ok Arte MAGAZINE
Maggio - Giugno 2008
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Anno VII - N.1
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Per informazioni e pubblicità: 02 92889584 - 347 4300482 info@okarte.org www.okarte.org
Brevi viaggi:
Brera:
Valle Trompia, Palazzo Reale di Genova, Rocca di Olgisio in Val Tidone, Museo Baroffio a Varese a pag. 10
Un nuovo OK Arte
La rivista mensile OK ARTE, attiva da oltre 5 anni sul territorio milanese, inizia con questo numero un nuovo ciclo. Il giornale si rinnova nell’organizzazione e nei contenuti proponendo percorsi culturali nella città di Milano e in Provincia per scoprire e valorizzarne gli aspetti più o meno noti. La nuova rivista si propone a tutti i cittadini, delle più diverse origini, come strumento di conoscenza del territorio milanese e lombardo attraverso la presentazione, ricca di dettagli e curiosità, di edifici storici, castelli, ville, musei, chiese antiche e ancora di parchi, iniziative, fiere ed eventi. Gli itinerari culturali includono il godimento di luoghi d’interesse naturalistico, della cucina locale e dei prodotti tipici. Molti contenuti di OK ARTE si avvalgono delle indicazioni di Istituzioni ed Enti preposti allo sviluppo del territorio che in questa occasione ringraziamo. Non mancano le recensioni di artisti affermati ed emergenti segnalati dai nostri critici all’attenzione del pubblico più sensibile. La rivista si rivolge non solo a giovani ed adulti, milanesi e turisti, che già frequentano gallerie e musei e partecipano alla vita culturale della città, ma soprattutto ai lettori che, incuriositi, potrebbero rinnovare l’interesse verso il territorio nel quale vivono. I nostri punti di diffusione, posti presso l’Azienda di Promozione Turistica (APT), Urban Center e negli hotel di Milano e Provincia ci permettono di raggiungere turisti e uomini d’affari. Il giornale è a disposizione di tutti gli interessati alla vita culturale della città presso i maggiori centri di promozione d’arte quali: Palazzo Reale, Triennale, Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC), Rotonda di via Besana, Biblioteca Sormani, le principali gallerie d’arte, Università. Fra quanti singoli e gruppi collaborano con OK ARTE segnaliamo l’Associazione Clessidra e l’Associazione Castelli & Ville aperti in Lombardia che hanno suggerito alcuni importanti temi trattati in questo numero e che propongono interessanti visite guidate. Tutti gli amici di OK ARTE si incontreranno giovedì 29 Maggio dalle 17.30 alle 19.30 presso il Cortiletto di Brera di Achille Cennami all’interno dell’Accademia di Brera. Sarà questa un’occasione per festeggiare la nuova rivista e gli intervenuti potranno proporre idee e temi dibattendo con giornalisti e redattori di OK Arte. Chiunque volesse contribuire scrivendo nella rivista o partecipando alle nostre iniziative può inviare una email a info @okarte.org. Alessandro Ghezzi, Presidente dell’Associazione culturale OK ARTE Parliamo di... Le capacità dell’Uomo. Rubrica a cura del prof. Antonio Purpura (a pagina 16)
Intervista al prof. P. Buglioni a pag. 17 l’atto creativo per Carmen Chirico a pag. 16 la sensibilità nell’Arte per L. Istrati a pag. 15
Arte Compatibile:
Ambienti armoniosi ed equilibrati nell’Architettura moderna obiettivo dell’Associazione Art-Co di Mike Ciafaloni a pag. 15
A Milano tra Storia e Arte Riscoprire le città, le sue chiese, gli antichi borghi
Gastronomia:
Vite e Arte a Milano - Leonardo daVinci, cucina tradizionale ligure di Milena Moriconi a pag. 22
Milano in mostre Mostre di maggio e giugno Capitale dell’arte contemporanea in Italia, fra Maggio e Giugno Milano offre la possibilità di visitare importanti mostre. Palazzo Reale ospita 34 capolavori dell’artista neoclassico Antonio Canova. Sempre a Palazzo Reale sono in esposizione le opere Giacomo Balla, in occasione del cinquantenario del Futurismo, e un’antologica di Francio Bacon, ultimo dei grandi maestri della seconda metà del novecento. A pagina 14, in maggior dettaglio, le mostre da non perdere in questo periodo.
ghi adibiti in città al seppellimento dei morti in caso di emergenza. Qualche volta vale la pena di ralRiscopriamo “La Pietà Rondanini” lentare e scoprirsi turisti nella procapolavoro incompiuto di Michepria città, lungo i percorsi abituali. langelo, da visitare all’interno delle Trasformarsi in turisti a Milano raccolte del Castello Sforzesco e permette di fare un viaggio nella appena fuori Milano a Cesano Mamemoria e individuare le trasforderno, il Palazzo Arese Borromeo Nicola Brindicci mazioni che hanno modellato il con i suoi affreschi, ninfei e giochi Maddalena Farina paesaggio urbano che ci è familiad’acqua. Non mancano, a pagina Natali Grunska re. Passeggiando per la città, dudue, una breve storia di Milano, per Ubelly Guerrero Martinez rante un momento di pausa, fra un orientarsi nel tempo e una mappa Roberta Musi impegno e l’altro, gli abitanti quale per orientarsi nello spazio. E’ il moPaolo Napolitano che sia la loro origine possono demento di iniziare la nostra visita in Beatrice T. Garzòn dicare la loro attenzione a quegli città. Scriveteci delle vostre senedifici, alle chiese e a quegli angoli sazioni e segnalateci le bellezze di Per gli appassionati d’arte i nodal valore architettonico inequivoMilano, che vorreste fossero appro- stri critici segnalano con delle cabile che fanno parte di una storia fondite già dal prossimo numero. approfondite recensioni artisti affermati ed emergenti che si sono distinti e che meritano di essere conosciuti e seguiti. Carla Ferraris presenta Roberta Musi, artista che vanta al suo attivo numerose partecipazioni ad eventi espositivi di notevole rileL’antica tradizione delle gite fuori porta vanza, Ubelly Guerrero Martinez, I.V. un casino di caccia, a un Palazzo con opere che raccontano emotisignorile fra balli, concerti e pasvamente e nostalgicamente del suo Il gusto delle vacanze e delle vil- seggiate tra i boschi. Questo modo passato, Paolo Napolitano e la sua leggiature è tipico dei milanesi. Per di vivere si diffuse all’aristocrazia pittura esasperata e per finire Beaquesto forse è così difficile trovar- dell’epoca e le cronache ricche di trice T. Garzòn e la sua particolare ne ancora in città, invasa da citta- passione e d’intrigo delle villegpittura paesaggistica “atmosferica”. dini delle più varie origini. La gita giature del tempo si mescolavaClara Bartolini presenta il “Pitfuori porta ha tradizioni antiche no, fra fasto, lusso e lussuria, con toralismo in fotografia” di Nicola e raggiunse il massimo splendore il godimento delle arti del tempo. Brindicci, artista nato a Domocon Ludovico il Moro, che amava Ai giorni d’oggi le mete, oggetto dossola ma milanese d’adozione. spostarsi durante le battute vena- di desiderio, sono sempre più vaFrancesca Bellola sottolinea l’intentorie, da un castello all’altro, da rie e lontane. In attesa che anche sità cromatica di Natali Grunska i sogni delle vacanze più esotiche e ci racconta la prima personale si realizzino, non disdegniamo le bardo. Chi non vuole far da sé può di Maddalena Farina con la sua località che sono sempre alla no- sempre iscriversi alle gite organiz- pittura elegante e ricca di colori. stra portata per godere di bellezza zate dall’Associazione Clessidra e e cultura, nell’armonia della natura dall’Associazione Castelli e Ville e una sana attenzione ai prodotti e della Lombardia delle quali riporai piatti tipici che la Lombardia e tiamo all’interno orari, programmi le altre regioni più vicine ci pro- e costi. E’ nostro proposito segnaa pagina 23 pongono. Consigliamo in questo lare anche agriturismi, hotel, ristonumero una escursione in Brian- ranti, enoteche, ecc., che maggiorza, una visita al Castello di Brescia mente rispondono alle aspettative e al Castello Quintini, una gita al di qualità e prezzo dei nostri futuri Castello di Vezio sul lago di Como “viaggiatori” e di conseguenza sono vicino a Varenna. Molte le segnala- gradite le indicazioni, i suggerizioni di eventi d’arte e visite cultu- menti, le lamentele dei lettori che kerr 2008 rali anche fuori dal territorio Lom- ne hanno fatto esperienza diretta. Ivan Belli
da apprezzare e ricordare. In questo numero vi raccontiamo della Certosa di Garegnano, con i suoi superbi affreschi, della Villa Mirabello, un angolo di quattrocento nella periferia nord della città, della chiesa di Santa Maria della Consolazione o S. Maria del Castello perché nelle vicinanze del Castello Sforzesco, della Chiesa di San Nicolao, di Santa Maria alla Porta e del suo strano miracolo, del Barcho (il parco) appena fuori Porta Magenta, del Lazzaretto, ospedale dell’epoca di Renzo e Lucia, e di quello che ne resta appena fuori di Porta Venezia, del Fopponino di Porta Vercellina, uno dei tanti luo-
Passeggiate tra ville e castelli
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La “foppa” nella toponomastica lombarda Appartata all’inizio di via S. Michele del Carso, una bizzarra cappella del primo Seicento reca all’esterno due crani scolpiti, e all’interno autentiche ossa umane. “Ciò che sarete voi, noi siamo adesso–ammonisce un cartiglio–chi si scorda di noi, scorda se stesso”. Sono avanzi del “Fopponino”–il cimitero suburbano–di Porta Vercellina, ritratto nel 1820 da G. Locarno. Sorgeva allora in una località sperduta, frequentata da coppiette. Il termine “Fopponino” deriva dal lombardo foppa, cioè “buca, fossa”. Nella toponomastica lombarda, oltre ai cimiteri suburbani, troviamo altri luoghi con questa derivazione etimologica, per esempio: Largo la Foppa, indicante un avvallamento del terreno, poi colmato con macerie e immondizie; Via delle Foppette, per via delle molte buche che si aprivano nel terreno, un tempo assai paludoso per gli straripamenti del canale Lambretto, poi prosciugato, durante le piogge primaverili e autunnali; Fopponcino della Muiascia, un tempo in via Dal Verme. Dal milanese mojàscia, “poltiglia, melma, fangaccio”, perché la buca era perennemente invasa dalle acque por-
tatevi dalle vicine marcite; Cascine Foppa a Gaggiano, Vimercate, Guardamiglio, Briosco. Cimiteri d’ emergenza, i fopponi erano grandi fosse scavate fuori dalle mura cittadine. Uno era il Foppone dell’ospedale (oggi Rotonda della Besana) dove si seppellivano i morti della Ca’ Granda di cui nessuno reclamava i corpi. Altro Foppone, quello di S. Gregorio, dove sorgeva il Lazzaretto costruito nel 1488 per isolare gli appestati e contenere
Arte Milano
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Il Fopponino di Porta Vercellina A. C.
Cimiteri d’ emergenza, i fopponi erano grandi fosse scavate fuori dalle mura cittadine, adibite in origine a cimiteri d’ emergenza. Uno era il Foppone dell’ ospedale (oggi Rotonda della Besana), un altro quello di S. Gregorio, dove sorgeva il Lazzaretto costruito nel 1488 per isolare gli appestati e contenere l’ epidemia. Fossa comune, di dimensioni piu’ ridotte, era il Fopponino di P.ta Vercellina, non lontano dalle carceri. In meneghino si diceva ancora ad inizio novecento “finire al Foppone” per indicare il momento della sepoltura. La simbologia mortuaria contraddistingue questa modesta chiesetta seicentesca ad aula unica: sui pilastri del muro di cinta che delimitava la zona cimiteriale sono scolpiti ossa e teschi; il medaglione che sovrasta il portale raffigura San Carlo l’ epidemia. Durante la peste che comunica gli appestati. del 1630 secondo la testimo- Il piccolo edificio, sorto nianza del Tadino, arrivavano al Foppone, per esservi sotterrati alla rinfusa, anche che fu scavato nel 1576, 2500 cadaveri al giorno, ci- anno della prima peste che fra forse esagerata. Un’ altra colpi’ la citta’. Il Fopponino fossa comune, di dimensio- fu usato per tre secoli come ni piu’ ridotte, era il Fop- cimitero fino al 1885.Una ponino di P.ta Vercellina, sobria lapide rammenta ai non lontano dalle carceri, posteri, fra le sepolture più nell’area delimitata fra piaz- illustri d’un tempo, quelle di zale Aquileia, via S.Michele Luigi Canonica, Melchiordel Carso e via Paolo Giovio, re Gioia, Barnaba Oriani,
per volontà testamentaria di un Giovanni Andrea Crivelli, colpito dalla peste, era infatti collegato all’area del cimitero suburbano di porta Vercellina, il “foppone” o fossa comune destinato ai morti di peste. Le fasi costruttive della chiesa si ripercorrono sulla scorta dei documenti esistenti: il testamento del 1630, le carte conservate nell’archivio di San Pietro
in Sala da cui la chiesa dipese fino al 1958, la visita pastorale del maggio 1683. Il nucleo originario risulta ampliato in due momenti (1662 e 1673) con l’aggiunta di due cappelle laterali e con il prolungamento del presbiterio, interventi ancora ben visibili se si osservano le connessioni dei muri esterni. Internamente tuttavia, l’ordine tuscanico e la volta a botte conservano
allo spazio un senso di unità. Alla facciata, mai completata e a tutt’oggi priva di intonaco, fu aggiunto nel Settecento il bel portale in arenaria sovrastata da medaglione. Nella chiesa si conservano dipinti lombardi del maturo Seicento, di non eccelsa qualità ma tutti di recente restaurati. Tra questi si segnalano la pala d’altare dedicata alle anime del Purgatorio, riscattate dai titolari (databile prima del 1683) con una ricca cornice barocca e la Madonna della Ghiaia con il Bambino e un vescovo firmata nel 1612 dal poco noto Andrea Mainardi detto il Chiavenghino, allievo dei Campi. Altri dipinti sono stati trasferiti nella moderna chiesa di San Francesco d’Assisi cui è annesso il piccolo oratorio. Tra i rami sbalzati e argentati d’età barocca, un tempo numerosi, spicca un paliotto con l’Addolorata fra i titolari. Attualmente la chiesa è utilizzata dal S.M.O. dei cavalieri di Malta.
Amatore Sciesa. Qui, nel 1808, si aprì anche il primo cimitero israelitico cittadino d’età moderna. Trasferite le lapidi, ma non esumate le salme per rigorosissima legge religiosa ebraica, il terreno corrispondente è vincolato a giardino perenne. La prima moglie di Giuseppe
Verdi, Margherita Barezzi, fu sepolta vicino al suo bambino Icilio, nel cimitero di S.Giovannino, che poi si chiamò il Fopponino di Porta Vercellina. Già nel 1868 non si trovò più traccia delle due tombe in quanto i resti erano già stati rimossi e confusi in una fossa
comune. Nel 1912 questo cimitero chiudeva definitivamente e le ossa che vi si trovavano furono trasportate nell’ossario del Cimitero Monumentale, com’è detto nel Bollettino Parrocchiale di S.Pietro in Sala del 1912 sotto il titolo “L’addio ai morti del Fopponino”.
Breve storia di Milano Le prime manifestazioni della presenza umana in territorio lombardo si fanno risalire all’8000 a.C. circa, con le antiche incisioni rupestri della Valcamonica. Insubria è il primo nome della regione. A chiamarla così furono gli Umbri che la invasero nel 2000 a.C. Intorno al secolo VIII a.C. vennero da sud gli Etruschi, un popolo già “civilizzato”, che fondò la città di Mantova. Nel secolo IV a.C., attraverso le Alpi, scesero i Galli. Essi , tra le sponde dei fiumi Lambro ed Olona, fondarono la città di Milano. Da allora iniziò un periodo fiorente per queste terre. I monti si animarono di villaggi, sorsero nuove città: Bergamo, Brescia, Como, Cremona. 222 a.C.: I Romani conquistano ai Galli «Mediolanum». Sec. I e II d.C.: Mediolanum è una delle principali città dell’Italia settentrionale tanto che diventa sede, dapprima temporanea poi stabile, di Imperatori. 285: Massimiliano ne fa la capitale dell’Impero Romano d’Occidente. 313: Milano vede proclamato il famoso Editto di Costantino che permette a tutti i Cristiani dell’Impero di professare liberamente il proprio credo rei igioso. 374: Aurelio Ambrogio è nominato vescovo di Milano. 402: In seguito alle minacce dei Goti di Alarico la Corte è trasferita a Ravenna. 452: Attila, re degli Unni, saccheggia la città. 489: Mentre Milano si sta riprendendo dai precedenti saccheggi ecco sopraggiungere i Goti. Ha origine una terribile guerra con i Bizantini, durante la quale la città conosce un’altra volta la distruzione. 555-567: Milano cade sotto il dominio bizantino. 569: I Longobardi di Alboino occupano la città che rimarranno per due secoli. 774: I Franchi, guidati da Carlo Magno, disperdono le forze longobarde del re Desiderio. La città fa parte del Sacro Romano Impero. Sec. IX-X: Sfasciatosi l’Impero carolingio, il vescovo di Milano assume autorità sempre più grande: praticamente è il vero signore della città. 1045: Terminate le lotte fra nobili e «cives», la città si costituisce a libero Comune ed inizia una politica espansionistica che provoca l’intervento dell’ 1162: Federico I, detto il Barbarossa, riesce, dopo un lungo assedio, ad espugnare la città, distruggendola. 1176: Milano, alleatasi ad altre città, istituisce la Lega Lombarda che infligge al Barbarossa una dura sconfitta. Sec. XIII: Scoppiano i contrasti fra le famiglie dei Della Torre e dei Visconti che si contendono il governo della città. 1311: I Visconti, con Ottone, consolidano definitivamente la loro Signoria. Sorta nel 1287, terminerà nel 1447 con la morte di Filippo Maria. 1450: Dopo l’effimera Repubblica Ambrosiana, Milano passa a Francesco Sforza, la cui famiglia farà della città un eccezionale centro artistico e commerciale. 1535: Morto Francesco II Sforza il ducato diventa feudo imperiale di Carlo V che lo cede al figlio Filippo II, sovrano di Spagna. 1736: Milano, con l’ingresso in città di Maria Teresa d’Austria, entra a far parte dell’Impero asburgico. 1796: Napoleone Bonaparte occupa Milano, determinando la fine della dominazione asburgica 1802: Dopo una breve occupazione austriaca la città diviene capitale della Repubblica Italiana e, tre anni più tardi, del Regno d’Italia, che ha in Napoleone il suo Re. 1814-1815: Congresso di Vienna. Gli Austriaci sono nuovamente padroni della città, che è incorporata nel Regno Lombardo-Veneto.
In questo numero della rivista presentiamo a Milano: 1) Villa Mirabello, via Villa Mirabello 2 no 2) Chiesa Santa Maria della Consolazione, 6) Certosa di Garegnano, via Garegnano Piazza Castello 1 28 3) Chiesa Santa Maria alla Porta, via Santa 7) Fopponino di Porta Vercellina San MiMaria alla Porta chele del Carso, Milano 4) Chiesa di San Nicolao, via San Nicolao e altre ancora... 5) Il Lazzaretto, via Lazzaro Palazzi Mila-
Trovi l’elenco dei punti di diffusione della rivista su www.okarte.org
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Arte Milano
Tra affreschi e ninfei siamo alle porte di Milano Palazzo Arese Borromeo (Cesano Maderno, Mi), dimora nobiliare seicentesca vanta 33 ambienti completamente affrescati dai pittori più rappresentativi del ‘600 lombardo: da Ercole Procaccini il Giovane, ai fratelli Montalto e Antonio Busca, da Giuseppe Nuvolone a Federico Bianchi, per concludere con le quadrature architettoniche di Giovanni Ghisolfi. Edificato dagli Arese nel 1626 e ampliato sul finire dello stesso secolo dai Borromeo, il palazzo si configura, fin dalle origini, come una tipica villa sub-urbana, sorta ai margini del vecchio borgo medioevale di Cesano. Da ammirare la suggestiva Piazza Esedra che, decorata come un anfiteatro secondo il manierismo barocco, si estende davanti al palazzo; l’ampia corte interna; le numerose sale affrescate al pianterreno e del piano nobile; il loggiato affacciato sullo storico giardino all’italiana; il Ninfeo, luogo magico e museale caratterizzato dalla decorazione in mosaico di sassi. Un tempo ricco di
Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno e Villa Borromeo Visconti Litta a Lainate
www.comune.cesano-maderno.mi.it acqua e di piante, costituiva il principale luogo di delizia della dimora, dove lo spirito poteva incontrarsi con l’arte e la natura. Sul retro del palazzo potrete apprezzare il parco, eseguito nel 1654 e ampliato nel 1755, che si estende per oltre 90.000 m2, con viali, giardini all’italiana e prato verde. Un lungo viale, scandito da piccoli apparati trionfali, si allunga davanti al palazzo, proseguendo con unico asse nel retrostante giardino e successivamente, attraverso
Il Lazzaretto
Quando Renzo arriva a Milano uno dei primi edifici che scorge è il Lazzaretto ma ciò che rimane è ben poco. Lazzaro Cairati presentò al Duca Galeazzo Maria Sforza il progetto di un lazzaretto eccezionale, per l’epoca, nelle norme di igiene preventiva. La costruzione era formata da 200 stanzette disposte in quadrato; sul lato dove si apriva l’ingresso c’erano le stanze destinate al personale sanitario e i negozi. Nella corte sarebbero dovuti sorgere due edifici: uno destinato ai sospetti malati, l’altro ai convalescenti. Le stanze in muratura costituivano una novità; in precedenza, infatti, i malati venivano ricoverati in capanne di legno, dove venivano lasciate ampie fessure fra un’asse e l’altra, per permettere la necessaria ventilazione. L’ areazione delle stanze sarebbe stata garantita da due finestre aperte sulle due pareti libere opposte. Il pavimento della stanza doveva poi essere in pendenza verso il muro esterno, nel quale si aprivano gli scarichi che facevano defluire verso il fossato che circondava l’edificio l’acqua usata per lavare le camere; nel fossato scaricavano anche le latrine. L’assenza di una vera epidemia e la mancanza di fondi non permisero l’attuazione del progetto. Nel 1488, alla morte del Conte Galeotto Bevilacqua, l’Ospedale ricevette in eredità 6.000 ducati per la costruzione di un ricovero per appestati “in loco et terreno Sancti Gregorii”.
L’architetto ducale Lazzaro Palazzi riprese in parte il progetto del Cairati. Nel 1513 il Lazzaretto, anche se ancora incompletato, venne adibito per la prima volta al ricovero degli appestati. Alla fine del XVI secolo, cessata l’epidemia, il Lazzaretto fu utilizzato come ricovero per i poveri. Il numero dei ricoverati crebbe ben oltre il limite previsto a causa della carestia. In condizioni igieniche scarse e in uno spazio così limitato ebbe inizio la famosa peste del 1630 e in questa occasione il Lazzaretto accolse 16.210 appestati.
l’Arco del Serraglio, sino alla riserva di caccia recintata, un tempo riservata agli ospiti. La pregevole qualità dell’impianto architettonico
e le apprezzabili geometrie del vasto parco fanno pensare a una progettazione unitaria e di notevole spessore artistico-professionale.
Villa Borromeo Visconti Litta (Lainate, Mi), una villa di delizie dove si fondono arte, storie e divertimento. Ideata dal Conte Pirro I Visconti Borromeo, è un gioiello tutto da scoprire: tra mosaici, affreschi, fontane e giochi d’acqua. Meravigliosi sono i giardini, le fontane di Galatea e del Nettuno, il parco. Ma la punta di diamante è il ninfeo o “edificio di frescura”, suggestivo complesso architettonico costituito da una successione di ambienti decorati a mosaico e con grotte artificiali, destinato ad accogliere la cospicua collezione museale del conte. Questo magico luogo è considerato uno degli esempi più importanti nell’Italia Settentri-
onale per la ricchezza delle decorazioni e la varietà dei giochi d’acqua: il sofisticato impianto di questi ultimi, azionato dalla meccanica di un pozzo, è ancora oggi messo in funzione, per la gioia dei visitatori. La visita notturna delle luci e giochi d’acqua renderà l’ambiente ancora più spettacolare ai vostri occhi. Passeggiando in questi luoghi rimarrete stupiti dall’incanto di Venere o Mercurio, dai delfini, dai draghi e dalle fanciulle, e da uno spruzzo improvviso o incantevoli zampilli azionati da abili ma nascosti fontanieri. PortaMi al Castello!
Telefono: 02 65589231
Visita sabato 14 giugno 2008
Gio Ponti: il gioco delle superfici Dagli anni Cinquanta agli anni Settanta Gio Ponti sviluppa un crescendo di invenzioni nell’architettura e nel design. Comincia per lui la “grande età” o la “splendida età”, come egli la chiama per Le Corbusier di Ronchamp (Francia), Chandigarh e Ahmedabad (India), nel senso felice di una visione che compare (o ricompare) con gli anni. Basta vedere non solo come Ponti crea ma anche come pubblica i suoi progetti, in modo sempre più sintetico e poetico (perfino in forma di favola). E come parla sempre più di forma, e sempre più di immaginazione, nominando il “regno della Bellezza” al di là delle imperanti “problematiche”. In questo decennio – di grande scomparse, nell’architettura e nell’arte, di speranze, paure, e di “un panorama di alba, di risveglio, di inediti” – il pensiero e l’opera di Ponti si riassumono nel detto “l’architettura è fatta per guardarla”. Che è il detto pontiano finale,
sintesi da Vitruvio, a modo suo. Gio Ponti costruisce e “propone”. E dall’edificio Shui-Hing a Hong Kong, 1963, alle chiese di Milano, 1964 e 1966, agli edifici di via San Paolo, Milano, 1967, all’”involucro” dei magazzini Bijenkorf a Eindhoven, 1967, ai progetti di “grattacieli triangolari colorati”, 1967, il suo è un giocare “in superficie”, con le aperture e con il rivestimento (splen-
dente, in ceramica “a diamante”) ed un procedere per facciate “indipendenti” (dalla struttura e dalla pianta) che ci riporta a quel detto: “L’architettura è fatta per guardarla”. Perché l’architettura è paesaggio pubblico, attraverso le facciate: “Le facciate sono le pareti della strada, e di strade è fatta una città: le strade sono la parte visibile della città, sono ciò che della città ap-
pare”. Anche di notte. Così Gio Ponti esprime più volte il suo pensiero sull’arte e sull’architettura sacra, preparando da lontano, con premesse teoriche, la progettazione delle sue chiese milanesi: il San Luca Evangelista (1960), il San Francesco d’Assisi (1961-63), la chiesa dell’ospedale San Carlo (1965-67). Dalle pagine della sua rivista Domus si mostrava favorevole all’integrazione delle arti, nelle rispettive peculiarità e libertà. Fondamentale, nelle chiese di Ponti, il ruolo degli ingressi che esprimono sempre l’accoglienza e l’apertura al mondo: in San Francesco (a Milano in via Paolo Giovio 41) sono le due ali di fabbrica (anch’essi edifici religiosi, anch’essi di Ponti) che risolvono urbanisticamente il sagrato trapezoidale. L’invenzione è stata il legare le tre facciate in un motivo unico, spettacolare, che incamera il cielo: il sagrato diventa il cuore “esterno” di questa chiesa.
La farmacia del dottor Giuliani
Nel secolo seguente così che la Banca avrebbe servì soprattutto a scopi ceduto gratuitamente al militari. Nel 1881, infine, la Comune le aree destinate Banca di Credito Italiano alle strade (via Lecco), il acquistò il Lazzaretto piazzale intorno alla chiesa con l’intento di destinare e un tratto del Lazzaretto, l’area alla costruzione che la Commissione Edile di un nuovo quartiere: Municipale aveva imposto l’apertura di nuove strade di conservare. Il Comune l’area e la costruzione di edifici acquistava invece di 5-6 piani. Il Consiglio occorrente a trasformare il Comunale di Milano piazzale fuori Porta Venezia approvò il progetto. Si stabilì (l’attuale Piazza Oberdan).
Ancora oggi è possibile fare compere in uno dei negozi sorti sulle ceneri del Lazzaretto, a cominciare dalla Cappelleria Mutinelli, fondata nel 1888 all’angolo di corso Buenos Aires con via Palazzi. A pochi passi, precisamente in via Castaldi 29, si trova l’Antica Farmacia del Lazzaretto, che risale addirittura al 1750, cosa che la rende una delle farmacie più antiche della città. La sua fama è legata al nome del dottor Germano Giu-
liani, gestore a partire dal 1905, che è solito regalare ai clienti più affezionati un liquore a base di erbe, che riscuote presto un gran successo. Nasce, così, l’Amaro Medicinale Giuliani. E’ del 1936 la Rosticceria San Carlo, aperta in via Lecco 18 dal signor Francesco Vitaloni e consorte, specializzata nella preparazione di carne e verdure fritte, in particolar modo patatine croccanti. C’è bisogno di aggiungere altro? Quel che resta del Lazzaretto oggi non è molto: cinque camere e mezza, sei finestre e cinque comignoli, all’esterno; dieci archi e
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undici colonne, nella parte interna. Proprietaria dal 1974 è la Chiesa ortodossa greca dell’Antico Calendario, che ha sede al numero cinque di via San Gregorio. Sotto il portico superstite del Lazzaretto è murata una vecchia lapide che reca le parole latine: «O viandante, il passo trattieni ma non il pianto!».
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Arte Milano
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Un angolo di Paradiso: Villa Mirabello
Daniele Tamborini
Un angolo di Quattrocento incastonato in un popoloso quartiere: è la sorprendente Villa Mirabello, un tempo soggiorno di campagna dei Visconti, completa di rustici e oratorio, oggi sede della Casa di Lavoro e Patronato dei Ciechi di Guerra di Lombardia. Il gusto della villeggiatura “fuori porta” raggiunse nel milanese il massimo splendore con Ludovico il Moro il quale, durante le battute venatorie, amava spostarsi da un castello all’altro, da un casino di caccia ad una delle tante cascine, tra serate di ballo, concerti, passeggiate tra i boschi. Questo modo di vivere fece subito “tendenza” e si diffuse rapidamente anche nell’aristocrazia milanese. Le novelle quattrocentesche del domenicano Bandello, campione di gossip dell’epoca, ci raccontano le cronache della villeggiatura del tempo, ricche di passioni e intrighi: una società in cui fasto, lusso e lussuria si compenetravano in una singolare mescolanza tipicamente rinascimentale con le arti, la letteratura,
la cultura. Molto diffuse le ville-cascine, disposte a raggiera intorno al centro urbano, erano solitamente su due piani, con porticato, oratorio privato, giardino interno e vasti terreni agricoli tutt’intorno. Più tardi questa tipologia di dimora suburbana si trasformò in villa, secondo quei canoni di bellezza e armonia tipici del Rinascimento. Pertanto vennero aggiunti logge, terrazzi, balconi, fregi, colonnine, finestre incorniciate con decorazioni in cotto, graffiti sui muri esterni e affreschi che arricchiscono gli interni. Solo pochissime ville sub-urbane quattrocentesche sono giunte fino a noi integre: in genere sono state stravolte, ma molto spesso demolite. Una felice testimonianza, nonostante restauri più o meno pesanti, è la Villa Mirabello, nella periferia nord della città. Decisamente una bella sorpresa, che rappresenta un’architettura tipicamente lombarda, dai muri in mattoni rossi, gli alti comignoli e le finestre a ogiva, affacciata sulla strada sterrata allora isolata nella campagna. Tre grandi pini ombreggiano
il giardino sul fronte della strada. Fu fondata nel XV secolo da Pigello Portinari, nobile fiorentino, gestore del Banco Mediceo e delle rendite del Ducato milanese. Probabile l’intervento del connazionale Michelozzo Michelozzi, cui egli aveva commissionato la celebre cappella Portinari in S.Eustorgio. Sicura invece la supervisione di Bartolomeo da Prato, un pittore allievo di Vincenzo Foppa. In seguito la villa passò ad Antonio Landriani, finanziere, prefetto dell’erario ducale (1474), presidente della zecca (1477), alle dipendenze si può dire di tutti gli Sforza succedutisi ininterrottamente al timone della città, fino a quando, con l’esercito francese alle porte e il popolo in rivolta, fu assassinato mentre usciva dal castello. La villa passò poi ai Marino, anzi a Giovanni, fratello del famigerato Tommaso, che da buon finanziere senza scrupoli ottenne di esentarla dalle imposte (1533), come già del resto aveva fatto il Portinari nel 1468. Seguirono i Serbelloni, quindi, per eredità, i Sola Busca; ormai, però, dame e cavalieri avevano lasciato il posto a grano e maiali: infatti dalla metà del Cinquecento in poi l’antica residenza signorile del Mirabello venne ridotta esclusivamente ad usi agricoli. Andò quindi sempre più deperendo fino a ridursi nell’Ottocento allo stato di squallore in cui la trovò Luca Beltrami, il quale per studiare l’evoluzione dell’arte lombarda visitò quanto era rimasto nel raggio di circa dieci chilometri intorno a Milano. Era allora proprietario del Mirabello il conte Gianforte Suardi, sindaco di Bergamo dal 1884 al 1890, che ne era venuto in possesso per ragioni di matrimonio. Fu azienda rurale fino al XIX secolo, quindi dopo i restauri del 1916 ad opera
Santa Maria della Consolazione A due passi dal Castello Sforzesco
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La chiesa, più comunemente conosciuta come S.Maria o Madonna del Castello, sia perché nelle vicinanze del Castello Sforzesco, sia perché in origine vi era una cappella nella quale si venerava una immagine della Nostra Signora della Consolazione. Le prime notizie risalgono alla seconda metà del XV sec. quando, per volontà di Galeazzo Maria Sforza, nel 1471 venne fondato un oratorio nel quale si pregava la suddetta immagine. Venti anni più tardi fu affidato ai padri Agostiniani che, grazie alle generose offerte del popolo, ne decisero la ricostruzione. L’arcivescovo Gaspare Visconti nel 1588 consacrò la nuova e definitiva chiesa, nella quale si trasportò, con cerimonia
solenne, anche la sacra immagine. Per la decorazione dell’interno, a navata unica con copertura lignea e otto cappelle, furono impegnati alcuni dei più significativi artisti del ‘600 lombardo. Di Camillo Procaccini sono infatti i quattro Dottori della Chiesa nelle nicchie della navata corrispondenti alle prime due cappelle e dieci degli Apostoli raffigurati nella fascia superiore
della navata stessa. Daniele Crespi affrescò, nella terza cappella a destra dedicata a S.Andrea, S.Carlo e S.Pietro martire. Queste ultime opere sono oggi perdute così come non sono stati rintracciati un dipinto con S.Francesco che riceve le stimmate (del Procaccini) e il Martirio di S.Andrea apostolo (di Enea Salmeggia). Ulteriori interventi architettonici risalgono al quarto decennio del XIX secolo: il più rimarchevole è l’aggiunta, nel 1836 della fronte esterna in due ordini, preceduta da un pronao a tre arcate in sostituzione di un provvisorio steccato di legno e di alcune piante. Nel nostro secolo la chiesa, sussidiaria di S.Maria alla Porta, ha subito un notevole degrado: da pochi anni tuttavia sono terminati notevoli lavori di restauro.
dell’architetto Luigi Perrone divenne sede della Casa di lavoro e patronato per i ciechi di guerra di Lombardia (poi Casa di riposo per i ciechi invalidi della Lombardia). L’intervento di Perrone, tra le cui opere si ricorda a Milano il Circolo filologico in via Clerici (1908) rientrava nel solco di una tradizione riconducibile al restauro storico conservativo di matrice eclettica e ottocentesca, che prevedeva l’eliminazione di qualsiasi accento decorativo ma il rispetto delle caratteristiche di “stile” dell’antico. Ecco dunque l’accento dato alle quattro
grandi finestre monofore a ogiva che caratterizzavano il fronte principale della villa, ridisegnata da Perrone entro i confini dell’originaria volumetria. I successivi restauri condotti nel 1930 dall’architetto Annoni modificarono profondamente il complesso architettonico, comportando varie integrazioni, magari non sempre filologicamente rigorose, ma tese a ricreare una fittizia atmosfera omogenea di grande suggestione; ciò aggiungendo anche corpi minori (naturalmente “in stile”) e decorazioni copiate da altri fabbricati originali quattrocenteschi, nonché la fon-
tana del cortile, riprodotta fedelmente da quella autentica esistente a Bellinzona. Oggi la Villa Mirabello, nell’omonima via al numero 6, isolata entro il suo ampio giardino in un quartiere ancora residenziale sebbene stretto tra gli incombenti complessi edilizi dei viali, si offre mutato alla vista del visitatore ma ugualmente di grande fascino. 14 Maggio, ore 15:00 visita guidata alla Villa Mirabello, a cura di Enrico Venturelli. Associazione Clessidra 02.30.91.73.37 -334.80.91.885
Il Biscione dei Visconti
Prima signori poi duchi di Milano, i Visconti legarono il loro nome al “biscione”, stemma che araldicamente si blasona, secondo la tradizione, «d’argento alla biscia verde coronata d’oro ondeggiante in palo ingollante un fanciullo di carnagione» anche se abbiamo esempi in cui la biscia è azzurra, o variegata d’azzurro e di verde, e la figura umana è un vecchio rosso; altre volte, come nel cimiero di Francesco Sforza, la biscia è rappresentata con ali di pipistrello e con zampe munite di artigli. Come nacque questa insegna? Perché proprio una vipera doveva finire sullo stemma di quella che per decenni fu la famiglia più importante di Milano? La storia non è
chiara. Restano solo alcune leggende... Erano settemila i milanesi che parteciparono, nel 1100, alla seconda crociata. Loro capitano era un Ottone Visconti, protagonista di singolari fatti d’arme e di gesta mirabili. Durante l’assedio a Gerusalemme, Ottone venne a singolar tenzone con un gigantesco saraceno, di nome Voluce. Costui era l’uomo più grande che mai cristiano avesse visto. Per insegna - a simboleggiar la propria invincibile forza - aveva un serpente che divorava un uomo. Ottone vinse il duro duello. Ai suoi piedi giaceva, ormai morto, il saraceno. L’eroe milanese gli tolse le armi e lo scudo, decidendo poi di mantenere come proprio stemma quello del serpente divoratore di uomini (anzi, di saraceni). Tornatosene a Milano, Ottone assunse il biscione come insegna della sua famiglia. Questa è la tradizione più diffusa. Secondo alcuni, l’Ottone Visconti della Crociata non esistette mai. Il vessillo apparteneva in realtà ai molti emblemi inalberati dall’esercito comunale milanese secoli prima. Il serpe
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(o più esattamente la vipera di guerra, in origine totem longobardo) si diceva ispirato a quello di Mosè in S.Ambrogio e il Saraceno rosso simboleggiava la vittoria dei Milanesi alla prima Crociata. I Visconti erano di origine contadina provinciale, ma una tradizione adulatoria inventò un capostipite glorioso comandante dell’esercito in Palestina e persino un mitico fondatore diretto discendente di Enea - Anglio. Si confermò, quindi, l’emblema del biscione alla famiglia viscontea. Lo conservarono gli Sforza, ed esso è tutt’oggi simbolo della città. Merita riflessione il fatto che il fanciullo sia sempre stato considerato “ingoiato” dall’animale, mentre sia le analoghe rappresentazioni iconografiche di figure umane divorate da demoni o da altre fiere sia la stessa osservazione della natura ci fanno vedere come gli animali ingoino le loro vittime dalla testa e non dai piedi. In realtà non si tratta di un serpente che divora un fanciullo, bensì di un fanciullo che “nasce” da un essere così straordinario, generando in tal modo quasi una stirpe di semidei, di eroi, tali da vantare origini mitiche. I Visconti, generati da quel serpente, ne hanno assunto le virtù assieme ai simboli tradizionali, cioè la prudenza, la riflessione, la perspicacia, e non si sottraggono all’idea di un’origine mitica del lignaggio.
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Garegnano è un borgo a quattro chilometri dalla milanese porta Tenaglia, sulla strada postale per Rho. La sua Certosa fu costruita intorno alla metà del Trecento per volontà del vescovo Giovanni Visconti per “liberarsi” dall’obbligo della preghiera, e costringere i monaci a pregare al posto suo. Si trovava, un tempo, in aperta campagna, ma ora fa parte d e l la periferia di Milano. Il complesso merita una visita, per la pace che ancora il luogo emana, ma soprattutto per i preziosi affreschi che contiene (opera di Simone Peterzano, maestro di Caravaggio, e di Daniele Crespi, che li dipinsero tra il Cinquecento ed il Seicento). Gli affreschi sono veri capolavori, tanto che la Certosa fu chiamata, nientemeno, la “Cappella Sistina di Milano”. Lord Byron, affascinato dagli affreschi del Crespi, ebbe a dire che questi è un “pittore che sa far parlare i morti”. Pare, infatti, che uno dei dipinti possa ipnotizzare chi lo guarda, trasmettendo il senso d’oppressione e d’incubo che il pittore provò dipingendolo, dopo essersi nascosto alla Certosa in seguito ad un fatto di sangue.
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La Certosa di Garegnano La Cappella Sistina di Milano affrescata da Peterzano e da Crespi
La storia della Certosa, dura più di quattro secoli, dalla fondazione del 1349 alla chiusura ordinata dall’imperatore Giuseppe II d’Austria nel 1782, perché – scrive – “quegli Ordini religiosi li quali menano vita unicamente contemplativa” non contribuiscono visibilmente al bene della società civile non facendo scuola, non servendo gli ammalati e non predicando: il Vangelo e, s’intende, l’obbedienza all’imperial regio governo di Vienna. Chiuso il monastero, la certosa resta in funzione soltanto come parrocchia, mentre tutti i beni del cenobio vengono messi all’asta. È un patrimonio cospicuo, buona terra dove si raccolgono ogni anno tonnellate di riso, frumento, segale e miglio, si produce vino e si allevano bovini e cavalli da sella e da tiro. Di queste ricchezze la piccola comunità - diciotto monaci più dieci tra conversi, novizi e oblati - ha sempre fatto l’uso più degno, destinandone la parte maggiore alle opere di carità e il resto ai lavori di ampliamento e di abbellimento, affidati ad artisti di fama con larghezza di mezzi ma anche con assoluta intransigenza di propositi. Sculture e pitture infatti vengono ordinate esclusivamente “per provocare somma di-
vozione ne li animi”, così che nessun pretesto di ordine estetico abbia “a pregiudicare il decoro delle sante figure”. La Certosa di Garegnano è tra i migliori esem-
pi del manierismo lombardo. Uniforma il complesso una luminosa unità di epoca e di stile, dovuta chi dice al genovese Galeazzo Alessi, chi al lombardo Vincenzo
Seregni, architetto di fiducia dei certosini (fra il Cinquecento e il Seicento). Nel cortile d’onore, sulla superba facciata della chiesa, fra i santi milanesi e dell’ordine, spiccano i busti di Giovanni Visconti – a sinistra – e di suo nipote, Luchino Novello, considerato per le sue donazioni il secondo fondatore della Certosa. All’interno, sulle pareti laterali dell’unica navata il pittore Daniele Crespi affrescò scene della vita di San Bruno. A Simone Peterzano si devono invece tele e affreschi del presbiterio: Resurrezione, Madonna in trono con santi, Ascensione di Cristo (le tele), Presepio e Adorazione dei Magi, gli Evangelisti, le Sibille, gli Angeli, i Profeti (gli affreschi). Il ciclo, compiuto intorno al 1580, fu uno dei migliori del pittore bergamasco, che poco dopo accettò come garzone il Caravaggio, ancora impubere. Ai lati dell’ingresso sono le cappelle, dove i Certosini celebravano la messa privata. In quella di destra troviamo, di Enea salmeggia detto il Talpino (1594), la tela dell’Annunciazione. Nella sala adiacente e nei riquadri che si alternano tra le finestre superiori, altre pitture ricordano i massacri dei martiri certosini perseguitati in Inghilterra e nelle Fiandre da quando, nel 1534, Enrico VIII apre Io Scisma anglicano. Ogni scena di massa porta una dettagliata didascalia affinché dito da tre briganti. Il frate il ricordo del sacrificio reè grande e grosso, ma disarmato, e per quanto si difenda bravamente sta per soccombere quando gli viene l’idea: afferra per il garretto la zampa dell’asino, che per miracolo si stacca all’istan- In quanto all’antico paesite dal corpo, e mulinandola no di Garegnano Marcido, come una dava contrattacca frazione di Musocco, eccolo i briganti, costretti in breve oggi, più anonimo e maltempo alla fuga. Affannato, concio che mai. Lo traversa il frate ringrazia il buon Dio la via dedicata a Barnaba e rimette insieme la povera Oriani (1752-1832), nato al bestia, che è rimasta - su tre numero 55, dove una lapide zampe - a vedere come an- lo ricorda. Di umili origini, dava a finire. E il miracolo fanciullo prodigio, studiò si ripete, ma nella fretta fra dapprima presso la CertoGuglielmo attacca la zampa sa, quindi a Milano. Alliealla rovescia, così che l’asino vo, poi direttore dell’Osnon sa più come camminare. servatorio astronomico di In qualche modo, zoppican- Brera, di fama mondiale, do, finisce tuttavia per muo- delineò importanti teorie versi e fra Guglielmo può orbitali, determinò e perferiguadagnare il convento, zionò inoltre le conoscenze tra le risate dei confratelli. in trigonometria e astronoMa il priore non è affatto di- mia. Benché avesse rifiutavertito: l’asino è un bene del- to di prestare giuramento a la comunità, e fra Guglielmo Napoleone, questi lo volle ha provocato un danno che con sé nei ricevimenti a Padeve riparare. Il responsa- lazzo Reale. “Abate Oriani bile riconosce che è giusto, –soleva domandargli– cosa e si concentra in preghiera, posso fare che vi piaccia?”, implorando l’aiuto di Dio. la risposta: “Acquistare un È così che quella stessa sera telescopio, oppure un oroloil frate scende nella stalla gio per Brera”. Il talento lo e il somaro resta di nuovo con tre zampe sole: ma per poco, perché finalmente la quarta è riattaccata, e questa volta per il verso giusto. Fra Guglielmo da Fenoglio diventò santo. Dell’asino, che pur qualcosa di suo ce l’aveva messo anche lui, nessuno ha mai saputo più niente.
sti più profondamente inciso nell’immaginario dei fedeli. E ogni figura singola porta tra le mani lo strumento da cui il martire ha avuto la morte, così che si rinnovi l’orrore e si confermi la fede: non è il fine ultimo dell’arte quello di suscitare ogni “somma divozione ne li animi”? La filosofia dei Certosini in materia di arte figurativa è molto sag-
giamente articolata: si serve dell’immagine simbolica ed esoterica che può essere compresa soltanto dagli iniziati, ma anche dell’iconografia tradizionale, accessibile alla maggior parte dei fedeli, e persino del racconto favoloso, che diverte gli spiriti più semplici riconducendoli però anche in questo modo a Dio.
Leggende memorabili negli affreschi della Certosa All’interno della Certosa di Garegnano, sulle pareti laterali dell’unica navata, il pittore Daniele Crespi affrescò scene della vita di San Bruno, detto anche Brunone, fondatore dell’Ordine. Quest’ultimo, nato probabilmente nel 1030 in Germania, assiste – nel primo affresco che s’incontra sulla parete destra, di inattesa violenza – alle esequie di un celebre professore di filosofia della Sorbona, Raimond Diocrès, da tutti stimato per la grande virtù oltre che per il grande sapere. San Bruno assiste ai solenni funerali nelle strade di Parigi in lutto quando la cassa si scoperchia e il defunto si leva, orrendo a vedersi, gridando che è finito all’inferno per i tremendi peccati commessi contro gli uomini e contro Dio. Il cadavere ricade nella bara e la cerimonia riprende, ma ecco che la scena atroce si ripete una seconda e una terza volta mentre la folla si disperde in preda al panico. Il volto del dannato è dipinto con straordinario realismo, nella composizione già livida perché giocata prevalentemente sul bianco e sul viola, colori della umiltà e della penitenza come si addice alla simbologia certosina. Anche troppo realismo, pensa qualcuno. Si dice che Crespi, quando frequentava l’Accademia Ambrosiana di Milano, abbia fatto rapire un mendicante per inchio-
San Bruno e San Guglielmo da Fenoglio
darlo su una porta e poter riprendere così, eccezionalmente dal vero, gli spasimi della più atroce agonia. Prove del delitto, naturalmente, non ne sono state trovate. Resta solo un indizio, ma pesante: che Daniele Crespi ripara improvvisamente nella certosa - per legge universale sottratta ai poteri dell’autorità civile - e vi rimane per almeno dieci anni.
Tipica della didattica minore dei frati certosini, che usa il racconto favoloso per condurre a Dio gli animi semplici, è l’immagine dì un frate che appare in una nicchia dipinta sulla parete destra della navata, subito dopo l’ing ress o. È fra Guglielmo da Fenoglio, alto e severo nel saio, bianco come la lunga barba. In una mano il monaco tiene il rosario, e fin qui è tutto regolare, ma con l’altra brandisce la zampa posteriore di un asino, tagliata così nettamente che a prima vista sembra un prosciutto e questo è davvero incredibile. La pia leggenda chiarisce subito che l’asino non ha sofferto. Fra Guglielmo, racconta, esce dal convento con l’asino per andare a fare la spesa ma, appena entrato nel bosco, è aggre-
Il soggiorno di Petrarca a Garegnano
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coprì di onori (fu cavaliere, senatore e conte) e di ricchezza, poi in gran parte devoluta con la sua morte ad istituzioni ospitaliere e culturali. Da vivo invece aveva spesato gli studi a fanciulli come lui dotati, ma privi di mezzi. E pensare, commenta lo storico Cesare Cantù, che se non avesse incontrato i Certosini sarebbe morto vangando e zappando! Altro cittadino di Garegnano, benché d’adozione, fu il Petrarca. Il poeta per alcuni anni predilesse per la villeggiatura estiva una casa presso la Certosa (egli aveva fra l’altro un fratello certosino, ma in Francia) e definì questo luogo “amenissimo e saluberissimo”. Un’ antica tradizione orale la vuole identificare in quella al numero 48 di via Oriani, nel cui cortile sussistono alcune colonne, con bei capitelli in parte trecenteschi.
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La “Pietà Rondanini” Uno dei maggiori capolavori presenti nella raccolta del Castello Sforzesco: la Pietà Rondanini. La Pietà. Venne acquistata dalle Civiche Raccolte d’Arte nel 1952. La sua originaria collocazione era nel palazzo romano della Famiglia Rondanini, da cui ne deriva. Michelangelo ci lavorò per lunghi anni, sino a pochi giorni prima della morte, avvenuta il 18 febbraio del 1564. La Pietà Rondanini, così come oggi la vediamo, è una versione successiva a quella originaria - iniziata presumibilmente intorno al 1552 - e conosciuta oggi soltanto attraverso alcuni schizzi del maestro conservati presso il Christ Church College di Oxford. Da una prima idea di realizzare una Deposizione, il maestro passò a scolpire nella prima versione della Pietà soltanto la figura della Vergine che sorreggeva il corpo senza vita del Figlio. Le parti risalenti a questa prima versione dell’opera, ancora oggi ben individuabili, sono le gambe levigate di Cristo, il suo braccio destro, staccato dal corpo, ed un diverso orientamento del volto della Vergine, appena riconoscibile da un primo abbozzo di occhio e naso sul lato sinistro del capo. Aveva ultimato il corpo del Cristo, mentre la Vergine rimaneva ancora ad uno stato di abbozzo. Intorno al 1555, il maestro rivide questa
composizione proponendo una seconda redazione della Pietà, nella quale le figure, maggiormente allungate, sono quasi strette in un doloroso abbraccio. Michelangelo eliminò successivamente anche
Arte Milano
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Il “non finito” di Michelangelo
Molte delle grandi imprese concepite dal Buonarroti rimasero incompiute o trovarono realizzazione in forme molto lontane dal progetto originario. Anche numerose sue sculture furono lasciate allo stato di abbozzo e comunque presentano parti condotte a un livello di “finitura” diverso rispetto ad altre. L’abbandono di singole sculture o la rinuncia a terminarle possono meno facilmente di vaste imprese trovare spiegazione come conseguenza di eventi che abbiano costituito un impedimento insormontabile per l’artista, in contrasto con la sua volontà e le sue intenzioni. In effetti, diverse spiegazioni sono state avanzate e già a partire dai contemporanei del Buonarroti –in particolare dal Vasari– che ne misero in evidenza la profonda e ricorrente scontentezza nei confronti della propria opera. Si tratta di una spiegazione di natura “psicologica” che trova certamente riscontro in numerose testimonianze sul carattere dell’artista e che risulta comunque più plausibile di altre, proposte in tempi più recenti, come quella che individua la causa degli abbandoni nell’insanabile parte della base del gruppo contrasto tra “spiritualità scultoreo, come prova il cristiana” e “ideale antico”, piede destro mutilato del “forme pagane”. L’effetto di Cristo, e scolpì la scritta lento affiorare di alcune fiche ancora oggi corre nella gure in opere michelangioparte inferiore della Pietà. lesche, la non completa defi-
nizione di alcuni particolari delle figure stesse non possono che essere intenzionali e rispondere alla volontà di
tradurre nel rilievo la suggestione dell’indeterminatezza spaziale, dell’avvolgimento atmosferico e dell’indefinito psicologico che costituivano le novità delle opere fiorentine di Leonardo ad apertura del Cinquecento. Il contrasto tra lo stato di abbozzo e la finitura indicano la volontà dell’artista di non attenuare l’intensità dell’effetto espressivo raggiunto anche proprio attraverso tale contrasto. Naturalmente ci sono anche cause di forza maggiore che impediscono all’artista di proseguire alcuni lavori, e proprio perché incompiuti ci offrono la possibilità di osservare i procedimenti esecutivi. Michelangelo concepiva la scultura come arte che si esercita “per forza di levare” e non per “via di porre”. Egli aggrediva il blocco di pietra facendo gradualmente emergere le
forme. Mi son detto spesso che, nonostante l’opinione che egli poteva avere di sé, Michelangelo è più pittore che scultore. Nella sua scultura egli non procede come gli antichi, cioè per masse; sembra sempre che abbia tracciato un profilo ideale, che ha in seguito riempito, come fa un pittore. In contrasto con il principio delle vedute molteplici, che si affermerà nei decenni seguenti, Michelangelo concepiva le sue immagini secondo una veduta dominante, a somiglianza di un altorilievo. Per Buonarroti il “levare il soverchio” dal blocco è un atto che tende a liberare la figura, preesistente e come imprigionata nella pietra: una figura che corrisponde, d’altra parte, al “concetto” della mente dell’artista: “non ha l’ottimo artista alcun concetto / c’un solo marmo in sé non circoscriva / col suo superchio, e solo a quello arriva / la man che ubbidisce all’intelletto”. Nei versi del Buonarroti, il “superchio” che imprigiona la figura nel masso trova il suo corrispettivo nel “carcere terreno”: secondo un’antica metafora, il corpo che tiene prigioniera l’anima immortale dell’uomo. Nel suo stesso processo creativo, pertanto, l’artista coglie in atto il drammatico contrasto tra la materia che lo rinserra e la parte spirituale dell’uomo, che anela alla liberazione.
Programma dell’Associazione Clessidra www.associazioneclessidra.it
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Visite guidate a Milano • La chiesa di SAN GIUSEPPE via Verdi lunedì 26 maggio 2008, ore 15,30. Disegnata dal Ricchino nella prima metà del Seicento, con la sua planimetria basata sulla fusione di due piante centrali, fu di rottura rispetto all’accademismo manierista prevalente, ed è considerata una pietra miliare nella storia dell’architettura. A cura di Enrico Venturelli. Quota: 7 euro • Le vicende architettoniche della Basilica di SAN SIMPLICIANO p.zza S.Simpliciano
mercoledì 28 maggio 2008, ore 15,30. La Basilica Virginum voluta da Sant’Ambrogio, uno dei più importanti monumenti dell’antichità milanese, ha subito nei secoli trasformazioni e interventi di restauro. A cura di Enrico Venturelli.Visita + dispensa + offerta chiesa: 8 €
• La Mediateca SANTA TERESA via della Moscova 28
venerdì 30 maggio 2008, ore 15. La barocca e inutilizzata chiesa di Santa Teresa è stata trasformata in una grande “biblioteca senza libri”, multimediale, interattiva, sezione digitale della Braidense. Vi trova spazio anche il prezioso archivio Rai, più di 50 anni di storia televisiva. VISITA GRA-
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• L’antico STRADONE DI SAN BARNABA ingresso giardini Guastalla via Sforza mercoledì 4 giugno 2008, ore 15,30. Un rettifilo che collegava l’ospedale della Ca’ Granda al foppone di San Michele ai Nuovi Sepolcri, passando per la chiesa di San Barnaba con la sua singolare cripta e S.Maria della Pace con i resti dei suoi antichi affreschi. A cura di Enrico Venturelli. Quota: 7 €
• SAN SIRO ALLA VEPRA via Masaccio 20 lunedì 9 giugno 2008, ore 15,30. Un piccolo gioiello nascosto la cui abside custodisce antichi affreschi. Un’altra preziosità del quartiere è la Villa Faccanoni Romeo, splendido liberty del Sommaruga, il cui fianco conserva due grandi figure femminili che all’epoca suscitarono grande scandalo. A cura di Enrico Venturelli. Quota: 7 €
Grand Tour • La residenza sabauda di RACCONIGI e l’ABBAZIA DI STAFFARDA
sabato 10 maggio 2008, sabato 7 giugno 2008. Ultima delizia abitata dai Savoia, il Castello Reale di Racconigi e l’Abbazia di Staffarda, uno dei grandi monumenti medioevali del Piemonte. Visita guidata a cura di Mirella Savarino. Quota: 50 euro. Partenza ore 7,30
• CASTELLI NELLE LANGHE e ROERO sabato 17 maggio 2008. Guarene: privato, è un esempio di architettura barocca piemontese.
Grinzane Cavour: imponente edificio a pianta quadrilatera del 1200, appartenne a Cavour. Monticello d’Alba: una tra le strutture medievali meglio conservate del Piemonte.Quota: 50 euro.
Partenza ore 7,30
• Le fortezze sabaude di FENESTRELLE ed EXILLES
sabato 24 e domenica 25 maggio 2008. Due grandiose fortezze sabaude che vigilano sulla Val Chisone e sulla Val di Susa. L’itinerario comprende anche Susa, la borgata di Bousson a Cesana e la cittadella fortificata di Briançon, nella regione delle Hautes-Alpes in Francia, attraverso il Colle del Monginevro. Visite guidate a cura di Mirella Savarino. La quota comprende un pernottamento in hotel, viaggio e spostamenti locali con pullman privato, 1 cena al ristorante, biglietti d’ingresso previsti nel programma, prenotazioni, assicurazione, guide, accompagnatore, dispensa di approfondimento.
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torni: S.Lorenzo Museo Archeologico (uno dei più importanti al mondo), Duomo, S.Giovanni a Carbonara (chiesa trecentesca), Pio Monte Misericordia (Confraternita seicentesca con una collezione di circa 150 dipinti, dal XV al XIX secolo, tra cui “Le sette opere di Misericordia” di Caravaggio), Cappella S.Severo, Monastero S.Chiara (col celebre e grandioso chiostro maiolicato delle Clarisse), Pinacoteca di Capodimonte, Napoli sotterranea (una città nascosta, cunicoli illuminati unicamente dalla luce delle candele…), Reggia di Caserta (il grandioso capolavoro del Vanvitelli) e Caserta vecchia, Ercolano, Amalfi e Ravello (i gioielli della costiera amalfitana). Visita guidata a cura di Alberto Marchesini. La quota comprende 5 pernottamenti in hotel 4 stelle (zona centrale), andata e ritorno in aereo (Linate), spostamenti locali con pullman privato, 2 cene e 1 pranzo, biglietti d’ingresso previsti nel programma, prenotazioni, assicurazione, guida, accompagnatore, dispensa di approfondimento.
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Castello Vezio: sul Lago di Como tra falchi e giardini Varenna è sorta ai piedi di un monte che si innalza sopra di essa. La sua comunità risale al tempo dei Romani. Il suo nome compare per la prima volta nel 493 citato dal Corio nella sua storia di Milano. Nel 1126 Varenna fu sconfitta e saccheggiata dai Comaschi contro cui aveva combattuto sotto la bandiera milanese. Diveniva un paese più ricco dopo la distruzione dell’isola Comacina avvenuta nel 1169 da parte dei Comaschi. La maggior parte degli scampati si rifugiarono a Varenna dove, accolti amichevolmente, contribuirono ad aumentare la popolazione. Per non dimenticare la loro gloriosa isola aggiunsero a quello di Varenna quello di Insula Nova. L’ antico borgo passò agli Sforza, in seguito, fu costretta a sottomettersi prima ai Visconti fino al 1402, poi al tiranno Franchino Rusca e da ultimo passò nel 1537 sotto Giuseppe Valeriano Sfondrati. In questo secolo ha aggiunto dei livelli di fama internazionale come centro tu-
ristico e sede di Congressi. Il Castello di Vezio (Perledo, fraz. Vezio, LC), uno degli angoli più incantevoli del lago di Como. Vezio domina il promontorio a strapiombo su Varenna. Ancora oggi si presenta come un piccolo agglomerato di case in pie-
tra popolato da una ventina di famiglie. La zona in cui sorge il castello ha origine ligure-celtica, se non etrusca. In epoca romana il sito fu sede di fortificazioni a difesa della via della Riviera e del vicino lago. All’interno della cerchia muraria sor-
gevano abitazioni ed edifici. Leggenda narra che la regina dei Longobardi Teodolinda trascorse l’ultimo periodo della sua vita a Perledo. Per lasciare traccia della sua fede nel Cristianesimo, fece costruire la chiesa di S. Martino, l’oratorio di Sant’Anto-
nio e il Castello. Quest’ultimo oggi si presenta come una tipica rocca medievale, con una cinta muraria molto alta e una torre centrale dalla merlatura quadrata. Ancora oggi è possibile accedere al Castello attraverso un ponte levatoio perfettamente funzionante. Dal Castello si gode una vista mozzafiato sul Lago di Como e su Varenna. Una volta varcata la soglia si percorre il viale in ghiaia che corre lungo il lato settentrionale del castello. Salendo la scalinata si giunge al giardino degli ulivi, dove è possibile imbattersi nel “Falconiere del Castello”, che, in costume d’epoca, mostra ai visitatori i rapaci ospitati nella rocca: falchi, gufi, barbagianni, poiane, e tanti altri. Qui è possibile vedere il falconiere all’opera, lanciare i volatili in voli
spettacolari. I visitatori più coraggiosi possono partecipare in prima persona porgendo il braccio ai rapaci. All’interno delle mura intorno alla torre si può intravedere ciò che rimane dell’antico avamposto militare, utilizzato come torre di avvistamento fin dai tempi della Regina Teodolinda. Attraverso una rampa di scale in pietra si accede alla torre, passando per un ponte levatoio. Dalla sommità della torre si può godere di una vista a 360° sul lago di Como. Infine, meritano una visita i sotterranei del castello, che furono un avamposto della Linea difensiva Cadorna durante la Grande Guerra. PortaMi al Castello!
Telefono: 02 65589231
Visite sabato 17 maggio 2008
La Chiesa di San Nicolao
Castello di Brescia e Castello Quistini
Conosciuto come il “Falcone d’Italia”, il Castello di Brescia è situato sul colle Cidneo il cui nome deriva da Giono, mitico re delle antichissime popolazioni liguri che per pri-
in una formidabile fortezza che ebbe una funzione di primo piano nelle guerre per il dominio della città. L’ edificio più importante del Castello è costituito dal Mastio, ed è anche la più im-
roviari, ubicati nel Grande e nel Piccolo Miglio, rappresentano uno degli itinerari preferiti delle famiglie con bambini; il loro livello particolarmente elevato e la singolarità degli scenari
re difensive. Significativa la presenza di ben cinque torrioni angolari. Le continue alternanze tra occupazione francese e veneta lo trovano spesso al centro di strane vicende. Si narra che qui
me abitarono queste zone. La parte più antica dell’attuale castello è la torre Mirabella. Ha forma cilindrica posa su una base rettangolare di epoca tardo-romana e risale al tempo dei comuni (XII-XIII secolo). Il corpo rettangolare del mastio, con le mura coronate di merli e i due torrioni circolari sarebbero stati eretti da Giovanni e Luchino Visconti nel 1343. E’ però più probabile che i Visconti abbiano ampliato una costruzione già esistente, trasformandola
portante sopravvivenza monumentale dell’imponente apparato difensivo con cui i Visconti fortificarono la città alla metà del secolo XIV. Nel complesso, accuratamente restaurato, è esposta al pubblico fin dal 1988 una delle più ricche raccolte europee di armi, ordinata in vari settori suddivisi per epoche e per tipologie. Nel 1887 è stato istituito, all’interno del Grande Miglio, il Civico Museo del Risorgimento, uno dei più importanti d’Italia. I plastici fer-
utilizzati attraggono inoltre gli appassionati di ferromodellistica di ogni età e provenienza. Lavori di restauro hanno messo in luce una serie di affreschi databili introno alla metà del XIV secolo. E’ inoltre emerso che il mastio trecentesco poggia su un grandioso edificio Romano a pianta rettangolare e databile intorno al primo secolo dopo Cristo. Il Castello Quistini (Rovato), progettato, intorno al ‘500, come villa di campagna è anche ben dotato di struttu-
fu decapitato tale Girolamo Calini e che detta condanna fu eseguita nel palazzo a cura di Pandolfo Malatesta. La visita comprende il Palazzo, con le sue meravigliose stanze, la cantina e i suoi splendidi giardini. PortaMi al Castello! Aperto domenica e festivi. Visita sabato 31 maggio 2008 Castello Quistini, Via Sopramura 3a, Rovato (Bs) www.castelloquistini.com
Ubicata lungo il tracciato di una strada romana, la chiesa sorge sull’area di una più antica parrocchiale catalogata già nel 1259 tra quelle di porta Vercellina. Nella chiesa aveva sede la confraternita della Madonna della Misericordia e qui venne portata dalla demolita porta Vercellina la statua della Madonna con il Bambino che tuttora vi si trova, opera attribuita a Giovanni di Balduccio. Di questo primo e più lungo periodo della vita della chiesa non possediamo che scarse testimonianze. Il documento antico più completo è la relazione della visita del cardinal Federico Borromeo nel 1608. È una descrizione minuta dell’edificio e dei suoi arredi corredata da una pianta della chiesa e della parrocchia. Le sue condizioni però si fecero sempre più precarie e nel 1659 viene descritta come cadente. Si decise allora di demolirla e si affidò il progetto del nuovo edificio a Giovanni Quadrio che realizzò l’interno a una sola navata con pareti scandite da pilastri di ordine ionico e copertura a volta a botte impostata su alta trabeazione e abside poligonale. Nelle due cappelle ai lati della navata vennero collocate la statua trecentesca della Madonna e la tela raffigurante San Nicola di Massimo Stanzione, donata nell’occasione dal conte Matteo Rosales, consigliere del re di Spagna. La fabbrica, tuttora esistente in questa forma, venne conclusa dalla facciata realiz-
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zata nel 1660 da Giovanni Battista Paggi. Nuovi lavori intrapresi alla fine del secolo compresero l’aggiunta della sagrestia (1688), della canonica e del campanile. Per tutto il secolo successivo la chiesa non ebbe trasformazioni sostanziali; unico intervento di un certo impegno fu il rifacimento nel 1724 dell’altare maggiore. Giuseppe II la soppresse nel 1787, nel 1800 venne requisita dalla Repubblica Cisalpina che la trasformò in deposito di legna e fieno per i soldati acquartierati nel vicino Castello. Per conseguenza scomparvero o vennero dispersi dipinti, suppellettili e documenti. Passato questo periodo e riaperta la chiesa al culto, si intrapresero i necessari lavori di restauro che si rivolsero tra l’altro alla facciata, in seguito più volte manomessa tanto che è ora difficile distinguere il progetto originale, e alla cappella e all’altare della Madonna della Misericordia, rifatti nel 1837-38.
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Il miracolo di Santa Maria alla Porta
L’attuale chiesa venne interamente ricostruita nella seconda metà del ‘600, ma i documenti ne attestano l’esistenza almeno dal XII secolo. La sua dedicazione è dovuta alla breve distanza dalla porta “Vercellina” delle mura romane. Secondo la tradizione, nell’area dove sorse la chiesa si scoprirono, nel 1105, reliquie del sudario di Cristo. Queste sarebbero state alle origini di una festa per secoli celebrata il 9 maggio di ogni anno. Si hanno alcune notizie della chiesa precedente all’attuale in una descrizione, corredata di pianta, inserita negli atti della visita pastorale che Federico Borromeo fece alla parrocchia nel 1605. L’edificio, che la tradizione vuole di ispirazione bramantesca, era a tre navate e tale suddivisione interna era preannunciata in facciata da tre finestroni ed un egual numero di porte. Nel 1652 Francesco Maria Richini iniziò i lavori di ricostruzione di Santa Maria alla Porta: la costosa impresa era stata consentita dalle generose offerte che pervenivano alla parrocchia dopo il ritrovamento, su di un muro esterno, di una miracolosa immagine della Vergine. Si stavano facendo alcuni lavori di restauro alla vecchia chiesa “quand’ecco mentre un Muratore nel dì 8 Dicembre 1651 stava scro-
stando la calce vecchia del muro esteriore, scoprì una Immagine di Nostra Signora col Santo Bambino in grembo, dipinta a tempra sopra il semicircolo di una porticella; già era in atto di scagliare i colpi del martello sopra la sacra Effigie, allorquando uno, che si trovava presente, lo avvisò di desistere, scoprendo molto bello e divoto quel volto; il muratore col suo grembiule la ripolì dalla polvere, e scoperta la venustà dell’Immagine, preso da istantaneo orrore trattenne i colpi, e riverente l’adorò; anzi si hanno alcune provate memorie, le quali asseriscono, che essendo lo stesso Muratore già da gran tempo zoppo, spinto da divota confidenza sclamò: Vergine Santa raddrizzatemi, e tanto bastò, perché all’istante sentitosi risodare i nervi, calò dal tavolato colla grazia perfettamente ottenuta. Si sparse per la Città immantinente la notizia del fatto, concorsero supplichevoli i Cittadini...”. Da quel momento quindi l’immagine divenne oggetto di venerazione da parte dei milanesi. Nel 1658, alla morte del Ri- immagine gentilmente concessa da www.milanofoto.it chini, i lavori erano a buon punto. Il portale venne poi per il resto “non fece altro se medesimi architetti nelle disegnato da Francesco Ca- non dar corso ai piani pre- forme che mantenne sino stelli, successore del Richini cedentemente fissati”. Sulla alla distruzione durante i alla direzione dei lavori, e si facciata, tra la porta centrale bombardamenti della setrattò del più originale in- e la trabeazione, si trova un conda guerra mondiale. tervento dell’architetto, che rilievo con l’Incoronazione La cappella della Madonna, della Vergine scolpita da riccamente decorata con Carlo Simonetta nel 1670. stucchi e metalli dorati, aveNella cripta della chiesa, la sesta lapide a destra di chi entra L’interno ha una sola navata va una planimetria ovale e ricorda un nobile milanese che fece una carriera abbastancon quattro cappelle latera- alle sue pareti erano scavate za insolita per essere nato in una città il cui vanto, in fatto li che conservano una ricca quattro nicchie con statue di acque navigabili, erano i Navigli. Dice infatti la lapide: testimonianza della plastica di sibille. La lunetta con lombarda del ‘600. Alla fine l’immagine della Madonna NEL 1839 del ‘600 S.Maria alla Porta era collocata sopra un alMORENDO A PIETROBURGO era edificata e decorata, ma tare sostenuto da angeli di D’ANNI 76 l’immagine della Madon- bronzo di Giovanni Porro. IL CONTE GIULIO RENATO na era venerata ancora “al Di contro all’altare venne LITTA VISCONTI ARESE coperto di lignea stanza”; collocata la vasca battesiVICE AMMIRAGLIO DELLE RUSSIE solo nell’ultimo decennio male, anch’essa disegnata RICORDAVA del secolo venne affidato a dal Ruggeri, e per questo QUESTA SUA PARROCCHIA NATIVA Giovanni Ruggeri e a Giu- la cappella assunse anche la CON TESTAMENTO LEGATO seppe Quadrio l’incarico denominazione di cappellaDI 20.000 RUBLI di costruire una cappella. battistero. Nella seconda Probabilmente si trattò in metà del ‘700 la chiesa ebbe Aveva cominciato col dare la caccia, su una galera di sua proun primo tempo di un edi- un sontuoso altare maggioprietà, ai pirati del Mediterraneo. ficio a pianta rettangolare, re, in sostituzione di quello ricostruito poi nel 1705 dai ligneo realizzato un seco-
lo prima. Fu progettato nel 1764 da Giovanni Antonio Richini e attuato dallo scultore Antonio Giudice, sotto la direzione dell’architetto Agrati. Anche questo altare, come il precedente, illuminato dalla lanterna della cupola sotto il quale era posto, solo nel 1849 fu arretrato nell’attuale posizione: alla metà dell’800 venne infatti prolungata la chiesa, dando l’attuale configurazione alla parte absidale. Nel 1857 venne poi realizzata la cripta a tre navate. In questi stessi anni si pose mano al completamento della facciata, nel cui frontone era stato collocato l’orologio sostenuto da due angeli del Girola (1825). Nelle nicche vennero inserite statue di santi: in alto Sant’Ambrogio e San Carlo, ora scomparse, in basso San Luigi di Luigi Jorini e San Maurizio di Alessandro Martegani; Gaetano Benzoni scolpì alla sommità della fronte la statua della Madonna, affiancata da angeli musicanti opera di Giovanni Labus. I bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale danneggiarono gravemente la chiesa: nella facciata, oltre alle due statue delle nicchie, andarono perduti due angeli e anche il rilievo del Simonetta sopra la porta maggiore subì rilevanti mutilazioni. Ma tra i guasti della guerra il maggiore fu sicuramente la completa distruzione della cappella della Madonna, di cui solo pochi resti a lato della chiesa rimangono a testimoniare l’esistenza. Dal dopoguerra a oggi S.Maria alla Porta è stata più volte restaurata e negli anni ‘70, col rifacimento della pavimentazione, il presbiterio è ritornato a occupare lo spazio sotto la cupola. Qui, nel luogo ove nel XVII secolo Francesco Maria Richini aveva progettato l’altare maggiore, è stata collocata l’attuale mensa, sostenuta da angeli bronzei di fattura settecentesca provenienti dalla cappella della Madonna.
PortaMi al Castello: programma maggio-ottobre … assolutamente da non perdere! Un’ opportunità unica e irripetibile per incontrare arte, storia, sapori e tradizioni, ma anche relax, natura e divertimento. Il fascino della varietà accompagnato ad eventi, manifestazioni e artigianato locali. Un autentico viaggio nella tradizione, un incontro che lascia traccia, attraverso i territori di Lombardia e Canton Ticino. E in più, la Castelli Pass in omaggio: una tessera fedeltà che offre sconti e agevolazioni sui biglietti d’ingresso alle dimore. Sabato 17 Maggio 2008 UNA GIORNATA MOZZAFIATO SUL LAGO TRA FALCHI E GIARDINI. Varenna: passeggiata sul lago, visita alla Chiesa di San Giorgio e alla sorgente di Fiumelatte. Castello di Vezio (Perledo - Frazione Vezio, LC): antico castello con torre, sotterranei, giardino degli ulivi e...un meraviglioso mondo di falchi. Vista mozzafiato sul lago di Como. Sabato 31 Maggio 2008 TRA FORTEZZE E DIMORE STORICHE Castello di Brescia (Bs): uno dei più affascinanti complessi fortificati d’Italia, ospita il Museo delle Armi Luigi Marzoli e il Museo del Risorgimento. Castello Quistini (Rovato, BS): suggestiva dimora del 1500 appena fuori le mura del Castello principale di Rovato, immersa in un roseto fiorito. Sabato 14 giugno 2008 UNA SERATA TRA AFFRESCHI, NINFEI E GIOCHI D’ACQUA ALLE PORTE DI MILANO Palazzo Arese Borromeo (Cesano Maderno, MI): esempio di tardo baroc-
co lombardo, con 33 ambienti interamente affrescati di grande valore attribuiti pittori più rappresentativi del’600. Villa Borromeo Visconti Litta (Lainate, MI): visita notturna con luci e giochi d’acqua nel meraviglioso Ninfeo della Villa. RITROVO Ore 8.00 in Piazza della Repubblica, lato giardino Hotel Principe di Savoia Fermata: MM Repubblica (linea3) / Tram n. 29 – 33 – 11. PREZZO GITA 60 € a persona Pagamento anticipato, entro le ore 13. 00 del venerdì della settimana precedente la gita, presso la sede dell’Associazione Castelli e Ville aperti in Lombardia. La gita sarà confermata previo raggiungimento di almeno 27 partecipanti INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI Le prenotazioni e i pagamenti si accettano entro le ore 13.00 del venerdì della settimana precedente la gita presso: Associazione Castelli e Ville aperti in Lombardia Ex Caselli Daziari di Porta Nuova Piazza Principessa Clotilde 12 - 20121 Milano tel. 02 65589231, fax 02 29062345 HYPERLINK “mailto:info@castellieville.it” info@castellieville.it HYPERLINK “http://www.castellieville.it” www.castellieville.it Orari di apertura: da lunedì a venerdì, dalle ore 9.30 alle ore 13.00
www.fotomilano.it
MAGGIO 2008
El Barcho
E’ la zona più popolosa di Milano, pressoché priva di verde, ma anche fra le più quotate dal mercato immobiliare. E’ una parte di suburbio, ormai città consolidata, situata immediatamente fuori le Porte Magenta, Sempione e Volta. Vecchi caseggiati operai interrompono qua e là un assortimento di residenze per borghesi d’ogni taglia. In luogo di ciò nel Medioevo erano boscaglie impenetrabili e, verso mezzogiorno, acquitrini. Poi i Visconti, alle spalle del loro castello, realizzarono “El Barcho” (il parco), circoscritto in un secondo tempo da fossato (1392), e ampliato intorno al 1480 da Gian Galeazzo Maria Sforza con un muro di cinta che superava di poco i due metri. Era una meraviglia accessibile a pochi privilegiati di cui non rimane, oggi, alcun avanzo, alcuna veduta, alcuna topografia. L’immenso tracciato ovale disponeva di ben otto porte: a parte la castellana, a giro d’orologio, la Vercellina, la Torbora, S.Siro, Rocco de Olmi, borgo degli Ortolani, S.Ambrogio, Tenaglia, una delle quali con casa del “camparo” fiduciosamente deputato alla custodia di quel ben di Dio. Erano oltre 300 ettari di praterie, boschi, frutteti, orti e giardini, dove non mancavano serragli con belve importate da Paesi caldi, in specie dall’Oriente, spesso dono di sovrani, talora acquistate a Venezia: leoni, pantere, tigri... perfino un elefante. Vi era poi una cappella “El Gesioeul”, - la chiesuola – nei pressi dell’odierno piazzale Damiano Chiesa (era in rovina nel 1931). Nel recinto erano compresi anche altri edifici, tra cui “El casino” – nella zona dell’attuale piazza Amendola – un rustico dove Galeazzo Maria Sforza soleva intrattenersi in una cornice di polli e colombi, con la giovane consorte Bona di Savoia, cui l’avrebbe poi donato verso il Natale del 1470. Ma il gioiello della tenuta era il cosiddetto Giardino: una trama di corsi d’acqua, cascate, zampilli, e un’architettura di piante e fiori. Del “barcho”, conservato dagli spagnoli per circa un secolo, non restò poi che il nome. L’area fu divisa tra alcuni poderi raggiungibili da due porte cittadine: Porta Vercellina (ora Magenta) per Vercelli, e la secondaria Porta Tenaglia (attuale piazzale Lega Lombarda), verso il popoloso borgo degli Ortolani (nome che dice tutto), il primo abitato a fare le spese di ogni assedio al castello. Fra prati irrigui e campi inzuppati dalle piene dell’Olona, che scorreva nella propaggine meridionale, oltre alla feracità del suolo non vi era che miseria e, peggio ancora, ignoranza. “Guardass dal soo e da la prinna – diceva un adagio – e da quej foeura de porta Verzelinna” (guardarsi dal sole e dalla brina, e da quelli fuori porta Vercellina).
L’archivio fotografico di Milano in rete
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Salame Itinerario nel cuore della Brianza Brianza D.O.P. Meda, Agliate, Inverigo, Lurago d’Erba, Lambrugo. Alserio, Orsenigo, Albese con Cassano, Cantù
Lavinia Casaletto
Per Stendhal la Brianza era “il paese più delizioso di tutta l’Italia. Ora è forse più conosciuta per le qualità economico-amministrative ma custodisce ancora un interessante patrimonio artistico ed architettonico che ci proponiamo di scoprire, almeno in parte, con il nostro itinerario. Partendo da Milano lungo la Statale 35 dei Giovi raggiungiamo la prima tappa del nostro itinerario: Meda. Qui troviamo la straordinaria Villa Antona Traversi con la Chesa di San Vittore. Proseguendo tra le colline tipiche del paesaggio Brianteo raggiungiamo
Agliate, frazione di Carate Brianza. In questo borgo medievale possiamo visitare la Basilica di San Pietro, con il tipico assetto romanico a tre navate, e il Battistero del X sec. a pianta poligonale. Le pareti del presbiterio sono riccamente decorate da una fascia con figure simboliche geometriche, fitomorfe e zoomorfe. Rimettiamoci in marcia verso nord: in sette chilometri siamo nella cittadina di Inverigo per visitare la chiesa di Sant’Ambrogio, la meravigliosa Chiesetta di Pomelasca, all’interno del
complesso di Villa Sormani, e il Castello Crivelli recentemente restaurato. Il castello fa parte di un borgo medioevale unico nel suo genere in Brianza. Continuando sulla sp 41 giungiamo a Lurago D’Erba. Di particolare interesse la duecentesca chiesa di San Giorgio e Villa Sormani Andreani Verri. Quest’ultima, in stile neoclassico, venne realizzata nel 1831 nell’area del vecchio Palazzo Giussani. Nel giardino si può ancora vedere il torrione del cinquecento. Una piccola deviazione è indispensabile per visitare Lambrugo. Siamo in provincia di Como, al centro della Brianza. Il paese sorge sul pendio di una collina ai piedi della quale scorre il fiume Lambro, da cui prende il nome. Concediamoci la magnifica vista sui Piani di Erba e sulle colline circostanti. Siamo pronti ora per visitare la chiesa dedicata a san Carlo, il patrono del comune. Consacrata nel 1910 è in stile bizantino lombardo con pianta a croce latina. Torniamo sui nostri passi e superiamo Lurago. Abbiamo percorso finora circa 45 chilometri. Rigeneriamoci presso Alserio e il suo bel lago, parte del compleso idrografico brianteo. Questi laghi fanno parte del Parco Adda nord e sono molto conosciuti agli appassionati di bird watching che possono osservare varie specie di uccelli tra i quali aironi cinerini e cormorani. Rinvigoriti prendiamo via Tassera, giriamo a sinistra in via Per
Erba ed arriviamo alla sp 38 che ci conduce a Orsenigo. Qui visiteremo Villa del Soldo comprendente un vasto parco ricco di alberi rari, serre, statue e impreziosito da un piccolo laghetto navigabile. La tenuta, oggi dipendente dall’amministrazione provinciale di Como, ha ospitato re Umberto I e il principe Chigi Albani della Rovere, gran maestro dei Cavalieri di Malta. Verso Como troviamo Albese con Cassano dove possiamo visitare il Museo Etnografico e dell’acqua situato nel centro storico e dedicato agli strumenti per l’uso dell’acqua; degna di nota anche la settecentesca chiesa parrocchiale di Santa Margherita in stile neoclassico. Ed eccoci all’ultima tappa del nostro itinerario: Cantù a cui dedicheremo una visita approfondita. Sul Colle di Galliano si erge uno degli edifici altomedievali più importanti della Lombardia: la Basilica di San Vincenzo. Il tono rustico della costruzione contrasta piacevolmente con i raffinati affreschi dell’abside che risalgono al 1007, anno della consacrazione della chiesa. Raggiungiamo poi la Basilica di San Paolo, costruita nel XI secolo e più volte rimaneg-
L’antica Villa Antona Traversi Un luogo ancora intriso di spirito benedettino
Per più di mille anni, la collina su cui oggi sorge Villa Antona Traversi, a Meda, ospitò il Monastero di San Vittore, il più importante cenobio femminile del contado milanese. Fondato intorno all’anno 780, il Monastero, che osservava la regola benedettina cassinense, crebbe in fortuna e in importanza nei secoli seguenti, divenendo dominus loci del borgo di Meda e cercando di limitare, con ogni mezzo legale, i poteri del nascente Comune di Meda. Dopo dieci secoli di vita e di lotte, il Monastero venne soppresso da un decreto della Repubblica Cisalpina il 29 maggio 1798. Negli anni successivi fu trasformato in Villa neoclassica da Leopoldo Pollack, celebre architetto viennese, su incarico di Giovanni Maunier, che acquistò l’edificio all’asta. Grandi demolizioni e profonde trasformazioni cambiarono il volto dell’edificio, che però conserva tuttora l’impronta inconfondibile del luogo monastico. Il Pollack, volendo sfruttare al massimo i caratteri paesaggistici della collina demolì alcuni edifici collo-
cati sul sommo collinare, tra cui due piccole chiese, la casa delle educande, e un chiostro di cui resta testimonianza il pozzo. Al loro posto edificò l’imponente facciata di quasi 70 metri di lunghezza in stile neoclassico, che ammiriamo ancora oggi. In prossimità della villa sorge la Chiesa
di San Vittore fatta costruire dalle monache nel 1520. La parte interna, radicalmente modificata da Pollack, è divisa ulteriormente in due sale denominate Sala del Coro e Limonera. L’esterna invece ci è giunta pressoché intatta con un ciclo completo di affreschi di Bernardino Luini.
giata. Attigua alla Basilica troviamo la Cappella della Madonnina in cui, durante il restauro del 1961, sono venuti alla luce resti archeologici dei primi secoli del Cristianesimo e affreschi di Ambrogio da Vigevano e di Cristoforo Motti eseguiti nel 1514. Alla sinistra della Cappella si trova la Porta degli Archinzi, detta Ferraia, costruita dalla famiglia Grassi nel 1324 insieme alle
grosse mura e alle 35 Torri per fortificare il Borgo feudale in seguito alla proclamazione dell’indipendenza dal dominio visconteo di Milano. Infine il Santuario della Madonna dei Miracoli, eretto nel luogo di un’apparzione della Madonna e ultimato nel 1555. Sull’altare maggiore possiamo ammirare l’immagine, così chiamata dai cittadini, di Santa Maria Bella.
Considerato dai milanesifin da’Ottocento come Il Salame è un prodotto tipico della zona e solo qui prodotto. L’impasto si ottiene macinando insieme la carne della spalla , gli avanzi dei prosciutti, la pancetta e la gola. Si condisce il tutto con sale, pepe, aglio in dose minima, e vino. Il periodo di stagionatura varia in base alle dimensioni del salame, che può raggiungere i 15 centimetri di diametro: si va da un minimo di due settimane a un massimo di cinque mesi. Il posto migliore dove trovarlo è il Consorzio Produttori Salame Brianza Viale Corneggia 4-Merate (CO)
A Meda: Mostra d’Arte Contemporanea La mostra è promossa dall’ Assessorato alla Cultura del Comune di Meda e sarà allestita negli spazi della nuova Sala civica “Radio” di vicololo comunale (nei pressi del Municipio), nel centro della città. La mostra è proposta da Arsprima, associazione culturale per le arti contemporanee. Le visite guidate e l’attività didattica sono volti a favorire la piacevolezza dell’esperienza, per ampliare la fruizione dell’arte di oggi anche al pubblico che non è abituato a frequentarla ed alle diverse generazioni. Gli artisti invitati a partecipare sono: Dany Vescovi, Davide Nido, Oliver Dorfer, Florencia Martinez, Kazumasa Mikozami, Mimmo Iacopino, Riccardo Gusmaroli, Vanni Cuoghi, Eloisa Gobbo, Fulvia Mendini, Massimo Gurnari, Siva, Maurizio Carriero, Laura Giardino, Nicola Felice Torcoli, Marco
Minotti, Kruno Jasprica. Gli artisti citati si esprimono per lo più nella pittura, eccezion fatta per l’artista Eloisa Gobbo, che oltre ad esporre due opere pittoriche, proporrà anche un tappeto, nonché Fulvia Mendini, che parteciperò con due quadri e un video. Il tema della collettiva sarà l’ornamento e la decorazione, ovvero linguaggi basati sulla ripetizione ritmica di segni, segnali e icone variamente stilizzate. L’obiettivo è sostenere e divulgare i linguaggi espressivi di giovani esponenti di arti figurative che nel proprio lavoro coniugano tradizione e innovazione, artisti che propongono nuovi linguaggi, inedite visioni della realtà. La collettiva sarà accompagnata da un catalogo contenente il testo critico del curatore nonché le immagini delle opere in mostra. Nel periodo della mostra, i visitatori potranno anche assistere alla proiezione del video di Fulvia Mendini. A chiusura dell’esposizione, si svolgerà un concerto eseguito dall’Orchestra Sinfonica Accademici Jupiter, nata a
Meda nel 2002 e collegata all’Associazione Musicale Città di Meda, che svolge da una quindicina d’anni una qualificata e meritoria attività didattica nel territorio di Monza e Brianza. La mosta ha ottenuto il patrocinio della Regione Lombardia-Assessorato alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia e della Provincia di MilanoProgetto Monza e Brianza. E’ stata realizzata con il contributo di AEB di Seregno, Banca di Credito Cooperativo di Barlassina e Giorgetti Spa di Meda. L’inaugurazione: sabato 17 maggio alle ore 18.00. Orari: da martedì a domenica dalle 15.00 alle 18.30 (possibilità di visite guidate per le scuole al mattino su prenotazione - 02.58308360), lunedì chiuso. L’ingresso al pubblico è libero e gratuito. Mercoledì 11 giugno aperta sino alle oe 23.00. Il concerto si svolgerà nel chiostro della Villa Antona Traversi venerdì 20 giugno 2008, ore 21.00. Direttore è il M° Sergio Vecerina.
Programma Stagione Concertistica di Meda
Venerdì 16 Maggio 2008 ore 21.00-Villa Antona Traversi Chiesa di S. Vittore ARPE DIEM Donata Mattei, Laura diMonaco,Sara Bertuelli, Elena Corni
Chiesa di S. Vittore Clarinetto: Alessandro Ruggeri. Pianoforte: SergioVecerina.
3-4 Giugno 2008 ore 21.00-Villa Antona Traversi Chiesa di S. Vittore Concerto finale degli allievi Venerdì 23 Maggio 2008 della scuola di musica “Citta’ di ore 21.00-Villa Antona Traversi Meda” Chiesa di S. Vittore Coro: Cesarina Guarneri Venerdì 20 Giugno 2008 Organista: Adriana Armaroli ore 21.00-Villa Antona Traversi Direttore: Giuseppe Reggiori Chiostro Orchestra Sinfonica Venerdì 30 Maggio 2008 Accademici Jupiter ore 21.00-Villa Antona Traversi Direttore: Sergio Vecerina
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Scoprire la Val Trompia Il Sistema Museale di Valle Trompia, fondato sul presupposto che il territorio stesso è il vero museo, valorizza il proprio patrimonio culturale e le proprie tradizioni. La proposta culturale viene sviluppata sulle due anime della Valle Trompia: il mondo industrializzato, legato al lavoro in miniera, al metallo e alla sua trasformazione in prodotti industriali, e il mondo contadino, in simbiosi con il bosco, la natura e i suoi prodotti tipici. Il Sistema Museale offre ai visitatori: accoglienza, visite guidate, attività didattiche e animazioni, incontri, lezioni di approfondimento, mostre ed eventi adeguati alle diverse fasce d’ età degli utenti.
Itinerari tematici: Itinerario La via del ferro e delle miniere. Un appassionante viaggio nel tempo tra le gallerie e gli impianti di superficie delle miniere, i forni di arrostimento e di fusione del minerale e le fucine. Miniera S. Aloisio Tassara di Collio. 21 passaggi aerei: ponti sospesi, liane, scale e passerelle per
vivere, in tutta sicurezza, intense emozioni, in uno straordinario sito di archeologia industriale. Museo LE MINIERE di Pezzaze e Miniera Marzoli. Il visitatore può scegliere di entrare nel cuore della miniera, abbandonata nel 1972, a bordo del trenino del minatore; oppure può visitare il museo“Il mondo dei minatori e l’arte del ferro”. Museo IL FORNO di Tavernole, fra le poche testimonianze della siderurgia al carbone di legna conservatesi in Europa. Museo delle Armi e della Tradizione Armiera. Il percorso espositivo mette in risalto il lavoro artigianale degli armaioli e degli incisori. Museo I MAGLI di Sarezzo. L’antica fucina di origine quattrocentesca. Museo Il Maglio Averoldi di Ome. Dove si può assistere a dimostrazioni di lavorazione del ferro secondo le tecniche tradizionali. Itinerario La strada del bosco. In Valtrompia nasce dalla volontà di tramandare i saperi contadini, coinvolgendo i visitatori in esperienze di vita e di lavoro. Museo Etnografico di Lodrino raccoglie ed espone testimonianze e attrezzi legati ad aspetti della vita in epoca rurale, dalla caccia alla fienagione, dagli oggetti medici a quelli tipici della lavorazione del formaggio. Museo delle Costellazioni. Osservatorio e Planetario. Azienda Agricola “Pesèi”. Ideale meta per chi vuole scoprire il mondo delle api e conoscere da vicino la col-
tivazione dei piccoli frutti, gustando prodotti biologici. Fattoria didattica “Catena Rossa”. Permette la scoperta
tattile-olfattiva delle erbe e con gli animali (tra cui daini, struzzi, anatre e porcellini). Produzione biologica di erbe officinali ed aromatiche. Caseificio Sociale Graticelle. Un incontro fra le antiche consuetudini legate alla produzione del formaggio in cascina e gli attuali processi di caseificazione. Per informazioni: Sistema Museale di Valle Trompia Via S.Francesco d’Assisi– 25063 Gardone V.T.–Brescia Tel. 030 83 37 494/493 – Fax. 030 83 37 498 http://www.cm.valletrompia. it/musei. Agenzia Parco Minerario dell’Alta Valle Trompia Via Provinciale - 25060 Collio – Brescia. Tel. 030 92 80 022 – Fax. 030 92 80 023 mailto:info@miniereinvaltrompia.it; info@miniereinvaltrompia.it
Arte Milano
Alik Cavaliere nei Giardini della Memoria Sculture e opere su carta
I Giardini nel labirinto della memoria, opera intima e universale al tempo stesso, rappresentativa dell’intero percorso di ricerca di Alik Cavaliere (Roma 1926 – Milano 1998) - uno degli scultori più originali e interessanti della seconda metà del secolo, la cui cifra espressiva si inserisce tra istanze dada e surrealiste, approfondimenti esistenziali, sperimentazioni vicine al Nouveau Réalisme - sarà al centro del percorso espositivo, protagonisti di un allestimento particolarmente curato all’interno delle sale dell’antico Broletto di Pavia. La grande scultura–installazione dei Giardini nel labirinto della memoria, realizzata tra il 89 e ‘92, riunisce natura e memoria, element i cari alla sculto-
La Rocca di Olgisio si trova in una posizione molto suggestiva, arroccata su di un alto sperone tra i torrenti Tidone e Chiarone. E’ sicuramente uno dei monumenti di maggior interesse storico della provincia di Piacenza oltre che motivo di orgoglio per il paese di Pianello V.T. Quando si è dentro al maniero, sembra di essere fuori dal mondo, in una favola, dove la realtà supera la fantasia. Incastonato come un diamante sullo spartiacque che divide i torrenti Chiarone e Tidone, fu molto spesso al centro di guerre e contese
a parlare di ciò che è stato, di valori che forse pensavate perduti, di gesta epiche, di cavalieri e dame, di scudieri e damigelle, paggi, giocolieri e menestrelli e, non è escluso che, passeggiando tra queste antiche mura non vi capiti di trovare un segno, un indizio per arrivare a ciò che altri non hanno mai trovato. La visita alla rocca si trasformerà subito in un eccezionale scoperta per la bellezza ma anche, per la singolarità del luogo, un complesso architettonico in cui si mescolano armoniosamente le caratteristiche della struttura difensiva e della residenza signorile. http://www.roccadolgisio. it/Info/sala_armi.jpg
re, in una sorta di labirinto dove si accumulano tracce del vissuto dell’artista, la dimensione narrativa e scenografica della scultura, il dialogo con la classicità e la letteratura, il racconto dell’esistenza. La mostra favorita da un percorso inedito nella complessità del processo creativo dell’artista, realizzato grazie al recupero e all’esposizione di schizzi, appunti, disegni e grandi opere su carta. L’esposizione si inserisce nel contesto del Festival del Paesaggio - organizzato dal Comune di Pavia in collaborazione con l’Università degli Studi, ormai alla sua terza edizione.
Contatti: Francesca Porreca, Musei Civici di Pavia. Telefono 0382.33853 mailto: fporreca@comune.pv.it fporreca@comune.pv.it Spazio per le Arti Contemporanee del Broletto, Piazza della Vittoria, Pavia. Dal 12 aprile al 25 maggio 2008 Mostra sostenuta e promossa da: Comune di Pavia, Settore Cultura, Pavia Arte. In collaborazione con: Centro Artistico Alik Cavaliere, Milano. Col patrocinio di: Regione Lombardia e il contributo di: Coop Lombardia. Sponsor tecnino: INA Assitalia. Orari: da martedì a venerdì 16-19.30 ; sabato e domenica 10.30-12.30 e 16-19.30. Ingresso libero.
Il Museo Baroffio
Il Museo Baroffio e del Santuario del Sacro Monte sopra Varese è uno scrigno d’arte che somma la collezione storica di S. Maria del Monte alla collezione donata nel 1929 dal barone Giu-
La Rocca di Olgisio quindi dimora signorile attraverso profonde ristrutturazioni che però ne hanno lasciato inalterato l’aspetto maestoso. Appena imboccata la strada di accesso, esso ci appare in tutta la sua maestosità, come in un sogno di quelli in cui ci si perdeva a fantasticare quando eravamo bambini; arroccato sulla rupe come un nido d’aquila. Quando vi troverete immersi nel profumo di questo luogo e nel silenzio che regna, dove ora solo il rumore prodotto dal vento è sovrano allora forse, . . . non avrete più bisogno di guide..., saranno le pietre
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seppe Baroffio Dall’Aglio. Il museo, costruito grazie alla sua generosità, si presenta oggi rinnovato e ampliato inserendosi in un itinerario di fede, natura, arte, storia, armoniosamente intrecciate (per approfondimenti www. museobaroffio.it/storia. htm). La collezione comprende sculture romaniche, miniature di codici preziosi, paliotti d’età sforzesca e sfoggia un ricco patrimonio di donazioni, con dipinti lombardi, emiliani, olandesi e fiamminghi dal XV al XVIII secolo, fino alla sezione di arte sacra contemporanea con opere del XX secolo. Fra le eccellenze si impone la Madonna col Bambino, scelta come logo del museo, di Domenico e Lanfranco da Ligurno della fine del XII secolo, già parte del portale romanico di S. Maria del Monte. Opera paradigmatica della fertile produzione artistica ispirata alla Vergine del Monte. Accanto a nomi
legati alla storia recente del Sacro Monte, come Renato Guttuso e Trento Longaretti, trovano spazio tra gli altri Matisse, Sironi e Lello Scorzelli. ORARI: Apertura giovedì, sabato e domenica 9,30–12,30; 15-18,30 (15 III/ 9 XI 2008) e durante le festività natalizie con riduzione d’orario. È possibile prenotare aperture straordinarie. Il museo promuove iniziative culturali e didattiche alla pagina “eventi” del sito ( http://www.museobaroffio. it; www.museobaroffio.it). Prossimo evento: per l’iniziativa FAI IL PIENO DI CULTURA apertura serale straordinaria (16 maggio ore 20 – 23). Nella notte tra le ombre dipinte: visita notturna tra le ombre d’artista per scoprire, distinguendone tipologie e funzioni, come ognuna sveli ben più di quanto nasconda. La visita, condotta dalla curatrice del museo Laura Marazzi, inizierà alle ore 21 (max 25 persone). Sarà eventualmente offerta una replica entro le 23. Prezzo simbolico di 1 €. Il museo ha pubblicato la sua prima guida dedicata ai bambini Gioca in Arte. Alla scoperta del Museo Baroffio e del Santuario del Sacro Monte sopra Varese (p.48). Al barone Giuseppe Baroffio Dall’Aglio, disegnato dall’illustratrice Chiara Sacchi, è affidato il compito di accompagnare i bambini invitandoli a osservare, a
Richiedete la rivista in pdf presso il vostro
indirizzo email scrivendo a info@okarte.org
leggere, a giocare in un percorso strutturato e divertente dalla lunghezza calibrata. La guida, consigliata dagli 8 ai 12 anni, è intesa come sussidio autonomo alla visita ed è rivolta alle scuole e alle famiglie con bambini. Il lettore è coinvolto attraverso domande-stimolo, giochi d’osservazione, indovinelli, filastrocche e attività, mentre icone, colori di riferimento e piantine indicano i diversi passi del percorso. Il linguaggio semplice, ma non privo di termini tecnici opportunamente spiegati, conferisce familiarità con il lessico più appropriato. Le autrici della guida (in vendita presso il museo a 3 €, per le scuole 2 €) sono
Laura Marazzi, conservatore e responsabile dei servizi educativi del museo, e Giovanna Palumbo, insegnante di scuola media.
INFORMAZIONI: Museo Baroffio e del Santuario del Sacro Monte sopra Varese - Piazzetta Monastero (VA) tel.0332 212042 info@museobaroffio.it http://www.museobaroffio.it” UFFICIO STAMPA: Metamusa arte ed eventi culturali - Via Cesare Battisti 9 , Gallarate VA - tel. 0331777472 info@metamusa.it http://www.metamusa.it
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Visita a Castellengo Tra le colline del Monferrato
Immerso nel verde di una natura rigogliosa, lontano quanto basta dal caos delle città si trova il Castello di Castellengo. Dalla collina su cui è arroccato, il maniero domina la splendida pianura sottostante, dando le spalle alle dolci colline Biellesi. L’evolvere delle stagioni regala panorami sempre diversi e sorprendenti e dal Castello si può godere in un colpo d’occhio di tutta la bellezza e la vastità della pianura coltivata, respirando aria pura e tranquillità. Le origini del castello si fan-
no risalire al X secolo per opera di Alberico di Monterone che si vide confiscata la proprietà nel 1014 per aver sostenuto Arduino d’Ivrea. Nel 1198 passò ai Bulgaro, nelle mani dei quali il maniero rimase fino al 1406. Nella notte fra il 4 e 5 maggio di quell’anno il Capitano di ventura Bamdo di Firenze occupò il castello. Per riottenerne il possesso Amedeo VIII di Savoia fu costretto a ricorrere ad un assedio che si protrasse fino al febbraio del 1409. Successivamente il castello venne suddiviso e
venduto a 14 nobili biellesi. Gli anni seguenti vedono i fratelli Frichignono di Cecina acquisire quote sempre maggiori del castello e del territorio di Castellengo. Nel 1630 Prospero venne investito del titolo di Conte da Carlo Emanuele I e lo stemma nobiliare dei Frichignono è ancora oggi visibile alla destra della meridiana. Sul finire del 600, mutate le condizioni politiche e militari, cominciò la trasformazione del castello da fortezza a residenza signorile con affreschi, pavimenti in mosaico, soffitti a cassettoni e stucchi. La famiglia Frichignono si estinse nel 1883 ed il castello subì un graduale abbandono, cambiando più volte proprietà. Nel 1990 gli attuali proprietari ne iniziarono un attento restauro conservativo. Le antiche sale del Castello di Castellengo, dopo i recenti restauri, sono finalmente tornate agli antichi splendori e possono oggi ospitare meetings, cerimonie, mostre ed altri tipi di manifestazioni.
I tre “Paradisi in terra” dei Principi Borromeo Nuovo itinerario nella storia dei giardini
Apre un nuovo Itinerario tutto verde nei giardini storici dei Domini Borromeo sul Lago Maggiore. Passeggiare attraverso un millennio di storia e farlo tra i colori e i profumi, le suggestioni dei giardini. Ma non giardini qualunque ma giardini tra i più belli al mondo.E’ ben noto che l’arte del ideare, creare e far vivere meravigliosi giardini, dei “Paradisi in terra”, è da secoli una passione della principesca Casata. Ora, grazie al circuito denominato appunto “Paradisi in terra”, è possibile ammirare tutti e tre gioielli Borromeo: i Giardini dell’Isola Bella e dell’Isola Madre e quelli della Rocca Borromeo di Angera. E farlo con un biglietto unico, seguendo un itinerario che mette in rete i tre monumenti verdi e le dimore che essi contornano. L’Itinerario Verde può prendere avvio da uno qualsiasi dei tre siti che in esso sono compresi ma chi voglia rispettare rigorosamente l’ordine del tempo è invitato ad iniziare il suo percorso dalla Rocca Borromeo di Angera, sulla sponda lombarda del Lago. Qui, in un’ala dello storico edificio è allestita una mostra di grande spettacolarità nella quale sono illustrate e ricreate le diverse tipologie di giardini in epoca medievale, traendole da codici e docu-
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Arte Milano
menti d’epoca. All’esterno della Rocca, a contrappunto e complemento dell’esposizione, i maestri giardinieri di Casa Borromeo, hanno dato il via alla realizzazione di un progetto che, con la gradualità richiesta da una iniziativa di questa complessità, porterà, anno dopo anno, ad aggiungere sempre più esempi di quanto
descritto da quegli antichi codici. Hanno già messo radice molte specie arbustive descritte dagli antichi maestri: piante medicamentose accanto ad altre ornamentali, coltivate secondo regole e geometrie precise, tutto per ricreare - come era prescritto, un tempo - in terra l’idea del perduto Paradiso. Per completare questo progetto
Valerio Castello Al Palazzo Reale di Genova
Il Museo di Palazzo Reale ospita, dal 15 febbraio al 15 giugno 2008, la prima grande rassegna monografica dedicata al pittore genovese Valerio Castello. La mostra celebra uno dei maggiori pittori genovesi del Seicento, rappresentato nel Museo di Palazzo Reale da un’importante volta affrescata raffigurante l’Allegoria della Fama e uno dei suoi capolavori, la tela con Il ratto
di Proserpina. L’evento si inserisce in un programma espositivo di valorizzazione delle opere parte di Palazzo Reale e della sua quadreria. I motivi della fama di Valerio Castello vanno cercati nel ruolo di profondo innovatore del panorama della pittura genovese che egli svolse. Soltanto una morte precocissima gli impedì di estendere oltre i confini locali la propria influenza. Ai pittori genovesi che aderirono al Naturalismo del primo Seicento è dedicata una sezione d’apertura della mostra, dove si trova anche una pala d’altare realizzata nel 1624 dal padre di Valerio. Bernardo Castello, pit(affidato a specialisti, storici e studiosi delle varietà più antiche) occorreranno ancora degli anni. La scelta è stata quella di rispettare il tempo e l’armonia della natura, senza forzature moderne. Ma ciò che già si può ammirare è davvero impagabile. La seconda tappa è all’Isola Bella, per ammirare l’elegante giardino barocco all’italiana, uno degli esempi più celebri e meglio conservati in Europa. Al giardino, noto in tutto il mondo, è stato appena conferito anche il riconoscimento di “Più bel giardino d’Italia”. La sua costruzione inizia intorno al 1630 quando un conte della Casata decise di trasformare uno scoglio affiorante dal Lago in un luogo di delizie. Il suo successore continuò l’opera e dedicò alla moglie Isabella, “Bella”, l’isola così rinominata. Per completare l’opera, sono occorsi quasi 400 anni, durante i quali sono state qui traghettate pietre da costruzione, statue, fontane, piante da ogni angolo del mondo e la ter-
tore colto ma vincolato ad una raffigurazione di tipo ancora manierista. Nel corso delle trasformazioni della pittura italiana, dal Naturalismo al Barocco, Valerio seppe recepire più di altri la novità rappresentata dagli artisti di prospettive dipinte, ovvero i quadraturisti emiliani, attivi a Genova a metà del Seicento, elaborando una pittura aerea, dinamica, in consonanza con una nuova idea di spazio illimitato, scenografico, barocco. Seppe poi travasare anche quella profonda sensibilità musicale destinata a divenire un aspetto decisamente peculiare del suo secolo. Nessuno come Valerio Castello seppe interpretare l’esuberante effervescenza coloristica, il sentimento nuovo di un’epoca che fu, allo stesso tempo, spaziale, teatrale e musicale. La rassegna comprende circa cento opere di Valerio Castello, riunite per la prima volta e provenienti da chiese, collezioni private e numerosi musei italiani e stranieri tra
cui il Musée des Beaux-Arts di Nancy e il Museo Nacional del Prado di Madrid. Tra i contributi dei musei italiani si distingue quello dei Musei di Strada Nuova di Genova - Palazzo Bianco e Palazzo Rosso. Alle numerose tele di Valerio Castello sono affiancati una trentina di dipinti realizzati da artisti quali Parmigianino, Giulio Cesare Procaccini, Anton Van Dyck e Rubens, che, in qualche misura, contribuirono alla formazione del grande maestro genovese. La mostra è allestita nel Teatro del Falcone, parte del complesso di Palazzo Reale. Curatori: Marzia Cataldi Gallo, Luca Leoncini, Camillo Manzitti, Daniele Sanguineti. Promossa da: Direzione Regionale Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria. Organizzata da: Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria e Soprintendenza Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria. Biglietti: € 8 intero, € 6 ridotto, € 3 scuole
ra su cui farle crescere. Il magnifico Giardino sorge dall’acqua come una piramide tronca culminante nella grande statua del Liocorno cavalcato da Amore. Nel punto più ampio del Golfo Borromeo si leva dalle acque la più grande delle isole del Verbano: l’Isola Madre. Appartiene alla famiglia Borromeo dal 1500. I circa 8 ettari di superficie hanno vissuto notevoli trasformazioni: inizialmente frutteto, poi uliveto, agrumeto sino all’attuale Parco Botanico all’Inglese realizzato ai primi dell’800. L’Isola Madre è rinomata non solo per le spettacolari fioriture di camelie, glicini, azalee, ma anche per i Giardini Botanici che ospitano rare essenze vegetali originarie delle più diverse latitudini. Il clima particolarmente mite ha infatti permesso l’insediamento di una flora sorprendente e difficilmente reperibile in altri luoghi.
Le diverse parti del giardino sono contrassegnate da una toponomastica che aiuta il visitatore nel percorso come Viale Africa, Piano delle Camelie, Prato dei Gobbi. In quello che Gustave Flaubert ha definito “un paradiso terreste”, si aggirano multicolori pavoni, pappagalli e fagiani. Passeggiare in questi spazi è come compiere un duplice affascinante viaggio: il primo alla scoperta della flora di molte parti del pianeta, il secondo dentro il gusto collezionistico e la passione botanica dei Principi Borromeo. Info www.isoleborromee.it - Studio ESSECI info@studioesseci.net
Per partecipare alle mostre organizzate info@okarte.org - 347-4300482
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Ubelly Guerrero Martinez
Carla Ferraris
Ubelly Guerrero Martinez nasce a Victoria Caldas, in Colombia. Qui, fin da piccolissima, rivela un’innata attitudine al disegno, che si risolve in veri e propri graffiti realizzati coi gessetti sui muri di casa. In seguito, ancora bambina, si dedica allo studio pittorico degli animali, che riprende in varie posizioni per meglio comprenderne la resa anatomica. E’ tuttavia un regalo del fratello a segnare la svolta tecnica decisiva: egli infatti, le regala il materiale necessario per la pittura ad olio, in cui Ubelly si cimenta tagliando lenzuola e fissandole su telai realizzati manualmente e che non abbandonerà più. Nella città di Medellin l’artista, ancora autodidatta, frequenta dapprima una scuola pubblicitaria ed in seguito un corso privato di disegno che la aiuta a migliorare la propria tecnica
esecutiva. A proposito del suo operato artistico Ubelly spiega: “Nella mia pittura si celano ricordi di cose che furono, ricordi del passato, l’immergersi in splendidi paesaggi lussureggianti abbandonando la quotidianità dell’esistenza, talvolta grigia e triste. Lo sguardo dei miei personaggi denota, a volte, tristezza ed angoscia, insieme al ricordo di quella terra amata che ho abbandonato e dove, forse, mai ritornerò”. Mediante queste poche parole, semplici ma incisive, si coglie l’aspetto più profondo della tematica che si cela dietro le tele della Guerrero: ella infatti, ci racconta di terre lontane, fissando, attraverso la pittura, il primitivo naturalismo dei suoi luoghi d’origine, per i quali ella prova una sorta di triste nostalgia emotiva, percepibile nello sguardo malinconico dei personaggi raffigurati, il quale diventa talvolta sguardo dell’artista stessa. Nella semplice figurazione delle linee, nel lirismo stilizzato, seppur enfatizzato da una cromia di toni caldi, si coglie un richiamo stilistico alla corrente pittorica Naif, tematicamente caratterizzata dall’espressione di situazioni, emozioni, riferimenti a luoghi geografici precisi ed a immagini disparate (ma omogenee tra loro) e tecnicamente riconoscibile grazie a caratteri grafici e cromatici in cui è evidente l’assenza di tecnicismi accademici,
prediligendo un linguaggio elementare, infantile, con mancanza di proporzioni e prospettiva, ma di grande impatto espressivo. E’ questa la base delle opere di artisti quali il “doganiere” Rousseau, l’italiano Ligabue, il falegname Rabuzin; riconducibile al Naif potrebbe essere anche l’operato del colom-
biano Botero, di cui Ubelly Guerrero ci regala un intenso ritratto (“Il maestro Botero”, 2006). Secondo Botero la pittura è da intendere come necessità interiore che conduce all’esplorazione continua verso l’opera ideale; il colore è tenue con assenza di ombreggiature, che “sporcherebbero” la propria idea di colore, i soggetti si dilatano acquistando forme insolite, esulanti dal vero e dalle giuste proporzioni. L’artista sostiene che “…l’arte debba dare all’uomo momenti di felicità, un rifugio di esistenza straordinaria, parallela a quella quotidia-
na…” ed ancora dice: “Bisogna descrivere qualcosa di molto locale, di molto circoscritto, qualcosa che si conosce benissimo, per poter essere capiti da tutti. Io mi sono convinta che devo essere parrocchiale, nel senso di profondamente, religiosamente legato alla mia realtà, per poter essere universale”. Parole il cui significato sembra esser stato profondamente recepito da Ubelly, la quale appunto non fantastica, ma racconta emotivamente e nostalgicamente del suo passato, della Colombia con le sue credenze ed usanze, attraverso figurazioni che, passando dai cromatismi forti e contrastanti delle prime produzioni (che prediligono dunque l’immagine), arriva al luminismo intenso seppur più semplice degli ultimi lavori (che diventano pura narrazione, logos interiore). In lavori come “Cavalli” (2006), sono chiare le allusioni di energia e libertà simbolicamente rappresentate dalla presenza degli animali, realizzati mediante cromie decise ed irreali, citazione fauvista che richiama alla mente opere astrattamente più espressioniste di Franz Marc come “Tre cavalli rosa” (1911, Roma) e “Cavalli rossi e blu” (1912, Monaco). L’arte della Guerrero abbandona però la pura narrazione pittoricofigurativa nei lavori di ultima produzione, che diven-
tano graficamente meno descrittivi e meno incisivi sul piano luministico, depurandosi da una tradizionale scelta prospettica e cromatica, per divenire puro logos interiore, che ci parla di divinità a noi del tutto sconosciute. E’ il caso, ad esempio, della dea Bauché, appartenente alle credenze religiose di popoli come i Chibcha, ritenuta madre dell’umanità e della terra, qui ritratta più volte in diverse circostanze come a sottolinearne l’universalità, la più profonda importanza antropologica che esula dal tecnicismo pittorico accademico. Antropologica, intimamente mnemonica, conoscitiva e didattica più che descrittivamente tecnica è dunque l’arte di Ubelly
Guerrero Martinez. www.ubellyguerrero.com: Il maestro Botero. ‘06 Cavalli, ‘06 Le dee Huitaca e Bachué, ‘08 Bachué e Huitaca, ‘08
Un cielo immenso: Maddalena Farina
F. B.
Si è svolta dal 14 al 24 Aprile, presso la galleria d’arte S.Pietro di via Varese in zona Brera a Milano, la prima mostra personale della giovane artista emergente Maddalena Farina. L’evento, ideato dall’art-director Ann Mari Johansen alla quale si deve l’illustrazione grafica, presentato dalla giornalista e curatore della mostra Francesca Bellola, ha riscosso successo fra i numerosi appassionati d’arte presenti. La serata inaugurale ha visto la partecipazione di un pubblico attento che si è fatto coinvolgere dall’atmosfera particolarmente creativa e spontanea. Molti i commenti positivi e le domande che i presenti hanno rivolto alla eclettica pittrice incuriositi dalle sue opere. “Da sempre sono appassionata del colore, dell’emozione che
riesce a dare su una tela, su un muro, su un foglio; dipingo esclusivamente per il piacere di farlo”. Questa affermazione di Maddalena Farina mette in risalto una forte personalità che si delinea con il desiderio di far riaffiorare l’armonia ed il gusto del bello, per soddisfare la propria interiorità. La sua ricerca pittorica è costituita da continue sperimentazioni realizzate davanti alla tela bianca che affascina e illumina un mondo nuovo tutto da esplorare. Ogni inizio di un’opera è sempre tormentato e la resa non è mai certa, quindi Farina elabora un percorso
di elevazione per raggiungere traguardi a volte insperati. Artista figurativa, dotata di un’ottima padronanza del disegno, esprime attraverso le sue pennellate decise e pulite, una notevole carica espressiva determinata dal suo innato talento. La sua pittura è elegante e voluta-
mente ricca di colori accesi e caldi che danno una resa cromatica di elevata intensità ( vedi opere “Attesa…”, acrilico su tela” e “ Farfalla”, acrilico e gessetti su tela). In “Attesa” è impressionante la resa espressiva che Maddalena Farina riesce a trasmettere con semplicità di tratto. L’uomo attempato seduto su una panchina, protagonista della suddetta opera, sembra riflettere tutte le contraddizioni dell’esistenza umana testimoniando il tempo che scorre inesorabile. Fra i temi trattati evidenziamo due ritratti dedicati a Chaplin, ed in particolare quello su cartone, nel quale viene colta l’essenza del personaggio fra i più grandi del cinema muto: Chaplin trasmette dalle tele la triste gioia di vivere che caratterizzano le sue pellicole. L’attrazione verso l’astratto è un cammino inevitabile, ricco di contraddizioni come quelle che sorgono nella mente di Maddalena per sprigionarsi e vivere liberamente nel “Cielo Immenso”, opera da cui prende il titolo la mostra. L’artista nata a Bergamo nel 1981, si laurea in scenografia presso l’Accademia di Brera. Ha partecipato a diversi concorsi come il Premio Internazionale Agazzi ed il Premio d’arte Città di
Breno, ricevendo segnalazioni e riconoscimenti. Tra le principali e recenti esposizioni ricordiamo: 2007 personale di pittura nell’ambito di una rassegna teatrale ad Olgiate Molgora (Lc). C ollettiva: “Assemblage Sentimentale, negli occhi
Brevi recensioni gratuite dello staff
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la poesia della tela” presso il centro culturale ZeroUno a Barletta (Ba). 2008 “YEUX DES FEMMES”, in collaborazione con Sekanina/Lovetti Arte Contemporanea di Ferrara, intesa come sguardo delle donne verso la pittura.
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Nicola Brindicci e il “Pittorialismo” in fotografia Clara Bartolini
NICOLA BRINDICCI è nato a Domodossola ma vive a Milano. Ha iniziato a fotografare molto presto senza mai distogliere lo sguardo dall’arte, la scultura, la pittura moderna, sue ispiratrici come l’architettura che fa parte dei suoi studi. Dopo una lunga interruzione dovuta a problemi familiari, ha ricominciato a fotografare in Ungheria durante uno dei suoi viaggi, per poi proseguire altrove. Le suggestive immagini dell’artista stupiscono per la loro capacità di fermare sulla pellicola dettagli minimi, elementi quasi insignificanti trasfigurati dal suo sguardo. Piccole cose si mostrano nella loro naturale armonia, nella loro caducità, nella presenza visionaria, quasi a fermare attimi dell’anima più che della natura. Brindicci propone spesso visioni dell’alba, perchè vuole comunicarci che ogni giornata può essere sempre un magico “ inizio “ di vita. Tante le mostre in Italia e all’estero che lo hanno visto protagonista. L’ultima
Il Prof. Giuseppe Barbieri racconta Brindicci
a Vicenza, la meravigliosa città del Palladio, appena presentata. Il Prof Giuseppe Barbieri dell’ Università Ca’ Foscari di Venezia, docente
di Storia dell’arte Moderna e critico, ha dato una sua interpretazione dell’opera dell’artista che inaugurava l’ 8 Maggio “Stanze dell’ani-
Paolo Napolitano: la pittura esasperata Carla Ferraris
Nel maggio del 2000 prende avvio un nuovo modo di concepire l’arte, un vero e proprio movimento artistico-culturale che trova i suoi fondamenti nel Manifesto steso dal fondatore Adolfo Giuliani. L’ Esasperatismo si origina dalla riflessione profonda su alcuni aspetti del vivere contemporaneo: la precarietà frenetica dell’esistenza, la violazione della natura e dei suoi naturali ritmi, l’incontrollabilità delle scoperte scientifiche e la mancanza di fruibilità dell’arte sono i temi salienti su cui s’interrogano gli artisti del Movimento. Tra di essi, Paolo Napolitano è colui che dà vita ad una modalità artistica che enuclea la realtà circostante in virtù di un pittoricismo grafico del tutto personale. Esordendo con un fare artistico equilibrato, sospeso tra realtà ed onirico, caratterizzato da intimi significati sensibili al vero materiale, esteriorizzato tramite
cromie solarmente positive, l’artista partenopeo si è in seguito addentrato nei meandri intricati della disillusione drammatica quotidiana e della fragilità umana, ben comprensibili nelle campiture fattesi più cupe. Nei suoi lavori è presente il concetto esasperatista, che trova materializzazione nel bidone: questo si discosta dal suo significato convenzionale di contenitore materico, per elevarsi al grado più alto della vita stessa, come bagaglio di esperienze anche sofferte, tradite, disilluse, deluse dell’esistenza. La lacerazione ed il tormento umano trovano in esso
la propria oggettivazione, sulla scia di un’eco tradizionalmente nichilista, in cui il soggetto umano sensibile si insinua nell’oggetto visibile e fruibile. Nei lavori di Napolitano il bidone è presente in diverse rivisitazioni del tutto intime e sensibili, in cui emergono vaghe matrici espressioniste, originanti da ampie pennellate di cromatismi scuri ma ben dosati, reduci dalle esperienze grafiche dell’artista, il quale sembra talvolta accostarsi ad esperienze emozionali e spirituali reali, materializzate nelle scelte tonali e nell’incisività dei gesti segnico-pittorici.
ma” . La mostra di Nicola Brindicci, già presentata in diverse città, ha qui trovato un pubblico attento, oltre che alle opere, all’interes-
sante presentazione fatta dal Prof Barbieri. Ne vogliamo proporre una parte. “…Dopo aver visto i primi esperimenti di Daguerre,
il pittore Paul Delaroche, considerando le infinite potenzialità che la macchina fotografica sembrava vantare in ordine a una rappresentazione fedele del reale, aveva esclamato: “da oggi la pittura è morta !”. Per alcuni decenni esistette dunque un fenomeno, e in Italia si chiamò pittorialismo” “…E’ passato più di un secolo da allora. Ma l’espressione pittorialismo viene ancora impiegata per definire in qualche modo, una costruzione particolarmente elaborata dell’immagine fotografica: non in presa diretta, in sostanza, anche se anche ogni foto è in un certo senso, nell’istante preciso in cui viene scattata, in presa diretta. Sappiamo tuttavia che le risorse tecnologiche, nell’era digitale, hanno complicato ulteriormente i confini tra raffigurazione ed elaborazione, che ormai contano più le dichiarazioni d’intento di un autore che l’esito, spesso ingannevole, che osserviamo. In ogni modo, a una prima ricognizione delle fotografie di Nicola Brindicci, il termine pittorialismo mi è sorto quasi spontaneamente. Ma non era una risposta, una reazione: piuttosto, un’osservazione che recava con sé non pochi problemi. Se erano immagini pittorialiste come bisognava descriverle ?”. “… Tanto per cominciare, era necessario riguardare. Il repertorio di Brindicci non è uniforme, anzitutto. Ci sono tre nuclei prevalenti, visto che più che un soggetto
vero e proprio i Rombi sono piuttosto un modo, pur interessante di incorniciare un soggetto. Il maggior numero di immagini che ho visto, anche in questa circostanza, sono rubricate come Astrat-
e che per questo fu frequentemente adottato, molti secoli fa, dalla pittura di prospettiva. Più che di teatrini, la sensazione è di elementi scenografici sospesi, quasi un ricordo di antichissimi periatti: il proscenio è vuoto, solo occupato da riflessi d’ombra. Richiede la nostra presenza? La ricerca di una composizione simbolica è evidente, meno vistoso il messaggio: che è costituito soprattutto, a mio avviso, dalle studiate distanze che separano tra loro quei piccoli frammenti, che la foto ci affida con una scelta ingigantita, consegnandoci intervalli tesi a stabilire rapporti di reciprocità, patterns di relazioni, ritmiche compassate. Perché astratte e non senza titolo, che sarebbe stato un più agevole vezzo ? Non è astratto lo scenario, non lo sono i toni cromatici, e nemmeno gli oggetti o le loro parti convocate. L’unica risposta che trovo, a meno che essa non rinvii all’assenza di ogni traccia umana dalla rappresentazione, è nel rifiuto di una comoda mimesi. Il contrasto tra quest’ultima e l’immaginazione , quella che i greci chiamavano phantasia, è millenario”. La interessante digressione del Prof. Barbieri accosta la ricerca di Brindicci alle ricerche del MAC, il Movimento per l’Arte Concreta di Soldati, di Munari di Dorfles. Per questo aggiunge “…
te; è un titolo piuttosto insolito, perché ciò che vediamo, magari superficialmente, sono foglie, frammenti di vetro, solidi irregolari, lampadine, riflessi da una superficie specchiante e disposti contro cieli accesi (nelle più frequenti immagini a colori, ma esistono anche dei bianco e neri di analoga struttura compositiva). Nelle foto a colori la linea di orizzonte è molto ribassata, molto più che in quelle in bianco e nero, il che sembra presupporre, per lo spettatore, uno sguardo di sotto in su, che serve a dilatare il paesaggio
Brindicci si è occupato prevalentemente di spazio. Anche queste sue immagini ci parlano, prima di ogni altra cosa, di spazio: uno spazio in cui le percentuali di interno e di esterno sono abilmente equivocate; lo sguardo dell’autore non è scontato, unidirezionale. Tocca a noi orientarci, e forse il senso e soprattutto qui”. “Stanze dell’anima” Immagini fotografiche di Nicola Brindicci - 8- 23 Maggio www.nicolabrindicci.com Gran Caffè Italiano Crestanello apertura 8 -19 - Corso Fogazzaro 90 - Vicenza
Bar Il Cortiletto di Achille Cennami all’interno dell’Accademia di Brera.
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A Palazzo Reale: Bacon, Canova e Balla Il genio di Francis Bacon Andrea Mineo
Francis Bacon (Dublino 1909 - Madrid 1992) è unanimemente riconosciuto come l’ultimo dei grandi maestri della seconda metà del Novecento per la capacità con la quale ha saputo interpretare le universali inquietudini del suo secolo.Artista indispensabile alla conoscenza dell’uomo moderno, Bacon esprime il sentimento interiore dell’esistere, individuale e intimo. La sua poetica si fonda sull’assunto che oltre alla realtà del mondo esterno esiste la realtà inconscia, una soggettività che conferisce maggior intensità e verità all’opera.Nonostante l’opera di Bacon sia conosciuta e apprezzata da un vasto pubblico, una rassegna a lui dedicata mancava in Italia dal 1993. L’antologica presentata a Palazzo Reale presenta le fasi sa-
lienti della ricerca pittorica dell’artista e vuole porsi, per completezza e rigore, nel filone degli importanti omaggi che internazionalmente sono stati dedicati al grande Maestro, rappresentando l’occasione per molti di vedere la selezione di oltre cento opere provenienti dai più importanti Musei e collezioni di tutto il mondo e quasi tutte inedite per l’Italia. Un percorso com-
pleto che parte dai primissimi dipinti realizzati negli anni Trenta, che rivelano un Bacon ancora alla ricerca di un linguaggio personale ma già attratto dalla deformazione e dall’ambiguità delle figure riprodotte, fino agli ultimi grandi trittici, in particolare quelli dedicati al compagno John Edwards, nei quali il tormento esistenziale dell’artista sembra intravedere orizzonti di una sofferta serenità. Una stanza del Palazzo presenta inoltre, per la prima volta in Italia, la riproduzione fotografica dell’atelier di Bacon al 7 di Reece Mews, South Kensington, Londra, il microcosmo più intimo dell’artista, dove egli ha abitato dal ‘61 al ‘92 e dove erano assemblati insieme colori e tele, fotografie e oggetti, libri e carte, schizzi e appunti, qualsiasi cosa potesse ispirarlo, in un assemblaggio caotico e da artista “maledetto”.
La bellezza ideale nei capolavori di Canova Lavinia Casaletto
A conclusione delle celebrazioni per i 250 anni dalla nascita di Antonio Canova (Possagno, 1 Novembre 1757 - Venezia, 13 Ottobre 1822) il Palazzo Reale di Milano ospita 34 capolavori dell’artista neoclassico. Le opere appartenevano alle collezioni della famiglia imperiale russa e oggi sono conservate all’Ermitage. Ti-
tolo della mostra Canova alla corte degli zar. Capolavori dall’Ermitage di San Pietroburgo, prodotta dal comune di Milano e da 24oreMotta Cultura. Curatori Fernando Mazzocca e Sergej Androsov. Tra le sculture presenti il capolavoro assoluto Tre Grazie, recentemente restaurata, realizzata nel 1813 da un unico blocco di marmo alto 1,82 metri. Dal 23 II al 2 VI 2008.
Le mostre a Milano -Maggio e Giugno Antonio Canova alla corte degli Zar Palazzo Reale - Piazza del Duomo, 12 fino al 2 Vi 2008 Richard Avedon Spazio Forma - Piazza Tito Lucrezio Caro, 1 fino all’8 VI 2008 Mario Sironi, gli anni ‘40 e ‘50 Fondazione Stelline - Corso Magente, 61 fino al 25 V 2008
Arte Milano
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World Press Photo
W.P.P. è uno dei più importanti concorsi dedicati al fotogiornalismo professionale. Scopo della competizione è incoraggiare lo sviluppo e la diffusione del fotogiornalismo di alto livello e di promuovere la circolazione e lo scambio di informazioni in modo libero e privo di censure. Le immagini vincitrici saranno esposte, come ogni anno, alla Galleria Sozzani, a Milano in Corso Como 10 dal 3 al 25 maggio. La giuria selezionato 78,083 immagini inviate da 4,460 fotografi professionisti e ha premiato 58 fotografi, per 10 categorie diverse L’im-
magine vincitrice del premio “Wolrd Press photo of the Year” è del fotografo inglese Tim Hetherington per Vanity Fair. E’ intitolata
“American soldier resting at bunker, Korengal Valley, Afghanistan,” ed è stata scattata il 16 Settembre 2007. Dal 5 III al 29 VI 2008.
Giacomo Balla maestro del Futurismo Andrea Mineo
In occasione del centenario del futurismo e del cinquantenario della morte di Giacomo Balla (1 marzo 1958) Palazzo Reale presenta una retrospettiva sul grande maestro del futurismo curata da Giovanni Lista, Paolo Baldacci e Livia Velani. L’ intento è quello di riesaminare da vicino l’opera di un grande protagonista dell’avanguardia storica italiana che fu artista, progettista, inventore, fotografo, pubblicitario, attore di teatro e di cinema, scultore e pittore. A trentasette anni dall’ultima retrospettiva romana a lui dedicata, la città di Milano, da sempre più attenta e vicina all’opera del
fino al 29 VI 2008 Rumore: un buco nel silenzio percorso espositivo in 21 tappe per gli occhi e le orecchie Spazio Oberdan - Viale Vittorio Veneto, 2 fino al 25 V 2008 Il secolo dell’Avvocato La straordinaria vita di giovanni Agnelli testimoniata da 250 fotografie Palazzo della Ragione - Piazza dei Mercanti, 1 dal 23 IV 2008 al 02 VI 2008 Acqua Aria Fuoco Terra Mostra del National Geographic White Star Adventure - Piazza Meda, 1 dal 17 V 2008 al 5 VI 2008 Flower, il linguaggio dei fiori Studio Forni - Via Fatebenefratelli, 13 fino al 15 VI 2008 World Press Photo 2008 Le più belle fotografie dell’anno premiate Galleria Sozzani - Corso Como 10 fino al 25 V 2008
Giacomo Balla Palazzo Reale - Piazza del Duomo, 12 fino al 2 VI 2008
Snow White Abbas Kiarostami, il regista iraniano, in veste di fotografo Galleria Ciocca Arte Contemporanea - Via Lecco, 15 fino al 31 V 2008
Francis Bacon Palazzi Reale - Piazza del Duomo, 12
Nathalie Djurberg Installazioni e video della giovane svedese tra ironia e disagio
coevo Boccioni, accoglie per la prima volta una mostra completa ed analitica dedicata a Balla che ripercorre il trentennio più importante della sua carriera: quel-
lo che va dal 1900 al 1929, dall’esperienza divisionista fino agli anni del futurismo. I visitatori avranno l’occasione di ammirare 200 opere tra olii, tempere, pastelli,
acquerelli, disegni, assemblaggi, sculture, fotografie e documenti alcuni dei quali provenienti dai più prestigiosi musei e collezioni private internazionali, come il Museum of Modern Art di New York, il Centre George Pompidou di Parigi e il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. L’intero percorso esp ositivo, realizzato da Daniela Volpi, riprende le tematiche della mostra con un allestimento all’insegna delle linee oblique e piani slittanti in sintonia con l’opera dell’artista e in contrasto con lo stile neoclassico delle sale espositive di Palazzo Reale. Dal 15 febbraio al 2 giugno.
Fondazione Prada - Via Fogazzaro, 36 fino al 1 VI 2008 Collezione permanente di Arnaldo Pomodoro Fondazione Arnaldo Pomodoro - Via Andrea Solari, 35 This is the End mostra dell’artista Liliana Moro nota per la 45a Biennale di Venezia del 1993 e a Documenta IX, nel 1992 a Kassel DOCVA Fabbrica del Vapore - Via Procaccini, 4 fino al 17 V 2008 Re-designed una mostra collettiva che raccoglie importanti opere di artisti appartenenti a diverse generazioni: Joseph Kosuth, Marzia Migliora, Michelangelo Pistoletto, Haim Steinbach, Vedovamazzei, Drè Wapenaar e Christopher Williams Galleria Lia Rumma - Via Solferino, 44 fino al 15 V 2008 99 Icone. Da segno a sogno Piccoli grandi capolavori rappresentativi del design italiano Palazzo Reale - Piazza del Duomo, 12 dal 19 IV 2008 al 11 V 2008 I disegni di Aldo Rossi Le opere toccano momenti fondamentali del percorso progettuale dell’ architetto, dagli anni ‘60 agli anni ‘90. La galleria Giò Marconi - Via Tadino, 15 dal 17 IV 2008 al 17 V 2008 Mimmo Rotella Al tavolo da disegno la sua produzione giovanile Zonca & Zonca Arte Contemporanea - Via Ciovasso, 4 dal 8 V 2008 al 15 VI 2008
Trovi l’elenco dei punti di diffusione della rivista OK ARTE su www.okarte.org
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Arte Milano
Beatrice T. Garzòn
La sensibilità nell’Arte
sta, che prese avvio intorno al 1867, quando Monet dipinse dal vero sulle spiagge normanne e cercò in seguito, con Pissarro e Renoir, di riprodurre en plein air gli effetti luministici delle acque della Senna. Si trattava dunque di una produzione dal vero e del vero, reso
niera creativa, filtrata attraverso la percezione personale, accumulata in rapporto con la propria esperienza quotidiana e personale manente ed immanente. ‘’La verità non ha età‘’. Non si può comunicare oltre il limite della propria esperienza. Cosa succede quando siamo in difficoltà e non troviamo una via d’uscita? ‘’Il mondo si conosce paragonando le cose’’.Mettendo la situazione al centro della discussione. La risposta arriva. Le persone con un’estrema sensibilità trovano le risposte ma non tutte le realizzano. L’ Arte arriva come la musica sulla terra sotto forma di pioggia impercettibile, eterea: ma la maggior parte degli uomini non la percepisce, perché indossano impermeabili di ‘’vergogna‘’ e portano l’ombrello del peso quotidiano. Le persone sensibili invece si lasciano ‘’bagnare‘’ e attraversare da questa pioggia meravigliosa che si chiama arte. Ma la sensibilità non e univoca: c’è chi percepisce la Luce e chi l’ Ombra, chi sente la Leggerezza e chi la Pesantezza , chi va verso la Creazione e chi verso la Distruzione, chi sceglie il Bello, chi il Brutto. Ma L’
Carla Ferraris
Beatrice T. Garzòn è giovane artista d’origine colombiana, ormai naturalizzata milanese. A Milano infatti, ha frequentato l’Accademia di Brera ed alcuni ateliers artistici, presso i quali ha potuto affinare varie tec-
niche pittoriche, tanto che oggi, nel proprio studio, tiene corsi per coloro che vogliano apprendere l’arte della pittura. La sua solida base tecnica sembra tuttavia accostarsi ad una più profonda conoscenza della storia dell’arte ed in particolare all’insegnamento di grandi movimenti di fine Ottocento, come l’Impressionismo o la pittura macchiaiola. Nella sua produzione infatti (in particolare nei suoi “boschetti”), si scorge un vago richiamo alla stagione impressioni-
però secondo un’individuale impressione visiva e coloristica dei soggetti, mutevoli col variare della condizione luminosa…L’infinità delle possibili mescolanze cromatiche portò all’utilizzo dei complementari, all’abolizione delle tonalità ingrigite, in funzione di una maggiore luminosità pittorica che ben è riscontrabile anche in alcuni lavori della Garzòn. In questi ultimi, il colore acquista autonomia, forte di una emozionalità intima alla personalità creatrice; si tratta infatti di una pittura
paesaggistica “atmosferica”, in cui le ombre si riducono al livello minimale e originano da accostamenti tonali contigui e costanti, resi vivi dalla pennellata decisa e densa che impregna la tela con la matericità dei colori. La Garzòn fissa un attimo, un momento definito nel
proprio lavoro: così, l’infrangersi dell’onda sullo scoglio o la parabola compiuta nell’aria da una pallina da golf diventano unici protagonisti. La presenza umana non è mai fine a stessa e non sovrasta il paesaggio, ma diventa oggettivamente parte quasi accessoria di questo, perché è la natura la vera protagonista; essa si racconta infatti in una vera e propria “narrazione naturalista”, accentuata dalla chiusura del campo visivo e dal restringimento del taglio compositivo.
Mostra personale di Alessandro Ghezzi
Milanese di nascita e di cuore, Alessandro Ghezzi nasce nel 1946 nella periferia metropolitana che si estende intorno al Ponte della Ghisolfa. È pittore autodidatta estremamente espressivo e originale, soprattutto nella
sua produzione più recente. Il suo esordio artistico è precoce, avviene infatti nella prima metà degli anni 60, periodo in cui si diletta a rappresentare paesaggi urbani arricchiti da un sempre presente tocco di fantasia,
ripresi dall’ambiente cittadino in cui sta crescendo. Poi, dopo il 1966, le tele vengono abbandonate, e solo nel 2002 ritorna a dipingere sulla base degli insegnamenti di Tiziano Guarato, docente alla Società Umanitaria di Milano. La rinascita artistica di Ghezzi è segnata da una produzione multifor-
me, di dipinti (soprattutto a olio), e di disegni (a china), con soggetti diversificati, tra cui paesaggi e ritratti. La sua produzione più recente è costituita da rappresentazioni di contenuto fantastico e di ascendenza mitologica. Figure nude e dall’intrinseca potenza ancestrale fanno rivivere brandelli di miti e leggende. Le forme, plasmate con uno stile a metà tra l’espressionismo e chiari richiami primitivisti, occupano lo spazio secondo schemi fluidi ma assolutamente bilanciati. La gamma cromatica utilizzata è funzionale alla resa fantastica, e fornisce ai dipinti di Ghezzi una potenza magmatica e suggestiva. I forti contrasti, i rossi, i blu, i gialli accesi che convivono, le posture vibranti di luce delle figure, conferiscono originalità alle composizioni. In scena le contrapposizioni tipiche di drammi gioiosi, vividi e tumultuosi, in cui la componente sensuale non è mai secondaria. L’artista ha esposto con grande successo di pubblico e di critica presso la galleria San Pietro di Milano nel mese di marzo.
Improvvisare con le parole è come improvvisare con uno strumento musicale. Combinare caratteri, lettere e parole origina sensazioni. Così come la creazione estemporanea con i colori è un’altra rappresentazione di un’emozione, di un’ impressioni (come la cornice si trasforma nel battiscopa, presumo che la calzatura sarà battistrada; porta cenere, porta cellule; attacca panni, attacca panne). L’esercizio di risveglio procede verso una percezione della realtà globale e non locale, che è limitata da regole tipiche di una nazione: l’artista diviene un cittadino del mondo. Egli segue la natura e non la politica. Dopo un anno o più di riflessioni ed improvvisazioni è emersa un’ opera che è un concentrato di regole dell’universo unite alla propria passione. L’ artista decodifica i segreti per poi codificarli nella propria ma-
Accademia non si chiama: ‘’Accademia di Brutte Arti‘’ -e ora assisteremo ad un gioco di parole, all‘improvvisazione, ciò che vuol dire essere tornati all’inizio, sul cerchio, ma con un salto nella spirale del venturo in-
finito passato. Lilian Istrati.2008 www.istrati.front.ru
Matilde di Canossa il Papato e l’Impero
La vicenda biografica e politica di Matilde di Canossa è occasione di lettura e di interpretazione dell’età dello scontro fra papi e imperatori, che ha portato alla delimitazione e alla separazione dei due poteri universali, religioso e laico, ponendo così le basi per la concezione moderna e contemporanea del potere propria dell’Occidente. La forza e la solitudine di una donna eccezionale eppure emblematica del suo tempo sono il filo conduttore che guida alla scoperta di un mondo in profonda trasformazione, in un viaggio per immagini e per suggestioni scandito da croci gemmate, sigilli, arazzi, avori, gioielli, sculture, altari, strumenti di lavoro, provenienti da musei italiani ed europei. La concezione del potere e i suoi simboli rivivono grazie a troni, scettri, corone e tessuti preziosi, gioiellerie create per la corte imperiale ottoniana e sassone, opere di committenza papale, trattati, codici normativi e liturgici. Le dispute, i luoghi, i protagonisti delle riforme
della Chiesa e della controversia delle investiture si sviluppano in proiezioni multimediali, inquadrando in uno scenario dinamico la
storia della dinastia dei marchesi di Toscana e l’incontro fra l’imperatore Enrico IV e papa Gregorio VII, nel 1077 nel castello di Canossa. Una sezione è dedicata alla città dove è nata Matilde: Mantova. Proprio nell’età dei Canossa si è definito il suo tessuto urbano rispetto al fiume Mincio. La mostra è il primo grande evento cul-
Brevi recensioni gratuite dello staff coordinato da Carla Ferraris inviando richiesta a info@okarte.org
turale che mette in evidenza la storia e la specificità di Mantova in epoca medievale. L’assetto urbano sarà riprodotto virtualmente, con l’indicazione degli edifici romanici maggiori e del complesso delle cattedrali, ricostruti a tre dimensioni. Sarà analizzato il rapporto fra la città e il fiume Mincio, che si è definito proprio nell’età dei Canossa. Sarà dato rilievo anche al ritrovamento della reliquia del Sangue di Cristo, nel 1048, ricondotta ai Canossa e al loro controverso rapporto con l’imperatore Enrico III. Saranno esposte opere d’arte che hanno celebrato l’evento, considerato di importanza primaria per l’identità e la costituzione della diocesi (disegni di Giulio Romano e Felice Campi, un dipinto di Andrea Borgani). Mantova, Casa del Mantegna, via Acerbi 47. Dal 31 VIII 2008 all’11 I 2009. Orari: martedì – domenica h 10.00 – 18.00. Prenotazioni: Call center; 199 199 111; www.mostramatildedicanossa.it
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Arte Milano
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Ossessione e perversione Le capacità dell’Uomo nell’atto creativo
Parliamo di.........a cura del prof. Antonio Purpura
In questa rubrica si parlerà di argomenti che orbitano intorno alle capacità che l’uomo mette in azione per vivere la realtà del mondo ed interagire con essa. Capacità indispensabili che permettono di osservare la realtà, analizzarla e comprenderla con ammirazione e meraviglia. Le capacità in gioco sono diverse come, ad esempio,
rappresentazione e trasformazione mentale, pensiero divergente e ipotetico, transitività, analogia, logica, sillogismo e inferenza. Tutte contribuiscono a sviluppare processi mentali, che portano anche alla realizzazione della persona dal punto di vista fisico, psicofisico, sensoriale ed emotivo. Esse aiutano a relazionarsi con la realtà e con i nostri simi-
quelle di osservazione, di analisi e sintesi sostenute da operazioni cognitive quali: identificazione, confronto, classificazione, codificazione, proiezioni di relazioni virtuali, differenziazioni,
li con cui quotidianamente ci confrontiamo. In questo giornale, verranno trattati argomenti di pubblico interesse come: arti visive, itinerari turistici, enogastronomici e altro, argomenti che
coinvolgono ovviamente i nostri sensi e quindi processi mentali che grazie all’azione delle su indicate funzioni cognitive, ci permettono di comprenderli e viverli con senso critico. L’uomo, ricerca nel passato e nel presente la sua vera natura, confida nelle proprie capacità e volontà per una migliore interazione con la realtà perché è in essa che si realizza, governandola con sicurezza e padronanza. E’ possibile quindi che la trattazione degli argomenti proposti, possano essere di aiuto per riflessioni, per una migliore conoscenza di sé, del proprio funzionamento e per una migliore relazione con la realtà, compresa quella costruita dall’uomo Non è escluso che, qualora ci pervenissero adesioni per approfondimenti da parte di persone interessate, si possano costituire dei corsi “percorso” utili per migliorare le proprie capacità cognitive che portano ad una migliore qualità della vita. Si parlerà comunque anche di eventi di interesse più generale come salute e cultura ma sempre con le finalità di ricercare un migliore benessere psicofisico dell’uomo.
I Ligari: disegni dalle collezioni private Il 2008 è davvero l’anno dei Ligari: alla dinastia di pittori valtellinesi sono dedicate ben tre esposizioni e il riallestimento di una sezione museale. Il grande “Progetto Ligari” è stato voluto e sostenuto dal Credito Valtellinese quale iniziativa di maggior rilievo delle celebrazioni per il primo secolo di attività dell’Istituto. I Ligari prendono nome dall’omonima contrada posta nel territorio comunale di Sondrio. Il capostipite, Giovan Pietro, detto appunto “il Ligari”, nasce da famiglia agiata nel 1686. Dodicenne viene mandato a studiare a Roma a bottega da Lazzaro Baldi, seguace di Pietro da Cortona. Da
qui si trasferisce in diverse città dell’Italia centrale e a Venezia per stabilirsi poi a Milano e infine in Valtellina. Cesare, oltre che allievo del padre, fu a Venezia scolaro di Giambattista Pittoni e del Piazzetta. Tornato in patria lavorò per una committenza religiosa e privata. La sua pittura non venne sempre apprezzata dai suoi conterranei, ancora vicini al classicismo del padre. Legata al padre e poi al fratello, Vittoria, quando può agire in autonomia, offre prove di un certo livello, ma la sua attività si svolge per lo più nell’ambito della bottega. Il recente contributo degli studi sull’opera di Pietro, Cesare e Vittoria nel campo della
pittura a olio e ad affresco, l’imminente pubblicazione dell’atlante generale ligariano, ha fornito l’occasione per una più sistematica ricognizione di quanto conservato in collezioni private e di questo patrimonio poco noto i disegni costituiscono senz’altro una porzione rilevante. La generosa disponibilità degli eredi di Roma, che hanno messo a disposizione un’ampia scelta di fogli dalle loro raccolte familiari per una selezione ragionata, rende possibile presentare al pubblico un significativo spaccato della copiosa produzione grafica ligariana, ricomponendo un corpus eterogeneo all’apparenza ma coerente se confrontato con
Carmen Chirico
“C’è ancora del caos dentro di voi c’è ancora una stella danzante?” F. Nietzsche È una vena di follia la forza innaturale che spinge gli artisti a dedicare la loro vita alla creazione. Ciò che siamo abituati a chiamare irrazionale, il caos, è misterioso proprio perché privo di regole, insensato, eppure c’è chi si fa testimone di questo stato per farlo diventare espressione più alta. La creatività artistica si trova ad incarnare contemporaneamente i più alti valori possibili che una determinata cultura può sperare di trasmettere, ma anche i momenti più torbidi e oscuri, ha la capacità di farci godere dei nostri fantasmi, ricostruisce il miracoloso lavoro dell’inconscio, si immerge nelle sue profondità per riportare alla luce interi mondi sommersi che altrimenti sarebbero persi per sempre. È come se l’opera d’arte rendesse sopportabile ciò che altrimenti non lo sarebbe, ciò che non tolleriamo, un’ esperienza sconvolgente alla quale sfuggiamo. Nell’artista ha origine una presunta catarsi creatrice che inizia quando gli elementi dell’inconscio, rimossi, affiorano alla coscienza in forma di tensioni conflittuali, come avviene nei sogni, nelle ossessioni e nelle perversioni, e si trasformano magicamente nella sua opera. Un quanto presente nel Fondo Ligari del Museo valtellinese di storia e arte di Sondrio. L’esposizione di Sondrio, a cura di Angela Dell’Oca e Gianpaolo Angelini, presenta quindi una selezione di circa 80 disegni messi a disposizione da collezionisti privati e intende costituire un prezioso contributo alla conoscenza di questo vasto patrimonio. Accanto alla mostra “I Ligari. Disegni dalle collezioni private” nella Galleria Credito Valtellinese in corso il riallestimento delle sale dedicate ai Ligari viene presentato il restauro del mobile costruito da Pietro Ligari per riporre disegni e documenti : la “scansia di noce con 24 casettini fatta in Milano con molta fatura, ne’ quale io tengo li dissegni e scritture”. Galleria Credito Valtellinese, Palazzo Sertoli, Piazza Quadrivio n. 8 - Sondrio. Dal 14 maggio 2008 al 19 luglio 2008. In continuità con l’esposizione milanese I Ligari. Pittori del Settecento lombardo a Milano, Galleria Gruppo Credito Valtellinese - Refettorio delle Stelline e Museo Diocesano. Dall’11 aprile al 19 luglio 2008.
ritorno al caos primordiale per ricomporre una nuova realtà, per riformulare il cosmo. È dal caos di una macchia, da un’impronta, dal bordo di una goccia che la mia opera ha origine. Macchia, colore puro versato su un supporto che lo sa accogliere, il liquido si apre a se la via, si ramifica, ristagna, si prosciuga: il quadro si auto dipinge. Ruggine, bella, materica, vissuta, incontrollabile, in continua evoluzione, che fuoriesce dagli oggetti e impregna tutto senza esitazione; rende un’impronta irriconoscibile, ciò che lascia è simile a un sogno, contorto, senza forma, bombardante, in continua evoluzione. Lenzuolo, depositario delle
tracce della nostra esistenza, teatro dei nostri incontri intimi, del nostro inconscio, dei nostri sogni, “ricettacolo dell’anima”, sudario dell’accoglienza: il corpo si poggia e lascia un segno anche se invisibile. E poi la ricerca dell’ordine, dal susseguirsi di macchie, colore, impronte del mondo, riemerge una figura a bassa voce come se volesse gridare, come se affiorasse tra inconscio e paura, riunificarsi all’ambiente e dare origine a quel non so ché dalla quale si vuole nascondere… È dall’inconscio, dai sogni, dalle ossessioni, dalle perversioni che ha origine tutto questo…
Due parole sull’Arte
Ivana Metadow
“La verità dell’anima”
Ringrazio dell’opportunità di scrivere su questa rivista che si impreziosisce dell’opinione dell’uomo comune su ciò che è l’arte in tutte le sue manifestazioni. L’arte è un moto del cuore, uno stato dell’anima che filtrata dall’intelletto passa attraverso la concretezza della mano che dipinge, scrive o modella, della voce che canta, del respiro che suona. La concretezza dell’essere che con la sua umanità rende visibile ciò che trascende la realtà, perché la manifestazione suprema dell’arte è l’ispirazione, come se l’essenza dell’Energia cosmica ci fosse trasmessa attraverso un respiro che inspirato, si concretizza in un’ opera che non ha nulla di primordiale, ma che sublima l’essenza stessa dell’animo umano. E all’arte e a tutti coloro che la amano, la realizzano, la elaborano e la vivono, vorrei dedicare, senza nessuna pretesa, una dolce poesia che è il modo con cui la mia anima concretizza l’arte.
A volte ci illudiamo di essere capaci di trasferire al mondo intero ciò che dentro di noi è il vero
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Ma la verità quella che rispecchia il cuore è uno stato dell’animo sincero e crediamo di esprimere davvero ciò che invece solo per noi è nell’animo più vero. Non esiste solo e sempre un modo per chiunque di mostrare apertamente ciò che dentro può non essere niente Perché l’animo sincero può sempre offrire amore vero che è la dimostrazione della nostra vera ragione, è la libertà dell’anima più pura che si libera leggera nell’offrire all’altro ciò che di vero ha.
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Arte Milano
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Arte Compatibile L’evoluzione del mondo consumistico, industriale e di mercato, se da un lato ha creato un certo benessere, dal quale nessuno di noi ormai è disposto a rinunciare, dall’altro sta inevitabilmente demolendo le risorse naturali ed ambientali. E’ possibile invece, vivere in piena armonia rispettando l’ambiente circostante, evi-
tando danni che potrebbero in breve tempo diventare irreparabili per la sopravvivenza del nostro pianeta. L’Associazione culturale no profit ART-CO (Arte Compatibile) intende far riflettere l’uomo su quanto sia importante trovare un rapporto di stabilità e di
equilibrio tra la nostra civiltà “tecnologica” e le risorse umane ed ambientali che stanno esaurendosi nell’indifferenza totale. Mike Ciafaloni, artista e fondatore del movimento artistico, afferma che è desiderio di tutti vivere in un ambiente più umano, lavorare in luoghi salutari e utilizzare spazi adeguati per il proprio tem-
po libero. L’architettura, fondamentale nella costruzione di strutture senza barriere per i disabili, può soddisfare le esigenze consumistiche, privilegiando l’ecologia in tutte le sue forme. Gli affreschi rinascimentali, sono evidenziati in un contesto della casa tecnologica, con
pareti decorate da artisti che con grande sensibilità, infondono il piacere di vivere in un’atmosfera calda e serena. Un ambiente armonioso ed equilibrato agisce inconsciamente sulla psiche diventando una forma terapeutica tesa sia ad alleviare le problematiche connesse al ricovero, sia di accompagnare i degenti che spesso vivono la sofferenza in solitudine. E’ dimostrato scientificamente come il vivere in un habitat luminoso ed equilibrato sia di grande aiuto per la cura dei malati. In realtà, molti Ospedali e Case di Cura in Italia, si presentano come delle strutture asettiche e quasi inospitali. L’obiettivo dell’associazione è quello di portare l’Arte come protagonista nelle strutture ospedaliere, dedicando appositi spazi permanenti affrescati e decorati, fondamentali per far rinascere l’amore per la bellezza estetica e interiore. Dal dicembre scorso ART-CO ha presentato un progetto di Arte Terapia dal titolo: “Arte..Medicina Spirituale” in collaborazione con il Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro (Bg.) ed il Policlinico San Marco di Zingonia (Bg.). L’evento è organizzato in otto esposizioni artistiche di pittura e scultura, curate da Mike Ciafaloni e
da Francesca Bellola, presentate ed esposte nell’arco di un anno nelle sedi delle stesse strutture, facenti capo al Gruppo Ospedaliero San Donato. Terminata la sesta collettiva di artisti che hanno aderito con grande entusiasmo e sensibilità a questa iniziativa attraverso le loro opere preparate appositamente per l’occasione, la manifestazione proseguirà con la penultima esposizione di opere di Mike Ciafaloni. La personale del maestro si svolgerà dal 20 al 30 giugno presso il Policlinico San Pietro. Inaugurazione ore 18.30. Mike Ciafaloni da più di quarant’anni opera
nel campo della pittura, della scultura dell’architettura e della grafica. Ha tenuto mostre personali in tutto il mondo: New York, Londra, Austria, Basilea, Milano, Bergamo, Brescia, Ginevra, Montreal, Toronto, Por-
togallo, Belgio, ottenendo grande successo di critica e di pubblico con recensioni sui più significativi giornali e riviste, su Rai-Tv, cataloghi, libri. Sue opere sono esposte in numerose collezioni private e pubbliche.
Nasce una nuova Scienza: la Planomia F.B.
E’ stato presentato nel mese di Marzo presso il teatro San Babila di Milano il primo libro della “Planomia”: realtà, sogni, ambizioni della sostenibilità. Si tratta di una nuova disciplina che definisce compiutamente per la prima volta la “Scienza dello Sviluppo”. Più concretamente si studia il comportamento dell’uomo finalizzato al mantenimento della vita del pianeta, e quindi della sana sopravvivenza e dello sviluppo di tutte le sue specie viventi, attraverso il corretto impiego delle risorse che stanno esaurendosi, dando la precedenza a quelle compatibili e sostenibili. Il libro, realizzato dal PLEF (Placet Life Economy Foundation), edito da Franco Angeli descrive un modello economico capace non solo di creare ricchezza, ma di farlo con il consenso di tutti, poiché non solo produce occupazione e benessere per gli uomini, ma anche vitalità e benessere per l’intero pianeta e tutte le sue specie. Planet Life Economy Foundation è una libera Fondazione senza scopo di lucro che si
occupa di rendere praticabili i principi dello Sviluppo Sostenibile all’interno della cultura di mercato. L’associazione nata nel 2003, su iniziativa di un gruppo di Manager ed Imprenditori italiani di successo, intende realizzare concretamente progetti, processi e prodotti sostenibili all’interno delle imprese, creando una comunità con nuove esperienze e sinergie. Questa nuova realtà si propone di abbattere i più disparati conflitti di interesse in quanto vantaggiosa per tutti e coerente con i principi dello Sviluppo Sostenibile, compatibile con il mercato e i bisogni delle imprese e dei cittadini. Fra l’altro, in riferimento al mondo finanziario attuale, verranno identificati ed inseriti nuovi e complementari indici qualitativi agli attuali indicatori finanziari, per meglio definire il valore dell’impresa nel tempo. La Planomia si rivolge a tutti i sistemi di governo che sono disponibili ad assumersi reali responsabilità per i propri cittadini. L’invito di Plef ai responsabili degli Stati è quello di tendere ad una ben maggiore cooperazione internazionale che dovrà
comportare la disponibilità e l’impegno dei Paesi più ricchi ed industrializzati a farsi carico degli oneri di prevenzione, salvaguardia e risanamento dei paesi più poveri, meno organizzati nel rispetto dell’ambiente. Planomia valorizza, preserva e rende fruibili collettivamente i beni fondamentali di tutti perchè permette la creazione di valore accessibile sia ai nuovi imprenditori ed industriali, sia ai singoli individui che quindi saranno portati a partecipare, con nuovi stimoli e convinzione al lavoro. Per questa via si potenzia quel bene universale da tutti benedetto e consacrato: la vita, la riproduzione e l’evoluzione di tutte le specie, conformemente alle indicazioni di tutte le fedi e religioni. Plef intende, attraverso le proprie attività e il libro, identificare, attirare e motivare nuove risorse amiche che potranno diventare subito forze propulsive ed attive per questo scopo comune. Si rivolge a imprenditori e manager che hanno a cuore l’impresa ed il contesto in cui operano, mettendo passione e la propria esperienza al servizio di un progetto
che crea valore e benessere per tutti. Essere imprenditore è avere la capacità di dipingere il mondo dall’alto; di prevederne i cambiamenti e superare le difficoltà. La Fondazione è interessata anche al mondo della comunicazione, e a tutti quei soggetti, quali Istituzioni, Amministrazioni, Associazioni governative e non, Istituti di ricerca ed Università, che possono favorire il raggiungimento dei propri obiettivi. L’uomo con le sue aspettative ed esigenze, i suoi sogni, la sua gioia di vivere e di partecipare, è sempre e comunque il fulcro su cui si fonda ogni pensiero ed attività conforme ai principi della Sostenibilità e della sua Scienza, la Planomia. Il libro in vendita presso tutte le librerie ha il costo di 21 euro ed è stato realizzato con il contributo di P. Mosconi Bernardini, A. Candotti, N. Cipriani, C. Donati, M. Dondi, E. Ezechieli, R. Gagliardi, R. Marziantonio, A. Mattei, R. Paoletti, E. Plata, S. Poguts, A. Poli, P. Ricotti, M.A. Porfirione Todaro, G. Siri, L.Solimene, M. Trimarchi, G. Varchetta, C. scultura di Mike Ciafaloni Vachon.
Richiedete la rivista in pdf presso il vostro indirizzo email scrivendo a info@okarte.org
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Cappella Teodolinda
Giovedì 24 gennaio 2008 la Fondazione Gaiani – ente di gestione del nuovo Museo e Tesoro del Duomo di Monza – ha presentato in Duomo un nuovo e straordinario progetto: la campagna di restauri che per il celebre ciclo di affreschi della Cappella di Teodolinda, realizzato tra il 1441 e il 1446 dalla famiglia degli Zavattari, artisti lombardi attivi già dalla fine del XIV secolo nel Duomo di Milano. La Cappella è anche celebre perché in essa è conservata la mitica Corona Ferrea oltre che al sarcofago dove riposa la grande regina longobarda. Il restauro, la cui necessità venne già dimostrata dall’attenta analisi conoscitiva sullo stato di salute dell’opera realizzata nel 1991, oltre a riportare i dipinti al loro antico splendore, è stata una straordinaria occasione di ricerca e di studio sia sull’opera di una delle maggiori botteghe meneghine del XV secolo sia sulle numerose tecniche artistiche in voga in Lombardia alle soglie del Rinascimento. Gli affreschi sono composti da ben 45 scene divise in cinque fasce sovrapposte, che raffigurano oltre 800 personaggi per un totale di circa 500 mq di superficie dipinta. Considerato uno dei migliori esempi di pittura gotico-internazionale in Italia, il ciclo venne realizzato per celebrare proprio
Teodolinda, mitica fondatrice del Duomo di Monza, e raccontare così la sua storia ai posteri. Ben 28 tappe del racconto sono dedicate a scene nuziali – i due matrimoni della regina, vedova del re Autari e quindi sposa di Agilulfo - circostanza che ha più volte portato gli studiosi a ritenere i dipinti un omaggio a Bianca Maria Visconti – grazie all’affasci-
una solenne cerimonia il 31 maggio 1300 e pressoché conclusa attorno il 23 maggio 1396, data della morte di Matteo da Campione, l’architetto e scultore al quale si deve anche la magnifica facciata che ancor oggi possiamo ammirare. Il restauro si pone come il primo momento, dopo l’inaugurazione del nuovo Museo e Tesoro del Duomo
nante analogia che naturalmente si crea tra la regina longobarda e la principessa lombarda – e quindi alle sue nozze con Francesco Sforza, avvenute proprio nel 1441. L’opera è considerata dagli storici uno dei momenti conclusivi della riedificazione gotica della Basilica di San Giovanni, cominciata per volontà dei Visconti con
di Monza aperto al pubblico dal 11 novembre 2007 e ad oggi visitato e apprezzato da oltre cinquemila visitatori, che Museo e Duomo dedicheranno a Tedolinda per celebrare i settecento anni dalla traslazione delle sue spoglie che proprio dal 1308 riposano nel sarcofago protetto dall’altare della Cappella.
Nuovo museo del Duomo di Monza
Un nuovo Museo ipogeo per presentare tutti i capolavori del celeberrimo Tesoro del Duomo di Monza. E’ stato aperto nel novembre 2007, dopo 10 anni di lavori. A “firmare” la nuova architettura è Cini Boeri, con l’apporto di Pierluigi Cerri, Serena e Francesco Iannone. A farsi integralmente carico della complessa opera sono stati Franco e Titti Gaiani, mecenati monzesi. Il percorso del nuovo Museo inizia dalla stessa Cattedrale ed esattamente dall’altare nel quale è custodita la Corona Ferrea, con cui furono incoronati imperatori e re, da Federico Barbarossa a Napoleone Bonaparte. Storia e leggenda si intrecciano alle origini del Tesoro del Duomo di Monza che, con i suoi pezzi di raffinata bellezza e di incomparabile valore storico e artistico, rappresenta da secoli l’orgoglio della città. Lo straordinario complesso degli oggetti d’oro e d’argento donati dalla regina Teodelinda alla fondazione della chiesa longobarda e da Papa Gregorio Magno al battesimo del
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figlio Adaloaldo (603), si è arricchito nel tempo con ulteriori donazioni da parte di importanti regnanti e uomini di chiesa. La nuova area espositiva è di complessivi
1400 mq e trasforma il “Serpero” - del quale si prevede in futuro il restauro integrale - nella sezione d’apertura di un più vasto e complesso percorso di visita che confluisce in un unico grande vano. Il percorso è stato ripartito in quattro grandi sezioni. Quindi, dopo la parte dedicata al tesoro medievale, la prima sezione ha per oggetto l’età dei Visconti. Ad accogliere il visitatore è il ritratto di Giovanni Visconti, l’arcivescovo e signore di Milano. Si passa poi all’opera di Matteo da Campione,
l’architetto al quale spetta - tra 1350 e 1396 - la rielaborazione della facciata, la realizzazione del battistero oggi scomparso e quella del pulpito per le incoronazioni imperiali che tuttora campeggia nella navata centrale. Il museo presenta una scelta delle lastre figurate a traforo e le celebri “testine” provenienti dai ‘gugliotti’ della facciata. Il grande affresco della Messa di San Michele introduce il tema della “fortuna” di Teodelinda nel Trecento monzese e del mito delle incoronazioni imperiali. Accanto al dipinto sono collocati il frammento di Crocifissione attribuito a Michelino da Besozzo e i due capolavori dell’oreficeria tardogotica lombarda: il calice di Gian Galeazzo Visconti e la statuetta devozionale in argento di San Giovanni Evangelista. La seconda sezione - dal dominio degli Sforza alla metà del Cinquecento - presenta una sceltissima selezione di
Andy Warhol The new factory Poco meno di 140 opere create tra la metà degli anni cinquanta e gli anni ottanta per un grande, coloratissimo omaggio ad Andy Warhol (Pittsburgh 1928 - New York 1987), per rivivere l’atmosfera della Factory, la “fabbrica d’arte” da lui fondata. La società dei consumi americana degli anni sessanta e settanta trovò in Warhol il proprio testimone che la costrinse a rispecchiarsi in se stessa attraverso le proprie icone. Infatti furono questi gli anni che videro esplodere il consumo frenetico di immagini; l’arte ne viene naturalmente coinvolta, ma pur emulando le leggi dell’imperante consumismo, ne evidenzia i meccanismi di ricezione passiva. Immagini “positive” della pubblicità o “negative” della cronaca vengono decontestualizzate e ricreate da Warhol con interventi di colore abbagliante e si presentano allo spettatore con prepotente allegria ma anche con sottile inquietudine. L’opera grafica di Warhol assume un’importanza decisiva all’interno della sua produzione a partire dall’inizio degli anni sessanta, quando l’artista adotta la tecnica serigrafica. In questo modo Warhol diventa anche il più autentico rappresentante della pop art, con scelte che mirano a colpire l’immaginario collettivo. Dal barattolo della Campbell’s Soup, che è parte del vissuto quotidiano di ogni americano, al volto di Marilyn Monroe, incarnazione del sogno e dell’ideale femminile del grande pubblico, imposto anch’esso dai media al pari di ogni altro prodotto commerciale. Nella rassegna si possono ammirare alcuni esempi di tavole disegnate e colorate a mano che sono tra i primi lavori di Warhol: la serie In the Bottom of My Garden (1955), con figure di putti ispirate a libri per bambini; A Gold Book (1957), con disegni a “blotted line” ripresi da fotografie e riportati su carta dorata; Wild Raspberries (1959), un divertente libro di cucina
con torte e cibi illustrati da Warhol e ricette di fantasia inventate dall’amica Suzy Frankfurt e trascritte a mano dalla madre dell’artista. La mostra prosegue con le celebri serigrafie raffiguranti Marilyn Monroe (1967), Paloma Picasso (1975), i barattoli di Campbell’s Soup (1969), Flowers (1970), Electric Chair (1971), Mao (1972), Mick Jagger (1975), e inoltre con le importanti serie dedicate ai travestiti di colore (Ladies and Gentlemen, 1975), agli ebrei più famosi del XX secolo (Ten Portraits of Jews of the Twentieth Century, 1980), all’epopea del West (Cowboys and Indians, 1986), per finire con The Last Supper (1987) realizzata poco prima della morte elaborando l’immagine de L’ultima cena di Leonardo. Artista dotato di una creatività inesauribile, Warhol ha spaziato tra le
pitture su tavola. Tra le testimonianze più straordinarie di questo periodo, anche in termini quantitativi, sono probabilmente le ricche serie di arazzi: i due grandi capolavori da cartoni di Arcimboldi con le storie di San Giovanni e i Millefleurs fiamminghi recentemente restaurati dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. La terza sezione è dedicata all’età dei Borromei, dei Durini e degli Asburgo c quindi al fiorire della grande decorazione barocca e tardoba-
rocca. La quarta e conclusiva sezione è aperta dai bozzetti in gesso realizzati da Angelo Pizzi su disegno di Andrea Appiani per il ciborio neoclassico dell’altare maggiore, realizzato tra lo scadere della dominazione asburgica e la prima età francese quando il Tesoro prende la via di Parigi e la Corona Ferrea torna simbolo delle antiche incoronazioni imperiali, prima con Napoleone e poi con Ferdinando I d’Asburgo. A sottolineare il legame con il presente, ampio spazio è
più diverse forme di espressione artistica, dalla musica al cinema e all’editoria. La rassegna è pertanto completata da una preziosa sezione documentaria comprendente copertine di dischi, esemplari della rivista da lui fondata (Interview) con le copertine dedicate a divi come Marisa Berenson, Tom Cruise e John Travolta, film e libri di e su Andy Warhol. Warhol, infatti, tra gli anni sessanta e settanta ha diretto o prodotto una settantina di film underground, per lo più di carattere provocatorio e dissacrante nei confronti del cinema hollywo-
Disponi di spazi e organizzi mostre? collabora scrivendo a info@okarte.org
odiano, all’epoca di scarso successo ma che avrebbero fatto scuola presso le generazioni successive. Tra i più celebri: Empire, My Hustler, The Chelsea Girls, Lonesome Cowboys, The Nude Restaurant, Vinyl, Flesh, Trash. In collaborazione con l’Ufficio Cinema del Comune di Parma, la serata di martedì 18 marzo presso il cinema Astra in piazzale Volta, con inizio alle ore 21, verrà dedicata a Warhol e alla sua Factory, con introduzione del prof. Roberto Campari e ingresso gratuito. Attratto dal mondo della musica, Warhol ha anche disegnato alcune delle copertine più famose della storia del rock, tra cui due album per i Rolling Stones, uno per i Velvet Underground (gruppo da lui promosso e composto da Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Maureen Tucker più la tedesca Nico), e altri ancora per Aretha Franklyn, Paul Anka, Miguel Bosè etc. In mostra si possono anche vedere alcune copie della rivista Interview, fondata nel 1969 da Warhol e dedicata inizialmente al mondo del cinema, diventata nel corso degli anni un vero successo commerciale. Completano questa ampia panoramica sul lavoro di Andy Warhol pannelli didattici, fotografie e filmati riguardanti la sua vita e la sua opera. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Mazzotta con testi di Achille Bonito Oliva, Ada Masoero e Laura Ravasi. Mostra a cura della Fondazione Antonio Mazzotta di Milano. Catalogo edito da Mazzotta con testi di Achille Bonito Oliva, Ada Masoero e Laura Ravasi. Fondazione Magnani Rocca via Fondazione Magnani Rocca 4 -Parma - Mamiano di Traversetolo. Dal 16 III al 6 VII 2008, dal martedì alla domenica orario continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17). Lunedì chiuso. Tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337 info@magnanirocca.it www.magnanirocca.it stato dato sia all’arte contemporanea che alla recenti donazioni. Tra le opere di artisti contemporanei esposti nel nuovo Museo, la Crocifissione di Lucio Fontana, il Cristo Risorto di Luciano Minguzzi e i cartoni di Sandro Chia per le vetrate dedicate a Sant’Ambrogio e a San Carlo Borromeo. Per informazioni: Tel. 039 326 383. Orari museo: dal martedì alla domenica 9-13 14-18. lunedì chiuso www.museoduomomonza.it info@museoduomomonza.it
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Collezionare oggetti di prestigio Serate Musicali
Carlo Vittalone e Laura Veroli
In tutto il mondo sono chiamati Object for Vertu nella versione inglese ed Object de Vertu in francese. In Italiano possono essere denominati oggetti di prestigio od oggetti da vetrina, anche in questo caso riprendendo una seconda definizione francese (Object de vetrine) E’ una forma di collezionismo che da pochi anni trova riscontro anche in Italia. Il motivo principale è che l’oggettistica di prestigio veniva prodotta da moltitudini di artigiani per le grandi monarchie internazionali, con particolare riferimento a quelle Inglesi, Francesi e Russe. Ne sono degli esempi sfavillanti tutti gli oggetti prodotti a Sheffield, o dagli artigiani del Palais Royal a Parigi oppure dalle grandi dinastie di Argentieri e Smatatori Russi primo su tutti Fabergè. Gli oggetti di prestigio e quindi anche i gusti dei collezionisti, possono spaziare in molti campi, dal soprammobile al coltello, dall’oggetto per il cucito all’oggetto per la sera, dall’oggetto per la scrivania a quello per la toelette, ma, in ogni caso, debbono avere alcune caratteristiche in comune: la ricchezza dei materiali, le dimensioni contenute, l’alta qualità della manifattura e talvol-
ta il prestigio della “Firma” e dei precedenti possessori dell’oggetto, in questo caso più elevata è la casta e meglio è! Visto che nessuna descrizione è meglio di un’immagine passiamo ad ammirare insieme qualche esempio: nel primo caso trattasi di una bottiglietta porta profumo in Vermail e Smalto realizzata da uno dei migliori artigiani Russi: Pavel Ovchinnikov, fornitore ufficia-
le della casa regnante russa. Nel secondo caso vediamo un raro sigillo appartenuto alla Granduchessa Alizaveta Mavrichievna, sposatasi con il cugino dello Zar, Kostantin Konstantinovich, realizzato da Karl Fabergè in agata montata su di un anello in oro. Dagli oggetti, passiamo ai coltelli e vediamo che anche in questo caso il livello di manifattura raggiunge livelli altissimi, si noti la maestria della realizzazione dei cherubini sul manico di bosso scolpito, di questo coltellino del 600’ francese. Sempre all’interno del settore coltelli possiamo ammi-
rare i manici di questa coppia di coltelli tedeschi datati attorno al 1580 dal museo di Solingen entrambi con il manico in Argento che rappresenta una figura antropomorfa uno con la lama in acciaio al carbonio e l’altro
con la lama in Argento. Il primo serviva per tagliare la carne ed il pesce ed il secondo per la frutta e la verdura, la lama in argento evitava le facili ossidazioni. Dalla coltelleria al cucito e ricamo, soprattutto in Francia nella prima metà dell’800 venivano realizzati necessaire di rara bellezza, il primo, con tutti gli accessori in madreperla è denominato Palais Royal, perché prodotto dagli artigiani che lavoravano in botteghe all’interno del Palais Royal parigino, il secondo realizzato, per Tiffany Paris, con custodia in Avorio e tutti i pezzi in oro 18 carati. Il livello più elevato per i necessaire è rap-
presentato del Pianoforte, in palissandro e citronella, con gli accessori che possono essere in madreperla, oppure in oro o, come in questo caso, madreperla ed in Argento con doratura a 18 Carati (Vermeil), dotato anche di carillon a due tonalità. A metà strada, tra gli oggetti da sera e quelli per il cucito e ricamo, si possono posizionare le chatelaine, che le signore appendevano alla cintura e lasciavano scendere appoggiate sulle ampie gonne del 700’ e dell’800’. Quì di seguito ne possiamo apprezzare due, una da signora, Inglese realizzata in lega e databile attorno al 1880 ed uno da bambina francese del 1750 circa realizzata in Ormolu (Ottone Dorato). L’ elenco e le tipologie sono interminabili, qui ne è stato fornito solo un piccolo esempio che speriamo di approfondire nei prossimi interventi. info@ fineandmint.com
Sala Verdi del Conservatorio – Via Conservatorio, 12 – Milano - ore 21.00
Lunedì 19 maggio 2008 – ore 21.00 (Conservatorio G. Verdi - Via Conservatorio, 12 –MI) Pianista ELISSO VIRSALADZE W. A. MOZART: Sonata n. 17 in do maggiore KV 570 Rondò n. 3 in la minore KV 511 Sonata n. 8 in la minore KV 310 Fantasia n. 3 in do minore KV 475 Sonata n. 14 in do minore KV 457 Sonata n. 13 in si maggiore KV 333 Biglietti: Intero € 15,00 Ridotto € 10,00 Lunedì 26 maggio 2008 – ore 21.00 (Conservatorio G. Verdi - Via Conservatorio, 12 –MI) Pianista LOUIS LORTIE F. CHOPIN: 12 Studi op. 10 12 Studi op. 25 Biglietti: Intero € 15,00 Ridotto € 10,00 Per informazioni e prenotazioni:Serate Musicali Uff. Biglietteria Tel: 02/29409724 dal lun. al ven. 10.00 - 17.00 HYPERLINK mailto:e-mail.seratemusicali@tiscalinet.it e-mail: seratemusicali@tiscali.it - sito: www.seratemusicali.it
In Sicilia Il mare scintillante, una terra ricca di storia e di profumi, una cucina vigorosa e delicata, questa è la Sicilia. Per una vacanza sulla costa orientale affittasi mensilmente, da Giugno a Settembre, villetta a 100 metri dal mare, 5-7 posti letto 4 camere e servizi. Siracusa Fontane Bianche. Informazioni anche a Milano 3397684287- 0292889584
XLIV Ciclo di Rappresentazioni Classiche al Teatro Greco di Siracusa Al Teatro Graco di Siracusa dall’8 maggio al 22 giugno è di scena “Orestiade” di Eschilo. Pathei mathos. La conoscenza viene dalla sofferenza. Il monito di Eschilo, con il suo potere di trasformare la meschinità in bellezza, di restituire dignità a ogni umana fatica, a ogni ricerca sofferta, risuonerà ancora, dall’8 maggio al 22 giugno 2008, con la messinscena dell’Orestiade al Teatro Greco di Siracusa, per la terza volta nella storia dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico. E’ il 1948 quando, tra chi ha appena sperimentato gli orrori della II guerra mondiale, l’INDA porta sulla scena di Siracusa l’intera trilogia eschilea, con la traduzione e direzione artistica di Manara Valgimigli e la direzione drammatica di Annibale Ninchi. Segue poi, nel 1960, l’interpretazione innovativa e certamente molto discussa del duo registico Gasmann - Lucignani, che sceglie come traduttore un noto romanziere e intellettuale del tempo, autore di diversi soggetti cinemato-
grafici: Pier Paolo Pasolini. Con l’Orestiade, l’unica trilogia completa che ci resta di tutto il teatro classico, composta da Agamennone, Coefore, Eumenidi (la trilogia era completata dal dramma satiresco Proteo che è invece andato perduto), Eschilo vinse il primo premio, nel 458 a.C. Ma in quegli anni l’argomento aveva già una lunga storia e, a cominciare da Omero, i poeti ce ne fanno conoscere diversi momenti: Eschilo, dunque, non inventa ma interpreta e rimodella l’antica leggenda rendendo la vicenda degli Atridi simbolo e paradigma della condizione umana. Il rapporto fra destino individuale e ordine universale, la radice della colpa e la sua ereditarietà, il conflitto fra vendetta e giustizia, il legame che unisce conoscenza e sofferenza, l’opposizione tra un universo patriarcale dominato dal potere maschile e un mondo primigenio, femminile, governato dalla madre: sono, questi, solo alcuni dei temi che quest’opera monumentale
di drammaturgia pone, con urgenza e profondità di pensiero, alla nostra attenzione. Nell’Agamennone, dramma dell’angoscia e dell’oppressione, ha luogo l’assassinio del re di Argo ad opera della moglie Clitennestra, istigata dall’amante Egisto; qui la regina giustifica il suo gesto con la morte della figlia Ifigenia, che era stata precedentemente uccisa per mano di Agamennnone come vittima sacrificale perché la flotta greca, bloccata in Aulide dai venti contrari (e dal volere degli dei), potesse giungere a Troia. Nelle Coefore, attraverso un continuo alternarsi di stati d’animo, Oreste uccide la madre Clitennestra e il suo amante. Anche lui, come aveva fatto Clitennestra con la morte di Ifigenia, cerca di difendere il gesto compiuto adducendo come motivo l’assassinio del padre: l’eroe tragico giace sotto il giogo di Ananke, Necessità, posto davanti a due strade che non sembra possibile seguire, e fra le quali bisogna tuttavia scegliere. Ma tutte le giustifica-
zioni addotte da Oreste non impediscono che le Erinni, le furie vendicatrici della madre, giungano a perseguitarlo. Con le Eumenidi si interrompe questa catena di delitti e di orrori, e ha luogo l’assoluzione del matricida innanzi al tribunale dell’Ae-
ropago istituito da Atena: a una logica di vendetta privata subentra l’istituzione di un tribunale, con le sue regole ma anche i suoi limiti. E non è un caso che Oreste sia assolto grazie alla parità di voti raggiunta con il parere favorevole di Atena,
Informazioni per pubblicità e redazionali info@okarte.org - 347-4300482
come a testimoniare l’impossibilità di comprendere con la sola sottigliezza umana l’ambiguità dell’esistenza. www.indafondazione.
org/stagione/2008/”o“Il manifesto del XLIV ciclo di Rappresentazioni Classiche. Fotografie: Scianna
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E.N.P.A. Ente Nazionale Protezione Animali Innanzitutto grazie. Sinceramente, non per sola educazione. Grazie ad Ok Arte per aver voluto aprire questa collaborazione con la nostra Sezione, lasciandoci uno spazio dove potremo informarvi, incuriosirvi e soprattutto, speriamo, sensibilizzarvi sui temi che ci stanno a cuore. Dopo i ringraziamenti, le presentazioni sono d’obbligo. L’ENPA, l’Ente Nazionale Protezione Animali, ha una storia lunga. Nasce nel 1871, per volontà di Giuseppe Garibaldi che fonda a Torino la prima Società per la Protezione degli Animali, e dal 1979 è un ente morale privato, che non riceve contributi dallo Stato. Dal 2004 ENPA e’ una ONLUS, un acronimo che come saprete sta per Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale. ENPA dà rifugio, cibo e cure a migliaia di animali ogni anno attraverso più di 130 Sedi in cui operano circa 1700 volontari, che gestiscono 64 strutture di ricovero per randagi o selvatici. Il nostro scopo è la protezione di tutti gli animali di qualsiasi razza o specie dai maltrattamenti o da altre attività che siano fonte di sofferenza. Ci battiamo quotidianamente contro tutte le attività che causano l’inutile morte di animali come la caccia, la pesca e la sperimentazione. Interveniamo sulla piaga del randagismo con il soccorso e la cura dei randagi ma anche con campagne di sensibilizzazione ed interventi massicci di
sia presenza di animali. Ai nostri Soci diamo un servizio di consulenza legale, perfettamente gratuito, che ha lo scopo di aiutare a risolvere i problemi piu’ complessi che non possono essere gestiti semplicemente per telefono. Questo solo per riassumere in poche parole un’attività che va ben oltre. I numeri, da soli, già dicono molto. Nel 2007 abbiamo potuto soccorrere 1655 animali, tra cui 362 gatti randagi e più di 1158 animali selvatici. I nostri volontari, presenti tutti i giorni dalle 9 alle 24, 365 giorni all’anno, hanno dato ascolto a 4222 telefonate di cittadini e sono saliti 604 volte sulle nostre ambulanze per soccorrere animali feriti. Abbiamo trovato casa per 123 animali randagi che avevamo curato e le nostre Guardie Zoofile hanno svolto 160 interventi con quasi mille ore di servizio. Come aiutarci? Semplicissimo. In primo luogo quello che ci servono sono le persone e cioè volontari. Ma non solo. Adottare un nostro animale
è un gesto di straordinaria sensibilità e ci aiuta a curarne altri. In ogni caso, associarsi ad ENPA è facile. Per questo, ma anche per sapere i dettagli della nostra attività e per restare in contatto con noi, vi suggeriamo di visi-
di Milena Moriconi
tura, almeno questa volta, è stata a lieto fine. IL CONSIGLIO Siamo in primavera. Gli animali si risvegliano alla vita e le cucciolate, di conseguenza, sono tante. Non è difficile, in questo periodo, rinvenire creature appena nate, mici o selvatici che siano. Attenzione, però, a non lanciarvi in intempestive imprese di salvataggio, perché occorre avere l’assoluta certezza dell’abbandono della mamma, se trattasi di gatti, o dell’assenza di un nido nelle vicinanze, da cui il selvatico può essere caduto, se trattasi di volatili. La gatta, per esempio, usa traslocare i suoi piccoli in un luogo diverso da quello del parto, per questioni di sicurezza, anche per più di una volta. Può essere, quindi, che il/i mici sembrino soli, ma che invece siano semplicemente in attesa del recupero da parte della mamma. Monitorateli per un certo tempo, normalmente qualche ora, e comunque secondo buon senso, valutando le condizioni dei mici, ed intervenite solo a certezza acquisita del loro abbandono. Per ultimo, se soccorrete dei gattini, per primissima cosa, anche in pieno Agosto, metteteli al caldo, aiutandovi anche con una borsa dell’acqua calda, da sistemare, ovviamente, non a contatto con l’animale. La tendenza all’ipotermia dei cucciolini, può portarli alla morte in brevissimo tempo e molto più velocemente del digiuno!
tare i siti www.enpamilano. org e www.enpamilano.org. ENPA- Ente Nazionale Protezione Animali Sezione Provinciale di Milano, Via Pietro Gassendi 11 - 20155 Milano Tel. 0297064220 (Consulenza e Soccorso) Tel.02 97064230 (Clinica veterinaria) http://www.enpamilano.org www.enpamilano.org mailto:info@enpamilano. org info@enpamilano.org
Noi... per loro
ASSICURAZIONI IN TUTTI I RAMI PREVIDENZA COMPLEMENTARE GESTIONE DEI SINISTRI PRESENTANDO LA TESSERA DELL’ASSOCIAZIONE AMICI DEL GIORNALE OK ARTE SARANNO PRATICATE CONSISTENTI AGEVOLAZIONI AGENZIA GENERALE DI MILANO LORETO CORSO BUENOS AIRES 45 – 20124 MILANO TEL. 0229406125 – FAX 0229535031 Posta Elettronica: HYPERLINK “mailto:milanoloreto@cattolica.it” milanoloreto@ cattolica.it www.cattolicamilano.it
sterilizzazione. Vigiliamo, con un nostro corpo di vigilanza, le Guardie Zoofile, sull’applicazione delle leggi che tutelano il benessere degli animali. A Milano ENPA è in funzione 365 giorni all’anno grazie al lavoro dei nostri 50 volontari e di 10 medici veterinari coordinati dal personale tecnico e amministrativo. Ci trovate in via Gassendi 11, in un complesso con una superficie di 600 mq. Nella sede trovano spazio la nostra Clinica Veterinaria, l’area di consulenza al pubblico, i reparti di degenza per gli animali soccorsi e ovviamente gli uffici amministrativi. Strutturata su circa 250 metri quadri, la Clinica conta quattro sale visita, un’area di radiologia, un blocco chirurgico composto da due sale chirurgiche ed un locale di preparazione e sterilizzazione, degenze cliniche per cani e gatti ed un laboratorio analisi. La Clinica non è in funzione solo per gli animali recuperato dai volontari nel soccorso ed è aperta al pubblico tutti i giorni dalle 9 alle 24. Le nostre attività principali sono la consulen-
za telefonica ed il soccorso ad animali. La consulenza è aperta a tutti i cittadini che hanno bisogno di informazioni, suggerimenti, consigli per qualsiasi problema con animali, segnalare la presenza di animali feriti o casi di maltrattamento. Quando riceviamo una segnalazione di animali randagi, selvatici o esotici feriti, malati od in situazione di reale pericolo sul territorio provinciale, i volontari escono e utilizzando le due nostre ambulanze procedono al loro recupero ed al trasferimento presso la nostra Clinica Veterinaria, dove gli animali sono sottoposti alle terapie necessarie e successivamente ricoverati nei reparti di degenza clinica. Come abbiamo detto, presso la Sezione è anche in funzione un Nucleo di Guardie Zoofile che si occupa della prevenzione e della repressione delle infrazioni alle norme poste a tutela degli animali e dei loro diritti. La loro competenza e’ estesa a tutte le leggi e regolamenti in materia di caccia, pesca, maltrattamenti, importazione di animali esotici, macelli ed ogni altro settore ove vi
IL FATTO Ci troviamo in un grande ospedale, a Milano, dove due dipendenti stanno chiacchierando durante una pausa lavoro. Sono disturbate da rumori intermittenti, incomprensibili, con un sottofondo di miagolii così deboli da essere quasi impercettibili, ma così accaniti da catturare per forza l’attenzione. I suoni arrivano dalla controsoffittatura, appena al di sopra delle loro teste. “Un micio?... Impossibile che sia arrivato lassù!”. Ed invece, una volta riusciti a raggiungere l’oggetto del piccolo trambusto, lo spettacolo è quello di un micetto, allo stremo delle forze, solo, affamato ed urlante tutta la sua voglia di stare al mondo. E’ nato da pochissimo: giorni o addirittura ore. Della mamma non c’è traccia. Immediata telefonata all’ENPA che, dopo aver consigliato un’ulteriore verifica dell’assenza di mamma gatta, ricovera il piccino e lo affida immediatamente alle cure del veterinario. La diagnosi è: salute perfetta ma tanta, tanta fame e bisogno di calore. Il micio, a cui è stato dato il nome di OSTRO, perché possente e vivo come l’omonimo vento che viene dal sud, è oggi in fase di svezzamento, in ENPA, fra le coccole di tutti. Ma l’adozione è vicina: non appena possibile, la signora che lo ha recuperato se lo porterà in famiglia, dove è già atteso da tutti. L’avven-
Brevi recensioni gratuite dello staff coordinato da Carla Ferraris inviando richiesta a info@okarte.org
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Arte Milano
Vite ed arte a Milano: Leonardo da Vinci
Milena Moriconi
E’ risaputo che a Leonardo non andava molto a “genio” dipingere (scusate il gioco di parole visto il soggetto a cui ci si sta riferendo). Preferiva di gran lunga dedicarsi all’ingegneria, allo studio dell’anatomia, alle sue avvenieristiche e prodigiose invenzioni, insomma a tutto tranne che alla pittura. Quindi, chissà come deve essersi sentito abbattuto e triste alla richiesta di Ludovico il “Moro” di dipingere un’Ultima Cena, all’interno di Santa Maria Delle Grazie! Il tribolato affresco, che poi proprio affresco non era, avendo usato Leonardo una propria tecnica che utilizzava colori uguali a quelli per tele, si rivelò, proprio per questa inusitata procedura, di complessa gestione, tant’è vero che iniziò a sfaldarsi già pochi anni dopo la realizzazione. Leonardo, pur a malincuore, almeno così si pensa, accettò però l’incarico: anche Lui, in qualche modo, doveva pur campare! Le sue fatiche vennero però Milena Moriconi Parlando di arte, non si può non considerare come tale la vecchia cucina regionale italiana, dove semplicità, genuinità e bontà si fondono in un’armonia che appaga sì il gusto ma, soprattutto, la voglia, che tutti noi abbiamo, di antiche cose buone fatte a mano da nonne e mamme. Chi non ricorda quel profumo di biscotti croccanti, di torte, di sugo, di zuppa che ci inebriava al rientro a casa? Come non rivedere, con gli occhi della memoria, la tavola ingombra di ravioli fatti a mano (solo nelle grandi occasioni, però, perché la scarsità delle finanze lo permetteva solo a Natale e in qualche altra festa comandata), di sfoglia tirata sottile sottile, di pasta
ricompensate da Ludovico il “Moro”, nel 1499, ad ultimazione avvenuta dell’opera, con un dono tanto inatteso quanto gradito: una bella vigna a Porta Vercellina, alla quale Leonardo, da quel momento in poi, si dedicò con tantissimo amore, memore del bel verde acceso
coltivati dai suoi genitori e nonni. Leonardo, compatibilmente col suo incessante peregrinare, non mancò mai di accudire la sua vigna che non scordò neppure in punto di morte, avvenuta il 2 Maggio del 1519 nel maniero di Cloux nella valle della Loira, quando decise
pire una Milano e dintorni piena di vigneti, anche perchè l’unico comune produttore rimasto nella provincia è quello di San Colombano al Lambro, appartenente alla DOC di San Colombano che accorpa anche Graffignana, Monteleone etc.. Ma nei secoli scorsi, e sino
delle sue amate colline toscane, dai vigneti profumati e turgidi di grappoli come quelli così abilmente
di lasciarla in eredità a due dei suoi più fedeli servitori, Giovanbattista e Salaì. Oggi è impensabile conce-
a metà circa del 1800, quando la filossera distrusse tutti i vigneti, le cose erano ben differenti: il milanese era un
La cucina ligure tradizionale Il pesto alla genovese
ancora umida stesa ad asciugare? Da buona genovese, pur apprezzando moltissimo i piatti regionali di tutta Italia, nutro un amore particolare per tutti gli squisiti sapori della mia terra, della mia Liguria pregna di odori forti che avvolgono, stranamente, cibi delicati e leggeri e che nascono da cose semplicissime che, quando vengono miscelate fra di loro, acquistano un vigore ed una prepotenza seducente ed irresistibile per qualunque palato. La parsimonia ligure, storicamente giustificata dal fatto che quando i nostri uomini si imbarcavano sen-
za sapere se e quando sarebbero tornati, e dal fatto che le famiglie, per conseguenza, erano costrette a centellinare le poche “palanche” lasciate dal capofamiglia per non restare all’asciutto e senza risorse economiche; la parsimonia ligure, dicevamo, combinata con l’esigenza di mettere in tavola cose appetibili e nutrienti,
sto, la cima, le torte salate alle verdure, il polpettone, il minestrone etc…., che si potessero conservare a lungo tenendoli semplicemente al fresco ed utilizzando sistemi di conservazione naturale. Se vi farà piacere mettervi alla prova, sarò felicissima di darvi, una per numero, le ricette “a modo mio” più consuete, sperimentate in
Chiar di Luna
Chiar di Luna è il ristorante che la famiglia Trabattoni conduce da trent’anni. E’ un
locale accogliente e caratteristico in cui si ha l’ occasione di assaggiare prodotti scelti per soddisfare i palati più esigenti. Seduti sulla veranda si gode un tratto incantevole del fiume Adda e ottimo vino consigliato da un’esperta somelier. Specialità: Formaggi, salumi, pasta fresca, primi fatti in casa, oca, pesce di mare, dolci fatti in casa. Capriate San Gervasio-Via Gandolfi, 12 Telefono: 02.9091110 Chiuso: Martedì e mercoledì
ha fatto sì che le mani abilissime delle nostre donne riuscissero a dare forma e sapore a piatti veramente gustosi, utilizzando materie prime di facile acquisizione, di basso costo e di genuino sapore. La cucina ligure nasce e cresce così, piano piano, nella costante ricerca di cose buone da consumarsi in famiglia e, perché no, in mezzo al mare, per la gioia di pescatori e marinai. Da qui, l’ulteriore esigenza di ricorrere a cibi, come il pe-
lunghi anni nel mio negozio di gastronomia ligure, che ancora oggi si utilizzano in qualche trattoriaccia nell’entroterra, od in qualche osteria nel più infrattato dei carruggi, o, più semplicemente, in qualunque famiglia ligure ‘vecchio stampo’. Sono cose senza pretese, facilissime e rapidissime da fare, impreziosite, o dequalificate (questo lo giudicherete voi) dal mio ritocchino personale, che non toglie comunque nulla alla preziosità dell’ori-
andirivieni di più di 600.000 carri, carichi di grappoli portati alla spremitura, da Porta Magenta al Quadronno, stando a quanto riportato da Bonvesin de la Riva, poeta ed enologo dei tempi. A ricordo del fiorente passato enologico del milanese, resta, per esempio, il nome del comune di Vignate, con tutta probabilità derivante dal latino VINEO (vigna) e dal celtico AITE (luogo) La vigna di Leonardo, che alcune immagini collocano esattamente nel cortile della Casa degli Atellani, è sopravvissuta sino agli inizi del 1900. Alcuni pensieri di Leonardo sui vini: - trovato il ragno un grappolo d’uve, il quale per la sua dolcezza era molto visitato da diverse qualità di mosche... - ‘l vin sia temprato, poco e spesso. Non fuor di pasto,nè a stomaco vuoto. - il vino consumato dallo imbriaco, esso vino col bevitore si vendica. - il vino è bono, ma (perciò) l’acqua avanza. ginale. Partiamo quindi con la prima ricetta che, ovviamente, non può essere altro che quella del pesto. PESTO ALLA GENOVESE INGREDIENTI : 4 mazzi di basilico rigorosamente di ALBENGA o di PRA 1 manciatina di pinoli ½ testa d’aglio olio extra vergine di oliva parmigiano e pecorino sardo grattugiati sale grosso Nel frullino mettete l’aglio, l’olio (abbondante), il sale grosso ed i pinoli. Date una prima frullata e poi aggiungete, un po’ di foglie alla volta, il basilico. Quando tutto sarà ben miscelato, travasate in una ciotola, aggiungete i formaggi e mescolate. Il pesto è gia pronto. Si conserva bene in barattoli a chiusura ermetica, coperto da uno strato d’olio. Ogni volta che lo utilizzate, mescolate l’olio di copertura al resto e, se ve ne avanza ancora, ricopritelo nuovamente con olio fresco. RACCOMANDAZIONI Usate solo basilico ligure per evitare che il pesto annerisca subito. Anche il sale grosso, al posto di quello fine, ha lo scopo di schiarirlo. L’aglio si può eliminare, sicuramente però a discapito del sapore. Per ultimo, non cadete nella tentazione, molto di moda anche e purtroppo nelle nostre riviere, di aggiungere panna per ammorbidire e fluidificare: il pesto deve essere morbido, ma non acquoso, ed il suo sapore forte. Piuttosto, usatene meno al momento di condire.
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Qualcosa di diverso di S.M.Ghezzi
Joe Pena’s
cantina y bar
Ci dà il benvenuto un’atmosfera accogliente: dall’arredamento in legno e alla luce soffusa, caldi ed intimi. Una rapida occhiata in giro, al Messico del mobilio, all’american bar, alla sobrietà curata nel dettaglio. A cavallo tra happy e dinner hour, l’attesa viene ingannata da un mojito base tequila che scatena il disappunto del barman, figura questa, tra l’altro, tanto attraente quanto professionale... ma non dategli retta: il cocktail è decisamente ottimo. Ci fanno accomodare, nemmeno dopo troppo: si pasteggia a nachos, tacos, e fajitas misti; e poi ancora carnitas, tutti quanti accompagnati da panna acida, salsa piccante, formaggio e guacamole. Il food ha decisamente sapore di fatto in casa (ed i bocconi d’avocado n’erano ghiotti testimoni masticabili), plus point sull’innegabile squisitezza delle portate. Si pasteggia a “Desperados”; si battezza poi la crema catalana con lo sherry; si lascia infine la bocca godere di spicchio d’arancia, caffè e 100% agave azul... che momento sublime, ch’estasi. Il conto è piuttosto piccante senza essere salato: una quarantina d’euro a testa, a meno di non voler uscire strisciando sui gomiti... ne vale ogni singolo cippino. Per l’esperienza eno(volendo)-gastronomica, per l’ambiente, per la preparazione impeccabile ed amichevole dello staff. Calientemente consigliato. NOTE GOLOSE: Joe Pena’s- il messicano che per primo giocò nella massima divisione americana. Tacos: tortillas morbide di farina di mais (da imbottire di porcellate). Nachos: piccole tostaditos/tortillas croccanti di farina di mais. Guacamole: crema d’avocado alle erbe delicate. Tequila: liquore messicano ricavato dalla distillazione dell’agave, esclusivamente quella blu. Carnitas: carne di manzo e pollo grigliata caramellata con salsa piccante. Mojito e Margarita. “JOE PENA’S-CANTINA Y BAR” Via Savona 17 - Milano 02-58110820 www.joepenas.it
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Arte Milano
Ok Arte Milano
Edito dall’Associazione Culturale Ok Arte Direttore responsabile Avv. Federico Balconi Direttore editoriale Francesca Bellola Progetto Grafico e impaginazione Kerr Lab http://www.kerrlab.it Stampato dalla Igep Via Castelleone 152 Cremona Testata OK Arte In attesa di registrazione presso il Tribunale di Milano Informazioni e pubblicità 02-92889584 3474300482 info@okarte.org
Hanno collaborato: Associazione Clessidra Associazione Castelli e Ville della Lombardia Enpa Lombardia Studio Esseci Clara Bartolini Ivan Belli Francesca Bellola Lavinia Casaletto Carmen Chirico Carla Ferraris Davide C. Fragale Alessandro Ghezzi Sara Moriconi Ghezzi Lilian Istrati Ivana Metadow Andrea Mineo Milena Moriconi Riccardo Pirovano Antonio Purpura Daniele Tamborini Laura Veroli Carlo Vittalone AmarenaChicStudio Si ringrazia MilanoFoto.it, la più estesa ed organica raccolta di fotografie sul paesaggio di Milano
Tutti gli amici di OK ARTE si incontreranno giovedì 29 Maggio dalle 17.30 alle 19.30 presso il Cortiletto di Brera di Achille Cennami all’interno dell’Accademia di Brera. Sarà questa un’occasione di festeggiare la nuova rivista e i lettori intervenuti potranno proporre idee e temi dibattendo con giornalisti e redattori di OK Arte. Notizie aggiornate sulla rivista si trovano all’indirizzo www.okarte.org. Chiunque volesse contribuire scrivendo nella rivista o partecipando alle nostre iniziative può scrivere a info@okarte.org.
OK ARTE è un mensile edito dall’associazione culturale OK ARTE con sede in c.so Buenos Aires 45 – presso agenzia Cattolica
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;8 6BF4 F< CHBQ Orizzontali 1. West, attore che interpretò il più famoso Batman televisivo – 5. George, fisico e cosmologo ucraino – 9. Francis, filosofo inglese del XVI secolo e pittore espressionista inglese del XX secolo – 10. Genova sulle targhe – 11. Christoph Willibald, compositore tedesco del XVIII secolo, celebre anche… per una canzone di Celentano – 13. Caspar David, pittore romantico tedesco – 15. Sottogenere musicale del punk rock – 16. Né mia, né sua – 17. Il taxi a Londra – 19. Pari in Rubens – 21. Isole del Pacifico – 22. Marie, premio Nobel nel 1903 per la fisica e nel 1911 per la chimica – 24. I confini dell’alfabeto – 25. Consonanti in Hexi – 26. Louis, inventore dell’alfabeto per non vedenti – 29. Iniziali di Modigliani – 30. Colpa… in inglese.
QUALCHE CANDIDATO PER SOSTITUIRE IL VECCHIO RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANE?
HA UN BUON CURRICULUM?
...TUTTAVIA SCORGO UN CERTO ENTUSIASMO E, INNEGABILMENTE, IL PERFETTO PHYSIQUE DU RÔLE!
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UNO SOLO, SIGNORE!
‘NGIORNO!
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Verticali 1. Iniziali dello scrittore Baricco – 2. Danielle, attrice francese di “8 donne e un mistero” – 3. Davanti a DC… forma il nome di un famoso gruppo hard & heavy australiano – 4. Claude Oscar, pittore francese impressionista – 6. Preposizione articolata – 7. Antonio, inventore del telefono – 8. Padella dal fondo rotondo originaria della Cina – 11. Grande Raccordo Anulare – 12. Marc, pittore bielorusso vissuto a cavallo tra XIX e XX secolo – 13. Joseph, politico francese ministro di polizia sotto Napoleone Bonaparte – 14. Albrecht, pittore, incisore, matematico e xilografo tedesco rinascimentale – 18. Georges, compositore e pianista francese, autore della “Carmen” – 20. Srotolare… in cima – 21. Sigla del Freedom of Information Act, legge emanata il 4 luglio 1966 dal presidente Lyndon B. Johnson – 23. Nota casa produttrice di computer – 27. Il cuore della staffa – 28. Mezza… luna. SOLUZIONI
talvolta l’e le ganz a ...
QUANDO TORNI, WILBUR?
...è sapere quando andarsene
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A cura di: AMARENA CHIC STUDIO
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Dinamica e movimento nella pittura di Roberta Musi
Carla Ferraris
L’iconografia equestre ha sempre svolto un ruolo predominante nella produzione di Roberta Musi, artista che vanta al suo attivo partecipazioni ad eventi espositivi di notevole rilevanza ed acquisizioni da parte di numerose Istituzioni locali e nazionali. Interpretato come metafora di vita e dinamismo, il cavallo acquista in arte significati più profondi come la lotta tra bene e male, personificazione simbolica di virilità e forza; esso è rappresentato nelle cartografie del cielo come simbolo del sole e come iconografia cristiana della vittoria del bene sulle tenebre e già si ritrova, ad esempio, nella decorazione della cripta di Notre-Dame di Montmorillon (Francia). E’ naturale ricordare le
rappresentazioni equestri già esistenti nelle grotte di Lascaux e le figurazioni di cavalli realizzate nel corso della storia dell’arte da numerosi artisti: si pensi infatti alle opere di Cosmè Tura, Paolo Uccello, Dürer, Marc, De Chirico, Sassu, Ligabue… Opere d’arte antiche e moderne studiate, ripensate, rielaborate e contemporaneizzate nell’arte di Roberta Musi, attraverso un tecnicismo grafico-formale che supera il classico descrittivismo della rappresentazione puramente pittorica per diventare “sinfonia cromatica” luministicamente appagante e storicamente atemporale. L’aspetto miologico ed anatomico sono qui resi al limite della sintesi pittorica in virtù di una più personale interpretazione dinamica dei soggetti: il senso di tensione muscolare, la forte energia corporale e l’inarrestabile movimento sono infatti rinforzati ed accresciuti da grafismi articolati in ritmiche linee contigue tra loro e resi metafisici dalla varia e personalissima scelta tonale, che vede manti di ogni tipologia cromatica. Il mantello equino, nell’ambito della mistica e dell’ermetismo medievale, assume infatti significati differenti legati alla propria tonalità di rappresentazione: il bianco,
ad esempio, è proprio di eroi e cavalieri, il rosso è metaforicamente sangue, il nero è simbolo di cattiva sorte…Roberta Musi sembra comunque reinterpretare personalmente non solo le linee fisioniomiche ed anatomiche equine, ma le ridimensiona metafisicamente attraverso un improbabile colorismo del tutto nuovo e contemporaneo. Ne emergono rappresentazioni che esulano da qualsiasi collocazione terrena e temporale, per diventare puro ed intrinseco emblema dinami-
co della forza data dal movimento e dall’energia qui più interiore che corporale, mediante una approfondita ricerca di nuovi tagli prospettici e compositivi. Questa ricerca artistica si arricchisce e si espande anche ai soggetti umani in una vasta produzione che vede come filo conduttore la danza ed, in particolare, i ballerini di Tango. Secondo tradizione,
questo è un ballo di coppia basato sull’improvvisazione e quindi stilisticamente creativo: il ballerino conduce infatti la propria compagna verso “figure” diverse, usando una serie di marcacion (segnali), con cui vengono realizzati passi in sequenza come salida/camminata/incrocio/cambio posto/ocho avanti… Si tratta dunque di movimenti colmi di sentimento, emozione, pura arte corporale ben compresa da Roberta Musi che realizza dipinti in cui le forme si fondono nel ritmico susseguirsi delle pose corporee. Qui, secondo una profonda e radicata coerenza stilistico-formale, il livello grafico-compositivo si fa ancora una volta essenziale, eliminando ogni decorativismo per incentrarsi sulla resa miologica umana dei corpi, che pur mantengono una sorta di sensuale carnalità. Si tratta di pittura e musica legate da un intenso cromatismo dai forti contrasti e da modulazioni tridimensionali al limite della figurazione, in cui i personaggi emergono da fondi scuri ed irriconoscibili, assorti dalla leggerezza quasi onirica dei loro stessi movimenti. Il colore degli incarnati, protagonista quasi assoluto, si amalgama in vibrazioni e timbri che diventano,
mentalmente, interazione tra forme in movimento e percezione sensoriale. Ancora una volta, si è di fronte allo studio di inquadrature compositive nuove e sempre differenti, che bene rendono la gestualità delle pose e dei movimenti; spesso le figure sono decentrate con l’intenzione, forse, di rafforzare quel moto energico che scaturisce dalla dinamica della danza e che è sottolineato da forme e volumi muscolari, ottenuti mediante un sapiente uso tonale del bianco miscelato agli incarnati illuminati da una luce
metafisica più che reale, di cui non si scorge fonte originaria. Roberta Musi presenta dunque una pittura della sensualità e del sentimento, dinamica, atemporale e mai obsoleta seppur stilisticamente coerente; una produzione vasta, in cui un intrigo
emozionale ritmicamente ordinato in movimenti energici, seppur sensuali, è trattenuto nella mente ed esplode nell’espressività pittorica dei soggetti.
Dal 24 Maggio al 2 Giugno 2008 collettiva UCAI “Via Pacis” Lodi ex Chiesa dell’Angelo. Dal 16 al 28 Giugno 2008 minipersonale UCAI (l’artista presenterà 10 opere) Villa Osmond Sanremo. Inaugurazione 18 Giugno ore 18.30. Dal 20 al 22 Giugno 2008 collettiva presentata dal gruppo Forlanini-Monluè a Palazzo Marino a Milano dal titolo: Se Giovanni Verga tornasse a Milano. Dal 21 al 30 Luglio 2008 Personale presso il Museo Palazzo del Parco, Sala Rodolfo Falchi, Corso Garibaldi 60, Diana Marina Imperia. Apertura 10-12, 17-24.
L’intensità cromatica di Natali Grunska Francesca Bellola
“Oh fantasia, inestinguibile fonte dalla quale bevono l’artista e lo scienziato! Vivi presso di noi, anche se sei riconosciuta ed onorata da pochi, per preservarci dalla cosiddetta ragione, da quel fantasma senza carne e senza sangue”. Questa magnifica citazione di Franz Schubert racchiude l’anima evocativa della pittura di Natali Grunska. Le sue opere evocano sensazioni profonde che penetrano nell’anima delicatamente, quasi in punta di piedi. La fantasia riaffiora in dimensioni sconosciute e fantastiche dove ognuno di noi vorrebbe ritrovarsi per rivivere la propria identità, a volte dimenticata in un mondo dove regnano la superficialità e l’esteriorità. Un’artista dotata di una forte personalità che le permette di approdare attraverso infinite osservazioni, alla ricerca della perfezione assoluta. I suoi quadri celebrano la riscoperta della poesia, dell’eleganza e della rinascita della bellezza in un mondo spesso dominato dalla violenza e dalla volgarità. Notevole è la scioltezza d’esecuzione e la padronanza grafica delle figure, dei volti delle donne, protagoniste di molte sue opere come in “La Contessa” acrilico su tela lavorata a mano, da trasmettere all’osservatore, sensualità, sensazioni di leggerezza e d’incanto verso la trasparenza di immagini realiste e nel contempo ir-
reali. “La presenza di profonde ed intense pennellate d’oro e d’argento, trasformano le sue creazioni in vere e proprie icone dalle quali si sprigiona una forte capacità artistica che lega la sua don-
na moderna ad un mondo classico e romantico…”. Il Giorno 14 Novembre 2006 Giulio Dotto. “Indigo” (4 pezzi acrilico su tavola) è l’esempio di grande espressività nel colore (blu profondo), e nella ricerca della luce nel bosco, potenziata dall’oro che fa risaltare la profondità ed il rilievo. L’artista conserva quel pizzico di egocentrismo indispensabile per emergere e proiettarsi verso una brillante carriera. Le sue opere infondono nello spettatore come delle note musicali, un senso di spensieratezza e di serenità. “… pittrice, da una parte elimina la memoria della coscienza e con l’invasione del sogno, del fantastico, si porta verso
illuminazioni che hanno un significato tendenzialmente simbolista, cariche di mistero, di fascinazione, e di luce; dall’altra, la tensiva carica dei colori e dei toni …” Prof. Carlo Franza critico-storico dell’arte per Pressrelease 13 febbraio 2007. Grunska nata a Kiev nel 1980, sin da piccola apprende la passione per la pittura. Acquisirà frequentando una scuola d’arte per 10 anni nella capitale ucraina, tutte le nozioni per elaborare il disegno con un accurato studio delle tecniche pittoriche che si riveleranno preziose per la sua crescita artistica. Gli istituiti di Kiev sono prestigiosi e molto severi infatti, possono frequentarli solamente gli studenti che sono stati selezionati dopo aver superato gli esami di ammissione. I ragazzi possono accedervi anche con borse di studio, in questo modo, hanno la possibilità di perfezionare le loro attitudini artistiche.
La formazione classica che si acquisisce nei laboratori è fondamentale per imparare i primi approcci con la prospettiva, le copie dal vero, l’anatomia, la luce, le ombre, la profondità etc. In questo ambiente così suggestivo, ci si confronta in tutti i settori delle belle arti apprendendo non solo le regole basilari della pittura, delle composizioni di ekibana ( fiori secchi o freschi ), della storia dell’arte, ma anche quelle della musica, del canto del teatro e del ballo. L’artista afferma di aver trascorso un periodo costituito da continue sperimentazioni, intenso e indimenticabile per la sua crescita professionale. Ricorda di aver realizzato creazioni in diverse forme come la scultura e la ceramica, il batik (pittura su stoffa), “ikonopis” (vecchio e tradizionale dipinto su tavola di icone russe) e di aver partecipato a molte mostre in collaborazione con altri paesi stranieri come la Germania,
Russia, Polonia e Colombia. “Fu una grande emozione quando visitai il Dresden Gallery in Germania che mi sconvolse dalla maestria dei grandi e successivamente rimasi folgorata dalla mia visita al Louvre di Parigi e ora la fortuna vuole che abito in Italia, Paese dove sono nati i più grandi artisti di tutti i tempi“ ribadisce Natali. Trasferitasi in Italia nel 2001, ha continuato la sua ricerca pittorica partecipando a Personali, collettive e a molti concorsi. Ha ottenuto prestigiosi elogi anche dalla critica ed è stata nominata al Premio di Decorazione al Circolo della Stampa di Milano nel 2007. Attualmente, l’eclettica e sensibile artista è impegnata tra le molteplici attività, in un progetto di mostre itineranti di Arte Terapia negli ospedali che segue fedelmente e con grande umiltà dal dicembre scorso.