ok Arte MAGAZINE
Giu - Lug 2010
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C U LT U R A
Anno IX N.3
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News d’arte dall’Italia, news d’arte dal mondo, ogni giorno più 100 nuove notizie d’arte Scopri come esporre tutte le tue opere nella Galleria 3D, migliaia di visitatori al mese
Mostre a Milano
Dai Borromeo al Simbolismo a Palazzo Reale pag. 2, Armando Testa al PAC e Stanley Kubrick al Palazzo della Ragione pag.11, Elogio della Semplicità alla Fondazione Stelline pag. 19
Itinerari culturali
Paesaggi Ottocenteschi a Monza pag. 6, Villa Litta di Lainate pag. 7, Rubens a Como, De Chirico a Pavia, i Gonzaga a Mantova pag.10, Festival lirico di Verona pag. 16
Il Palazzo Reale Muse senza quiete
Milena Moriconi
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’ abituato a dare risalto alle potenzialità artistiche di altri. Ospita mostre di pittura, di scultura, di fotografia e di tutto ciò che nella parola “arte” si confi-
Antonio Canova, Amore e Psiche
gura, cercando di valorizzare autori meno noti, o di rendere ancora più lucente lo smalto di chi di fama ne ha già a bizzeffe. Ma lui se ne sta in disparte, modestamente, come una perfetta padrona di casa, salottiera,
elegante, ma che, con grande classe, cerca di confondersi con le tappezzerie per non togliere, nemmeno per sbaglio, luminosità ed importanza ai suoi ospiti. Il Palazzo Reale ne ha di cose da raccontare. Nato col nome di Palazzo del Broletto Vecchio, resta alla famiglia Sforza sino all’inizio del ‘500 quando, con Luigi XII, giunge il dominio francese che vi trasferisce la sede della Corte, fino a quel momento allocata nel Castello Sforzesco, divenuto oramai una roccaforte militare. Il Palazzo inizia così a rivestire un alto ruolo sociale e politico, necessariamente accompagnato da un’estetica tesa all’imponente ed al raffinato, della quale tutti, da quel momento in poi, avranno la massima cura. Nel 1546 Ferrante Gonzaga, dimostrando ben poco rispetto, lui come tanti che lo avevano preceduto e che lo seguiranno, nell’assegnare la priorità alle cose profane rispetto alle sacre, demolisce la chiesa di Sant’Andrea al Muro Rotto e annette il terreno ricavato al Palazzo che diventa così anche sede del Governo. segue a pag. 2
Dai Borromeo al Simbolismo
La sacralità lombarda fra nomi, opere e luoghi
Una stravaganzata firmata Dalì
Massimo Zanicchi
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na delle peculiarità della morte è la capacità di scombussolare i progetti altrui. E in questo non fa sconti a nessuno, come potrebbe testimoniare Elvis Presley morto in bagno
Gala, ormai prossima alla morte, avrebbe dovuto essere tumulata nella cripta del castello che le aveva regalato nell’entroterra spagnolo. La morte però la colse nella loro residenza sulla costa in quel di Port Lligat. segue a pag. 14
“I luoghi del cuore” Vota il luogo italiano che vuoi far conoscere e amare
Silvia Colombo
dizioni di pericolo. Questa iniziativa, giunta con grande successo alla quinta edizione, permette ad ogni cittadino di avere un ruolo concreto nella salvaguardia del nostro territorio. E così, il Castello della Colombaia di Trapani vin-
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arlare di sacralità oggi, tanto più in una città come Milano, che progredisce costantemente e rilancia eventi laici e mondani afferenti, ad esempio, all’ambito del design e della moda, ha le sembianze di un non so che di anacronistico. In realtà però, se osserviamo più attentamente le strade e i ritrovi che ci circondano e attorniano, che non significa passare distrattamente attraverso le cose, ma al contrario concedere uno sguardo alle vie e ai monumenti, possiamo annoverare più di qualche esempio casuale. Mentre nella chiesa di San Fedele è presente l’opera ceramica di Fontana, nella Chiesa Rossa troviamo un’installazione luminosa di Dan Flavin; a lungo il video di Wallinger ha presenziato all’interno della cripta del Duomo, e attualmente due videoinstallazioni di Bill Viola campeggiano rispettivamente all’interno della riprodotta cappella di Mocchirolo a Brera e nella chiesa di San Marco. segue a pag. 2
in piena solitudine, molto più vicino al water piuttosto che al suo trono di re del rock. E nessuno sconto fu applicato a Salvador Dalì quando si trovò a digerire la scomparsa non pianificata della moglie-musa Gala. Nei suoi progetti,
cendo a sorpresa nella scorsa edizione, ha visto cambiare il proprio destino. La regione Sicilia ha stanziato i primi 600 mila euro per iniziare il recupero di questa antica fortezza attualmente in totale abbandono. segue a pag. 21
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l FAI (Fondo Ambiente italiano) invita tutti gli italiani a segnalare “I Luoghi del Cuore”. Non è necessario che sia un capolavoro, può essere un borgo, una piccola chiesa, un faro, un isolotto basta che faccia parte del nostro cuore. L’immenso patrimonio italiano per essere salvaguardato e preservato da inutili scempi, deve prima essere messo in luce e fatto conoscere soprattutto se dimenticato o lasciato in con-
Chiesa di San Michele in Insula a Trino, Vercelli
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Arte
GIUGNO - LUGLIO 2010
Dai Borromeo al Simbolismo
La sacralità lombarda fra nomi, opere e luoghi Silvia Colombo
Segue da pag. 1 uesto a dimostrazione di come, a dispetto di una modernità in cui la devozione sembra essere un termine desueto, sia possibile un dialogo tra religiosità e arte contemporanea e si tenti, all’opposto, di recuperare una dimensione – anche personale e intima – spirituale. Ed è a questo punto che, in aiuto di tutti coloro che sono intenzionati a coltivare tale inclinazione, o interessati a riallacciare i rapporti con la territorialità, interviene la mostra “Il Sacro lombardo. Dai Borromeo al Simbolismo”, curata da Mons. Franco Buzzi, direttore della Pinacoteca Ambrosiana, in collaborazione con Stefano Zuffi, Fernando Mazzocca,
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Simonetta Coppa e da quello stilistico, e le arti laici che si sono convertiti, Giuseppe Fusari, prossima- visive si fanno specchio dei come Parini, Fra’ Galgario mente allestita, dal 22 giu- cambiamenti storici della e Baschenis, i santuari di gno al 19 settembre, presso società: dalla sobrietà pit- Rho, Saronno, Caravaggio Palazzo Reale di Milano. In torica che segue ai canoni che l’hanno segnata e i Sacri linea con la maggior parte prescritti dal Concilio di Monti che ne hanno modidelle esposizioni organiz- Trento (1545), si passa attra- ficato e addolcito il profilo zate dall’amministrazio- verso la ricchezza e la pom- (Ossuccio e Varese). Senza ne pubblica milanese per posità barocca, all’eleganza dimenticare le rappresenil corrente anno, il fil rou- neoclassica e si approda in- tazioni mariane, cristologige alla base del “Sacro” fine alla luce enigmatica che e, ancor più, il Duomo dunque è ancora una vol- dei lavori simbolisti, pregni di Milano, che sino alla meta tematico e inghiotte un di un misticismo che ormai tà del ’900 è stato una vera periodo temporale deci- non coincide più del tutto e propria fucina – in alcusamente imponente: dalla con il cattolicesimo. E que- ni casi addirittura l’unica metà del ’500, e più preci- sto messaggio trapela at- – per lo sviluppo e la prosamente dall’arcivescova- traverso le parole, i luoghi, mozione artistica del temto milanese dei due cugini le immagini e le scultu- po. “Il Sacro lombardo. Dai Borromeo, rispettivamente re: il fruitore imparerà co- Borromeo al Simbolismo”, Carlo (1565-1584) e Federico sì, finalmente, a conoscere a cura di Franco Buzzi, (1595-1631), sino alle soglie la propria Milano e la tra- Stefano Zuffi, Ferdinando Simonetta del ’900, con il Simbolismo. dizione artistica lombarda, Mazzocca, Le tappe catartiche che il sempre venata da un toc- Coppa, Giuseppe Fusari, percorso affronta assistono co di naturalismo e quoti- Milano, Palazzo Reale, 22 e accompagnano una lenta dianità, e lo farà attraverso giugno – 19 settembre 2010. e inesorabile metamorfosi i santi che l’hanno vissu- Orari: lunedì 14,30-19,30; dell’arte sacra, sia dal pun- ta – Sant’Ambrogio, San giovedì: 9,30-22,30; tutti to di vista iconografico, sia Vittore, San Sebastiano –, i gli altri giorni: 9,30-19,30.
Palazzo Reale: la storia
Milena Moriconi
4 ordini di palchi ed un bel- Maestro di Corte. Povero avanti. Nel Febbraio del lissimo loggione. A partire Ferdinando, come sottova- 1776, la scalogna, che non Segue da pag. 1 dal 1723, il Governatore de- luta il potere della sua mam- abbandona mai il Teatro di iù tardi, verso la fine ve convivere con gli organi mina, Maria Teresa, che, Corte, fa sì che questo vadel ‘500, il Governatore della Magistratura, inse- dispotica ed avara com’è, da nuovamente a fuoco: un Antonio di Guzman in- diatisi a Palazzo, mentre si si intromette in tutte le sue gran bene per Milano percarica Pellegrino Tibaldi, procede ad un pesante re- scelte e che fa sentire il suo chè è così che si decide di architetto del cuore dei stauro al Salone dei Festini Voglio / Posso e Comando trasferirlo fisicamente in Borromeo, di sviluppare la ed a quello delle Udienze. anche da lontano! Mozart altro luogo, con un altro parte pittorica interna: na- Siamo ora al 1745 e Gian non viene ingaggiato, ma nome, tanto da renderlo irscono magnifiche opere, Luca Pallavicini, nota be- l’Arciduca riesce alme- riconoscibile alla mala soranche con l’intervento dei ne “a sue spese”, spazza no nella costruzione della te. Nasce il Teatro alla Scala, maggiori artisti d’epoca, via il vecchio arredamento Piazzetta Reale per mano sì, proprio quello che divensuccessivamente distrutte e lo sostituisce con mobi- di quel Piermarini che, da terà nei secoli il più famoso da eventi catastrofici (guer- li, arazzi Gobelin, sopram- quel momento in poi, si oc- al mondo! Nel 1778 la rire, incendi etc..) e mai più mobili e quant’altro di più cuperà dell’architettoni- strutturazione del Palazzo ricostituite nel loro anti- bello possa procacciarsi. Il ca di tutte le nuove opere. termina e Ferdinando rico splendore. Ma ora si sta Pallavicini introduce anche Ferdinando, per lasciar me- entra trionfante a Palazzo. avvicinando un gran brut- un’usanza francese, la Salle glio lavorare il Piermarini, Passano ancora anni e la to periodo, per il Palazzo e à Manger per cene impor- sgombera il campo e si tra- dominazione di Milano fiper tutta Milano. Siamo nel tanti. Da questa si potrà poi sferisce, con moglie e se- nisce in mano ai francesi, ‘600, epoca senza rispet- passare alla adiacente sala guito, nel Palazzo Clerici. nella figura di Napoleone to per uomini e cose, fatta da ballo, costruita anch’es- Maria Teresa ha però mol- Bonaparte, che dona l’edidi guerre, di pestilenze, di sa all’epoca, per scatenar- ta difficoltà ad allentare i ficio a suo figlio Eugene de lotte intestine che non la- si in danze spensierate. Gli cordoni della borsa, e l’ar- Beauharnais che lo arricocchi del chitetto è costretto ad una chisce con scuderie, uffici Palazzo ve- nuova specializzazione: ed arredi nuovi. Nel 1861 dranno solo procurarsi il materiale più l’Italia si unifica e la prosfarzo e lus- bello al prezzo più basso, prietà va ai Savoia, che, doMilano Palazzo_Reale Scalone Foto Giovanni Dall’Orto 9-July-2007 so smodato in una antica applicazio- po l’assassinio di Umberto sino alla fi- ne di quel “rapporto qua- I, si tengono bene alla larne del ‘700. lità prezzo” tanto vantato ga dall’ostilità milanese, rà mai più, almeno volu- al 27 Giugno possiamo amSi può dire ai giorni nostri. Nella nuo- tant’è che, nel 1919, ven- tamente, il nostro Palazzo mirare i dipinti del Goya, che il tutto va piazza viene steso così dono il Palazzo allo Stato. Reale, o meglio, come det- coi suoi tratti drammatici, origina dal uno sgargiante pavimen- Questo verrà mutilato con to in apertura, la nostra violenti e con personaggi Bonamore Antonio_(1845-1907) Le feste a Milano matrimonio, to a rombi, mentre lavori l’abbattimento di tante sue nobile signora che, final- avvolti su loro stessi in una per l’imperatore Guglielmo I (17_ott_1875) nel 1771, pesanti vengono fatti per ali, prima per consentire la mente, può dedicarsi al pu- soggettività che li astrae dal Il ballo di Corte DaIl’Illustrazione Italiana d e l l ’ A r - trasmigrare dallo stile ba- costruzione di Piazza Del ro piacere dell’ospitare sia contesto. Ora che conoscec i d u c a rocco al neoclassico. E fi- Duomo, e poi, negli an- l’arte che i suoi estimatori. te un po’ di più il Palazzo, sciano tempo e spazio per Ferdinando d’Asburgo, fi- nalmente, dall’Arciduca, di ni 30, per quella dell’Aren- Tra le attuali mostre figu- ogni tanto, anche davanti a il riguardo verso arte e lus- glio di Maria Teresa, con cui ci stavamo scordando, gario. Ma le vicissitudini ra quella dedicata a Egon qualche bel quadro di Goya so. A Milano si combatte, Maria Beatrice d’Este, ce- arriva un rigurgito di or- di questa martoriata co- Schiele (sino al 6 Giugno), o di Schiele, socchiudete un si muore. Il Palazzo Reale, lebrato con lunghi festeg- goglio: minaccia la madre struzione, che sempre pe- personaggio realistico, dis- attimo gli occhi e cercate abbandonato a sé stesso, giamenti faraonici. Gli Maria Teresa di restare per rò risorge dalle sue ceneri sacrante e coraggioso, che di visualizzare gli ambienlangue in attesa che qual- austriaci sono i poten- sempre nel Palazzo Clerici, come la Fenice, non sono tutti ha sfidato (teniamo ti così come potevano essecuno torni ad occuparsi ti padroni, e non voglio- non mettendo mai più pie- ancora finite. 1943: bom- conto che siamo agli ini- re centinaia di anni or sono, di lui. Ma ecco che arriva- no perdere occasione per de nel Palazzo Reale, se an- bardamento della Sala del- zi del 1900) non temen- con l’Arciduca Ferdinando no gli austriaci, dominatori dimostrarlo. Ferdinando, che la sua voce in merito le Cariatidi, ricostruita in do il trasferimento su tela che gira imbestialito per ricchi e potenti, intenzio- preso da velleità di gran- ai restauri non fosse stata soli 11 mesi. 1953: Pablo di tutte le sue angosce ses- le stanze dopo l’ennesinati a far splendere il loro dezza, mette in moto tutta ascoltata. Qui non si cono- Picasso vuole che la stes- suali, depurandole da ogni ma lite con sua mamma, pianeta Milano della lo- una serie di iniziative po- sce la reazione di mamma, sa sala sia lo sfondo, quan- contenuto osceno, ripulen- o con una Salle à manger, ro sfolgorante luce riflessa. derose, dalla proposta del- ma certamente la corte au- to mai simbolico, per la sua dole inconsciamente sino a strapiena di persone delNel 1717 viene costruito il la costruzione di un nuovo striaca avrà tremato sotto il Guernica. 2000: si dipin- renderle immacolate. I la- la “Milano da bere” di allonuovo Teatro Ducale, sul- Palazzo Reale, specchio turbine della furia incon- gono i soffitti, cercando di vori, prestatici dal Leopold ra, intente ad abbuffarsi in le rovine del primo, piccola della magnificenza asburgi- trollata di chi, da sempre, è simulare lo stile imposta- Museum di Vienna, sono un chiacchiericcio che, se opera cinquecentesca e di- ca, alla nomina di Wolfang abituato a non essere con- to ben 400 anni prima dal sensuali e purissimi allo tendete bene l’orecchio, anstrutto da un incendio, con Amadeus Mozart quale traddetto. Ma andiamo Tibaldi. Nessuno deturpe- stesso tempo. Ancora, sino che voi riuscirete a sentire.
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Palazzo Sormani Sacre presenze
Il mito di Orfeo nella sala del Grechetto Clara Terrosu
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alazzo Sormani, sede della Biblioteca Centrale di Milano, venne acquistato dal Comune nel 1930 e dopo cinque anni vi si collocarono i cimeli che oggi sono esposti al Museo Milano di Via S. Andrea, 6. L’edificio fu gravemente danneggiato dalla seconda guerra mondiale, che distrusse gli affreschi di Biagio Bellotti (17141784) ed altre decorazioni; resta attualmente, nella sala quotidiani, una sua volta dipinta. Solo negli anni 1955 e 1956, grazie all’Architetto Arrigo Arrighetti, il Palazzo sarà ricostruito e potrà ospitare i libri della Biblioteca Civica che
ciulla, la indusse alla fuga Monti (1593-1650), decise e lei, correndo, calpestò un di rinnovarlo per ospitare serpente, il cui morso fa- le sue collezioni e dotarla di tale le provocò una rapida un degno scalone che unimorte. Impazzito dal dolo- sce i piani. Il successore del re, Orfeo decise di scendere Cardinale, Conte Cesare nell’Ade e convinse Caronte Monti Stampa, incaria traghettarlo nel regno dei cò l’Architetto Francesco morti ove, con il canto del- Croce (1696-1773), espola sua disperazione riuscì a nente di punta nel nuovo commuovere i signori de- gusto barocchetto, di migli inferi. Questi, animati gliorare il palazzo con una da insolita pietà, concesse- nuova facciata, sulla quaro ad Orfeo di ricondurre le si apre oggi l’ingresso Euridice nel regno dei vivi, della biblioteca. Esiste una a condizione che lui non la particolarità che fa della guardasse in viso fino a che Sormani un esempio quanon fossero giunti alla luce si unico, rispetto alle aldel sole. Purtroppo, duran- tre nobili case milanesi: si te il viaggio, sospettando di tratta della seconda facciatenere per mano un ombra, ta che prospetta sul giardiOrfeo si voltò a guadare la no retrostante, realizzata sua sposa che nel medesi- dell’Architetto Benedetto mo istante svanì. Vane fu- Alfieri (1700-1767). Si pre-
Milano Palazzo Sormani-Andreani Foto Giovanni Dall’Orto 5-May 2007
precedentemente aveva- rono le suppliche a Caronte, senta con decorazioni in no subito vari spostamen- di condurlo nuovamente stucco, in un ordine giti: da Palazzo Marino al dal signore degli inferi; co- gante scandito da granPalazzo dei Giureconsulti, stui fu irremovibile. Il ci- di lesene ed è sormontata dalle sale del Museo di clo che raffigura il mito di da un orologio realizzaStoria Naturale al Castello Orfeo è costituito da 23 te- to dai fratelli Sangiusti. Sforzesco. Nella “Sormani”, le, collocate in questo pa- Nel 1783 avviene un nuovo come viene chiamata dai lazzo all’inizio del ‘900 e la cambio di proprietà a caumilanesi, esiste una magni- sequenza originale è docu- sa della vendita al Conte fica Sala Conferenze, adi- mentata anche da una te- Giovanni Pietro Paolo bita anche a Sala Concerti la del pittore cremonese Andreani, padre di Paolo che è detta “del Grechetto”. Francesco Colombi Borde Andreani (1763-1823), faInfatti le pareti sono com- (1846-1905), che si trova in moso aviatore che compì pletamente rivestite da tele un ufficio della biblioteca. per la prima volta in Italia, attribuite al pittore-inciso- Nella Sala dei Putti, invece, una spettacolare ascensiore genovese, Gian Battista la cui volta è adornata da ne in mongolfiera; valido Castiglione, chiamato il preziosi stucchi rococò, si esploratore si spinse fino Grechetto (1609-1664), pro- trova un grande dipinto di alla regione dei grandi lababilmente perché vestiva Giuseppe Nuvolone (1619- ghi sul confine fra Canada all’armena e si fingeva gre- 1703), realizzato in occa- e Stati Uniti. Altre decoraco. L’intero ciclo pittorico sione del viaggio a Milano zioni si aggiungono sul lato approda a Palazzo Sormani di Maria Anna d’Austria verso il giardino, con stucsolo a fine Ottocento ed è (1649) che si sarebbe sposa- chi realizzati nella seconuno spazio ideale per il go- ta con Filippo IV in Spagna. da metà del Settecento da dimento della musica. Vi si L’estro artistico prosegue Agostino Gerli (1744-1821) rappresenta il mito di Orfeo, nel parco retrostante, pro- che introdusse a Milano suonatore di cetra con ma- gettato da Leopold Pollack il nuovo gusto neoclassigici poteri sul mondo della (1751-1806) secondo i detta- co d’ispirazione francenatura. Vi sono raffigurati mi del giardino all’inglese, se. Per concludere, una leoni, tacchini ed ogni sor- che ospita anche un grande curiosità: la presenza di ta di animali selvatici e do- gruppo scultoreo, raffigu- una sfera metallica rimamestici che, nell’intero ciclo rante la caccia al cinghiale, sta incastrata nella stromraffigurativo anticipano gli di Agenore Fabbri (1911- batura di una finestra del studi e le classificazioni 1998). E’ una composizione piccolo locale adibito oggi scientifiche del Settecento. di più pezzi in terracotta, a guardaroba per i visitaL’orientamento attuale è esposta alla Quadriennale tori. Si tratta di un proietquello di tornare alla de- del 1949 ed acquistata dal tile d’artiglieria sparato nominazione originale del- Comune di Milano nel durante l’insurrezione dei la sala, cioè “la “Favola di 1955. Questo storico palaz- Milanesi nel marzo 1848; le Orfeo” che amò Euridice zo esisteva probabilmente famose Cinque Giornate di per tutta la vita, ma il fa- già nel XVI secolo; ne è te- Milano! Sede della Civica tal destino non concesse il stimone una lapide visibile Biblioteca Centrale in compimento del loro amo- nell’atrio dell’ingresso, ma Corso di Porta Vittoria n° re a causa di Aristeo. Costui, fu nel Seicento che l’Arci- 6- 20122 Milano – aperta cercando di sedurre la fan- vescovo di Milano, Cesare da lunedì a sabato h. 9-19:30
La Chiesa di San Bernardino alle Monache di Milano vi aspetta per ammirare la bellezza di una prima accurata selezione di sculture lignee dal XIII al XIV secolo
Matteo Castelnuovo
uando l’arte incontra Q la fede nasce un senso di sacralità che conduce
all’ammirazione di opere ispirate da un’intuizione protesa verso l’alto. Verso una presenza divina forte e coinvolgente che lascia stupiti per la sua bellezza. È proprio questo, ciò che la mostra “Sacre presenze” vuole far sentire ai suoi visitatori, dal 28 maggio al 6 giugno 2010, all’interno dell’austera ed elegante Chiesa di San Bernardino alle Monache. Un piccolo, ma prezioso monumento situato nel cuore di Milano (in via Lanzone 13) il cui progetto fu creato da Pietro Antonio Solari intorno al XV secolo. Una rassegna d’arte sacra risalente alla seconda metà del XIV secolo, dunque, curata da Gemma Clerici, patrocinata dal Comune di Milano e voluta dall’Associazione Amici di S.Bernardino alle Monache (costituitasi nel 1997 su iniziativa dell’Abate emerito di Sant’Ambrogio Mons. Franco Verzeleri). Con una programmazione triennale (2010-2013) e l’intenzione di riportare all’antico splendore quel monastero soppresso nel 1782, di cui la chiesa è l’ultimo resto rimasto. Suggestivo baluardo di un tempo ormai lontano, nella cui navata unica, recuperata alla fruizione del pubblico grazie a un’intensa campagna di restauri, spiccano i molti affreschi trecenteschi e quattrocenteschi di scuola lombar-
Annunciazione Arcangelo Gabriele Madonna Annunciata, sec. XVI
da a ornamento dell’arco trionfale, dell’abside e delle vele delle volte a crociera. Per il primo dei tre percorsi espositivi, così, verranno
particolare di Madonna in trono con il Bambino, sec. XIII
proposte dodici splendide sculture lignee di soggetto sacro, databili tra il XIII e il XVI secolo oltre a diverse opere di arte antica, tutte provenienti dalla collezione dell’antiquario umbro Emo Antinori Petrini trasformatosi, così, mecenate dei lavori di restauro della Chiesa di San Bernardino. Fra le sculture rappresentanti le Madonne, inoltre, è da segnalare, per sua straordinaria importanza: “La Madonna in trono con il Bambino”. Risalente al XIII secolo, questa statua in legno di pioppo, proveniente dalla Valnerina e conservata ancora con il dossale e le tracce della policromia originale, trasmette infatti, in entrambe le figure viste frontalmente, una forte tensione spirituale pur nella semplicità e linearità delle loro fattezze. Come d’altronde fa anche la “Madonna con Bambino” della cerchia di Andrea Pisano. Scultura del 1340 circa che, a differenza della precedente, presenta il movimento della mano destra della Madonna mentre tocca il piede del Bambino. Un gesto, già presente nella pittura duecentesca, atto a testimoniare una maggiore intimità tra i due personaggi sacri. Una forza espressiva, quindi, che con il significato e l’intimità delle opere esposte vuole cercare di trasmetterne il forte valore storico e simbolico. Sottolineando, in questo modo, quel senso originario di fede, co-
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si come veniva comunicato nel passato. Introducendo, pertanto, non solo un momento contemplativo, ma anche un’esperienza viva e corporea pronta a rima-
Madonna in Trono con il Bambino, sec. XVI
nere scolpita nella mente. Chiesa di S. Bernardino alle Monache Via Lanzone, 13 20123 Milano Tel.: 02 36.50.84.91
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Arte
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Palazzo Marino da scoprire
Realizzato per soddisfare le manie di grandezza di un mercante genovese Ugo Perugini
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alazzo Marino deve il proprio nome al mercante genovese Tommaso Marino che nel 1553 ne ordinò la costruzione all’architetto Galeazzo Alessi. Dopo dieci anni di lavori, non era ancora stato ultimato ma, nel frattempo, la situazione finanziaria del suo proprietario aveva subito un tracollo, tanto che nel 1577 l’edificio venne confiscato. Palazzo Marino fu parzialmente completato nel Seicento e utilizzato per servizi pubblici e, in parte, per residenza. Al suo interno, avranno poi sede uffici fiscali e finanziari finché, nel 1860, all’indomani dell’annessione di Milano al regno sabaudo, sarà riscattato dall’amministrazione comunale. Negli anni successivi, a partire dal 1872, iniziò il restauro; quindi, nel 1886, su indicazione dall’architetto Luca Beltrami, si lavorò al rifacimento della facciata su piazza della Scala. Nell’agosto del 1943, Palazzo Marino fu devastato dai bombardamenti e restaurato a partire dal 1948. Galeazzo Alessi (1512-1572), al quale si deve l’idea architettonica
Immagine di Andrea Scuratti - Comune di Milano
di Palazzo Marino, era un esponente del Manierismo, dotato di una fantasia figurale estrosa, capace di interpretazioni spregiudicate e intellettualistiche (vedasi a Genova Villa Cambiaso), ma con un senso decorativo vicino alla sensibilità barocca. A differenza delle altre dimore milanesi, Palazzo Marino è completamente isolato sui quattro lati. L’edificio, con facciate nelle quali si apre un por-
tone fiancheggiato da colonne binate e sormontato da un grandioso balcone, si eleva a tre ordini: dorico l’inferiore, ionico il secondo, corinzio quello superiore, con erme che sostengono il ricco cornicione di coronamento e finestre a timpano triangolare. Quella su via Marino, a soli due ordini, doveva essere la fronte principale, poiché rivolta verso il centro della città, ma non fu
portata a termine al tempo di Marino e completata solo successivamente. Il cortile d’onore vero capolavoro del Manierismo ed espressione piena dell’architettura alessiana è il cortile d’onore: di forma quadrata, con doppio loggiato a colonne tuscaniche binate in basso e a larghi pilastri scavati da nicchie e delimitati da erme in alto, presenta una decorazione fantastica a cariatidi, mensole, va-
Palazzo della Ragione Broletto e Piazza dei Mercanti
Anna Guainazzi
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’è una piazza nel cuore di Milano, un po’ nascosta agli occhi dei più, dove è possibile respirare un’atmosfera che riporta ai secoli passati. All’età dei comuni, quando l’attività economica e commerciale della città prosperava proprio Piazza Mercanti era protagonista di questo fervore. In Piazza Mercanti, infatti, l’età comunale, quella della signoria e la dominazio-
ne spagnola hanno lasciato impronte molto importanti. La piazza ebbe origine nel 1228, quando i Rettori del Comune deliberarono la costruzione di un nuovo broletto nel centro cittadino, in sostituzione del vecchio. Broletto deriva da Brolo, che nell’alto medioevo indicava un prato alberato dove si esercitava la giustizia. Milano ebbe tre broletti: il più antico è il piccolo brolo contiguo all’arcivescovado e alla cattedrale, dove oggi sorge Palazzo Reale; il secondo detto Nuovo che
sorgeva appunto in Piazza Mercanti e fu utilizzato fino al 1776 e il terzo, o Nuovissimo, nella corsia di San Marcellino, oggi via Broletto. Proprio nel prato di Piazza Mercanti fu eretto il Palazzo della Ragione con lo scopo di ospitare arbitraggi e ordinanze. L’edificio ha una pianta rettangolare che si apre come una vera e propria piazza coperta, con due ampie navate di portici. I portici sono costituiti da sette archi nei lati maggiori e da due in quelli minori, posti su grossi pilastri di pietra. Proprio qui cominciò la tradizionale fiera degli “O bej, O bej”. Nel 1770, per volere di Maria Teresa d’Austria, l’edificio fu sopraelevato di un piano, divenendo sede dell’Archivio Notarile e raccogliendo tutte le carte depositate presso i notai di Milano e della provincia fino al 1961. Il piano superiore presenta in facciata, verso la piazza, cinque grandi trifore, asimmetriche rispetto alle arcate sottostanti ed una finestrella ad arco tondo con l’altorilievo di Oldrado da Tresseno, colui che volle la costruzione del Palazzo e la lapide a suo nome. Le fi-
nestre sono incorniciate da cordonature in cotto con arco di mattoni e pietra, e racchiudono tre archetti minori appoggiati su colonne con capitelli a foglie. Nel 1854, su progetto dell’architetto Enrico Terzaghi, il portico del pianterreno fu chiuso con delle vetrate sostenute da tralicci di ghisa e il soffitto fu poi sostituito da archi a volte a vela. Nel 1939 il Comune di Milano diventò proprietario del Palazzo della Ragione e della Casa Panigarola, importante edificio situato in Piazza dei Mercanti, che ospitava l’ufficio degli Statuti dove venivano registrati gli atti della Signoria e dell’Amministrazione pubblica. Negli anni Ottanta Palazzo della Ragione è stato oggetto di lavori di consolidamento strutturale, restauro conservativo e architettonico. Da questo momento in avanti è stato utilizzato come spazio espositivo per mostre di vario genere tra cui, Steve McCurry. Attualmente sono esposte 300 fotografie realizzate tra il 1945 e il 1950 da un giovane Stanley Kubrick sulla vita americana di quel tempo.
si, greche ecc., che domina l’insieme con la sua esuberanza plastica. Le decorazioni presenti trattano due temi: quello dell’esaltazione dell’eroe attraverso la narrazione delle gesta di Ercole, nel registro inferiore, e quello della forza dell’amore nei suoi diversi aspetti, nel registro superiore, con spunti dalle Metamorfosi di Ovidio. La Sala Alessi è l’attuale salone di rappresentanza del Palazzo. Gli affreschi, i cui originali risalgono al 1568, sono allegorie mitologiche. Ai lati si trovano le Muse, negli ovali tra le pareti e la volta ci sono le Stagioni. Il cielo è sorretto dalle Cariatidi. I due grandi portali, che campeggiano sui lati minori, ospitano nel timpano curvo due busti di Marte e Minerva. Sopra le finestre vi sono quattro bassorilievi: l’aurora, il giorno, il crepuscolo e la notte. Sui lati lungo la volta spic-
cano quattro grandi bassorilievi che simboleggiano aria, terra, acqua e fuoco. Nella sala che oggi è diventata aula consigliare, l’arredamento è in noce e dal soffitto pendono quattro grandi lampadari in bronzo fuso. E’ presente anche lo stemma del Comune, risalente al XII secolo, e ai lati, in marmo, i simboli delle sei antiche porte della città. La Sala Verde si chiama così per il colore del ricco damasco che ne ricopre le pareti. Qui si dice che sia nata Marianna de Leyva, la famosa Monaca di Monza, la cui storia fu ripresa dal Manzoni nei “Promessi Sposi”. Le visite guidate a Palazzo Marino (gruppi da un minimo di 5 a un massimo di 20 persone) sono gratuite ma è necessario prenotare contattando telefonicamente il servizio allo 02.88456617 oppure allo 02.88456012.
UNA NOVITÁ OK ARTE
“SELL ART”
di Clara Bartolini
Tra le tante iniziative che Ok Arte ha cercato di offrire ai lettori per arricchire le sue proposte e premiare la fedeltà e l’interesse dimostrato dall’aumento di visitatori nel sito, eccone una che ci pare certamente interessante. In questo numero, infatti, segnaliamo sulla “home page” www.okarte.org la presenza dello spazio “SELL ART”, che da ora, accompagnerà sempre il giornale. Come potete immaginare, questo spazio accoglierà un certo numero di artisti scelti da me e da altri curatori, tra quanti ne faranno richiesta. Ok Arte non desidera sostituirsi ad una Galleria d’arte, piuttosto creare visibilità e dare maggiori opportunità di vendita a un numero esiguo di artisti accuratamente selezionati onde non vanificare, accogliendo un numero eccessivo di richieste, la possibilità di essere sempre in vetrina. Per cominciare, vedrete comparire nello spazio le opere di un artista fotografo che stimiamo, Nicola Brindicci, al quale siamo legati da una grande amicizia. Conoscendoci, ci ha dato subito la sua fiducia. Io stessa terrò compagnia a Nicola per il battesimo del progetto. Non abbiamo voluto fare proseliti prima di aver pubblicato la notizia, per concedere la possibilità di “esserci” al maggior numero di artisti, poiché già in molti ci sembravano interessati, data l’esiguità dei posti disponibili in questo momento. Chi volesse aderire povrà inviare la richiesta a info@okarte.org, specificando di voler far parte degli artisti di “SELL ART”. Gli sarà inviato via mail un modulo da compilare, per ottenere un servizio in abbonamento della durata di un anno, sul modulo tutti i dettagli dell’accordo ed il costo di partecipazione, molto contenuto. Nel sito vi potranno essere dodici opere per ogni artista, la biografia, il curriculum, le recensioni e, naturalmente, i prezzi concernenti ogni opera. Siamo certi di farvi cosa gradita offrendo questa nuova opportunità, questa nuova vetrina visibile da un vasto numero di utenti. E sempre di più saranno anche grazie a questa iniziativa. www.okarte.org
Bar Il Cortiletto di Achille Cennami all’interno dell’Accademia di Brera
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Arte
Villa Borromeo di Senago: i tesori dalla Russia Il fascino della terra russa attraverso le tele di sette pittori Un appuntamento da non perdere anche per visitare le bellezze della Villa
Ugo Perugini
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illa San Carlo Borromeo di Senago rappresenta un complesso importante e prestigioso sia dal punto di vista storico e artistico, per gli edifici e le opere che ospita, sia dal punto di vista naturale, per lo splendido parco (11 ettari) che la circonda. Qualche cenno storico non guasta. Nell’VIII secolo prima di Cristo fu scelta come insediamento da parte dei Celti, divenne una roccaforte sotto Cesare e fu trasformata in fortezza dai Longobardi. Divenne un palazzo, chiuso sui quattro lati, nel corso del Trecento
Ghiacciaia, che si presenta tenzione al dettaglio, tutti come una cattedrale semi- con l’intento di esprimere sotterranea, dalla peschiera lo spirito libero di chi vuoe da un percorso sotterra- le valorizzare la memoria neo che attraversa l’intero di un grande Paese amato Parco. Gli interventi, sem- per quello che è, al di fuopre svolti con accuratezza ri di ideologie o preconcete rispetto delle scelte ori- ti. Citiamo i nomi di questi ginarie, hanno riguarda- artisti, tutti assai apprezto le sculture, i camini, le zati a livello internazioarcate, gli stemmi, le pit- nale: Konstantin Antipov, ture, i marmi, ecc. Oggi Nikolaj Christoljubov, Josif Villa San Carlo Borromeo Gurwic, Alekseij Lazykin, è un bene completamen- Andrej Lyssenko, Valentin te valorizzato e rappre- Tereshenko e Grigorij senta, oltre all’icona del Zejtlin. Attraverso le opesecondo Rinascimento, an- re esposte il visitatore che un Palazzo culturale e potrà compiere uno splenartistico importante, una dido viaggio nella Russia location prestigiosa per del Novecento: da San incontri, seminari, even- Pietroburgo, ai paesaggi ti, congressi con un Museo fluviali della Mojka e della Neva; dai porti ai paesaggi lacustri del Bajkal, dell’Altaj, del Mar Nero, della Crimea, di Gurzuf con la baia Cechov, senza dimenticare l’entroterra con il promontorio Deznev e i suoi tramonti, il golfo di Taganrok e le sue sco-
gliere. E, infine, il grande fiume Volga, la Moscova, l’Oka, i fiordi di Murmansk e i crepuscoli sulle rive del Protva e del Kama.
Il Museo è aperto tutti i giorni escluso il lunedì dalle ore 10 fino alle 20. Il biglietto di ingresso intero costa 8 euro, ridot-
to 5,50 (fino ai 13 anni e al di sopra dei 65). Per ulteriori informazioni e prenotazioni, telefonare allo 02.994741, 02.99825674.
Carcere giudiziario di San Vittore Rosa Parisi
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Lyssenko Andrej, Scogliere, olio su cartone, 50x70, 1959
sotto i Visconti ma fu con permanente e uno dedicaFederico Borromeo, prima, to a mostre di particolare e Giberto, poi, che prese rilevanza artistica, senl’aspetto della grande vil- za dimenticare la presenza la che conosciamo, ricca di un hotel a 5 stelle lusdi arredi, lampadari, opere so, un ristorante e un caffè. d’arte. Numerosi sono stati nel tempo gli interven- “Tesori della Russia. ti di restauro. Tra gli altri Il cielo, il mare, la terra” ricordiamo quello del 1911 A partire dal febbraio di diretto da Fausto Bagatti quest’anno fino al 12 setValsecchi. La Villa fu oc- tembre il Museo di Villa cupata dalle SS durante la San Carlo Borromeo di Repubblica di Salò e su- Senago ospita una mostra bì non pochi danni. Nel di cinquanta opere di pit1983 la famiglia Borromeo tori russi provenienti dalla cedette all’Università la più importante raccolta internazionale del secon- privata d’opere d’arte esido Rinascimento che ini- stente fuori della Russia. ziò una serie di restauri Sono opere del Novecento, che portarono alla sistema- esposte in precedenza zione del terrazzo, del tet- al Maschio Angioino di to, degli infissi e del parco, Napoli, che rappresentache versavano in uno stato no i diversi, e spesso condi grave degrado. Restauri trastanti, paesaggi di un che continuano ancor Paese vastissimo, dal Mar oggi sotto la Direzione Baltico al porto di Odessa della Soprintendenza fino ai mari del Nord in ai Beni Ambientali e tempesta. Sono sette gli arArchitettonici di Milano. tisti che hanno rappresenL’imponente struttura tato la loro terra, ognuno è composta, oltre che con il proprio stile e con la dall’edificio principale, da propria particolare visiotre Musei (Sant’Ambrogio, ne della natura, alcuni con Sant’Eustorgio, San Pro- un più accentuato aspettasio), dal Museo della to nostalgico, altri con l’at-
ella Milano di metà Ottocento il dibattito sulle forme carcerarie affermava che la promiscuità favoriva l’attitudine a delinquere. Si cominciarono quindi a progettare carceri dotate di celle singole, per questo dette “cellulari o cellari”. Nella nostra città il risultato più evidente del lungo percorso di regolamentazione degli stabilimenti penali fu la costruzione del carcere di San Vittore. Il carcere fu costruito sul modello americano, cosiddetto panottico, con un corpo centrale e sei bracci o raggi che si dipartivano da esso. Le disastrose condizioni delle prigioni indussero il Governo italiano nel 1864 a ordinare la costruzione di un carcere sopra un’area di cinquantamila metri quadrati presso la chiesa di San Vittore. Il Comune si impegnava a costruire il carcere secondo il progetto redatto tra il 1865 e il 1867 dai tecnici del Genio civile guidati dall’ingegnere capo Francesco Lucca. Il nuovo edificio doveva sorgere entro la cerchia dei bastioni tra porta Genova e Magenta, occupava un’area di forma pentagonale di 49.695 mq con una fronte in via Filangieri, perfettamente isolata e tutta circondata da muro di cinta ai cui vertici si trovavano cinque torrette ad uso di garitta. Il complesso carcerario era costituito da tre distinti corpi di fabbrica: uno anteriore verso piazza Filangieri destinato agli uffici e agli alloggi del personale; uno intermedio con
diverse destinazioni (tra cui uffici della direzione carceraria, sale dei giudici e avvocati, parlatori, magazzini, bagni ed infermerie, dormitori dei guardiani); e il terzo di forma panottica o a raggi per le celle dei detenuti. Al centro del terzo edificio si trovava una grande rotonda, da cui si diramavano sei raggi (lunghi m. 62,50, larghi m. 16 e alti m. 18,80), contenenti ognuno 100 celle disposte su tre piani; nel sottotetto vi era un quarto ordine di celle più piccole da utilizzarsi in caso di necessità. Le celle misuravano per lo più m. 2,30 x 4,30, erano alte m. 3,40 ed erano dotate di una finestra a strombo che impediva la visuale esterna. I corridoi dei diversi raggi convergevano alla rotonda centrale, dove si trovava l’osservatorio, costituito da un poligono
di sedici lati coperto da una cupola. Nei cortili che circondavano gli edifici erano distribuite otto cosiddette “rose di passeggio” a pianta circolare per l’ora d’aria dei detenuti La direzione lavori venne affidata all’ingegnere Francesco Lucca e poi dall’ingegnere Antonio Cantalupi, in seguito alla morte del Lucca. Tra numerose difficoltà, con verbale del 13 maggio 1879, il carcere veniva dichiarato agibile. Il giorno 24 giugno ebbe inizio alla traduzione dei detenuti dalle varie carceri cittadine e il 10 luglio il nuovo carcere cellulare poteva considerarsi definitivamente attivato. Le spese di costruzione dell’edificio ammontarono complessivamente a L. 2.800.000 Durante il periodo bellico il carcere di San Vittore fu soggetto in parte alla giurisdizione delle S.S. tedesche
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che controllavano e gestivano uno dei suoi “bracci”. In un documento ufficiale del 1944 si legge :”... Nel carcere esiste un braccio tedesco ed un tribunale germanico. Questo giudica i cittadini italiani colà ristretti non secondo le leggi italiane, e quindi non applica le pene stabilite nel codice e nella procedura del diritto penale italiano o militare, a seconda dei casi. Le pene inflitte sono ordinariamente quelle detentive. I detenuti ristretti nelle sezioni tedesche, sui quali l’autorità italiana non ha alcuna influenza, sono soggetti ai regolamenti germanici ...” Dei molti detenuti entrati e usciti dal “braccio tedesco” di San Vittore si trova testimonianza nei registri di iscrizione (libri matricola) che sono custoditi presso diversi istituti di conservazione.
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Paesaggi Ottocenteschi Alla Villa Reale di Monza la rivoluzione del XIX secolo Negli affreschi l’amara vicenda di “Amore e Psiche”
Mauro De Sanctis
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i deve arrivare a Monza verso mezzogiorno. Il muro che costeggia la corte antistante la Villa Reale copre la visuale sul monumento e offre un estremo riparo dal sole già alto. Ma, al cancello d’ingresso, i rag-
gi decisi delle ore mediane del giorno aprono la scena allo sguardo, quasi intimorito nel farsi strada sul vasto tappeto verde delle aiuole, al termine del quale rimane immobile nella sua serena maestà il palazzo settecentesco. D’altra parte, un edificio del XVIII secolo sta nella piena luce come
nel suo elemento naturale (per questo, volendoli mettere in difficoltà, bisogna sorprenderli la sera).Per raggiungere il Serrone – prosecuzione dell’ala nord della costruzione, dove dal 20 marzo scorso e sino all’11 luglio sarà ospitata la mostra “Il paesaggio
dell’800 a Villa Reale” curata da Ferdinando Mazzocca, si attraversa un giardino la cui prima vista restituisce un’impressione di ordinata stanchezza, come l’ultimo orgoglio di un’anziana nobildonna che si mantiene civettuola nonostante l’età. La mostra, promossa dalla Rete Museale dell’Ottocento
Lombardo e realizzata dal Comune di Monza insieme al Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, riunisce 90 dipinti provenienti da raccolte pubbliche e musei di tutta la Lombardia, testimonianze della viva ed appassionata attenzione che l’intero arco dell’Ottocento
lombardo ha destinato alla raffigurazione del paesaggio, all’ambiente naturale e al rapporto che l’uomo ha instaurato con esso: a partire dal Neoclassicismo, passando dal Romanticismo, sino al Realismo e al Simbolismo. Durante il XIX secolo succede qualcosa, e qualcosa di molto grave. E
forse non è un caso – o, più probabilmente, dobbiamo ancora una volta confidare nei disegni del Caso – che il centro e il luogo di svolta fisico e ideale della mostra sia situato nella Rotonda piermariniana che unisce il Serrone all’ala settentrionale del palazzo: gli affreschi dell’Appiani che decorano la sala ottagonale (e che da soli valgono il prezzo del biglietto) narrano la vicenda di Amore e Psiche; e la vicenda di Amore e Psiche dice con la voce dell’antichità ciò che nella storia dell’uomo torna sempre di nuovo a ripetersi, fino all’età moderna, fino all’Ottocento, fino a oggi: la storia di uno sguardo negato, di una trasgressione, di una perdita irreparabile. Il Neoclassicismo ha steso il velo, e ne ha cercato la trasparenza tracciando immagini sorte sul limitare di idea e idolo. Il Romanticismo non poteva accontentarsi di un incontro differito, e ha squarciato il velo, verso l’alto e verso il basso: verso l’ideale e verso il materiale. Voleva vedere, voleva gettare lo sguardo sul volto per sempre nascosto dietro il velo, così come Psiche volle sfidare il Dovere osando guardare l’amato. Così Amore scap-
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La famiglia Trabattoni sarà lieta di ospitarvi nel proprio ristorante per qualsiasi occasione: cene intime al “chiaro di luna”, pranzi nuziali e banchetti (battesimi, comunioni, cresime e cene aziendali). Vi offre l’esperienza e la disponibilità che da oltre 30 anni caratterizzano questo locale immerso nel verde e con un meraviglioso panorama sul fiume Adda. Il ristorante è facilmente raggiungibile sia da Bergamo che da Milano tramite l’autostrada A4, uscita Capriate La famiglia Trabattoni
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in un’infinità di immagini, pure rifrazioni di luce entro le quali la dinamica dell’ordine perde ogni possibile struttura lineare per organizzarsi in fasci di flusso e interconnessioni. Siamo stati accompagnati all’ingresso dall’inchino sereno del Settecento; veniamo risputati fuori verso l’inquietudine sempre più priva di ormeggi degli ultimi centodieci anni. Davvero, là dentro, qualcosa è accaduto. In occasione della mostra – il sabato, la domenica e i festivi – sarà possibile visitare gli spazi interni della Villa Reale, incluse le sale di rappresentanza del piano nobile recentemente restaurate. Una serie di appuntamenti musicali, teatrali e letterari si terrà, inoltre, presso il Teatrino della Villa Reale secondo un calendario consultabile sul sito www.rete800lombardo.it.
Libri d’artista
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pò, e fu perso per sempre. Ancora una volta. Da allora l’Ottocento l’ha continuato ad inseguire – come Psiche insegue ancora Amore –, il Realismo cercando nella vita delle cose e nel respiro della Storia di trovare il volto del Soggetto; il Simbolismo calandosi nel caos senza pace del sogno per riportarne un discorso ordinato, una parola splendente di senso. Ma l’unità di Cosa e Idea non è più cercata con un gesto unico, Soggetto e Oggetto sono per sempre ridotti in pezzi, la fuga del solo verso il Solo ha assunto le sembianze di una nube di polvere che passi su di una statua invisibile, e sempre non finita. All’uscita dal Serrone, le passerelle pensili che attraversano il giardino sovrastano specchi d’acqua i quali, mossi dal passo di chi li attraversa, restituiscono il paesaggio infranto
Fabrizio Gilardi
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alazzo Reale con l’organizzazione dell’Assessorato alla cultura del Comune di Milano e con la collaborazione di ACACIA, associazione di collezionisti e amici dell’arte contemporanea di cui già ci siamo occupati su queste pagine, ci presenta, dal 24 marzo al 10 giugno, una mostra insolita. Si tratta di “Libri d’artista della collezione Consolandi 19192009”, un cammino che ci propone opere di molti dei massimi nomi dell’arte contemporanea italiana e mondiale, circoscrivendo però il campo ai libri d’artista, un’espressione d’arte non così nota al grande pubblico. Si tratta di opere la cui forma esterna è assimilabile a quella di un libro, ma le cui modalità espressive si avvicinano maggiormente a quelle di un quadro e di una scultura, senza tuttavia tralasciare, almeno in molti casi, l’utilizzo della scrittura che tende però a farsi metalinguaggio piuttosto che essere mero codice grafico. Si tratta tuttavia di un cammino in corso e ancora relativamente giovane, essendosi sviluppato soprattutto a partire dalle prime avanguardie novecentesche, anche se non erano mancati tentativi precedenti. In numerosi casi i libri d’artista si avvicinano ancora a un album di disegni e altre volte
a un catalogo fotografico. Il percorso della mostra si snoda su quattro sale che già di per se meritano una visita, anche solo di ripasso, per chi avesse avuto modo di vederle in passato. Si parte dalle due Sale della Reggia, rivestite dallo sfarzo di affreschi e arazzi, per proseguire nella Sala del Centro Tavola con una miniatura in marmo, onice, pietre e
ma di aspetto e formato assai comuni. Dall’inizio alla fine vi sono stampate solo le cifre che rappresentano ogni singolo anno a partire da 1.000.000 B.C. fino al 2000 A.D. scritti uno di seguito all’altro. Il senso di vertigine materializzato! I due curatori della mostra sono Giorgio Maffei, esperto di rapporti tra il mondo dell’editoria e quel-
Damien Hirst, I Want to Spend the Rest of My Life Everywhere, with Everyone, One to One, Always, Forever, Now. London, Booth Clibborn - New York, The Monicelli Pres
bronzo dorato, lunga diversi metri, rappresentazione di un foro romano con templi, statue e mezzi di trasporto dell’epoca, completata nel 1803 da Giacomo Raffaelli. La mostra si conclude poi nella Sala dei Ministri. Alla domanda: “Quale è stata l’opera che ti ha colpito maggiormente?”, la scelta cadrebbe sull’opera eseguita nel 1999 dal giapponese On Kawara “One million years”. Si tratta di un libro che lascia intuire la presenza di molte pagine
lo dell’arte, e Angela Vettese, nota critica e teorica dell’arte contemporanea. Concludiamo con una nota di merito al collezionista Consolandi che ha saputo costruire una raccolta di grande interesse, mettendola a disposizione per questa ottima mostra. La mostra è visitabile tutti i giorni, con ingresso gratutito. La chiusura è alle ore 19.30 tranne il giovedì e il sabato quando l’apertura viene prolungata fino alle 22.30.
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Villa Litta: “wasserspiele” in Lainate Il luogo dove l’arte incontra il divertimento Zampilli, sculture misteriose e getti d’acqua imprevedibili uno dei cinquantatre scherzi che compongono il sistema, percorra una tubatura lunga quasi un chilometro. Altro elemento distintivo della villa è il ninfeo: un magico regno delle acque ricreato attraverso incrostazioni di tufo, conchiglie, figure di draghi e arpie, stalattiti e stalagmiti artefatte. Un ambiente che riproduce il mondo delle grotte ma-
rine e al cui interno sono conservate statue di marmo, di bronzo, quadri del Correggio, del Bronzino e curiosità della natura e dell’arte in grado di suscitare ripetutamente la meraviglia dello spettatore. Ancora oggi, grazie all’impegno dei volontari dell’associazione “Amici di villa Litta” (per ulteriori info: Comune di Lainate, ufficio cultura, 02-
93598266) è possibile assaporare in forma praticamente invariata quello che un tempo divertiva i nobili e i notabili: grotte misteriose e spruzzi d’acqua insidiosi. Se non siete ancora convinti che valga la pena fare un salto a Lainate, sappiate che la villa raccoglie ventimila visitatori all’anno. Evidentemente loro si sono fidati delle parole di Stendhal.
Lodi Murata
Un antico sistema difensivo Un nuovo itinerario turistico Massimo Zanicchi
«C
onviene guardarsi bene dal passeggiare soli a Lainate (…) posando il piede sul primo gradino di una certa scala, sei getti d’acqua mi sono schizzati tra le gambe». Sembrano le parole di un pazzo paranoico, invece
sono di Henri-Marie Beyle. Un perfetto sconosciuto, se presentato con il suo nome di battesimo, ma oltremodo celeberrimo se introdotto con il suo nom de plume: Stendhal, celebre autore de “Il rosso e il nero”, nonché teorico della sindrome che ne porta lo pseudonimo, ovvero l’affezione psicosomatica in grado di provocare batticuore e quant’altro a soggetti particolarmente sensibili al cospetto di opere d’arte di straordinaria
bellezza. Un uomo acuto e abituato a rapportarsi al bello. Se lui, sempre riferendosi a Lainate e in particolare al giardino della villa Litta, ha scritto solennemente «mi è piaciuto» potete star certi che la visita alla suddetta villa non vi deluderà. Dopotutto stiamo parlando del parere di colui
che è considerato l’iniziatore del romanzo moderno, non del giudizio interessato di un agente immobiliare. E un agente immobiliare avrebbe di che sfregarsi le mani dalla gioia ad aver nel proprio carniere un complesso monumentale di tale portata. Basta un dato numerico a quantificarne la magnificenza: occupa una superficie di circa tre ettari che, tradotta in spazio concreto, è sufficiente a ospitare sei campi da calcio rego-
lamentari. Probabilmente proprio la sua magnificenza e i relativi costi di gestione ne hanno segnato il destino che, per oltre mezzo millennio, ha visto la villa passare da un padrone all’altro: dai Visconti fino al Comune di Lainate che ne è attuale proprietario. Un passamano di cui rimane traccia evidente nel nome completo della struttura, che per la precisione recita villa Borromeo Visconti Litta, e che ha trasformato la stessa in un luogo suggestivo caratterizzato da una serie di giochi d’acqua che la rendono unica e nulla hanno da invidiare a quelli del celebre castello di Hellbrunn nei pressi di Salisburgo. Non è un caso, dunque, che nel ricordare il proprio passaggio nella villa, Stendhal abbia concentrato la sua attenzione sul giardino e sui cosiddetti wasserspiele, divertenti miracoli d’ingegneria idraulica tanto in voga tra le famiglie dei regnanti europei nell’epoca in cui il razionalismo fece iniziare ad assaporare all’uomo la possibilità di dominare la natura. Dopo essere arrivati sulla luna ogni conquista tecnologica preesistente ci appare banale eppure quei giochi fatti di spruzzi inaspettati, per noi apparentemente tanto ingenui, ancora oggi riescono a strapparci un sorriso carico di stupore. Soprattutto se si pensa che il sistema idraulico che li alimenta rappresenta una rarità genuina. A differenza di molte fontane monumentali e scherzi d’acqua di altre ville storiche, l’impianto della Litta, infatti, è sostenuto dalla meccanica di un pozzo e non dalla forza idraulica di un ruscello o di un rivo. È incredibile pensare inoltre che l’acqua, prima di sfociare nelle nove cascate e zampillare inaspettatamente da
Ivana Metadow
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a “Lodi murata” è una città ricca di storia e di cultura, le mura perimetrali nate come difesa e confine della città, hanno oggi l’opportunità di essere riportate alla luce e di divenire un prestigioso e accurato itinerario turistico. E’ questo l’obiettivo che l’ “Associazione Lodi Murata” si prefigge. Alcuni ingegneri, fra cui Sandro De Palma , Giorgio Granati, Ernesto Carinelli, con la passione per l’archeologia e l’affetto verso il proprio territorio, hanno iniziato a scoprire una Lodi sotterranea che, dalla ricerca documentale, alle rilevazioni con strumentazioni tecnologiche avanzate, risale fino a trovare conferme concrete della esistenza di una serie di cunicoli angusti, vani interrati, passaggi segreti, archi e volte di pregio che costituiscono una città nella città. Fu grazie a Federico I di Svevia, detto il Barbarossa che dopo la distruzione di Laus Pompeia (l’attuale Lodi Vecchio) furono poste le basi per la costruzione di Lodi, era l’anno 1158. Fu quindi creato un sistema difensivo di fossati, torrioni e castelli a protezione della città, con il relativo innalzamento di mura di cinta, realizzando conseguentemente delle porte in corrispondenza delle città che all’epoca erano amiche di Lodi: Cremona e Pavia. Fino alla fine del ‘600 Lodi è stata una città murata e dentro al perimetro di quelle fortificazioni si doveva avere la possibilità di uscire senza essere visti, sono stati così costruiti cunicoli percorribili anche a cavallo. E’ chiaro che con il passare del tempo le mura subirono delle modificazioni ad opera tra l’altro dei Visconti di Milano e poi degli Sforza. La massima espansione difensiva si ha nel XVII
secolo ad opera degli spagnoli, vengono infatti costruiti importanti corpi esterni alle cinta murarie, dando una struttura stellata, tipica delle difese militari dell’epoca, estendendosi verso la campagna. Con la dominazione austriaca iniziarono i lavori di a b b at t i m e nt o. Nel XVIII secolo, per esigenze commerciali, le mura subirono nuove modifiche, rendendo più agevoli le porte di ingresso alla città. Oggi si possono osservare numerose sovrapposizioni strutturali avvenute nel corso delle diverse epoche resi necessari per consentire il passaggio di armi più grandi e per proteggere dalle azioni offensive sostenute da mezzi sempre più efficaci. Il percorso turistico dovrebbe partire dalla zona Castello, il Torrione, monumento che necessita un accurato restauro già concordato con il Comune e la Regione; il primo tratto di percorso è già esistente, va solo ripulito. Sotto l’ex convento di San Domenico è stata scoperta una sala sotterranea lunga 26 metri con 7 colonne, la Sala delle Colonne appunto (nella foto una ricostruzione al computer). Per deduzione dai reperti storici si può presupporre che in quella stessa sala sia stata firmata nel 1454 la pace che poneva fine alla guerra di successione per il Ducato di Milano. Attraverso l’utilizzo del Geo-radar è stato possibile scoprire cunicoli, passaggi
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sotterranei e prigioni, alcuni dei quali non ancora accessibili, altri che non verranno mai aperti al pubblico, come quelli sotto il Palazzo Modigliani: è chiaro che non si può smantellare la città per fare riemergere antiche vestigia. Con la tecnica del Georadar è stato possibile rilevare ambienti di collegamento che dal sagrato sotto la Cattedrale, con molta probabilità, si estendono sotto il portico dell’attiguo Palazzo Comunale e si diramano poi verso altri cunicoli sotterranei. L’Associazione Lodi Murata con l’appoggio anche dell’Amministrazione competente, la Soprintendenza ai beni culturali si prefigge l’obiettivo di restituire la memoria storica del passato al presente attraverso un itinerario turistico, ristrutturando antiche costruzioni e rendendo agevoli e sicuri percorsi sotterranei.
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La poetessa Alda Merini Un personaggio indimenticabile
Dalla Milano dei Navigli alla fama internazionale
Clara Bartolini
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el 53, per chi non lo sapesse, Alda Merini aveva ventidue anni. Fu allora che l’editore Arturo Schwarz pubblicò quattro plaquette di poesie di Alda che lo avevano entusiasmato. In men che non si dica, questo le permise di essere inserita nelle più importanti antologie di poesia del 900 curate da Salvatore Quasimodo e Giacinto Spagnoletti. Ben presto però la vita della Merini subisce un grave colpo, la fine di un grande amore la scaraventa in una fortissima depressione che, in quell’epoca, fu scambiata per follia. La recludono in manicomio e vi resta a lungo, oltre dieci anni. Sparisce dalla scena per ritornarvi solo nel 1986. E’ di allora il nuovo libro “L’altra verità, Diario di una diversa” edito da Vanni Scheiwiller. Nell’Ottantotto esce anche “Testamento” edito da Crocetti. Pare che tutto ricominci ma il personaggio è di quelli difficili, scomodi, si potrebbe dire e, per un certo periodo, tutti la evitano. E’ allora che accade qualche cosa che cambia le carte in tavola, un incontro inaspettato, come tutti gli incontri che lasciano il segno. Proprio nel 1989 Gerardo Mastrullo diviene il direttore della Libreria Garzanti in Galleria a Milano. E’ lui che ci racconta il suo incontro con la Merini. “Ero direttore della libreria e parlavo spesso con tutti quelli che la frequentavano, fu così che conobbi Alda. Dopo alcuni approcci iniziali cominciò a diventare un’abitudine averla in libreria. Voleva essere invitata al bar, dovevo assolutamente offrirle un caffè, una bottiglia di acqua minerale e una brio-
che, era così che mi guadagnavo le sue poesie, seduti a un tavolino, mentre lei fumava frettolosamente alcune Marlboro a cui aveva tolto il filtro. Perché, non avendo i soldi per cambiare il nastro della macchina da scrivere Olivetti, le poesie preferiva dettarle. Quando scriveva a macchina, lo faceva mettendo tra due fogli la carta copiativa, in pratica senza vedere, per questo le sue pagine sono piene di errori. Eravamo diventati amici, un rapporto di odio e amore come sapeva risvegliare lei, con quella sua personalità pro-
rompente e sensuale. Era difficile resisterle, era veramente coinvolgente. Lei dettava davanti alla brioche che mangiava appena, a un caffè che appena sorseggiava come l’acqua minerale, tant’è, senza non si cominciava. Io scrivevo pagine e pagine, tante ne possiedo ancora mai editate, mentre lei accendeva una sigaretta dopo l’altra. Nel novantadue, l’amico Guido Spaini organizzatore di una Fiera del libro per piccoli editori, mi convinse a mettere insieme i più piccoli e lontani da presentare alla seconda o terza edizione della manifestazione “Parole nel tempo”, realizzata a Belgioioso,
vicino Pavia. Fu così che anch’io creai la mia piccola casa editrice, e intervenni proponendo una raccolta di poesie della Merini, una piccola parte di quelle che mi aveva dettato dal titolo: “Ipotenusa d’amore”. Un amico mi propose il disegno di un camaleonte, una bellissima incisione, lo adottai subito come logo della casa editrice alla quale diedi il nome di ”La vita felice”. Questo libro, compariva sulla scena dopo quattro anni di assenza dal mercato della Merini. Per questo ebbe, probabilmente, un grande successo, e portò tanta visibilità a entrambi. Il secondo libro della casa editrice s’intitolava “Titano”, dal nome di un barbone del quale era probabilmente “innamorata” Alda. Lo invitava spesso a casa sua a dormire. Se fosse un amore vero o immaginario, è difficile dire, almeno era un uomo in carne e ossa. Spesso gli amori che raccontava erano assolutamente immaginari. Da quel momento la sua popolarità sale alle stelle. Costanzo la invita in TV ed io la accompagno a Roma e a molte altre presentazioni. In breve diventa un vero “personaggio”. Molti la invidiavano per questi successi, e per la sua capacità di ascoltare la radio o vedere un telegiornale e subito scrivere una poesia che scivolava via facile e si faceva capire da tutti.” Un incontro davvero speciale quello della Merini e Mastrullo, un incontro di “affinità elettive”, certamente fortunato per entrambi, lui con la sua casa editrice uscita con il libro giusto al momento giusto, lei che grazie alle poesie dettate arriva
veramente alla fama. Da allora gli incontri importanti si sprecano: la corteggiano la Rizzoli, Einaudi, vince con Lucio Dalla il premio Guggenheim “Eugenio Montale” per la poesia e poi molti altri ancora. Dopo tutto questo, date le ristrettezze nelle quali vive, le viene finalmente offerto un vitalizio come quello istituito a favore di Bacchelli. Mastrullo, anche per gli impegni di lavoro, decide allora di farsi da parte, e la lascia elegantemente giocare con la fama. Il fascino della Merini colpiva chiunque la incontrasse. Gabriela Fantato, poetessa che ha
scritto molto sulla Merini, ce la racconta con sensibilità e acutezza femminili. Le chiedo, come l’ha conosciuta e cosa l’ha colpita maggiormente? “l’ho incontrata nel 92 durante una lettura in pubblico alla quale ero stata invitata, la sua voce era come un sussurro, quasi recitasse una preghiera, un flebile lamento, come se la voce arrivasse da molto lontano.” Che cosa ritiene fosse importante per lei? “ Nella vita voleva piacere, era molto seduttiva, molto femminile, anche se spesso affermava di essere Orfeo ed Euridice insieme, ed era vero. Essere seduttiva era il suo modo di attirare quell’amore che diceva di non avere mai avuto. Non somigliava a nessuna donna che avessi conosciuto e, infatti, si considera diversa, diceva di avere le stigmate, è scritto anche nel libro “Reato di vita”, curato da Luisella Veroli. Si considerava una donna visitata dal divino. Era sempre in bilico tra la realtà e l’altrove, un oltre vasto dal quale attingeva le sue profondità, la sua sensibilità particolare, le sue poesie più bel-
le, quasi le fossero dettate, quasi giacessero dentro di lei e lei scendesse nelle profondità a raccoglierle. Se mi chiede dove ci somigliavamo come donne e come poetesse, io devo confessare che mi sento molto diversa da Alda Merini, ma mi pare necessario dire che la sua profondità non è stata il risultato della pazzia o l’effetto che il manicomio ha avuto su di lei. Certamente erano doti che aveva da prima, da sempre: gli anni di manicomio le avevano solo accentuate. Alda scriveva in modo vaticinante, per questo forse alcuni la
Alda Merini-Michelle Hunziker e Giovanni Nuti
consideravano un’esaltata, in realtà era una donna che possedeva un mondo immenso dentro di sé che, forse, a molti faceva anche paura, per cui evitare lei era come evitare la parte sconosciuta che ci abita e che spesso non si vuole incontrare e scoprire. In “Delirio amoroso” Merini scriveva: “Il manicomio è come l’arena del mare, se entra nelle valve di un’ostrica genera perle”. Il manicomio aveva accelerato la crescita della perla, una perla rara che comunque le apparteneva. Se mi chiede quale sia il libro della Merini che preferisco, direi che “Vuoto d’amore” sia il suo capolavoro.” Ringraziamo Gabriela Fantato e l’editore Mastrullo per averci proposto nuovi tasselli per comporre l’immagine di una delle poetesse italiane più amate del nostro tempo.
SERATE MUSICALI Lunedì 24 maggio 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio - Via Conservatorio, 12 – MI) “PROGETTO K. SZYMANOVSKI” Violinista DOROTA ANDERSZEWSKA Pianista PIOTR ANDERSZEWSKI Soprano IWONA SOBOTKA L. JANACEK Dans les brumes per pianoforte K. SZYMANOWSKI Sopiewnie (Soprano Iwona Sobotka) Miti per violino e pianoforte L. JANACEK Sonata per violino e pianoforte B. BARTOK 3 Canzoni popolari per pianoforte K. SZYMANOWSKI Chants de princesse de conte de fée (Soprano Iwona Sobotka) Biglietti: Intero € 15,00 – Ridotto € 10,00
Lunedì 31 maggio 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio), F. CHOPIN Notturno op.15 no 3 in sol minore Ballata op.23 no 1 in sol minore Notturno op.15 no 1 in fa maggiore Ballata op.38 no2 in fa maggiore Notturno op.9 no 2 in mi bemolle maggiore Notturno op. 48 no1 in do minore Ballata op.47 no 3 in la bemolle maggiore Notturno op.55 no 1 in fa minore Ballata op. 52 no 4 in fa minore Berceuse op.57 in re bemolle maggiore Notturno op.15 no 2 in fa diesis maggiore Barcarola op.60 in fa diesis maggiore Biglietti: Intero € 15,00 – Ridotto € 10,00
Lunedì 7 giugno 2010 - ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio), “PROGETTO CHOPIN” Chopin a Majorca Pianista SA CHEN F. CHOPIN 24 Preludi op. 28 Barcarola in fa diesis maggiore op. 60 Berceuse in re bemolle maggiore op. 57 Scherzo n. 3 in do diesis minore op. 39 Biglietti: Intero € 15,00 – Ridotto € 10,00
Giovedì 10 giugno 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio), ORCHESTRA SINFONICA ACCADEMIA DELLE OPERE – Direttore ALESSANDRO FERRARI
P. I. CIAIKOVSKI Concerto per violino e orchestra op. 35 F. MENDELSSOHN Sinfonia n. 3 op. 56 “Scozzese” Biglietti: Intero € 20,00 – Ridotto € 15,00
Lunedì 14 giugno 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio) Pianista TILL FELLNER L. v. BEETHOVEN Sonata n. 30 in mi maggiore op. 109 Sonata n. 31 in la bemolle maggiore op. 110 Sonata n. 32 in do minore op. 111 Biglietti: Intero € 15,00 – Ridotto € 10,00
Venerdì 1 ottobre 2010 – ore 20.30 (Teatro Dal Verme – Via San Giovanni sul Muro, 2 – MI) ORCHESTRA FILARMONICA DI BACAU Direttore OVIDIU BALAN Pianista EMILIO AVERSANO R. SCHUMANN Concerto in la minore op. 54 W. A. MOZART Concerto in la maggiore K 488 P. I. CIAIKOVSKI Concerto n. 1 in si bemolle minore op. 23 F. LISZT Concerto n. 2 in la maggiore S. RACHMANINOV Concerto n. 2 in do minore op. 18 Biglietti: Intero € 20,00 – Ridotto € 15,00
Lunedì 25 ottobre 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio) Pianista SIMON TRPCESKI Biglietti: Intero € 15,00 – Ridotto € 10,00
Lunedì 22 novembre – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio) Violinista YUUKO SHIOKAWA Pianista ANDRAS SCHIFF J. S. BACH Sonata da definire F. BUSONI Sonata per violino e pianoforte n. 2 in mi minore op. 36A(1898) L. v. BEETHOVEN Sonata per violino e pianoforte n. 10 sol maggiore op. 96 Biglietti: Intero € 25,00 – Ridotto € 20,00
per informazioni e prenotazioni: serate musicali uff. biglietteria tel: 02/29409724 dal lun. al ven. 10.0-17.00 e-mail: biglietteria@seratemusicali.it - sito: www.seratemusicali.it
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Arte
1° Rassegna di Arte Sacra
Lodi Vecchio apre un nuovo museo Ivana Metadow
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i è appena conclusa a Lodi Vecchio la “1° Rassegna di arte sacra”, un nuovo progetto che l’Assessore alla Cultura sta cercando di realizzare, destinando l’Ex Conventino a Museo permanente della città. Sorge davanti ai resti della Cattedrale di Santa Maria questo ex convento di suore del XVII secolo, una proprietà che il Comune ha acquistato nel 1998, recuperandola al degrado. Una costruzione che deve il suo fascino agli attigui resti archeologici della Cattedrale, rendendo affascinante e misterioso quel piccolo angolo di Lodi Vecchio. “L’Ex Conventino è Stargate, rappresenta il confine fra passato e presente”, così dichiara l’As-
sessore alla cultura Daniele Fabiano, e continua affermando che “Fare dell’Ex Conventino un museo significa creare occasioni ed eventi legati alla pittura, alla scultura, alla poesia, alla musica, insomma all’arte in tutta le sue espressioni”. Il progetto è piaciuto anche all’Accademia di Brera che ha richiesto lo spazio. Sono previste mostre a tema: una di pittura sull’acqua, una fotografica sul Lambro e poi sculture e la collaudata “Poesia nel quadro” concorso nazionale giunto quest’anno alla sua diciasettesima edizione, un regalo a chi vuole leggere la parola dipinta. La mostra di arte sacra ha condotto pittori lodigiani, e non solo, a esporre la propria visione della fede e del divino, rapportato anche ad
avvenimenti quotidiani come il terremoto dell’Aquila e ad una nuova visione della religiosità multietnica, il tutto ben rappresentato in un dipinto “Ecco l’uomo” di Angelo Scotti, curatore della mostra stessa. Multietnicità descritta anche da Luigi Poletti, una Madonna Nigeriana intitolata “Preghiera”, dipinta con la terra dell’Africa, così reale che pare voglia uscire dalla tela, liberando tutta il suo sereno misticismo. Molto particolare una via Crucis in cotto su 14 pannelli, un volto raffigurante la Sacra Sindone e soprattutto alcuni dipinti concessi dalla Pinacoteca Meazza, come un olio su tela anonimo, che raffigura il pittore di spalle che dipinge la curiosità di San Tommaso mentre inseri-
InterpretArti Isabella De Matteis
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ascina Roma dal 7 al 13 Giugno ospita la mostra dei lavori partecipanti al concorso per giovani artisti InterpretArti, giunto alla quinta edizione e organizzato dall’Associazione Rossella Quaranta con il patrocinio e la collaborazione dell’Amministrazione Comunale. Tema di quest’anno è l’Io e la formula è quella sperimentata con successo nei cinque anni precedenti: al concorso possono partecipare artisti che non abbiano superato i 35 anni di età con un’opera che può essere di pittura, fotografia o arti miste (computer graphic, collage, composizione di materiali, scultura e decorazione). Le opere vengono valutate da un’apposita giuria ed esposte nelle sale di Cascina Roma.
Immagine di Villani
Il concorso è nato per dare un’opportunità effettiva ai giovani artisti di dare prova della propria creatività, dando loro l’occasione di esporre in uno spazio pubblico riconosciuto e non privo di prestigio. Il mondo dell’arte è spesso precluso ai più giovani, che faticano a comprenderne le regole e ad inserire il proprio lavoro nei meccanismi di mercato; la collaborazione tra associazioni prive di scopo di lucro e amministrazioni locali può, come in questo caso, consentire una libertà creativa non facilmente esprimibile. La paternità di questa iniziativa è di un gruppo di giovani che nel 2005, per ricordare Rossella Quaranta, un’amica prematuramente scomparsa, hanno voluto mettersi al lavoro a tutto vantaggio dei loro coetanei; non solo, l’iniziativa ha anche uno
scopo benefico: le opere realizzate e partecipanti al concorso, vengono battute all’asta durante la giornata conclusiva dell’esposizione e il ricavato viene devoluto a Il sorriso dei miei bimbi, altra vitale associazione di San Donato che in Brasile promuove progetti per l’infanzia abbandonata. Sino ad ora, grazie al lavoro dei giovani artisti e alla generosità del pubblico sandonatese, sono stati devoluti oltre 4 mile euro. E’ fissato a giovedì 3 Giugno il termine per le iscrizioni e la consegna delle opere presso Cascina Roma – piazza delle Arti 2, San Donato Milanese. Orari: dal lunedì al sabato 9.30 – 12.30 e 14.30 – 18.30; domenica 10 – 12.30 e 16.30 – 19. Per info: tel. 339 7150231 o 02.55603159 www.interpretarti.it
sce il dito nel costato del Risorto, oppure un carboncino del Verri, “Madonna con Gesù Bambino” dove gli occhi mesti del Bambino sono già intrisi della enorme responsabilità che il futuro gli chiederà. Una nota particolare per l’arte di Marilena Panelli, un’interprete della iconografia, che unisce l’arte bizantina con l’iconografia italiana nata nell’undicesimo secolo, realizzando opere uniche messaggere di dialogo e di apertura verso l’altro; figure allungate ed eleganti, colori, pietre preziose, luminescenze dell’oro con un fascino ingenuo ed arcaico. Merita menzione una “Crocifissione” realizzata da Matias Pera in collaborazione con il Centro Lavoro e Arte, un centro che raccoglie ragazzi disabili, la particolarità del quadro sta nei materiali: corteccia per la croce, cartone e strac-
Verri, “Madonna con Gesù Bambino”, Carboncino, cm 40x35 Pinacoteca Meazza
ci per rappresentare tutta l’inquietudine e la drammaticità della crocifissione. Questa realizzazione cupa e sofferta fa da contrappeso alla solarità che la madre di questo ragazzo ha rappresentato con una “Madonna tra i rovi”, una serena e leggera
tela in acquarello e pastelli che richiama quelle effige che spesso si incontrano passeggiando in campagna Nella società moderna, dove ogni messaggio viene affidato all’immagine, l’arte sacra fa riscoprire il fascino della bellezza e certamente non solo per il credente.
Il Fuoco da Eraclito ad oggi Arte, mito, tradizione del “fuoco” Da Eraclito a Previati, da Tiziano a Burri Giuliana de Antonellis
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na grande mostra a Palazzo Reale di Milano e alla Pinacoteca di Brera dal 6 maggio al 6 giugno 2010 per raccontare la lunga storia del fuoco attraverso miti, simboli e tradizioni della cultura mediterranea: Fuoco. Da Eraclito a Tiziano da Previati a Plessi. Fuoco è il secondo appuntamento all’interno di un progetto quadriennale sui quattro elementi (Acqua, Aria, Terra, Fuoco) ideato e realizzato da Fondazione DNArt con la Regione Lombardia in collaborazione con il Comune di Milano-Cultura. Prosegue il percorso nella simbologia dei quattro elementi con l’obiettivo di promuovere la consapevolezza e la responsabilità nei confronti delle tematiche ambientali, richiamando l’attenzione sulla preziosità degli elementi naturali, la cui importanza non rappresenta solo una necessità in termini di risorse energetiche e di vita, ma un fondamento simbolico nel percorso culturale di una civiltà. La mostra esplora le radici simboliche e archetipiche dell’elemento Fuoco attraverso un confronto tra opere antiche e opere moderne che hanno come tema dominante il “fuoco” in un percorso suddiviso in 11 sezioni tematiche: Fuoco creatore, Fuoco nel mito, Fuoco sotterraneo, Rinascita, Fuoco
utile, Fuoco della comunità, Paure ancestrali, Luce di redenzione, Luce e tenebre, Apocalissi di conoscenza, Dis-velamento. Questi temi sono visibili in capolavori che spaziano dall’antica Grecia alla Roma imperia-
Carro del Sole, Gaetano Previati
le, da Tiziano a Plessi, da Cranach a Domenichino e da Previati a Burri a Warhol. Di particolare interesse è il connubio tra il video di Bill Viola e l’ambiente accademico della Pinacoteca di Brera che lo ospita, un connubio tra il sacro e il profano. Un video che dagli abissi marini ai deserti desolati, ai fondi di lago, ai notturni e desolanti paesaggi di fuoco incanta lo spettatore e nello stesso tempo lo incita a pensare alla terra in un crescendo di tensioni ed emozioni..
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Il filmato, della durata di 26 minuti, è stato creato nel 1994 appositamente dall’artista per accompagnare l’esecuzione dal vivo della composizione musicale intitolata “Deserts” di Edgard Varèse (1885 -
1965). A Palazzo Reale l’attenzione maggiore è rivolta al rogo in cui sono installati video che proiettano immagini del nostro tempo e che inducono ad una seria riflessione sul valore del fuoco e sull’uso a volte non consono fatto dall’uomo. Interessanti le attività collaterali e dedicate a giovani e non da aprile in calendario. La mostra si avvale di un esaustivo catalogo della Fabbrica delle Idee-Milano www.comune.milano.it/ palazzoreale www.fondazionednart.it
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itinerari culturali: mantova, como, pavia
Rubens: il grande teatro barocco
Alfredo Pasolino
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ieter Paul Rubens è il dominatore assoluto dell’arte fiamminga del Seicento. Senza dubbio egli è anche uno dei personaggi più affascinanti e completi del mondo artistico mondiale. Pittore prodigioso, formidabile “regista” di colossali imprese di decorazione, un abile diplomatico, un consigliere sagace di grandi collezionisti, un figlio devoto, uno sposo innamorato e un padre affettuoso. In lui e nella sua pittura c’è tutta la pienezza di vita, la fantasia esuberante, la sete di libertà del Barocco. Fino al al 25 luglio 2010, i capolavori del Maestro fiam-
mingo e altri 40 lavori di pittori del Seicento ( Van Dyck, Jordaens, De Crayer, Boel, Thulden), provenienti dalla Germaldelalerie della Accademia di Belle Arti, dal Liechtenstein Museum e dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, sono esposti nella Settecentesca Villa Olmo di Como, nell’evento d’arte che fa del capoluogo lariano, uno dei punti di riferimento del circuito espositivo italiano dell’anno. I curatori, Sergio Gaddi, che ha allestito tutte le mostre di Como, e Renate Trneck, direttrice della Gemaldegalerie di Vienna, portano a Villa Olmo, uno dei nuclei più importanti di opere di Rubens e del Barocco fiammingo, finora
mai esposte in Italia. Dice Sergio Gaddy: “La mostra celebra la genialità e la modernità di uno dei maestri
assoluti della pittura, una personalità che dopo quattrocento anni continua a sorprendere per la potenza
Giorgio De Chirico La suggestione del classico
Carla Ferraris
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resso le Scuderie del Castello Visconteo di Pavia si tiene, fino al 2 giugno, la mostra “Giorgio De Chirico la suggestione del classico”, dedicata ad uno dei motivi portanti dell’arte dechirichiana, ovvero la propensione del maestro a temi classici reinterpretati in chiave metafisica. Lo spazio espositivo è situato all’interno della splendida cornice viscontea, in cui il castello, palazzo trecentesco costruito per volontà di Galeazzo II Visconti, manifesta con sublime spettacolarità l’architettura gotica lombarda. La posizione delle Scuderie rende lo spazio un vero e proprio open space che ben si presta a numerose tipologie di eventi: dagli appuntamenti di carattere culturale alle conferenze, dalle presentazioni editoriali alle grandi mostre. Il progetto espositivo per le Scuderie è stato ideato da Alef in collabo-
razione con il comune di Pavia con l’intento di valorizzare al meglio lo spazio, mediante una programmazione triennale di eventi in cui s’inserisce per l’appunto anche la mostra dedicata a De Chirico. Si tratta di un’esposizione che presenta circa quaranta opere del maestro (dipinti e sculture risalenti agli anni Trenta fino agli anni Settanta del secolo scorso) selezionate dalla Fondazione Giorgio e Isa De Chirico, cui si accostano reperti provenienti dai Musei Archeologici della Provincia di Salerno. E’ noto che il “pictor optimus”, come egli stesso amava definirsi, sia stato iniziatore di quello che ad oggi è ancora considerato uno dei maggiori movimenti artistici del Novecento, la Metafisica: arte cioè al di là di una realtà fisica definita, metastorica, non spaziale in senso ristretto né tantomeno temporale. Immobilità silenziosa, rimando costante alla classicità ed un certo
distaccamento dalla contemporaneità sono infatti elementi ricorrenti nell’opera di De Chirico; è evidente, nei manichini così come nelle piazze, la proposta di una ridefinizione spaziale da cui emerge un senso di assenza fisica, immobilità eterna; un certo stato interrogatorio che resta comunque irrisolto, inquietante. Risulta dunque ambiguo il tradizionale codice identificatorio dell’opera d’arte, tanto che, dalla fruizione di quest’ultima, scaturisce nell’osservatore una certa aura angosciosa o quantomeno allarmante. Ecco il potere metafisico: non vita, non movimento, non spazio, ma pura atmosfera senza responsi possibili. Il reale senso dell’essere vacilla così di fronte ad un dipinto “vissuto” da un manichino solitario, oppure l’occhio si perde nell’architettura improbabile di una piazza silenziosa abbandonata all’oblio. Qui l’arte non è pura rappresentazio-
ne dell’essere, ma indaga il suo stesso linguaggio strutturale; essa è archeologa del passato ma anche del reale, rimanda un’immagine di sé stessa ripulita da elementi consueti e conosciuti, indaga a fondo l’essenza del passato facendola riemergere in chiave tersa e metafisicamente ridimensionata. Gli splendidi reperti dei Musei Archeologici della Provincia di Salerno, che si accostano inoltre alle opere dechirichiane in mostra, sono senza dubbio di grande interesse per una miglior comprensione di quello che vorrebbe essere un viaggio alla riscoperta interpretativa dell’arte classica che il maestro perseguì durante la sua carriera artistica.
grandiosa ed esuberante del segno che ha reso universale il Barocco Europeo”. Rubens, pittore di corte aveva viaggiato in mezza Europa. Dice Chiara Lachi: “Rubens fu l’artista più equilibrato e accomodante che si possa immaginare. Sarebbe difficile trovare un altro artista che abbia unito così mirabilmente il genio del grande pittore e l’accortezza del politico di professione”. Queste doti gli consentirono di introdursi con disinvoltura e facilità nelle maggiori corti europee, dove godette di grande rispetto e considerazione. Rubens esercitò una grande influenza sui contemporanei: era lo sboccio di una nuova sensibilità, la cui teatralità si esprimeva in lui, nel turbine sensuale: mito e erotismo ... la carne che provoca, come nelle polifoniche di Monteverdi, nella scultura veemente e nelle fastose chiese dorate dal Bernini, come nel fasto della vita quotidiana. Quel voler glorificare ad ogni costo Dio, fece erigere Santuari senza mistero, festa non dell’anima ma dei sensi. La patetica ricerca dell’infinito portò poi il Barocco al parossismo. Invaghito dell’assoluto, smarrito di fronte all’instabilità dell’universo, si raffigurò artisticamente la vita come un sogno. Nato nel 1577 in Westfalia, a Siegen, da genitori di ceto borghese originari di Anversa, Rubens ricevette
un’ottima educazione, così come volle sua madre, che ne fece un cattolico profondamente convinto, e gli dette dei maestri di solida cultura umanistica. Dalle scuole di Maestri come Tobia Verhaeget e quella di Adam Noort, e subito dopo di Otto Vaenius, Rubens ricevette una formazione culturale aggiornata, legata da un lato al grande passato del realismo fiammingo; dall’altro aperta al fascino dei grandi maestri della rinascenza italiana. Desideroso di conoscere e studiare i maestri italiani, Rubens scende in Italia dove vive otto anni fondamentali per la sua formazione artistica (1600-1608). Quello che l’artista portò con sé al suo rientro dall’Italia fu principalmente il senso della composizione d’impianto monumentale, in cui le figure campeggiano a grandezza naturale, o superiore al vero - come si può ammirare nella rassegna di Villa Olmo - ma sempre nel rispetto della loro integrazione nello spazio dettato essenziale, quello dell’arte barocca. La sua prima tappa italiana fu Venezia, dove conobbe Tiziano, Tintoretto e Veronese. Quindi si recò a Mantova, dove entrò nei favori di Vincenzo I Gonzaga, che lo nominò pittore di Corte. Visitò poi Firenze, Parma, Bologna e soprattutto Genova. Infine dimorò a lungo a Roma. Tutti i soggiorni in queste città rappresentano altrettanti incontri con le opere di Mantegna, Leonardo, Correggio, Raffaello, Michelangelo, nonché quel-le dei massimi rappresentanti del Barocco italiano: i Carrocci. Bisogna tenere presente queste influenze per capire fino in fondo l’arte di Rubens, perché essa muove appunto da questa profonda cultura italianizzante, anche se poi prenderà vie diverse e originalissime, mediante l’elaborazione di una formula decisamente autonoma e personale.
Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento
Giuliana de Antonellis
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in dall’antichità i tessuti preziosi sono stati la componente ornamentale mobile prediletta di re e nobili di tutta Europa e dalla metà del Trecento gli arazzi ne hanno rappresentato la parte primaria. Quei tessuti di dimensioni gigantesche, veri e propri affreschi mobili, facili da trasportare da una residenza all’altra, da appendere e staccare, non si limitavano alla funzione di difendere dal freddo e dalle intemperie, ma dovevano anche costituire uno sfondo variopinto e conforme ai desideri dei committenti e ne manifestavano la ricchezza e il prestigio. La maggior parte degli arazzi delle anti-
che collezioni era realizzato da artisti fiamminghi e proponeva scene campestri che offrivano durante le stagioni più rigide la possibilità di usufruire di una specie di “giardino d’inverno”. Ma ne esistevano anche altri con intessute storie complesse e considerate sia dei modelli, che dei suggerimenti autocelebrativi dei loro proprietari. L’affascinante mostra di Mantova presenta una selezione - trentaquattro opere - degli arazzi più belli appartenuti ai Gonzaga e realizzati durante il Rinascimento su cartoni di Giulio Romano o di Mantegna, tra cui segnaliamo alcuni eccezionali capolavori: la famosa Annunciazione di Chicago, un arazzo del ciclo
Millefiori, dal Palazzo Vescovile di Mantova, alcuni esemplari di serie differenti Giochi di Putti ed altri, tutti da ammirare per la bellezza delle scene e della manifattura. Di particolare pregio i due arazzi de “La pesca miracolosa” su cartone di Raffaello Quasi tutti gli arazzi furono realizzati nelle Fiandre, oppure in Italia a opera di arazzieri di origine fiamminga o dall’arazzeria medicea di Firenze. La mostra presenta nel suo insieme opere di eccezionale fattura e preziosità, tali da attirare l’attenzione di chi osserva, invitandolo ad un viaggio tra la seta, i colori e i soggetti più varii. MANTOVA a PALAZZO TE sino al 27 giugno 2010
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Modigliani fuori dal mito In mostra il grande pittore livornese
Ugo Perugini
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aga sta per Museo d’Arte di Gallarate. E’ il nome del nuovo complesso architettonico che ospita il grande progetto museologico, nato dalla Gam e gestito dalla Fondazione Silvio Zanella e diretto da Emma Zanella. Si tratta di un’area di 5000 metri quadrati che opera un’ardita ma riuscita fusione tra una vecchia officina, risalente agli anni Trenta, e l’ala realizzata ex novo. Di indubbia efficacia l’impatto della grande forma curvilinea che abbraccia la piazza circolare, simbolo di accoglienza nei con-
fronti dei visitatori. Questo contesto, dinamico e flessibile, si presta alla valorizzazione del patrimonio che è custodito al suo interno, ad oggi circa 5000 opere di artisti importanti quali Carrà, Morlotti, Fontana, Colombo, Munari, che hanno movimentato la scena artistica a partire dalla metà del Novecento. Nel contempo, grazie alla suddivisione degli spazi in aree diversamente attrezzate, offre, oltre ai servizi necessari (biglietteria, bookshop, caffetteria, biblioteca, depositi, ecc.), opportunità per creare laboratori didattici riservati a un pubblico più giovane attraverso le nu-
merose iniziative promosse allo scopo. Inaugurare il Maga con un omaggio a Modigliani dal titolo “Il mistico profano” conferma il desiderio di puntare in alto, di presentare una personalità artistica di prestigio internazionale, attraverso un lavoro scrupoloso di ricostruzione del suo pensiero, al di là del mito che si è venuto a creare attorno alla sua figura, ma ritrovando gli elementi più autentici della sua ricerca artistica nell’ambito livornese e parigino. Con in più il tocco di una presentazione scenografica originale e suggestiva come quella di Maurizio Sabatini, che ha
Stanley Kubrick
L’America dal ‘45 al ‘50 riflessa nell’occhio fotografico di Kubrick Giuliana de Antonellis
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recento fotografie, di cui ben 180 realizzate con una Rolleiflex, molte delle quali inedite e stampate dai negativi originali, realizzate tra il 1945 e il 1950 sono esposte al Palazzo della Ragione di Milano dal 16 aprile al 4 luglio 2010. La mostra, “Stanley Kubrick fotografo 1945 – 1950”, analizza la storia fotografica di un giovane, eppur maturo, Kubrick e permette di capire la sua attività di regista. L’una, infatti, non esclude l’altra, anzi si potrebbe dire che il seme delle foto ha dato nel tempo grandi frutti: i film. Le foto rigorosamente in bianco e nero raccontano la vita americana di quel tempo, l’America del dopoguerra in istantanee di quotidianità della città di New York o i volti e le storie di personaggi celebri Storie raccontate come in sequenze cinematografiche che permisero a Kubrick di entrare, come fotoreporter, a soli 17 anni nella rivista “Look” e di dare l’avvio al “metodo Look”, caratterizzato da una narrazione a episodi ove il soggetto veniva fotografato in tutto ciò che faceva. Per ottenere dai personaggi pose che fossero più naturali possibili, Kubrick metteva in atto una serie di stratagemmi per passare inosservato e sempre in una continua ricerca. Questa ricerca è evidente nelle foto esposte e la naturalezza è tale da sembrare artefatta. “Le sue istantanee – dice il curatore Rainer Crone-, che stupiscono per la loro sorprendente maturità, non possono essere considerate come archivi visivi della gioia di vivere, catturata dallo spirito attento e pieno di humor di un giovane uomo, ma costituiscono un consapevole
invito a confrontarsi con le risorse del mezzo fotografico, con le sue possibilità di rappresentazione e con la propria percezione della realtà: una costante dell’opera artistica di Kubrick che comincia con le fotografie e continua nei films”.
classe dirigente del futuro, e all’interno del Campus Mooseheart nell’Illinois, una residenza universitaria, costruita da benefattori, per educare figli orfani di guerra che sarebbero andati a ingrossare le fila della middle class americana.
di recente curato il set del film di Tornatore “Baaria”. Sono passati novant’anni dalla morte di Modigliani. A ricostruirne la figura ci aiuta un ricco apparato documentario: 250 tra fotografie, epistolari, scritti autografi, materiali di studio, che appartengono in prevalenza all’archivio del Modigliani Institute di Roma. Anche chi è a digiuno di pittura sa riconoscere un Modigliani. Le figure allungate, le visioni spesso enigmatiche, l’essenzialità delle linee che riportano agli elementi della scultura primitiva e, in particolare, africana. La mostra ci offre un ampio spettro dell’attività di ricerca compiuta da Modigliani, dagli anni giovanili con la “Stradina toscana”, dipinto su cartone a Livorno nel 1889, prima che approdasse alla convulsa realtà parigina, fino al “Nu coaché”, olio su tela realizzato nel 1917, proveniente dalla Fondazione Pinacoteca del Lingotto, che è stato scelto anche come simbolo dell’intera esposizione, e ad altri ritratti di amici e conoscenti (Paul Guillame, 1916). Modigliani vive il suo tempo. Spesso in modo confu-
Cariatide in ginocchio verso sinistra 1912
so e avido: eccessi di tutti i tipi caratterizzano la sua vita mentre continua a frequentare l’ambiente artistico, diventando amico tra gli altri di Picasso, Max Jacob, Matisse e Brancusi, Soutine, Soupault, senza peraltro aderire a nessuno dei movimenti di quell’epoca, anche se fondamentale resta per lui l’incontro con Cézanne. Modigliani segue una strada tutta sua che non rinuncia nemmeno agli echi trecenteschi dell’arte italiana (lo scultore Tino da Camaino, ad esempio, ebbe una grande influenza) ma accoglie anche i richiami
Armando Testa Il design delle idee Clara Bartolini
uando un personagQ gio è molto popolare, ciò che interessa il pubbli-
Il percorso espositivo si articola in due parti. La prima, divisa a sua volta in 7 sezioni, è introdotta da Icone, che raccoglie le immagini simbolo immortalate da Kubrick. Come Portogallo che racconterà il viaggio in terra lusitana di due americani nell’immediato dopoguerra, o ancora Crimini. Betsy Furstenberg, protagonista della sezione a lei dedicata e che la rappresenta come il simbolo della vivace vita newyorkese di quegli anni, farà da contraltare alle vicende dei piccoli shoe shine, i lustrascarpe che si trovavano agli angoli delle strade di New York. Chiudono le due sezioni dedicate alla vita che si svolgeva all’interno della Columbia University, un luogo d’élite dove l’America formava la
La seconda parte del percorso tocca altri argomenti significativi della breve carriera di Kubrick fotografo, come le immagini dedicate al giovane Montgomery Clift, o quelle del pugile Rocky Graziano, o ancora l’epopea dei musicisti dixieland di New Orleans. L’esposizione, curata da Rainer Crone, è realizzata dal settore Cultura del Comune assieme a Giunti Arte Mostre Musei, in collaborazione con la Library of Congress di Washington e il Museum of the City of New York - che custodiscono un patrimonio ancora sconosciuto di oltre 20.000 negativi di Stanley Kubrick, giovanissimo, ma già grande fotografo. Accompagna la mostra il catalogo di Giunti Arte mostre musei. w w w.mos t r a k ubr ic k .it
di un’arte che conduca alla ricerca del senso di una purezza spirituale e simbolica. L’esposizione, curata da un comitato scientifico presieduto da Claudio Strinati e che sarà aperta fino al 19 giugno 2010, ha selezionato una cinquantina di opere di Modigliani, provenienti, oltreché dalla Fondazione Gianni e Marella Agnelli, dalla Gnam di Roma, dalla Pinacoteca di Brera e dai Musei civici di Milano, anche da numerose collezioni private e da Musei di diverse città del mondo come Parigi, New York, Gerusalemme, Londra.
co è scoprirne i lati meno noti, quelli legati alle passioni che non riguardano la parte preponderante della professione. Ecco cosa propone questa interessante mostra che parla di uno dei più prolifici e importanti creativi italiani. Inaugurata al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) la retrospettiva ”Armando Testa - il design delle idee” presenta oltre a quello conosciuto di pubblicitario, un aspetto meno noto della sua opera, quello della sua attività di designer. Dopo una serie di antologiche a lui dedicate quali quelle al Museo del Castello di Rivoli e a Castel Sant’Elmo a Napoli nel 2001 e la mostra presso l’Istituto Italiano di Cultura di Londra nel 2004, Armando Testa è nuovamente protagonista al PAC, dopo la personale del 1984. Questa retrospettiva, curata da Gemma De Angelis Testa e da Giorgio Verzotti, vuole lasciar emergere alcuni aspetti meno considerati della sua creatività, dando spazio alle realizzazioni come progettista di oggetti. Abbiamo voluto approfondire il discorso con Marco Testa il figlio e presidente della Armando Testa Spa. “Sono particolarmente fie-
ro che mio padre sia riuscito a trasformare il suo talento in una grande scuola di comunicazione, che ancora oggi con le sue campagne diverte, intrattiene e stupisce milioni di italiani”. La filosofia di Armando Testa è ben rappresentata da alcune sue citazioni che vogliamo riportare perché certamente chiarificatrici: “Il vero, quello che si vede, è qualcosa che tutti capiscono, ma il vero alla distanza annoia, come una donna troppo ovvia... Nel mio mestiere devo esaltare quotidianamente il cibo tra posate preziose, bocche avide, piatti scintillanti, ma a volte provo il desiderio di mollare tutto, stringere la mano al kitsch e interpretare spaghetti, frutta, prosciutto e uova in liberi e voluttuosi accostamenti e fare dell’ arte visiva in cucina”. L’interesse di
Testa per l’arte visiva, l’architettura e il design condizionano dagli esordi la sua attività. In mostra vi sono, una serie di invenzioni effettuate nel corso di almeno cinquant’anni di attività, prima da solo e poi con l’agenzia omonima. Testa è stato anche un’instancabile disegnatore, questa pratica accompagnava quasi interamente il suo tempo di lavoro, fino a consentirgli di realizzare una grande quantità di piccole carte, che paiono appunti in vista di realizzazioni maggiori. Una selezione di disegni inediti a pastello o di acquerelli è parte integrante del percorso espositivo. Su questo tema è veramente efficace una frase del 1992 “Attenti al segno! Prima ancora di farlo, bisogna saperlo leggere”. In mostra viene inoltre proiettato il cortometraggio “Povero ma moderno” che Pappi Corsicato gli ha dedicato e presentato alla Mostra Cinematografica di Venezia 2009, dove è stato premiato. Il catalogo, è stato pubblicato da Silvana Editoriale con i contributi di Germano Celant e del semiologo Ugo Volli. Vi sono proposte anche una serie di attività didattiche per il pubblico ideate e realizzate da Marte. PAC, Via Palestro 14 - MI Info: Tel. 02.76020400 www. comune.milano.it/pac
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“Voci d’autore”:
F.B.
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ei artisti diversi fra loro, ma simili per l’alto livello artistico raggiunto, si sono uniti per realizzare un progetto ambizioso e impegnativo: organizzare mostre itineranti in prestigiose sedi museali e gallerie d’arte in Italia. Franco Tarantino, ideatore dell’evento, ha coinvolto per l’occasione, la dinamica ed intraprendente Roberta Musi. A questa interessante iniziativa, hanno aderito artisti tra i più rappresentativi dell’arte contemporanea come Vasconi, Mele, Buttarelli e Baroldi. Citiamo una breve introduzione di Domenico Montalto, dalla prefazione dello splendido catalogo che racchiude l’intero progetto: “La
Franco Tarantino
loro è una polifonia di voci peculiari, ma mirabilmente accordabili in corpus suggestivo”. Ci soffermiamo su una breve ma significativa presentazione degli autori. Franco Vasconi, maestro della pittura italiana del XX
secolo, apprezzato sia dalla critica che dai collezionisti, ha ricevuto nel corso della sua lunga carriera, ambiti premi e riconoscimenti. Franco Tarantino, pittore, scultore e incisore, dalla lunga e magistrale produzione figurativa ispirata ai surrealisti come Chagall, propone delle opere inedite rivolte ad una ricerca espressiva più gestuale e materica. Roberta Musi, pittrice, grafica e scenografa, affronta una nuova tematica: la rielaborazione di una minuziosa
Arte
GIUGNO - LUGLIO 2010
Vasconi, Tarantino, Musi, Mele, Buttarelli, Baroldi
Brunivo Buttarelli
serie di cartoline d’epoca fissate sulla tela. Nascono così dei “fermi immagini” sbiaditi dal tempo, ma ravvivati dai segni vivaci ed eleganti. Vito Mele, affermato sculto-
re, presenta una personalis- per una pittura raffinata, sima visione dell’immagine caratterizzata dalla lumiscultorea attuale, tra forme nosità dell’oro, inseguendo geometricamente assorte, le orme di Klimt. Nelle imliricamente vibranti e vive. magini monocromatiche Il successo del suo lavoro si dei personaggi raffigurati, può definire per la sua sen- bellezza, armonia e sensibilità, semplicità e sintesi. sualità fuoriescono attraBrunivo Buttarelli, scultore verso eleganti decorazioni. e restauratore prevalentemente di affreschi e di pitture murali, utilizza materiali nobili tradizionali quali legno, marmi, carta, insieme ad altri di provenienza naturale come sassi e ferro, levigati e consumati dal tempo. Piergiorgio Baroldi si distingue Piergiorgio Baroldi
Calendario mostre:
Roberta Musi
Franco Vasconi
Visioni dell’anima Marta Giuliani
Trento nel 1974 e, dopo gli studi artistici, si specializza per 7 anni nel restauro di dipinti e affreschi. Attualmente, lavora nel sociale e aiuta proprio attraverso l’arte pittorica, persone affette da malattie psichiche integrando nei propri studi un corso per operatori socio-assistenziali. Ha esposto le proprie opere in spazi pubblici e privati. Marta Giuliani tel: 349-1048321 marta.giuliani@gmail.com
Io e l’inconscio
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uando l’opera pittorica nasce da precise necessità interiori è subito palese, perché è concepita in una ricerca che la riscatta da ciò che è semplice rappresentazione. Il lavoro artistico di Marta Giuliani, con la sua forza dirompente e attraverso un linguaggio espressivo in continua, crescente tensione ne è un esempio; il suo pensiero esplosivo fa, tuttavia, trasparire una tranquilla serenita. Cromatismo e luce modellano queste eva-
Mantova Museo Diocesano F. Gonzaga 10 - 25 aprile 2010 Piazza Virgiliana Cremona Galleria Daniela Rallo 15 - 30 maggio 2010 Piazza S. Abbondio, 1 Diano Marina (IM) Galleria Rodolfo Falchi 1 - 10 luglio 2010 Corso Garibaldi, 60 Colorno (PR) Galleria TI.VA 6 - 30 ottobre 2010 Via S. Rocco, 76/2 Venezia Magazzini del sale 11 – 23 dicembre 2010 Dorso Duro, 266 Milano Biblioteca Umanistica dell’Incoronata febbraio 2011 Corso Garibaldi, 126
sioni dell’inconscio, accentuandone le strutture proiettate in lineari dimensioni spaziali. Le forme e le macchie che ne scaturiscono, svincolate da ogni essenza esteriore, si fanno palpito, sensazioni di un’emozione associata all’invisibile interiore e penetrano nel cuore dei colori che paiono espandersi su strisce di un cosmo infinito. Questi impeti di forze calme scaturiscono da varie fantasie e giochi di pennello. Marta Giuliani nasce a
Vito Mele
“Nel Trapassar di Stagioni” Rosida Mandruzzato Vettori
Carlo Franza
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te, del caso, dell’emozione. Così Rosida Mandruzzato Vettori espone spesso su grandi superfici stesure e cancellazioni laboriose e successive fino ad ottenere strati differenziati di un unico colore, ove si intravvedono paesaggi anteriori, diurni e notturni, di terra e di cielo. Ritorna il sentimento del cosmo, pur con i brillii dell’oro, in queste opere
na sequenza matura di opere neoinformali, capaci di dettare nuovamente vivaci riferimenti al naturalismo padano siglato da Francesco Arcangeli e segnata fortemente dall’immediatezza espressiva della lezione informale-segnica di qualche decennio fa, mette Rosida Mandruzzato Vettori nella condizione di una memoria generata da cadenze fasciolate di colore e di materia capace anche di evocare arabeschi tonali. Tali geometrie moltiplicate ed esibite con spavalda maniera, che altro non sono che un astrattismo di vibrazioni cromatiche disposte con fluide e rapide pennellate, giocano un grafismo, una macchia spontanea, l’utilizzazione La Grande Mela dell’acciden-
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ricche di poetici spessori che riassorbono nel cromatismo essenziale l’esprit de geometrie che sostiene il suo lirismo pittorico. L’artista riesce a movimentare questo specchio infinito che è l’immagine della natura nel suo trapassar di stagioni, così che queste opere divengono l’essenza di un paesaggio evocato dalla memoria.
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La pittura digitale di Silvio Balestra Un percorso affascinante alla ricerca di una dinamica della luce
Ugo Perugini
C’
é sempre una sorta di ritrosia nel valutare opere realizzate con strumenti che non siano le mani stesse dello scultore che manipolano la creta o impugnano lo scalpello o
forse ancor oggi quella di un certo imbarazzo. Come di una inadeguatezza insita in questi mezzi che possa limitare o condizionare le velleità di rappresentazione da parte dell’artista. Ricordiamo, a questo proposito, l’affermazione un po’ amara
profondità inconsce - 2007 h133 x 200 cm - ed unica.jpg
Blood ties 3.7.5.7.4.5 - 2009 - 200 x 87,5 cm - ed unica - dig print on canvas
utilizzano i pennelli e i colori da disporre sulla tela, e rispondono, per messaggi neuronali diretti, all’ispirazione del momento che si trasforma in un gesto che la storia ci ha rappresentato sempre come fortemente simbolico nella sua perentorietà. Quando il rapporto tra artista e opera d’arte viene affidato a mezzi tecnici, come la macchina fotografica o il computer, dotati di una loro logica interna e di una loro precisa funzione che non è mai prioritariamente quella artistica, la prima reazione è stata ed è
di Gaugin: “Sono entrate le macchine, l’arte è uscita…” Per superare questa “empasse” dolorosa, è stato necessario un lungo processo in grado di sconfiggere certi inevitabili preconcetti. Lo fecero a suo tempo i dadaisti, i surrealisti quando scoprirono che la fotografia non era solo uno strumento in grado di riprodurre tout court la realtà né un occhio freddo e asettico, composto da obiettivo e diaframma, ma anche camera oscura e schermo sensibile, cioè opportunità eccellenti per manipolare la luce con al-
tri strumenti che non quelli consueti, dando egualmente spazio alle emozioni del momento, alle esigenze dell’inconscio, al turbamento del non senso. Alla fine, la fotografia non ha “ucciso” la pittura, come si temeva, ma piuttosto ha messo in crisi i falsi artisti che non sapevano elevarsi al di sopra del ruolo di meri riproduttori della realtà, e, al contrario, ha trovato una collocazione autonoma come espressione d’arte estremamente efficace e suggestiva, proprio partendo dalle caratteristiche che le consentono di rendere visibili anche fenomeni che sfuggono alla normale percezione e alla ricezione dell’occhio. Questo percorso è anche quello che il triestino Silvio Balestra ha compiuto con successo nella sua ricerca espressiva, utilizzando sia lo strumento fotografico, in chiave astratta e concettuale, sia alcuni sistemi della computer-grafica, adattandoli ai suoi scopi di rappresentazione, fino a creare una “pittura digitale”, anche attraverso l’uso di applicazioni software, come il foglio di calcolo Excel®, che all’apparenza possono sembrare quanto di più lontano vi sia da un ambito emotivo e creativo. Con Balestra, in sintesi, nasce una nuova tipologia d’artista che non perde la manualità del passato ma piuttosto la riacquista utilizzando il mouse e la matitina sopra un foglio elettronico, diventando egli stesso un terminale sensibile, in grado di cogliere e di riprodurre, nella casualità delle opzioni che si presentano, l’universo interiore che lo anima, senza infingimenti e senza limiti di sorta. Balestra, che ha già esposto in mostre collettive e personali in Italia e all’estero, è reduce da una personale a Montreal (Canada) che si è tenuta a dicembre e sta raccogliendo anche numerosi riconoscimenti ufficiali che premiano il suo impegno nel settore dell’astrazione fotografica e della “mouse painting”. Recentemente, è stato insignito del Premio di merito per la Grafica e selezionato al Premio Internazionale Biennale d’Arte di Asolo 2010 e al Premio di Arte Fotografica e Digi-
Informale 21 1.9.2.9.1.0-2010200x89,03cm-ed unica -dig print on canvas
tale 2010 indetto dal Museo Internazionale d’Arte di Chianciano. Il 25 aprile scorso, a Certaldo gli è stato assegnato il Premio editoriale Italia per le Arti Visive 2010, organizzato dall’editore Eco d’Arte moderna di Firenze, grazie a un’opera realizzata con Microsoft® Excel®. Le opere di Balestra hanno in comune la ricerca sulla natura della luce, sul suo farsi e il suo disfarsi, sul movimento degli atomi che la costituiscono, sull’eterno contrasto con il buio, e sono riconducibili a cicli distinti in ognuno dei quali prevale una particolare tematica. Ricerca sulla luce, come annota puntualmente il critico d’arte Paolo Levi nella sua recensione, ma non solo, anche “ricerca sul moto della luce, e delle sue infinite possibilità di alludere a una dinamica psicologica, o all’apparire di un impulso neuronale che agisce sulle cellule di un cervello in azione, in risposta a uno stimolo esterno; il che è più quello che, noi profani, chiamiamo ispirazione”. Ad esempio, nel ciclo “Antitesi” è evidente la contrapposizione tra luce e ombra, tra positivo e negativo, tra pieno e vuoto, tra verità e menzogna. I titoli che l’Ar-
Attese - 2009 - h 80 x 120 cm - ed unica
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Informale 21 -Equilibrio perfetto 1.4.6.3.3.9-2010- 200x 102,66 cm ed unica-dig print on canvas
tista attribuisce ai suoi lavori contribuiscono a fornire uno spunto interpretativo: ognuno (osservatore attento e non spettatore passivo) trova in essi il messaggio che cerca. Nel ciclo “Confronti” appare più netta la conflittualità tra bianco e nero ma, se vogliamo, anche più ambigua perché non c’è una prevalenza dell’uno sull’altro. “In progress” raccoglie lavori più complessi, dove entrano in gioco altri elementi che suscitano riflessioni più mosse e articolate. Il ciclo “Natura” mostra in modo trasfigurato alberi con tronchi e fronde alla ricerca continua della luce che piove dall’alto o rimbalza nel sottobosco. Nella serie “Yellow Time” fa la sua apparizione il colore sempre però intrappolato, come dice l’artista, nel bianco, che insinua suggestive allusioni. E infine il ciclo “Microsoft® Excel® Drawing” dove cambiano le prospettive di resa delle immagini ma non l’obiettivo primario della ricerca: sempre la luce in primo piano, sempre il movimento della mano che manovra il mouse e che ne coglie nel suo divenire l’istintualità, in una geografia composita di emozioni,
oasi oniriche - 2007
nelle quali prevale sempre il valore della soggettività. Secondo una acuta analisi del professor Alberto D’Atanasio, docente di Semiologia dei Linguaggi non verbali e Storia dell’Arte, Balestra “dà raffigurazione a ciò che per antonomasia non può avere figura, entra dentro l’essenza stessa dell’anima e ne scopre la struttura fino a inventare un nuovo modo di restituzione del lavoro che è anche rappresentazione del concetto”. Balestra ha riflettuto con intelligenza sul suo lavoro artistico. Dopo una naturale ritrosia a spiegare le radici della sua ricerca ha messo nero su bianco (è il caso di dirlo) la sua poetica, sottolineando con vigore qualcosa di particolarmente importante: l’astrazione è andare alla ricerca dell’essenza delle cose in una specie di capovolgimento delle prospettive per cui, alla fine, sia possibile vedere l’invisibile e, al contrario, riuscire a immaginare il visibile. Questo conduce al tentativo di una concettualizzazione dell’esistente che è un traguardo ambizioso per qualsiasi artista ma foriero – nel prevedibile, lungo cammino che l’attende – di scoperte affascinanti.
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Per le muse non c’è quiete neanche dopo la morte Un cadavere si aggira per la strade spagnole a bordo di una Cadillac Un film di Almodovar? No, una stravaganza firmata Dalì
Massimo Zanicchi
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na delle peculiarità della morte è la capacità di scombussolare i progetti altrui. E in questo non fa sconti a nessuno, come potrebbe testimoniare Elvis Presley morto in bagno in piena solitudine, molto più vicino al water piuttosto che al suo trono di re del rock. E nessuno sconto fu applicato a Salvador Dalì quando si trovò a digerire la scomparsa non pianificata della moglie-musa Gala. Nei suoi progetti, Gala, ormai prossima alla morte, avrebbe dovuto essere tumulata nella cripta del castello che le aveva regalato nell’entroterra spagnolo. La morte però la colse nella loro residenza sulla costa in quel di Port Lligat. Per la cronaca, Gala morì nel suo letto il 10 giugno 1982. Molti sospettano che avesse 89 anni, seppure il suo passaporto ne registrasse ben cinque di meno. La sua dipartita, come tipico delle vicende che coinvolgevano Dalì, scatenò una sequela di eventi a dir poco surreali. Il corpo di Gala, se si voleva seppellirlo nella cripta del castello di Pubol, doveva essere trasferito lì in
gran segreto. Le leggi spagnole, infatti, proibivano la rimozione di una salma prima dell’arrivo di un funzionario e raramente prevedevano sepolture al di fuori dei cimiteri. Fu così che scattò il
genio, o la pazzia che dir si voglia, del grande artista catalano. Seppur scosso dalla scomparsa della compagna di una vita, mise in piedi un piano bizzarro per aggirare l’ostacolo. Gala fu avvolta in
un coperta e adagiata sul sedile posteriore della Cadillac blu del marito. Secondo il suo autista, quel viaggio di ottanta chilometri lungo strade serpeggianti fu l’unica occasione in cui la signora Dalì non viaggiò sul sedile anteriore. Il piano era, per forza di cose, improvvisato però il pittore non aveva trascurato alcun dettaglio. Accanto al corpo della moglie fu fatta viaggiare l’infermiera personale, così, nel caso in cui qualcuno li avesse fermati, avrebbero potuto simulare un episodio di morte improvvisa. Giunti a Pubol, fecero stilare il certificato di morte che citava come motivazione un arresto cardiaco conseguente ad arteriosclerosi senile. La salma, quindi, venne imbalsamata e infilata in un completo di Chanel di velluto rosso. Alle dita le furono messi alcuni anelli disegnati da Dalì e un nastro nero le venne legato tra i capelli. Infine, il cadavere così addobbato fu seppellito nella cripta del castello in una bara con il coperchio di vetro. Da quello che risulta dai racconti dei testimoni, Dalì non prese parte alla cerimonia di sepoltura e si
Teatro Greco di Siracusa
recò nella cripta solo alcuni giorni dopo per irrompere in uno sconsolato pianto a dirotto. Nei due anni che visse nel castello, però, non vi mise mai più piede. E quando morì, per sua scelta, non vi venne seppellito nonostante la cripta fosse sta-
ta progettata come una sorta di tomba matrimoniale. Il corpo di Dalì, imbalsamato e vestito con una tunica bianca e con i famosi mustacchi irrigiditi all’insù dalla cera, riposa al centro del palcoscenico del piccolo teatro di Figueres oggi trasformato in un museo unico che racchiude il magico mondo surrealista dell’artista catalano. Ironia della sorte, le sue spoglie sono situate proprio sopra alla toilette femminile. Una curiosa coincidenza che Dalì avrebbe senz’altro apprezzato.
Space Age Light Triennale
Ugo Perugini
A
nni Sessanta e Settanta. Grandi cambiamenti sociali. Ottimismo, speranze, interesse per le conquiste spaziali. La modernità più stimolante entra anche nelle nostre case, a illuminare le nostre vite. E sono lampade di grandi designer, ma anche modelli più comuni, tutti però creati per stupire, per cogliere gli stimoli che ci ar-
rivano dalle avanguardie, dalle innovazioni tecnologiche, dal piacere di forme nuove, libere, meno imbrigliate dalle tradizioni. Una mostra interessante con opere di Joe Colombo, Vico Magistretti, Gino Sarfatti, Giotto Stoppino. Da vedere, anche per ricordare il passato con nostalgia e un po’ di tenerezza… Fino al 5 settembre 2010 Viale Alemagna, 6 Ingresso libero
XLVI ciclo di Rappresentazioni Classiche Fedra e Aiace dal 8 Maggio al 20 Giugno 2010
Fedra La tragedia è ambientata a Trezene dove Teseo è in esilio per un anno, per scontare l’omicidio (seppur per “legittima difesa”) dei figli di Pallante. Il dramma è introdotto da una dea, Afrodite, che racconta l’offesa infertale da Ippolito che la rifiuta, proclamandola la peggiore delle divinità; per di più onora Artemide e trascorre il suo tempo cacciando in mezzo ai boschi, dedito ad una idea di purezza del tutto inconciliabile con il mondo di Afrodite. Per questo la dea si vendica instillando in Fedra, moglie di Teseo, una insana passione per il figliastro. In principio la regina non rivela i propri sentimenti, consumandosi nella “malattia”, ma successivamente si confida con la nutrice che, pensando di aiutarla, viola la promessa di tacere e rivela ad Ippolito i sentimenti di Fedra. Il giovane fugge indignato dalla città, ripromettendosi di rientrarvi solo al ritorno del padre. Per riacquistare l’onore perduto, Fedra decide di uccidersi. Prima,
tuttavia, concepisce un piano di vendetta nei confronti di Ippolito...come affermano le parole conclusive del coro: “ci sarà molto ondeggiare di lacrime, giacché colpiscono di più le vicende che colpiscono gli eroi”.
Aiace Il dramma si apre con un dialogo tra Atena e Ulisse, dinanzi la tenda di Aiace, sotto le mura di Ilio. Alla morte di Achille le armi del guerriero defunto erano state assegnate ad Ulisse anziché ad Aiace, suscitando in lui una collera contro i compagni così violenta da desiderarne lo sterminio. Ma grazie all’intervento di Atena, che instilla la follia nella mente di Aiace facendogli balenare false immagini davanti agli occhi, questi aveva massacra-
to bestiame credendo che si trattasse dei Greci. Atena lo dimostra chiamando fuori dalla tenda l’avversario in preda al suo vaneggiamento e facendo in modo che Ulisse lo veda senza essere visto: ciò tuttavia non suscita in lui atteggiamento di scherno o desiderio di vendetta ma una riflessione sulla fragilità umana. Quando Aiace torna in sé, il terribile “risveglio” alla realtà provoca solo disperazione e vergogna: quello dell’onore perduto diviene ora l’assillo di Aiace che vede nel suicidio l’unico mezzo per riscattare l’onore e la reputazione della sua famiglia. Dinanzi a questa decisione, non sortiscono alcun effetto le invocazioni della concubina Tecmessa o l’amore per il figlio Eurisace, che ora Aiace desidera affidare al fratello Teucro. Tutti tentano di salvare quest’uomo che vuole morire, ma nessuno riesce a frenarlo: Aiace si suicida gettandosi sulla spada conficcata al suolo. Il dibattito etico-politico sulla sorte del cadavere di Aiace occu-
pa tutta la seconda parte del dramma: Menelao e Agamennone, massima autorità dell’esercito acheo, vogliono privare il corpo di Aiace di qualsiasi rito funebre, così da punirlo del suo tradimento; Teucro cerca di onorare il fratello e far prevalere il diritto dei familiari di dare al morto una sepoltura conveniente. Sarà determinante l’intervento di Ulisse che, nonostante la disputa avuta con Aiace, consiglia saggiamente Agamennone affinché Teucro renda l’ultimo omaggio al defunto.
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Giovanni Marinelli
Senza titolo, 2005, fotografia stampata su carta politenata ai sali d’argento, montata su pannello “leger”, h. 1350 x 500 x 10 mm
Gallerie di riferimento:
Galleria d’Arte Cinquantasei – Bologna – tel. 051250885 Studio Ambre Italia – Novara – tel. 348.4112981 / 3939743869 Galleria Zamenhof - Milano - Tel. 02.83.66.08.23
Mostra Personale - Artour Italia + Francia Museo dei Campionissimi – Novi ligure (AL) Dal 10 Luglio al 10 Agosto 2010
Via Urbania, 1 – 61100 Pesaro – Tel.0721.24869 www.giovannimarinelli.com – photo@giovannimarinelli.com
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GIUGNO - LUGLIO 2010
Arte d’autore a Palazzo
Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea Moniga Del Garda ospita Tina Parotti
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l Palazzo Comunale di Moniga Del Garda, in provincia di Brescia, ospiterà per un intero mese, 11 giugno - 11 luglio 2010, la mostra Personale dedicata all’artista Tina Parotti. Il Palazzo Comunale è situato nella centralissima piazza San Martino, a poca distanza dal centro tu-
ristico di Desenzano del Garda. L’ampia sala espositiva è molto luminosa grazie alle ampie vetrate che consentono alla luce di filtrare avvolgendo lo spazio. L’esposizione, realizzata con il Patrocinio del Comune di Moniga del Garda, curata dal critico e storico d’Arte Sabrina Falzone e dalla giornalista e direttore di Ok Arte Francesca Bellola, propone un’ampia selezione di opere che dimostrano l’elevato livello raggiunto dalla Parotti sia nel campo della ricerca artistica, sia sotto il profilo esecutivo. Il contemporaneo si esalta con la rassegna dedicata all’eclettica ed effervescente Tina Parotti che, oltre ad essere un eccellente artista, è anche una gallerista impegnata a valorizzare i giovani artisti più talentuosi. Il suo fermento creativo non conosce limiti e abbraccia anche la scrittura, sfociando nella composizione di versi poetici. Vanta, inoltre, un’immensa produzione grafica che spazia dai
disegni ai biglietti d’arte personalizzati su carta pregiata, dai gioielli in argento e oro all’oggettistica in legno. Tina, dopo aver gestito la Galleria d’Arte 2000 nel cuore di Brera, da circa quattro anni conduce una
88° Festival Lirico
Franco Zeffirelli e l’Arena Fondazione Arena di Verona F
ranco Zeffirelli e l’Arena, questo è il sottotitolo della stagione, interamente dedicata al regista fiorentino, che firmerà tutti i titoli in cartellone: Turandot di Giacomo Puccini, Aida di Giuseppe Verdi, Madama Butterfly di Giacomo Puccini, Carmen di Georges Bizet, Il Trovatore di Giuseppe Verdi. Nuovo è l’allestimento di Turandot, ideato appositamente per quest’edizione del festival; le altre quattro mises en scène (Aida,
Madama Butterfly, Carmen, Il Trovatore) sono riprese di già famose produzioni, che in passato hanno portato record d’incassi per il palcoscenico operistico più grande al mondo. Così lo stesso Franco Zeffirelli rammenta la sua prima Aida, allestita nel 2002: “Fu, forse, la più grandiosa Aida ma vista sul pianeta, come scrisse qualcuno, ma al tempo stesso molto diversa da tutto quello che avevo mai fatto fino ad allora. L’intero allestimento era una sorta di grandiosa mac-
china delle sorprese, realizzata interamente in metallo dorato, su cui le luci rimbalzavano in modo sempre sorprendente. Il pubblico ne fu sbalordito. Dopotutto ‘lo scopo del poeta è stimolare la fantasia, e suscitare meraviglia, sorpresa e sogni’. […]Il pubblico è molto esigente e proviene da tutta Europa, in pellegrinaggio per portarsi a casa esperienze memorabili.” * È la prima volta che l’Arena di Verona dedica un’intera stagione ad un unico artista ed è la prima volta che Franco Zeffirelli riceve un simile riconoscimento da un teatro. * Z E F F I R E L L I , Fr a n c o , Zeffirelli. Autobiografia, Milano, Mondadori, 2006
sua Gallery House ed uno show room ad Arconate dove gli artisti affermati e i giovani esponenti del panorama italiano possono avere una buona visibilità. Uno spazio ideale anche per tutti gli appassionati
d’arte e creativi che possono confrontarsi e ammirare la collezione permanente in un’atmosfera genuina e discreta. Tina Parotti, socia del Museo della Permanente di Milano, predilige organizzare mostre in collaborazione con Enti pubblici e privati. Ha esposto in prestigiose rassegne nazionali
e internazionali e le sue creazioni sono ambite sia dai collezionisti che dai Musei. www.tinaparottti.com tel. 338-2105247 TINA PAROTTI Inaugurazione 11 giugno ore 18.00 11 giugno – 11 luglio 2010 Moniga del Garda (BS) Piazza San Martino, 1
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Arte
I ponteggi d’artista
Un artista contemporaneo, Emilio Farina, si confronta con monumenti immortali dell’antichità
Serena Baccaglini
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milio Farina, un artista davvero speciale, crea il ponteggio d’artista, una nuova forma d’arte che trasforma questa struttura da cantiere in un’opera d’arte contemporanea, capace di dialogare con i massimi capolavori all’interno del Duomo di Siena Con un progetto site-specific sul fronte della berni-
niana Cappella del Voto, Il Ponteggio d’Artista, Mise en scene, è visibile dal 12 marzo al 31 luglio all’interno del Duomo di Siena. Trasformare un ponteggio, una struttura da cantiere in un’opera d’arte è affascinante! Un raro privilegio per un artista contemporaneo, che sa accostarsi, creare confronto e quindi nuovi equilibri, reinterpretando e integrandosi con i comples-
Guido Peruz Tutto è vanità
Silvia Colombo
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oglia d’oro e parole tratte dalle Sacre Scritture: questi gli ingredienti delle opere – esempi tra i più significativi dell’arte sacra contemporanea – realizzate da Guido Peruz, artista veneto di nascita e milanese d’adozione. E “Tutto è vanità” è il titolo della recente mostra svoltasi lo scorso febbraio alla Fondazione Mudima di Milano, un chiaro riferimento al Libro dell’Ecclesiaste (o Qoelet) della Bibbia, in cui viene sviscerato il tema dell’inutilità dei piaceri terreni a favore di una felicità più alta, che si rivolge all’ispirazione divina. Si legge infatti “Vanità delle vanità, tutto è vanità”, e “Qoelet” e “Vanitas” sono non a caso i due più recenti lavori di Peruz sul tema, appartenenti a un ciclo che viene portato avanti da un decennio, con una cura e una costanza che rispecchiano la riflessione e la coerenza di un artista-credente su cui hanno scritto, tra gli altri, Pierre Restany e Arturo Schwarz. Le opere più recenti appartenenti a questo ciclo sono tavole di formato quadrato preparate a gesso, a sua volta inciso, solcato dalle parole e ricoperto da una lamina d’oro: una trasposizione della Nuova
Gerusalemme così come viene descritta nell’Apocalisse: “La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza… la città è di oro puro, simile a terso cristallo”. E mentre “Qoelet” è formata da 64 tavole – poiché anche la numerologia, come nella tradizione cristiana e medievale, è fondamentale – atte a comporre un “unicum”, “Vanitas”, come dice la parola, è una composizione di 9 opere dissolta e spartita tra amici e artisti che hanno collaborato alla riuscita dell’esposizione, e finalizzate perciò a svanire nella loro interezza e a ricostituirsi come pezzi autonomi. In un periodo in cui la fede e la sacralità sembrano essersi smarrite, o semplicemente ripetono se stesse, Guido Peruz è riuscito a trovare la soluzione per un riavvicinamento dell’ultraterreno alla sfera terrena, e al dialogo con il pubblico. Perché gli ottimi risultati ottenuti lo dimostrano.
si monumentali nei quali si inserisce. Mise en scene è un’opera che avvolge il basamento del ponteggio per oltre 30 metri di base per 2,50 di altezza, in cui sembra si prolunghino le figure del Pinturicchio nel suo Colle della Virtù e appaiano di scorcio, in veste contemporanea raffigurazioni quattrocentesche del pavimento del Duomo di Siena, policromie, innesti materici, colature di questo artista particolarissimo, per proseguire in un candido velario, fino alle volte a crociera. La velatura supera i 16 metri, dietro la quale si intravedono i restauratori. All’interno di questa “programmata macchina scenica” i protagonisti operativi si muovono tra bianche sagome sospese, tra bagliori dorati che richiamano gli ex-voto, che si sono “stratificati nei secoli accanto al messaggio di fede testimoniato dalla fastosa cappella secentesca”. Incontro Emilio Farina nel suo studio: l’opera è ai suoi piedi e si srotola davanti ai nostri occhi nella sua lievità, nei colori caldi delle terre colorate. Mi viene spontaneo chiedere all’artista da dove è nata l’idea di quest’opera? Camminando sul pavimento intarsiato del Duomo. Vedendo i particolari del disegno. Mi sono concentrato su quel punto di vista da dove vedevo le cose. Molto semplice, tutto qui, poi piano, piano l’istallazione è venuta da sola. Un pavimento importante quello del Duomo di Siena, dove domina la bicromia del bianco e nero nelle rappresentazioni quattrocentesche. Emilio Farina concepisce la sua opera con i colori delle terre, in strisce che si alternano a lame di specchio…come è arrivato a pensare questa soluzione creativa? Il mio disegno si sviluppa in verticale e nel Duomo, accanto alla dominante bicromia bianco nero orizzontale dei pilastri e delle pareti, sono presenti le decorazioni degli altari e delle cappelle, che utilizzano i colori delle terre e hanno un differente sviluppo compositivo. Da qui il desiderio di cambiare il rapporto da orizzontale a verticale, alternando le mie strisce dipinte con le lame di specchio, che introducono il movimento dei visitatori all’interno dell’opera d’arte, modificando il punto di vista. L’effetto ricercato è quello di un voluto spaesamento per proporre nuove chiavi di lettura. L’antico incontra il contemporaneo: questo tema così difficile, sembra essere per lei uno stimolo creativo, quasi una sfida! E’ così? Si di certo,
contemporaneo ed antico dialogano continuamente in un confronto costruttivo di reciproci stimoli. L’impressione è che queste sue opere quasi si sovrappongano, senza contrasti, alla suggestione visiva delle opere antiche con un approccio del tutto personale. E’ questo uno dei motivi per cui le Soprintendenze amano la sua opera e collaborano con lei con entusiasmo? Il mio scopo, spero riuscito, è sempre stato quello di contribuire al contesto artistico in cui inserisco le mie opere, permettendo che dall’occasione di un restauro, che potrebbe essere motivo di momentaneo disturbo, si passi ad un arricchimento, anche se
rate intervallate da “lame di luce”! L’opera vivrà una nuova vita: verrà smontata a Prato e rimontata, per divenire opera permanente, nella chiesa di Sasseta, nel Comune di Vernio (Diocesi e Provincia di Prato). Un’esperienza innovativa: da opera temporanea, capace di trasformare un ponteggio, ad opera d’arte definitiva, in uno spazio diverso da quello per cui era stata pensata. Per la prima volta, infatti, l’avvio di un
cui si fondono le suggestioni e le memorie di luoghi storici particolarmente significativi. I suoi lavori sono stati all’interno del Pantheon, del Mausoleo di Cecilia Metella, della Villa dei Quintili e della Villa Adriana a Tivoli. Quindi da una situazione di disagio che ogni cantiere porta con sé ad un’occasione di arricchimento e di innovazione. Il percorso di quest’artista è singolare. Vorremmo concludere quest’incontro chie-
solo temporaneo, dell’ambiente. E’ ovvio che l’artista contemporaneo si deve confrontare con l’intorno cercando di sfruttare gli stimoli esterni per proporre un nuovo equilibrio. Credo che il mio tentativo sia stato compreso e ben accettato dalle soprintendenze che hanno colto l’occasione offerta dal confronto tra le manifestazioni artistiche di differenti epoche, come, del resto, è sempre stato. Ma già nell’ottobre del 2000 un suo ponteggio d’artista, dal titolo: «Fons vitae Christus» (Cristo fonte della vita) era rimasto per ben 6 anni nel cantiere di restauro degli affreschi di Filippo Lippi nel Duomo di Prato. Assi di legno dipinte con terre colo-
cantiere di restauro di uno spazio sacro antico ha coinciso con l’installazione di un’imponente opera d’arte contemporanea. Com’è avvenuto tutto questo? Grazie alla sensibilità ed all’intuito artistico del Vescovo di Prato, monsignor Simoni, che ha voluto e sostenuto il fatto che l’opera, dopo la lunga permanenza nel Duomo, dovesse trovare una nuova collocazione definitiva in una chiesa moderna del territorio. A tale desiderio hanno collaborato attivamente i parrocchiani e le autorità locali, ecclesiastiche e civili, che hanno entusiasticamente adottato il mio lavoro. Emilio Farina, era già noto per opere analoghe in
dendo a Emilio Farina qual è l’opera che l’ha più appassionato e perché? Il lavoro del Cristo Bianco di Vernio mi ha molto appassionato perché si è sommato ad una mia personale situazione in quel momento, ma “Mise en Scene”, l’attuale istallazione nel Duomo di Siena mi coinvolge particolarmente in quanto rappresenta un insieme complesso, costituito da studiosi, restauratori e operai sempre in movimento nel continuo divenire delle luci nel progredire del restauro. Il mio desiderio è trasmettere agli altri, specialmente a chi in questo momento lavora nel cantiere, il testimone della creatività artistica. Questo intervento è dedicato a loro.
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Arte
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Fred Charap
Il racconto dei muri
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red Charap nasce a New York, nel 1940, da genitori ebrei russi emigrati negli Stati Uniti. Per anni lavora in un sindacato dove si occupa di fondi pensioni e sanitari. Fred, influenzato dall’ambiente artistico della New York dell’espressionismo astratto, del Jazz e del Be Bop, della Beat Generation e della guerra fredda, decide di andare a vivere a San Francisco, do-
ve si iscrive all’Art Institute e consegue il Master in Fine Arts. Nel 1984 compra una casa in un paese della Toscana. Ha esposto più volte a Parigi, in Svizzera e in Italia. Con l’esposizione “Il Racconto dei muri”, presso l’Aula Consiliare della Zona3 di Milano, Fred esplora in modi differenti la natura del muro. Da una parte i “Muri”, realizzati con pezzi di tela a forma di
mattoni, ammucchiati con colori, fili e colla, diventano elementi di forte matericità, testi leggibili, testimoni del nostro desiderio di dividere, separare, e di conservare. Dall’altra i “Disegni” in cui la chiarezza e la semplicità delle linee in bianco e nero, creano muri, edifici, strade, spazi urbani che schiacciano e riducono l’uomo a sagome ed ombre anonime, emarginate.
Identità Stratificate di Fred Charap Antonio D’Amico
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e opere di Fred Charap riflettono sulla tela la sua più recondita personalità e inverano sentimenti altrimenti inesprimibili, frutto di un percorso che
punta verso il tentativo di non vanificare secoli del cammino di un uomo, prima ancora che di un popolo, quello ebraico, alla costante ricerca di una vera identità. Per Fred, infatti, il supporto pittorico è lo spazio visivo dell’anima, un luogo dove depositare, consciamente o inconsciamente, tutti gli impulsi: dolori, gioie, attese e silenzi che divengono robusti rami delle radici sempre più profonde e ormai difficili da estirpare. Un muro, quindi, inteso come ostacolo o, ancora meglio, come specchio sul quale proiettare il film della propria vita. Per Fred la tela è il luogo del fare “deserto”, dove ritrovare se stesso, alleggerirsi di inutili fardelli, depositandoli con pazienza. La pittura è per Charap un lungo lavoro di tékne dove si riconosce bisognoso dell’unico insegnamento e della sola guida: la Torah. Nella produzione visibile in questa
mostra gli strati materici si ammantano di cromie pastose e calde, atte a formare un gioco intenso di pieni e vuoti repentini e armonici, senza mai lasciare nulla al caso, in particolare negli effetti equilibrati e controllati delle applicazioni quasi del tutto monocrome. Il suo linguaggio pittorico è l’espressione di lenticolari stratificazioni che si sedimentano manifestando una storia aggrovigliata dall’impronta idelebile. Per Fred, così come avviene per tutti gli ebrei, il tempo non cancella quell’eterno fil rouge di continuità con la storia, maestra di vita, abile testimone imprendiscibile che ora attraverso l’antro speculativo della pittura rivive sotto una veste simbolica, forse anche dai significati oggettivi oscuri, ma che non tange le forme del figurativo e rimane velatamente personalissima. I dipinti di Fred invitano a riconoscere il proprio cammino, la propria realtà interiore così come per gli informali. Figlio di una cultura plurisegnica e dalle diverse origini antropologiche, Fred sviscera nel suo fare arte gli idiomi delle sue origini russe, di genitori ebrei emigranti e americano di nascita. A questo punto ...da ultimo, in quei fili sottili e a rilievo che invitano gli occhi dello spettatore a farsi seguire nel loro percorso è nascosta l’essenza dell’arte di Fred Charap che è anche l’anelito continuo e il
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desiderio perenne di un uomo ebreo: la mia vita in terra staniera ha percorso vie e sentieri tortuosi - direbbe l’artista - oltre quel muro, oltre l’eternità, che cosa c’è? A ciascuno la sua risposta!
Emanuele Viscuso
L’artista dell’onda sull’immaginario Silvia Cipriano
uesto il titolo, o meglio Q “l’onda ponte sull’immaginario”, di una delle più
famose sculture del Viscuso e che occupa oggi un posto importante all’aeroporto di Malpensa a Milano. Le sue statue sono nella collezione privata della regina Elisabetta a Londra, al Four Season di Miami e alla Banca Commerciale Italiana di New York. Prescindendo da dove si trovino ora le statue di Viscuso, ci interessa approfondire la personalità dell’artista. Un uomo di un’intelligenza, una sensibilità ed un’ emotività rare, se si pensa che è riuscito a sviluppare da sé le sue velleità artistiche di compositore di musica, di scrittore e di scultore. Nato a Palermo e laureato in giurisprudenza alla prestigiosa università Federico II di Napoli, a Milano lavora per 10 anni in banca continuando a coltivare la sua passione per l’arte. Apre infatti il salotto letterario a Brera dal titolo “i mercoledi artistici” frequentato dalla migliore gente di Milano tra cui anche Vittoria Palazzi. La capacità emotiva del Viscuso si capisce anche dall’aneddoto iniziale che ci confessa ovvero di aver avuto le sue sculture in sogno, mentre pregava il signore di ispirarlo, egli vede le sue sculture modulari. Il Viscuso infatti comincia dipingendo i cd. disegni di musica che presagivano alla forma che le sue sculture avrebbero avuto seguendo il ritmo modulare. La concezione delle scultu-
re del Viscuso infatti non è banale, perché le sue opere sono il frutto di rapporti matematici tra i moduli che li compongono, sono figure geometriche, forme frutto della loro stessa forma. Non è importante il colore delle sculture, asserisce il Viscuso, perché per lui la scultura è forma non colore, i colori sono semplici vibrazioni che le sue sculture hanno. Il suo lavoro mira ad esaltare il senso dell’armonia presente nella pubblica architettura e scultura greca, sebbene in una diversa espressione. Ma Viscuso oltre ad essere un artista italiano riconosciuto e rispettato in America per le sue sculture, i suoi dipinti, i suoi tromp l’oeil, lo è anche per il suo impegno nella promozione delle attività culturali, tanto da essere definito ambasciatore della cultura Italiana in America. E’ anche delegato in Florida dell’Accademia Italiana della cucina ed ha portato nello spazio per la prima volta il cibo italiano nutrendo gli astronauti della Nasa in missione. E’ il promotore, organizzatore e fondatore dal 2006 del “Sicilian Film Festival”, uno showcase di film e registi che ogni anno a Miami trova il suo appuntamento tra le migliori personalità del cinema. Insomma un’artista completo e impegnato che ha meritato nel 2007 le chiavi della città di Miami, a riconoscimento del suo coinvolgimento culturale nella comunità. E noi, italiani all’estero non possiamo che essere orgo-
gliosi dell’impegno e devozione di chi rappresenta la nostra cultura e tradi-
zione, che all’estero trova sempre grande plauso. Dalla nostra inviata a NY
Viscuso, Variation of Narcis and Goldmouth
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Arte
Lo sguardo nel mondo L’
Mostra d’Arte Contemporanea
Associazione Culturale Afriaca, in collaborazione con quattro artisti, dedica una mostra di arte contemporanei “Lo sguardo nel mondo”, con quattro esponenti di questo secolo. Promossa e patrocinata dal Comune di Milano e sponsorizzata da: Edil Mar Impresa srl (RM), Ristorante la Sirena Partenope (MI), Contattocasa Fiera (MI) e Azienda Agrituristica Di Della Tommasa Pasquale
(LE) la mostra “Lo Sguardo Nel Mondo”, si svolge dal 17 Maggio al 2 Giugno 2010, nella sede dell’Auditorium di Milano in via Ca’ Granda 19 a Milano con libero ingresso. Espongono gli artisti: Luigi Latino, Claudio Lia, Sonia Mutti e Beatrice Ruspini. Durante l’inaugurazione che si è svolta il 17 maggio 2010 siamo stati introdotti in un mondo parallelo quello della cultura, vista ed espressa dai nostri artisti, rallegrati dalla mu-
sica dell’Africa Occidentale. Dopo il rinfresco, è stato trasmesso un filmato di Luigi Latino con il quale l’autore ha espresso la propria visione del mondo e dei sentimenti. La mostra: due tendenze completamente diverse ed uguali nello stesso tempo, dove la comunicazione dell’arte visiva si mischia con quella emozionale astratta, trascinando lo spettatore a diventare protagonista. I quadri, i veri protagonisti di questo evento e gli artisti sono a disposizione per
Marenostrum 2
muddle
spiegare i momenti, le sensazioni, il perché di questa arte cosi sublime nel comunicare. Quadri di ogni dimensione, uniti a un sot-
Luigi
anima nera
tofondo musicale di origine Africana creano una sorta di gemellaggio e unione di due mondi. L’asta e il progetto: il 27 maggio 2010
Elogio della semplicità
Un carattere dell’arte contemporanea
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ino al 20 giugno 2010, alla Fondazione Stelline di Milano si tiene la mostra ELOGIO DELLA SEMPLICITÀ. Un carattere dell’arte contemporanea che presenta circa 50 opere di 35 artisti tra i più interessanti esponenti delle principali tendenze internazionali, sviluppatesi a partire dagli anni sessanta fino ad oggi, da Vincenzo Agnetti ad Alighiero Boetti, da Alberto Burri a Lucio Fontana, da Trisha Brown a Gilberto Zorio, da Tony Cragg a Richard Long, da Bruce Nauman a Richard Nonas, da Grazia Varisco a Grazia Toderi, da Gabriel Kuri a Luca Trevisani ad altri. L’esposizione è dedicata alla memoria di Claudia Gian Ferrari, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Stelline insieme a Jean Clair ed Elena Pontiggia, che aveva sostenuto questo progetto fin dal primo momento. L’esposizione, curata da Giorgio Verzotti, promossa dalla Fondazione Stelline, col patrocinio della Regione Lombardia Culture
Identità e Autonomie della Lombardia, del Comune di Milano - Cultura, della Provincia di Milano, si concentra su quegli artisti il cui intento si caratterizza per una decisa semplificazione del fare artistico. Le loro opere, infatti, si basano su processi creativi essenziali, trasparenti nei loro nessi strutturali e logici, e spesso realizzati con materiali poveri, “extraartistici” nel senso di appartenenti alla quotidianità più immediata e banale. Questi caratteri di semplicità e trasparenza tendono ad aprire l’opera all’interazione del pubblico e si contrappongono, forse volutamente, con un altro e diverso ventaglio di scelte espressive, legate a metodi di produzione complessi, tecnicamente difficili da realizzare, ma soprattutto poco comprensibili al pubblico, cui viene negata una possibilità interpretativa e ogni tipo di partecipazione attiva. L’elogio della semplicità vuole documentare ambiti di ricerca che si riallacciano alla tradizione socializzante e democratica del Modernismo, ovvero la
tradizione ereditata fin dagli anni Sessanta e Settanta, quando le principali ricerche artistiche vedevano nello spettatore il destinatario attivo di un dialogo. Per questo motivo, si sceglie di utilizzare materiali di rapida reperibilità e di giungere a processi facilmente socializzabili (compresi quelli tecnologici, “coniugati” in termini di elementarità). L’arte torna a essere un campo d’azione in cui molti fruitori possono interagire; ad essi vengono forniti gli strumenti interpretativi e potenzialmente critici nel momento stesso in cui è data l’opera, per poter intervenire nel processo stesso dal momento che questo è impostato, ma non interamente governato, dall’artista. La complessità rimane, ma va cercata altrove: non tanto nel metodo di realizzazione, quanto nella profondità concettuale che la motiva, nelle implicazioni tematiche chiamate in causa, nei risvolti emotivi suscitati. Accompagna la mostra un catalogo Silvana Editoriale, in edizione bilingue italiano/inglese (18 € in mostra, 22 € in libreria). Elenco artisti: Vincenzo Agnetti, Giovanni Anselmo, Stefano Arienti, Miroslaw Balka, Alighiero Boetti, Trisha Brown, Alberto Burri, Andrè Cadere, Alice Cattaneo, Tony Cragg, Martin Creed, Ceal Floyer,
Lucio Fontana, Douglas Gordon, Jiri Kovanda, Gabriel Kuri, Bertrand Lavier, Richard Long, Euan Macdonald, Liliana Moro, Bruce Nauman, Richard Nonas, Dennis Oppenheim, Gina Pane, Giulio Paolini, Annie Ratti, Ulrich Rückriem, Kazuo Shiraga, Wolfgang Tillmans, Grazia Toderi, Niele Toroni, Luca Trevisani, Grazia Varisco, Luca Vitone, Gilberto Zorio. Elogio della semplicità Un carattere dell’arte contemporanea Fondazione Stelline (corso Magenta 61, MI) 25 marzo – 20 giugno 2010 Orari: martedì – domenica, 10 – 20 (chiuso lunedì) Biglietti: intero € 8; ridotto € 6; scuole € 3 www.stelline.it
alle ore 20.30, la manifestazione prevede una serata dedicata a un’asta di beneficienza con opere offerte dai quattro artisti per raccogliere i fondi per un progetto molto importante “OPERAZIONE SCUOLA SICURA 2010” una raccolta fondi per aiutare i ragazzi che abbandonano la scuola, ragazzi con difficoltà in un paese come il Togo, che non offre molte occasioni. Il progetto “Operazione Scuola” permette la creazione delle borse di studio che permette ai ragazzi del Togo di tutto l’anno, che non hanno la possibilità materiale e economica di iniziare o di proseguire gli studi. Con il progetto “Operazione Scuola Sicura” vogliamo dare aiuto ai ragazzi togolesi nell’età della scuola dell’obbligo, che non hanno le capacità materiali ed economiche per poter iniziare o proseguire gli studi. Molte famiglie infatti, trovandosi in difficoltà
economiche, non riescono a sostenere le rette scolastiche e tutto ciò che concerne lo studio. Lo studio è inteso come unico e reale mezzo di crescita, civilizzazione, apprendimento di cultura e sviluppo dell’individuo e deve essere preservato e assicurato ovunque e a chiunque. Purtroppo in alcune parti del mondo, anche nel XXI secolo, lo studio è un lusso che, non tutti si possono permettere. Ci sono luoghi dove alcune famiglie, non riescono a sostenere i costi necessari per mandare i propri figli a scuola, non riuscendo semplicemente a comprare il materiale necessario, come i libri e i quaderni o pagare le rette scolastiche. Associazione Culturale AFRIACA Sassou Efoe Mawuena Joseph Tel. 0245544053 cel. 3891871241 e-mail: info@afriaca.it sassou.afriaca@gmail.com www.afriaca.it
Seleziona artisti per esposizioni d’Arte Contempornea nel quartiere dei Navigli. Per le selezioni inviare immagini delle proprie opere a sabrinafalzone@gmail.com GabrielKuri
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Il Laboratorio dell’Arte Non solo Cornici
siderio di vivere. Il laboratorio dell’Arte è nato grazie all’amicizia di Mike con Giorgio Leccese che, grazie alla sua esperienza ventennale, realizza cornici su misura a prezzi modici. Le mostre in programma sono realizzate con il Patrocinio del Comune di Peschiera Borromeo e della Fondazione Plef.
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n nuovo spazio espositivo è nato a Peschiera Borromeo (MI) per promuovere il movimento ART-CO (Arte Compatibile) fondato da Mike Ciafaloni. La teoria filosofica dell’ArtCo è basata principalmente da tre elementi che rappresentano l’Arte, l’Amore e la Ragione. Questi concetti, solo se uniti, possono dare consapevolezza e portare equilibrio e sostenibilità nell’esistenza umana. L’artista, autore del grande affresco “L’albero della vita” dipinto nella nuova ala del Policlinico San Donato, spiega che l’obiettivo di quest’opera è
di sdrammatizzare i luoghi di sofferenza che, se concepiti in appositi spazi permanenti affrescati e decorati, rinforzano il de-
Calendario: 1° mostra Caro dal 18 aprile al 4 maggio 2010 2° mostra Sartori dal 9 al 29 maggio 2010 3° mostra Guido Poggiani dal 3 al 17 ottobre 2010 4° mostra Collettiva dal 24 ottobre al 7 novembre Info: 335.6214886 Via Pietro Nenni, 5 –Bis . 20068 Mezzate di Peschiera Borromeo
Carlo Catiri
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a recente produzione artistica di Guglielmo Giolo si inserisce in quell’ampia area stilistica genericamente definita post-informale. Sono collocate in questo ambito tutte quelle esperienze che, muovendo dalle posizioni storiche dei più noti artisti informali degli anni Cinquanta, spaziano in quel variegato territorio dell’arte non figurativa che ancora, nonostante gli sforzi della critica più aggiornata, facciamo fatica ad indagare in modo analiticoesistematico. Ma altresì, in questo panorama diversificato e complesso, le corenti e le linee di ricerca più disparate e divergenti tendono a sfuggire ad ogni sistemazione e catalogazione critica. Indubbiamente l’artista Guglielmo Giolo sta costruendo un suo percorso coerente e significativo all’interno del quale sta cercando di trovare una collocazione stilistica precisa e riconoscibile che, pur riconducendo agli esempi dei grandi maestri
del passato, possa proiettarsi in una dimensione diversa e innovativa. Senza dubbio è un’impresa importante che vale la pena
di giocare. Per ottenere tale scopo l’artista mette in campo tutti quegli strumenti che possono essere utili per tenere testa alla sfida, in questa difficile partita dagli esiti assolutamente
non prevedibili e scontati. Guardando le opere di Giolo notiamo come esse si caratterizzino per forza espressiva e aggressività cromatica, in un continuo contrasto di forme essenziali e semplificate, definite da colori puri e violenti che traducono però una certa ironia comunicativa tendente a sdrammatizzare il linguaggio pittorico e che attira la nostra attenzione più sulla giocosità della composizione che non in inutili percorsi introspettivi. Tutto è sorprendentemente semplice nella pittura di questo artista che vuole attrarre la nostra attenzione non con complicati esercizi intellettualistici, ma con gli strumenti - linee e colori - più naturali che ha a disposizione, sollecitando la nostra fantasia con allusioni che rimandanoadunmondodistupore infantile in cui emozioni e sentimenti sono davvero l’espressione dell’anima.
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LA RUBRICA DI “CARO”
Dentro il circolo
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sservando ultimamente al circolo dell’arte “Caro” mio figlio Diego giocare con diversi pupazzetti, alcuni amici artisti si son messi a parlare del giocattolo come soggetto di molte opere d’arte in tanti artisti più o meno conosciuti. Dai radiant boys di Keit Haring ai burattini di Paul Klee, dai pupi siciliani di Mimmo Paladino ai cavalli-giocattolo di Lorenzo Pianotti e tanti altri personaggi nel mondo della grafica e della pubblicità: Topolino, Paperino, Pluto e tante analogie con il mito: pensiamo a Pinocchio. Ma Collodi da dove prese il suo famoso burattino di legno? Ebbene si...da Cipro; raccontano le Metamorfosi di Ovidio che Pigmalione, re di Cipro era un abile chiroplasta, un pregevole scultore capace di modellare forme femminili di straordinaria bellezza, c’era in particolare una statua d’avorio (di nome Eburnea) alla quale egli aveva lavora-
Guglielmo Giolo Un percorso per l’Arte
Arte
to così a lungo fino ad eleggerla ad ideale amoroso. L’ornava di tessuti e gioielli sperando che si potesse animare e trasformare in una vera creatura, ma quanta sofferenza per non poterla vedere viva per farci “l’amore in tutti i modi, in tutti i luoghi, in tutti i laghi ...
“Durante una festa in onore di Afrodite, Pigmalione portò ricche offerte al tempio della dea invocandola di dare vita ad Eburnea! Ecco ora il miracolo: Afrodite fece innalzare le fiamme dell’altare fino al cielo per tre volte, facendo così capire il suo assen-
ma, pensiamo a Depero e a Balla che nel futurismo con i loro pupazzi-giocattolo volevano comunicare che in un certo senso, adulti e bambini vivono di “simili emozioni “e il giocattolo non era altro che la metafora di “mettersi in gioco”, mettere in gioco la
so alla richiesta. Al ritorno a casa, Pigmalione, accarezzando la sua Eburnea, la vide lentamente trasformarsi in donna, una donna in carne ed ossa e poi un grande amore (bello in tal senso un quadro del pittore neoclassico Jean-Leon Gerome). Ha ragione Paul Klee quando dice “l’arte non mostra il visibile, ma rende visibile...”. La favola-mito-leggenda è il sale della nostra storia e “tutti noi abbiamo il nostro giocattolo “, il nostro gioco! L’arte è gioco, è gioia di creazione, le emozioni della nostra ani-
loro nuova poetica di slancio verso il futuro foriero di costante rinnovamento di piacevolezza del proprio “modus”. Esplode il cuore nel momento in cui ci sentiamo creatori delle nostre pagine di arte e di sogno per poi “asciugarle con la polvere delle ali delle farfalle” (Diderot). Il grande Seneca ci ha insegnato che “per gioire, bisogna prima soffrire” e l’arte ci riserva sempre il credo verso un kàntharos di speranza ... come un firmamento dove “le stelle sono buchi da cui filtra la luce dell’infinito”.
I Love Design Una nuova rubrica
Presentiamo nella vetrina del portale www.okarte.org, sempre più ricco di notizie d’Arte, la nuova rubrica “I love design”. L’iniziativa, scritta e curata da Caterina Misuraca e Paola Sammarro, non è la solita rubrica sul design, ma una lente di ingrandimento sulle curiosità e sull’ingegno made in Italy. I love design è il punto d’incontro tra visione, tecnologia e creatività, dove un prodotto può divenire uno stile, una filosofia, non certo un oggetto. Non solo prodotti ma forme e materie, tendenze, espressioni, attitudini che cambiano, si trasformano, si contaminano disegnando il futuro. Love design non parla di moda, ma di stile.
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“I luoghi del cuore”
Vota il luogo italiano che vuoi far conoscere e amare
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eano? L’albero del giardino di Caprera? Il porto di Marsala? Quale sarà stato il luogo del cuore di Giuseppe Garibaldi, “testimonial” della quinta edizione del censimento “I luoghi del cuore”, promosso dal FAI - Fondo Ambiente
un sito famoso, un panorama spettacolare, un monumento storico. Può essere un giardino, una spiaggia, un faro o un borgo, una piccola chiesa o un isolotto. Di qualunque genere sia, se scompare, ci fa soffrire, ci fa sentire più poveri, più vuo-
Eremo di San Romedio in Val di Non, Trento scelto da Licia Colò
Italiano in collaborazione con Intesa Sanpaolo? Garibaldi unì l’Italia. Ora tocca agli italiani farla conoscere, amarla, proteggerla. Un luogo del cuore appartiene alla geografia, alla storia, ma anche e soprattutto alla memoria di ciascuno di noi, che l’ha fatto proprio. Tutti abbiamo almeno un luogo del cuore dal significato speciale. Non è necessariamente
mune” fatto di cultura, arte e paesaggio che caratterizza in maniera particolare ed esclusiva il nostro Paese. Il nostro cuore non basta a difenderlo: per tutelarlo è necessario farlo conoscere. Il significato del censimento del FAI “I luoghi del cuore”,
Licia Colò
ti. Per questo dal 7 maggio al 30 settembre, il FAI invita tutti gli italiani a segnalare il proprio luogo del cuore, perché, se certamente non svanirà dalla nostra memoria, rischia di scomparire dalla geografia e dalla storia. Un luogo che sia inconfondibilmente italiano - al quale vogliamo dare un futuro sicuro - in cui ciascuno possa riconoscersi e riconoscere quel “territorio co-
è proprio quello di difendere e di aiutare tanti luoghi a volte dimenticati o in pericolo, di trasformare il loro incerto presente in un futuro certo. Un momento di presa di coscienza personale e collettiva, per dimostrare a se stessi e a tutta la comunità che ogni italiano può avere un ruolo attivo e concreto nella difesa di quel patrimonio d’arte e di natura che è l’identi-
tà del nostro Paese. Per farlo, basta una firma. Meglio se unita a quelle di migliaia di altre persone: l’unione fa la forza - come ha dimostrato Garibaldi con i suoi Mille…- e la prova sta nelle numerose mobilitazioni spontanee collettive in difesa di un bene comune che hanno caratterizzato le precedenti edizioni del censimento. Le segnalazioni al FAI hanno il potere di dare visibilità a ciò che amiamo, di far conoscere luoghi e monumenti magari poco noti che hanno bisogno del nostro aiuto e rappresentano un gesto di partecipazione attiva: intervenire infatti significa sventare l’indifferenza, il più potente alleato del degrado. Proprio mentre ci si appresta a celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, il censimento del FAI assume un significato particolare L’Unità d’Italia infatti non è solo quella dei libri di storia, né quella di cui, un secolo e mezzo fa, fu artefice Giuseppe Garibaldi. Ben prima dell’unità politica del nostro Paese le nostre radici storiche, artistiche e geografiche ci hanno dato un’identità di popolo, ci hanno fatto riconoscere in un patrimonio comune che va oltre l’appartenenza geografica, le regioni e le città in cui viviamo. Un patrimonio che dobbiamo difendere in ogni modo. Uno di questi è proprio
il censimento del FAI, come dimostrano la partecipazione e i risultati. Grazie alle segnalazioni a “I luoghi del cuore” è stato raggiunto un grande successo dalla gente di Trapani che ha inviato ben 7.052 voti contro la burocrazia che da anni blocca ogni tentativo di recupero del Castello della Colombaia, antichissima fortezza all’ingresso del porto cittadino. Il FAI ha fatto da megafono per quelle voci inascoltate e oggi si può annunciare il recupero del Castello da parte della Regione Siciliana. In occasione del lancio della quinta edizione del censimento il sito www.iluoghidelcuore.it è stato completamente rinnovato. Per il secondo anno consecutivo MSN riafferma la sua collaborazione con il censimento “I Luoghi del Cuore”. Il portale avrà infatti uno speciale interamente dedicato all’iniziativa del FAI, disponibile all’indirizzo www.
i luoghidelcuore.msn.it. Questa edizione prevede anche un interessante sviluppo per le scuole con il nuovo concorso “Fratelli d’Italia” – in collaborazione con Intesa Sanpaolo - per la scuola primaria e secondaria di I grado per l’anno 2010-2011. Per informazioni e iscrizioni dal 28 maggio www.faiscuola.it, sezione “concorsi”. Il regolamento si può consultare sul sito www.iluoghidelcuore.it. Modalita’ di partecipazione al censimento Dal 7 maggio al 30 settembre 2010 si può segnalare il proprio luogo del cuore: compilando le cartoline e imbucandole nelle apposite urne presso le filiali di Intesa Sanpaolo e di tutte le banche del gruppo; compilando le cartoline nei Beni FAI e presso le Delegazioni del FAI visitando il sito www.iluoghidelcuore.it con Messenger e su MSN all’indirizzowww. i luog h idelc uore.msn.it
“Sicilian Defence” cast stellare
Il regista Carlo Fusco ci parla del suo ultimo importante progetto Francesca Bellola
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l cinema italiano è un nostro patrimonio che deve essere salvaguardato. I film sul neorealismo realizzati da grandi registi che spesso, con pochi mezzi, riuscivano a raccontare la verità di un Paese che sentiva il bisogno di riscattarsi dalla guerra, sono stati esportati in tutto il mondo. Roma rappresentava la mecca del cinema, dove i grandi divi Hollywoodiani venivano immortalati nelle copertine delle riviste glamour tra le vie della dolce vita. Oggi, fortunatamente, abbiamo giovani e validi registi che tentano, non senza molte difficoltà, di sopravvivere all’improvvisazione e alla mediocrità producendo delle opere prime low cost. Carlo Fusco, giovane ed emergente regista, ne è un esempio; al suo attivo vanta numerose collaborazioni ed un progetto presentato a Milano nell’ambito del Busto Arsizio Film Festival dello scorso marzo, che rappresenta una sfida a dir poco straordinaria per il nostro cinema. In questa occasione gli abbiamo rivolto alcune domande. Carlo, hai iniziato la tua
carriera dopo una lunga gavetta durante la quale hai realizzato dei lungometraggi. Ce ne vuoi parlare… Ho prodotto e diretto il lungometraggio “ La straniera”. In questo film non avevo una troupe, ma mi occupavo di tutto, scenografia, fotografia, riprese, montaggio ecc. Il film è stato premiato dal regista Silvano Agosti e successivamente, distribuito su varie emittenti private. In seguito hai diretto un attore del calibro di Franco Nero… E’ stato un onore averlo nel cast di “ Una roccia spezzata”, un film sul bullismo. Franco Nero recitava accanto ai pazienti di un centro d’igiene mentale. Il film prodotto da Thomas Bussacchetti è uscito su Sky. Hai anche affrontato un tema delicato come quello della pedofilia… Si, il film “Pochi giorni per capire” con Tony Sperandeo ed Enrico Lo Verso, è stato presentato al “Terre di Siena Film Festival”. E’ ambientato in un paesino del sud dove un sacerdote arrivato dal nord si scontra con una realtà omertosa che nasconde una storia
drammatica. Hai lavorato ai lungometraggi con pochissime risorse, ora stai presentando un progetto che hai scritto un anno e mezzo fa e che rappresenta una sfida per il nostro cinema. Il cast è internazionale, Danny Glover, Geraldine Chaplin, Omar Sharif, solo per citarne alcuni… Come è nato il progetto? Ho conosciuto Cassandra Gava ad un Festival, le ho proposto la mia idea, l’ha trovata molto coinvolgente, quindi l’abbiamo sviluppata e sceneggiata. E’ stata lei a coinvolgere attori come Vincent Gallo, Michael Madsen, Geraldine Chaplin e la figlia Oona eredi dell’indimenticabile Charlot, insieme a Maria Grazia Cucinotta e Kim Rossi Stuart. Un cast simile sarà una garanzia per trovare un produttore…. Abbiamo presentato il progetto alla Regione Sicilia, dove verrà girata buona parte del film, qualora venisse finanziato, entrerebbero altri sponsor. Ci racconti la storia? E’ un thriller politico d’azione che rappresenta un’apertura dei giochi di
scacchi, dove ci si mette in gioco fino in fondo. Si affronta una tematica molto attuale come il terrorismo internazionale in Italia. In risalto gli aspetti del mondo arabo intrecciati a quello occidentale, entrambi visti dalla parte del potere politico ed economico più che propriamente religioso. Un mercato arabo, un bambino e il suo mondo fatto di piccole soddisfazioni quotidiane sono in contrasto con la sua vita fatta di soldati e colpi di kalashnikov, dall’altra parte un bambino occidentale ricco e avvolto dall’egoismo del suo mondo. Due madri, una disperata per la morte del figlioletto che si trova al momento sbagliato nel posto sbagliato, l’altra che organizza un attentato terroristico spinta dal potere economico. Due vite che non si incroceranno mai ma che costruiranno su due binari paralleli una strage nella quale perderanno la vita molti innocenti in un attentato alla stazione di Milano. Avete già individuato delle location? Sicuramente gireremo a Milano diversi esterni ed interni sia in centro che
Carlo Fusco, Danny Glover and Cassandra Gava
nelle zone più periferiche come alcune riprese nella Ex tessitura Milani, grazie alla Film Commission che ha accettato di ospitare la troupe. Inoltre saremo a Roma, Palermo e in
Marocco. Auspichiamo che questo importante progetto venga realizzato e che un regista intraprendente ed umile come Fusco, possa raggiungere l’olimpo del grande cinema.
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Aki Kaurismaki Perdenti al rallentatore
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onsiderato il Jim Jarmusch del vecchio continente (lo stesso che compariva per un cammeo del suo strampalato Leningrad Cowboys Go America) nonchè cinefilo incallito, lo scandinavo Aki Kaurismaki si è contraddistinto di recente nel panorama cinematografico mondiale per il suo stile asciutto e lucido al contempo, che riesce a glorificare le gesta dei “losers” come nessun altro cineasta è mai riuscito a fare, forse eccezion fatta per i maestri del nostro neorealismo. Nasce ad Orimattila, in Finlandia, nel 1957. Dapprima il suo cinema è intriso sia di iperrealismo di echi dostoevskijani (tanto che decide di esordire alla regia con un’adattamento borghese di Delitto e Castigo) quanto di surrealismo che ricorda Bunuel da una parte, e la grammatica filmica delle comiche del muto e dei b-movies americani dei ‘40 dall’altra (vedi lo stravagante Calamari Union, dove diciassette dei diciotto membri della banda protagonista si chiamano Frank e l’altro Pekka). Dopo i primi tentennanti espressivi, l’autore finlandese comincia ad interessarsi del proletariato della sua disumana Helsinki, così soggiogato dalle logiche della modernità laddove una spietata e razionale brama di superiorità sociale cancella ogni minima traccia di sentimento; saranno perlopiù questi i leitmotiv della cosiddetta “trilogia dei perdenti”, ovvero “Ombre in paradiso”,
“Ariel” e “La fiammiferaia”, tutti usciti tra l’86 e l’89. La recitazione è essenziale e stilizzata, il ritmo bradipeo, le situazioni e gli ambienti opprimenti; nel triste microcosmo kaurismakiano nessuno è profeta nella patria ancora divisa culturalmente tra il comunismo sovietico e il plagiato american way of life imperante nell’Europa occidentale; la felicità (o quanto meno un suo remoto sentore) sta oltre, in Messico (Ariel) o almeno nella vicina Estonia (Ombre nel paradiso), mentre l’unica condizione di riscatto non sembra nemmeno essere la rappresentazione di quell’amore impacciato e svuotato di ogni passione che funge da latente controcanto (piuttosto disincantato) ai temi principali. Il modo di fare cinema kaurismakiano è altresì rivoluzionario anche in senso strettamente materiale; è infatti uno dei pochi cineasti in circolazione che ultima le riprese dei propri film in poche settimane, non sforando mai nè col budget nè coi tempi. Estremamente eloquenti a riguardo le parole del regista quando dice che “Se non si sa cosa filmare meglio cambiare mestiere”, come se fosse una sorta di inno all’alienato stile di vita dei personaggi cronicamente ai margini della società, sempre in bilico tra uno sguardo cinico ed un’altro sognante, proprio come il loro compassionevole creatore. Filmografia consigliata: “Ombre in paradiso”, “Vita da boheme”, “L’uomo senza passato”.
La dualità del mondo percettivo
utti noi fin dalla nascita siamo stati abituati ad interagire con la dualità del mondo intesa come opposti o contrasti e le loro sfumature. I contrasti e loro sfumature per un individuo sono alla base di tutte le acquisizioni primitive e fondamentali che nascono dall’attività percettivo – motoria. Tali acquisizioni permettono successivamente l’approccio alle diverse conoscenze e soprattutto ai processi intellettivi che permetteranno l’organizzazione dei pensieri logici: tutto ciò è dimostrato dalla scienza, partendo da rigorose sperimentazioni. Attraverso i processi di adattamento motorio spontaneo nascono i processi del pensiero; facciamo un esempio: un individuo scopre un certo numero di nozioni astratte che può utilizzare come strutture intellettuali prima di poterle esprimere e verbalizzare. Sollevando ad esempio, oggetti differenti, scoprirà che se il primo è più pesante del secondo e il secondo e più pesante del terzo, il primo sarà più pesante del terzo, percezione avvalorata da un confronto obiettivo. E scoprirà la stessa relazione attraverso la percezione della distanza, del tempo, dell’ intensità e di tutte quelle capacità che rientrano nelle percezioni della realtà che ci circonda, veicolate dai nostri cinque sensi, senza l’esclusione dei sentimenti. Questo permetterà una generalizzazione del processo di acquisizione che porterà successivamente ad un continuo e corretto dialogo con la realtà oggettiva e soggettiva. Così è per tutte le nozioni che legano differenti elementi percettivi in una relazione logica. Ne elenco alcune solo per dare un’idea. La nozione di successione spaziale o temporale e di regolarità o irregolarità, porterà alla nozione di strutture. La nozione di ripetizione, di ciclo, assieme alla precedente, porterà ai differenti ritmi spaziali e tempora-
Ok Arte Milano
Edito dall’Associazione Culturale Ok Arte Direttore responsabile Avv. Federico Balconi Direttore editoriale Francesca Bellola Pubbliche relazioni Elena Marradi Progetto Grafico e impaginazione Kerr Lab kerr@email.it 02 8321963 Stampato dalla Igep Via Castelleone 152 CR Testata OK Arte Reg. Tribunale di Milano del 6 maggio 2008 n. 283
Hanno collaborato: Ass. Culturale Afriaca Serena Baccaglini Federico Balconi Clara Bartolini Francesca Bellola Matteo Castelnuovo Carlo Catiri Silvia Cipriano AmarenaChicStudio Silvio Colombo Antonio D’Amico Giuliana De Antonellis Isabella De Matteis Mauro De Sanctis FAI Sabrina Falzone Carla Ferraris Carlo Franza Fabrizio Gilardi Alessandro Ghezzi Anna Guainazzi Luca Impellizzeri
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parliamo di... a cura del prof. purpura
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Luca Impellizzeri
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Francesca Mariano Ivana Metadow Domenico Montalto Milena Moriconi Sabrina Panizza Rosa Parisi Alfredo Pasolino Ugo Perugini Antonio Purpura “Caro” C. Roccazzella Clara Terrosu Yari Fond. Arena di Verona Massimo Zanicchi
Informazioni e pubblicità 3474300482 info@okarte.org OK ARTE sede in c.so Buenos Aires 45 presso agenzia Cattolica
li. La nozione di comparazione; di (+), di (-) e di zero. La nozione di equivalenza e di ineguaglianza che nasce dalla precedente. La nozione di similitudine, di differenza e di contrario da cui nascono le nozioni, di proprietà, di appartenenza, d’insieme e di negazio-
ne. La nozione di causalità con la sua relazione logica orientata dalla causa all’effetto e tutta l’espressione verbale che ne deriva. La nozione di riflessività di cui si troveranno le applicazioni tanto in matematica quanto in grammatica. Le nozioni di oggetto e di soggetto che sono relazioni vissute attraverso l’azione ( il verbo), molto prima di essere nozioni grammaticali, e tutte le interferenze e le associazioni fra queste differenti nozioni che appaiono nel corso dell’evoluzione spontanea delle situazioni vissute. ecc. Tali relazioni sono vissute dall’individuo in un modo
molto pragmatico. Non si ha, nell’astratto una coscienza chiara. Successivamente uno dei principali obiettivi dell’educazione intellettuale dovrà essere quella di creare nozioni astratte che saranno gli strumenti dell’intelligenza deduttiva. Molto spesso si dà per scontato l’acquisizione delle suddette nozioni e non pensiamo che possono esserci state interruzioni anche temporanee nell’evoluzione dell’individuo, con la conseguenza della non acquisizione di alcune nozioni che porta all’incapacità di comprensione. Comunque sia, queste importanti nozioni possono essere acquisite e intellettualizzate partendo dal vissuto, e facilitate da un mediatore. Tutto questo porta ad una corretta e consapevole interazione con il mondo percettivo e degli eventi. La percezione collegata al vissuto ci da’ la giusta consapevolezza degli opposti e delle sue sfumature, senza le quali non potremmo essere coscienti della valenza delle percezioni stesse. Immaginiamo una linea dove alle estremità si collocano gli opposti della stessa natura, facciamo un esempio: nel contrasto buio e luce, non potrò mai essere consapevole degli stessi, se non ho fatto l’esperienza diretta; un cieco dalla nascita ad esempio
non conosce la luce, conosce soltanto il suo stato di essere che noi definiamo buio, quindi non potrà mai comprendere la descrizione di tutto ciò che è colore, luce e analogie o associazioni connesse ad un testo, o poesia o altro. Un individuo che ha sempre vissuto in un ambiente privo di rumori, non potrà fare un confronto con un rumore di grande intensità fino a quando non rientrerà fra i suoi vissuti, un individuo non potrà apprezzare uno stato di felicità se non lo ha confrontato con una esperienza di grande infelicità. Ovviamente fra i due opposti abbiamo una grandissima gamma di sfumature che intercorrono tra gli stessi, ecco che allora l’uomo con un’esperienza molteplice degli opposti avrà maggiore consapevolezza del suo essere e del mondo perché ha la possibilità di gestire i rapporti delle infinite gamme della dualità.
astroarte di yari
Claude Monet
14 novembre 1840 - 6 dicembre 1926 U n privilegiato in questo universo di creatività è Monet, impressionista francese che ha lasciato nella suapittura un’impronta indelebile e un pensiero attento, dolce e romantico del nostro mondo. La filosofia di un artista, così amante della natura, riflette l’amore che i pianeti hanno per l’uomo e il suo destino. Così essi intervengono, con i loro moti transitori, a pianificare le traversie del nostro percorso o addirittura ad aggravare le nostre vicende. Ci rendiamo conto, e ne è anche un esempio Monet del segno dello scorpione, quanto sia bello ammirare un tramonto, un cielo stellato oppure una campagna estiva. Di fronte ad un quadro di Monet tutto diventa più comprensibile e dibattendo su queste argomentazioni, la profondità dei sentimenti può essere messa a dura prova davanti ai vandalismi della società odierna. I transiti planetari sollecitano con la loro energia, il nostro talento verso ogni forma d’arte e creano nel
destino storie come quelle del maestro del colore. Ci guidano a fare da docenti, a chi ne è compiaciuto, facendo splendere l’animo di un critico, che attendeva da tempo un evento culturale così maestoso. La finalizzazione di un capolavoro pittorico e scultoreo riguarda sempre il genio come in questo caso, è quindi palese fare riferimento al grande esecutore della natura morta, che, per maestria di disegno e contrasti di luce, non ha eguali nella sua epoca. Così, il sostegno degli
astri è influente ma non necessariamente determinante in senso positivo, anzi talvolta la lotta tra giganti diventa una sconfitta che bisogna saper accettare per trarne lo spunto alla grande rivincita, regalo di una vittoria finale. Venere segna la bellezza di un artista amante della vita, Giove la forza d’urto di un uomo pronto a lottare in ogni misura per fare valere i diritti umani nella società. Marte scandisce le sue battaglie vinte sulle tele con ogni espressione semplice che va dalla sinuosità di una donna d’alta corte, a un campo di grano sbiadito in autunno in contrapposizione al rosa delle ninfee in primavera. Scalfire nelle nostre memorie l’apoteosi di un sogno, realizzato egregiamente, è compito di un Mercurio che ha ispirato Monet in passato e, ce l’ha donato, elogiato consentendoci di metabolizzarci in tutta la sua sregolatezza variopinta di colori. Contatta Yari al 340-2290751 oppure scrivi a info@okarte.org
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Claudio Cubello
Diventa socio di OK ARTE
L’esultanza dei sensi
Federico Balconi
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rande successo a Milano della mostra personale dell’artista Claudio Cubello, allestita allo Smooth bar di via Buonarroti 15. In un ambiente “smooth” ovvero vellutato, liscio, sinuoso Claudio Cubello ha introdotto magistralmente, in un’atmosfera di musica ed odori, tensioni emotive ed intuizioni surreali, quasi sensitive, ad esprimere un concetto artistico già presente nel futurismo e che pretendeva l’esultanza dei sensi, tutti, sulle tele. Scrivere, o descrivere, un artista e la sua arte è come imboccare una strada sconosciuta che passa dalle mani del pittore e tocca la sua anima, fatta di sentieri, cunicoli e larghe carreggiate a quattro corsie, dove è facile sbagliare, mentre ci vuole una certa sensibilità per esplorare, con cautela, e
non prendere sentieri fasulli, lontani dalla destinazione. Perchè l’arte, come un germe, si accomoda in certi uomini e cresce con loro, a volte inconsapevoli per anni, salvo piccoli segnali o sintomi, quali sentire un bisogno di espressione, che vita e colori chiedono pennelli e tele e il tempo che ci vuole. Così Cubello fin da bambino ha sentito il suo germe, ma solo da adulto ne ha risentito i sintomi, farsi più insistenti, più legittimato, una volta assolti gli impegni che lo hanno costretto lontano dalla sua passione. Per Cubello non vi sono dubbi di sorta, poichè la sua esperienza artistica ha pieno possesso delle opere di Picasso, Pollock, Monet, esposte al Metropolitan Museum di New York, dove ha potuto toccarne l’essenza, dove ha conosciuto il Maestro Ezio Gadioli e con il quale ha potuto tracciare la sua via, come un discepolo, in un rapporto umano e artistico fuori dal tempo. Il germe di questo pittore vive però di vita propria e delle sue vene artistiche ed esterna la sua forza, la sua voglia di comunicazione, senza riguardi, senza obiettivi, libera e piena di colore e dal colore nasce e si anima la tensione artistica di
Ad ogni nuovo socio
in regalo un’opera d’arte! “L’Associazione Culturale OK Arte, nella sua attività di sviluppo e promozione dell’attività artistica, ha incaricato valenti artisti che operano presso il Laboratorio Sperimentale Arti Visive di viale Abruzzi di realizzare alcune incisioni aventi a soggetto gli animali.
Cubello. Dai colori prendono vita i suoi studi, quasi scientifici, colori che poi si contorcono in immagini plastiche che si possono toccare per un attimo soltanto, perchè poi è la forza che prevale, dirompe, ti depista e ti confonde. Quelle di Cubello sono di notevoli dimensioni e trattengono spazi senza confini, nè luoghi, o volumi in pieno dinamismo, inafferrabile, proprio come un sentimento: le sue opere esprimono lucidi calcoli, finalizzati all’equilibrio, a contraddire un’apparente freneticità, per poi sfociare in una forma sentimentale senza citazioni, nè romanticismo, libera e originale. L’arte di Cubello crea tensione, e poi rilassa, e seduce, ma esige tempo, e profondità, per andare oltre il colore, l’animazione, passando dall’analisi di ogni riflesso cromatico e codificarne la sensibilità. Per questo la sua arte lascia spazio ad ogni interprete, ad ogni esperienza, purchè si sperimenti, senza finzioni.
La prima opera è la “Civetta” (riprodotta nella foto). Si tratta di una xilografia su linoleum incisa da Valeria Modica che verrà tirata in un numero limitato di esemplari. Cinquanta incisioni saranno a disposizione di coloro che si iscriveranno in qualità di Soci Sostenitori sino al 31.12.2011, versando la quota di 50 euro. Ciascun esemplare, di formato 30 cm per 50 cm, è numerato e firmato in originale. Valeria Modica, l’artista che ha realizzato l’opera, insegnante d’arte, è ben conosciuta e quotata (www.valeriamodica.it). In questo modo tutti coloro che hanno apprezzato in questi anni la rivista OK ARTE potranno contribuire al suo sostegno ricevendo un dono di valore. Chiunque volesse diventare socio dell’Associazione OK ARTE può farne richiesta scrivendo a info@okarte.org o telefonando al n.3397684287. Successivamente si può ricevere l’incisione presso il proprio domicilio o recandosi presso il Laboratorio Sperimentale Arti Visive.
Santa Maria alla Fontana Una fonte d’acqua miracolosa
Francesca Mariano
Artists in Residence Show I Fondazione Arnaldo Pomodoro
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cura di Milovan Farronato e Angela Vettese, la mostra propone venti opere realizzate da giovani artisti selezionati da venti tra le più prestigiose residenze per artisti in Italia e nel mondo. Le residenze per artisti sono luoghi di scambio, di concentrazione e di lavoro, che offrono agli artisti la possibilità di lavorare con serenità, lontano dal proprio contesto di origine e in un clima di dibattito intellettuale. La formula della residenza, con periodi di permanenza che possono durare da un mese a due anni, si è affermata negli ultimi anni venendo
incontro ad alcune esigenze specifiche: anzitutto l’artista si trova a poter lavorare libero dalle sollecitazioni del mercato e con uno spazio a sua completa disposizione, sia fisico che mentale. Inoltre, le residenze tendono a fare una prima selezione tra i talenti emergenti senza che questa sia influenzata da fini di lucro, dall’età dell’artista o da altri aspetti che non siano la sua stessa tensione creativa. In questo modo, le residenze si sono proposte come setaccio di qualità per premiare i più meritevoli e più motivati tra gli artisti. Infine, il meccanismo delle residenze consente e pro-
muove una vasta mobilità internazionale degli artisti, che possono trarre il massimo beneficio da luoghi e atmosfere nuove, senza dover affrontare il disagio di un completo sradicamento. ARS Artists in Residence Show Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro (Via Andrea Solari 35) 5 maggio – 11 luglio 2010 Orari: mercoledì-domenica ore 11-19 (ultimo ingresso ore 17); giovedì ore 11-22 (ultimo ingresso ore 21) Biglietti: 8/5 euro Ingresso gratuito ogni seconda domenica del mese.
n occasione della Settimana della Cultura, è stato presentato il 17 aprile l’intervento di restauro conservativo che ha interessato la chiesa di Santa Maria alla Fontana di Milano. Il nome della chiesa è legato alla presenza di una fonte d’acqua ritenuta miracolosa e nota sin dal medioevo. Il complesso architettonico si sviluppa su due livelli: al livello inferiore corrisponde il sacello a pianta quadrata affiancato da due chiostri collegati da un portico, mentre il livello superiore si identifica con l’attuale
chiesa parrocchiale. I recenti restauri, i cui risultati sono stati illustrati dall’architetto Arricobene, hanno interessato proprio le super-
fici esterne di quest’ultima struttura, e costituiscono il preludio del restauro conservativo delle superfici decorate degli interni.
ASSICURAZIONI IN TUTTI I RAMI PREVIDENZA COMPLEMENTARE GESTIONE DEI SINISTRI
AGENZIA GENERALE DI MILANO LORETO
SPECIALIZZATA NELL’ASSICURARE MOSTRE E OPERE D’ARTE CORSO BUENOS AIRES 45 – 20124 MILANO tel. 0229406125 fax 0229535031 email: milanoloreto@cattolica.it
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Arte
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Nando Chiappa “I colori del sentimento”
Magiche sinfonie, incanti poetici e ritorno all’infanzia Domenico Montalto
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eguita a sorprenderci Nando Chiappa, il “Monet di Cinisello”, che inaugura la sua seconda giovinezza con una mostra braidense, nel tempio per antonomasia della pittura. Come sempre avviene con l’avanzare dell’età, anche Nando ha allentato i freni dell’anima, lasciandosi sempre più commuovere dalla bellezza della vita, che ora ci racconta con accenti nuovi, con colori più luminosi e leggeri. Rapito nei territori della fantasia e della poesia, Chiappa trascorre al cavalletto lunghe e laboriose giornate in cui non sembra avvertire la fatica del lavoro portato avanti con la determinazione e la grinta di un ragazzo. In tanti anni di conclamata attività, stando ai pennelli nel suo studio milanese al Precotto, rinchiuso in una sfera di operosa solitudine, Chiappa ha deliziato i collezionisti con opere pittoriche di neo-impressionismo pieno di levità, di aria, di luce, di tonalismi pregiati: tematiche antiche della pittura – antimoderne, se si vuole – in cui egli ha magistralmente trasfuso la propria anima gentile, portata a raccontare la bontà, il bello, la serenità, la purezza del creato, il pudore femminile, insomma tutte quelle dimensioni che nobilitano l’esistenza e che questo cinico mondo contemporaneo, disincantato e arido, sembra aver smarrito. Per la sua rara capacità di accordare sottili cromatismi (una sinfonia di rosa nebbiosi, di celesti, di verdi acquosi, di blu radiosi, di gialli dionisiaci) a una vivida maestria d’impaginazione, Chiappa è giustamente divenuto uno fra i più celebri pittori figurativi del giorno d’oggi. Con oltre cento
sensibilità corrente l’eredità ottica postimpresssionista: la magia delicata della sua pennellata, naturalistica e atmosfericamente vaporosa, inocula nelle figure e nei paesaggi echi di serenità e di incanto. Una riprova la si può avere ammirando questi suoi recenti quadri, attinenti l’ultimo biennio di lavoro, esposti per tutto il mese di aprile e con grande successo in via Ciovasso. Una piccola ma qualitativa raccolta
la campagna brianzola, alle porte della metropoli. Oggi Cinisello è divenuta parte della grande Milano, e con essa è cresciuta la fama di Chiappa, che ha esposto in tutto il mondo, riscuotendo un invidiabile successo critico e collezionistico, documentato in innumerevoli riconoscimenti come il Campidoglio d’oro (Roma 1978), il Premio della critica (Piacenza 1978), La Madonnina di Milano,
che ripropone i soggetti e filoni cari all’autore, il quale taglia in piena forma il traguardo del mezzo secolo trascorso ai pennelli e al cavalletto. Chiappa iniziò giovanissimo, agli esordi degli anni ‘60, a fare pittura, sotto la guida di maestri quali Spreafico e Pivetta, quando la sua Cinisello era poco più di un grumo di cascine nel-
al contenuto delle sue creazioni, Nando Chiappa, come per magico sortilegio, ci presenta una meravigliosa favola d’amore e di bellezza, di speranza e di fede incrollabile nei veri ed autentici valori della vita, in un’armonia di forme e di colori, di incanti poetici e di sublime musicalità di contenuti e strutture che affascina ed incanta, commuove ed esalta, e, per un attimo, ci rende pienamente felici con l’oblio delle tragedie attuali costituendoci parte integrante di seducenti splendori e di un’atmosfera esistenziale, che si riflette sulle creazioni, d’immediate spontanei-
po. Al giorno d’oggi l’arte contemporanea risulta caratterizzata da un proliferare di immagini ansiogene, scioccanti, pornografiche o raccapriccianti. Al contrario, una mostra di Nando Chiappa è sempre un diletto per gli occhi e un ristoro per la mente. A coloro che alla pittura chiedono un po’ di evasione, di poesia, di pace, di armonia, insomma quella dimensione dello spirito che con un termine leopardiano potremmo definire di “idillio”, Chiappa sa regalare mille emozioni, semplici però autentiche. Giorgio Rota “..Animo dotato di profonda sensibilità ed in grado di avvertire e trasmettere intense emozioni, che ci coinvolgono e ci rapiscono in un’estatica e commossa partecipazione emotiva
tà e di purezza compositiva ed espressiva. Non v’è niente di ricercato ad effetto o di falsamente oleografico, in una stanca iterazione di moduli sorpassati e già visti e sperimentati nelle opere del maestro. L’artista ci parla, con estrema sincerità e con spontaneo candore, aprendo a noi il suo animo di adoloscente di un mondo stupendo ed eccitante, dove delicate fanciulle, ricche di grazia interiore, colte nell’estasi sovrumana di un ininterrotto sogno d’amore, sono accostate alle meraviglie di madre natura in un crescendo di profonde emozioni e di trepidi sussulti dell’animo estasiato e felice, commosso e vincitore della squallida mediocrità di ciò che è finito e limitato nello spazio e nel tempo.
l’International di Parigi, l’Oscar Mondiale per le Arti Visive (Montecarlo), il Trofeo Maestri dell’Arte Italiana (Salsomaggiore), la Medaglia d’oro per il paesaggio dell’Università della Sorbona, e tanti altri. Paesaggi arcadici ricchi di acque e di fiori; figure femminili e modelle dai corpi flessuosi immerse nella mitologica magia di onde e di fiumi; ritratti, soprattutto di bimbi, ora visti come angeli
Nando Chiappa con Cristina Chiabotto
mostre personali in Italia e all’estero, ha portato alla ribalta internazionale il nome della natia Cinisello (che gli ha infatti conferito alla carriera la massima onorificenza cittadina, la Spiga d’oro), equivalente dell’Ambrogino milanese). Sorta di Seurat redivivo in terra lombarda, Nando ha saputo, come pochi altri, adattare alla
e cherubini dalle carnali fattezze, rosee d’incarnati; cavalli frementi all’aria aperta, liberi padroni della natura: ecco i soggetti ricorrenti nell’arte inconfondibile di Nando, che fa rivivere nelle sue armoniose modalità di racconto il retaggio culturale del tardo Impressionismo, del Naturalismo lombardo, del Chiarismo, grazie a una musicale tavolozza dai colori dolci, tersi, vaporosi, con effetti d’atmosfera alitante, frutto di una impeccabile regia di minuti tocchi pittorici, fatta di grumi misuratissimi di materia, di un pontillisme raffinato e onirico, fuori del tem-
Il Principe Louis de Polignac si complimenta con il maestro Nando Chiappa
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