autonoma stagione di concerti e della Stagione Sinfonica del Teatro secondo accordi sanciti da una convenzione con il Teatro alla Scala. Fondata da Claudio Abbado, la Filarmonica debutta sotto la sua direzione il 25 gennaio 1982. Nelle prime stagioni affiancano Abbado alcuni dei direttori che hanno accompagnato l’Orchestra in tutto il suo cammino: Carlo Maria Giulini, Georges Prêtre, Lorin Maazel e Wolfgang Sawallisch. Riccardo Muti assume il ruolo di Direttore Principale dal 1987 al 2005, offrendo un decisivo contributo alla crescita artistica dell’orchestra. Dal 2006 la Filarmonica intensifica la collaborazione con Myung-Whun Chung, Daniele Gatti e Riccardo Chailly e, nel novembre 2008, Daniel Barenboim dirige per la seconda volta il concerto inaugurale della stagione. Oltre ai concerti al Teatro alla Scala, la Filarmonica realizza numerose tournée, che hanno complessivamente superato, dalla data della fondazione, gli 800 concerti fuori sede. Le prime tournée internazionali sono guidate da Carlo Maria Giulini. Con Riccardo Muti la

Filarmonica suona ai Festival di Salisburgo e di Lucerna e in tutte le capitali d’Europa e d’Asia. Tra gli impegni all’estero del 2007 ricordiamo il debutto negli Stati Uniti con Riccardo Chailly, mentre nel settembre 2008 Myung-Whun Chung ha diretto una lun-

nella diffusione della musica presso le nuove generazioni ed apre alle scuole le prove di tutti i concerti della stagione. È al fianco delle principali istituzioni scientifiche e associazioni di volontariato della città di Milano, per le quali realizza prove aperte e concer-

Teatro Alla Scala Concerto Inaugurazione Stagione Filarmonica 2010/2011 8 Novembre 2010, ore 20.00 Direttore: Valery Gergiev Leonidas Kavakos, violino Musiche: Ljadov, Čajkovskij Programma: Anatolij Konstantinovič Ljadov, Volshebnoye Ozero (Il lago incantato) op.62, poema sinfonico Pëtr Il’ič Čajkovskij, Concerto in re maggiore per violino e orchestra op.35 Pëtr Il’ič Čajkovskij, Sinfonia n° 4 in fa minore op.36

www.filarmonica.it ga tournée in Asia che ha segnato il debutto dell’orchestra in Cina. Nel corso della stagione 2008/2009 la Filarmonica è tornata al Musikverein di Vienna con Daniele Gatti, ha debuttato alla Philharmonie di Berlino con Daniel Barenboim ed ha realizzato tournée europee con Barenboim e Chung. La Filarmonica è impegnata

ti appositamente dedicati. Importanti direttori hanno dato un rilevante apporto all’attività dell’orchestra, tra questi ricordiamo: Leonard Bernstein, Frans Brüggen, Semyon Bychkov, James Conlon, Peter Eötvös, Valery Gergiev, Daniel Harding, John Eliot Gardiner, Zubin Mehta, Seiji Ozawa, Gennadij Rozdestvenskij, Giuseppe

Sinopoli, Yuri Temirkanov, Franz Welser-Möst. L’orchestra ospita inoltre i più promettenti direttori della nuova generazione: Gustavo Dudamel, Philippe Jordan e Robin Ticciati. Tra i solisti che si sono esibiti con la Filarmonica ricordiamo i pianisti Maurizio Pollini, Radu Lupu, Murray Perahia, Lang Lang, Arcadi Volodos, Leif Ove Andnes e Piotr Anderszewski, i violinisti Gidon Kremer, Gil Shaham, Vadim Repin, Leonidas Kavakos, Maxim Vengerov, Salvatore Accardo e Anne-Sophie Mutter, i violoncellisti Mstislav Rostropovi, Misha Maisky, Yo Yo Ma, Mario Brunello e il violista Yuri Bashmet. La Filarmonica promuove la musica contemporanea ed ha commissionato nuove composizioni a Giorgio Battistelli, Azio Corghi, Luis de Pablo, Pascal Dusapin,

Peter Eötvös, Ivan Fedele, Luca Francesconi, Salvatore Sciarrino, Giovanni Sollima e Fabio Vacchi. La Filarmonica ha realizzato una consistente produzione discografica per Sony, Decca, Emi. Di particolare rilievo sono le Sinfonie di Beethoven dirette da Carlo Maria Giulini, le Cantate di Rossini con Riccardo Chailly e l’integrale sinfo-

nica beethoveniana diretta da Riccardo Muti. I concerti della Stagione della Filarmonica vengono regolarmente trasmessi in differita televisiva nazionale da Rai3 e da La7, e in diretta radiofonica da Rai Radio3. L’attività della Filarmonica è sostenuta da UniCredit Group, Major Partner istituzionale dell’Orchestra.


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Confronti d’arte Dentro il circolo Una mostra per abbattere i confini LA RUBRICA DI “CARO”

i siete mai chiesti quale sia il profumo dell’arte? Mentre l’odore si identifica con quello della tela o degli spazi che ospitano una mostra: l’odore dolce del legno o delle cere per pavimenti o addirittura di quella essenza che brucia nel diffusore, il profumo dell’arte è invece un’altra cosa. Non si sente con il naso, ma con l’anima! E’ l’emozione di un dipinto, di un

no fertile presso l’Assessore alla cultura del Comune di Lodi Vecchio nel suo progetto di museo permanente all’ ex Conventino. Il luogo ha dato un importante contributo a questa diversità: nello spazio aperto degli scavi fanno bella mostra di sé le opere scultoree, mentre all’interno, in un ambiente architettonico più tradizionale, sono esposti i quadri. Quindi nell’area archeologica si trovano le “installazioni”. Sono for-

tecniche di lavorazione, anche se non mancano spunti originali e innovativi. Alcune tele, dolcissime, richiamano l’impressionismo di certi paesaggi dai colori tenui, altri più marcati, a volte inquietanti nelle espressioni di volti stupiti o di immagini vagamente astratte. Tutta la mostra, nel complesso coinvolgente, ha sottolineato un contrasto appassionante e di largo respiro fra le due parti

paesaggio o di un viso, è la palpitante attesa del sorriso di approvazione di un visitatore, è lo sguardo compiaciuto di un critico, è la soddisfazione stessa dell’artista gratificato per la sua realizzazione. Tutta questa atmosfera è quella assaporata alla mostra “Confronti d’arte” tenutasi all’ex Conventino di Lodi Vecchio, un antico luogo di cui si è già avuto modo di raccontare, anche in questa circostanza gli scavi archeologici hanno fatto da sfondo ad una serie di “installazioni” dal titolo “Il Confine”. L’idea originale della mostra nasce dall’incontro-confronto di due associazioni di artisti che vivono l’arte attraverso interpretazioni diverse, una più tradizionale e l’altra più informale. Lo spunto ha trovato terre-

me artistiche relativamente giovani create con materiali rielaborati anche di uso quotidiano e sono pensate con lo scopo di integrarsi nello spazio in modo diverso, eliminando una immaginaria linea di confine. Ed è proprio il superamento di questo confine che crea le motivazioni ed il desiderio di abbatterlo, poiché “il confine stesso impedisce di osservare con sguardo limpido ciò che non si conosce”. Questo è lo spirito con cui l’Associazione Arte tra la Gente ha partecipato all’originale confronto della mostra. All’interno la galleria dei dipinti del Centro artistico Culturale Milanese, già insignito dell’Ambrogino d’oro, ha sicuramente un taglio più tradizionale in termini di soggetti e

di espositori, creando in tal modo un profumo carico di emozione, in grado di soddisfare i gusti più diversi nell’apprezzamento e nell’interpretazione di un’opera d’arte.

Ivana Metadow

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La direzione artistica seleziona artisti italiani e stranieri per la settima edizione del Salone Internazionale d’Arte Contemporanea del Carrousel du Louvre di Parigi e per il XIII Grand Prix International di Cannes. Gli artisti possono sottoporre la propria candidatura inviando immagini delle proprie opere e curriculum via email o su supporto magnetico per posta all’indirizzo del critico e storico dell’arte Sabrina Falzone c/o Galleria Il Borgo, corso San Gottardo 14 20136 Milano Il regolamento ed i moduli di iscrizione possono essere scaricati online dal sito:

http://www.sabrinafalzone.info/selezioni-in-corso.php info@sabrinafalzone.info

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www.sabrinafalzone.info

uesta estate il circolo Q dell’arte CARO, grazie al contributo dell’associa-

zione “i navigli lombardi”, ha portato alcuni artisti con le loro opere lungo parte delle sponde del naviglio grande. Alcuni hanno anche dipinto suscitando ulteriore richiamo e interesse; dipingere dal vero è sicuramente fonte di ricchezza, di gioia e di ulteriore arricchimento spirituale. Pensiamo a quello che diceva lo scrittore inglese Samuel Butler: “disegnare dal vero è come mettere un pizzico di sale sulla coda della natura” bellissimo... E’ stata sicuramente un’esperienza positiva perché ha dato a tutti gli aderenti alla rassegna un’ulteriore vetrina di esposizione...anche se un pò faticosa... ma, e comunque, è stato bello poter presentare le proprie opere ad un pubblico assai variegato e composito. Arte quindi a passeggio con il sole, la luna, le stelle e con mille e mille occhi intorno, ma soprattutto arte intrisa d’amore verso il proprio sentire e verso il proprio cuore, arte foriera di magici momenti di emozioni... Ascoltiamo ora i versi del poeta Fabio Amato che spesso ha visitato tale evento, da FALENE: Arte; “Creare, plasmare materia distillare tristezza, evocare sorrisi trasudando emozioni” e quelli della poetessa Maria Elena Mejani anche lei spesso alla rassegna CERCO COLORI

NEL GIARDINO DELLA VITA: “Colori sospesi nell’aria, colori spezzano il grigio del cielo, colori entrano negli occhi, penetrano nelle membra, riscaldano un cuore smarrito...” E poi? Poi grazie a tut-

Gentilini, Kadhum, Malù, Giulio Picelli, Georges Tadros, Walter Venanzio e Costanza Zappa. Un grazie particolare al grande fotografo Rocco Di Ciommo che ci ha fotografato tra il serio e il faceto in tut-

ti i partecipanti e soprattutto ai più assidui come Tina Ambrosca, Pierangelo Bernini, Caro, Bruno De Santi, Laura D’Orlando, Fabrizio Gilardi, Miro

ti i modi e in tutte le salse. Possiamo dirlo, perché no! Tutti uniti per l’arte, e allora? Allora siamo...figli di Dostoevskij: “Quale bellezza salverà il mondo?”

La scultura contemporanea Molteplici visioni della realtà

Ugo Perugini

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lla Fondazione Pomodoro dal 20 ottobre al 30 gennaio 2011 si svolge la mostra “La scultura italiana del XXI secolo” che propone 80 artisti, nati nella seconda metà del secolo scorso, tra i quali Cattelan, Dessì, fino ai più giovani Sissi, Demetz, ecc. L’occasione è anche quella di capire come sta cambiando la scultura, che sembra stia sempre più entrando nel campo del transitorio. Lo dice anche in modo esplicito il curatore dell’esposizione Meneguzzo: “Il senso tradizionale della scultura ha nel suo statuto un’idea di durata che confligge con la cultura del ricambio continuo, dell’obsolescenza programmata, del transitorio e dell’effimero”. Nella scultura contem-

poranea, continua ancora Meneguzzo, “abbandonata l’originarietà della materia, quando la scelta cade su di un qualsiasi materiale, l’attenzione si sposta su qualcosa che sembra meno essenziale, meno fondante e più quotidiano, più personale”. Questo processo, “porta con sé, a cascata, una serie di effetti che allontanano dal concetto tradizionale di scultura come “formare”, e lo sostituiscono con “costruire”, “riprodurre” o anche, forse di più, con “assemblare”. Gli stimoli che le opere esposte trasmettono ai visitatori sono tuttavia particolarmente efficaci. Osservando i vari linguaggi degli artisti si ha l’impressione che la scultura, con il suo gusto talvolta eccentrico di ibridazione, sappia mettersi al nostro livello, a parlarci un

linguaggio meno ieratico ma più concreto, quotidiano e immediato. Biglietti 8

euro intero; 5 euro ridotto, ingresso gratuito ogni seconda domenica del mese.


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Pynchon & Lynch Storie dell’altro mondo

Luca Impellizzeri

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l primo è uno scrittore che non si fa vedere mai in giro; il secondo, invece, in giro si fa vedere e come, ma lui gira film e sponsorizza a gran voce la meditazione trascendentale. Il primo scrive romanzi pachidermici (l’edizione italiana BUR del suo “Contro il Giorno” consta 1127 pagine) dando gran sfoggio di colta stilistica ed enigmaticità inafferrabile (secondo i suoi detrattori anche in maniera irritante; il secondo realizza anch’egli roba parecchio enigmatica, ma pensa che sia solo figlia di idee ben sviluppate e messe in fila, e quando dice tutto ciò magari sta trangugiando junk food come un americano medio qualsiasi. Il primo è Thomas Pynchon, ultimo fantasma superstite della letteratura americana (l’altro, l’immenso J. D. Salinger, ci ha lasciati il 27 gennaio di quest’anno).

Il secondo è David Lynch, probabilmente l’unico dei cineasti in circolazione a trovare una gran riscontro di pubblico attraverso il cinema sperimentale. Di entrambi colpisce la loro maniera di narrare (ed è pure un narrare di maniera) le loro cospirazioni oscure che tribolano sotto la coltre del visibile così com’è conosciuto dai nostri occhi, come se il lettore/osservatore fosse conscio della manipolazione che subisce e la subisca, felice ed affascinato. Ma il cospirare messo in piedi dai due non ha alcun cospiratore, o quanto meno non ci è dato di saperlo. Esempio lampante l’opera prima pynchoniana V., dove Herbert Stencil cerca qualcosa senza sapere precisamente di cosa si tratti, privando il lettore tanto quanto il protagonista di qualsiasi possibile soluzione (per questo lo scritto è spesso accostato al celeberrimo “Pasticciaccio” del no-

stro Gadda, che si conclude con un omicidio senza omicida). Per non parlare neanche delle trame intessute dal regista nativo dello stato del Montana (con tutto il suo scialbore idilliaco che ha spinto Lynch a cercare le monadi nascoste dietro ogni cosa) pellicole che paiono tele di Penelope, dove la cosa non detta (o meglio rappresentata) sembra la più eloquente, proprio laddove i punti bui della sua tecnica narrativa a texture non gratificano un comune e tradizionale sviluppo della costruzione di senso; vengono in mente l’acclamato “Mulholland Drive” e il suo successore “Inland Empire” (secondo Gianni Canova “un film che ti guarda”). Insomma Pynchon & Lynch si interrogano sulla modernità (della società come delle sue forme artistiche), finendo per crearne una, e all’interno di essa i personaggi che la popolano sono sempre più straniati man mano che si snocciola il racconto, come se fossero in balia di quei sadici burattinai che gli hanno dato forma e vita, come se sedessero al nostro fianco mentre vediamo tutto ciò, o meglio lo sentiamo. Bibliografia consigliata (Pynchon): V.; Mason & Dixon; Contro Il Giorno. Filmografia consigliata ta (Lynch): Velluto Blu; Mulholland Drive; Inland Empire.

SERATE MUSICALI NOVEMBRE Lunedì 8 novembre 2010 – ore 21.00 Sala Verdi del Conservatorio Violinista ILYA GRINGOLTS J. S. BACH Sonata n. 1, J. S. BACH Partita n. 3, E. YSAYE Sonata n. 1, E. YSAYE Sonata n. 2, E. YSAYE Sonata n. 3 Lunedì 15 novembre 2010 – ore 21.00 Sala Verdi del Conservatorio (Omaggio a Schumann II°) Pianista ALEXANDER LONQUICH Pianista CRISTINA BARBUTI Violinista HANNAH WEINMEISTER Violoncellista CLEMENS HAGEN R. SCHUMANN Fantasiestuecke op. 88 per violino, violoncello e pianoforte R. SCHUMANN 12 Stuecke fuer grosse und kleine Kinder op. 85 per pianoforte a 4 mani R. SCHUMANN Trio n. 1 op. 63 in re minore per violino, violoncello e pianoforte Giovedì 25 novembre 2010 – ore 21.00 Sala Verdi del Conservatorio Pianista JUANA ZAYAS R. SCHUMANN Des Abends J. FIELD Notturno F. CHOPIN Notturni Lunedì 29 novembre 2010 – ore 21.00 Sala Verdi del Conservatorio Pianista JEFFREY SWANN MUSICA, PITTURA, POESIA F. LISZT 2 Leggende, Dante-Sonata R. HAHN 4 Ritratti di pittori da Proust HAHN-FAZZARI «Si mes vers» (HUGO) - LISZT-WAGNER «Isolde’s Liebestod» E. GRANADOS Goyescas

DICEMBRE Lunedì 13 dicembre 2010 – ore 21.00 Sala Verdi del Conservatorio Pianista ALEXANDER LONQUICH Pianista CRISTINA BARBUTI (Omaggio a Schumann III°) R. SCHUMANN Quattro Polacche (da Otto Polacche WoO 20) per pianoforte a 4 mani Papillons op. 2 per pianoforte solo J. BRAHMS 16 Valzer op. 36 per pianoforte a 4 mani Variazioni su un tema di Schumann op. 23 per pianoforte a 4 mani Variazioni su un tema di Schumann op. 9 per pianoforte solo Lunedì 20 dicembre 2010 – ore 21.00 Sala Verdi del Conservatorio Viola SIMONIDE BRACONI Pianista HANS FAZZARI Mercoledì 23 dicembre 2010 Teatro Dal Verme “Concerto di Natale” ORCHESTRA I POMERIGGI MUSICALI Direttore MASSIMILIANO CALDI P. I. CIAIKOVSKI Polacca da Eugenio Oneghin OFFENBACH Gaieté patisienne J. STRAUSS Voci di primavera F. LEHAR Oro e argento oppure Ouverture da Cavalleria leggera J. STRAUSS Trisch – Trasch Polka CH. GOUNOD Valzer da Faust J. STRAUSS Sangue viennese Biglietti: INTERO € 20,00 - RIDOTTO € 15,00

per informazioni e prenotazioni: serate musicali uff. biglietteria tel: 02/29409724 dal lun. al ven. 10.0-17.00 e-mail: biglietteria@seratemusicali.it - sito: www.seratemusicali.it Biglietti: intero € 15,00 - ridotto € 10,00

Arte

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parliamo di... a cura del prof. purpura

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Il gioco

utti noi sappiamo cosa vuol dire “gioco”, anche perché spesso ci cimentiamo in questa attività, sia con amici che con i nostri figli. Giocare significa mettere in gioco le proprie capacità, confrontarsi, vivere esperienze da cui è possibile uscirne gratificati o meno, ma comunque sempre soddisfatti. Permette di vivere esperienze differenti nelle varie fasce d’età, dai bambini agli adulti e anziani, e aiuta a risolvere problemi in modo autonomo. E’ chiaro che durante il gioco il soggetto deve saper mettere in atto tutte le sue capacità, un’attenta osservazione, una idonea raccolta dati e saperli quindi elaborare opportunamente, prevedendo eventuali dinamiche nella interazione con l’antagonista o il gioco stesso. Con il gioco è facile dover cambiare il proprio punto di vista, crescendo e valutando le proprie esperienze, vedi ad esempio nelle attività sportive. Nel gioco si mettono in evidenza la propria personalità e le proprie caratteristiche, i propri sentimenti e pensieri. Tutte queste dinamiche comunque hanno una valenza molto importante nella formazione dell’individuo. Pensiamo ad esempio all’importanza che assume il gioco nello sviluppo affettivo, cognitivo e sociale dei bambini. La convenzione internazionale sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, riconosce e sottolinea l’importanza della quotidianità del giocare e

soprattutto lo riconosce come un diritto del bambino, in quanto fattore indispensabile per il suo sviluppo, la sua educazione e apprendimento; esso infatti rimane un elemento chiave per la sua formazione, conoscenza e interazione con il mondo. Nel contesto del gioco, i bambini si esercitano in nuovi ruoli, esprimono le loro emozioni, i loro sentimenti, i conflitti, i pensieri che percepiscono dalla realtà e imparano a rispettare le regole. Il gioco diventa la modalità più spontanea della comunicazione dei propri bisogni. Infatti per i bambini con problemi relazionali e cognitivi il gioco assume una valenza terapeutica ed educativa insostituibile. Lo stesso Freud infatti fin dai suoi primi scritti, lo considerava come una manifestazione dei problemi e dei conflitti inconsci, successivamente ampliò la sua concezione del gioco includendovi il suo ruolo nel processo di padronanza e di abreazione in cui i bambini, giocando, ripetono le cose della vita quotidiana che hanno suscitato in loro particolare impressione. Il gioco permette al bambino di ripetere le esperienze evadendo dalla realtà ed esplorando nuove possibilità in un contesto sicuro (terapia psicoanalitica). Anche per J. Piaget il gioco è stato uno strumento privilegiato nello studio dei diversi stati cognitivi ed evolutivi del bambino. Per l’Uomo il gioco assume significati di-

versi: divertimento, esplorazione e conoscenza del mondo. Mettersi in gioco significa mettere in campo tutte le proprie capacità fisiche e mentali per confrontarsi, liberarsi dalle tensioni, scaricarsi da emozioni forti, tenersi in allenamento fisico e mentale per la propria salute psicofisica, socializzare e fondare punti di riferimento affettivi importanti per le relazioni con gli altri, relazioni che soddisfano i nostri bisogni psichici ed emozionali e che il nostro Io ricerca continuamente. E’ molto più facile definire che cosa non è il gioco che il suo contrario. La difficoltà di definire il gioco è molto complessa così come é complessa e poliedrica la sua valenza per la formazione, lo sviluppo psicofisico, cognitivo e relazionale dell’essere Umano. Negli adulti il gioco è comunque un’importante forma di compensazione psicologica e di creatività. Le innumerevoli attività ludiche create, confermano quanto siano ricercate ad ogni età, tanto da ritenerle parte integrante e indispensabile della vita di ogni essere Umano.

astroarte di yari

Giorgio De Chirico

10 luglio 1888 – 20 novembre 1978 S iamo ammaliati dalle opere di un artista così simmetrico ed eclettico. Giorgio De Chirico artista poliedrico e più attuale di alcuni dei tempi nostri, per come ha immortalato sulle sue tele paesaggi, uomini e donne, statue con inconsueta originalità. Del segno del cancro, dotato di un talento creativo ineguagliabile, è guidato dalla magia di un pennello tanto sensibile, quanto lunatico ed è celestiale nell’eccletticità dei suoi colori. Caratterialmente introverso, il pittore in tutta la sua introspezione, comunica con la sua arte l’amore per l’universo: traghettatore di anime buone e cattive della vita di tutti i giorni, come il Caronte Dantesco, sul filo di una bellezza interiore veneriana, sublima i suoi quadri di metafisicità. La luna che domina il suo talento artistico, lo rende immane nelle sue interpretazioni, e, fluorescente nelle tonalità dei disegni. Giove lo ha dotato di una forza segreta che gli ha permesso di estrapolare con

precisione figure lontane e, proiettate nella loro suggestività, nel mondo irreale della fantasia. Mercurio lo trasforma col suo acume intellettivo così spiccato, necessario per elevarsi come genio, fra i grandi della sua epoca. Esterofilo per le sue origini nasciture, ha sempre beneficiato dell’energia di Saturno, per superare le sue crisi esistenziali, da cui ha tratto i sentimenti più

profondi. Un pittore che ha anticipato i nostri giorni, per un Urano che lo celebra sommo, per eccellenza. Mostre internazionali, innalzano il poeta del colore nella sua metamorfosi che non segnerà mai la parola fine ma delinerà, nella sua identità, un percorso infinito consacrato dai luminari. Per contattare Yari Tel. 340.2290751 oppure scrivi a info@okarte.org


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Arte

Michel Comte. Not only women D

Lucca: Center of Contemporary Art

al 20 novembre 2010 al 23 gennaio 2011 al Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art si terrà in anteprima in Italia la mostra fotografica “Michel Comte. Not

only Women. Feminine Icons of Our Times”. Evento principale del programma del Lu.C.C.A. ed esposizione di punta del LDPF (Lucca Digital Photo Fest), la mostra, a

cura di Alessandro Luigi Perna, Enrico Stefanelli e Maurizio Vanni, porta nel nostro paese circa sessanta immagini di uno dei più grandi fotografi e ritrattisti contemporanei. Di lui Geraldine Chaplin ha detto: “È un cavaliere errante della fotografia: un vagabondo, un avventuriero, un nomade con la macchina fotografica”. La sua carriera l’ha portato in tutto il mondo a realizzare campagne pubblicitarie per marchi famosi – Gianfranco Ferré, Dolce & Gabbana, Armani, Versace, etc. – che lo hanno reso tra i più ricercati fotografi di moda a livello internazionale. La mostra “Not only Women” nasce da un presupposto: troppo spesso è stato indagato il ritratto di moda, e in particolare quello fem-

minile, solamente dal punto di vista iconografico e stilistico. Il più delle volte, agli occhi della critica, è il brand coinvolto infatti a essere garante della bravura di un fotografo. Michel Comte ribalta questo presupposto. I suoi scatti non si limitano ad essere indagini plastico-estetiche. Le sue immagini non sono solo uno spettacolo ben congegnato che ha per protagoniste le donne. Nell’inseguire la perfezione stilistica Comte scava nell’intimità del soggetto femminile. Coordinamento scientifico: Francesca Silvestri, Serena Baccaglini. Un’esclusiva e un progetto di: Alessandro Perna, Serena Baccaglini w w w.luccamuseum.com info@luccamuseum.com Orario mostra: dal martedì al sabato 10 - 19; domenica 11

Laboratorio sperimentale per le arti visive I

l 4 dicembre alle ore 18,30 presso la galleria “Laboratorio sperimentale per le arti visive”, sita in via Plinio 46 (in galleria) si terrà l’inaugurazione della mostra dedicata a Giuseppe Cantatore, Lucia Paganini, Hanna Scheriau, Margherita Rancura, Martina Di Bella, Sabrina Bianco, Anna Perrone. La mostra è curata da Valeria

Scheriau, Destiny, 2006, 50x60cm, painted silk on canvas

Paganini, Le torri gemelle

proprio riconoscimento di se stesso che manifesta con i segni che riproduce alla fine di ogni dipinto. Lucia Paganini è nata a Milano, dove si è laureata ed ha iniziato la sua carriera universitaria. Nel 2005 ha vinto diversi premi tra i quali uno nazionale e uno internazionale. I materiali impiegati sono gres di vario colore, smaltati o no,

Di Bella, True Love

raku e porcellana, con i quali ha costruito sculture di grande presa. Hanna Scheriau, nata a Vienna nel 1942, ha studiato all’Università di Vienna arti visive conseguendo il leggendario “School of Seeing” di Oscar Kokoschka. Dal 2000 l’artista ha scoperto l’utiliz-

un grande appassionato di storia dell’arte e della fotografia. “L’arte è libera, l’arte deve seguire il proprio istinto personale, la propria fantasia ed emotività” Questo è il pensiero di Margherita Rancura, artista amante della luce, della natura e dei suoi colori

Margherita Rancura, Totally inconsistent

Bianco, Quadri

Immagini Spazio Arte di Cremona. Dal 4 all’8 novembre 2010 parteciperà alla Fiera Internazionale di Arte Contemporanea di Forlì sempre seguita dall’Associazione Artantis. Sabrina Bianco disegnatrice professionale per 7anni presso uno studio di architettura in Alessandria è dal 1996 mamma e pittrice. L’arte aborigena, con i suoi puntini colorati, l’utilizzo di colori acrilici e tempera su pannelli in legno, con applicazioni di mate-

Perrone

Giuseppe Cantatore, Interpolata

Modica in collaborazione con Vincenzo Silvano. Giuseppe Cantatore nato a Bari il 30/06/1973, a 10 anni decide di mettere in cornice il suo primo quadro, un disegno di Walt Disney. La pittura riesce a placare la sua emotività e gli permette di arrivare ad un vero e

zo della seta come medium ed ha sviluppato un modo completamente nuovo di dipingere. Le opere di Hanna sono state esposte non solo in Europa ma anche in Asia ed America e di conseguenza i suoi numerosi collezionisti sono sparsi in tutto il mondo. La storia di Margherita Rancura come pittrice nasce fin dall’infanzia, tramandata dal padre che era

da trasmettere con un’emozione ai propri estimatori. Martina Di Bella nata a Desio (Milano) nel 1986, artista emergente ed autodidatta, è stata invitata in ottobre, alla mostra organizzata tramite l’Associazione di Arte e Cultura “Artantis” nella galleria

riali diversi, sono la sua caratteristica. Nelle opere di Anna Perrone si notano equilibrate tecniche disegnative ed espressive: l’acquerello, l’olio su tela e la tempera su tavola gessata con foglie d’oro. La sua arte è generata dall’evolversi di un ritmo che passa dal reale all’astratto, con pennellate ora lievi e pazienti, ora dense di colore. Ha esposto in varie località italiane ed estere, di recente al Museum of the Americas di Miami.

Inaugurazione 4 dicembre ore 18.30 Seguirà rinfresco

Apertura dal lunedì al sabato, 15,00 alle 19,30, domenica su appuntamento. Chiusura della mostra 19 Dicembre tel. 3284740301


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Arte

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Eduardo Giannattasio L’artista che dipinge con il fuoco

G

iannattasio e’ un artista che lavora con il fuoco, che dipinge e crea con il fuoco, questa sua particolarità lo ha portato prima in Francia e poi negli Stati Uniti. La sua padronanza del fuoco e dei colori – scrive Giada Caliendo- è affascinante al punto tale da credere che sia lui a guidare la fiamma. In effetti, parte di quella danza incandescente è realmente gestita dall’artista ma la parte più interessante della sua sperimentazione è la libertà di

movimento delle lingue di fuoco, quel bruciare la superficie senza distruggere ma creare. Eduardo lavora a questa tecnica da alcuni anni e solo con la sperimentazione continua è riuscito a mettere a punto quello che oggi è il suo divenire. Il suo è un linguaggio antico, dato dalla storia della creazione delle cose, appunto da quella trasformazione che diventa genesi con il fuoco. Eduardo Giannattasio diplomatosi presso l’Istituto d’arte di Salerno nel 1971 ha

percorso gli studi accademici presso l’Accademia delle Belle Arti in Napoli nel 1975 ottenendone il diploma. Nel

periodo dal 1976 al 1993 ha lavorato come scenografo in vari teatri, tra cui la RAI e il Teatro San Carlo di Napoli.

Burning desire to create

E

duardo Giannattasio, 52, is a classically trained Italian artist who, in the last seven years, has begun setting his canvases on fire. The resulting abstract singed with definitive, but suggestive, inky slashes of black. He lives in a 13thcentury palazzo in Italy, and paints, typically to deafening tribal music as he surges and aways, gyrates and conjures and dances. He must do it alone. People would think he was mad. He is, he says, a magician. Giannattasio is a volcanic spirit. It was his obtuseness, he says, that led to his fire art. He has always searched for a color that was unique

to him. He began mixing pigment with household objects tea leaves, nut skins, alcohol. Disgusted with his efforst, he took, his lighter to his canvas and the canvas bled with ecstatic color. “I said, “Wow. That’s great”. Fire is a gluttonous element. It annihilates and devours, lapping up hungrily and then, sated, leaves its crusty gouge and vanishes. Giannattasio’s canvases begin by splashing pigmented stains diluted with alcohol on a canvas. He watches as the stainsdrip and blend. Then he sets the fireproofed canvas on fire. The flames evaporate revealing a figurative abstractionism, a kind of prymal dynamism.

Enrico Fraschetti

L’arte musiva “Opus Sectile” L’

arte musiva o del mosaico è l’arte di realizzare motivi e figurazioni per decorare pareti e pavimenti. Le sue origini sono molto remote e si rifanno ai reperti archeologici provenienti dalla città di Uruk in Mesopotamia, dove già nel 3000 a.C. si abbellivano le costruzioni con coni di argilla a base dipinta, infissi nella malta fresca a formare semplici disegni geometrici

(Museo di Stato di Berlino). Gradualmente, il mosaico esce dalla primitività del disegno geometrico ripetitivo per acquistare forme e figure spesso floreali. Nei lavori di arte musiva cominciano ad essere inserite figure con intarsi “crustae marmoree” “Opus Sectile” o “commesso di marmi” es (pavimento della Cappella Sistina in cosmatesco). Il mosaico ad intarsio, cioè a “com-

messo di marmi” ritagliati secondo il disegno da formare, con tecnica non dissimile da quella della tarsia di legno, ebbe varia fortuna e venne usato per rivestire pareti e ornare pavimenti, proseguendo la tradizione dell’antico “Opus Sectile”. Questa tecnica fu largamente impiegata nei primi secoli del medioevo per poi disperdersi. Bisognerà arrivare ai tempi moderni e

quindi a Enrico Fraschetti per far rinascere l’Opus Sectile, l’arte musiva interpretata, realizzata in maniera moderna e non più come vasta superficie parietale, ma come quadro portatile in pietra naturale. L’artista attiva soluzioni tecniche geniali perché il quadro marmoreo possa avere una propria collocazione, con un normale gancio da muro, su una qualsiasi parete. Fraschetti con le sue opere ci dà una magistrale interpretazione lapidea di quadri o disegni famosi che danno, in versione marmorea, le stesse sensazioni visivo-emotive dell’originale in pittura su tela o disegno (vedi il bacio di Hayez o il cavallo e cavaliere di Leonardo). Tutto ciò che costituisce “pezzo unico”, in alcun modo ripetibile, ha un valore inestimabile come i lavori di questo grande artista. Fraschetti, capostipite di un’arte musiva antica, rifiuta i meccanismi commerciali di mercato ma si dedica con generosità, a tramandare ai giovani le tecniche che ha affinato nel tempo per non disperdere questo grande patrimonio artistico. www.efras-opusnova.com

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