OK ARTE dicembre2009

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ok Arte MAGAZINE

Dic - Gen 2009-2010

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Anno VIII N.5

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Per informazioni e pubblicità: 347 4300482 - 339 7684287 info@okarte.org www.okarte.org

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News d’arte dall’Italia, news d’arte dal mondo, ogni giorno più di 80 nuove notizie d’arte Scopri come esporre tutte le tue opere nella Galleria 3D, migliaia di visitatori al mese

Mostre a Milano

Museo Diocesano: Silvio Consadori a pagina 4, Palazzo Marino: Leonardo Da Vinci a pagina 6, l’Ottocento alla Gam e Crivelli a Brera a pagina 7, Triennale: Franco Gentilini a pagina 8, Henry a pagina 23

Steve McCurry e la bellezza dell’anima Il viaggio e il silenzio in 240 immagini

Francesca Bellola

La lunga storia

Clara Terrosu

l 7 marzo del 1776, i palchettisti del Teatro Regio Ducale, sito in un’ala del Palazzo Reale di Milano, si riunirono per discuterne la ricostruzione. Dieci giorni prima, le fiamme avevano distrutto uno dei centri musicali più importanti d’Europa che aveva ospitato non solo insigni maestri Italiani, ma anche boemi ed austriaci. Qui, nel 1770 Mozart aveva rappresentato la sua prima opera seria e con l’Ascanio in Alba aveva celebrato le nozze dell’Arciduca. Opere e balletti si alternavano a balli e feste; conversazioni, pranzi e giochi, si susseguivano nelle sale, nei palchi e nei camerini, apparsi nel 1717, data della prima ricostruzione del Teatro. Proprio mentre la volontà governativa promuoveva Milano quale sede di rappresentanza d’incon-

mantello, diventata ormai un’icona. McCurry quando rivide dopo quasi due decenni la sua protagonista, notò che le rughe non avevano cancellato l’intensità dei suoi occhi, anzi la malinconia riaffiorava come o forse più di prima. Nell’esposizione i volti di tre donne raffigurate in un

clima di guerra in Asia nel 1992, raccontano la paura, la tristezza, il senso di abbandono e la speranza di percorrere con dignità un cammino meno tortuoso. Le espressioni di queste ragazze (nella foto Peshawar, Pakistan, 2002) penetrano nel profondo dell’anima. Segue a pag. 20

CLUB Miniaci

Ambasciatore dell’arte T ramite l’arte e la cultura si abbattono le frontiere, si crea il rispetto di tutte le civiltà, si diviene “cittadini del mondo” E proprio dall’amore per l’arte e la cultura nasce il Club Miniaci, un’organizzazione senza fini di lucro. Scopo principale del Club è quello di salvaguardare e dif-

Teatro alla Scala I

“L’

uomo ha bisogno di mettersi in contatto con Dio. Ma non lo troverà nel rumore e nell’inquietudine. Lo spirito è amico del silenzio. Osservate come la natura - gli alberi, i fiori e l’erba – cresce in silenzio. Osservate le stelle, la luna e il sole, come si muovono in silenzio. Dobbiamo ascoltare il silenzio, se vogliamo sentire l’anima commuoversi”. Queste parole così toccanti di Madre Teresa di Calcutta, ben introducono la bellezza più profonda delle immagini di Steve McCurry, uno dei più grandi maestri contemporanei della fotografia, celebrato a Milano con una vasta retrospettiva. In mostra, “Sud-Est” a Palazzo della Ragione dall’11 novembre 2009 al 31 gennaio 2010, 240 scatti pensati per Milano e narrati in un lungo viaggio silenzioso intrapreso migliaia di volte nel sud-est del mondo – da qui il titolo – dal quale è scaturita la bellezza al di là della guerra. E’ la bellezza vera non televisiva, chirurgica o virtuale, lo dimostra lo sguardo di Sharbat Gula, la ragazza afghana dagli splendidi occhi verdi, indagatori ma orgogliosi sotto un lacero

fondere la conoscenza del patrimonio artistico di tutti i popoli del mondo con la loro cultura e tradizioni. Con le sue attività il Club si propone di unire tutti i popoli creando il rispetto delle diversità, promovendo cultura e conoscenza contro l’ignoranza, causa di tutti i mali del mondo.

FormArt a Cascina Roma

Rassegna d’Arte contemporanea organizzata dalla rivista Ok Arte, dal 6 febbraio al 7 marzo 2010; per partecipare alle selezioni scrivi a info@okarte.org altre informazioni sul prossimo evento a pagina 10

tri e scambi, l’incendio del 25 febbraio 1776 distruggeva il cuore della vita cittadina. Nel Settecento, il Regio Ducale, grazie alla capienza ed alle attrezzature,

aveva consentito manifestazioni musicali e spettacoli di eccezionale qualità ed era il luogo ideale per relazioni mondane e d’affari. Segue a pag.2

Marco Brescia, Teatro alla Scala

Santa Maria delle Grazie L’ultima cena di Leonardo

Milena Moriconi

L’

impatto visivo, arrivando in Piazza Santa Maria delle Grazie, è notevole. La piazza è piccolina, raccolta, non toglie il respiro ma infonde tranquillità. Ci sono palazzi stupendi che la guardano da Corso Magenta e da Via Mascheroni, preziosi ed

imponenti, che nessuno ha osato toccare se non per conservarne l’antica magnificenza e che avvolgono la piazza come un manto regale. Se si sbircia all’interno dei cortili, inviolate testimonianze d’epoca, si scorgono bianche statue fare capolino da verdi giardini, anch’essi dal vecchio sapore di cose curate

per centinaia di anni con tanto amore e tanta abilità. Si intuiscono, all’interno dei palazzi, pavimenti marmorei tirati a lucido, ampi saloni dal soffitto altissimo e camere da letto i cui copriletto non possono essere altro che di pesantissimo, arabescato raso. Segue a pag. 3

Sotto la foto de L’ultima cena

Proprio per questo il Club non si rivolge solo agli italiani all’estero, ma a tutti coloro che desiderano divenire cittadini del mondo. Segue a pag. 8

Fondazione Don Carlo Gnocchi Artisti IRCCS 12 e 13 dicembre mostra e asta benefica presso la Sala Consiliare della Zona 3 di Milano. Inaugurazione sabato 12 ore 10.00, asta conclusiva domenica ore 16.00.

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Il Teatro alla Scala del Piermarini

La lunga storia del Simbolo della Musica e dell’Arte Italiana Clara Terrosu

segue da pag. 1 urtroppo, gli incendi si verificavano con frequenza impressionante; a Milano il Teatro era già andato a fuoco due volte dalla fine del ‘6oo; a Verona il Filarmonico era stato distrutto nel 1749, l’Opéra di Parigi bruciò due volte, nel 1763 e nel 1770, il San Benedetto di Venezia scomparve nell’incendio del 1774, ma anche a Bologna, Vienna, Stoccolma ed Amsterdam, molti teatri vennero ugualmente distrutti dal fuoco. A Perugia, pochi giorni prima dell’incendio del Regio Ducale, era crollata la volta del Teatro durante una manifestazione. Il panico dilagava in tutta Italia ed ovunque si studiava il modo di prevenire il pericolo. A Firenze, Mantova Bologna, Pavia e Treviso erano stati costruiti Teatri interamente in muratura. I teorici francesi suggerivano particolari accorgimenti in un volumetto di C. De Chaumont, che prevedeva l’isolamento della sala, circondata da una strada larga almeno due metri, con case del vicinato che non dovevano avere finestre prospicienti il teatro; le murature perimetrali e gli ingressi dovevano essere particolarmente curati. A Milano, il piano per riedificare il Palazzo Reale era stato progettato dal Vanvitelli nel 1769 e comprendeva anche una diversa sistemazione del Teatro, ma tale progetto non ebbe seguito ed il Piermarini ricevette l’incarico di ristrutturare i vecchi edifici, lasciando però inalterata l’ala che comprendeva il Regio Ducale. Alcune voci, diffuse persino a Vienna, ritenevano possibile una dolosità dell’incendio, ma non ebbero mai seguito e la necessità di ricostruire al più presto il teatro si fece incombente. Così i committenti, conferirono all’Architetto Giuseppe Piermarini (Foligno 17341808) l’incarico di redigere i disegni del nuovo progetto, che doveva rispettare le consuetudini del vecchio teatro, aggiungendovi altre richieste di distribuzione e di forma con accorgimenti più utili alla miglior riuscita del palcoscenico e della sala. Il Piermarini, acuto e sensibile disegnatore, proveniva dalle scuole di Roma e di Napoli, centri dell’architettura di allora e risultava essere il più adatto, anche per la sua inclinazione al procedimento scientifico ed al lavoro tecnico e manuale. Il comune desiderio di dotare la città di

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Marco Brescia, Teatro alla Scala

un nuovo Teatro coinvolgeva sia la Regia Camera che i privati proprietari e gestori e doveva rappresentare una sorta di Teatro di Corte, che affiancasse la vita ufficiale, ma restasse separato dal palazzo, come stava già avvenendo a Monza. Al fine di perseguire questi obiettivi fu determinante l’intervento di Vienna. Il parere dell’Arciduca e dei privati conciliavano nel volere che il Teatro sorgesse in una località il più possibile centrale ed accessibile, situata ai margini di strade importanti e circondata da alberghi e da luoghi di ritrovo pubblico. Il Teatro sorgerà così nell’area dell’ex convento, già semidistrutto, di Santa Maria alla Scala, che verrà soppresso nel mese di agosto. Il 14 settembre sarà firmato il contratto d’appalto per la costruzione del Teatro alla Scala. Il progetto definiva i materiali, la ripartizione dei palchi e le loro caratteristiche, la volta di copertura, il rapporto con il palcoscenico (distribuito in tre navate) e l’orchestra. Grande importanza fu data al soffitto della sala per gli effetti acustici. L’architettura prese forma nel corso dei lavori, perché molti fattori contribuirono a completare l’immagine ed il meccanismo funzionale. Stretta fu la collaborazione fra committenti, architetti ed esecutori ed il Piermarini si avvalse della collaborazione di abili artigiani per eseguire i macchinismi e gli apparati particolari. L’avancorpo accolse al piano terreno gli atri, le sale d’aspetto, le botteghe, gli uffici ed il caffè; il mezzanino le sale del ristorante, al primo piano i ridotti ed al secondo il laboratorio degli scenografi. L’edificio aveva ingressi indipendenti grazie ad una coppia di scale, anche il palcoscenico, nel corso della costruzione venne dota-

tivamente solo nel 1953; di Forlì in struttura tralicl’emblema della nuova ciata di carpenteria metalMilano imprenditoriale fu lica elettrosaldata ed il Grattacielo Pirelli. Dopo imbullonata, lavorata a mezzo secolo di Storia, que- macchina utensile, sono sta metropoli si apre al abilitate a tre funzioni: in mondo proponendosi fra le posizione completamente capitali della Cultura, sollevate, aumentano l’area dell’Arte, della Danza e del palcoscenico verso il della Musica con il Teatro proscenio in posizione alla Scala che è risorto in completamente abbassate, tutto il suo splendore formano il piano completo Imperiale Settecentesco. Ci della fossa d’orchestra sarà sono voluti 60 milioni di possibile posizionare le peeuro, 30 mesi di lavori non dane in altezze diverse, stop, 300 operai e l’inge- generando l’effetto “a gragno dei tre Progettisti, dinata” e/o complementaMario Botta, Elisabetta re con il piano platea. I tre Fabbri e Giuliano settori oltre al piano calParmeggiani per restaura- pestio superiore (piano orre il foyer, l’intera sala tea- chestra) avranno un piano trale, l’ex casino Ricordi, interno necessario per il ritutta la macchina scenica, i covero del pianoforte granpalchi, le gallerie, i corridoi, coda, leggii e sedie, la cui il ridotto gallerie e per cre- luce netta dovrà essere are i nuovi camerini ed i la- di circa 2 metri di altezza. boratori con le sala prova, La pavimentazione è staospitati nel nuovo elissoide ta verificata per un carico e nel cubo che si ergono sul di 600kg/mq, ma il carico lato sinistro della tradizio- statico totale gravante su nale costruzione del tutta la piattaforma va conPiermarini. Qualche dato siderato solo un piano di tecnico: Il Palcoscenico è calpestio e non contempouno spazio di 1.600 mq. Ci raneo su entrambi i piani. sono 7 ponti mobili suddi- Vale la stessa consideravisi a loro volta in tre setto- zione anche per il carico ri; il vero e proprio dinamico di 300 kg/mq. palcoscenico è largo 22 m. La movimentazione dele profondo 34. L’impianto le pedane avviene tramiantincendio ha previsto il te un motore elettrico con posizionamento di rileva- una velocità di sollevamentori sia nel palco che nella to pari a 2 metri al minusala ed il sipario tagliafuo- to. La pavimentazione della

to di altri ingressi. La platea mentali e morirà a Vienna fu disposta quasi in piano, il 7 maggio del 1825. La sua occupata da poltrone uni- musica immortale, dopo formemente distribuite; i 226 anni, torna a risuonare palchi, disposti in verticale, in un ambiente ricostruito erano tutti dotati di un ca- quasi magicamente come merino. Esterni alle tre all’epoca della prima inauparti principali: avancorpo, gurazione del Grande sala e palcoscenico, gli am- Teatro Scaligero, orgoglio bienti ausiliari per la con- della Città di Milano. duzione del Teatro. Il L’immortalità della musica, “Casino della Nobile come quella di tutte le arti, Associazione” venne occu- ha resistito anche ai disapato dagli uffici e dalla strosi bombardamenti che Direzione; l’edificio com- colpirono Milano durante prendeva una scuderia, uno la seconda Guerra Mondiale. scalone, sale per l’Arciduca Durante i bombardamenti ed altre per la guardia; ai dell’agosto del 1943, il tetto lati del palcoscenico, due del Teatro crollò sulla placorpi, contenevano i locali dei servizi per lo spettacolo di scena. Si volle ricostruire un Teatro paragonabile ai migliori d’Europa ed i palchettisti scrissero a Maria Teresa che la Scala avrebbe oscurato la notorietà dei più famosi Teatri Italiani, rendendo celebre il nome dell’Imperatrice non solo nella Storia, ma anche nelle Belle Arti. Infatti il 3 agosto del 1778 “L’Europa riconosciuta” di Antonio Salieri (libretto di Mattia Veraci, scene dei Fratelli Galliani) inaugura la nuova sede di quello che diventerà un simbolo della Musica e dell’Arte Italiana. L’autore, nato a Legnago (Verona) il 19 agosto del Marco Brescia, Teatro alla Scala 1750 ed istruito musicalmente dal fratello Francesco, tea. Milano era ridotta un co può suddividere all’’ocsi trasferì a Vienna a soli 16 cumulo di macerie, ma al- correnza, con una struttura anni, entrando ben presto tri bombardamenti la col- metallica la parte del pala far parte dell’orchestra di pirono nei due anni coscenico da quella della Musica da Camera dell’Im- successivi (45 in tutto) ed al sala. Ed ora soffermiamoci peratore Giuseppe II. termine della guerra i loca- sul nuovo piano mobile Tornerà in Italia come li ad uso abitativo comple- dell’orchestra costituito da Compositore di Corte e tamente distrutti o 3 piattaforme, una Frontale, Maestro di Cappella gravemente danneggiati situata a lato platea, la sedell’Opera Italiana e vi re- erano 230.000. I bombar- conda Centrale e la terza sterà fino al 1780. Molte sue damenti cessarono il 30 Posteriore, posta a lato del opere verranno eseguite a aprile 1945, data dell’in- palcoscenico e dotata di un Venezia, Roma e Firenze, gresso ufficiale della 1° piano Compensatore che estendendo la sua fama in Divisione Corazzata e della può servire da prolungatutta Europa. Ricordiamo 34° Divisione di Fanteria mento della superficie della fra i suoi allievi più famosi, Inglese con un Plotone del piattaforma Centrale o del Beethoven, Schubert e Listz. Reggimento Legnano. Per palcoscenico. Le piattaforAffetto da problemi alla vi- ricostruire la città si pro- me, completamente indista, all’età di 73 anni, pur- gettò un Piano Regolatore pendenti una dall’altra, troppo, perderà le facoltà Generale, approvato defini- realizzate dalla Ditta CEIF

Bar Il Cortiletto di Achille Cennami all’interno dell’Accademia di Brera

platea è rivestita in parquet di rovere; nei palchi è stato riscoperto il pavimento in cotto e le nuove tappezzerie in tessuto rosso damascato sostituiscono quelle dell’’inizio del ‘900. Sono 2030 i posti a sedere, erano 1848, alla chiusura del teatro; anche nel famoso loggione che ha sempre ospitato i meno abbienti, ma spesso tenaci ammiratori ed intenditori, ci sono posti a sedere. Non mi resta che augurare a tutti gli amanti della musica, del bel canto e della danza buon ascolto, buona visione e tante vitali emozioni !


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Santa Maria delle Grazie Bramante a Milano L’ultima cena di Leonardo stesura di un affresco raffigurante l’Ultima Cena, ed il terzo dell’intarsio del coperchio di un sarcofago, da collocarsi al centro del coro sovrastato da una bella volta ad ombrello, per le spoglie sue e della moglie Beatrice d’Este. Nemmeno un pensierino per Cecilia Gallerani, sua adorata amante, che, come si conviene al suo lussurioso ruolo, deve starsene sullo sfondo, accontentandosi solo di un “regalino”: il palazzo di via Broletto, in cui oggi ha sede l’Ufficio delle Imposte, testimone dei suoi momenti di violenta passione fra sfarzo ed ermellini con cui farsi ritrarre da Leonardo. Ma torniamo ai luoghi sacri. Sembra che Ludovico faccia costruire anche un sotterraneo di congiungimento fra la basilica ed il Castello Sforzesco mentre, nei suoi intendimenti si affaccia anche l’idea del rifacimento della facciata della chiesa, opera mai ultimata a causa della morte di Beatrice nel 1497 e della caduta di Ludovico due anni dopo. Ad oggi, non esistono tuttavia certezze riguardo ai lavori effettivamente attualizzati dal Bramante, tranne la tribuna a base cubica e su cui si innestano le absidi la-

nica: al posto dell’affresco, che costringe a dipingere il più alla svelta possibile sull’intonaco umido, e che rende difficoltosi i ritocchi, sperimenta una sorta di pittura misto olio/tempera che possa consentirgli il rimaneggiamento dell’opera a suo piacimento. Scelta infelice, che serve a procurare pane e companatico non solo a lui ma anche allo stuolo di restauratori che, per secoli, sono dovuti intervenire per la salvezza del lavoro. Dopo ennesime ricoperture, è stato solo nel 1999, con la rimozione di tutti i vecchi substrati, che si è riusciti a far riemergere i contorni originali del dipinto la cui fragilità viene protetta da impianti che mantengono costanti temperatura ed umidità, purificando nel contempo l’aria. Le pareti laterali del refettorio in cui si trova il Cenacolo sono spoglie, tranne che per la presenza di ghirlande simboliche, a ricordo della famiglia Sforza, tratteggiate in alto. E’ innovativa l’Ultima Cena. Molto innovativa. Leonardo non si limita a porre dei personaggi intorno ad un tavolo, in atteggiamenti più o meno significativi, ma, come un provetto regista, crea sguar-

rali. Uso un termine ba- terali, mentre sembra che i nale ma sempre efficace: successivi lavori siano stati è bella la chiesa, proprio messi in opera da Giovanni bella. Una cappella ospita Antonio Amadeo, scultooggi raffinati affreschi rap- re, ingegnere ed architetto. presentanti le Storie del- Nel 1943 un bombardala Passione di Gaudenzio mento distrugge la biblioFerrari ed accoglieva, tem- teca, il chiostro dei morti po addietro, l’Incorona- e tutto il refettorio, tranne, zione di Spine del Tiziano, miracolosamente, il muro oggi al Louvre. Notevole è su cui è dipinto il Cenacolo anche la vecchia sagrestia Vinciano. E siamo così fiall’interno della quale tro- nalmente giunti all’ospineggiano possenti arma- te imperiale della basilica, di in legno pregiato. Ma al capolavoro di Leonardo ecco che, nel 1490, si insi- che il genio, si pensa, apnua nella gestione dei lavo- proccia con la solita “nonri il Duca Ludovico il Moro chalance” riservata ai lavori che, da buon nuovo pro- di pittura, intralci alle sue prietario, vuole giustamen- ricerche scientifiche, sua te far sì che la sua impronta autentica passione, ai quaresti ben visibile ai posteri. li si piega solo per sbarcare Ludovico intende trasfor- il lunario. Ma la grandezmare la chiesa nel mausoleo za di Leonardo è più forte di famiglia. Assegna il com- di lui e delle sue preferenze. pito a tre grandi dell’epoca, Nemmeno lui, forse, sa che il Bramante, Leonardo da sta per partorire una delle Vinci e Cristoforo Solari: il più grandi opere pittoriche primo viene incaricato del- ti tutti i tempi. Commette la costruzione di una nuo- però un errore, non cerva tribuna, il secondo della to di esecuzione ma di tec-

di e gesti che trasformano una scena muta in sonora, una immagine statica in un film. Il momento è quello in cui Gesù comunica ai discepoli che uno di loro lo tradirà. L’impressione che ho avuto è stata quella di vedere una magnifica fotografia in cui si è riusciti a cogliere, contemporaneamente, tutti i protagonisti al massimo della loro espressività. Quanto narrato dai Vangeli viene reso come nessun altro era riuscito a fare prima, e mai riuscirà a fare dopo. Gesù è solo, al centro della scena, così come lo sarà sempre di più da quel momento in poi, mentre gli apostoli commentano fra di loro, in gruppetti, la notizia bomba appena ricevuta. Lo pseudo affresco ha un vantaggio collaterale non indifferente: dovrà restare sempre lì e nessun museo al mondo potrà mai averlo. Per sempre nostro e solo nostro.

Milena Moriconi

segue da pag. 1 a la piazza non è altro che la matrioska “madre” che racchiude, come gemme incastonate l’una nell’altra, una “figlia” bellissima, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, ed il “seme”, l’elemento più piccolo della matrioska, ma anche il più prezioso, che si trova a sua volta nel grembo della chiesa. Un seme che tutto il mondo ci invidia: “L’ULTIMA CENA” di Leonardo da Vinci. E’ il 10 Settembre del 1463 quando Francesco I Sforza dà il via ai lavori per la costruzione di un convento domenicano, su un terreno del conte Gaspare Vimercati che si trova a fianco di una cappelletta già dedicata a Santa Maria delle Grazie. Il lavoro è affidato a Guiniforte Solari, ingegnere capo del Duomo di Milano, ed è completato nel 1469. In un momento immediatamente successivo, inizia l’edificazione della chiesa nello stile tardo gotico-lombardo di cui Solari era un illustre rappresentante. Un bellissimo portale marmoreo ci accoglie all’entrata della basilica suddivisa, all’interno, in 3 navate con 7 campate e cappelle late-

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San Satiro, una magica illusione

Massimo Zanicchi

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n progetto impossibile non è mai tale per un genio. In via Torino, a due passi dal Duomo, dietro un’anonima facciata in pietra grigia, si nasconde il progetto impossibile di Bramante: la chiesa di Santa Maria presso San Satiro. Quell’edificio che dall’esterno si nota appena racchiude un vero gioiello. Un’abside illusoria che rappresenta il capolavoro milanese con cui il geniale artista, nato nel 1444 nel ducato di Urbino, è riuscito a superare i limiti della geometria attraverso l’inventiva applicata all’architettura. La magia del Bramante colpisce non appena si varca la soglia della chiesa. Dietro l’altare si percepisce un grande spazio impreziosito da colonne e decorazioni. Quello spazio in realtà non esiste. È pura finzione resa incredibilmente reale da una prospettiva che ha del prodigioso. Tra l’altare e le decorazioni alle sue spalle ci sono solo 97 centimetri, a dispetto dei quasi dieci metri percepiti e previsti dal progetto originale. Mentre ci si avvicina è difficile pensare che quel coro tanto tangibile sia frutto di un’illusione resa possibile dal virtuosismo di uno dei massimi artisti del Rinascimento. Eppure, è così, in quello spazio che non c’è scorre via del Falcone, erede di quella strada che, in fase di ricostruzione della chiesa, negò l’esistenza di un’abside reale con tanto di coro. La diocesi non ottenne i permessi necessari, ma grazie all’inganno prospettico, l’arte riuscì ad aggirare la burocrazia senza viola-

re alcuna norma, eccezion revole ingegnere ducale al fatta per le regole della fi- servizio degli Sforza. Nel sica. Come per tutti i lavo- lungo elenco spiccano la cari attribuiti a Bramante in nonica e due chiostri della Lombardia, anche nel ca- basilica di Sant’Ambrogio, so dell’abside che non c’è dove oggi è ospitata l’unidi San Satiro, è impossibi- versità Cattolica, e la trile capire quale sia la reale buna di Santa Maria portata del suo intervento. delle Grazie, chiesa nel La scarsità dei documen- cui refettorio è conservati pervenuti fino a noi, in- to il Cenacolo di Leonardo. fatti, avvolge in una nube Paradossalmente l’unica di mistero la sua presenza opera di cui abbiamo noa Milano, durata vent’anni tizie certe, scritte di pugno alla fine del Quattrocento, da Bramante stesso, rappree il contributo che lo stes- senta un’occasione mancaso avrebbe offerto per la ta. Il grande architetto nel realizzazione delle opere suo Opinio super domiciche sono associate al suo lium seu templum magnum nome. Nei vari casi è im- propose di risolvere il propossibile distinguere se blema del tiburio mancanBramante sia stato prota- te del Duomo attraverso la gonista di un intervento costruzione di una struttudiretto in cantiere oppu- ra in stile gotico che si arre l’autore di schizzi essen- monizzasse per “fortezza, ziali poi rielaborati da altri conformità cum el resto de architetti, o ancora il sem- l’edificio”. La sua opinione, plice ispiratore di qualche in quel caso, fu ignorata. suo discepolo. Nonostante A non essere ignorato pei dubbi e le perplessità, so- rò fu il modello bramanteno molti gli edifici mi- sco che a Milano continuò lanesi in cui si pensa sia a fare scuola per i primi intervenuto con il suo genio. decenni del Cinquecento, E non potrebbe essere al- molto tempo dunque dotrimenti: in quegli anni po la sua partenza dalBramante era il più auto- la città registrata nel 1499.

Seleziona artisti per esposizioni d’Arte Contempornea nel quartiere dei Navigli. Per le selezioni inviare immagini delle proprie opere a sabrinafalzone@gmail.com

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Antologica di Silvio Consadori

Al Museo Diocesano l’arte figurativa dell’artista bresciano Ugo Perugini

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cento anni dalla nascita di Silvio Consadori, il Museo Diocesano di Milano presenta un’antologica, curata da Flaminio Gualdoni, nella quale saranno presentate settanta opere dell’artista bresciano, morto nel 1994, e una monografia – realizzata dallo stesso Gualdoni insieme alla figlia del pittore, Anna Maria, – che ripercorrono l’iter creativo di uno dei più importanti esponenti della cultura figurativa. Consadori studia a Brescia e

all’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel 1928 ottiene una Borsa di Studio che gli permette di recarsi a Parigi dove resterà alcuni anni. Pittore schivo e appartato, fin dai suoi esordi nel corso degli anni Trenta, pur sensibile ai richiami della modernità, resta legato ai valori della tradizione. Alla pittura d’atelier con una serie di paesaggi (Venezia, Milano, Lago di Garda, Iseo, ecc.) e ritratti (tra cui quello al Papa Paolo VI), alterna affreschi in luoghi sacri come il Santuario di Cascia, quello d’Oropa, la Chiesa

di Santa Maria delle Grazie a Milano, la Cappella degli Svizzeri e la vetrata nella cappella privata del Papa in Vaticano. Un lavoro, del quale Consadori fu parti-

colarmente orgoglioso, fu della Vergine. Consadori Sue opere sono esposte in la realizzazione dei dodi- nel 1941 inizia la sua atti- diverse istituzioni e musei ci affreschi nella Chiesa di vità di insegnamento pres- italiani. Presso la Galleria San Giuseppe al Trionfale so il liceo Artistico di Brera, di Arte Sacra Moderna in di Roma con motivi evan- dove rimarrà fino al 1973. Vaticano – alla realizzagelici ed episodi della vita Anche la Biblioteca dell’Ac- zione della quale egli stescademia di Brera ha voluto so collaborò insieme al celebrare il centenario del- segretario di Papa Paolo la sua nascita, mettendo a VI, don Macchi – vengono disposizione del pubbli- ospitati due suoi importanco un’ampia scelta di dise- ti lavori: Il discorso delgni realizzati dall’artista. la montagna e Il Crocifisso. Occorre ricordare che Il Museo Diocesano si Consadori nel corso del- trova in corso di Porta la sua vita ha partecipato Ticinese 95. Orari dal anche a varie Biennali di martedì alla domenica 10Venezia, alla Quadriennale 18, lunedì chiuso. Biglietti: di Roma, al Premio intero 8 euro, ridotto 5 euSilvio Consadori, Neve a Milano 1982 Bergamo e alla Permanente. ro; solo il martedì 4 euro.

Santa Maria Incoronata Da postribolo a Tempio Civico

Ivana Metadow

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el 1487, nell’allora via Dei Lomellini a Lodi, sorgeva una taverna con annessa casa malfamata. Il desiderio di devozione per la salvezza da una pestilenza, la volontà di risanare un quartiere depravato, l’attività delle associazioni laiche, il mecenatismo del Vescovo Carlo Pallavicino e soprattutto un evento miracoloso legato alla Vergine Maria, furono le motivazioni che portarono alla costruzione del “Tempio Civico di Santa Maria Addolorata” proprio al posto del postribolo. Dopo una prima messa celebrata da un altare provvisorio nel Dicembre del 1487, la prima pietra, che diede ufficialmente l’avvio ai lavori di costruzione, fu posata a Maggio del 1488. Maggio, il mese dedicato alla Beata Vergine Maria, si celebrava così la vittoria dell’amore puro, in contrapposizione all’amore pubblico che trovava la sua concreta manifestazione in quella famigerata taverna. Qualche giorno fa un giovane “lodigiano doc” elogiando la sua città, mi faceva notare che è assurdo non visitare la Chiesa dell’Incoronata che si presenta come la più bella opera architettonica e artistica di Lodi. E aveva ragione! Entrare in questo luogo lascia senza fiato, ammirati dagli spazi, i colori, le luci e le ombre, i dipinti e la ricchezza delle pareti; un meraviglioso esempio per la contemplazione del Divino: il primo edificio rinascimentale a pianta centrale “compatta” nell’Italia settentrionale del tempo. La Chiesa venne definita fin dalle origini Tempio Civico proprio per sottolineare il concreto rapporto laico con nobili e borghesi, ribadito anche dalla presenza di vari stemmi all’interno della costruzione. Nobili e borghesi del tempo con l’ambizione di elevare la città di Lodi a prestigioso centro economico, politico e culturale, creando così

un’opera artistica all’avanguardia nell’evoluzione del gusto. Il progetto fu affidato al Battagio, collaboratore di Bramante, lodigiano, ma da tempo trasferitosi a Milano. Forse per il suo carattere forte, ebbe una serie di dissensi con i fabbricieri, per questo la direzione dei lavori passò a Gian Giacomo Dolcebuono, che comunque pare si sia attenuto al progetto originario. Oggi la Chiesa è circondata da edifici e risulta difficile dall’esterno cogliere la pianta ottagonale e le forme rinascimentali. Solo la parte alta emerge, in mattoni a vista, con grandi finestre a tutto sesto che si aprono su ogni lato dell’ottagono in corrispondenza del loggiato interno. A coronamento esterno dell’edificio, una balaustra in pietra sotto la quale si sviluppa un cornicione. Lungo il lato di accesso alla Chiesa, verso la strada, si apre un portico a tre arcate chiuso da una cancellata e sulla sinistra dell’edificio, il campanile, pare l’unico realizzato di due campanili gemelli previsti. Se si ha la fortuna di entrare in Chiesa in un giorno di sole, si rimane abbagliati dallo splendore dei colori e dal riverbero dorato delle pareti. Si può venire accolti da un cordiale e competente custode che accompagna nel percorso e racconta, anche lui ancora compiaciuto, le bellezze pittoriche e architettoniche dell’interno. Effetti ottici particolari, volte che appaiono tali pur non essendoci, come nella Sacrestia settecentesca, l’antico Monte di Pietà, o piccoli elementi pittorici che corrono il rischio di passare inosservati, come i due uccellini posati su un tirante e il pavone che fanno con modestia, mostra di sè nell’Annunciazione del Bergognone, posta a lato dell’Altare Maggiore. Bellissimo! Sull’Altare l’effige della Madonna con Bambino, da cui l’evento miracoloso all’origine della costruzione. Il dipinto si fa risalire a Giovanni Della

Chiesa, così come l’esecuzione di sei piccoli riquadri, raffiguranti Arpie e venuti alla luce durante gli ultimi restauri del 1989. Del Bergognone anche la “Presentazione al Tempio” nella Cappella di San Paolo. E’ questo un dipinto molto interessante perchè ambientato all’interno della Chiesa stessa, permettendoci quindi di ammirarne la struttura originaria a parte la pavimentazione, che così come oggi la vediamo, è stata realizzata in un momento successivo, intorno al 1540 da Cristoforo Pedoni. Altri artisti molto importanti nel panorama lombardo del tempo, con-

tribuirono alla realizzazione di dipinti prestigiosi. Del Callisto Piazza e la sua famiglia i dipinti della Cappella di San Giovanni Battista e della Cappella della Crocifisso, dove, attraverso quattro tele, vengono “fotografati” gli avvenimenti principali della vita di Giovanni il Battista e del momento dell’arresto, la flagellazione, la caduta e la morte di Gesù. Una nota di rilievo merita l’organo, le cui ante, opera certa di Matteo Della Chiesa, rappresentano, all’esterno, San Bassiano e Sant’Alberto, Vescovi di Lodi, e all’interno, Santa Caterina d’Alessandria e la Madonna col

Bambino. Al barocco si rifà invece la Cappella dietro l’Altare Maggiore, la cui abside fu affrescata dal Legnanino nel 1699, con il grande dipinto dell’Incoronazione di Ester. Che dire ancora...così come impor-

tanti personaggi del nostro tempo, da Lady Diana a Re Baldovino del Belgio, vi consiglio di fare quattro passi e di entrare in questo Tempio Civico, che poco ha di laico, ma molto di religiosa artistica armonia.

Palazzo Fontana Silvestri Lo stile tardogotico-rinascimentale in corso Venezia

Casa Fontana Silvestri -Cortile- Foto Giovanni Dall’Orto, 2007

Rosa Parisi

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l palazzo Fontana Silvestri, corso Venezia n.10, in stile tardo-gotico/ rinascimentale e con facciata ornata in cotto e portale in pietra di Angera fu voluto dai nobili Fontana; essi dal 1466 al 1482 ebbero la custodia militare della porta Orientale della città. Dai documenti, facendo un cammino a ritroso, si evince che il nucleo preesistente fu fatto modificare da Francesco Fontana. Il nobiluomo commissionò l’ampliamento di due piccole case esistenti sul-

la strada per ricavarne una sontuosa residenza in, data l’epoca, stile rinascimentale. Non è dato sapere con certezza chi furono gli artisti e gli artefici che la edificarono e decorarono. Il palazzo fu rifatto secondo lo schema in voga: due ordini di finestre incorniciate in cotto, quadrate in basso, a tutto sesto e centinate in alto. Il portale, attribuito a Tomaso da Cazzaniga, in pietra di Angera, è incorniciato da due colonne. Nei pennacchi vicino alle colonne sono scolpiti due medaglioni identificabili con Nerone e Galba. La facciata

presentava una decorazio- ancora da Paolo Lomazzo ne pittorica: semicolonne che palazzo Fontana passò a piano terra, paraste deco- nel secolo successivo alla farate al piano superiore e in- miglia Pirovano, preceduta fine fregio sottogronda con per un breve tempo dagli ricco motivo ornamentale. Scaccabarozzi. L’ultima ereLa decorazione, esaltata dal de, Isabella Pirovano, spoLomazzo e da lui attribui- sò il conte Guido Antonio ta al Bramante, oggi non è Stampa e casa Fontanapiù visibile. Dagli scritti del Pirovano divenne casa Lomazzo apprendiamo che Stampa, come annotano gli la facciata era stata dipinta autori settecenteschi di stoad architettura con quattro ria milanese. La pronipote grandi nicchie contenenti di Isabella Pirovano spofigure gigantesche in color sò un Castiglioni. Si debronzo, quasi delle statue. ve alle famiglie Stampa e Oltre il portale, il cortile. Castiglioni la costruzione Esso è recinto su due lati da della casa verso il Naviglio portici a quattro arcate cia- di San Damiano. Siamo nel scuno e sul terzo lato da un 1700 e l’edificio è adorno di portico sovrastato da una numerose finestre e decoserie di finestre. Ai due la- razioni rococò. La facciata ti del cortile, al piano su- sul Naviglio viene poi rifatperiore, in corrispondenza ta nell’800 dal Besia e dedelle colonne dei portici, corata dal Sanquirico. In un loggiato ad archi. Le ar- quegli anni la casa passa cate sono rette da candela- alla famiglia Silvestri (inbre. La candelabra, motivo dustria meccanica Comi, ornamentale con le fattez- Grandona, divenuta poi ze di una pittoresca colon- Miani e Silvestri e infine na, era ornamento ripetuto O.M.). Il palazzo Fontana in casa Fontana e altrove, Silvestri, bombardato dupoiché, come voleva il gu- rante l’ultima guerra, è stasto del tempo, evidenziava to restaurato da Ferdinando l’autorevolezza e la dignità Reggiori. Gli ultimi indella casata. Apprendiamo terventi risalgono al 1961.


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Seta, oro, cremisi Brera e la guerra L’eccellenza al Poldi Pezzoli Le peripezie delle opere

Clara Bartolini

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egreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza, in mostra fino al 21 Febbraio. Questa sorprendente mostra illustra attraverso la produzione tessile più ricercata, lo sviluppo e l’innovazione artistica e tecnologica di questo settore dal 1442, anno in cui Filippo Maria Visconti invita due setaioli che giungono da Firenze e da Genova a Milano, città che diventa luogo di ricerca e di eccellenza nella produzione serica. Lo spettatore può fruire di un’illuminazione che rende i tessuti bassorilievi che par di toccare facendone apprezzare ogni punto, ogni ricamo, ogni filo metallico e ogni mageta, le tipiche paillettes dell’epoca. A Luca Rolla va il merito di aver saputo sapientemente valorizzare con la luce i preziosissimi tessuti. Chiara Buss, direttrice del Dipartimento Arti Applicate ISAL, e Annalisa Zanni, direttrice del Museo Poldi Pezzoli, hanno invece il grande merito di avere realizzato questa mostra coinvolgendo, per gli studi sui tessuti iniziati nel 2007, ricercatori, storici dell’arte e del costume, imprese tessili oltre alle istituzioni regionali, tutti travolti dal loro contagioso entusiasmo. Il tessuto, come in un vero giallo che si rispetti, ha proposto agli studiosi incredibili rompicapi, è stato difficile decifrare da quale luogo d’Europa proveniva l’artefice delle trame e quale fosse l’hanno esatto di produzione. Strumenti di sofisticata modernità e una puntigliosa e maniacale ricerca hanno permesso di capire che sullo stesso tessuto avevano lavorato mani provenienti da diverse città d’Italia e d’Europa. Le comparazioni con opere pittoriche d’epoca hanno permesso datazioni ancora più precise. I migliori artigiani contribuirono al successo di Milano e della sua produzione tessile apprezzata ovunque per la già affermata tecnologia d’avanguardia e per la capacità di realizzare broccati, velluti, damaschi, carichi di storia e di ricami impreziositi da fili d’oro, argento e perle. Capolavori ineguagliabili e ineguagliati dalla tecnologia contemporanea sono esposti per la prima volta e, data la fragilità, forse per l’ultima. Il cremisi, declinato dal rosso acceso alle tonalità più scure, sorprende per la sua opulenza. Questa sostanza colorante derivata da una cocciniglia della quale si faceva commercio ad alti costi, colora l’evoluzione tessile milanese divenuta fiore all’occhiello della città grazie alla

Caftano © Museo Nazionale d’Arte della Romania, Bucarest

lungimiranza e alla volontà degli Sforza. La manodopera femminile, decisamente preferita a quella maschile per la realizzazione di queste sete, portò queste ricamatrici artiste a raggiungere apici di professionalità che le rese ricche e detentrici di un vero status sociale privilegiato. Questi manufatti tessili permettono di comprendere il “tessuto” culturale e sociale dell’epoca, e la centralità di Milano in seno all’innovazione e alla ricerca di nuove tecnologie nella seconda metà del Quattrocento italiano. Si scopre come il tessuto con i suoi ricami sia un mezzo per rappresentare e rendere immediatamente visibili i simboli delle vittorie, dei momenti di gloria, degli eventi significativi, delle gesta che danno prestigio al casato e diventano un mezzo di comunicazione politica. Ludovico il Moro usa le imprese per costruirsi una potente identi-

tà personale raffigurandole ricamate con sfarzo sui suoi abiti. Tra le opere più significative esposte in mostra: Il paliotto con lo stemma di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este proveniente dal Museo Baroffio e del Santuario del Sacro Monte di Varese, e la Madonna con il bambino di Giovanni Ambrogio Bevilacqua, prestato dalla Pinacoteca del Castello Sforzesco. Il Poldi Pezzoli si conferma ancora una volta in prima linea per la ricerca e la valorizzazione del patrimonio tessile lombardo. Per chi desiderasse approfondire, la divulgazione di questa ricerca si sviluppa con il Catalogo Multimediale consultabile sul sito: www.setainlombardia.org, il primo volume della Collana “Seta in Lombardia, sei secoli di

produzione e design”, edita da Silvana Editoriale, la mostra all’Archivio di Stato “La Milano degli Sforza”, i corsi: 300 ore nelle scuole di design e di specializzazione. Saranno inoltre annunciati, di volta in volta, incontri aperti al pubblico al Museo Poldi Pezzoli e in varie sedi lombarde.

Fabrizio Gilardi

Dall’11 novembre 2009 al 21 marzo 2010 si terrà, nella sala XV della Pinacoteca, la mostra “Brera e la guerra” curata dalla dott.ssa Cecilia Ghibaudi, responsabile per i territori della provincia di Sondrio della Soprintendenza ai beni artistici. Si tratta di un allestimento realizzato con il materiale fotografico raccolto negli archivi della Soprintendenza, relativo al- tra il 1917 e il 1918, visto le peripezie subite dal com- l’avvicinarsi della minacplesso di Brera e soprattutto, cia a causa della disfatta di dalle opere in esso conser- Caporetto, il patrimonio vate, durante i due conflitti artistico venne spostato in mondiali del secolo scor- diverse località, ma per la so. Le immagini ci danno maggior parte a Roma e in la possibilità di ripercorre- Vaticano. La guerra, come re un tormentato cammino si sa, prese poi sorti più fache parte dagli anni del- vorevoli alla parte italiana la prima guerra mondia- e la città di Milano conoble quando, sotto la vivace, be un solo bombardamenlunga e ricca di acquisizio- to aereo da parte austriaca ni, direzione del soprinten- il 14 febbraio 1818, che fu dente Ettore Modigliani, la causa di 18 morti, ma non Pinacoteca fu chiusa po- di grossi danni a edifici chi giorni dopo l’entrata in storici. Ben più massicce guerra dell’Italia. Le cor- furono le distruzioni caunici rimasero sulle pare- sate dai bombardamenti ti, mentre i dipinti vennero della seconda guerra monimballati entro casse e siste- diale e, in particolare, le mati in un locale al piano architetture del complesterreno attiguo all’Ufficio so di Brera subirono graEsportazione, protetto da vissimi danni. Tuttavia le tre ordini di volte. I dipin- opere della Pinacoteca erati di grande formato, come no già state portate lontala grande pala dei dome- no all’inizio della guerra, nicani di Pesaro di Gian cosa che non impedì loro Gerolamo Savoldo o la di divenire oggetto di avPredica di San Marco di venturose traversie. La coGiovanni e Gentile Bellini, raggiosa, a volte disperata, furono trasportati nella sa- opera di salvataggio cola XVIII, ritenuta più soli- nobbe momenti eroici: da, e difesi da muri formati Pasquale Rotondi a Urbino da sacchi di sabbia impi- riuscì a salvare il “tesoro di lati. Ma solo nell’inverno San Marco” e le opere di

Brera (fra cui lo Sposalizio della Vergine di Raffaello e la Pala Montefeltro di Piero della Francesca), sottraendole con uno stratagemma ai tedeschi, che le avevano messe “sotto la tutela del Terzo Reich”; infine giunsero indenni a Roma per essere ricoverate al sicuro in Vaticano, aperto da Pio XII ai capolavori italiani. A Milano Guglielmo Pacchioni sfilò da sotto il naso delle truppe hitleriane parte della raccolta di Palazzo Venezia - che Mussolini, come proprietà privata, voleva portare in Germania - nascondendole presso la sede milanese della Banca d’Italia, complice il direttore. Nel corso del secondo conflitto la Soprintendenza fu nelle mani di Guglielmo Pacchioni, cui era stata affidata in sostituzione di Ettore Modigliani, emarginato a causa del clima creatosi nei confronti della comunità ebraica cui egli apparteneva. Alla fine della guerra Modigliani venne reintegrato nell’incarico, facendo in tempo, nel suo ultimo anno di vita, ad impostare il lavoro di ricostruzione di Brera che verrà poi completato sotto la direzione della sua collaboratrice Fernanda Wittgens che gli succedette alla Soprintendenza, su progetti dell’architetto Piero Portaluppi. La Pinacoteca di Brera è aperta dal martedì alla domenica, dalle 8.30 alle 19.15. Il costo del biglietto è di 10 euro.

Leonardo e il cantiere del Duomo Multimedia, laboratori e animazione

Ugo Perugini

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a Cattedrale del Duomo rappresenta l’identità stessa di Milano e dei milanesi. Conoscere la sua storia è quasi un obbligo per chi vive nella nostra città e la ama. Soprattutto se si scopre che un genio come Leonardo ha avuto un ruolo importante, anche se spesso non riconosciuto, nelle vicende che hanno portato, tra l’altro, alla realizzazione del tiburio. Ricostruire vicende storiche di questa portata, però, può risultare impegnativo e poco attraente per i giovani. Occorre, quindi, trovare soluzioni divulgative adatte, più moderne, in grado di coinvolgere realmente le nuove generazioni. Il Museo della Scienza e della Tecnologia c’è riuscito

con un progetto, realizzato dall’Associazione Iris e dalla Veneranda Fabbrica del Duomo con il sostegno della Fondazione Cariplo ed il contributo del Comune, che ha saputo modulare strumenti multimediali, esperienze dirette di labo-

ratorio e animazione teatrale in un mix molto efficace. Grazie ad un programma multimediale, una specie di sofisticato videogioco con funzioni interattive, è possibile ricostruire le vicende legate al Cantiere del Duomo,

www.OKARTE.org

ascoltando gli stessi protagonisti della vicenda le cui voci sono affidate ad attori. Gian Galeazzo, ad esempio, espone il suo progetto: “Una grande cattedrale di marmo bianchissimo, a onore e gloria della grande casata dei Visconti”. Leonardo e Bramante discutono sull’idea del tiburio. Ma c’è di più. Si potrà viaggiare virtualmente all’interno della basilica, ricostruita con grande precisione in tre dimensioni, durante i diversi periodi di costruzione, studiarne l’architettura da tutte le prospettive possibili, esaminare documenti dell’epoca, disegni, progetti, lettere. D’altra parte, la realizzazione del Duomo non ci sarebbe stata senza il contributo degli operai e, soprattutto, degli scalpellini.

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Ecco, allora, che i giovani avranno la possibilità di diventare per un giorno loro stessi scalpellini, utilizzando gli strumenti necessari (martello e scalpello) e i materiali più adatti per realizzare gli elementi decorativi della facciata. Calarsi in un’epoca, poterla rivivere, risentirne i rumori, i suoni è esperienza davvero unica che viene stimolata anche attraverso un’animazione teatrale allestita nella sala attigua alla Galleria di Leonardo. Un attore, in abiti d’epoca, racconterà ai visitatori come si svolgeva una lunga giornata di lavoro alla Fabbrica del Duomo, mostrando strumenti e oggetti utilizzati più di 500 anni fa. www.museoscienza.org Museo della Scienza e della tecnica Via San Vittore 21, 20123 Milano


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Leonardo da Vinci a Milano

Il San Giovanni Battista dal Louvre a Palazzo Marino Giuliana de Antonellis

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na mostra monografica di altissimo livello per un altro straordinario evento: “IL SAN GIOVANNI BATTISTA DI LEONARDO” dal 27 novembre al 27 dicembre 2009 esposto a Palazzo Marino, Piazza Scala, 2 Milano. Non si è ancora spenta l’eco di Caravaggio

ed ecco arrivare Leonardo con la mostra “Leonardo a Milano”. In questa mostra il pubblico è chiamato ad un confronto diretto e approfondito con un grande capolavoro leonardesco che è posto al termine di un percorso propedeutico (una serie di pannelli didascalici, immagini e video, utili alla comprensione del qua-

dro) in un apposito spazio, custodito da una delle speciali teche costruita dal Laboratorio Tecno Museale Goppion. Grazie ad un’illuminazione appositamente creata da Light Studio, la preziosa tavola leonardesca può essere ammirata dal visitatore a stretto contatto, in tutti i suoi straordinari particolari come lo sguardo

La storia di Marianna Al Castello Sforzesco la “vera” Monaca di Monza

Mauro De Sanctis

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l lavoro storiografico è narrazione. Allo stesso modo, sotto lo stesso aspetto e nel medesimo momento l’opera d’arte, quella di taglio storico, certo, ma non solo, è ridisposizione delle istantanee della memoria, riformulazione del filo discorsivo che tiene in stretta relazione il presente temporale con il passato storico che gli si sottrae, rilegatura dei nodi linguistici che fermano la zattera dell’accadere immediato alle sempre differenti acque del trascorrere temporale. Marianna era la nipote di Antonio de Leyva, primo governatore spagnolo della città di Milano, condottiero al fianco degli Sforza e di Carlo V nella guerra che oppose, nel Cinquecento, questi ultimi a Francesco I di Francia. Fu la nobiltà del suo sangue la causa dell’appellativo che per tutta la vita la segnò come «la Signora»; sacrificata dai suoi più stretti parenti sull’altare della ragione del casato, costretta a prendere il velo contro la sua volontà, fu quella medesima nobiltà di sangue a rivoltarsi contro se stessa, conducendola verso le profondità di un abisso dove lussuria, sacrilegio e omicidio aprirono l’unica possibile via alla salvezza, alla redenzione dall’assurdo di una santità indotta. In questo modo fu monaca a Monza, divenne suor Virginia Maria; ma certo è conosciuta meglio con il nome

di Gertrude, che Manzoni volle dare al personaggio che nel suo romanzo più famoso incarna l’umanità radicale di Marianna, il suo efferato soffrire. Ma non solo Manzoni: il vertiginoso dolore di questa figura che non ha oltraggiato il sacro con la propria indifferenza, ma lo ha onorato con il sacrilegio non aveva altro da offrire, mite fino all’erotismo e fragile fino all’assassinio delle sue consorelle, ha attirato su di sé l’attenzione di molti autori che ne hanno fatto tema centrale di un gran numero di opere letterarie, ma anche pittoriche, teatrali e cinematografiche. Dal 24 novembre 2009 fino al 21 marzo 2010 quello stesso Castello Sforzesco di Milano in cui Antonio de Leyva aveva stabilito il quartier generale delle proprie truppe ospiterà una rassegna dedicata alla figura di Marianna, alla sua vicenda storica ed alle numerose riletture e rielaborazioni che gli sguardi di molti artisti hanno saputo formulare nei secoli successivi alla fine della sua tragica vicenda. L’esposizione vanta la presenza di importanti documenti storici quali gli atti del processo che vide suor Virginia Maria e il suo amante, Gian Paolo Osio, accusati e condannati, tra le altre cose, per l’omicidio di una giovane conversa che aveva scoperto la loro relazione; atti che testimoniano della condanna a morte del nobiluomo monzese, e

della terribile pena inflitta alla Signora, murata viva per quattordici anni in una cella, senza aperture «se non tanto spiracolo bastante a pena per dire l’Ofitio». Le lettere di supplica della monaca a Federico Borromeo rimangono a memoria della sua richiesta di perdono. E ancora, il volto di Marianna è indagato nelle tele di maestri del calibro di Hayez, Mosè Bianchi e Previati, mentre cinema e teatro non fanno mancare esempi dell’esplorazione dei territori di una psiche condannata al tormento ancora prima di venire al mondo. «La monaca di Monza», una produzione Alef con il patrocinio di Opera d’Arte Milano, è così l’occasione anche per sviluppare una rivisitazione dei luoghi che hanno fatto la storia della Lombardia del ‘600, oltre che per un’analisi del tema delle malmonacate che affolla la vicenda letteraria e sociale italiana e non solo – da Dante a Boccaccio, da Pope a Diderot, da Verga a Pascoli a Palazzeschi – ponendo l’accento sul drammatico tema della reclusione femminile, problema sicuramente meno remoto nello spazio e nel tempo di quanto ci sia facile pensare. La vocazione specificamente didattica della rassegna è arricchita da itinerari aggiuntivi che accompagneranno chi vorrà in un viaggio attraverso la Milano manzoniana oppure in una visita al Castello Sforzesco, altrimenti invisibile, proprio perché sotto gli occhi di tutti. All’imbocco di via della Signora a Monza è dipinta una Madonna con Bambino. Madre, amante, santa: l’immagine sublime di tutto ciò che Marianna avrebbe potuto essere, ma di cui non poteva, non c’è davvero altro modo per l’uomo, che incarnare il riflesso in uno specchio rovesciato. La mostra si propone così come un ulteriore livello di lettura di un personaggio storico la cui vicenda non cessa mai di essere rienunciata: ogni nuova narrazione ne finge la verità. È il lavoro dello storico. È il lavoro dell’artista. Dal 24 novembre fino a marzo 2010 al Castello Sforzesco.

magnetico, il sorriso enigmatico (che tanto ricorda quello della Gioconda) o il rimando alla spiritualità dato dal gesto della mano. Il San Giovanni Battista del Louvre è una delle opere più enigmatiche eseguite da Leonardo da Vinci e segna il culmine della sua produzione pittorica. Ci sono fondate ragioni per credere che esso sia il suo ultimo dipinto e che rappresenti una intera vita di ricerche sulla tecnica dello sfumato e sugli effetti di luce. Il quadro si trovava già terminato, nello studio di Leonardo, nel 1517, a Colux in Francia, paese dove trascorse gli

ultimi anni della sua vita. Questo dato ci permette di comprendere l’importanza dell’opera dalla quale il maestro per lungo tempo non

volle separarsi. Fu esposta a Milano nel 1939 nella mostra dedicata a Leonardo, evento di grande rilevanza anche in considerazione della delicatezza del momento storico che l’Europa stava attraversando e da allora non è più tornata in Italia. La mostra promossa dal Comune di Milano e da Eni, in collaborazione con il Museo del Louvre e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, curata da Valeria Merlini e Daniela Storti, prodotta da Aleart, allestimento di Elisabetta Greci, si avvale di un catalogo ragionato, prodotto dalla casa editrice Skira. www. comune.milano.it.

Shunga a Palazzo Reale Arte ed Eros dal Giappone

Giuliana de Antonellis

li Shunga, termine giapponese che significa «immagini della primavera», sono opere a soggetto erotico considerate tra le più significative espressioni della corrente artistica dell’ukiyo-e. Create con la tecnica della stampa xilografica (dal 1791 anche policroma), esse raggiunsero la loro massima fioritura nel periodo dello shogunato dei Tokugawa, tra il 1603 e il 1867. Essi esprimono i valori del nuovo ceto borghese delle grandi città, composto da mercanti, artigiani e artisti, escluso dal potere

attraverso le librerie ambulanti a prestito. Questi libri Shunga inoltre erano destinati all’educazione delle cortigiane e delle fanciulle che andavano spose, come utile vademecum per l’avviamento alla vita sessuale, oppure inseriti nei bauli dei guerrieri, per il loro potere di preservare dalla distruzione e di condurre alla vittoria. Collezionate segretamente in Europa, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, esse furono motivo di ispirazione diretta di letterati ed artisti della levatura di Zola, Van Gogh, Toulouse-Lautrec e Klimt, e influirono in modo signifi-

collezione romana “Antichi Kimono”. La presenza di questi abiti ci ricorda come la massima espressione dell’erotismo giapponese non sia costituita dal corpo nudo, bensì dalla nudità che trapela attraverso il rivestimento dell’abito. L’esposizione si compone di circa 100 opere, 30 libri originali e 10 preziosissimi Kimono. Le opere provengono dal Museo delle Culture della Città di Lugano e da collezionisti privati svizzeri e italiani. Si tratta della più grande esposizione mai realizzata dedicata al genere degli shunga. Prevede un sito interattivo dedica-

politico ma economicamente fiorente, con il quale si affermò in quegli anni una concezione edonistica dell’esistenza in contrasto con la rigida morale neoconfuciana, sostenuta dalla classe guerriera dei Samurai che reggeva il governo centrale del Giappone. Furono molto apprezzati sia come stampe a sè stanti, pubblicate generalmente in album di 12 fogli e destinate a un pubblico di amatori d’arte, sia come illustrazioni per libri erotici fruiti soprattutto

cativo sulla riflessione artistica nell’ambito dell’Orientalismo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo. L’esposizione, a cura del Museo delle Culture, è allestita nelle sale degli appartamenti storici di Palazzo Reale e si articola in quattro sezioni di carattere al contempo tematico e cronologico. Il percorso espositivo è costellato dalla presenza di kimono di squisita fattura, datati dal periodo Meiji (1868) al periodo Taisho (1960), provenienti dalla

to, nonché conferenze, incontri di approfondimento e una rassegna cinematografica al Cinema Gnomo di Milano. L’esposizione è accompagnata da un catalogo curato da Marco Fagioli e Günther Giovannoni edito da Mazzotta. Palazzo Reale fino al 31 gennaio 2010. Informazioni aggiornate a riguardo si potranno avere consultando i siti w w w. m o s t r a s hu ng a . it ; w w w. c omu n e . m i lano.it/palazzoreale w w w. m a z z ott a . it

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L’Ottocento alla GAM di Milano

Silvia Colombo

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e a Milano volessimo compiere un salto nel XIX secolo, potremmo recarci alla Galleria d’Arte Moderna; lì, al secondo piano di villa Reale, troveremmo ciò che fa per noi. Immediatamente, nella stanza adiacente alla Sala da Ballo, incrociamo gli sguardi di Alessandro Manzoni (1874 ca.), della contessa Morosini (1858 ca. e 1879 ca.) – da bambina e da giovane donna, quando ormai è consunta dalla malattia, come il fiore che si trova nella sua mano sinistra – e della regale cantante lirica Matilde Juva Branca (1851 ca.), ritratti dal pittore veneto che tanto successo ha avuto nella città meneghina nel corso dell’Ottocento, Fran-

cesco Hayez. Poco più in là, in una dimensione spaziotemporale adiacente, quando lasciamo alle nostre spalle le raffigurazioni dal vero, ci tuffiamo nei grandi temi della letteratura, della storia e della borghesia, ma anche di eros e thanatos: è questo il luogo in cui le Cleopatra, prova giovanile di Previati (1888 ca.) l’una e opera di Mosè Bianchi (1864-1865) l’altra, moriranno languidamente all’infinito in seguito al morso dell’aspide, e dove i Paolo e Francesca – acquerello di Bianchi (1877 ca.) e statua di Alessandro Puttinati (1863 ca.) – saranno per sempre trasportati dalla bufera infernale del girone in cui giacciono, condannati. Il tutto nella totale indifferenza della Lettrice di Federico Faruffi-

ni (1864-1865) che, imperterrita, prosegue la lettura fumando la sua sigaretta. E dopo gli stralci di quotidianità dipinti dai fratelli Induno e venati da un patetismo latente, e in seguito alla stanza degli orientalisti, filone tematico che nasce con la scoperta del diverso, di un mondo che affascina, al di fuori dei confini della piccola Europa, con i suoi colori rutilanti e le figure femminili discinte, alle prese con una raffinata sensualità, arriviamo all’opera del Piccio e degli Scapigliati. E quindi ai gessi preparatori per il Monumento alle Cinque Giornate di Grandi (alcuni dei quali si trovano attualmente esposti alla mostra della Scapigliatura presso Palazzo Reale), ai ritratti storicizzanti di Tran-

Villa Simonetta Il prodigio dell’Eco

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osteggiando il Cimitero Monumentale e prendendo una traversa di Viale Cenisio si arriva in

via Stilicone, che il poeta Giovanni Giudici, aveva descritto nella omonima poesia come “una via che a Milano è fra le più tristi che io conosca – una fila di case e quasi niente, a confortarle dalla parte opposta“. Il che è vero considerando i brutti palazzi sorti dopo il boom economico… ma fra questi vi è, al numero 36, una perla nella storia dell’architettura milanese, la villa Simonetta. La villa, appartenuta alla nobile famiglia della casa Simonetta è oggi sito del Politecnico della cultura, delle arti e delle lingue e al contempo luogo dell’Accademia della musica nonché delle scuole civiche. Incorniciata dal verde, la villa, inizialmente solo come unico corpo rettangolare, si presenta attualmente in una pianta a U, in quanto le due ali laterali sono state aggiunte successivamente nel 1547 dall’architetto Domenico Giunti, crea un interessante rapporto con il paesaggio circostante integrandolo e abbracciandolo. Anche frontalmente si nota un dialogo con l’ambiente grazie al preminente loggiato in facciata, il quale appunto permette un maggior dinamismo all’edifico altrimenti statico. Edificata

intorno alla fine del ‘400 su commissione di Gualtiero Bascapè, cancelliere di Ludovico il Moro, rispecchia appieno, anche se non nell’intenzione iniziale, la

concezione filosofica neoplatonica, allora corrente, che richiede all’uomo un rapporto di armonia con il mondo circostante e con la natura. Infatti all’epoca della costruzione il verde era costituito da un giardino all’italiana, e subisce poi, per volere del governatore di Milano Ferrante Gonzaga, modifiche, che comportano l’attuale impianto a U, raro nel tessuto architettonico milanese. Viene così trasformata in una sontuosa residenza di rappresentanza, poi passata di proprietà ai Castelbarco, quindi ai Clerici e ancora agli Osculati, fino a diventare possedimento dei Simonetta. La villa presenta caratteri rinascimentali e quindi quattrocenteschi, come il porticato a cinque arcate con capitelli bramanteschi collocato nel lato est dell’edificio, caratteri classicisti del ‘500 come il porticato a nove arcate di colonne toscane alternate a colonne con capitelli corinzi presenti nella facciata principale. La volta a botte del porticato era originariamente completamente decorata da cicli di affreschi che illustravano le imprese eroiche dei Gonzaga raccontate dal biografo italiano Paolo Govio.

Oggi purtroppo questi affreschi, sono stati cancellati quasi del tutto dal tempo, che non ci ha permesso di contemplare la villa nella forma sontuosa e splendida tramandata dagli scritti settecenteschi di Marc’Antonio Dal Re, il quale considerava la villa Simonetta come una delle ville più belle d’Europa famosa per il prodigio dell’eco, capace di replicare la voce sino a trenta e più volte (come da egli riferito) da una finestra del terzo piano situata nel fianco interno del cortile. Non ci resta che controllare o altrimenti fidarci dell’incisione sul muro nel porticato principale che recita il seguente messaggio: ” ECO che ripete in un momento tranquillo per ben 40 volte a voce ed un corpo di fucile di 75 volte”. E’ interessante appunto leggere queste parole e sentire l’eco delle note suonate dagli strumenti musicali degli allievi dell’Accademia oppure l’eco di qualche canto guidato. Prima di divenire l’attuale Accademia della musica, Villa Simonetta era famosa per essere la villa dei “balabiott”, dei festini e delle scorribande di bande di giovani nobili che si rifugiano in questa villa agreste allora fuori dalle cinte cittadine per sfuggire agli occhi indiscreti della gente, successivamente dal 1836 divenne un ospedale per i colerosi. Ma questa scelta inevitabilmente portò all’inizio del decadimento, accentuato dai bombardamento della Seconda Guerra mondiale che minò la struttura della villa e dal degrado del tempo. Il Comune, divenuto possessore della villa nel 1959, si è occupato della sua restaurazione che dal 1960 al 1970 ha portato alla ricostruzione ed all’utilizzo da parte della Scuola Musicale del Politecnico e dell’Accademia.

quillo Cremona, che per l’arte ha sacrificato tutto, anche la propria vita, avvelenato dai colori che, anziché sulla tavolozza, applicava sulle proprie mani, e a Daniele Ranzoni. E, giunti quasi alla fine – del percorso ma anche del secolo – osserviamo la materia sfaldarsi tanto sulla superficie delle sculture di Merdardo Rosso, dalle fattezze vivide e vibranti, quanto nelle pennellate delicatamente giustapposte dei divisionisti, Segantini e Previati in primis. E l’ultima opera, che sancisce la chiusura coerente di un percorso pittorico

teso verso il rinnovamento, è Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo (1901), con i suoi lavoratori che dal buio procedono verso la luce. La visita quindi potrebbe costituire anche un’occasione per ammirare la tela nel suo ambiente originario, prima che venga spostata presso il Museo del Novecento, dove si è trovata sin dal 1920, quando è stata acquistata per mezzo di una sottoscrizione pubblica dei cittadini milanesi, che hanno voluto donarla alle Civiche Raccolte d’Arte del Comune perché fosse visibile a tutti. Che poi

sia stata occultata sino al 1979 a causa dell’iconografia “scomoda”, fa parte della sua fortuna critica; le sue radici comunque si trovano qui, in un museo che a tutt’oggi s’impegna nel compiere studi, ricerche e iniziative che lo riguardano e la cui identità è costituita da un’eccellente collezione dell’Ottocento. Galleria d’Arte Moderna, via Palestro 16; orari: martedì-domenica 9-13, 14-17.30; lunedì chiuso. Dal 21 ottobre 2009 al 31 gennaio 2010: mostra “Emilio Longoni, due collezioni”, a cura di G. Ginex; orari del museo.

Crivelli e Brera

Giuliana de Antonellis

C

arlo Crivelli, veneziano, dopo il 1458 si trasferì nelle Marche, trovando in questa terra il luogo dove fare apprezzare i suoi polittici, giganteschi e rutilanti di ori ma con dettagli anticheggianti in impeccabile

prospettiva, o le sue tavolette dove l’occhio si perde in dettagli verissimi e commoventi. Ancora oggi è un pittore impossibile da catalogare con etichette complessive come ‘gotico’ o ‘rinascimento’: la sua opera le travalica. Di lui si perdono le tracce sino a quando nel settem-

bre 1811 dei commissari napoleonici convogliarono alla neonata Pinacoteca di Brera ben tredici tavole del pittore, due pale singole e dieci scomparti che componevano due polittici eseguiti per Camerino. Purtroppo alcune tavole crivellesche vennero disperse: il polittico di San Domenico, arrivato a Milano quasi integro, fu privato della cornice e le tre scene del coronamento furono cedute, come figurine doppie, per ottenere dipinti di altri artisti. Allo stesso modo furono oggetto di scambio l’Annunciazione di Ascoli, vanto della National Gallery di Londra e la Consegna delle chiavi a San Pietro, giunta infine ai musei di Berlino. Per il Bicentenario della Pinacoteca questi dipinti ritornano a Milano e accanto ai dipinti, oggetti delle categorie più diverse, dai tessili alle ceramiche, dai tappeti alle oreficerie che dimostrano la capacità di Crivelli di tradurre col pennello effetti propri di altre tecniche. La mostra non vuole ricostruire la carriera di Crivelli, ma, attraverso la visione delle sue opere tra le quali la splendida Annunciazione, vuole indurre il visitatore a riflettere sul cammino che queste opere hanno fatto fino a noi, oltre che porlo in ammirazione dinanzi a capolavori. Catalogo Electa Milano, Pinacoteca di Brera, sala XX, XIX, XXII 25 novembre 2009 28 marzo 2010 Via Brera 28 Milano Info 02.72263204 www.brera.beniculturali.it


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Arte Milano

Gabriele Basilico

Milano e Mosca, incontri speciali Sabrina Panizza

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ncontri un po’ speciali con l’architettura, dove la fotografia si è spesso dimostrata utile per approfondire il dialogo sulla cultura progettuale[…]”. Con queste parole Gabriele Basilico definisce le dieci “lezioni” di fotografia ideate per Abitare, lezioni non convenzionali, ma piuttosto affascinanti linee guida, che conducono l’occhio, troppo sovente assopito, alla scoperta di altre prospettive. E’ proprio tra queste dieci lezioni che vengono inseriti i due progetti di Gabriele Basilico attualmente in mostra allo Spazio Oberdan, fino al 31 gennaio 2010. Due città lontane, fisicamente distanti, cronolog ica mente a ltrettanto: Mosca Verticale 2007-2008 e Milano delle fabbriche. La Mosca contemporanea quindi, e la Milano passata, periferica, industriale forse povera, forse malinconica, forse onirica. Il visitatore viene immediatamente catturato dalla singolarità prospettica delle fotografie di Mosca

Verticale 2007-2008, progetto che costituisce la sezione iniziale della mostra; la metropoli viene infatti indagata dalla sommità delle sette torri fatte erigere da Stalin, delle sette costruzioni in pietra chiara progettate nel 1947 in lucida risposta alla grande potenza newyorkese.

si viari della metropoli, la sua composizione, il fascino del fiume che ad anse s’insinua tra i maestosi edifici. Le riprese dell’alto, le composizioni oblique, quasi destabilizzanti, rompono l’equilibrio, pongono nuovi interrogativi, impongono sguardi desti. Bianco e nero prima, colo-

L’artista, attraverso le proprie fotografie, soavemente intrise di mistica poesia, intende mostrare la metamorfosi del paesaggio urbano, gli scenari del tutto nuovi di questa sorprendente evoluzione. Ecco dunque l’occhio che a volo rasente scopre gli as-

ri desaturati poi, si alternano dunque, in un gioco di luce ed atmosfera nebbiosa, nella rivincita della verticalità. Dall’altezza dei grattacieli staliniani si passa successivamente al cristallino ritratto di Milano delle fabbriche, progetto che Basilico ha svol-

to nel triennio 1978 -1980. I piani sono ora più precisi, più ravvicinati, forse più vicini alla consuetudine, ma sono adesso i soggetti e l’atmosfera a risultare mutati. Le fabbriche e le deserte periferie diventano come elementi guida per condurre un’indagine visiva dello spazio urbano milanese. Non persone, non miriadi di automobili che si muovono frenet ica mente nella metropoli, ma solamente periferie prive di presenza umana, attimi congelati, atmosfere quasi metafisiche. Ogni dettaglio concorre alla costruzione di un’atmosfera onirica, in cui la luce cristallina agisce da protagonista, creando il geometrico gioco di ombre dense e nette. L’annullamento del flusso quotidiano porta dunque lo spettatore ad indagare con occhio maggiormente vigile, con occhio che osserva osando, che studia poetando. “C’è dignità estetica in un muro anonimo?” E questo ciò che Basilico si chiede, è questo che forse varrebbe la pena chiedersi.

Gentilini: l’architetto dei sogni Antologica del Maestro alla Permanente

Francesca Bellola

“P

er quanto riguarda la coerenza della mia pittura, dico che ci giro intorno come un innamorato e quando cerco nuovi temi, essi finiscono sempre col diventare variazioni di quell’unico tema che è il rapporto umano tra le cose e le creature”. Questa citazione di Franco Gentilini (1909 – 1981) celebrato al Museo della Permanente con una vasta antologica in occasione del centenario della sua nascita, aiuta a comprendere la sua joie de vivre, realtà gioiosa infranta dalla seconda guerra mondiale e dal dopoguerra. L’universo pittorico dell’artista faentino, uno dei maggiori protagonisti del XX secolo, è caratterizzato dai ricordi indissolubili della cultura di quel periodo e dal bisogno di evasione per creare un mondo su misura rappresentato dall’amore per la sua terra. Nascono quindi opere che hanno come soggetti i suonatori di strada, i giocolieri, le biciclette, gli animali; indimenticabili sono i ponti, le città, le cattedrali. La sua grande passione

Gentilini1956 Cattedrale cm 81x65-552

per l’architettura si è rivelata in una serie interminabile di disegni e dipinti raffiguranti gli scorci delle città. Dalle immagini prospettiche del tutto inedite, riaffiorano delle costruzioni volutamente improbabili che testimoniano l’esigen-

za di abbattere i canoni rigidi delle barriere architettoniche come nelle opere: La basilica di San Pietro o il Ponte Sant’Angelo. Trasferitosi a Roma il poeta delle immagini, frequenta l’ambiente letterario e conosce scrittori

come Calvino, Ungaretti, Campana, stringendo amicizie che lo porteranno ad avviare lunghe collaborazioni nell’illustrazioni di riviste. Indimenticabili sono le litografie e le acqueforti dedicate alla stesura del libro Le chiese di Gentilinia con l’amico Dino Buzzati, dove Gentilini immagina una città ideale con pochissimi abitanti, molte chiese e battisteri e nessun prete. In questa ricca retrospettiva curata da Maria Teresa Benedetti, vengono presentate 120 opere fra dipinti, opere su carta e collages, oltre a una raccolta di fotografie e scritti. Si ripercorrono gli esordi faetini con i paesaggi della campagna a lui tanta cara, i ritratti, i nudi, sino alla produzione che va dalla fine degli anni trenta agli anni settanta, quella che caratterizza maggiormente l’artista. In questo ultimo periodo, si denota un cromatismo decisamente vivace, che si ispira ad un linguaggio pittorico più libero, anticonformista e innovativo. 12 novembre 2009 – 10 gennaio 2010 w w w.lapermanente-milano.it Via Filippo Turati, 34 Milano Tel. 02-6599803

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CLUB Miniaci

Ambasciatore dell’arte

segue da pag.1

L’

idea nasce da Antonio Miniaci, affermato gallerista d’arte e cittadino del mondo, che ha fondato la prima sede del Club sotto il nome di Club Miniaci a Milano, in via Brera all’interno della propria galleria Mondo Arte inaugurata nei primi anni novanta. Diverse sedi sono già nate in tutto il mondo dando vita ad una rete internazionale di promozione dell’arte, della cultura e della salvaguardia delle ricchezze di ciascun paese. Antonio Miniaci ha dedicato la sua vita all’arte con passione e dedizione, e con caparbietà e instancabile lavoro ha realizzato il grande sogno

di creare una realtà internazionale, la Mondo Arte Gallery, società che spazia dalle gallerie d’arte in Italia ed all’estero, al turismo culturale, ai centri benessere, agli allestimenti museali, agli eventi che coinvolgono in maniera trasversale la cultura. Nel corso della sua attività conosce grandi maestri come Marc Chagall, Renato Guttuso, Giacomo Manzù, Aligi Sassu, Mimmo Rotella. Costruisce il Persano Country Club, piccolo hotel con ristorante e caffè letterario e centro benessere alle porte di Salerno dove è nato. Il Persano Country Club diviene il punto di incontro di artisti internazionali, di eventi culturali e promozione delle tradizioni. Costantemente in viaggio tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove dei suoi amici e collezionisti lo invitano nei Caraibi, sulla suggestiva isola di Anguilla: affascinato da quei luoghi, decide di aprire una sua galleria. Nel 2001 a New York, sulla Quinta Strada, sotto l’Empire state Building, apre l’Atelier Miniaci, con i migliori auspici ed il sostegno di un folto gruppo di collezionisti, ma sfortunatamente dopo il tragico evento dell’11 Settembre, il progetto viene rimandato. Tornato in Italia, apre

una galleria a Venezia vicino allo storico teatro della Fenice. Realizzando un vecchio sogno, aprire un locale che unisca arte, musica e buona cucina, qualcosa di diverso dalla classica galleria, a Positano apre un Art Cafè, il Conwinum, avvalendosi della collaborazione di uno dei più grandi chef italiani, un vero artista dell’arte culinaria, Don Alfonso di Sant’Agata dei Due Golfi (Sorrento). Affascinato dall’Oriente, lo è ancor di più dalla Cina, incontrando i galleristi e i personaggi più importanti dell’arte e della realtà economica orientale, incontra Mr. Marcus Lee amante della cultura italiana e proprietario di un albergo a Hong Kong decidono insieme di trasformarlo in un albergo museo creando al suo interno la sede del Club Miniaci. Pur vivendo a Milano da quaranta anni, ha voluto ritornare nella sua terra di origine, che si trova in uno degli angoli più belli del mondo tra la Costiera Cilentana, la Costiera Amalfitana e l’Isola di Capri, aprendo diverse gallerie d’arte ed edificando la sede del club in un piccolo albergo in stile mediterraneo adibito a promuovere le attività culturali, naturalistiche e culinarie del posto. Diventa anche tu promotore del patrimonio artistico del tuo paese di origine e al

tempo stesso scopri quello di altre nazioni diventando vero “cittadino del mondo” e promuovendo una maggiore conoscenza della variegata scena culturale. Tutte le persone che nel mondo amano l’Italia e vogliono preservarne tutte le bellezze possono fondare Club Amici a livello locale. Esistono Club Amici a New York, Hong Kong, Londra, Miami, Los Angeles, oltre che in diverse città italiane. Mondo Arte - Club Miniaci sede operativa via Brera, 3 - 20121 Milan - Italy +39 02 8053943 fax +39 02 86990226 info@miniaciart.com Hong Kong +852 3763 8888


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Arte Milano

Da Velasquez a Murillo Il secolo d’oro della pittura spagnola

Carla Ferraris

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stituito da Caterina II ed ospitato nell’edificio costruito nel 1764 su progetto di Jean Baptiste Vallin de la Mothe, il museo statale Ermitage di San Pietroburgo custodisce una vasta collezione di pittura spagnola arricchita da opere acquistate dall’imperatore Alessandro I. Ad oggi parte di questa imponen-

te collezione si trova esposta, per la prima volta, in territorio straniero presso la scenografica struttura del Castello Visconteo di Pavia, edificato per volontà di Galeazzo II Visconti e sede, dal secondo dopoguerra, dei Musei Civici di Pavia. La grande mostra, curata da Susanna Zatti e Ludmila Kagané, si presenta come un excursus relativo allo sviluppo dell’arte

Rocca Brivio Protagonista da 700 anni

Matteo Castelnuovo

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estimone dei momenti cruciali della storia di Milano, la residenza monumentale che si affaccia sulla via Emilia, rappresenta un patrimonio nazionale tutto da scoprire. Immerso nel verde del Parco Agricolo Sud Milano, tra piante secolari e campagne lievemente carezzate dalla nebbia mattutina, si erge un edificio dal sapore antico chiamato Rocca Brivio. Un complesso di mura nobili, a metà tra Melegnano e San Giuliano Milanese, che negli anni ha ospitato personaggi come Francesco I, San Carlo Borromeo e Napoleone III e che è stato teatro di grandi momenti storici come la “Battaglia dei Giganti” nel 1515, in cui il reggente di Francia ottenne il dominio su tutto il ducato di Milano o come il conflitto che l’8 giugno 1859 liberò il capoluogo lombardo dall’egemonia austriaca. Costruita nel XI secolo come avamposto militare a difesa del confine sud-est di Milano ai tempi minacciato dai lodigiani, ancora oggi la struttura mantiene i tratti di quel castello medievale attraverso il fossato, le fondamenta, le torri e il corpo che in seguito venne adibito a oratorio. Verso la fine del 1300, quindi, inizia a essere utilizzata come abitazione, entrando come casa padronale nel patrimonio dei Brivio, nobili di origine germanica che, grazie alle ingenti ricchezze derivanti da una fiorente attività agricola, in poco tempo riuscirono a ritagliarsi un ruolo di spicco nella società milane-

se al punto da potersi fregiare del titolo di Marchesi e Vicari di Milano. Onorificenze di grande importanza e responsabilità che imponevano l’esigenza di avere un’adeguata residenza signorile. La Rocca si trasforma, così, in una maestosa villa di campagna munita di un porticato, di una scuderia, di una cappella di famiglia e di un giardino monumentale. A queste, poi verso la fine del 1800, vengono apportate ulteriori modifiche tra cui anche l’ampliamento dell’esedra e il suo arricchimento con il timpano dedicato a Napoleone III. Arrivata da allora fino ai giorni nostri praticamente immutata, la proprietà negli ultimi anni ha offerto numerose possibilità di visitarla e ammirarne le bellezze. Anche grazie al lavoro svolto dall’associazione Rocca Brivio impegnata dal 1968 nella tutela e nella custodia di una location che dal 1998, dopo essere stata rilevata dalla società Rocca Brivio Sforza s.r.l., ha intensificato la promozione di eventi di varia natura, come concerti, mostre e convegni, senza dimenticare, però, le proprie origini, mantenute vive anche da una Biblioteca di storia locale dotata di un patrimonio librario di oltre 600 volumi sugli aspetti storici, artistici e ambientali del territorio milanese. Rocca Brivio Sforza S.r.l. - Centro Servizi per il Turismo Culturale. Via Rocca Brivio 10, 20098 San Giuliano Milanese (MI) Tel. 02 9812 8321 - Sito ufficiale: www.roccabrivio.it info@roccabrivio.it

spagnola tra il XVI ed il XVII secolo, che vede come protagonisti artisti attivi in un periodo compreso tra il realismo rinascimentale ed il grande trionfo barocco, in specifico identificato come “Siglo de Oro” spagnolo. Un secolo di splendore dunque per la Spagna che, tra il XVI ed il XVII secolo, visse un’eccezionale ed inaspettata fioritura artistico-culturale, a partire dalle prime opere pubblicate da Lope de la Vega alla morte di Calderòn de la Barca, ossia tra il 1580 ed il 1681 circa. In ambito pittorico, il genere più praticato fu quello religioso, considerato nobile ed attinente in prevalenza a narrazioni evangeliche e mariane; si assistette, ad esempio, all’evoluzione della grande pala d’altare nel passaggio dal retablo alla pala d’altare unica. Accanto al tema religioso si andò comunque delineando anche una pittura di carattere quantomeno profano, in cui s’inseriscono di buon grado anche i dipinti di tema mitologico di Velàsquez ed i nudi.

Nonostante le sublimi opere di artisti quali Velàsquez e Murillo, non si ebbe però gran riscontro ed interesse per la pittura di genere, commissionata per lo più dalla nobiltà ad artisti stranieri. Il profano fu dunque retrocesso a “bodegòn” con figure, di cui Velàsquez fu eccezionale rappresentante ad inizio carriera in territorio Sivigliano. Le composizioni inanimate spagnole comportarono comunque sempre una certa sensibilità rappresentativa, profondamente umile, impregnata di un linguaggio pressoché mistico, forse derivante dalla quotidianità religiosa oggi ormai poco comprensibile. Il ritratto fu senza dubbio espressione dello status sociale della committenza borghese, molto richiesto in ambiente nobiliare; il ritratto spagnolo, elaborato da Velàsquez, derivò forse da esempi fiamminghi del XVI secolo, oltre che da modelli veneziani ed opere di Rubens o Van Dyck e si diffuse rapidamente con eccelsi esempi, tra cui dipinti il paesaggi-

Antonio Castillo Paesaggio di montagna, 1650

sta Francisco Collantes. Il loro repertorio si compose di opere storiche, sacre o profane, ritratti e nature morte (talvolta con riferimenti alla vanitas) ed alcune esecuzioni mitologiche trattate con eccezionalità formale. Ribera, ad esempio, fu colui che portò l’influenza di Caravaggio in territorio spagnolo; da ricordare, a tal proposito, la serie dei “Filosofi” che segnò il periodo più prolifico della sua carriera pittorica ed è segnata da una specifica attenzione per il naturalismo caravaggesco. Decisamente di spicco per l’arte seicentesca spagnola fu Diego Velàsquez, che viaggiò tra Venezia e Roma, studiando il Classicismo ancora presen-

te in Italia con particolare attenzione alla rappresentazione luministica ed anatomica. Da ricordare, tra gli altri presenti in mostra, anche Bartolomé Esteban Murillo, che interpretò scene religiose e profane con particolare sensibilità esecutiva sostenuta da un’impeccabile tecnica pittorica. La mostra di Pavia presenta questi ed altri artisti del periodo aureo spagnolo, di cui simbolica vuole essere la “Testa maschile di profilo” di Velàsquez, frammento di un’opera perduta in cui il viso illuminato si staglia contro il buio fondo quasi a ricordare la stagione del colorismo veneto e le indagini espressive e realistiche proprie dell’insegnamento caravaggesco.

La Certosa di Pavia

Uno dei monasteri più belli d’Italia Anna Guainazzi

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no dei più importanti monumenti tardo-gotici italiani. Di fronte alla sua imponenza e al suo splendore non si può non essere d’accordo con questa affermazione. La Certosa di Pavia fu voluta da Gian Galeazzo Visconti che inaugurò i lavori il 27 agosto 1396, ponendo la prima pietra del cantiere. A metà strada tra Milano, capitale del ducato, e Pavia dove il duca era cresciuto e dove aveva sede la corte, la sua posizione era particolarmente strategica. I primi ospiti della Certosa, come indica il nome stesso, furono i monaci certosini che, già durante la costruzione la abitarono, adattandosi a vivere in zone diverse fino al completamento nel 1465. I monaci certosini, su richiesta proprio di Gian Galeazzo Visconti, dovevavo impegnarsi a destinare parte dei guadagni provenienti dai terreni per continuare la costruzione e l’abbellimento del monastero: per questo la Certosa di Pavia contiene opere d’arte risalenti ad almeno quattro secoli diversi, dal XV fino al XVIII secolo. La chiesa, destinata a divenire mausoleo dinastico dei Duchi di Milano, ha pianta a croce latina divisa in tre navate con abside e transetto, coperta da volte a crociera su archi a sesto acuto. Le volte sono dipinte alternativamente con motivi geometrici e con un cielo

stellato. La facciata, realizzata sovrapponendo semplici rettangoli, è rivestita da una decorazione, tipico procedimento dell’architettura lombarda. Fra gli scultori attivi sulla facciata Cristoforo Mantegazza e Giovanni Antonio Amadeo, con la collaborazione di Cristoforo Solari. All’interno si segnalano alcuni capolavori della pittura di Bergognone, come la pala di Sant’Ambrogio (1490), quella di San Siro (1491) e la meravigliosa Crocifissione (1490). La chiesa contiene numerose altre opere d’arte e un ciclo di affreschi. Un capolavoro di marmi, bronzi e pietre dure è il bellissimo altare maggiore, risalente al tardo XVI secolo. Notevoli sono anche le vetrate. Uno

Fotografia di Giorgio Gonnella

degli ambienti più spettacolari di tutto il monastero è senza dubbio il chiostro piccolo al cui centro si trova un bellissimo giardino. Il chiostro era il fulcro della vita comunitaria e collegava con portici la chiesa, la sala capitolare, la biblioteca ed il refettorio. Sul chiostro grande si affacciano le abitazioni dei monaci, ognuna costituita da tre stanze e un giardino. Di fianco all’ingresso delle celle è collocata una piccola apertura entro cui il monaco riceveva il suo pasto giornaliero nei giorni feriali, in cui era prescritta la solitudine. Per i pasti comunitari, ammessi solo nei giorni festivi, ci si riuniva nel refettorio. Dopo l’espulsione dei monaci certosini, il monaste-

ro nel 1810 venne chiuso. Nel 1843 i monaci certosini vi rientrarono per lasciarlo, ancora una volta, anni dopo. Dal 1932 al 1947 i certosini tornarono ad abitare la Certosa, ma furono costretti ad abbandonare la struttura per mancanza di vocazioni. Nel 1949 arrivarono i monaci carmelitani che rimasero fino al 1961. Dal 1968 ad oggi i monaci che abitano presso il monumento sono dell’ordine Cistercense e si occupano anche delle visite guidate alla chiesa ed al convento, della vendita di articoli sacri e vari prodotti tipici. E una visita è proprio quello che ci vuole per scoprire e ammirare la bellezza e il silenzio e la pace di questo straordinario monastero.


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Arte Milano

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FormArt a Cascina Roma Prosegue la rassegna d’Arte Contemporanea

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a prestigiosa sede di Cascina Roma di San Donato Milanese, dagli ampi soffitti affrescati, ospiterà la prossima edizione di FormArt dal 6 febbraio al 7 marzo 2010. Ad inaugurarla sarà la mostra Personale di Mike Ciafaloni ed una collettiva

di pittura e scultura di artisti rigorosamente selezionati. Ciafaloni autore del grande affresco “L’albero della vita” dipinto nella nuova ala del Policlinico San Donato, è il Fondatore di “Art-ter” – arte terapia - movimento artistico creato per alleviare le sofferenze e dare sollievo non solo ai dePer partecipare a FORMART genti ma anche presso Cascina Roma agli operatodi San Donato Milanese ri degli istituti dal 6 febbraio al 7 marzo 2010 ospedalieri. Una o richiedere ulteriori informazioni parte del ricavainviare curriculum e fotografie to dalle vendite delle opere espodi almeno 5 opere via email a: ste sarà devoluto francescabellola@gmail.com alla Fondazione info@okarte.org G r u p p o tel. 347-4300482 Ospedaliero San entro il 31 Dicembre 2009 Donato (GSD).

Sale espositive durante una recente mostra

La Fondazione GSD si occupa di ricerca medica insieme ai centri d’eccellenza come l’IDIS di Roma e l’Università Statale di

Milano. Riprende così, con l’inizio del nuovo anno, la seconda edizione di “FormArt”, rassegna d’arte contemporanea organiz-

zata dalla rivista “Ok Arte”. Il progetto è finalizzato alla valorizzazione delle arti e in particolare degli artisti più rappresentativi. Le esposizioni vantano mirabilmente, come in un viaggio a ritroso, lo studio e la memoria dell’ineguagliabile arte dei grandi maestri del passato, sperimentando forme e stati d’animo ben precisi trasfiguranti a volte la realtà. L’evento curato da Francesca Bellola, ha proposto nelle quattro mostre presentate a Milano nel 2009, gli artisti italiani e internazionali più meritevoli, selezionati in maniera scrupolosa nelle più sva-

riate espressioni artistiche. Le mostre collettive si sono distinte per l’eleganza compositiva di costruzione delle opere, volutamente descritte in maniera originale. E’ stata affrontata anche l’arte concettuale attraverso lo studio e la sperimentazione di materiali di recupero per una ricerca di una vita all’insegna della sostenibilità. Hanno partecipato artisti affermati che hanno garantito grazie alla loro prestigiosa presenza, un alto livello qualitativo di FormArt. Tutte le immagini delle varie edizioni di FormArt sono pubblicate su www.okarte.org.

Una “location” ideale per le mostre d’arte Cascina Roma a San Donato

ale ampie e luminose perfette per ospitare mostre d’arte; un’emeroteca fornita di quotidiani, settimanali e mensili frequentata ogni giorno da decine di sandonatesi; una sala conferenze dotata di un pianoforte a coda dove ascoltare musica; un salone con eleganti volte affrescate

strutturale che ha trasformato una porzione di cascina lombarda ridotta a rudere dopo anni di abbandono, nel moderno centro culturale che oggi vediamo. Deve il suo nome a una delle tante famiglie nobili che ne furono proprietarie nel corso dei secoli, gli Orsini di Roma, che la acquisirono dai Rasini nel XVII° secolo, e negli annali è sempre in-

organizzato per celebrare matrimoni civili: tutto questo è oggi Cascina Roma, uno dei centri pulsanti di San Donato Milanese, restituita alla città nel 1994 dopo un lungo e accurato restauro conservativo. Un intervento architettonico e

dicata come Casa Roma. Di origine antichissima e, come vuole la tradizione, avvolta in una lieve aura di mistero, Cascina Roma fu edificata nel XV secolo, probabilmente per opera della famiglia Visconti che, nei vicini borghi di Bolgiano

Isabella De Matteis

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e Triulzio, possedeva vaste proprietà. Gli storici tuttavia, osservandone la posizione e l’impianto architettonico, non escludono l’ipotesi che in origine Cascina Roma fosse uno degli edifici che componevano un complesso monastico, sul modello di quelli ancora visibili a Chiaravalle o Viboldone. Centro di tale complesso avrebbe potuto essere quella che i sandonatesi conoscono come Pieve di San Donato, la chiesa caratterizzata dal colore giallo, che da sempre segna il paesaggio cittadino. Col trascorrere dei secoli, alle notizie non del tutto certe sulle origini, seguono informazioni più dettagliate. Di Cascina Roma infatti parlano, descrivendola come bella cascina con ampie stalle, i commentatori della Battaglia di Marignano (1515): ospitò il vincitore del titanico scontro, Francesco I°, che vi ricevette i nobili milanesi sottomessi. Un altro ospite illustre di cascina Roma fu il maresciallo Radetzky, che vi aveva posto il suo quartier generale nel 1848: il 5 agosto di quell’anno proprio in una delle sale poste a pian terreno fu firmato l’armistizio Salasco, con cui si sanciva il ritorno degli austriaci a Milano, dopo i moti delle Cinque Giornate. Da allora la vita di Cascina Roma si è svolta lontana dalle cronache, scandita dal ritmo del lavoro agricolo e del susseguirsi delle stagioni. Dal 1994 è patrimonio cittadino, una “casa” dove i sandonatesi possono incontrarsi e condividere parte del proprio tempo visitando una mostra, leggendo un giornale, ascoltando un concerto o una conferenza, accolti da antiche mura perfetta-

mente conservate ancora capaci di trasmettere la magia del tempo e della storia.

Sale espositive durante una recente mostra

CHIAR DI LUNA Ristorante Dal 1977 Ricerchiamo la qualità

Nelle nostre dispense vengono custoditi preziosi e rari formaggi e salumi provenienti dall’Europa, essi rappresentano il nostro vanto La pasta prodotta quotidianamente da noi vi permetterà di apprezzare i relativi sughi Il vitello olandese ed il manzo della Baviera trovano consenso per il loro sapore e la loro tenerezza Infine i dolci di nostra produzione ultimeranno, unitamente ad un buon vino, il vostro pasto Il tutto nel rispetto della cucina tipicamente all’italiana, con il mantenimento di alcuni piatti della nostra tradizione La famiglia Trabattoni Chiar di Luna chiuso martedì e mercoledì via Gandolfi, 12 24042 Capriate S. Gervasio (Bergamo) tel: 02 9091110 www.chiardiluna.it info@chiardiluna.it


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Arte Milano

Attilio Bizzarri Giuseppe Orsenigo

Emozioni dalla natura Le alchimie del sogno

Leo Rubboli

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ato a Reggio Emilia il 31 luglio 1913, non si è mai allontanato dalla sua città alla quale lo unisce l’amore dell’uomo e dell’artista che, attraverso lunghi anni di severo lavoro, si è inserito nella migliore scuola reggiana, dall’Ottocento ai giorni nostri, con l’unanime riconoscimento della critica nazionale e della sua gente. Bizzarri reca in tutta la sua opera i segni della sua educazione emiliana: il colore, in morbidi valori tonali, è avvolto di un chiaroscuro tenue, velato e nel tempo stesso pastoso, mentre le figure sono percorse da brividi di luce di una violenza espressiva che quasi corrompe la materia e che testimonia la maturità artistica di questo vero, sensibilissimo artista del pennello. La luce è alla base della sua arte e accarezza, con compiacimento quasi sensuale e con linguaggio sommesso, persone e cose, i suoi paesaggi sono riproposti con affabilità e concretezza, con assorta contemplazione, con lunghe pause di silenzio che riescono a riportarci all’istan-

te in cui il pittore, in un suo particolare stato d’animo, viveva uno dei suoi magici momenti, immergendo l’eterno fluire della vita in una luce chiara che abbraccia gli aspetti più solenni della natura. Attilio Bizzarri s’incanta di fronte alle atmosfere limpide del paesaggio, alle trasparenze del cielo, alla suggestione di una radura coperta dalla neve, ai colori in festa dell’autunno sulle sue colline reggiane. Con serenità paga e appena velata da una trepida vena di nostalgia, egli s’imbeve di quelle bellezze naturali che coglie il suo sguardo e le ricrea sulla tela in un abbandono lirico di indubbio fascino.

Il miracolo (mi si consenta questo sostantivo) della pittura di Bizzarri è l’atmosfera; un’atmosfera intatta e dolcissima, che avvolge in un clima di sospesa immobilità tutte le cose reali, le case come gli uomini, gli alberi come il corso dei fiumi, le colline come i fiori; armonia, equilibrio, serenità contemplativa, accomunano questi elementi ai quali il Bizzarri si accosta con evidente commozione. E l’artista indaga e scava con passione giovanile, con umanità profonda, con intensità espressiva e, quel che più vale, con quell’umiltà che è di tutti i veri artisti depositari dei valori più puramente pittorici.

Dallo schermo alla tela Contaminazione artistica fra F. Gravante e M. Lacqua

Carlo Roccazzella “Caro”

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ono tanti i personaggi al circolo dell’arte Caro, e ultimamente ho avuto modo di conoscerne due caratterizzati da una fortissima sensibilità e uniti da un grandissimo amore per l’arte: si tratta dell’attrice cinematografica Francesca Gravante (Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca presentato al festival di Venezia nel 2000, Indagini su misteri con Tony S p e r a nd e o girato tra la Sicilia e la G er ma n ia) e del pittore Mauro Lacqua che come cifra stilistica ha un messaggio assai passionale. Le protagoniste, sempre donne, sono rappresentate avvolte ed involte dal tormento e dal dolore… due artisti che hanno realizzato un’opera d’arte unica nel suo genere come fatto creativo e come messaggio di comunicazione. Vediamo allora di cosa si tratta: si è voluto rendere omaggio ad una

storia d’amore, tra il regista Roman Polanski e l’attrice statunitense Sharon Tate, finita in tragedia per colpa di un tremendo assassinio. Charles Manson la sera del 9 agosto 1969, fu il mandante di uno dei più efferati massacri nella storia degli Stati Uniti. Vengono uccisi barbaramente dalla sua

setta quattro persone e lei, Sharon Tate, all’ottavo mese di gravidanza!!!! Un fatto che, come dice la Gravante “…credo che nessuno potrà mai perdonare la perversione di questi assassini…” Ed ecco interviene l’arte! Prendiamo a prestito un pensiero di Dostoevskij “Quale bellezza salverà il mondo?” Ebbene si, proprio l’arte, l’arte che si erge a “monumento com-

memorativo” per eternarne il ricordo attraverso la compartecipazione emotiva di due artisti, di due edificatori di luce “soteriologica”: eccola, una grande tela che Lacqua dipinge con le “parole” della Gravante, in mezzo Sharon che danza dipinta di viola al centro e il centro di uno spazio u n i for me campito in giallo, una sorta di luce (un omaggio al messaggio crisografico e quindi sacrale del l ’a more) e con i n t o r no una pellicola cinematograf ica, in parte incollata ed una gran parte, come corona, sostenuta da Francesca e da Mauro. Due paladini apotropaici e forieri di un grande messaggio vibrazionale di amore “specchio” speciale di riflessione della propria anima e capaci, con la loro “forza “, a “spezzare la catena del male”… E allora missione compiuta? Si, certamente si, e alla grande da due grandi.

Davide Corsetti

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in cui si trovano le più profonde ragioni dell’uomo. Un viaggio nell’inconscio quindi, costellato di desideri e speranze, di esperienze di vita e di realtà solamente sognate, di riflessi di mondo e di echi di ciò che vi si trova oltre; un viaggio ricco di battaglie, spesso aspre e difficili, combattute tra ciò che è “in sé” e ciò che è “altro da sé”. Da abilissi-

iuseppe Orsenigo è un maturo artista di grande esperienza tecnica e pittorica le cui opere, surreali ed espressive, ci invitano ad entrare in un suggestivo ed articolato mondo immaginifico che si pone in quella terra di confine tra sogno e realtà. Sebbene la data della sua prima mostra sia relativamente recente, le origini della sua ricerca artistica risalgono agli anni 60’ seguendo da allora lunghi anni di segreto lavoro segnato da profonda dedizione e da grande fermento creativo. Impegnato con successo nel settore del design e nella progettazione di elementi d’arredo, Giuseppe Dedicato a un poeta Orsenigo ha scelto di operare la sua ricerca artistica pa- mo artigiano, da “maestro rallelamente al suo lavo- del fare e del comporre”, ha ro confrontandosi in una attinto dai molteplici strubattaglia che sapeva non menti tecnici e pittorici in avrebbe potuto combatte- suo possesso per racconre alla luce, ma solamente tarsi e raccontare questo immergendosi ed esploran- suo viaggio. Le sue opedo, in questo suo “lungo re, in mostra recentemenviaggio lontano dal mon- te alla galleria Zamenhof do”, quei luoghi nascosti a Milano, si esprimono

per mezzo di una multiforme varietà di materiali e di tecniche sovrapposte che si contaminano, cancellandosi e ridefinendosi, contrapponendosi e mescolandosi, in un perpetuo moto di generazione e trasformazione, di occultamento e rivelazione. Dal legno al vetro, dal metallo alla pittura, dal collage alla tela, i materiali del sogno prendono forma invadendo ed eludendo lo spazio reale con le trasparenze del vetro e dei colori, con le estroflessioni delle lastre di metallo, con le incisioni delle superfici lignee e dei solchi nella pittura. Composizioni che, sebbene frutto di violenti contrasti tra ragione e sentimento, ritrovano armonia ed eleganza nel proporsi e disporsi nella loro forma compiuta, rivelando al di là del conflitto interiore che le ha generate, una profonda e viva speranza, testimonianza della bellezza che si cela in chi, incurante di ciò che potrà incontrarvi, ha percorso queste difficili vie alla ricerca di sé.

Anna Maria Belli Natura e poesia: “Armonie e dissonanze”

Francesca Bellola

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i sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, grazie alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole.” Questa celeberrima citazione di Picasso racchiude l’animo evocativo della pittura di Anna Maria Belli. Artista solare, sensibile e intraprendente, sempre alla ricerca di nuove sperimentazioni pittoriche, ha una personalità davvero coinvolgente. E’ una delle fondatrici del gruppo pittorico “Armonie e Dissonanze” impegnato artisticamente da mol-

teplici anni. Recentemente ha partecipato con un buon successo di pubblico e di critica, alla mostra “Arti –incontro” presso Palazzo Cusani a Cusano Milanino. Osservando le opere di Belli, si denota il desiderio di scavalcare i confini della realtà per riappropriarsi della vera identità. La sua arte inizialmente figurativa, si sta evolvendo in maniera più concettuale, infatti, ogni immagine non è mai casuale ma è il frutto di una profonda meditazione sul presente. Dai suoi quadri, pur denunciando la situazione attuale spesso dominata dalla violenza e dalla volgarità, traspare un’eleganza compositi-

va del tutto particolare. La natura, protagonista della produzione di Belli, infonde come delle note musicali, una vena poetica alle tele elaborate con scioltezza e una buona pad rona nza esecutiva. Ne scaturisce una vena r o m a nt i c a che lascia ampio spazio all’immaginario e al recupero della fantasia spesso trascurata per favorire la razionalità. L’evanescenza degli acquerelli, e l’ottima resa nell’utilizzo delle tecniche miste permette all’artista di cimentarsi nell’impiego di materiali di recupero solitamente rivolti a soluzioni estranee all’arte. Inoltre, l’artista si immerge con maestria nella lavorazione della creta e del raku dando vita a delle opere scultoree di forte impatto emotivo. Belli elabora con una personalissima interpretazione, dei soggetti raffinati dai cromatismi armonici che lasciano un messaggio di speranza e di positività in ognuno di noi.


Fondazione Don Carlo Gnocchi

Non un’opera muraria ma un cuore che palpita e alimenta la vita

Milena Moriconi

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a Fondazione Don Carlo Gnocchi nasce nel 1955, in quel modo discreto e modesto tipico delle grandi iniziative umanitarie. Carlo Gnocchi viene alla luce a San Colombano al Lambro

che santi ci “nascono”. Carlo decide di dedicare la sua vita agli altri, a tutti quelli che da soli non ce la fanno. “Vicino alla vita. Sempre”. E’ questo il suo motto che, in sole 4 parole, la dice lunga su tutte le cose grandi che riuscirà a costruire in vi-

nel 1902, da famiglia modestissima, mamma sarta e padre marmista, affrontando, da subito, un’infanzia tribolata, segnata dalla perdita del papà quando ancora è un bimbo di soli 5 anni, e da quella dei due fratelli nel giro di pochi anni a venire. Ai dolori che la sua stessa vita gli riserva, si sommano poi quelli che lo tormentano nel veder morire, come cappellano degli

ta, lasciando, al momento della morte col suo ultimo sussurro :”Amis, ve raccomandi la mia baracca...”, un’eredità spirituale che spingerà ad ampliamenti inarrestabili verso il sociale. Lo spirito della Fondazione è inizialmente rivolto alla cura e riabilitazione dei mutilatini, per poi sviluppare un po’ in tutta Italia, nell’arco di una cinquantina d’anni, altri intenti,

alpini durante la seconda guerra mondiale, tanti suoi compagni. Ma tutte queste esperienze sconvolgenti non lo mettono all’angolo. Anzi, lo spingono a mettersi in gioco, maturando idee di sostegno e cura nei confronti dei più sfortunati. Nemmeno Carlo sa ancora di appartenere ad una ristrettissima categoria elitaria di persone, scelte da un disegno superiore, che non “diventano” santi, al pari di un Paolo sulla via di Damasco, o di un ribelle e manicheo Agostino, ma

che si attuano con la costruzione dei Centri della Fondazione, impegnati a tutelare ed assistere qualsiasi persona affetta da patologie che ne limitino l’espressione fisica o mentale. Gli ospiti dei vari Centri sono assistiti da Educatori Professionali ed Assistenti Socio-sanitari, persone che svolgono in silenzio attività pesanti ed estremamente impegnative, di grande responsabilità ed umanità. C’è intesa fra i ragazzi e questi loro amici, amici perché così è giu-

sto definire chi sta loro vicino con tanto affetto, senza mai perderli di vista un secondo, interessandosi dei loro problemi e cercandone, con loro, la soluzione, educandoli ad un sereno recupero senza trascurare gli aiuti più umili di cui hanno ovvia-

mente bisogno. Nello specifico, solo i Centri di Milano e Firenze sono però riconosciuti come IRCCS, acronimo di ISTITUTO DI RICOVERO E CURA A CARATTERE SCIENTIFICO. Il Centro S.Maria Nascente ospita 4 Centri Diurni che accolgono i disabili coinvolgendoli in programmi educativi o di semplice svago, il tutto mirato ad un miglioramento della loro qualità di vita. Entrare nel Centro di S.Maria Nascente è come spalancare una porta su di un mondo parallelo in cui gli abitanti, portatori di handicap congeniti o acquisiti, sprizzano emozioni così forti da coinvolgere tutti quelli che li avvicinano. Da parte di chi non è come loro è incomprensibile, inizialmente, la loro tranquillità, la voglia di sorridere o addirittura di ridere, la ricerca costante di una comunicazione fatta con gli occhi, o potendo con una stentata parola, il bisogno di esternare le loro emozioni e di interpretare le tue. Insomma, uno entra lì per dare sostegno e si ritrova a riceverlo, in un grande insegnamento di coraggio e di voglia di vivere. Fra le varie attività, importante è quella di pittura: in questa fase, gli artisti vengono affiancati da personale qualificato che sprona, suggerisce, corregge, elogia o, se necessario, critica, sempre in un’ottica di perfezionamento e soddisfazione finale. Ma le emozioni date e ricevute, si sa, sono la cellula embrionale da cui l’arte nasce e di cui si nutre, e più le prime sono violente, più la seconda diventa forte ed espressiva. I ragazzi che dipingono, se non possono farlo a mano libera, usano

differenti supporti: un caschetto munito di un aggeggio reggipennello, oppure un PC sul cui video affiorano stupefacenti immagini, disegnate da un mouse guidato da mani incerte ma potentemente creative. Sono rimasta a bocca aperta la prima volta che ho visto i lavori di queste persone che affrontano il tutto con disinvoltura, quasi per gio-

co, modestamente e senza “tirarsela”. A lavoro finito, liberati dagli attrezzi di lavoro, girano le spalle e se ne vanno, inconsapevoli di lasciarsi alle spalle piccoli capolavori di perizia, raffinate composizioni dettate da empatie che solo loro conservano ancora e che li imprigionano in una sensibilità primitiva, tanto umana quanto dimenticata da chi non appartiene al loro mondo. Per questo si è pensato di portare all’esterno questi pittori e le loro opere, per farli conoscere anche a chi ha la sfortuna di non frequentarli, così che possano sentirsi più gratificati ed appartenenti ad una comunità che li apprezza e li stima. All’interno della Sala Consigliare della Zona 3 di Milano, in Via Sansovino, verrà allestita una mostra, interamente dedicata alle loro creazioni, che si inaugurerà Sabato 12 Dicembre e terminerà Domenica 13 Dicembre, giorno in cui verranno messi all’asta i dipinti. E’ ovvio che ci si aspetta che tutti, ma proprio tutti, ma proprio tutti quelli che ci leggono, arrivino portando parenti, amici e conoscenti: più gente ci sarà, più bella sarà la festa! E se poi non vi va di farlo per i ragazzi, fatelo almeno, egoisticamente, per voi. Non lasciatevi scappare l’occasione per imparare da loro come sia facile essere felici semplicemente per il fatto di esistere, e come niente ci può abbattere se dentro abbiamo coraggio e forza e amore.


Centro IRCCS di Milano “Santa Maria Nascente”

Esposizione di dipinti di artisti Nacque tutto casualmente una sera a cena quando mia moglie Milena, volontaria del Don Gnocchi, mi parlò dell’esistenza, all’interno del Centro, di un laboratorio dove dipingevano artisti disabili. Mi disse inoltre di aver proposto a Marco, uno degli educatori, l’idea di far conoscere anche all’esterno le belle opere create. Ci incontrammo così, informalmente, Marco, Mario, Milena, Valeria ed io e cominciammo a buttare lì qualche

All’interno della Sala Consiliare della Zona 3 di Milano, in Via Sansovino, verrà allestita una mostra, interamente dedicata alle loro creazioni, che si inaugurerà Sabato 12 Dicembre e terminerà Domenica 13 Dicembre. L’inaugurazione avrà inizio alle ore 10,00 di sabato 12 dicembre alla presenza di autorità in rappresentanza di Comune e Regione che hanno dato il loro patrocinio, mentre l’asta conclusiva inizierà alle ore 16,00 di domenica 13 dicembre.

idea. Da cosa nasce cosa e constatata l’impossibilità di svolgere la manifestazione all’interno della nostra Galleria, per motivi di spazio, il primo passo fu la ricerca di una sede adatta. A Valeria venne l’idea di richiedere la Sala del Consiglio di Zona 3 in Via Sansovino: bussammo e con entusiasmo ci fu aperto. Cominciammo poi a ricercare patrocini e sponsor e con piacere constatammo che, conosciuto lo scopo dell’evento, le nostre istan-

ze venivano entusiasticamente accolte. E così eccoci giunti alla vigilia dell’evento. Sono certo che la manifestazione avrà successo e di ciò ringrazio tutti coloro che hanno contribuito con passione alla sua realizzazione. A tutti i nostri lettori rivolgo l’invito di partecipare per stupirsi alla vista della bellezza dei lavori. Vi aspetto il 12 e 13 dicembre per salutarvi personalmente. Alessandro Ghezzi, Presidente Associazione Culturale OK Arte


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Arte Milano

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Daniela Grifoni e la forza del colore Le recenti attività della versatile artista

F.B.

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aniela Grifoni, Accademico – Maestro d’arte internazionale, dotata di grinta e di grande carica comunicativa, vanta una carriera artistica davvero prestigiosa. L’artista, generosa e versatile, ha esposto in molte rassegne nazionali e internazionali ottenendo numerose onorificenze tra le quali menzioniamo il recente Premio Ambiente a

Stresa, il Premio Nazionale Nomentum, importante riconoscimento per le attività imprenditoriali, l’arte, la cultura e lo spettacolo ed è presente sul catalogo “Grandi Maestri 2009 – 2010. Alla V edizione di “Start”, Grifoni ha partecipato in contemporanea, con una mostra Personale al Museo Flavio Roma ed una alla galleria Immagine Colore di Genova. I prossimi appuntamenti con

l’artista, dalla personalità davvero coinvolgente, sono certamente da non perdere e spaziano in ambienti culturali diversi tra loro ma simili per concezione e creatività: Daniela esporrà dal 28 dicembre 2009 al 7 gennaio 2010 in una mostra Personale alla Galleria D’arte Sallustiana Art Today di Roma. Subito dopo Daniela Grifoni firmerà gli effetti scenici artistici in anteprima assoluta,

venerdì 22 gennaio 2010 alle ore 21.00, dell’opera teatrale “Religioni contro” della sorella Maria Gloria presso il Teatro Coccia di Novara. La rappresentazione, in collaborazione con la Fondazione Faraggiana e in coproduzione con la Fondazione Teatro Coccia, propone nel cast Carlo Simoni e Anna Maria Castelli con la regia di Abner Rossi e le musiche originali di Dario Martinelli. Il progetto, nato dall’incontro del regista con Maria Gloria Grifoni, è l’adattamento teatrale di tre indipendenti monologhi poetici, da lei scritti inizialmente per essere rappresentati singolarmente: “La ballata del precario”, “Il canto di Giuda” e “Maddalena”. Il titolo “Religioni contro” non è arbitrario, in quanto tutti i contenuti espliciti o metaforici dei monologhi rappresentano qualcosa di a-storico ed a-temporale così come sicuramente è nell’intento narrativo della poetessa. La pittrice Daniela Grifoni ha realizzato per questa rappresentazione teatrale una serie di tavole “semiotiche”, po-

littici in varie stazioni, dalle quali osserva e riporta su estesi impianti pigmentati quanto sente trasmesso dalla pulsione del colore. Su questa sua eccezionale capacità ha scritto di lei Vittorio Sgarbi: “…C’è in quest’artista la capacità di evocare forme e colori che ottengono una scelta linguistica formalmente enunciativa, una sorta di inquietudine e persino di rabbia, che si intuisce nasca dal momento stesso in cui sceglie il colore, in cui decide come dipanarlo, allargarlo, s ov r app orlo a macchie sulla tela, la quale alla fine appare quasi violentata dai colpi vigorosi della spatola e del pennello. Ma ci sono anche momenti più meditativi, dove la cromia può

anche assumere movenze morbide e significativi abbandoni, da cui nascono immagini illusorie e allusive addirittura di campi fioriti, e dove l’espressività si dilata fino ad eccedere dallo spazio alla tela. In questo senso la narrazione informale di queste opere propone una sorta di spinta dinamica verso l’infinito” (dal libro: Le scelte di Sgarbi edito Mondadori).

problema molto forte nella nostra società consumistica dei rifiuti che ci assediano e contaminano l’ambiente trasformando le nostre città in paesaggi urbani inutili e degradati. Il senso invece del recupero, del riutilizzo e della trasformazione degli oggetti e delle cose che troppo spesso abbandoniamo in modo scellerato è una sensibilità che gli artisti inseguono da lungo tempo tentando di aggiungere valore estetico a tutto ciò che apparentemente non serve più. Disperatamente gli artisti da più di un secolo si pongono nell’ottica della trasformazione e della metamorfosi degli oggetti di produzione industriale. Roberto Borotto con la sua ultima opera, in cui si legge una chiara volontà di rifarsi a precedenti esperienze di Piero Manzoni, compie un salto di qualità: abbandona la bellezza intrinseca delle preceden-

ti opere e segni gestuali ed affronta in modo radicale il problema della comunicazione, rendendo “oggettivo” il suo pensiero astratto e trasportando sul terreno della denuncia le sue convinzioni artistiche ed estetiche. Il concetto stesso di arte contemporanea spesso si identifica con l’idea della manipolazione della materia, che grazie al gesto dell’artista si trasforma comunicando la sua vera essenza estetica di materia povera e inerte che improvvisamente prende forma e vigore qualificandosi per la sua assoluta imprevedibilità e straordinaria irripetibilità. Come dimenticare quel mirabile “ready made” di Picasso che riprendendo ed assemblando in modo geniale una logora sella di cuoio ed un vecchio ed arrugginito manubrio di bicicletta li trasforma in una inconsueta, beffarda ed ironica testa di toro?

“Trenta multipli di Trenta” Opere di Roberto Borotto

Carlo Catiri

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oberto Borotto ritorna a far parlare di sé presentando il suo ultimo lavoro, che ripropone il tema già più volte affrontato delle precarie condizioni ambientali in cui viviamo. Questa volta l’artista vuole fissare un punto fermo

multipli, numerati e firmati, costituiti da altrettanti rotoli di carta igienica sul cui involucro esterno l’artista scrive alcuni pensieri sulla condizione umana come: “…l’umanità invade l’ambiente con opere traumatiche…che il progresso lo costringe a produrre… e quanto tutto ciò lo ren-

compimento del suo trentesimo anno di carriera. Sicuramente non possiamo aspettarci da lui un’opera di sintesi, ma altresì un gesto, una provocazione, un intervento, una serie di “multipli” che in qualche modo ci pongono di fronte ai problemi del fare artistico contemporaneo ed

Condizioni ambientali, acrilico su tela, cm 40x60

nel suo lungo percorso artistico ed un riferimento preciso ed irriverente della sua ricerca più recente. L’opera in questione consiste in una serie di trenta

da…vittima ed artefice”. L’autore sente la necessità di fermarsi e di riflettere un momento sui significati del suo operare artistico e decide di farlo in occasione del

anche al nostro vivere sociale. Spesso ci chiediamo dove stiano andando gli artisti oggi e quali direzioni percorreranno in una realtà molto complessa e per

certi versi contraddittoria. Ripensando ai lavori esposti all’ultima Biennale ci rendiamo conto di un certo malessere degli artisti che si dibattono tra rigurgiti neoespressionisti e rivisitazioni di movimenti concettuali. Dobbiamo prendere atto che passeggiando nei padiglioni dell’ultima esposizione veneziana si percepisce un’atmosfera surreale; ci si sente come risucchiati indietro nel tempo e ci sembra di ripercorrere un sentiero già visto che ci lascia un senso di incertezza e di spaesamento. Ritengo che anche Roberto Borotto provi le stesse sensazioni che ho cercato di descrivervi e che proprio per questo abbia pensato ad una pausa per i suoi primi trenta, o forse ad una provocazione che in qualche modo ci svegli dal torpore provocato da tanta ripetitività di certa arte contemporanea. Sicuramente il pittore, che proviene da una lunga ricerca legata all’Espressionismo Astratto e Gestuale e ad artisti come Vedova, de Kooning ed Hans Hartung, sente più di altri la possibilità ed il rischio di una caduta di spontaneità e che il problema del gesto, dell’azione e dell’espressione sono difficili da riproporre se non attraverso una forte tensione emotiva. Nella sua recente esposizione Hambients tenutasi alla galleria Zamenhof a Milano, l’artista si pone il


Giovanni Marinelli

Senza titolo, 2007, fotografia stampata su carta, in gelatina d’argento, montata su pannello di forex, h 750x500x10 mm

Gallerie di riferimento:

Galleria d’Arte Cinquantasei – Bologna – tel. 051250885 Spazio Tindaci – Padova – tel. 3484112981 / 3939743869 Studio Ambre Italia – Nibbiolo (VI)

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Nisveta Kurtagic

Un nuovo linguaggio nell’opera dell’artista slava

Mauro De Sanctis

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a natura è il sogno barocco di un crittografo dotato di spirito. Gustav Klimt interpretava questo sogno immergendo le proprie figure in spazi interiori, facendole emergere da

INCONTRI, incisione cm. 30 x 45

fondali in cui il pieno spirituale sostituiva il vuoto materiale, in cui il tessuto simbolico si costituiva come controcanto di una voce che prende forma e presenza – stavolta concreta, assolutamente materiale – solo in un rapporto di contrapposizione analogica con le maglie di quella tela di simboli. Lo sfondo è un coro che concede patria ed esilio alla figura solista; lo sfondo è una Madre che genera e abbandona. Per questo profondamente materna e al contempo profondamente corale – e de-corativa – è l’opera di Nisveta Kurtagic

Granulo, graphic designer, architetto e (che è lo stesso) artista; artista, moglie e (che è tutto questo) madre. Di Sarajevo, sua città natale, e dell’Oriente europeo ha l’impulso iconoclasta, l’astrattismo che va nella stessa direzione del suprematismo dirigendosi nel verso opposto; di Ragusa e della Sicilia, dove vive e lavora, rivela la raffinata rem i n i s c enza saracena nel gusto dell’arabesco, della decorazione fitta ed elaborata, della scrittura come ornamento e dell’ornamento come scrittura di mondo. Di questo sono fatte le sue opere: Nisveta elabora sintassi di fregi decorativi, articolate costruzioni linguistiche, intere frasi per svelare misteri in una lingua senza codice. E il linguaggio è il corpo in cui la sapienza si cala per venire alla luce: è lo spazio materno, è la casa natale. Così Nisveta, architetto e madre, traccia fondali implicitamente o esplicitamente vicini alla sensibilità klim-

tiana per portarli in primo piano, per farne unico orizzonte di senso, coro privo di rapporto dialogico con una figura solista; pura matrice indeterminata, in cui il solo dialogo presente è scambio di sguardi tra madre e madre. Figli non ce ne sono, se non raccontati da questi stessi sguardi: sogni di sogni. In tal senso il lavoro dell’artista slava è radicalmente metafisico; ma quella di Nisveta è una metafisica del femminile, ciò di cui va in cerca è la chora

BOGUMIL, incisione cm. 30 x 25

primordiale, la materia spirituale, la Grande Madre eterna che è da sempre e che non cesserà mai di essere, il cui grembo perennemente in travaglio non partorisce mai, perché possa portare in sé tutte le unioni, e tutti i figli, e tutti i parti.

Arte Milano

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Art Design Giacomo Martucci La nuova indagine Sabrina Falzone

L’architetto Giacomo L.A. Martucci si applica all’Arte attraverso il processo tipico del progetto, liberandolo dai vincoli funzionali, per arrivare ad un prodotto artistico privo di condizionamenti tale da determinare un modus operandi geniale e innovativo. Partendo da un principio razionale l’originale produzione artistica dell’architetto, originario di Sora (FR), si coniuga efficientemente con la computer grafica, mostrando una solidità esecutiva nell’impiego dell’odierna tecnologia. Del tutto sui generis appare la sua serie scultorea intitolata “Slim”, realizzata mediante una lamiera lavorata a laser, che presenta una particolare sagoma contraddistinta da linee geometriche sobrie ed essenziali. Sembra, infatti, che sia la poetica del compendio ad ispirare l’autore, il quale abbandona ogni particolare descrittivo e qualsiasi ridondanza espressiva per dedicarsi completamente ad un design dall’aspetto pulito e dallo stile minimalista. Si rimane soggiogati dal ni-

tore della linea e affascinati dall’indagine intellettuale condotta dall’architetto Martucci nell’armoniosa ricerca di un’elaborazione formale nonché negli esiti geometrici. La sua può essere definita una personalissima interpretazione del linguaggio arcano delle forme, dove il segno appare costantemente sicuro e diretto. E’ interessante notare come nella monocromia scultorea i piani vengano ribaltati mediante una pluralità formale che risiede nella ratio. L’atmosfera che avvolge le sue opere è vibrante e musicale: il ritmo, infatti, scandisce la linea fino a condurre l’osservatore verso lontane mete oniriche dell’immaginario urbano. Giacomo Martucci è un

artista in ascesa sul panorama artistico nazionale, ha esposto in diverse città con grande successo a Roma e sul lago di Garda. Info: www.segnoproject.eu

Ubelly Guerrero Martinez Il futuro di Erica Ippolito Educare allo sport e alla alimentazione “Al di là dell’oceano” A

l di là dell’oceano è un racconto autobiografico; una storia come tante, come molte, purtroppo, dove la tragedia personale, la ricerca della propria identità si scontrano con una situazione socio-economica comune a molti. Siamo in Colombia, a Victoria, una cittadina tranquilla “dove non c’è bisogno di chiudere le porte, perché qui nessuno ruba”; e allora perché

www.OKARTE.org Ogni giorno più di 80 nuove notizie d’arte: Mostre a Milano ...e le mappe per raggiungerle News d’arte dall’Italia - News d’arte dal mondo Itinerari – Gallerie fotografiche Tutti i numeri di OK ARTE in pdf

Per gli artisti

mostra personale nella galleria 3D di OK ARTE con numerose sale da visitare realisticamente con il solo uso del mouse Migliaia di visitatori al mese Chiedi come esporre tutte le tue opere info@okarte.org – tel. 3474300482

andar via? Malgrado non ci siano riferimenti temporali fino a pagina quarantasei, si intuisce che la storia è ambientata nella seconda metà del ‘900, quando le giovani donne colombiane hanno accesso ad un’istruzione e si trasferiscono a Bogotà alla ricerca di un futuro migliore. Ma, se le ragioni che spingono la protagonista, Patricia, a trasferirsi nella capitale possono sembrare legate a questioni economiche, la vera ragione risulta essere la ricerca di libertà. Il racconto fa riferimento più volte al carattere dominante della ragazza, che ad un’analisi superficiale sembra non spaventarsi davanti a episodi difficili e spessotragicamenteviolenti. www.ubellyguerrero.net

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o sport è educativo perché porta in se un nuovo senso di fatica, intesa come sacrificio più grande esprimibile attraverso la corporeità. La passione è il carburante per un percorso di sana bellezza”. Da ex atleta agonista nel canottaggio - bronzo al campionato italiano 2002 in imbarcazione singola, partecipazione a due campionati del mondo e allenatrice riconosciuta dalla F.I.C. (Federazione Italiana Canottaggio) per persone diversamente abili, Erica Ippolito a soli 21 anni, ha ben chiaro cosa prefissarsi come obiettivo da raggiungere e dare il massimo per arrivarci. Ha costruito il suo futuro con

impegno e dedizione e, in qualità di chef capo partita, ha collaborato con lo chef Maurizio Gnocchi presso il ristorante la “Cinzianella” di Corgeno (VA), per poi raggiungere uno dei massimi chef a livello mondiale a Londra: Giorgio Locatelli, nonchè cugino di Gnocchi.” Afferma Erica: “...ho la fortuna di avere un lavoro che nello stesso tempo è la mia passione, per il quale spendo il mio tempo con impegno e serietà, cercando di trasmettere qualcosa di importante alle persone alle quali mi dedico”. Intanto prosegue la sua attività sportiva e, ritagliando anche del tempo per studiare, si sta formando anche

come educatrice alimentare. Adesso è il momento di raggiungere il suo obiettivo e quindi di unire queste due professioni in modo da diventare chef educatrice alimentare e lavorare nel mondo dello sport (da ex atleta vien spontaneo dire che il cuore non tradisce mai!!). Chissà, un giorno sarà al timone dei nostri atleti azzurri... e altro che “pane e nutella a colazione”! Auguriamo ad Erika di centrare al più presto il suo obiettivo ed invitiamo chi è interessato ad avvalersi della sue professionalità a contattarla direttamente. Per contattare Erica scrivi a ericaippo@libero.it o telefona al 335-6572283.


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Arte Milano

Intervista a M. Finazzer Flory

Palazzo Morando

PITTORI PIUTTOSTO PITTORESCHI. aneddoti minimi dal mondo dell’arte

Il finto orecchio di Van Gogh Costume, moda e immagine

Matteo Castelnuovo

I

n un’intervista esclusiva a Ok Arte, Massimiliano Finazzer Flory racconta la prossima trasformazione dello storico edificio milanese di via Sant’Andrea. All’esterno una sobria facciata. All’interno un cortile porticato di nobile aspetto. Passaggio obbligato per i saloni di rappresentanza, in stile rococò. Ambienti, per anni trasformati in percorsi suggestivi attraverso il Museo di Milano (rappresentazione simbolica del gusto settecentesco per l’arredo domestico) che ora, a partire dal febbraio 2010, saranno la nuova location di costumi, moda e immagine. Palazzo Morando Attendolo Bolognini si rinnova, dunque, e lo fa seguendo l’evoluzione e la voglia di internazionalizzazione del proprio territorio.

Massimo Zanicchi

Ma da dove nasce questa idea? «In realtà – spiega Massimiliano Finazzer Flory uomo di teatro e assessore alla cultura del comune di Milano – questo è un progetto teso ad aiutare lo sviluppo, di una città come la nostra, facendo semplicemente perno su quel quadrilatero di punti forti riconoscibili: nel commercio, nella cultura, nella moda e nei suoi simboli. La vivace rivisitazione di questa settecentesca dimora patrizia ne sarà l’esempio lampante». Come si svilupperà? «Al suo interno si troveranno due differenti percorsi espositivi di grande dinamicità. A piano terra ci saranno mostre temporanee a metà tra l’arte contemporanea e la moda. Mentre, al primo piano verrà esposta, a rotazione, una serie di costumi di diverse epoche storiche: dal

XVII secolo fino ad arrivare ai primi del novecento». Un set di abiti, recuperati dal Castello Sforzesco, che riuscirà a dare una vera e propria descrizione della cultura meneghina nel corso del tempo. «Inoltre – continua Finazzer Flory – la particolarità di questa esposizione permanente, comprensiva di circa diecimila capi, sarà l’interazione diretta tra i costumi e il vestiario dei protagonisti dei dipinti retrostanti. Divenendo, così, concrete trasposizioni fisiche della scena pittorica». E quale sarà, invece, la programmazione espositiva a piano terra? «Le idee in questo caso sono numerose. La possibilità di giornate di discussione, durante la settimana della moda, su come trasformare quest’ultima in un veicolo dell’arte. Un progetto per il 2011 che vedrà protagonista l’Africa, con i suoi tessuti pregiati e i suoi pittori contemporanei. Per non parlare, poi, del desiderio di dedicare una mostra ai 90 anni di Missoni (sarà nel 2011) e di omaggiare la stupefacente sartoria scaligera con un percorso composto dalle splendide creazioni di tutte quelle donne da ammirare per l’impegno messo, dietro le quinte, nel tramandare una tradizione così creativa e vitale. Un progetto, quest’ultimo, pensato proprio per ricordare a tutti che, dietro la bellezza di un prodotto, c’è sempre un grande e impegnativo procedimento, fatto di passione e duro lavoro».

Cristina Iglesias Il senso dello spazio

Ugo Perugini

E

’ davvero un percorso affascinante quello che ci fa compiere Cristina Iglesias nella sua prima personale presso le sale della Fondazione Pomodoro.

Diciannove opere, alcune vere e proprie sculture-ambienti, attraverso le quali si assiste alla pro-

gressiva evoluzione dell’artista e alla sua crescente capacità di utilizzare ambienti, spazio architettonico, tecniche e materiali antichi e contemporanei per ripensare l’architettura e renderla più dinamica.

Come dice la curatrice della mostra Gloria Moure, “lo spazio diviene elemento cruciale delle sue opere:

con l’instabilità, la mobilità e l’impiego di tecniche che svariano dal bassorilievo all’arazzo stabilisce un continuo dialogo con l’osservatore”. Ricchissimo è anche il contesto culturale su cui questi lavori poggiano, primo fra tutti il concetto di Arcadia come luogo di incontro tra naturale e artificiale. Arazzi serigrafati, superfici di alabastro, stretti cunicoli, allusioni a chiostri o luoghi di culto orientali, giardini, giochi d’acqua, vegetazione finta e reale: il gioco tra il vero e il falso e il rapporto mitico tra uomo e natura diventano, immersi in questa atmosfera onirica, gli elementi-chiave per ripensare e reinterpretare il mondo in cui viviamo. Le opere di Cristina Iglesias, nata nel 1956 in Spagna, sono esposte al Guggenheim di New York e Bilbao. La Mostra resterà aperta nelle sale della Fondazione Arnaldo Pomodoro, in via Solari 35, fino al 7 febbraio 2010 (orari: mercoledì-domenica 11-19; giovedì 11-22).

A

lla prima esposizione americana dedicata a Van Gogh, l’opera più ammirata non portava la sua firma e non era un quadro. Correva l’anno millenovecentotrentacinque quando il MOMA, il museo di arte moderna di New York, ospitò la prima esposizione di opere di Vincent Van Gogh negli Stati Uniti. La fama del pittore, ormai morto da quarantacinque anni nel completo anonimato, era in costante e vertiginosa ascesa. Hugh Troy, giovane artista americano, meravigliato dalla grande affluenza di pubblico e dal clamore suscitato dalla mostra ebbe una trovata geniale convinto che la gran parte dei visitatori, in realtà, fosse attirata maggiormente dalla singolare biografia di Van Gogh piuttosto che dal valore delle opere. Per levarsi lo sfizio di dimostrare la correttezza della propria intuizione ricorse a uno stratagemma grottesco. Procuratosi un trancio di carne confezionò un finto orecchio e lo adagiò in una vetrinetta dal fondo di velluto blu. Concluse il proprio lavoro sistemando alla base dell’espositore la seguente didascalia: «Questo è l’orecchio che Vincent Van

Gogh si tagliò e offrì a una prostituta francese il 24 Dicembre 1 8 8 8 » . Gli organizzatori accolsero con entusiasmo la bizzarra provocazione esponendola in una posizione pr iv i le g i ata. Il finto orecchio, paradossalmente, divenne l’opera con più folla al proprio cospetto. Suscitò uno scompiglio tale da costringere la direzione del MOMA a rimuovere l’artefatto stesso. Sono passati più di settant’anni da quella prima esposizione newyorchese eppure l’interesse morboso suscitato dai colpi di testa di Van Gogh non si è ancora sopito. È sufficiente fare una ricerca su Google, che non è scienza perfetta ma è comunque un buon indicatore delle tendenze odierne, per scoprire che digitando “orecchio di Van Gogh” vengono visualizzati più di 50mila risultati. Un dato spropositato se

si pensa che con la stringa di ricerca “girasoli di Van Gogh” il conteggio supera di poco le 15mila unità. Un dato che premia, ancora oggi, la teoria di Hugh Troy che per dimostrarla si macchiò di un falso storico: Van Gogh non si tagliò un orecchio intero, ma solo una parte. Per la precisione, un pezzo del lobo sinistro anche se in due autoritratti ad apparire bendato è l’orecchio destro. L’arcano è presto spiegato: per potersi ritrarre da soli è necessario uno specchio il cui riflesso restituisce un’immagine perfetta ma ribaltata.

50° Anniversario di D’Ars

Navigatore satellitare nelle strade dell’arte 1959-2009 D

’ARS compie 50 anni di attività. Mezzo secolo! Veramente un periodo lunghissimo nel quale sono accaduti, per il pia-

re: fare in modo, con spirito non solo di giudizio ma anche di servizio, che gli artisti possano, con maggiore facilità, farsi conoscere. Questa la mission di D’Ars proseguita da chi ha

neta Terra, degli eventi veramente epocali. Dall’avvento dell’informatica (il periodico D’Ars che esce regolarmente dal 1960, al suo esordio veniva composto con i caratteri di piombo), alla conquista dello spazio da parte dell’uomo) e alle grandi conquiste della tecnologia sia spaziale che della medicina. D’Ars, fondata da Oscar Signorini, uomo illuminato di grande umanità e cultura (19101980), ha sempre seguito una linea precisa secondo il pensiero del suo fondato-

portato avanti questo ideale che si è dimostrato non utopico ma fattivo e utile. La definizione dell’amico Diego Serra “D’Ars navigatore satellitare sulle strade dell’arte 1959-2009” ben si adatta alla sua specificità. L’approdo ai primi 50 anni di attività ha fatto nascere una rassegna dal titolo “Mappe immaginarie” composta da 70 opere create da altrettanti artisti, alcuni ormai affermati e da alcuni giovani emergenti, che hanno “navigato” con D’Ars attra-

Grazia Chiesa

verso questo mezzo secolo. La rassegna è itinerante e compirà queste tappe: 11 dicembre 2009 su indicazione di Anna Maria Russo, si svolgerà nella sala mostre della Biblioteca Angelica di Roma, il 20 dicembre 2009 su invito della Associazione “Calice Ligure Città degli Artisti”, di Alda Fontana e dell’attuale Amministrazione Comunale nella persona del consigliere incaricato Marta Bove, la rassegna verrà presentata nel Museo della Casa del Console. La struttura museale appartiene alla Rete dei Musei della Provincia di Savona e della Regione Liguria e si trova a Calice Ligure, paese della valle del torrente Pora. È prevista inoltre in primavera l’ospitalità della rassegna nella storica Barriera Albertina di Novara, su richiesta del direttore dell’Associazione culturale Art Action Vincenzo Scardigno, anche in considerazione del fatto che Novara è la città di nascita di Vanna Nicolotti, presidente della Fondazione D’Ars Oscar Signorini onlus.


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I fonemi astratti Claudio Cubello di Mirko Cervini La forza dei colori

Dal concetto al segno

Sabrina Falzone

S

so esistere: in una parola il concetto. Nelle sue opere d’arte fonemi astratti s’imprimono sulle tele attraverso lo studio del significato segnico e l’anticipazione visiva del gesto. Essi si configurano come spasmi intermittenti dell’apparato pittorico che si traducono in passaggi cromatici contrapposti. Spesso si tratta di un percorso che parte da un colore per arrivare ad un’altra tonalità oppure semplicemente un’alternanza di materiali, emblemi di un viaggio umano condotto universalmente tra una dimensione

ullo scenario artistico contemporaneo emerge una nuova personalità artistica in grado di esprimere la complessa pluralità dell’indagine introspettiva: il suo nome è Mirko Cervini, giovane artista lombardo, nato ad Angera nel 1972, orientato ad una peculiare interpretazione concettuale delle arti visive. Nella sua sperimentazione creativa il mondo pittorico e l’arte scultorea si fondono in un dialogo bicromatico dalle avvolgenti sfumature informali. Da sempre affascinato dai meccanismi e dai procedimenti della pittura, Mirko Cervini individua nel colore e nella forma la propria profonda ispirazione, che lo condurrà alle soglie di un nuovo linguaggio speculativo, alternativo al verbo, per esprimere il nodo dei suoi pensieri, il cuore delle sue sensazioni, le vi- FANTASIA IN BIANCO E NERO (2008) scere del suo stes- tecnica mista su piatto

INTRUSIONI (2009) tecnica mista su tela 40 x 60

precostituita ed un luogo altro, un vero e proprio attraversamento immaginifico che è generato da un determinato stato psicologico. Nella recente opera intitolata “Intrusioni” queste caratteristiche sono compendiate efficacemente da Mirko Cervini, che propone un lessico senza parole, ma costituito da segni affioranti da una riflessione intimistica.

Federico Balconi

S

crivere, o descrivere, un artista e la sua arte è come imboccare una strada sconosciuta che passa dalle mani del pittore e tocca la sua anima, fatta di sentieri, cunicoli e larghe carreggiate a quattro corsie, dove è facile sbagliare, mentre ci vuole una certa sensibilità per esplorare, con cautela, e non prendere sentieri fasulli, lontani dalla destinazione. Perchè l’arte, come un germe, si accomoda in certi uomini e cresce con loro, a volte inconsapevoli per anni, salvo piccoli segnali o sintomi, quali sentire un bisogno di espressione, che vita e colori chiedono pennelli e tele e il tempo che ci vuole. Così Cubello fin da bambino ha sentito il suo germe, ma solo da adulto ne ha risentito i sintomi, farsi più insistenti, più legittimato, una volta assolti gli impegni che lo hanno costretto lontano dalla sua passione. Scrivere, o descrivere, Claudio Cubello e la sua arte non può prescindere dalla spontaneità delle sue opere, un viaggio che ricomincia ad ogni lavoro, e che stupisce lo stesso autore, quasi inconsapevole, quasi ostaggio delle sue mani. La via più impervia da descrivere rimane però quella che attiene all’ispirazione, che in ogni artista gioca un ruolo importante,

a volte determinante, sempre che poi l’artista trovi la propria strada. Per Cubello non vi sono dubbi di sorta, poichè la sua esperienza artistica ha pieno possesso delle opere di Picasso, Pollock, Monet, esposte al Metropolitan Museum di New York, dove ha potuto toccarne l’essenza, dove ha conosciuto il Maestro Ezio Gadioli e con il quale ha potuto tracciare la sua via, come un discepolo, in un rapporto umano e artistico fuori dal tempo. Il germe di questo pittore vive però di vita propria e delle sue vene artistiche ed esterna la sua forza, la sua voglia di comunicazione, senza riguardi, senza obiettivi, libera e piena di colore e dal colore nasce e si anima la tensione artistica di Cubello. Dai colori prendono vita i suoi studi, quasi scientifici, colori che poi si contorcono in immagini plastiche che si possono toccare per un attimo soltanto, perchè poi è la forza che prevale, dirompe, ti depista e ti confonde. La pittura di Cubello interpreta un nuovo modo di concepire l’arte contemporanea, fatta di tensioni emotive e di intuizioni, quasi sensitive, tra musica e odori, ad

esprimere un concetto artistico già presente nel futurismo, e che pretendeva l’esultanza dei sensi, tutti, sulle tele. Quelle di Cubello sono di notevoli dimensioni e trattengono spazi senza confini, nè luoghi, o volumi in pieno dinamismo, inafferrabile, proprio come un sentimento: le sue opere esprimono lucidi calcoli, finalizzati all’equilibrio, a contraddire un’apparente freneticità, per poi sfociare in una forma sentimentale senza citazioni, nè romanticismo, libera e originale. L’arte di Cubello crea tensione, e poi rilassa, e seduce, ma esige tempo, e profondità, per andare oltre il colore, l’animazione, passando dall’analisi di ogni riflesso cromatico e codificarne la sensibilità. Per questo la sua arte lascia spazio ad ogni interpretazione, ad ogni esperienza, purchè si sperimenti, senza finzioni.

Visioni ancestrali giardini del Re Sole di Stefania Trungadi INelle vedute seicentesche dei Perelle Dallo scatto alla pittura

Sabrina Falzone

L’

arte pittorica di Stefania Trungadi emerge da amabili e suggestive atmosfere sensoriali, create sotto il segno di un’incondizionata ispirazione artistica, maturata nella quotidianità della vita. Da abile autodidatta l’artista esordiente rivela le proprie particolari doti creative e le sue capacità tecnico-esecutive nell’elaborazione di moderne iconografie espressive legate alla rappresentazione figurativa. Nel repertorio iconografico della giovane autrice, residente nella provincia di Modena, compaiono differenti tematiche che partono da una personale raffigurazione della

maternità e della famiglia, fino ad arrivare al ritratto e ad un approfondimento del concetto di musica nell’arte contemporanea. Nel dipinto intitolato “I musicisti”, eseguito a tecnica mista su tela, in primo piano si succedono una serie di strumenti musicali a corde dalle tonalità calde e aranciate che spiccano su uno sfondo freddo dominato da sfumature blu e lampi di luce nivea. E’ uno scenario quasi cosmico che si presenta come un firmamento stellato, da cui affiorano le note dell’anima. In quest’opera di straordinario impatto cromatico, impostata sulla sinergia dei contrasti tonali, una raffinata orchestra di violini suggella l’emozionalità del suono leggero e impercettibile. I volti enigmatici dei musicisti, lasciati in secondo piano,

privi di qualsiasi intento ritrattistico guidano l’osservatore verso una dimensione universale e inconscia. Il quadro non ritrae tanto la musica quanto piuttosto le sensazioni interiori che essa scaturisce. L’arte fotografica è un ulteriore campo di ricerca sondato da Stefania Trungadi, che esamina a fondo l’antica tematica della maternità femminile e del sacro vincolo della nascita.

Sabrina Pelissetti

L

a raccolta Recueil des plus belles veües des Maisons Royale de France costituisce un importante precedente alle Veües Des Plus Beaux Bastimens De France, pubblicate negli anni Ottanta del XVII secolo da Mariette, in rüe St. Iacques a la Victoire a Parigi, che consta di sette gruppi di tavole dedicate ad architetture, giardini, paesaggi urbani, residenze e castelli (Château de Versailles, Château de Chantilly, etc. Le tavole, dedicate ai più noti cantieri promossi dal Re Sole, sono restituite per la prima volta al pubblico in questa straordinaria varietà di soggetti e comprendono alcuni esemplari inediti, assenti negli album conservati presso l’Institut National d’Histoire de l’Art e la Bibliothèque nationale de France François-

Mitterand di Parigi: uniche versioni pressoché complete, rispettivamente composte da 129 e 167 plances. Mostra e catalogo a cura di Laura Sabrina Pelissetti 12-20 dicembre 2009 Villa Borromeo Visconti Litta, Lainate 10-25 gennaio 2010 Villa Cusani Tittoni Traversi,

Desio 27 marzo – 25 aprile 2010 Villa Borromeo, Cesano Maderno Info: siti istituzionali dei singoli Comuni e sito della ReGiS – Rete dei Giardini Storici: www. retegiardinistorici.com (in via di realizzazione)


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La “pittura” tessile Un circolo dentro l’arte di Anna Tamborini LA RUBRICA DI “CARO”

La bellezza dei tessuti policromi Sabrina Falzone

A Milano conquistano il pubblico i lavori artistici di Anna Tamborini, realizzati con incantevoli tessuti policromi ed una straordinaria varietà dei materiali impiegati. L’autrice milanese coltiva questa insolita passione artistica per l’arte tessile sin dall’infanzia, “ereditata” da sua nonna materna. Le sue prime creazioni, infatti, sono state degli abiti d’epoca per la Barbie, da cui in seguito è fiorita la sua vocazione per lo studio della storia del costume e l’interesse per la moda maturato presso l’Istituto Marangoni contemporaneamente al-

la formazione presso l’Accademia di Brera, dove ha acquisito una spiccata padronanza esecutiva nella Decorazione nonché una propensione verso l’astratto. Una significativa esperienza professionale svoltasi nell’arco di un decennio presso lo studio di uno stilista le ha conferito, inoltre, una sapiente abilità tecnica, acquisita attraverso la conoscenza del taglio, della modellazione e del disegno per tessuto. Fantasiosa disegnatrice di collezioni d’abbigliamento, Anna Tamborini crea partendo da un’accurata selezione delle stoffe applicate, spesso frammenti del passato che riacquistano una nuova nobiltà artistica e una rinnovata funzione estetica mediante la loro aggregazione creativa. Una molteplicità di colori brillanti si alternano in un abbraccio emozionale, di tanto in tanto scandita dai colpi di luce dei bianchi sintetici e avvolta da rari segni bruni. L’armonia cromatica deriva dagli accostamenti delle stoffe e appare impreziosita da nastri e bottoni in madreperla. Rispetto alle più comuni opere tessili contemporanee caratterizzate

Crepaccio

in prevalenza da un figurativo grottesco o fiabesco, quelle di Anna differiscono per concezione informale neopollockiana ed efficace effetto pittorico e si presentano sotto forme morbide e avvolgenti, quasi liberty, in quanto enfatizzano la linea. L’arte di Tamborini può essere definita a tutti gli effetti “pittura” tessile da intendersi come una successione di “pennellate” ad ago. Le sue opere sono il felice risultato di un complesso di gesti operativi, di cui restano brevi tracce di segni e la loro composizione materiale nasce come giustificazione stessa del fine estetico.

Mi è capitato recentemente di presentare un artista che dipinge il mare, e nel vedere un insieme di onde tempestose sulla scogliera, in modo spontaneo ho parlato di “mare martellante”… è stato un momento magico al circolo dell’arte CARO: E perché? Perché da tale attribuzione è scaturita una simpatetica tavola rotonda assai ridanciana e volutamente volta verso il serio e il faceto. E di cosa si è discusso esattamente? Semplice, sui giochi di parole: e allora esiste il mar-tello che è quello più agitato; il mar-zapane che è quello più dolce; il marostica che è quello dove la navigazione è difficile… e c’è anche il mar-razzo che è quello appena scoperto! E’ pieno il nostro intorno, la nostra storia, il nostro sport, la nostra pubblicità di parole che, se usate in un certo modo, si involgono in nuove caratterizzazioni semantiche spesso stravaganti e allusivamente molto giocose. Già Sant’Agostino diceva “ la misura dell’amore è amore senza misura” e se poi pensiamo all’arte paleocristiana è utile citare l’iconografia del pesce e perché? OK vediamo di capire: era l’immagine criptata di Gesù perché la parola greca icthis (pesce) è l’acrostico di Jesus Christos Theou Yios Soter (Gesù Cristo Salvatore figlio di

Dio). E se entriamo dentro l’arte del grande Leonardo da Vinci, dentro i suoi “ghiribizzi”… ci troviamo “La dama con l’ermellino” (Cecilia Gallerani amante di Ludovico il Moro) e scoprire che ermellino in greco è galè da cui Gallerani. E dentro il mondo stravagante, l’universo artistico di Marcel Duchamp? ci accorgiamo allora di quanto questo artista sia stato capace di fare attraverso la sua componente ludica dell’arte, una autentica e personalissima cifra stilistica del suo linguaggio: è il caso infatti della Gioconda che l’artista, usando una stampa, ne aggiunge i baffi e il pizzetto con una matita ma, e soprattutto, aggiunge la scritta L.H.O.O.Q. che in inglese è “guarda” e in francese facendo lo spelling, scioglie il mistero del sorriso di Monna Lisa asserendo che “elle a chaud

au cul” (ella ha caldo al culo). Baffi e scritta una doppia dissacrazione ma anche una divertita provocazione dell’androgino ermetico caro al sapere alchemico. L’alchimia centra la sua credenza sull’unità originaria del principio maschile e di quello femminile. Ecco perché nell’arte tutto quello che appare è in realtà il piano di affioramento di un pensiero iconologicamente assai più complesso e, a volte, estremamente metaforico. Un gioco di parole come “l’invasato”, la mostra fatta da poco al circolo dell’arte Caro di Antonio Di Rosa, lo scultore-pittore napoletano foriero di opere dense di ironia e di pregnanti metafore di vita… OK! Siamo sempre “dentro un vaso”, il vaso della creatività, della fantasia e della immaginazione… Ebbene si, un bel gioco di parole: I N V A S A T I …

nel 1930. Il fratello si ritrova le tre sculture: una copia viene prestata per una mostra e torna spaccata in due, e ... viene gettata! La seconda copia viene venduta varie volte e finisce alla fine in Brasile, dove si trova tuttora. Ma quella rossa, l’originale ricostruita da Bisi, che fine ha fatto? Viene anche questa venduta e alla fine arriva nelle mani di un grosso collezionista, un certo Calmerini. Questi nel 1935 la dona, insieme ad altre opere di Boccioni, al Comune di Milano, il quale la fa finalmente fonde-

re in bronzo, e poi in copie. L’originale? Viene definitivamente distrutto. Almeno dal 1935, non se ne hanno più notizie, molto probabilmente fu distrutto in fonderia; era destino. Tutta questa incredibile storia, documentata, dall’intervista del 1979 di Marco Bisi, unico e lucido testimone dell’epoca, è stata successivamente ospitata in un bel libro di Luigi Sansoni, storico dell’arte milanese, in cui ricostruisce tutti i vari passaggi delle sculture, con documentazione certa e scientifica.

Un inedito giallo futurista

Il mistero della distruzione delle sculture di Boccioni Alfredo Pasolino

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n inedito d’eccezione rivelato dal gallerista romano MARCO ROSSI LECCE, nipote del famoso pittore futurista CARLO ERBA, firmatario nel 1909 con Umberto Boccioni del Manifesto Futurista di Marinetti. ci rende edotti dell’avvenuta distruzione e ritrovamento delle sculture di Boccioni, raccontandoci per filo e per segno tutta la storia. Boccioni è il solo scultore valido del Futurismo, o per dire meglio l’inventore del Futurismo, in scultura. Ci restano di lui, cinque opere, ma quanto basta per darci l’immagine di un grande artista ribelle a tutti i tradizionalismi e propugnatore di una scultura nuova sotto tutti gli aspetti, però aderente alla sensibilità e ai significati storici del mondo d’oggi. La clamorosa lettera rivelatrice si attesta sul lontano 1979, quando Marco Rossi Lecce ebbe l’acume di intervistare gli ultimi protagonisti e i testimoni del Futurismo italiano. Fra i vari interpellati, MARCO BISI, figlio di Giannetto Bisi e di Adriana Bisi, pittrice ma anche cugina di Umberto Boccioni. Il giovanissimo Bisi, gli fa da assistente, nell’ultimo anno di vita artistica del famoso

pittore scultore Boccioni, nello studio a Milano. Era il 1914. Milano era la città più progredita d’Italia. Boccioni interventista e capofila del Movimento rivoluzionario dopo l’euforia del Manifesto parte per la guerra con Carlo Erba, e nel 1917 per un disgraziatissimo destino muore cadendo da cavallo durante un esercitazione militare. Gli storici del Futurismo, negli anni 70-80, poco attenti, avevano scritto: dopo la morte di Boccioni le sue sculture di gesso sono state distrutte! Invece le cose andarono diversamente; una storia affascinante e con dei risvolti gialli ancora oggi da districare. Boccioni muore e la sua famiglia si trasferisce a Verona. Non potendo portare le sculture (erano nove), perché pesanti e troppo ingombranti, le affidano a un amico di famiglia, certo Piero da Verona (scultore classico), fratello di Guido, che a quel tempo era uno scrittore sconosciuto e di moda. Piero immagazzina per modo di dire le sculture, sistemandole sotto un portico all’aperto, praticamente esposte alle stagioni, solo riparate da un tetto! Lì, restano per ben dieci anni. Poi inaspettatamente, senza nessun motivo plausibile e preavviso, Piero decide

di distruggerle e di gettare i detriti in una discarica nei pressi di Milano (era il 1927). Bisi viene informato il giorno stesso, ovviamente con maggior senso critico e preparazione accademica, anche lui scultore si dispera e corre alla discarica (Acqua Bella), trova un ammasso di frammenti. Va tenuto conto che Boccioni all’epoca, era famoso e che le sculture avevano sicuramente un buon valore. Rimane un mistero perché Piero da Verona se ne sia sbarazzato. Bisi quasi in lacrime davanti ai detriti di gesso, si ricorda che Boccioni poco prima di partire per la guerra, aveva dipinto di rosso-minio una delle sculture, quella più piccola: “Sviluppo di una bottiglia nello spazio”. Con paziente precisione, raccolse tutti i frammenti rossi che risaltavano dagli altri e nei due anni successivi restaurò la scultura ricostruendola con soddisfazione certosina. Soddisfatto del lavoro parte per Verona, porta la scultura alla sorella di Boccioni, Amelia Callegari, la quale lo ringrazia con slancio di gioia, invitandolo ad andare a trovare un futurista famoso, certo Fedele Azzari, con il progetto di far fondere in bronzo la scultura. Promette a Bisi che una

volta fatto questo, lui si poteva riprendere il gesso originale. Bisi, recatosi da Azzari a ritirare la “bottiglia rossa”, si vede ringraziato, anche lui entusiasta, ma gli dice di ripassare dopo qualche mese. Passa quasi un anno, nessuno si fa vivo con Bisi, lui riparte e va trovare Azzari, ma non trova neanche più lo studio in cui era stato. Insomma, Bisi desiste e rinuncia. Poi, nell’intervista, dichiara che in effetti la fusione ci fu, perché pochi anni dopo in una mostra a Palazzo Reale a Milano, vede esposta la fusione in bronzo. Si accorge anche che l’avevano levigata; forse qualcuno prima di fonderla aveva raschiato tutta la superficie di gesso rosso, togliendo quella patina spessa e rugosa che aveva voluto Boccioni. Insomma la trovò diversa da come se la ricordava. E qui finisce l’intervista con Marco Bisi. Che era accaduto? Perché Bisi non trovò più Azzari? Ecco la spiegazione raccontata dalla lettera di Marco Rossi Lecce: Azzari fece fare due copie in gesso della scultura rossa; dopo si ammalò, ebbe delle crisi nervose una dopo l’altra. Chiuse lo studio, ecco perché Bisi non lo trovò. Ebbe diversi ricoveri in cliniche per malattie mentali, finendo suicida-


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parliamo di... a cura del prof. purpura

L’intuito

Il lato destro del cervello

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etto volgarmente sesto senso, in quanto ci permette la conoscenza immediata di un qualche problema o una scelta in una qualsiasi situazione, ma che senso non è. Etimologicamente vuol dire vedere dentro, guardare dentro con l’occhio della mente. Psicologi ma soprattutto filosofi ne hanno parlato, definendolo comunque con una forte connotazione misteriosa, “senso” nascosto, che qualche volta ci lancia dei segnali evidenti della sua presenza, rivelandosi appunto attraverso quelle che chiamiamo intuizioni. Ricerche scientifiche oggi ci permettono di scoprire qualcosa in più che nel passato. Oggi possiamo definirlo un processo mentale per cui si arriva a comprendere in modo immediato e diretto una verità qualsiasi. La filosofia della conoscenza lo interpone al ragionamento secondo tappe scandite dalla logica della deduzione. Altri studiosi fanno notare che affinché la vivacità intellettiva dell’individuo sia realmente costruttiva, l’intuizione deve interagire con il ragionamento come momento di elaborazione più consapevole e di verifica. L’intuizione sicuramente per manifestarsi ha bisogno del pieno coinvolgimento del sistema nervoso centrale e di una ottima trasmissione tra i neuroni dei due emisferi, per un efficace scambio di dati, dati che in parte si trovano nella nostra memoria. Quindi possedere un’ot-

tima capacità di recupero dalla memoria, un’ottima capacità associativa, di confronto, un’efficiente capacità percettiva strutturata alla luce di precedenti esperienze, una capacità di raccolta dati in modo che se ne possano incamerare la maggiore quantità comparando l’ambiente percepito e da noi sperimentata costruttivamente, tutte queste capacità al momento opportuno contribuiranno alla qualità dell’elaborazione e ad una valida e agevole emersione dell’intuito.

Neuro scienziati infatti stanno portando alla luce nuove prove di percezioni e capacità inconsce più complesse: il nostro cervello, incamera in modo inconscio informazioni che al momento opportuno fa emergere in nostro aiuto. Goleman, ad esempio, sostiene che la risposta ad un quesito che ci tormenta, di qualsiasi natura esso sia, è già dentro di noi, basta saperla cercare e tirare fuori. Spesso tali risposte arrivano del tutto inaspettate in sogno o in dormiveglia, o mentre ci stiamo dedicando ad altre occupazioni. Da quanto detto é facile dedurre che, con un opportuno allenamento cognitivo, si può sviluppare la capci-

tà d’intuizione che tanto ci aiuta nei momenti decisionali più o meno importanti della nostra vita, ma che tutti comunque contribuiscono al successo e alla qualità della stessa, contribuendo a quella formazione di un Io più forte, più sicuro, difficilmente vulnerabile, perché alla base troviamo la qualità dei vari processi mentali e una valida e concreta autostima basata sulle esperienze e non fittizia. Le donne ad esempio, è risaputo, possiedono una maggiore capacità di intuizione rispetto all’uomo. In altre parole sembra che esse siano in grado di prestare maggiore attenzione al loro lato destro del cervello, quello che generalmente viene associato alle percezioni intuitive. Questa maggiore capacità dipende da diversi fattori, Nella donna il corpo calloso, complesso fascio di fibre nervose che permette ai due emisferi di comunicare tra loro, è più sviluppato che nell’uomo addirittura del 20/% in più, il che comporta una migliore comunicazione e un migliore utilizzo bilaterale del loro cervello. Inoltre l’innata abitudine ad essere più attente verso se stesse e ai loro sentimenti, le porta ad essere più sensibili e ricettive. E’ chiaro che possedere una migliore capacità di intuizione insieme a validi processi mentali vuol dire affrontare le difficoltà di tutti i giorni con più serenità, creatività e sicurezza sia nella vita privata che nel lavoro di ognuno di noi.

Amici del Loggione via Silvio Pellico, 6 info: 02-80680612

PINA BAUSCH Ricordo della grande coreografa recentemente scomparsa VIDEO MERCOLEDÌ 13 Gennaio 2010, ORE 16.00 Christoph Willibald Gluck, Orfeo ed Euridice (Parigi 2008, 1h 50’) Balletto, coreografi a di Pina Bausch Ballerini: Y. Bridard, M.A. Gillot, M. Kudo Dir.:T. Hengelbrock Cantanti: M.R. Wesseling, J. Kleiter, Sunhae Im CONFERENZA GIOVEDÌ 14 Gennaio 2010, ORE 18.00 Leonetta Bentivoglio I CORPI PARLANTI DI PINA BAUSCH SETTIMO INCONTRO: Religione e musica SABATO 23 Gennaio 2010, ORE 16 Padre Eugenio Costa: “DIO C’ENTRA CON LA MUSICA?” Musiche e religione: dove quando e perché GIORNATA DELLA MEMORIA Partecipazione alle iniziative che in tutta Italia ricordano la ricorrenza

CONFERENZA MERCOLEDÌ 27 Gennaio 2010, ORE 18.30 Valeria Palumbo ALICE A THERESIENSTADT: come sopravvivere all’inferno con Chopin Suonerà il Trio Louise Farrenc (pianoforte, violoncello, clarino) INIZIATIVA GIOVANI STAGIONE CONCERTISTICA 2009/2010 MERCOLEDÌ 16 Dicembre 2009, ORE 21.00 Cristina Dominguez Rodriguez, soprano Giovanni Romeo, baritono Mattia Mistrangelo, pianoforte Musiche di V. Bellini, D. Cimarosa, G. Donizetti, W.A. Mozart. G. Puccini, G. Rossini, G. Verdi VENERDÌ 15 Gennaio 2010, ORE 21.00 Eliana Sanna, mezzosoprano Carlo Licata, pianoforte Musiche di F. Canaro, P. Codevilla, E. Donato C. Gardel, M. Mores, A. Troilo, A. Villoldo VENERDÌ 29 Gennaio 2010, ORE 21.00 Manuel Buda, chitarra Davide Tedesco, contrabbasso Daniele Parziani, violino Musiche popolari ebraiche

Arte Milano

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Steve McCurry e la bellezza dell’anima

Il viaggio e il silenzio in 240 immagini Francesca Bellola

Segue da pag. 1 e espressioni di queste ragazze penetrano nel profondo dell’anima e rincuorano perché ci ricordano che la purezza e la sofferenza si sono cala-

L

te nella realtà. McCurry, conosciuto in tutto il mondo per i suoi colori evocativi e membro di Magnum Photos dal 1986, è stato il vincitore di molti premi foto giornalistici tra i quali ricordiamo il World Press Photo Awards. Spiega

l’Assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory: “Steve McCurry ci insegna che con la sua fotografia possiamo entrare dentro la tragedia e scoprire che essa può contenere un frammento di bellezza, una speranza di salvezza”.

LA VERDI

Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi

31 Dicembre 2009, 01 – 02 Gennaio 2010 Ludwig van Beethoven Sinfonia n.9 in Re minore per soli, coro e orchestra op.125 (durata 70”) 3. laVerdi barocca direttore Ruben Jais (martedì 5 gennaio ore 20 Discovery per i soci) 06 Gennaio 2010 Johann Sebastian Bach Oratorio di Natale per soli, coro e orchestra BWV 248 13. Stagione Sinfonica - Dedicato ai classici: la Jupiter di Mozart e la Pastorale di Beethoven, direttore Ivor Bolton 07 - 08 – 10 Gennaio 2010 Wolfgang Amadeus Mozart Sinfonia n.41 in Do maggiore K. 551 Jupiter (durata 42’ ca.) Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 6 in Fa maggiore op. 68 Pastorale RACCONTARE MOZART voce recitante Roberto Corona, direttore Massimo Cottica - stagione a cura di Lucia Mencaroni 09 Gennaio 2010 Wolfgang Amadeus Mozart musiche varie 14. Stagione Sinfonica -Grandi affreschi sinfonici lisztiani, per la bacchetta di Martin Haselböck, direttore Martin Haselböck 14 - 15 – 17 Gennaio 2010 Franz Schubert Marce ungheresi D 818 Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 8 in Fa maggiore op. 93 Franz Liszt Tasso: Lamento e trionfo, poema sinfonico S 97 Franz Liszt Les préludes (d’après Lamartine), poema sinfonico S 97 Auditorium di Milano Fondazione Cariplo SRL Largo Gustav Mahler - 20136 Milano tel. 02.83389.422/400 - fax 02.83389.300 info@auditoriumdimilano.org

Ok Arte Milano

Edito dall’Associazione Culturale Ok Arte Direttore responsabile Avv. Federico Balconi Direttore editoriale Francesca Bellola Progetto Grafico e impaginazione Kerr Lab kerr@email.it 02 8321963 Stampato dalla Igep Via Castelleone 152 CR Testata OK Arte Reg. Tribunale di Milano del 6 maggio 2008 n. 283

Hanno collaborato: Critico e storico dell’arte

Sabrina Falzone

Federico Balconi Clara Bartolini Francesca Bellola Matteo Castelnuovo Carlo Catiri AmarenaChicStudio Grazia Chiesa Silvia Colombo Davide Corsetti Giuliana De Antonellis Isabella De Matteis Mauro De Sanctis Umberto Di Bonaventura FAI Carla Ferraris Carlo Franza Fabrizio Gilardi Alessandro Ghezzi Anna Guainazzi Luca Impellizzeri

Alessio Lu Ivana Metadow Club Miniaci Milena Moriconi Sabrina Panizza Rosa Parisi Alfredo Pasolino Sabrina Pelissetti Ugo Perugini Antonio Purpura “Caro” C. Roccazzella Leo Rubboli Clara Terrosu Yari Massimo Zanicchi

Informazioni e pubblicità 3474300482 info@okarte.org OK ARTE sede in c.so Buenos Aires 45 presso agenzia Cattolica


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Arte Milano

La clinica veterinaria dell’Enpa di Milano Umberto Di Bonaventura

un blocco chirurgico composto da due sale chirurgiche ed un locale di preparazione e sterilizzazione, degenze cliniche per cani e gatti che volutamente sono state ideate in aree separate per evitare lo stress agli animali e infine di un laboratorio analisi.

L

a Clinica Veterinaria dell’ENPA di Milano (Ente Nazionale Protezione Animali - ONLUS) è il cuore delle attività operative della Sezione: da questa struttura centrale e prioritaria transitano ogni anno quasi duemila animali randagi, selvatici o di proprietà ed è in questo luogo che, dalle 9 alle 24 per 365 giorni all’anno, lo staff veterinario presta le proprie cure a tutti gli animali, con o senza padrone. L’attività veterinaria nasce quindi dall’esigenza di prestare cura agli animali di Milano e Provincia recuperati dal servizio di Pronto Soccorso dell’Enpa di Milano, ma è rivolta anche al pubblico cittadino, sia per le visite di routine (vaccinazioni, sterilizzazioni, esami…) agli animali di proprietà come cani e gatti che all’esecuzione di sofisticate operazioni chirurgiche o dei numerosi esami ed accertamenti, realizzati con moderne attrezzature. Naturalmente questo servizio che ENPA mette

La struttura è attrezzata con una strumentazione completa e all’avanguardia, l’ambiente è interamente climatizzato e dotato di impianti di aspirazione, filtrazione e trattamento dell’aria centralizzati.

a disposizione dei cittadini per i loro animali è a pagamento. Un’importante particolarità della clinica è che, oltre a poter contare su uno staff altamente qualificato, finalizza gli introiti derivanti dalle prestazioni agli animali di proprietà a sostegno delle attività istituzionali dell’Associazione come il pronto soccorso, la degenza e la cura degli animali selvatici e non, feriti o abbandonati, le consulenze telefoni-

che al pubblico cittadino e le iniziative di promozione e sensibilizzazione. Questo binomio fra la clinica veterinaria e il servizio di soccorso risulta imprescindibile per poter garantire la dovuta attenzione alle problematiche legate al mondo animale, che si traduce nella certezza di poter contare su professionisti esperti e specializzati in grado di prestare soccorso ad un’iguana, a un furetto oppure un riccio

per non parlare di cani e gatti, trovati e soccorsi in una via del centro della città o per le vie di qualche paesino della provincia. La Clinica nasce nel lontano 1991 e viene rinnovata completamente nel 2005. Attualmente conta di: quattro sale visita (di cui una riservata agli animali soccorsi ed in degenza), un’area per la diagnostica per immagini (Radiologia ed Ecografia),

La clinica riserva ai soci dell’Enpa di Milano anche un particolare listino prezzi: basta versare una quota annuale di 25 euro che consentirà, oltre a sostenere l’associazione, di usufruire di uno sconto pari a circa il 30% in media sulle varie prestazioni presso gli ambulatori di Via Gassendi 11 a Milano e di convenzioni particolari con altri esercizi convenzionati con l’Ente di Milano. Per associarsi alla Sezione è necessario versare la

quota associativa in uno dei seguenti modi indicando sempre su ogni modulo o bollettino la causale (nuova associazione): a) tramite bollettino di ccp n°36009207 intestato a:ENPA Sezione provinciale di Milano - Via Gassendi 11 20155 MILANO b) con un bonifico bancario sul conto corrente tenuto presso il Credito Artigiano –IB ANIT34 P0351201622000000001000 c) direttamente presso gli uffici amministrativi al primo piano di Via Gassendi 11 a Milano. Per maggiori informazioni consultate il sito: www.enpamilano.org. Lo Staff della Clinica Veterinaria Dott. Andrea Dorcaratto, Direttore Sanitario, Dott. Salvatore Avenia, Dott. Silvia Barbieri, Dott.ssa Valentina Belluschi, Dott.ssa Cristina Deiana, Dott.ssa Consuelo Faranda, Dott.ssa Alessia Grasso, Dott.ssa Maura Nardi, Dott.ssa Elena Pezzoli, Dott.ssa Barbara Tonini, Dott. Giovanni Tremolada, Dott.ssa Barbara Valsassina

Animali maltrattati

“Chi non ama gli animali... non ama nemmeno gli uomini” (Mahatma Gandhi-1941)

Milena Moriconi

S

ono trascorsi quasi 70 anni da quando questo grandissimo, impareggiabile uomo pronunciò questa frase, ma, purtroppo, le persone che non amano gli animali, e che quindi, a detta di Gandhi, non amano nessuno, sono ancora troppe. Se in televisione passano scene strazianti sul maltrattamento degli animali, lo spettatore, se proprio non le regge, cambia canale o si copre gli occhi, come me. Se in Enpa arrivano telefonate sconvolgenti, sullo stesso argomento, non si può invece riattaccare: i volontari sono lì per ascoltare, consigliare e, se necessario, interve-

nire. Ed a volte l’angoscia è veramente tanta. Chi denuncia un vicino di cascina che uccide a martellate un cinghialino di 50 chili per poi decapitarlo, mettere in bella mostra la testa su un vassoio d’argento, ed infine radunare gli amici per vantarsi della bravata. Chi, mentre ci parla al telefono, allontana il microfono per consentirci l’ascolto in diretta di guaiti strazianti che rotolano fuori dalla gola di un cane preso a calci e pugni. Mi fermo qui. Ed ogni volta, alla fine della telefonata, la domanda è una ed una sola : “Ma perchè?”. A lungo andare, lo sbigottimento lascia però il posto al raziocinio e, adagio adagio, le spiegazioni a tanta cattiveria prendono forma. Innanzi tutto, qualunque sia il tipo di malversazione verso gli animali, ci troviamo di fronte alla vigliaccheria brutale di chi abusa solo di creature indifese: vorrei vedere quanto coraggio ostenterebbe lo stesso “signore”, grande seguace del motto “Forte coi deboli e debole coi forti”, che si pavoneggia dopo aver preso a martellate un cucciolo di cinghiale, se

si trovasse davanti il papà cinghiale! La codardia e la voglia di violenza mi fanno paura, perchè sono profondamente convinta che, in mancanza di materia prima di tipo animale su cui sfogarsi, personacce infettate da questi virus potrebbero aggredire chiunque fisicamente più debole di loro, donne o bambini, anziani o disabili o chissà chi altro ancora, pur di assaporare un attimo di falsa e fugace superiorità comprata con atti abietti. Mi fanno tanta paura perchè, il più delle volte, così inaspettate e incontrollabili da cogliere di sorpresa anche chi cerca di correre in difesa degli animali abusati, così da non riuscire a chiedere soccorso in tempi veloci. E qui scatta la raccomandazione: se vi rendete conto che un maltrattamento viene reiterato, cercate di denunciare anticipatamente il fatto alle forze dell’ordine, dando a queste la possibilità di cogliere, possibilmente, lo squallido individuo mentre sta commettendo il reato. Alla vigliaccheria poi, a seconda del tipo di brutalità, possono aggiungersi altri disonorevoli difetti,

quali l’ottusità delinquenziale nel non considerare il danno che si può provocare ad altri esseri umani, nel caso di abbandono di cani in autostrada; oppure ancora il sadismo se si arriva a torturare; oppure ancora una ritrita, arcaica presunzione di superiorità della specie per cui ci si sente legittimati, solo perchè “uomini”, a sottomettere creature erroneamente considerate al nostro servizio. La casistica è vasta, ma due sono le cose certe. La prima è che il sostantivo, sotto cui occorre raggruppare gli atteggiamenti vergognosi di cui sopra, è solo uno: DELINQUENTE! La seconda è che tutti i mass media, pur arrivando a pubblicizzare i casi eclatanti di maltrattamento, conservano, mentre lo fanno, un atteggiamento leggiadro e un tono un pò troppo distaccato, da “vi comunichiamo ora le estrazioni del lotto....”, arrivando, al massimo dello slancio offensivo, a definire INCIVILI i colpevoli, come se si fossero limitati a non raccogliere le deiezioni per la strada. Durante Hollowen, la festa che affonda le sue radici

A me è andata bene! Ma tu, uomo, mi fai sempre un pò paura. Lucia e Milena 2009

nelle tradizioni celtiche tribali, una festa dalla paternità tutta europea, si stima vengano prima torturati e poi uccisi ben 30.000 gatti neri, ed i TG hanno appena amalgamato questa notizia con quella dell’allegria dei bimbi che, andando di porta in porta, recitano il famoso: “Dolcetto o scherzetto?”. Risultato: l’anticipazione dell’abominio è sfuggita o è stata sottovalutata, fagocitata dall’impostazione allegrotta e scanzonata di tutto il servizio. Io non riesco a comprendere questa inibizione nel chiamare le cose col loro nome, questo timore reverenziale nei confronti di chi merita solo disprezzo. D’altro canto, dire pane al pane e vino al vino, come insegna la saggezza popolare, è solo indice di quella sincerità sostituita ultimamente, non si sa bene perchè, da una falsa interpretazione della parola civiltà, per cui usare parole forti, anche se verissime, è indice di mala educazione. Si deve lottare, con le unghie e con i denti, contro gli abusi sui deboli, senza paura di niente e di nessuno, de-

nunciando e coinvolgendo chi può aiutarci ascoltando i nostri richiami, tenendo sempre ben chiaro in mente che tutti quelli che hanno bisogno di protezione DEVONO essere protetti, senza riserve, senza remore. Chiunque abbia bisogno dell’appoggio della brava gente deve sperare e sentirsi sereno, certo di non essere solo, animale compreso. E se il nostro soccorso non riesce ad arrivare prima che il brutto fatto accada, cerchiamo almeno di agire dopo, sollecitando i giusti provvedimenti. Un’ultima cosa: chi non rispetta gli animali non ha fatto progressi dai tempi della barbarie celtica. Chi non ha compreso l’appartenenza a quella grande famiglia allargata, che è il mondo, in cui chiunque respiri merita il massimo rispetto e solidarietà è rimasto un vandalo squarta gatti. L’unica differenza è che viaggia in auto invece che a cavallo. E meno male che, almeno, ha perso l’abitudine di offrire sacrifici umani agli dei, o di praticare il cannibalismo, come gli antichi Aztechi.


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Mostra in Duomo I

Forze Armate in festa

l Presidio Militare di Milano ha organizzato una serie di eventi e manifestazioni in città per celebrare la Festa dell’Unità Nazionale - Giornata delle Forze Armate, ed in particolare fra queste una serie di mostre alla Loggia dei Mercanti, piazzetta Reale e la caserma Santa Barbara di p.le Perucchetti. La mostra statica alla Loggia dei Mercanti è stata visitata dal Ministro della Difesa On. La Russa accompagna-

to dal Sindaco di Milano Sig.ra Moratti, e dalle alte cariche Militari e civili. Il curatore della Mostra Franco Tarantino e la collaboratrice Roberta Musi sono stati premiati dal Ministro della Difesa per la qualità delle opere e degli artisti selezionati. Fra gli artisti partecipanti, abbinati ciascuno ad una Forza Armata, citiamo oltre a Franco Tarantino (Aeronautica) ed a Roberta Musi (Carabinieri) an-

che Franco Vasconi (Esercito), Roberto Denti (Marina), Massimo Piazza (Guardia di Finanza). Le cinque opere sono rimaste esposte all’interno della Loggia in attesa di essere ospitate nelle rispettive sedi per ogni F.A.. Infine, per l’occasione, è stata donata all’on. La Russa un’opera, tecnica mista, ispirata al Manifesto “Grazie Ragazzi”, realizzata dagli artisti Franco Tarantino e Roberta Musi.

Arte Milano

Arte Povera

Opere dalle Collezioni del Mart Villa e Collezione Panza, Varese

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opo il successo dell’esposizione Giorgio Morandi, realizzata grazie alla collaborazione tra Villa e Collezione Panza e il Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, continua il sodalizio tra le due istituzioni, con la mostra Arte Povera: dal 17 dicembre 2009 al 28 marzo 2010, nelle Scuderie e nelle sale di Villa e Collezione Panza a Varese, saranno esposte circa 25 opere - tra cui spettacolari installazioni - appartenenti alle Collezioni del Mart. L’Arte Povera, movimento artistico italiano riconosciuto a livello internazionale come uno dei più importanti nelle avanguardie del XX secolo, verrà in-

Nicholas Ray N

icholas Ray (pseudonimo di Raymond Nicholas Kienzle) trascorse la sua infanzia a La Crosse, paesino del Wisconsin, dove già da bambino cominciò ad appassionarsi di teatro e di recitazione in particolare. Grazie ai suoi successi scolastici, ebbe l’opportunità di lasciare La Crosse per seguire i corsi di un gigante dell’architettura moderna quale Frank Lloyd Wright; ma era il teatro ad intrigarlo, benché fosse rimasto senza un soldo e con una famiglia a carico. A New York cominciò a recitare diretto da un’altro grande del cinema americano dei ‘50 quale Elia Kazan (i due furono tra l’altro due dei pochi registi a dirigere James Dean). Grazie all’esperienza come aiuto regista del primo film di Kazan, “Un albero cresce a Brooklin”, comincia ad innamorarsi delle possibilità espressive della macchina da presa. Notato da uno stimato produttore newyorkese, esordisce nelle sale nel 1948 con “La donna del bandito”, discreto esordio che già prefigura lo stile asciutto e la tematica dell’irrisolvibile conflitto generazionale tra uomo-padre e ragazzo-

figlio (tematica “ìrayana” per eccellenza). Ray, dopo un paio di film di scarso interesse, realizzò “Johnny Guitar”, considerato dalla critica ( perlopiù europea, il giovane Truffaut su tutti) una delle pietre miliari della cinematografia a stelle e strisce; western anomalo poiché di stampo esistenzialista, dove a sfidarsi fino in un duello all’ultimo sangue sono due donne (le ottime Joan Crawford e Mercedes McCambridge, tra l’altro rivali e mosse da invidia anche sul set). I colori eccessivamente saturi della particolare pellicola usata contribuirono ulteriormente all’approccio psicologizzante del regista verso il film. Dopo venne il turno di “Gioventù Bruciata” e “Dietro lo specchio”, entrambi emblemi delle tematiche “ìrayane”, che fornirono uno spaccato crudo e realista dei conflitti dell’America macchiata di maccartismo dei primi anni cinquanta; Ray tolse in qualche modo la maschera a quel microcosmo dove tutto doveva brillare di patriottico ottimismo, per lasciare intravedere i primi segni di disagio giovanile che sfoceranno una manciata di anni dopo nelle rivolte studentesche prima e in Woodstock poi.

dagato attraverso i suoi protagonisti nelle sale di Villa Panza. Installazioni esemplari come quelle composte con legni di recupero, ferro e carbone di Jannis Kounellis (Senza titolo, 1989 e Senza titolo, 1991); gli igloo di fascine, vetro e neon di Mario Merz, le cui installazioni riportano alla memoria archetipi primordiali (Chiaro Oscuro 1983); l’Orchestra di stracci 1968 di Michelangelo Pistoletto, noto per i suoi quadri specchianti come l’Autoritratto del 1962, oppure I lottatori di Giulio Paolini del 1985, il cui lavoro si distingue per l’arte della citazione e il dialogo con l’antico, mentre fra le opere di Alighiero Boetti è presente, fra le altre, uno dei suoi celebri araz-

zi ricamati del 1989. Nelle opere gli elementi naturali e i materiali industriali sono liberamente combinati e accostati per creare inediti rapporti significanti, come in quelle di Gilberto Zorio, Giuseppe Penone e Giovanni Anselmo. La mostra, grazie a un suggestivo allestimento, si snoda, oltre che nel grande spazio delle Scuderie, anche in alcune sale della Villa, creando un innovativo e singolare dialogo con la collezione Panza. La mostra è a cura di Gabriella Belli, Direttore del Mart. Orari: 10 –18 (tutti i giorni escluso i lunedì non festivi). Ultimo ingresso ore 17.30.Ingresso (comprendente mostra, Villa e Collezione Permanente): adulti10 euro, ridotti (bambini 4-12 anni) 5 euro. Studenti fino a 25 anni: 5 euro. Aderenti FAI: 2 euro. Per maggiori informazioni sul FAI consultare il sito www.fondoambiente.it

SERATE MUSICALI telefono: 02-29409724

Una storia americana

Luca Impellizzeri

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Lunedì 14 dicembre 2009 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio Via Conservatorio, 12 – MI) Violinista UTO UGHI - I FILARMONICI DI ROMA F. J. HAYDN Sinfonia n. 44 in mi minore Concerto n. 1 per violino in do maggiore Hob.VIIa.1 N. PAGANINI Concerto per violino Lunedì 21 dicembre 2009 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio), Violinista DOMENICO NORDIO Pianista HANS FAZZARI Mercoledì 23 dicembre 2009 – ore 21.00 (Teatro Dal Verme), CONCERTO DI NATALE Orchestra I POMERIGGI MUSICALI Direttore GILBERTO SEREMBE J.STRAUSSIl Pipistrello, Ouverture J. BRAHMS 3 Danze Ungheresi (orch. Brahms) O.NICOLAI Le allegre comari di Windsor, Ouverture J.STRAUSS Lo Zingaro Barone, Ouverture A. DVORAK 3 Danze Slave op. 46 (6-7-8) J.STRAUSS Sul b el Danubio blu Lunedì 11 gennaio 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio), “IL DOPO HOROWITZ” Pianista VESTARD SHIMKUS WAGNER/GOULD Idillio di Sigfrido RAVEL/SHIMKUS Rapsodia spagnola BEETHOVEN/ SHIMKUS Variazioni sull’Inno alla Gioia MENDELSSOHN/HOROWITZ Marcia nuziale SCHULZ EVLER Arabeschi da concerto sul “Danubio Blu” di Strauss

Jimmy Stark di “Gioventù Bruciata” divenne l’eroe delle generazioni a venire e diede l’immortalità artistica al grande Dean (lo stesso anno girò un’altro gran film, “La Valle dell’Eden” di Kazan). Seguì per Ray una sensibile parabola discendente, anche a causa della crisi del sistema hollywoodiano che lo ave-

va reso grande. Morì a New York il sedici giugno del 1979, omaggiato dal grande Wim Wenders che realizzò un film sui suoi ultimi giorni di vita, “Nick’s Movie”, uscito nel 1980. Filmografia consigliata: “Johnny Guitar”,”Gioventù Bruciata”, “Dietro lo specchio”.

Lunedì 18 gennaio 2010 - ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio ) “AFFINITÀ ELETTIVE” (Schumann-Brahms) Violinista LEONIDAS KAVAKOS Pianista NICHOLAS ANGELICH R. SCHUMANN Sonata n.1 in la min. per violino e pianoforte op.105 J. BRAHMS Sonata n.2 in la magg. per violino e pianoforte op.100 R. SCHUMANN Sonata n.2 in re min. per violino e pianoforte op.121


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Arte Milano

Maurice Henry Roberta Musi Dopo 25 anni di esilio e la sua arte finalmente il ritorno a Milano

Le retour imprévu Silvia Colombo

Chi era e chi è oggi Maurice Henry? Innanzitutto era un uomo dal nome ordinario, per contrasto dotato di talenti straordinari. Nato a Cambrai nel 1907, vive in prima persona le vicissitudini delle due guerre; francese sino al midollo, è poi adottato dalla città di Milano, ove si reca sempre più frequentemente dal 1964, quando conosce Elda, sua futura moglie, e dove rimane per i vent’anni a seguire, fino a quando un malore non ne causa la scomparsa. Precocissimo, dall’età di cinque anni manifesta una chiara predisposizione per il disegno, ma sarebbe d’altra parte riduttivo collocare la sua attività solo all’interno di questo ambito. Disegnatore

umoristico per svariate testate giornalistiche, critico d’arte, di cinema, e a sua volta sceneggiatore e regista, ma anche fotografo e artista – ha lavorato con la pittura, il collage, l’acquerello, con un ready-made sui generis –, dimostra una personalità poliedrica ed estremamente creativa. E, non dimentichiamo, a tratti anche volubile: aderente al “Grand Jeu” prima – tra il 1926 e il 1932 –, gruppo goliardico di giovani artisti che riflettono sui temi della morte e della distruzione incorsi con le due guerre, e al Surrealismo poi (dal 1932 al 1951), che lascia in seguito a dei contrasti – poi sanati – con André Breton, prosegue la sua ricerca in totale autonomia. “Il messaggio di Henry non è strettamente artistico, ma un grido in nome della libertà; non è mai stato legato a qualcosa che lo rendesse prigioniero di quel lavoro”, ed è così che le parole di Guido Peruz, artista, collezionista e amico di Maurice dal quel 1970, quando i due s’incontrano presso lo Studio Marconi di Milano, lo ritrae in modo sintetico ma preciso. E il messaggio di libertà, di cui Henry si è fatto inconsapevolmente portatore, ritorna a Milano dopo venticinque anni di

assenza grazie a Dominique Stella e Guido Peruz, i due curatori dell’esposizione “Maurice Henry. Une poetique de l’humour” che inaugura il 3 dicembre alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese. Mostra scandita in sei sezioni “tematiche” che restituisce un profilo complessivo dell’attività di Henry: partendo dai disegni “storici” che vanno dal 1927 al 1944 – dei periodi del “Grand Jeu” e del primo Surrealismo – si passa attraverso la sua produzione scultorea, oggettuale e pittorica degli anni trenta (tra cui figura anche “Omaggio a Paganini”, del 1936), il suo lavoro di disegnatore, umoristico, dai primi anni trenta alla metà degli anni sessanta, e di disegnatore e pittore su tela, negli anni sessanta e settanta, per arrivare, più recentemente alle opere ad acquerello (con la serie “L’humeur du jour”, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta). “Maurice Henry. Une poetique de l’humour”, a cura di D. Stella, G. Peruz, 4 dicembre 2009 – 14 marzo 2010, Milano, Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Corso Magenta n. 9. Orari: da martedì a domenica, 1018. Lunedì chiuso. Biglietti: 6 € intero, 5 € ridotto.

Il colore di Malù

Espressione di un mondo sognato e desiderabile

Carlo Catiri

S

i è appena conclusa con successo di critica e di pubblico la bella mostra monografica Natura e fantasia di Marialuisa Montanari - meglio conosciuta come Malù - tenutasi presso il circolo dell’arte Caro (via Mortara 5, Milano) e curata da Carlo Roccazzella. Come precedentemente sottolineato dal critico d’arte nella recensione di presentazione apparsa all’interno dello scorso numero di questa rivista, il colore è il più importante punto di riferimento per leggere correttamente i dipinti dell’artista. Per meglio comprendere le caratteristiche stilistiche della pittrice è conveniente fare un passo indietro e risalire ai tempi della sua formazione come autodidatta. Nel mondo artistico contemporaneo non è più indispensabile una formazione accademica tradizionale; questa può completare in modo costruttivo la sensibilità creativa che ogni artista possiede dentro di sé, ma per comunicare in modo originale le più profonde aspirazioni di artista si

può partire dalla propria soggettività, dall’espressione di ciò che si porta dentro e tradurre il mondo visibile attraverso un’individuale interpretazione delle cose. Malù ha indubbiamente osservato a lungo il mondo reale e la natura e ha lentamente elaborato un proprio linguaggio figurativo ispirato a precedenti esperienze paesaggistiche che trovano riscontro in alcuni autori del nostro Novecento. Partendo dalla sua sensibilità cromatica filtrata attraverso le esperienze di studio di artisti del passato e con l’aiuto di una innata intuizione compositiva è riuscita ad elaborare una produzione di dipinti a olio su tela che ci stupiscono per la loro immediatezza ed efficacia. Artista tradizionale nella scelta dei soggetti che spaziano nei generi del paesaggio, delle nature morte e dei ritratti, notiamo comunque una originalità nel modo con cui i medesimi ci vengono presentati e risolti nell’aggressività coloristica che li caratterizza. Anche le tecniche in cui l’Artista si cimenta sono quelle tradizionali: pittura a olio su tela, acrilico e

Riva del fiume, olio su tela cm. 50x60

anche acquerello. Non per questo dobbiamo sottovalutare l’esperienza professionale che in questi anni si è accresciuta in lei, di mostra in mostra con assidua continuità, demarcando una maturazione stilistica e una sicurezza compositiva che oramai la caratterizzano. Tutto ciò spiega appieno il senso poetico della pittrice, che si esprime senza clamore e senza enfasi riproducendo un mondo sognato e desiderabile. Malù ci coinvolge in modo irrazionale e segreto giocando ingenuamente con la pittura, lasciandosi condurre dal suo istinto e dalla sua tavolozza e traducendo con audaci accostamenti cromatici un mondo interiore complesso e sensibile.

I prossimi traguardi

F. B.

Il fascino della divisa per molte donne non è mai tramontato. Ad avvalorare questa tesi è l’eclettica artista parmense Roberta Musi la quale ha donato un’importante opera intitolata “Viva i carabinieri, concorso storico di piazza di Siena a Roma” al Comando Interregionale degli Ufficiali della caserma di via Marcora, 1a Milano. L’opera realizzata in memoria del Signor Cervi, nonno materno di Roberta per evidenziare l’evoluzione dei carabinieri in alta uniforme dal passato ad oggi, impreziosirà la sala adibita al ristoro. Ricordiamo che l’artista è stata segnalata alla VIII° Biennale di Roma che si terrà dal 16 al 26 gennaio 2010 probabilmente presso le Sale del Bramante a Piazza del Popolo. Tra i giurati menzioniamo il critico d’arte Giuseppe Giannantonio, Marianna Bucchich giornalista e scrit-

Acrilico su tela cm. 100 x150

trice e, per il Comitato d’onore, il critico cinematografico Pino Farinotti.

Infine, Margherita Campari Pericoli ideatrice del progetto i “Giussanini”, biscotti di alta qualità prodotti in maniera artigianale, ha scelto un’opera della Musi dedicata ai cavalli, che decorerà la scatola dei dolcetti in vendita all’inizio del 2010. Le delizie di forma esagonale e a base di pistacchio, ottime per il tea e per la colazione, saranno in distribuzione per tutte le persone che amano il ritorno ai sapori e alla genuinità.

astroarte di yari

Auguste Renoir

25 febbraio 1841 - 3 dicembre 1919 L ’artista impressionista lascia un’impronta artistica nella sua epoca traendo spunto dalla sua interiorità dolce e sensuale come il suo animo, specchio delle caratteristiche del segno d’acqua che gli appartiene: i Pesci. Le immagini fotografate sulle tele di paesaggi dove spiccano il verde, il giallo, il violetto, suoi colori preferiti, sono esaltate da un pianeta vanitoso ed egocentrico come Venere. Le figure sinuose di donne corpulente ma virtuose nella loro bellezza rappresentano l’amore dell’artista per il sesso passionale e quello peccaminoso nelle sue forme più trasgressive. Il tocco magico della Dea dell’amore è sempre presente per ricamare raffinate fantasie incalzate da realtà divine figlie di un universo misterioso. Tali forze si manifestano sia nella sua pittura di natura floreale come piante, rami secchi, foglie gialle o prati sia in quella umanizzata con muscoli tonici e grossolani, emblema del pensiero di un Marte portatore di cataclismi. I nostri occhi incantati davanti a simile meraviglie pittori-

che, scrutano nei suoi quadri le tecniche più raffinate, i tratteggi e le linee dei disegni, così sublimi e ispiratrici in una profondità tridimensionale. Il sapore, in questo viaggio metafisico avvolto dai misteri della divinazione, è amaro per la malinconia e la laconicità ma in contrapposizione la sua energia così intensa ci appaga da riempire i nostri cuori e le nostre menti. In questa sinergia creatasi nell’universo astrologico, ispirato da un Giove dinamico e carismatico, il pensiero dell’artista traspare nei colori di tutte le sue sofferenze e lotte per affermare la sua popolari-

tà e la sua filosofia di vita. Ci regala Genio e Sregolatezza fino ai giorni nostri e, considerati i tempi moderni, ne siamo gratificati. Passeggiando per Parigi, lungo la riva della Senna, con il naso all’insù ci imbattiamo nella tour Eiffel oppure inciampiamo fra le gambe di una tavolozza o i pennelli di un vecchio intento a creare. Il suo sguardo penetrante è la macchina del tempo, nell’atmosfera parigina che ci riporta con un moto di Urano e Nettuno al mitico francese doc. Contatta Yari al 340-2290751 o scrivi a info@okarte.org


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Arte Milano

DICEMBRE 09 - GENNAIO -10

Romantica innocenza di Nando Chiappa Le tavole xilografiche dell’artista lombardo per una bellissima collana di libri

Carlo Franza

La bellezza ha rotto gli argini e come un fiume in piena è entrata nelle tavole xilografiche che Nando Chiappa, illustre artista lombardo, ha campionato per la bellissima collana di libri d’artista che la Silvia Editrice ha varato da qualche tempo. Entro modelli e immagini che sono quelli su cui Nando Chiappa ha insistito in tutto il suo percorso artistico, ritroviamo l’artificio di questa innocenza romantica che vive di suggestioni, stati d’animo, sensazioni e mille altri segnali che adottano stesure cromatiche, raffinatezze segniche, trasparenze e velature, onde dare proprio a quel mondo arcadico e quasi fiabesco, la rievocazione spirituale e poetica dell’esperienza vissuta. Mente e cuore sono in un duello che sfibra e lascia spazio al puro pensiero, al sogno, alla fuga fantastica. Tant’è che le sei carte acquerellate del volume artistico, tre in orizzontale e tre in verticale, ci raccontano, anche inseguendo quella “recherche du temp perdu” di memoria proustiana, di fanciulle in fiore, di donne colte nella nudità o distese tra i prati in relax, di ragazzi alle prese con animali come

il cavallo e il cane, di cavalli e puledri rappresentati per possenza ed eleganza, e infine una scenografia di paesaggio per lo più primaverile, segno di vitalità e di rinnovamento, di amore e di certezze. Non mancano i tratti di tenerezza come nella rappresentazione dei fanciulli e degli adolescenti o di picco-

libri d’arte

Le stagioni

Le xilografie di N. Chiappa raccolte in un prezioso volume

I

l maestro Nando Chiappa ha realizzato per la collana di libri d’artista, sotto lo storico marchio della Silvia Editrice: Le stagioni, quaranta pagine di grande formato (cm.25 x 34.5), con la prefazione dello storico d’arte Carlo Franza. Solo 300 esemplari numerati, contenenti 6 xilografie, ognuna firmata e ritoccata a pigmento dall’artista. Per questa importante opera, è stato conferito a Nando Chiappa in occasione della XXI edizione del Premio delle Arti presentato al Circolo della

Stampa da Carlo Franza, il Premio della Grafica con la seguente motivazione: i traguardi raggiunti da questo maestro della pittura lombarda trovano oggi ancor più avvaloramento con l’uscita di “Stagioni”, modello forte della grafica che traduce con segni colore e poesia l’intensa presenza dei temi che ne hanno sostenuto il percorso. Michele Focarete ha scritto sul Corriere della Sera “ Nell’opera ritroviamo la vena romantica del pittore che vive di suggestioni e di mille altri segnali che adottano stesure cromatiche per dare a quel mondo fiabesco la rievocazione poetica dell’esperienza vissuta. Sei carte acquerellate di fanciulle in fiore, tre in orizzontale e tre in verticale, raccontano di donne riprese nella nudità o distese sui prati, di cani, di puledri e di paesaggi primaverili. Così il lavoro che si accompagna al segno xilografico è delicato e frutto di una scelta strategica”.

li animali come il cavallino che allatta. è un naturalismo che non rinuncia al soggetto figurale, anzi lo affida alla memoria, all’emozione e alla fantasia, trasfigurandolo in un’architettura lirica di colori, di campiture, di linee e intrecci pittorici. Si vedrà che nell’arte recente nessun altro artista come Nando Chiappa è riuscito a darci un’idea totale del paesaggio lombardo, le cui tracce s’inscrivono in profondità in una materia che appare a volte solida e compatta, altre volte

più dissolta, ma sempre sotto l’intensità della luce, l’effetto cangiante della massa cromatica, soprattutto quando è il bianco a predominare, e conducono nella profondità del silenzio, per perdersi in simbologie segrete e richiami quasi mistici. Le opere nella loro matericità coloristica e segnica, non celano affatto la sensualità che cattura ogni spirito sensibile che le osserva, portandosi lontano da ogni grigiore e indeterminatezza, per potenziare oggetti, corpi, figure, paesaggi, come una combustione interiore che amplifica ogni energia evocativa. Questo libro d’artista diventa un piatto colto per i collezionisti di tutto il mondo, che fuoriuscendo dal mercato di massa si trovano ad avere dell’illustre maestro italiano e lombardo, Nando Chiappa, una raccolta di opere su carta, seriali e ritoccate a mano, e dunque uniche e irripetibili, di intensivo valore per il fatto che esse lasciano leggere non solo il clima fortemente neoromantico, ma quel bisogno di vita e d’attesa che, da D’Annunzio in poi e fino a tutta quella generazione di artisti chiaristi, ha certificato l’insieme di un gioco denso di valori e messaggi. Si vedrà come le forme e le figure, nette e taglienti nel segno, sfidano il tempo, in un sottofondo di sospesa e tenera malinconia che fa di questa pittura di Nando Chiappa una vicenda sem-

pre moderna, senza spezzare il filo di una tradizione intellettualmente interpretata. Biancori, gialli, verdi, rossi, azzurri e marroni, tutti toni e colori che ricadono in una riduzione minima degli effetti, e restituiscono respiro alle immagini che sono certamente gloriosa eredità della figurazione; sicché il lavoro che si accompagna al segno xilografico è poi delicato, pensoso, frutto di una scelta strategica, unica, che

non si accontenta solo di uno stilo pure alto, ma si conforma ai linguaggi intimi della storia dell’arte, che studiano l’anima delle cose, la certezza della pittura, la variante nazionale di un paesaggio intenso eppure espressivo. Il risultato è notevole, ancora una volta Nando Chiappa ha lavorato sulla natura, su figure e gesti umanissimi, con una luce e un colore che nelle carte trovano la qualità dell’intelligenza e dell’animo.

Mazzetti d’Altavilla apre le porte del mondo della grappa Eventi d’Arte nel Monferrato

L

’Azienda Mazzetti d’Altavilla del Monferrato (AL) nell’ultimo decennio, ha scelto di impegnarsi a fondo per contribuire alla creazione di eventi artistici e culturali. Questo da una parte per legare “il Monferrato della Grappa”, sinonimo di qualità e frutto di un’arte antica, quella del distillare, all’Arte in senso lato, creando momenti culturali specifici; dall’altra per fare in modo che le stesse operazioni che si svolgono proprio nella sede di Altavilla, facessero da traino allo sviluppo di un territorio, il Monferrato appunto, cui la famiglia e l’azienda sono fortemente legate e nel cui potenziale turistico la famiglia Mazzetti

Nando Chiappa e Claudia Mazzetti

crede fortemente. Claudia Mazzetti, (vedi foto con l’amico Nando Chiappa), responsabile marketing e comunicazione dell’azienda, nonché Presidente dell’Associazione Donne della Grappa, ha confermato ancora una volta la sua formula vincente. Ecco nascere numerosi appuntamenti tra i quali ricordiamo nell’ottobre scorso, la 14° edizione della Premiazione de “La vetrina più bella 2008” ove le persone presenti, un centinaio fra clienti ed agenti, hanno potuto trascorrere qualche ora piacevole tra gli alambicchi fumanti della distilleria con degustazioni enogastronomiche nelle Cantine di Invecchiamento ed Enoteca.


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