ok Arte MAGAZINE
Mar - Apr 2010
Club Miniaci
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Ambasciatore dell’Arte
G R AT U I T O
La Brianza, dove vivere è “lieto” a pag. 6 e 7, Toscana: Radicofani, incanto annunciato a pag. 8 e 9, Campania: Pontelandolfo, tracce di una storia ultramillenaria, il “Grande Esodo” a pag. 16 e 17
Ca’ Granda
Espressionismo a Palazzo Reale Da ospedale a università Massimo Zanicchi
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a Ca’ Granda di via Festa del Perdono ha rappresentato per secoli un mirabile esempio a livello europeo nell’ambito delle strutture ospedaliere. Il complesso architettonico, oggi sede delle facoltà uma-
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are dell’arte la propria ragione di vita è un privilegio raro, un impegno gravoso, un compito di civiltà. Mai come oggi il cattivo gusto, l’ignoranza, l’approssimazione e, da un punto di vista politico, l’ipocrisia, la demagogia e l’arroganza, rendono difficile questo compito di promozione e valorizzazione culturale. Ciò che sembra essere stato dimenticato, in generale, sono proprio la straordinaria entità non solo del nostro patrimonio artistico ultramillenario ma anche l’attenzione verso le risorse contemporanee, le grandi potenzialità di luoghi e persone; base unica per un futuro che non sia di barbarico oblio. Paradossalmente gli italiani che negli ultimi decenni si stanno dimostrando i più valenti e brillanti, non solo in campo artistico, ma anche nelle scienze, sono persone che per realizzare pienamente le loro potenzialità - e vederle degnamente riconosciute, onorate - sono dovute, di fatto, emigrare verso lidi meni inquinati dal miserabile clientelismo italico. Un destino simile, nella sostanza, fu quello degli emigranti mossi da disperazione vera e propria e che con dignità e dedizione, oggi, confermano la tenacia e l’eccellenza del made in Italy, in ogni senso. Nel nostro paese arte e cultura stanno oltre l’ultimo posto; è imbarazzante, penoso. E sarebbe inutile denunciarlo semplicemente, piangersi addosso è infatti un’altra delle nostre peggiori specialità. E’ possibile fare molto, per cambiare mentalità, per riappropriarci di una tradizione ineguagliabile, per essere degni del nostro nome e della nostra storia. Segue a pag. 24
A PAG.12 E 13
Arte Certa
Club Miniaci
Itinerari culturali
Mostre a Milano
Triennale: Roy Lichtenstein a pag. 4, e Green Life a pag. 5, La fotografia in Italia allo Spazio Forma a pag. 5, Gillo Dorfles e “l’Arte concreta” a Palazzo Reale a pag. 15
Egon Schiele
Anno IX N.2
Francesca Bellola
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a sola pittura non mi basta; so che con i colori è possibile creare qualità intrinseche. Si può presentire intimamente, nel profondo del cuore, un albero autunnale in piena estate; io vorrei dipingere questa malinconia.” Questa affermazione di Egon Schiele (1890- 1918) celebrato a Palazzo Reale con una ampia retrospettiva realizzata in collaborazione con il Leopold Museum di Vienna, che vanta la più vasta collezione dell’artista austriaco, ben rappresenta la sua complessa personalità. La
mostra curata da Rudolf Leopold, direttore artistico del Leopold Museum e Franz Smola, conservatore del museo austriaco, ospita inoltre, dal 25 febbraio al 6 giugno 2010, una ricca produzione dei più grandi protagonisti di quel periodo come Klimt, Kokoschka, Moser, Gerstl. Una imperdibile occasione per rivivere accanto ad oltre quaranta dipinti e opere su carta di Schiele tra cui i celebri “Donna inginocchiata in abito rosso” (vedi foto), “Autoritratto con alchechengi”, “Nudo disteso”, la storia dei primi anni del XX secolo, dalla Secessione agli influssi espressionisti
che hanno segnato indissolubilmente le generazioni successive sino alla fine della prima guerra mondiale. Segue a pag. 15
nistiche dell’Università degli Studi di Milano, infatti, venne edificato come ospedale per i poveri per volere di Francesco Sforza e di sua moglie Bianca Maria Visconti in segno di gratitudine a Dio per la conquista del Ducato milanese. Vedi pag. 3
wikipedia ©Foto Giovanni Dall’Orto 2007
Come si legge un’opera d’arte Aldo Carrozza
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er leggere e apprezzare un brano di prosa, bisogna conoscere preliminarmente la grammatica e la sintassi della lingua italiana, proprio perché l’autore del brano ha usato le regole della grammatica e della sintassi della lingua italiana per comunicare. Poi si apprezzano anche i contenuti e, di fatto, si esprime un giudizio di valore. Per leggere e apprezzare un’opera d’arte visiva, invece, non esiste una sola grammatica ed una sola sintassi a cui rifarsi. Con l’arte moderna (dai Fauves e dai Nabis in poi) e l’arte postmoderna (dalla Pop art in poi) non esistono regole formali da rispettare. Non esistono grammatiche nella pittura e nella scultura. Segue a pag. 17
Opera di Lucio Del Pezzo
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Arte
MARZO - APRILE 2010
La storia del Palazzo Moriggia
Da rustico degli Umiliati a sede del Museo del Risorgimento Clara Terrosu
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l Palazzo Moriggia, sito in Via Borgonuovo 23, sorse sui ruderi di un rustico degli Umiliati, ordine religioso che fiorì in Lombardia e nel nord dal XII al XIII secolo. Austeri e spirituali, gli Umiliati proponevano una vita frugale, in contrasto coi costumi rilassati e con l’ostentata ricchezza. Sospettati di Calvinismo, nel XVI secolo entrarono in contrasto con l’Arcivescovo di Milano San Carlo Borromeo, ed un membro dell’ordine, Gerolamo Donato, tentò di assassinarlo. Il colpo mancò il bersaglio, ma l’attentato provocò una dura repressione, seguita dalla soppressione dell’ordine il 7 febbraio 1571, con una bolla di papa Pio V. Verso la fine del Cinquecento, compaiono nell’Architettura civile facciate e portali a bozze piatte, con pareti attraversate da sole fasce divisionali che danno un aspetto unitario. I cortili sono di forma quadrata o rettangolare, con portici preferibilmente architravati. Nella prima metà del seicento fu Francesco Maria Ricchino a riassumere l’architettura milanese, grazie agli anticipi di spese favoriti dall’arrivo di Maria Anna d’Austria, ma solo con il Regno di Maria
wikipedia © Foto Giovanni Dall’Orto - 2007
Teresa d’Austria, Milano fu elevata quasi al rango di una seconda Vienna. Grazie al matrimonio dell’arcidu-
ca Ferdinando Carlo con Beatrice d’Este, si diedero slancio all’architettura ed all’urbanistica, dispo-
G. B. Moriggi, intorno lonne tuscaniche di granial 1775 ad affidare i lavo- to. Sul lato destro, in fondo, ri di costruzione del palaz- è conservata la statua di zo a Giuseppe Piermarini, Marco De Marchi, naturagiunto a Milano, a segui- lista, ultimo proprietario, to del suo maestro Luigi la cui moglie, Rosa, donò Vanvitelli. Il Piermarini lo al Comune di Milano la caprogettò a ridosso del va- sa che oggi ospita il Civico sto complesso di Brera e le- Museo del Risorgimento. gò la sua fortuna alla città, Fino al 2009, in posiricoprendo numerose ca- zione centrale, sotto al riche, come quella di su- portico di fondo, era conpervisore di tutti i progetti servato il busto marmoreo edili. Grazie al pensiero il- di Napoleone I. In epoluminista ed alle scoperte ca Napoleonica il palazarcheologiche, l’arte recu- zo fu sede del Ministero perava il gusto per la ra- degli Esteri e successivazionalità e l’armonia e casa mente del Ministero delMoriggia rivela questa ten- la Guerra; solo all’inizio denza già nella facciata. del ventesimo secolo pasSemplici decorazioni li- sò alla famiglia De Marchi. mitano e definiscono esat- Oltre al Museo del tamente i piani; al piano Risorgimento, Palazzo terreno, sottili lesene do- Moriggia ospita la Biblioteca riche e finestroni, al piano della Raccolte Storiche, nobile lesene ioniche e fine- fondata nel 1884 che offre stre sormontate da timpa- la consultazione gratuita ni ancora di gusto barocco. in sede, dal lunedì al venerUna fascia, scolpita ad ar- dì (h. 9:00 – 16:30) di vochitrave, separa l’ombra del lumi, opuscoli, periodici e portico dalla luminosa to- quotidiani. Segnaliamo il nalità delle fronti dei piani, Fondo Gnecchi con 13.333 dove si ripetono le finestre testate edite a partire dal della facciata. Il portale, 1700 fino alla prima metà sostenuto da due colon- del 1900. Alcune annate di ne, è sormontato da un bal- periodici e fondi particocone a balaustra in pietra. lari (Curato, Giglio) sono L’interno è organizzato depositati in sede distaccacon due corti, una d’ono- ta ed è necessaria la prenore, più ampia, l’altra, mi- tazione, che generalmente nendo per l’edificazione di nore. Il portico é composto si rende disponibile entro vaste aeree, a seguito del- da quattro lati, con archi una settimana. Una partila soppressione di molti che poggiano su pilastri, ai colare attenzione è dedicata monasteri. Fu il Marchese quali sono addossate co- al periodo Risorgimentale.
La Basilica di San Lorenzo Magnifica e suggestiva per bellezza e maestosità
Rosa Parisi
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o sguardo di chi si trovi a passare da piazza Vetra non può non essere attratto dalla Basilica di San Lorenzo, magnifica e suggestiva per bellezza e maestosità. La basilica di San Lorenzo risale agli ultimi anni del V secolo dopo Cristo: mentre l’impero romano d’occidente si frantumava, il cristianesimo costruiva le proprie chiese. Molte sono le ipotesi sulle origini della basilica. Pare che sia stata voluta dallo stesso imperatore Teodosio a dimostrazione della stabilità della dinastia e dell’importanza della città di Milano nel difficile momento della pressione barbarica. La tipologia di architettura, diversa dal modello voluto da Sant’Ambrogio, gli enormi sforzi economici, l’utilizzo di marmi di edifici romani sono elementi testimoni di tempi, gusti e uomini. Forse la basilica nacque come spazio utilizzabile sia per cerimonie religiose che civili, come si evince dalle
quattro torri in muratura rustica che le conferiscono un’aria di fortezza. Il complesso nei secoli scampò a incendi, crolli ed alla ferocia di Federico Barbarossa. L’imperatore svevo scelse di utilizzarla come presidio militare e la salvò dall’incendio di Milano. Mirabile il colonnato antistante la basilica: si sa che esso sin dal II secolo d.C. si ergeva in un altro luogo della città e fu smontato e ricomposto a mo’ di atrio dinanzi alla costruenda basilica. Da piazza Vetra è possibile ammirare il complesso nel suo insieme: lo spazio absidale e le tre cappelle. Le tre cappelle di struttura e gusto bizantino sono dedicate a Sant’Aquilino, Sant’Ippolito e San Sisto. La tradizione vuole che Galla Placidia, figlia di Teodosio, abbia voluto la costruzione della cappelletta oggi detta di Sant’Aquilino. La cupola, ricostruita per ben tre volte, è a forma ovoidale a spicchi, ha un diametro alla base esterna di circa ventisette metri ed è cinta dalle quattro torri che la chiudono e pro-
teggono. Di queste tor- la dell’altare raffigurante la ri la meglio conservata è Sacra Famiglia e una tela di quella che funge da cam- scuola veneta con la Cena panile. La cupola è ope- di Emmaus. Il monumenra dell’architetto Martino to funerario di Giovanni Bassi e risale al 1573 quan- del Conte, datato 1588, è do un fulmine man- opera dello scultore Marco dò in fumo la precedente. d’Agrate su disegno dell’arL’interno è spazioso. Di chitetto Vincenzo Seregni. forma rotonda e di altezza La tomba dei De Robiani è ardita. Sontuosa per volte un prezioso sarcofago chiue colonnati, archi e costo- so in una nicchia ad arco deloni, l’interno della basilica corato e sorretto da quattro conserva il fascino roma- colonnette di marmo apno rimaneggiato dal gusto poggiate su un basamento. bizantino. A pianta cen- ‘La cena degli apostoli’, a sitrale – la chiesa infatti na- nistra rispetto al portone sce come chiesa ariana - è centrale, è un affresco in composta da un ampio va- discrete condizioni di conno ottagonale, a due or- servazione. La pittura fu dini di arcate, sovrastato scoperta alla fine del 1800; dalla grandiosa cupola; in- fu allora ripulita dall’intotorno corre un ambulacro. naco a calce e dalle mani di L’altare maggiore è ope- colore che la nascondevawikipedia © Foto Giovanni Dall’Orto - 2007 ra dello scultore Carlo no. Gli esperti esaminatori Garavaglia. Fu scolpito nel dell’affresco proposero di secolo XVII con marmi ro- staccarlo e conservarlo nel a Leonardo, il pittore, fine doio che unisce la sacrestia mani. La cappella di San refettorio di Santa Maria per tecnica e senso estetico, alla basilica restano framGiovanni Battista, già adi- delle Grazie vicino all’ul- resta un mistero a tutt’oggi. menti di sculture dell’albita a battistero sin dai tem- tima cena di Leonardo. La La sacrestia fu costruita nel to Medio Evo. Era prima pi di Federico Borromeo Fabbrica di San Lorenzo 1713 da Francesco Croce. nella sacrestia la tavola del è ornata dal ‘Battesimo non volle sentire ragioni Pianta ovale e volta affre- 400 raffigurante due scene di Cristo’, pala ad ope- e decise di lasciare l’affre- scata da ignoto. Alle pareti (un sacerdote e una procesra del Luini. La Cappella sco là dove era stato tro- numerose tele di buona fat- sione) spostata successidella Sacra Famiglia, an- vato. Il nome dell’autore tura, tra le quali segnalia- vamente nella cappella di ticamente dedicata a San ci è ignoto e, sebbene lu- mo quella che raffigura San Sant’Aquilino, quella detta Quirico, presenta una pa- singhiero sia il richiamo Pietro. Sulle pareti del corri- della regina Galla Placidia.
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MARZO - APRILE 2010
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Arte
Palazzina Liberty
Con Giancarlo Majorino la Poesia è di casa Clara Bartolini
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er chi non conoscesse Largo Marinai d’Italia posto lungo Corso XII Marzo all’altezza di viale Umbria, possiamo ricordare che il Parco che lo occupa era fino al 1965 sede del mercato ortofrutticolo. Al centro del verziere, progettata dall’architetto Migliorini e costruita nel 1908, un’elegante struttura, vero gioiello del Liberty milanese, era luogo per gli incontri e le contrattazioni dei mercanti e ospitava un ristorante e un bar. Una volta spostato in via Lombroso, il mercato che la occupò dal 1911 al 1965, fu abbandonata al degrado nonostante la magnifica
struttura e la bella collocazione al centro degli ampi e luminosi giardini. Negli anni settanta Dario Fo la volle sede del suo teatro, e
Immagine da wikipedia
le ridiede vita e prestigio per alcuni anni con la sua intelligente programmazione teatrale. Negli anni ottanta, l’Amministrazione Comunale decide di adibirla a sede della Banda Civica, che ne occupa tutt’oggi il
piano inferiore. Solo nel 1992 viene restituita al suo splendore grazie a un accurato restauro. Da allora, la Palazzina Liberty ospita nei suoi spazi dal fascino d’altri tempi, molti eventi culturali. Tra questi: la serie di concerti da camera di Milano Classica, le mostre di gioielli artigianali, le sfilate di moda d’importanti stilisti. Come se questo non bastasse, nel 2005 diventa “La casa della Poesia” da un’idea del poeta Giancarlo Majorino, accolta con entusiasmo dall’allora assessore alla cultura Stefano Zecchi. “Ci vorrebbe ogni giorno poesia” scriveva su Repubblica il nostro
poeta. Non ci fu bisogno di dirlo due volte. Ecco che il comune di Milano decise di dare il via all’impresa prendendolo sul serio e affidandogli il compito di organizzare ciò che sognava. Nove poeti diventarono il gruppo fondatore della -Casa della Poesia- in una gestione comune che vedeva presidente Majorino. Tomaso Kemeny ne diviene il vice presidente, con lui Alda Merini, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Roberto Mussapi, Cesare Viviani, Antonio Riccardi, Vivianne Lamarque. La serata inaugurale fu il 16 Ottobre del 2005. Da allora, coadiuvati dal tesoriere Adelio Valtorta e da un responsabile dell’ufficio
Ca’ Granda, la lunga storia
Da ospedale per i poveri a polo universitario Massimo Zanicchi
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a Ca’ Granda di via Festa del Perdono ha rappresentato per secoli un mirabile esempio a livello europeo nell’ambito delle strutture ospedaliere. Il complesso architettonico, oggi sede delle facoltà umanistiche dell’Università degli Studi di Milano, infatti, venne edificato come ospedale per i poveri per volere di Francesco Sforza e di sua moglie Bianca Maria Visconti in segno di gratitudine a Dio per la conquista del Ducato milanese. Svolse tale funzione fino alla seconda guerra mondiale da cui uscì pesantemente danneggiato dai bombardamenti degli alleati anglo-americani nel corso del 1943. Al termine dei lavori di ricostruzione postbellica, nel 1958, a mezzo millennio di distanza dalla posa della prima pietra che avvenne, in base ai documenti dell’epoca, il 12 aprile 1456, la Ca’ Granda diventò sede dell’ateneo milanese mantenendo la propria centralità nella vita della città pur convertendo la wikipedia © Foto Giovanni Dall’Orto - 2007 propria funzione da centro assistenziale a cuore culturale. Il progetto origina- gettazione dell’ospedale L’architetto fiorentino ideò rio dell’edificio fu firmato maggiore, a Milano lavorò per la struttura ospedalieda Antonio Averlino det- per la Veneranda Fabbrica ra una pianta rettangolare to il Filarete, cioè “colui del Duomo e alla edifica- suddivisa in tre parti: due che ama le virtù”. Scultore zione del Castello. Il proget- laterali destinate all’attivie architetto, fiorentino di to per l’ospedale maggiore, tà sanitaria e una centranascita, svolse un ruolo di ribattezzato Ca’ Granda le di forma rettangolare al spicco nella diffusione del- per via delle dimensioni cui interno era prevista la la nascente cultura rinasci- che assunse l’opera, rical- costruzione di una chiesa. mentale toscana. Tra i suoi ca le indicazioni di massi- Le parti laterali, riservate lavori più celebri figura- ma contenute nell’XI libro ai malati, erano costituite no i battenti bronzei della del trattato di architettu- da costruzioni con pianta porta centrale della basili- ra nel quale il Filarete de- a croce quasi a voler ricorca di San Pietro realizzati scrisse le proprie teorie sui dare la sofferenza umana. nel 1445 durante il papato “modi e misure dello hedi- Al centro delle due “crociedi Eugenio IV. Introdotto ficare” proponendo la sua re” (i cui bracci oggi misualla corte degli Sforza da visione della città ideale rano 90 metri in lunghezza, Piero de’ Medici, il Filarete che, in omaggio al duca di 9 in larghezza e 9 in altezprima di dedicarsi alla pro- Milano, chiamò Sforzinda. za), in corrispondenza del
tiburio, si trovava un altare che poteva essere visto da tutti gli assistiti. A ogni letto corrispondeva un piccolo armadio a muro con una ribaltina utilizzabile come tavolo. Una soluzione avveniristica per l’epoca fu la collocazione lungo i corridoi creati nei bracci delle “crociere” dei servizi igienici (chiamati “destri”). Il Filarete abbandonò i lavori nel 1465 dopo aver impostato il grande quadrilatero con i portici che si affacciava su via dell’Ospedale (l’attuale via Festa del Perdono) sul lato rivolto verso la basilica di San Nazaro. Nel realizzare questa parte dell’edificio l’architetto fiorentino scelse l’impiego della terracotta, il tipico materiale lombardo. L’impianto dell’edificio e le soluzioni di funzionamento e di igiene dell’ospedale da lui impostate furono rispettate dai suoi successori nel corso dei quattro secoli seguenti. La costruzione venne completata nel 1797 con l’edificazione del perimetro esterno dopo che numerosi e celebri architetti, quali, tra gli altri, il Solari e il Richini, apportarono il proprio contributo nel rispetto dell’impianto originario del progetto. Nel 1621 il lascito ereditario del banchiere Giovanni Pietro Carcano, che destinò metà delle sue sostanze e 500 scudi annui per l’ampliamento della fabbrica dell’ospedale, diede nuovo slancio all’opera per il cui finanziamento era anche stato creato uno speciale giubileo: la Festa del Perdono che si celebrava ogni due anni, il 25 marzo, in concomitanza con festa dell’Annunciata sotto la cui prote zione era posto l’ospedale.
Immagine da wikipedia
stampa, Amos Mattio, oltre che da un esiguo ma indispensabile finanziamento del comune, la Casa apre i suoi battenti quasi tutti i martedì e giovedì alle ore ventuno. Sono presto invitati poeti italiani e stranieri e la temperatura poetica della Palazzina si fa alta, inizia ad attirare addetti ai lavori e semplici cittadini. Majorino, per convinzione personale e stimolato dal successo dell’iniziativa, tende a dar voce soprattutto alla poesia ma, sostiene nel frattempo l’autonomia e l’eteronomia della poesia. “Come ogni specifico davvero tale” spiega, “la poesia è una cosa a se, lo specifico poetico è tratto in se stesso dai poeti, secondo me non ha bisogno di sostegni esterni, nulla toglie però che possa rapportarsi alla realtà, alla cultura in genere e possa confrontarsi con altri ambiti artistici o altri artisti.” Continua: “Anche se la poesia contiene il ritmo in se, è già ritmo, è musica, a volte la proponiamo accompagnata da pianisti dì eccezione perché m’interessano le mediazioni, come scrivevo nella mia antologia Poesia e realtà, edito da Tropea. Credo che fare poesia sia dare forma all’ignoto, per questo la realtà è sempre comunque presente nell’animo del poeta”. Nascono così appassionanti confronti molto apprezzati dal pubblico e, se la programmazione prevede e riporta alla ribalta i lavori di grandi autori classici, vengono nello stesso tempo proposti nuovi autori. Da Luzi a Caproni, dalla poesia italiana a quella
Seleziona artisti per esposizioni d’Arte Contempornea nel quartiere dei Navigli. Per le selezioni inviare immagini delle proprie opere a sabrinafalzone@gmail.com
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straniera, si recita e si presentano nuove opere, si proiettano filmati o interviste, critici di rilievo intervengono alle serate per apportare momenti di appassionante riflessione. Tra le tante iniziative, la Casa della Poesia ne promuove una che coinvolge la scuola e gli alunni di vari livelli di studio (non bisogna dimenticare che Majorno insegna). Per due anni, anche il cinema è stato l’ispiratore d’incontri e dibattiti alla ricerca della poetica dell’immagine. Molte, quindi, sono le attività organizzate e sostenute con passione dal nostro gruppo cui certamente non mancano le idee. Ci aggiorna Majorino “Quest’anno ci dedicheremo al confronto tra poeti italiani e internazionali, e alla presentazione di antologie, riviste e almanacchi. Stiamo anche scoprendo nuovi giovani poeti, è un lavoro complesso, riceviamo moltissimo materiale. Diventa difficile scegliere ma emergono talenti sconosciuti, è molto appassionante”. Ennio Abate ha il compito di realizzare e curare incontri con scrittori alle prime armi che desiderano uscire allo scoperto, ricevere delle critiche da “ professionisti” e, comunque, confrontarsi con il mondo della poesia. Questi incontri avvengono ogni quindici giorni alle diciotto, sempre il Martedì e il Giovedì. Ricordiamo a tutti quelli che desiderassero conoscere più dettagliatamente i programmi della Casa della Poesia visitare il sito: www. lac a sadel lapoesia .com.
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Arte
MARZO - APRILE 2010
Meditations on Art
Roy Lichtenstein alla Triennale di Milano Carla Ferraris
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ata originariamente per dare una panoramica sulle realtà decorative industriali e moderne, la Triennale di Milano si è ben presto rivelata specchio completo delle maggiori tendenze artistiche storiche ed emergenti internazionali. Attualmente la sede milanese ospita, dal 25 gennaio, una serie antologica di circa cento opere di
Roy Lichtenstein, che tor- contribuito, con numerosi na in Europa con uno degli prestiti, alla realizzazione eventi di maggior risonan- dell’evento: vengono infatti za di quest’anno. Curata da presentate opere di grande Gianni Mercurio, la mani- formato e numerosi disefestazione è stata realizza- gni e collages provenienti ta con il supporto della Roy dalle collezioni del Ludwig Lichtenstein Fundation Museum di Colonia, del in collaborazione con il Ludwig Forum di Aachen, Comune di Milano ed del Louisiana Museum di è stata prodotta dalla Copenaghen, del Whitney Fondazione Triennale di Museum e Gugghenheim Milano e da Alphaomega Museum di New York, Art. Importanti Istituzioni del Kunst Museum di internazionali hanno poi Vienna e della Broad Art
Foundation di Los Angeles. Si tratta, nello specifico, di una retrospettiva che, per la prima volta su territorio italiano, mette in luce complessivamente la serie di opere che l’artista ha realizzato durante la sua attività, esplorando in definitiva il debito che l’arte post-moderna avrebbe nei suoi confronti. Suddivisa in sezioni tematiche, la mostra presenta inizialmente i lavori datati anni
Lodi contro Milano
Contrasti e guerre nel Medioevo Ivana Metadow
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ivalità antica e poi risolta quella fra Lodi e Milano che nasce nel periodo centrale del Medioevo e sfocia nella distruzione della Laus Pompeia nel 1111 e nel 1158, anno in cui la Lodi dei romani viene completamente rasa al suolo per rinascere a qualche chilometro di distanza. I motivi di questo dissenso risalgono fin dal X secolo quando Laus aveva il controllo sul fiume Lambro con diritti di pesca e di navigazione, facendo pagare un pedaggio alle barche che lo percorrevano. Nel 1027 muore il Vescovo Notker
vi dei Milanesi risalivano il Po, l’Adda e non ultimo il Lambro, dando vita quindi ad una serie di scambi commerciali ampi e fruttuosi. In questo panorama scoppiano rivolte in tutte le città assoggettate, seguite naturalmente da razzie e distruzioni. Laus si unisce con Pavia e Cremona contro Tortona, alleata di Milano. Naturalmente Milano risponde, assedia Pavia e Cremona e infine Laus le cui mura di cinta risalgono ancora ai tempi dei romani. Questa debole protezione non impedisce ai Milanesi, nel maggio del 1111, di distruggere l’intera città, con una violen-
lento rifiorire dell’economia. Ma il contrasto fra le due città vicine non si placa ed è anche di natura politica. Nel 1152, Federico I detto il Barbarossa, appena eletto nuovo Imperatore del Sacro romano Impero, convoca una dieta a Costanza per risolvere, fra le altre cose, anche i problemi italiani. La possibilità di raccontare tutte le ingiustizie subite sembra la vera liberazione per due commercianti lodigiani che si trovano per caso in zona. Chiedono all’Imperatore di scrivere a Milano affinchè riconsegni a Lodi il mercato che gli era stato tolto. Così avviene, ma sia i due mercanti che
za tale da non riuscire più a trovare traccia delle antiche mura. La pace imposta ai Lodigiani è dura. Prevede il divieto di ricostruire le case distrutte, il giuramento di fedeltà perpetua e il trasferimento del mercato settimanale, fonte di importanti scambi commerciali. Lodi è letteralmente piegata nello spirito, nella politica e nell’economia. Nonostante questo la città si riprende, vengono costruiti nuovi borghi, gli edifici di culto rimasti indenni diventano luoghi di aggregazione e inizia un
il messo imperiale vengono malmenati dai milanesi. L’atteggiamento milanese viene fermato nel 1154 quando Federico I giunge in Italia, ordinando loro di sottomettersi incondizionatamente. Ma appena il Barbarossa torna in patria, Milano colpisce prima Cremona, poi Pavia e infine Laus. I Laudesi sconfitti devono sottostare a una serie di condizioni: divieto di vendere le loro terre, tasse sempre più alte e giuramento al Comune di Milano. Questa sottomissione in realtà non avvie-
Immagine da wikipedia
e l’Arcivescovo di Milano, Ariberto, non riconosciuto dai Laudesi, sfruttando un diritto concessogli dall’Imperatore, occupa il territorio di Lodi, assediando la città. Viene firmato un accordo di pace e a questo punto Ariberto dà in feudo ai valvassori milanesi i territori conquistati del lodigiano. Appare chiaro un dominio dei Milanesi nei territori di San Colombano e zone limitrofe sulle città di Lodi, Pavia, Piacenza e Cremona. Gli interessi economici si intrecciano con quelli politici, infatti le na-
ne e il 15 aprile 1158 Laus è completamente bruciata e distrutta da Milano. Pochi mesi dopo torna Federico I e, impietosito, accoglie le richieste dei Laudesi. Lodi viene rifondata dall’Imperatore sulle rive dell’Adda, sia per dare loro una via di commercio e comunicazione fluviale, sia perchè su quel fiume Milano non ha nessuna pretesa. Vengono inoltre dati a Lodi privilegi sulla navigazione in Lombardia e sulle tasse. Testimoniano questi tempi la Porta Regale in Piazzale Fiume e la Cattedrale, la cui costruzione fu finanziata dall’Imperatore dal 1158 al 1163. Forte della protezione dell’Impero, Lodi si vendica, prima con la distruzione di Crema con l’aiuto di Pavia e Cremona, poi con un lungo assedio su Milano culminato con la sconfitta della città. Nel 1162 viene costituita la Lega Lombarda, inizialmente Lodi rifiuta di aderire, poi il cuore lombardo vince sulla politica e Lodi si allea con i Lombardi per sconfiggere l’Impero e per consolidare l’alleanza Lodi chiede che vengano terminati i lavori di costruzione delle nuove mura di protezione della città. L’Imperatore Federico Barbarossa viene sconfitto nella battaglia di Legnano nel 1176 per mano della Lega Lombarda. Dopo nuovi scontri fra Lodi e Milano, si giunge a nuova pace nel 1198. A quel punto Lodi cede a Milano i diritti sul Lambro in cambio di garanzie commerciali e doganali, il riconoscimento dell’autorità sul proprio territorio e i diritti sul porto sul fiume Adda. Che siano forse dei retaggi storici che con l’istituzione della provincia di Lodi nel 1992, la cittadinanza di San Colombano al Lambro abbia scelto di rimanere con l’amministrazione di Milano pur essendointerritoriolodigiano?
Cinquanta, molti dei qua- mercializzato per le masse. li esposti al pubblico per la Si tratta dunque di un comprima volta, in cui sono ri- pleto percorso antologico elaborate e rivisitate icono- e didattico, che, iniziangrafie di gusto medievale, do dalle realizzazioni degli insieme a dipinti di perso- anni Cinquanta, si protrae naggi americani tra cui, ad fino ai lavori degli anni esempio, William Ranney Novanta, spaziando tra le oppure Emanuel Gottlieb ispirazioni di stampo cubiLeutze (1851), con parti- sta, espressionista, futuricolare attenzione agli sti- sta, modernista degli anni lemi astrattisti europei ed Trenta, ed arriva alle astraalle elaborazioni di Klee e zioni minimaliste, all’AcPicasso. In questa fase pro- tion Painting ed al genere duttiva, Lichtenstein ama- della natura morta. Con va infatti conglobare, nei un testo introduttivo del suoi lavori, modernismi curatore Gianni Mercurio europei con icone popola- (già noto per aver firmato ri americane, derivanti an- mostre dedicate a Wharol, che da scene pionieristiche Haring e Basquiat), arriclegate agli indiani d’Ame- chito dai saggi di Demetrio rica ed ai cow boy. Negli Paparoni, Robert Pincusanni Sessanta nel periodo Witten, Annabelle Teneze cioè di maggior popolarità e Frederic Tuten, il cadella Pop Art, l’artista de- talogo della mostra prefinì il proprio linguaggio senta inoltre materiale stilistico con una rivisita- fotografico inedito e una zione personalissima di ar- documentazione biografica tisti passati come Picasso, sull’artista, che si aggiunMatisse, Monet, Cezanne, gono al documentario reLeger, Marc, Mondrian, alizzato appositamente per Dalì, Carrà, riducendo la la mostra, la quale sarà tradimensione pittorica ad sferita al Ludwig Museum “oggetto” stampato e com- di Colonia in luglio.
Bar Il Cortiletto di Achille Cennami all’interno dell’Accademia di Brera
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Arte
Green Life
Costruire città sostenibili anche da altri. I quattro, Thomas Herzog, Norman lla Triennale di Milano, Foster, Renzo Piano e dal 5 Febbraio al 28 Richard Rogers, che hanMarzo 2010, è allestita una no avviato insieme a Auer + mostra dedicata agli ar- Weber l’esperienza di prochitetti ed alle città che gettazione dell’eco-quarhanno saputo darsi una tiere di Solar City a Linz, visione del futuro, hanno sono presenti a Green adottato strategie corag- Life anche con proprie resignificative. giose, hanno messo in atto alizzazioni azioni concrete per un’ar- Ad esempio: Norman Foster chitettura più sostenibile. con le Vivaldi Towers nel Giuliana De Antonellis
A
Ningbo in Cina di Mario Cucinella e il Centro per il benessere delle donne a Ouagadougou, in Burkina Faso di FARE studio. Italiana la localizzazione e la certificazione per il Museion di KSV, il Quartiere Casanova (entrambi a Bolzano), e la Scuola Elementare di Ponzano Veneto. Dopo le architetture, è possibile viaggiare, all’interno della mostra, dentro città che hanno fatto di “green life” la propria filosofia abitativa, quali Stoccolma, Amburgo, Amsterdam, Copenhagen, Friburgo, Zurigo, Vienna e Salisburgo. I casi selezionati per Green Life sono tutti progetti realizzati, interventi di edilizia concretamente costruiti, con immagini, disegni, fotografie, filmati, materiali e tecnologie. La mostra infatti parla di un presente che è già futuro il cui obiettivo è di far capire al pubblico competente e non che “Green Life architettura” significa costruire città sostenibili nel segno di soluzioni, estetiche e ambientali, che rispettino le radici della nostra storia. Triennale di Milano 5 Febbraio - 28 Marzo 2010 www.mostragreenlife.org; w w w.trienna le.it
La fotografia in Italia I capolavori della collezione Morello
Fabrizio Gilardi
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pazio Forma, importante realtà milanese dedicata alla fotografia d’arte, giunta al quinto anno d’attività, ospita, dal 12 febbraio al 2 giugno 2010, la mostra “La fotografia in Italia 1945-1975 – capolavori della collezione Morello”. La mostra raccoglie una parte delle opere che costituiscono la collezione di Paolo Morello, docente e storico della fotografia, fotografo egli stesso, oltre che collezionista e impegnato nella costituzione di un museo della fotografia italiana. Per quel che riguarda gli autori rappresentati, si va da mostri sacri della fotografia novecentesca italiana, quali Gianni Berengo Gardin, Mario De Biasi, Carla Cerati fotografa ma anche pluripremiata narratrice, Mario Giacomelli, ovvero, come un dilettante può passare alla storia, e Tazio Secchiamoli, indimenticabile paparazzo e, in seguito, autorizzato fotografo di set cinematografici, a maestri di una fotografia socialmente impegnata come Antonio Sansone; si prosegue con fotografi che hanno esplicato la loro opera principalmente nel campo del giornalismo quali Giorgio Lotti, autore di un ritratto del primo ministro cinese
Berengo Gardin
Zhou En Lai riprodotto in più di cento milioni di copie, Franco Pinna, Federico Patellani e Mario Dondero, fino ad autori impegnati in ricerche di tipo più strettamente artistico come Elisabetta Catalano, Paolo Monti, Mario Lasalandra, Ferruccio Ferroni, Marialba Russo e Mario Cresci, nelle cui opere spesso la fotografia si mescola con altri linguaggi artistici. Vi sono poi vere rarità come alcune opere di Toni Del Tin e un caso particolare quale è Paolo Bocci, che ha dedicato la gran parte dei suoi lavori fotografici, come anche della sua vita, al continente africano. Si tratta dunque di una mostra che attraverso le 250 stampe originali esposte, ci offre una panoramica su una fetta importante di fotografi italiani e sulla loro attività nel secondo dopo-
guerra passando per gli anni del boom economico, fino agli anni dell’inquietudine sociale e politica. Lungo il percorso dell’esposizione possiamo trarre spunti interessanti sia sulla storia della fotografia italiana, sia su un periodo storico relativamente recente i cui effetti si fanno ancora sentire fortemente nella nostra epoca. La mostra è curata da Alessandra Mauro, direttrice artistica di Forma nonché docente di storia dell’arte, e da Paolo Morello. Il Centro internazionale di fotografia Forma si trova a Milano in zona Ticinese, Piazza Tito Lucrezio Caro 1 ed è aperto tutti i giorni dalle ore 10, la chiusura è alle ore 20 e viene posticipata il giovedì e il venerdì alle ore 22. Il costo del biglietto è di euro 7.50 con i ridotti fissati a 6 euro e facilitazioni previste per le scuole.
La Chiesa di San Simpliciano
Se urbano e sostenibile so- quartiere energeticamenno in contrapposizione, te avanzato ad Amsterdam; con la mostra “Green Life: Richard Rogers con il nuovo costruire città sostenibi- aeroporto di Barajas; Renzo li” si dimostra l’opposto: Piano con la California è proprio dalle città, luogo Academy of Sciences a dell’artificiale, che possono San Francisco; Thomas giungere risposte e soluzio- Herzog con Soka Bau. ni concrete. Legambiente A Green Life si possono vee la Triennale affrontano dere i progetti ecosostenibiil tema mettendo al cen- li realizzati nel mondo e che tro i quattro grandi ar- spaziano dalla casa popolachitetti che promossero la re espandibile al recupero Carta Europea per l’Ener- urbano o all’housing sociale gia Solare nell’Architettu- Sono italiani alcuni prora e nella Pianificazione getti in mostra: il Centre Urbanistica, adottata poi for Sustainable Energy a
Da paleocristiana a medievale Matteo Castelnuovo
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onosciuta anche come la basilica del Carroccio, questa chiesa milanese, oggi, giunge a noi dopo più di 1500 anni, offrendo una storia culturale e architettonica dalle enormi proporzioni. Sorta in area cimiteriale, con pianta a croce latina, S. Simpliciano, è ritenuta dagli storiografi una del-
Ok Arte Milano
Edito dall’Associazione Culturale Ok Arte Direttore responsabile Avv. Federico Balconi
Hanno collaborato:
Direttore editoriale Francesca Bellola
gallerista ed esperto d’Arte
Progetto Grafico e impaginazione Kerr Lab kerr@email.it 02 8321963 Stampato dalla Igep Via Castelleone 152 CR Testata OK Arte Reg. Tribunale di Milano del 6 maggio 2008 n. 283
Antonio Miniaci
Clara Bartolini Silvano Battistotti Francesca Bellola Matteo Castelnuovo Aldo Carrozza Ass. Fausto Cecconi AmarenaChicStudio Silvia Cipriano Silvia Colombo Giuliana De Antonellis Isabella De Matteis Leonardo Scarfò Carla Ferraris Fabrizio Gilardi Alessandro Ghezzi Ivana Metadow
Club Miniaci Milena Moriconi Gabriele Palladino Rosa Parisi Alfredo Pasolino Ugo Perugini Antonio Purpura “Caro” C. Roccazzella Fortunato O. Signorello Clara Terrosu Silvano Valentini Massimo Zanicchi
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le quattro chiese poste in prossimità dei punti cardinali della città di Milano e volute da S. Ambrogio tra il IV e il V secolo d.C., con l’intento di dimostrare che la metropoli, diventata capitale dell’impero nel 286 d.C., non fosse più pagana. Questo maestoso pezzo di storia paleocristiana andrebbe visitato, in realtà, partendo dall’esterno e più precisamente dalla sua parte retrostante, dove il mattone fa risaltare l’impianto dell’abside, dei due altissimi transetti e del massiccio campanile. Si dà così lustro anche al “martyrium”, una costruzione più ribassata, edificata probabilmente per essere una cella memoriae per la custodia delle reliquie. Al suo interno, invece, originariamente doveva essere costituita da una grande aula centrale con oltre 56 metri di lunghezza (esclusa l’abside), più di 21 metri di larghezza e un altezza tra il pavimento e le capriate di oltre 19 metri. Successivamente, però, col passare dei secoli, la struttura, sia all’in-
terno, sia all’esterno, ha subito numerose modifiche che l’hanno portata a essere considerata una costruzione di origine medievale. Una prima trasformazione, infatti, sarebbe avvenuta in epoca longobarda. Quando la grande aula sarebbe stata divisa in tre navate, con una serie di pilastri più fitta di quella che si osserva oggi. La prova di questa prima radicale modifica architettonica si nota sopratutto nei tegoloni scoperti sul tetto con impresso il sigillo del re Agilulfo e del figlio Adaloaldo, succedutogli
nel 616. Mentre, una seconda ristrutturazione sarebbe stata quella romanica, avvenuta in diverse fasi a partire dall’XI secolo. In questa epoca fu rimodellata la maestosa facciata con il bellissimo portale d’ingresso, l’interno fu dipartito in tre navate di differente ampiezza, con grandi pilastri sormontati da archi, cordoli e vele che sostituirono quelle longobarde e fu creato quel tiburio ottagonale sovrastante la sesta campata e abbellito all’esterno da colonnine bianche, con capitello sullo sfondo di una compatta muratura cieca. Oggi, infine, dopo la sua rivalutazione e il suo conseguente restauro, il visitatore entrando nella basilica rimane affascinato dal sobrio linguaggio architettonico del monumento teso a incorniciare primizie artistiche come l’abside e il suo altare maggiore, le vele e i sottarchi cinquecenteschi, le sculture lignee e i dipinti di pregevole fattura. Basilica San Simpliciano P.zza S. Simpliciano, 7 w w w.sa nsi mpl icia no.it
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Arte
MARZO - APRILE 2010
itinerari culturali: brianza
Lesmo, dove il vivere è “lieto”
Iniziativa del Comune per valorizzare l’identità cristiana
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l nome della località è antico, dal latino Ledesmun, Ledeximun in attestazione medievale poi Ledesmun donde per contrazione Lesmo. Deriva da Laetissimus che significa persona lieta: fin dall’epoca
dove trovano rifugio popolazioni in fuga da Milano, più volte saccheggiata dai Barbari. Nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” di Goffredo da Bussero del 1200 è elencata una chiesa a Lesmo dedicata a S. Ma-
za gravi sospetti di veleno e Gianguidotto fu trovato nel Bosco Bello morto con una larga ferita nel petto. Nel XV secolo l’affermarsi di Stati a dimensione regionale scatena continue guerre che negli ultimi mesi del
romana Lesmo era considerata una città ricca e prospera, dove il vivere era appunto “lieto”, grazie anche alla fertilità dei suoi campi. Da esso trae il nome la famiglia Lesmi che nell’epoca feudale ebbe la residenza in loco e tutt’oggi è rappresentata da vari rami. Nel I sec. A.C. i primi abitanti si installano all’imbocco della valle di Pegorino, probabilmente esuli greci arrivati in Gallia Cisalpina al seguito di Giulio Cesare. Sul colle del Gernetto viene edificata nel V - VI sec. D. C., una rocca con una torre a difesa della Valle del Lambro
ria. Intorno a questi villaggi nel 1300 è fiorita la leggenda romantica, raccontata da Ignazio Cantù nella sua opera “Vicende della Brianza”: Rosa Peregalli da Peregallo è profondamente innamorata di Gianguidotto Lesmi da Lesmo; i due sono condannati ad amarsi di nascosto, ostacolati dall’odio secolare che oppone le due famiglie. Si sposano con la complicità e la benedizione di un frate che viveva eremita a S. Maria delle Selve nel Parco di Monza. Segue una breve parentesi di felicità; non passò molto che Rosa morì, non sen-
1449 si spostano in Brianza. I contendenti: Milano contro Venezia. Francesco Sforza pone il campo a Calco. I capitani della Repubblica Ambrosiana ordinano al loro comandante Iacopo Piccinino di uscire da Monza e di recarsi incontro ai Veneziani con “quattromila uomini a cavallo ed altrettanti fanti, sale per la strada di Peregallo, e pone il campo a Casate”. Francesco Sforza, informato sposta le sue truppe verso Casate. E’ battaglia dura, alla fine lo Sforza ha la meglio. I feudatari della Brianza e quindi di Lesmo fanno atto
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di sottomissione e professano fedeltà allo Sforza. Nel 1475, Lesmo con le sue frazioni fu infeudato ai Secco Borella che tennero il feudo per lunghi secoli. Nel 1539 fu consacrata l’attuale chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta in Lesmo, nel secolo XVII fu arricchita di preziose reliquie dal cardinale Federico Borromeo, modificata ed ingrandita nel XVIII - XIX secolo e fu dedicata nel 1907 dal cardinale Andrea Ferrari. L’attuale chiesa parrocchiale di S. Carlo è del 1700 circa. Lesmo ai giorni d’oggi punto di vista politico il Comune viene amministrato dal 1946 al 1985 da un monocolore DC a cui fanno seguito (1985/1993) un bicolore DC-PSI e uno DC-PRI, un monocolore Lega Nord (1993/ 2002) e da maggio 2002 la comunità è amministrata dalla lista LesmoLega Nord, Forza Italia, Alleanza Nazionale. L’attuale amministrazione ci ha confermato, attraverso l’ assessore alle politiche e sociali Dott.ssa Paola Gregato della Lega, l’attenzione a 360° verso i cittadini di tutte le fasce sociali ed in particolare dei più deboli: anziani e disabili. Il programma prevede di rendere sempre più vivibile Lesmo completando il rinnovamento
del centro storico e la riqualificazione dell’intero agglomerato urbano, comprese quindi le periferie. L’assessore Paola Gregato si è detta in particolare orgogliosa di ospitare davanti all’edificio del Comune l’opera “l’Uomo” del maestro scultore Boscardin (leggi articolo nella pagina successiva) per i riferimenti al Crocifisso ed il valore che questo simbolo rappresenta per i valori del cristianesimo condivisa dalla Lega e da tutta l’attuale amministrazione. Antonio Miniaci, il noto gallerista milanese, esperto d’arte e animo particolarmente sensibile verso tutto ciò che è “bello” ha voluto darci la sua testimonianza da cittadino di Lesmo dove abita da oltre 14 anni: “Sono stato colpito subito dall’”aria pulita” che si respira nella cittadina sia per il fattore strettamente climatico - il cielo quasi sempre soleggiato, le vicine colline della Brianza, tanto verde attorno e il limitrofo Parco di Monza -, ma anche per l’eleganza, la classe e il rispetto portato dalla contemporanea presenza di tanti personaggi provenienti dall’ambito artistico, dalla musica, dallo spettacolo. Splendida la Chiesa, sia dal punto di vista architettonico, sia per le molteplici at-
tività dell’oratorio (cinema, teatro, sport) sostenute da un enorme lavoro di volontariato. Stridente il contrasto con il caos delle vicine seppur ben collegate città. Negli ultimi anni ho visto dei notevoli miglioramenti sotto l’aspetto estetico con la ristrutturazione di buona parte del centro e di alcune periferie (Peregallo, Gerno) realizzate attraverso un perfetto “piano colore” che ha ridato vita ai tanti edifici del “700. Sono sicuro, conoscendo ed apprezzando l’attività dell’amministrazione e della Dott. ssa Gregato in particolare, che presto sarà completata la ristrutturazione anche degli edifici più periferici e delle restanti frazioni. Sono consapevole che le maggior difficoltà dipendono dagli intralci burocratici e non dalla mancanza di fondi ma sono sicuro che Lesmo si saprà confermare come esempio positivo per tutti i comuni d’Italia sulla via di quell’auspicato cambiamento culturale che pone al centro l’armonia, la bellezza, la serena gioia di vivere, di cui sono impegnato fautore.” Negli ultimi anni Lesmo, diventa sempre più un grazioso centro residenziale immerso nella verde Brianza. (fonte storica: www.lesmo.org)
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Arte
L’uomo porta e rispetta la sua croce
L’opera di Lucio Boscardin esposta nel Comune di Lesmo
Fede nuziale con 3 piccole croci scavate - segni di fedeltà, rispetto Silvano Valentini
“L’
uomo porta e rispetta la sua croce”. Questo il pensiero guida di Lucio Boscardin in merito alla complessa tematica riguardante la croce, oggi di grande attualità dopo la nota sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sull’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Boscardin, forte della sua esperienza in campo artistico e pubblicitario e della sua grande carica creativa, ritiene che l’immagine della croce non sia
stata finora adeguatamente “sfruttata” se non a livello puramente ecclesiasticoreligioso, mentre per lui è necessaria una sua rivalutazione a livello culturale, civile e sociale. “Manca oggi questa opportunità di interesse verso la croce, uno dei più antichi e nobili simboli dell’umanità, utilizzato in varie forme da molte grandi religioni nel corso della storia”, afferma in proposito l’artista, rivendicando il diritto-dovere della nostra società a salvaguardare, al di là della specifica dimensione di fede, delle figure
così riconoscibili e popolari come quelle di Cristo e della croce, e lo dice lui, Boscardin, che è il “papà” di una delle più popolari e amate figure dei nostri giorni, la mascotte di “Italia ‘90” Ciao. E proprio sull’onda di
opera, sono una Croce ad archi, di 10 metri di altezza per 40 di lunghezza, adatta a piazze e ampi spazi aperti, sotto cui la gente può passeggiare e socializzare, una Croce luminescente, che irradia accattivanti luci colorate, anch’essa di grandi dimensioni adatta per una piazza, un’avveniristica Sfera con croci su basamento di svariate fogge e poi, una Croce a struttura di cubi, scolpita nella roccia, nel marmo, o in altri tipi di pietra. Lucio Boscardin presenta tante altre soluzioni con altri materiali che potranno ben figurare se prese in considerazione, per ultimo e non meno importante c’è anche l’anello nuziale con tre piccole croci incise sopra l’anello, che vogliono significare il rispetto più marcato verso la persona amata. Portare questo tipo di anello è uno stimolo in più per difende-
mese di marzo in data da stabilire nello spazio della Sala Consiliare del Comune di Lesmo, durante la presentazione e inaugurazione della statua sopra descritta. Sarà un originale
pacchetto di concrete proposte operative lanciate da Lucio Boscardin, che ora attende, a sua volta, riscontri di delicata sensibilità e di tangibile volontà esecutiva da parte di enti e privati.
Croce a cubi in vari materiali, per piccole, grandi dimensioni
Croce ad archi per piazze. Struttura in gomma/acciaio per grandi dimensioni
Sofferenza in un piccolo quadro tecnica mista 15 x 15
quest’ultima considerazione, Lucio Boscardin ha dato il via ad una nutrita serie di ideazioni di grande spessore simbolico e artistico, a cominciare dalla realizzazione dell’Uomo, una scultura da installare in parchi e giardini alta 1,80 x 1,50 su un basamento di 90 cm, costituita dalla figura molto simile alla mascotte Ciao, rivestita con 13 mattoni, fatti apposta, con impresso il simbolo della croce e solo 13 mattoni poichè da noi considerato un portafortuna. Altre proposte “modellini” dell’artista, rivolte per la loro concreta messa in
re, rafforzare e rispettare. A coronamento di tutto ciò Boscardin non ha dimenticato di essere un apprezzato pittore, e così ha realizzato anche dei quadri sul tema, anzi, più che dei semplici quadri, possiamo dire dei veri e propri bassorilievi di moderna concezione, con una rappresentazione della croce molto materica e dall’impatto fortemente emozionale, il tutto visto in chiave di comunicazione contemporanea, come allusivamente fanno intendere le parole e le frasi sullo sfondo delle opere. Tutto questo si potrà vedere nel
Alla ricerca della mia bandiera La pittura di Lucio Boscardin
Silvano Battistotti
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rendo spunto dal titolo del dipinto -Nella poetica dei segni anche la mia bandiera- per giustificare quell’ansia di conquista che caratterizza il percorso estetico di questo grande artista. Egli parte dalla manipolazione del gesso, quasi fosse terra, per costruire le sue opere pittoriche che sono quasi sempre pittoriche e scultoree in quanto la terza dimensione ne ca-
ratterizza l’estrinsecazione estetica. Lucio Boscardin sente la forma e, pur contenendola in limiti espansivi relativamente contenuti, la gestisce attraverso il colore che ne amplifica o ne riduce le dimensioni. Egli fa della dimensione plastica il momento creativo delle sue opere. Esse spaziano dal -graffito-, in cui l’incisione della materia ne articola e struttura il fondo rendendolo arcaico o evocativo di iscrizioni lontane, all’espan-
sione piu’ lata e morbida che crea e sviluppa piani variamente modulati. In questi piani la luce sviluppata dal colore si espande o si trattiene a seconda degli aggetti o delle rientranze della materia... Ma la cultura, quando c’e’, si estrinseca ed ecco che l’idea base, piano piano si sviluppa, si cristallizza in una forma, poi in piu’ forme che entrano in empatia tra loro creando correlazioni impensate, ritmi desueti, evocazioni in-
credibili. La sua e’ una poetica che ha origini lontane, parte dalla storia dell’uomo, si organizza, emerge da un magma primordiale, sviluppandosi fino a coagularsi nelle sue -bandiere-. Bandiere che indicano il suo possesso sulla materia, che svettano sulle sue opere come un marchio genetico, in cui il suo DNA trionfa sul tormento di terre accidentate, di porzioni della mente non sondate, di evocazioni oniriche mai pensate.
Bassorilievo materico con smalti su legno 20 x 40
Nato a Bassano del Grappa nel 1943, Lucio Boscardin arriva a Milano nel 1961 con l’intenzione di studiare e di entrare nel mondo della pubblicità. Lavora in aziende italiane e agenzie internazionali per 20 anni per poi aprire un suo studio grafico nel 1982 a Casatenovo in Brianza. E’ sua la mascotte Italia ‘90 (ciao), che gli varrà un biglietto da visita prestigioso in questo settore. Lucio Boscardin da sempre porta avanti una sua ricerca nella pittura dove ha ottenuto riconoscimenti e premi in concorsi, mostre personali e collettive. Maturata nel tempo, oggi, la sua pittura presenta una maggiore pregnanza materica fatta da basso/alti rilievi fortemente plastici con cromatismi personali; ricca di segni e scritte idealmente sociali. Ricerca e sperimenta continuamente un suo modo di vedere l’arte anche nel design e nella scultura. Predilige la manipolazione di materiali che consentono di sviluppare l’opera in poco tempo(gesso, cemento, creta, resine etc.) per consentire poi la realizzazione in materiali più nobili.
Lucio Boscardin vive e lavora a: 20040 Camparada (MB) - Viale Grigna, 13 tel. 338 3106249 e-mail: lucciobo@libero.it sito: www.lucioboscardin.com
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itinerari culturali: toscana
Radicofani, incanto annunciato
Uno spazio magico situato fra la storia ed il mito Leonardo Scarfò
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sistono luoghi rari, allo stesso modo di certe anime preziose, fertili, solitarie ed insieme vertiginosamente curiose, i quali si lasciano scoprire solo attraverso la dedizione e la perseveranza, solo arrischiandosi in un viaggio di scoperta vero. L’ascendere ed il ridiscendere. Perdendosi, anche. Ritrovandosi poi più avanti, più sicuri, più sereni sul segnato sentiero, sul cam-
mino fatale. Se desideri cogliere la profondità devi ambire all’altezza, mentre lentamente ti approssimi all’altezza, ti si rivela allora ogni vastità, si dischiudono orizzonti più vasti dei tuoi stessi sogni. E là dove puoi imbatterti nei più grandi pericoli, anche risiede il premio più grande. Allora rimane, alla fine, come segno di inizi sempre nuovi, una traccia vera di bellezza; resta gioiosa ed incancellabile memoria. Vale per le persone, vale per gli spazi entro cui esse distendono le loro fragili, vibranti esistenze. Radicofani appartiene alla dimensione integra e densa di questi luoghi; puoi distrattamente intravederla per una vita, lambirne i confini labili, d’acque incostanti, di argille e sabbie contese dalle ginestre, puoi gettargli uno sguardo distratto dal fondovalle piatto e veloce, incassato nell’ombra, credendo che sia un posto come tanti altri; ma se sali e visiti, vivi e respiri, cammini e rimani, ti addentri, allora ti accorgi che è un mondo intero. Un’isola alta e protetta, un universo reso magico dalla sua sicu-
ra palpabile compiutezza. Radicofani porta i segni di mille pericoli, è rifugio, dunque anche sogno e spazio di salvezza. Accoglieva affaticati e stanchi, sull’itinerario santo da e per l’Urbe immortale, nella Casa di Pietro, accoglieva chi doveva e voleva essere difeso, o voleva e poteva difendere, come i contadini scampati alle barbariche scorrerie, gli esuli delle città in aspra contesa, i mercenari, i cavalieri. Accoglieva i sofferenti e gli ammalati, nei suoi an-
tichi Ospedali. E pur in questo convulso nodo di carne e di sangue, intrisa di profonda, densa umana fugacità, continuava Radicofani ad offrire all’anima e allo spirito, attraverso gli occhi, il privilegio di un sovrano dominio; l’abitare visivamente uno spazio sconfinato, lo scorrere il mondo oltre i limiti dello sguardo, sovrastandone i clamori in un tacito nitore di pace. Ad annunciare questo incanto, a sempre accompagnarlo, emerge ancora con serena prepotenza, oggi, innanzitutto il silenzio, un silenzio limpido e spesso; trasparente, come la luce marina che dilaga da panorami sterminati, affacciati sugli estremi orizzonti d’occidente, denso, come le nubi ronzanti e gravide che a volte si riposano, quiete ed immobili, sulla Rocca ed il Paese. Sorprende trovare ripetuto negli scritti, nei racconti che se ne fanno, antichi e moderni, spesso per conoscenza indiretta, cioè per ignoranza, il concetto facile della marginalità e del confine, della desolazione, come se qui si trattasse di uno spazio sterile e vacante. Sorprende
perché così non sarà stato colto, quasi mai, il senso più nascosto ed essenziale insito nell’essere limes. Il costituire confine corrisponde ad uno stare, in un senso, continuamente esposto e munito, desto e vigile, nell’attesa, come distanza ed insieme incombenza della morte, nelle sue infinite forme. E qui noi incontriamo le Mura e la Rocca, le dogane, le pietre miliari, gli eremiti ed i briganti. Ma essere confine, in un senso ulteriore, significa allo stesso tempo uno stare nella continua apertura ed accoglienza, come prossimità a vie obbligate, agli erranti, a coloro che vanno e cercano, vivono; così si spiegano gli Ospedali e la Via Francigena, la predisposizione al ricevere, la spiccata inclinazione alle scienze, alla curiosa metodica indagine dei molti matematici, astronomi, medici, speziali che qui nacquero ed operarono. In questo suo essere tappa obbligata, meta per ogni meta, crocevia, conteso, ristoratore riposo, squisito, succulento nutrimento, aspramente difeso baluardo ed ostentato vessillo, il limes rivela la sua natura di fons, di punto d’inizio, di spazio denso ed originario, generoso, sorgivo, integro. Non per caso l’epica famiglia dei Medici, particolarmente sensitivi nel loro rapporto con i luoghi ed il loro senso simbolico, lasciarono testimonianza di questo innato magnetismo per l’evocazione e la suggestione con la monumentale Fontana posta davanti alla Villa della Posta. Poco sopra di essa, nel Bosco Isabella, emergono le rovine verdeggianti di una grande e remotissima va-
intrecciare al rigoglio poderoso di un segreto e prezioso parco botanico, i labirinti ed i segnacoli lapidei per i loro riti iniziatici. A voler estenuare la similitudine e la metafora, rendendola infine incarnata e reale, si può notare che la magnifica piramide a gradoni, a base triangolare, è costruita con la pietra tipica di Radicofani; un basalto che fu la stessa mitica e prediletta pietra degli Egizi, cui gli esoteristi convulsamente si ispirarono. La natura di fons celata nel limes fa sì che Radicofani diventi, nei secoli, luogo fertile e favorevole ad accogliere l’arte e la cultura di luoghi ed umanità altrimenti aliene, quando non ostili: Roma, Firenze, Orvieto, Siena; i loro modi di concepire la forma e risolvere la figurazione, i loro materiali, qui, si intersecano e si completano in modo unico. Potrebbe sembrare uno stile eclettico, una sequela di domini, il marchio di mutevoli signorie, ed invece è quel magico sincretismo che va sempre oltre la volontà degli uomini e si fonde in un’armonia sovrasecolare, lieve, stabile. Basti pensare alla collocazione delle magnifiche pale Robbiane in maiolica invetriata, nel loro compiuto, nobile classicismo, con il celeste ed il bianco avorio, il verde ed il giallo sgargianti. Esse emergono, fluttuano eteree sotto massicce ed austere volte romanicogotiche, di impronta fortemente tuscanica, come ammantate e diafane anime angeliche al riparo sotto alberi millenari. Radicofani è così. Nello stemma comunale campeggia un Leone rampante che sorregge la
tere proprio: hic sunt leones, come sta scolpito sul limes per eccellenza, le Colonne d’Ercole. Qui i leoni sono anche i feroci guerrieri, gli Ospitalieri armati, i soldati di guardia, le vedette. La Torre della Rocca è essa stessa un leone poderoso e inamovibile, sovrano. A ribadire il carattere duplice e labirintico di Radicofani, la sua ricca e complessa varietà, il suo accogliere ed intrecciare gli opposti, il suo desiderarli uniti e convergenti verso un vertice lontano ed arduo, ma non impossibile, stanno anche le origini del suo nome. Sarebbe credo un errore escluderne una per accogliere l’altra. Qui è il Rach(t)is Hof(en), cioè la corte di Rachis, Re Longobardo, come a dire luogo di concreto e fatale dominio di un uomo
Incisione su Radicofani di Leonardo Scarfò
sca lustrale, la cui magnetica, oscura sacralità, ancora emana da ogni fessura, ogni ciclamino, ogni oblungo colossale albero silente. Neppure sarà un caso se gli animi tormentati e cupi di Massoni spiritualisti, nell’Ottocento custodi ultimi di remote tradizioni, proprio qui vollero riedificare la Piramide ed
Balzana senese. Il cremisi acceso e denso, che sorregge il bianco ed il nero; gli opposti, di nuovo. In un senso araldico i richiami sono ovvi, come è lampante il riferimento netto e fiero agli Aldobrandeschi. Ma l’araldica è arte suggestiva e simbolica, arcaica, esatta: osservando lo stemma viene ancor più da ripe-
sugli uomini e sulla terra, fatto di sangue e di ferro. E non è stato menzionato, scelto, un Re minore, un usurpatore; Rachis è altrimenti definito Rex totius Italiae…Nel paese si respira chiaramente, infatti, un che di nordico, di tedesco, cioè di fieramente austero; valga come incarnazione di questo segre-
to influsso il grande Cristo Crocifisso ligneo apposto nella Chiesa di S.Agata, inequivocabilmente disceso, e rimasto, da un luogo di devozione tra la Fiandre e l’Impero Germanico. La suggestione di tale etimologia non si perde, ma anzi si completa e si esalta se teniamo conto della spiritualità di un’altra, ancor più evocativa leggenda sulle origini; Radicofani è Radix-Fani, luogo situato alla radici, alle pendici dell’arce dove sorge il tempio, il luogo sacro, il luogo alto ed assoluto, il più alto; il ponte verso il Cielo. Che il Tempio dovesse essere dedicato a Vertumno (l’etrusco-italico Veltha), o piuttosto a Giano, entrambi guardiani delle soglie, numi delle colture e del bestiame, custodi di fertilità, è del tutto evidente. Come è evidente e comprovata la sovrapposizione del culto rurale di S.Antonio Abate, qui particolarmente sentita, con quello pagano, appunto, di Giano e Vertumno. Entrambe queste etimologie si situano nello spazio magico situato fra la storia ed il mito, ma non si trova in esse nulla di labile o fittizio; la loro suggestione che, nell’evocare un’evidenza si rivela più forte della semplice verità, è reale e persistente, segna, incide, resta stabile e sicura. Esse aggiungono alla storia il suo punto cruciale di inizio, inaugurandola, e aggiungono al mito un’incarnazione che lo rende vivido perennemente. Radicofani è luogo in cui alle più semplici e sane occupazioni della vita antica, le accorte manualità, la perizia d’artefice (si pensi all’orologio a pesi quattrocentesco, purtroppo perduto insieme all’antica Torre Civica…), si accostano i deliri vertiginosi del potere papale ed imperiale, antagonisti da un lato, occultamente complici da tutti gli altri, le contese fra città strenuamente ...segue a pag. 9
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Arte
Radicofani, un piccolo mondo
Il Comune valorizza il suo territorio nelle colline della Val d’Orcia
Fausto Cecconi Assessore alla Cultura del Comune di Radicofani
“L
asciando le colline della Val d’Orcia, la strada sale su un’alta e nera montagna..” Così alcuni antichi viaggiatori annotano sul loro diario giungendo a Radicofani da Siena. Ancor oggi, venendo da nord, in fondo alla Val d’Orcia la rupe di Radicofani all’orizzonte sembra altissima, lontanissima, impervia. Salendo la strada costeggia le erte argille erose dai millenni, poca vegetazione, una rupe in lontananza, un nido d’aquila, scuro, misterioso…ma questo è solo quello che appare. Radicofani è un piccolo mondo, una terra isolata, avvolta spesso dalle nuvole, ma una terra che ti conquista da subito. Il borgo è esposto a sud e capta tutti i raggi del sole, le sue vie sono luminose anche se strette, piene del caldo e dell’affabilità della sua gente. I suoi panorami sono talmente vasti, che sembra essere accovacciati tra le ali di un falco. Lo sguardo spazia senza limiti: dai monti della Tolfa alle colline di Pienza, dal mare di Civitavecchia al monte Subasio, dai laghi di Bolsena e Trasimeno ai complessi appenninici dei Sibillini, del Terminillo e del Gran Sasso, dall’Amiata a Montalcino, dai monti Cimini a Siena. Grandi spazi, che riempiono l’animo di emozioni, spesso non facilmente descrivibili, grandi spazi e grandi silenzi, spezzati dal rumore dell’erba e dallo scricchiolio degli alberi mossi dal vento, che in ogni stagione porta con se gli odori inconfon-
dibili di questa terra. In inverno i profumi della legna che brucia, dai comignoli, “l’odore” pungente della neve; le fragranze primaverili dei primi fiori cresciuti nei boschi: le viole mammole, i narcisi, i mughetti, i fiori dei peri selvatici…poi l’odore ammaliante delle ginestre, il profumo delle messi secche al sole, le folate inebrianti dei tigli, nelle fresche estati di questo piccolo mondo. Infine, con le prime piogge il fermento dei boschi, dove i funghi la fanno da padroni, ricoperti dalle multicolori foglie accarezzate dal sole autunnale, che spicca nel cielo dall’azzurro irreale. In quell’azzurro si stagliano le case del borgo, di scura pietra vulcanica, con qual-
che mattone rosso arancio ed i vivaci tetti di terracotta, si vede inconfondibile la maestosa fortezza carica di storia, di gesta e leggende dei suoi castellani. I palazzi patrizi con i grandi archi romanici e gli slanciati archi gotici nelle facciate, le chiese di S. Pietro e S. Agata, vero scrigno di arte, dove ci si può incantare di fronte a cinque opere dei Della Robbia… il Rinascimento fiorentino con la sua purezza di linee e di cromatismi, ti cattura, ammirando i volti, le vesti, il bianco e l’azzurro, le figure perse in un cielo infinito che parla già di paradiso. Tra i vicoli, i balconi e le finestre fiorite, il Ghetto, l’antica via dei Forni, la porta Romana, le fontane,
le piazze, il severo Palazzo di Giustizia, questo è il mio paesello, ma non solo… Il Bosco che lo limita a sud, in realtà è un grande Giardino Romantico, dove degli illuminati conterranei, hanno saputo ricreare, cento anni orsono, un ambiente che sembra fatto da madre natura. Gli aceri accarezzati ai piedi del tronco dai bossi, gli ippocastani ed i lauri che si abbracciano con le loro fronde, le svettanti sequoie, le morbide tullie, i tassi alteri ed i maestosi cedri…un luogo irreale, quasi fantastico, all’interno del quale sono immerse rovine, ricreate ed originali, una piramide di pietra, massi giganteschi, sentieri, ponticelli, scale, specchi d’acqua ed in primavera ed
in autunno, un vero tappeto di ciclamini rosa intenso. Poco più in basso la via che ha fatto grande ed importante questo borgo: la Francigena, con la Grande Villa costruita dal Granduca Ferdinando III, per i viandanti più facoltosi. Due ordini di sei arcate lambiscono la via, ed ancora oggi sembra che ti invitino a fermarti per riposare, di fronte la bella Fontana manieristica dove viene magnificato lo stemma mediceo. Poco lontano il borgo di Fonte Grande, con la sorgente ed i grandi lavatoi settecenteschi dove, le candide pietre di travertino consunto ci raccontano la fatica di un lavoro antico, ma ci fanno anche pensare alle chiacchiere delle
donne, un salotto povero, un antesignano del negozio del parrucchiere… uno sfogo alle fatiche quotidiane. Poi il convento e la Chiesa dei cappuccini, proprio sul declivio della strada, un luogo ameno. Oggi il campanile è vuoto ma tendendo l’orecchio sembra ancora di sentire i rintocchi della campanella, che ricordava a tutti il motto francescano: pace e bene. L’Amiata è dietro sullo sfondo, sembra di toccarla, ma il terreno sprofonda in una valle per centinaia di metri, prima però del forte declivio due aspre colline, che in primavera si tingono del rosso intenso della sulla fiorita ed esprimono bene quella pace del motto francescano, quella pace interiore che si trova di fronte ad una natura tanto essenziale e ricca, tanto restia e generosa allo stesso tempo. Questo è un po’ di Radicofani, questo è quello che ho scoperto del mio paese vivendo per lavoro, lontano da lui, molti anni, ho scoperto quei tesori che davo per scontato che però scontati non sono. Sono le piccole cose che danno gusto all’esistenza, e che spesso mi hanno spronato a ricercare la bellezza, l’armonia, il profumo della vita. In questo piccolo mondo, niente è per caso, ed anche le cose semplici acquistano un grande significato perché condiviso nel profondo. Vi invito tutti a visitare, anzi a sostare di fronte a questo “mio tesoro”, piano, piano, con calma, perché Radicofani si possa mostrare nella sua bellezza intima. Venite! Lasciatevi coinvolgere da un luogo unico e misterioso, per storia, natura ed umanità.
Radicofani, incanto annunciato
...segue da pag. 8 aggrappate a violenti sogni d’egemonia. Qui c’è l’umile viandante che in silenzio rende grazie per il ristoro ed accresce di forza la sua coraggiosa preghiera, la sua parola flebile ed intima, qui c’è Ghino di Tacco, bandito e nobile leggendario, che tutto risolve a fil di spada. Ancora: gli opposti si toccano.Radicofani resta singolare fino nel cuore, fino al fondo scuro della sua carne; il basalto su cui e di cui è costruita emerge e si lascia plasmare solo qui. Intorno non ve n’è traccia. Si potrebbe pensare al Nenfro di Tarquinia e di Tuscania, ai Peperini di Blera e Sovana, Sorano, Pitigliano, ma questa pietra è un’altra cosa; immensamente più antica, dura come il ferro, ora quasi nera, ora ocra scurissima, ora
grigiastra, bionda o biancastra dove esposta ai ricami dei licheni. Sì, perché la stessa geologia ci racconta di un luogo unico: qui dove adesso stanno la montagna e la rupe, era un vulcano sottomarino. Penso a questo basalto eroico ed infinitamente paziente, saldo, generoso, mi accorgo che in esso, come centro e come termine, allo stesso tempo, sembra evocato il simbolo poderoso del Lapis Niger di Roma Eterna, di cui Radicofani è un degno riflesso. Segnacolo e monumento ne è la Torre. Vedo il modo singolare in cui i portali romanici e gotici delle abitazioni nobili sono disposti, sempre appaiati. Proprio come la Porta della Guerra e la Porta della Pace nel tempio di Giano Bifronte, a Roma. E’ una disposizione architettoni-
ca che rasenta l’esoterismo autentico, quello inconsapevole dei costruttori. Poi vengo a sapere che famiglie notabili e colte qui producevano anticamente il Salnitro, e mi ricordo che dove stanno gli alchimisti c’è mistero, e dove resiste il mistero, esiste Bellezza profonda; più forte di ogni dolore, più fulgida di ogni abbaglio. Più seducente di ogni miserabile tentazione, più sicura di ogni illusione. Le facciate austere, gli stemmi massicci, la risoluta sicurezza delle vie, mi ripetono che il privilegio estremo, per le nostre anime, è quello di godere con umile libertà il nostro essere vincolati al vertiginoso viaggio fra i due estremi. Penso e quasi vedo il sangue scorrere a rivoli fra le pietre, imbevere di sè la terra, macchiare
le edere, e poi sento il profumo morbido intenso del vino, vedo il Piano delle Vigne dove una Madonna incoronata, sospesa, ci offre il Sacro Figlio, come la Terra ci dona ogni suo Frutto. E’ in questo silenzio ed in questa apparente solitudine che si può concepire la felicità, e soprattutto incontrarla, trovarla, trattenerla. Benchè essa somigli ora al vento fra le cime degli alberi, ora alle loro radici incastonate nella roccia. Penso alle Chiese più ornate e grandi, tutte accostate, tripartite, affacciate l’una sull’altra, nella stessa piazza, con la Patrona a vegliare per ogni cataclisma sul Tempio dedicato a colui che ne lenì, in carcere, le ferite. Penso al suo velo rosso, a ricordare il supplizio dei carboni ardenti, e al colore dello stendardo del
Paese. Tutto torna. Dove si trova il sacro, è sacro come da sempre. Qui il costruito, il plasmato ad arte, sono concepiti con tanto amore da riuscire a somigliare alle cose vive, alle creature. Percorro e ripercorro, allora, nel nitore caldo e profumato dei panorami
sconfinati o dentro la nuvola bianca e umida, gelida, questo spazio che accoglie il viandante mentre arriva dal basso e vuole salire ancora: è uno spazio solo apparentemente deserto; esso incarna e corrisponde, simbolicamente, all’impronta ineffabile di ogni Pienezza.
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Arte
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Come si legge un’opera d’arte Aldo Carrozza
Segue da pag. 1 gni artista ha un suo “idioletto” ha scritto Umberto Eco, proprio per sottolineare il fatto che ogni artista crea secondo canoni personali e che oggi nell’arte vi è la massima libertà di espressione formale. Di fronte a questa totale libertà come si fa a capire se un’opera d’arte è bella oppure no? Bisogna allora fare una sosta anche sul concetto di bellezza. Una volta la bellezza era codificata entro specifici canoni. Con i greci, per esempio, la bellezza era armonia e rapporto equilibrato tra le parti dell’opera. Senza più la bellezza canonica, l’opera d’arte potrebbe essere letta attraverso la comunicazione empatica, vale a dire attraverso la sua capacità di trasmettere qualcosa in maniera diretta, evocando aspetti universali o universalistici della realtà. Il problema è che tutte le opere vogliono trasmettere qualcosa, ma non tutte ci riescono. E il fruitore non può sempre cercare quel qualcosa anche se non c’è. Vi sono opere d’arte oggi che presentano una perizia esecutiva davvero minima, addirittura sono oggetti reali presi dalla quotidianità. Si pensi ai ready made (per esempio alle scatole di Brillo di Andy Warhol) che, infatti, possono non avere niente di empatico. L’empatia allora si può limitare ad essere una caratteristica di alcune opere, ma non è una chiave di lettura di tutte le opere. Non abbiamo dunque la bellezza che ci può aiutare a leggere un’opera d’arte. E non abbiamo neanche la chiave
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empatica. Cosa fare allora? Al concetto di bellezza oggi si è sostituito quello di originalità. Perciò la lettura dell’opera d’arte potrà esserci solo seguendo questa strada. Come si fa a stabilire quando un’opera è originale? La risposta purtroppo non è semplice. La valutazione dell’originalità è un’operazione comparata oltre che soggettiva. Veniamo all’aspetto della comparazione. L’opera d’arte va letta alla luce della storia dei linguaggi artistici. È con questi che occorre attivare la comparazione. Infatti i codici visivi hanno subìto, lungo la storia dell’arte, una loro evoluzione che si basa sulla ricerca della diversità. L’arte è un po’ come la vita sulla terra che ha trovato milioni di forme per esplicarsi. Anche l’arte è tale solo se si esplica di volta in volta in una forma che può differenziarsi rispetto a tutte quelle che l’hanno preceduta. Queste forme, pur nel loro percorso di diversificazione, si sono organizzate per gruppi all’interno dei quali esistono differenze di effetto e tra i quali esistono differenze di struttura. Questi gruppi sono gli stili della storia e le poetiche della contemporaneità. Per saper leggere le differenze d’effetto occorre conoscere il linguaggio ricorrente di quel gruppo, e per leggere le differenze di struttura occorre conoscere i linguaggi dei vari gruppi. In definitiva per leggere l’evoluzione della diversità, occorre avere una buona conoscenza delle forme storiche e delle loro aggregazioni. Questa conoscenza è l’elemento a cui il fruitore deve rapportare e quindi compa-
rare l’opera d’arte. Perché quest’ultima non può essere mai isolata rispetto alla storia e al suo tempo. La conoscenza delle forme che possiede il fruitore di opere d’arte è detta anche “sistema di aspettative”, in quanto le opere che si immagina saranno create do-
re che si esprima un fruitore che abbia un robusto sistema di aspettative. E questo tipo di fruitore, oggi, con l’arte contemporanea, che è molto variegata, è soltanto un esperto (critico d’arte, storico dell’arte, gallerista, ecc.). Di fronte ad un’opera d’arte, la lettu-
Opera di Chia
vranno - chi più chi meno - riscontrare quelle aspettative, perché riproporranno buona parte di forme già conosciute. Ebbene le opere che riscontrano fortemente il sistema delle aspettative sono opere poco originali, mentre quelle opere che lo riscontrano in maniera più labile sono opere molto originali. Perciò al fine di stabilire se un’opera è originale oppure no, occor-
ra dell’originalità avviene con i confronti e le ascendenze stilistiche da una parte, e con la ricerca delle specificità dall’altra. Il confronto e la ricerca dunque. Il primo metterà in evidenza le ascendenze positive, e la seconda individuerà quei filamenti e quei pezzi di sintassi che presentano nell’opera una particolare e convincente diversificazione rispetto al consueto, al
già visto. Quando diciamo che Sandro Chia ha ascendenze novecentiste, è perché la possanza delle sue figure può essere accostata a quelle di Mario Sironi, che del movimento Novecento era un esponente di rilievo. E quando diciamo che la dinamica delle sue forme si accende di un espressionismo coloristico, vogliamo mettere in evidenza la sua specifica diversificazione che lo rende originale nell’epoca in cui dipinge e all’interno del gruppo della Transavanguardia. Quando diciamo che Lucio Del Pezzo ha ascendenze metafisiche, è perché egli evoca, con i suoi mondi sinottici, atmosfere attonite e sospese. E quando diciamo che le combinazioni cromatiche ed oggettuali dei suoi mondi geometrici sono una metafora del gioco e della ragione, vogliamo sottolineare la sua specificità creativa che ha aggiunto molta originalità alla semplice visione metafisica. La lettura comparativa parte da una prima delimitazione d’ambito del codice creativo dell’opera. È necessario stabilire innanzitutto la prevalente matrice linguistica inserita nell’opera. Per poi individuare quegli spostamenti formali che aggiungono variazioni. Quando si è stabilito in quale lingua è stata creata l’opera, diventa più facile anche capirne il significato. Per la lettura comparata del significato si entra nell’universo della semiosi, ossia dell’interpretazione, dove si aprono anche gli aspetti soggettivi della lettura stessa. L’opera d’arte in genere è un’opera polisemica, vale a dire che è aperta a molte interpreta-
zioni. Tuttavia la soggettività deve essere misurata e per evitare sovrainterpretazioni, ossia costruzioni di significati inappropriati, occorre fare una comparazione tra l’intentio operis e l’intentio autoris. Questo significa che l’opera va interpretata alla luce delle intenzioni dell’autore: in altre parole è utilissimo conoscere l’autore e la sua storia, la sua tematica e la sua poetica, i suoi cicli e i suoi puntigli, per dare la giusta semantica all’opera. In questo modo la lettura soggettiva trova un argine costruttivo proprio nel giusto valore dell’intentio autoris. La lettura di un’opera d’arte visiva contemporanea, dunque, è un’operazione composita. Per cogliere la portata complessiva e i dettagli estetici di un’opera, occorre compiere, in definitiva, diverse azioni parallele e sovrapposte per avere un ritorno fruitivo organico. Il tutto deve essere portato a termine utilizzando il proprio sistema di aspettative (che è la propria esperienza in materia di arte visiva), la propria conoscenza dell’autore e, infine, la propria capacità di giudizio estetico. Quest’ultimo è la capacità di saper valutare il risultato d’insieme dell’opera, per sancire se essa è originale e se è anche un esempio ben riuscito di intreccio fecondo tra significato e significante (la forma materiale data all’opera). Se la lettura di un’opera d’arte visiva può sembrare un’operazione difficile, non c’è da spaventarsi: essa presenta senz’altro un aspetto incoraggiante: non possiede nessuna regola per stabilire veramente qual è giusta e qual è sbagliata.
riconoscere attraverso le diverse forme d’arte e di comunicazione, i momenti più importanti della vita
culturale, sociale e produttiva e, quindi, rivivere il nostro recente passato e ritrovare le nostre origini.
Il Grande Gioco
La società italiana dal 1947 al 1989
Ugo Perugini
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accontare quarant’anni di storia del nostro Paese dal dopoguerra alla caduta del muro di Berlino utilizzando diverse espressioni creative (arte, cinema, architettura, letteratura, design, teatro, ecc.) è un gioco, rischioso ma affascinante, soprattutto se a giocarlo si mettono tre grandi Musei lombardi, quello di arte Contemporanea di Lissone, la Rotonda di via Besana a Milano e il Gamec di Bergamo. La mostra, in tre tempi e tre luoghi, si aprirà il 24 febbraio 2010 e proseguirà fino al 9 maggio 2010 con una “coda” riepilogativa presso il LAC (nuovo centro di arti visive, performative e della musica) di Lugano. Lissone affronterà gli anni
dal dopoguerra fino al 1967: anni che precedono il boom economico e si incentrano sulle esperienze di artisti tra cui Accardi, Dorazio, Consagra, Munari, Dorfles, mentre appaiono edifici quali il grattacielo Pirelli e la Torre Velasca, e i designer creano prodotti come la Lambretta, la Vespa, la Fiat 500, la Lettera 22 di Olivetti. A Milano spetterà di approfondire il periodo che va dal 1959 al 1972: decennio che vede, tra l’altro, l’affermazione di artisti come Burri, Manzoni, Bonalumi, la nascita del gruppo 63 in letteratura e nel 67 la formazione di Arte Povera di cui fanno parte Kounellis, Pistoletto, Paolini, Penone, Calzolari, tanto per citarne alcuni. Ma sono anche gli anni del cinema con “Il grido”
di Antonioni, “Il Generale della Rovere” di Rossellini, “La Dolce vita” di Fellini; nascono riviste Culturali, tra le quali “Il Menabò”, “Il Verri”, “I quaderni piacentini”, “Nuovi Argomenti”, ecc. Il periodo più recente, con gli anni Ottanta e il ritorno alla pittura e alla figurazione, verrà affidato a Bergamo. Tra i pittori in mostra Balestrini, Cucchi, Isgrò, Mosconi, Paladino, Pistoletto, Vaccari. Mentre per i design non mancheranno artisti prestigiosi, tra i quali Sottsass, Magistretti, Mendini e in architettura, nomi come Fuksas, Portoghesi. Mentre nel cinema si passerà dalla “Ricotta” di Pasolini ad “Amarcord”, “Non ci resta che piangere” di Benigni e Troisi, “Bianca” di Moretti
Allegro e fuga 1949-50
e i successi televisivi come “Portobello”, “Blob”, ecc. Tre mostre collegate da vedere assolutamente per
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Arte
Pieralberto Filippi
Sculture che invitano al dialogo Ugo Perugini
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resso la Galleria Mondo Arte, in via Brera 3, si è svolta lo scorso 16 gennaio l’inaugurazione della mostra di scultura di Pieralberto Filippi. Un folto pubblico ha potuto ammirare le opere dell’artista brianzolo, che hanno trovato collocazione nella galleria, quelle di dimensioni più ridotte, e all’esterno, nel
risposto con semplicità e modestia, mostrando il suo carattere schivo ma sincero. Sappiamo che il suo percorso artistico ha avuto un lungo periodo di incubazione, nel quale, per ragioni pratiche, ha potuto dedicare poco tempo all’attività creativa ma che le ha consentito di accumulare tensioni e spinte di carattere emozionale e razionale che ha potuto sviluppare
Riposo
giardino attiguo al locale, quelle più grandi realizzate in acciaio. Particolarmente efficace e suggestivo l’effetto provocato da queste ultime, anche grazie al contesto “verde” nel quale si sono facilmente armonizzate e all’illuminazione che ha caricato i lavori di Filippi di ombre e prospettive inusitate che ne hanno arricchito le potenzialità comunicative. Allo scultore abbiamo rivolto alcune domande, alle quali ha
in seguito. Come descrive brevemente questo suo iter di pittore e scultore? L’arte mi ha sempre affascinato in tutte le sue forme. Da giovane suonavo il sax e dipingevo secondo i canoni figurativi; mi dedicavo alle nature morte. Lo facevo più che altro perché lo consideravo un hobby in grado di distendermi. Poi sono passato alla pittura astratta, sempre avendo come riferimento l’importanza della forma, delle curve, del vo-
lume. A questo punto, mi sono reso conto che dovevo affrontare la tridimensionalità, entrare nello spazio con la mia opera, espandermi, e, dopo un periodo in cui mi sono dedicato ai bassorilievi, sono passato alla scultura a tutto tondo. Ho sentito quasi il bisogno di tornare a una manualità, a una fisicità nel rapporto con l’opera che realizzavo. Questo percorso, anche grazie all’incontro con l’opera di Calder, mi ha portato ai lavori più recenti che realizzo attraverso attraverso lastre di acciaio corten. Lei dipinge ancora, ma, a quanto ci sembra di capire, i suoi quadri sono preparatori all’opera scultorea? Sì. Li definirei dei bozzetti sui quali valuto il rapporto delle forme, dei pieni e dei vuoti, studio i diversi pesi delle curve, mi preparo all’effetto che esse potranno avere nell’occhio di chi le guarderà. Poi passo al vero e proprio lavoro di realizzazione. Che prodotto utilizza e come procede in concreto? Negli ultimi tempi uso soprattutto lastre di acciaio corten trattate al carbonio, nichel, fosforo, sostanze che ne consentono una grande protezione dagli agenti atmosferici e dal tempo, donando loro anche una particolare patina, piacevole al tatto. Poi passo al taglio delle lamiere e, in seguito, alla fase di saldatura vera e propria. Nelle sue opere si assiste al superamento dell’iniziale attenzione, quasi di taglio erotico, alle forme e alle curve per la scelta di una soluzione che conduce alla ricerca di una perduta, originaria unicità. Cosa ne pensa? Concordo. All’inizio qualche critico d’arte aveva definito le mie opere come frutto di un erotismo iconico. Credo di aver superato quel periodo. Nel mio lavoro, in un certo senso, si è verificato il passaggio dall’erotismo all’amore. Dal singolo alla coppia. Dalla solitudine al dialogo, al confronto. Questo perché credo che sia nostro compito ricercare sempre la complementarietà perduta, cioè quello che ci unisce all’altro piuttosto che quello che ci divide. Dal recente articolo “Poesia in curva”, che il critico d’arte Aldo Carrozza ha dedicato all’opera di Pieralberto Filippi, riportiamo alcuni stralci più significativi. “(…) Qual è la sua originalità? Egli ha aggiunto qualcosa: ha aggiunto la poesia al dialogo. Non dialogo tra l’opera e il fruitore, che è lo scopo di qualunque ope-
ra, ma il dialogo interno all’opera. La plasticità di Filippi ha trovato la strada vitale della forma gravida pronta a sdoppiarsi in due entità; ha individuato nel rapporto semantico dei volumi la vitalità interna ed organica della scultura. Non è solo un rapporto di quantità tra vuoto e pieno, bensì un rapporto di qualità tra due pieni che si muovono nelle feritoie dello spazio. Nascono così la forma concedente e la forma ricevente, una forma che apre e una che chiude, un volume concavo e uno convesso, una sinusoide positiva e una negativa. Il tutto regala un dialogo infinito, in cui la complementarietà plastica appare come la struttura di un enzima che catalizza chimicamente la molecola vicina. (…) Nell’opera di Filippi prevale il concetto della dialogica fondativa, affidato ad una linea curva che alita sentimento e sensualità tra corpi in evoluzione morfologica e semantica: nell’opera di Filippi la fiamma ha almeno due lingue che si corteggiano. Il dialogo delle sue sculture non si chiude alle prime battute, ma riesce a stupire per la sua forza evo-
Musicisti
cativa che non è affidata alla posizione frontale dei corpi stilizzati, ma alla materializzazione dell’”idea” di scambio. Uno scambio che si alimenta nella linea curva dell’abbraccio sussurrato e promesso. Che si sente anche guardando lo spazio interno ai volumi. In quali opere di Filippi troviamo tutto questo? In molte. Si intravede già nella potenzialità binaria delle sculture in marmo e in bronzo. Margaret, Danza, Black flames e Butterfly sono tra queste, in cui la complementarietà dei due pieni regala il senso della dialo-
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gica fondativa che dall’unità passa al doppio di sé per poi ricomporsi idealmente in un unico corpo funzionale. Tutto questo è ancora più evidente nelle grosse sculture in acciaio. In queste vi è la maturità delle forme “scambiste”. La scultura “Personaggi” è un vero e proprio incunabolo. E’ questa la prima opera in acciaio nella quale Filippi ha distillato la materialità mobile, pesante e giocosa di Alexander Calder, il segno onirico di Jean Mirò, la linea curva di Arp e di Gragg e il bio-essenzialismo di Viani. Il risultato finale è un vero capolavoro.”
Fondazione Don Carlo Gnocchi Non un’opera muraria ma un cuore che palpita e alimenta la vita
“MANI INCERTE ARTE CERTA” un successo “CERTO”
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ei giorni 12 e 13 dicembre, la Sala Consiliare del Consiglio di Zona 3 di Milano ha ospitato la mostra dei lavori prodotti presso il laboratorio “Schizzi d’autore”, all’interno del Centro Diurno Santa Maria Nascente di Milano, gestito dalla Fondazione Don Carlo Gnocchi. Lì, con l’ausilio appassionato di educatori e volontari, artisti affetti da forme di invalidità, talvolta tanto gravi al punto che il pittore deve manovrare il pennello, infilato in un apposito caschetto, con i movimenti del capo producono veri e propri gioielli cromatici. Quanta passione, volontà e forza anima questi artisti! La Mostra è stata inaugurata dal Presidente della Fondazione Monsignor Angelo Bazzari ed a seguire sono intervenuti, con altrettanta passione, Consiglieri, Dirigenti, Operatori e Organizzatori. Esauriti i ne-
cessari preliminari, il numeroso pubblico ha iniziato ad ammirare le oltre 40 opere esposte mentre scorrevano, sugli schermi messi a disposizione dal Consiglio di Zona, le immagini degli artisti al lavoro. Enorme impressione ha destato tra i visitatori la forte carica espressiva di tutte le opere, al punto che un’addetta ai lavori, gallerista di professione, li ha ricondotti ad una forma di “espressionismo non contaminato”. In tutti i dipinti era riconoscibile un’attenta cura nell’accostamento dei colori, nella definizione dei volumi ma soprattutto la volontà da parte degli artisti di esternare con vigore, attraverso la voce dell’arte quei sentimenti che in altri modi non possono fare. Particolare impressione hanno inoltre destato alcuni autoritratti, tanto somiglianti da far invidia ad un professionista. Numerosi artisti erano presenti e nei loro sguardi e nel loro modo di interagire col pubblico, a volte anche per il tramite dei parenti, degli operatori o dei volontari si intuiva la consapevolezza di essere gli unici protagonisti dell’evento e la conseguente felice soddisfazione. Le due giornate si sono svolte in un clima di tranquilla armonia, quasi che dai quadri esposti fuoriuscisse un
fluido rasserenante. I visitatori si susseguivano commentando con ammirazione le opere e manifestando le loro preferenze in attesa della preannunciata asta benefica finale, attesa con un po’ di timore, poi smentito dai fatti, dagli organizzatori. Nominato sul campo quale banditore Marco, per evidente propensione naturale, l’asta iniziava nel pomeriggio inoltrato della domenica. Con dialettica da consumato professionista incitava il pubblico ad aprire i cordoni della borsa e a cimentarsi in offerte al rialzo al fine di aggiudicarsi i preziosi lavori. La misura dell’efficacia della tecnica usata è dimostrata dal fatto che tutte le opere venivano vendute e nonostante ciò qualche potenziale acquirente restava a bocca asciutta. Giusto epilogo di queste due giornate perfette un ricco rinfresco. Una riflessione: constatare con quanto amore, passione e dedizione tutti, organizzatori, operatori, volontari, sponsor si sono adoperati affinché la manifestazione riuscisse e potesse donare momenti di felicità agli artisti fa riflettere anche i più scettici sull’essenza del miracolo di Don Carlo Gnocchi. Alessandro Ghezzi Presidente Associazione Culturale OK ARTE
Centro IRCCS di Milano “Santa Maria Nascente”
Esposizione di dipinti di artisti E’
particolarmente significativo e coinvolgente nell’ambito delle attività socio educative, afferma il Presidente della Fondazione Don Gnocchi, Mons. Angelo Bazzari, questo toccante evento “Mani Incerte Arte Certa”, capace di illuminare, attraverso l’espressività dei più fragili, una delle forme nobili dell’arte, quale la pittura. Lo stesso don Carlo, geniale artista della carità, solennemente beatificato a Milano, in piazza Duomo il 25 ottobre 2009, nel libro scritto nel 1946 dal titolo “Restaurazione della persona umana” esaltava i capolavori dell’arte e dell’amore con queste splendide parole: “L’arte e l’amore nascono dal nonnulla di cui ha parlato Pascal. Il lontano sussurro di una melodia in fondo all’anima - magari sul ritmo monotono di una goccia cadente per Chopin-, il balenìo di un ideale di bellezza nella pupilla – intuita in un blocco di marmo abbandonato, come per il David di Michelangelo –, la rapida e confusa enunciazione di una legge fisica e metafisica alla mente assorta – dietro il noto pendolare di una lampada nella cattedrale di Pisa per Galileo-, la fulminea intuizione dell’anima gemella, attraverso un dolce viso di donna – come per tutti coloro che hanno potuto realizzare il loro sogno d’amorehanno dato origine a capolavori della scienza, della bellezza e dell’amore. Purchè attentamente raccolti, appassionatamente seguiti e perdutamente amati”.
Sabrina Benedini Marisa Brocca Barbara Muffatti Roberto Buttinoni Alberto Casati Luca Cislaghi Fulvia Colombo Cristina Di Vittorio Federico Milano Cristina Marchesini Monica Marinelli Piero Marazzo Cinzia Mazzu Massimo Pelà Pinuccia Pessina Gianfranco Pittoni Morena Quattropani Gianluca Reitano Sergio Valenti Roberta Zambelli
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Arte
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Arte: medicina spirituale FormArt espone a Cascina Roma
Ugo Perugini
E’
stata necessaria una lunga e attenta opera di selezione da parte della curatrice Francesca Bellola prima di arrivare alla determinazione dei nomi dei dodici artisti prescelti per esporre le loro opere presso la prestigiosa galleria di arte moderna “Cascina Roma” di San Donato Milanese. Ma, indubbiamente, il gruppo “FormArt” ha tutte le caratteristiche per interpretare nel modo migliore questa nuova tendenza dell’arte intesa come strumento di terapia e che sta diventando, grazie al contributo di un maestro-fondatore come Mike Ciafaloni, un vero e proprio movimento artistico autonomo, con una sua filosofia espressiva e precisi e ben individuati obiettivi di indagine e ricerca, conosciuto ormai in ambito nazionale e internazionale. Il gruppo FormArt, nella sua appassionata ricerca creativa, interpreta l’arte come strumento privilegiato che, volendo combattere l’indifferenza nei confronti degli altri, della natura e dell’ambiente, assume una funzione terapeutica per chi la pratica e per chi ne fruisce, il cui fine è il sollievo dallo stress e la predisposizione fisica a uno stato di benessere. Quindi, la rappresentazione artistica del pensiero, dell’emozione e della poesia, attraverso l’uso delle più diverse sfumature di colori, contribuisce di di-
approfondito anche in occasione di un successivo incontro che si terrà, sempre a Cascina Roma, mercoledì 3 marzo alle ore 21 durante il quale si approfondirà il tema dell’arte terapia. Josetta Pinotti presenterà il libro “Art Therapy Activities” di P. J. Furrer. La serata è coordinata da Maria Antonietta Porfirione, presidente della Commissione biblioteca.
te, caleidoscopico vortice, che risucchia lo sguardo e, quasi con meccanismi sottilmente ipnotici, induce un distacco o, per lo meno, una sospensione dalla realtà. Marco Bozzini. Il lavoro di Bozzini nasce da lente e pensate sovrapposizioni di colore. Non c’è un’idea primigenia che muove l’artista. L’opera si fa attraverso
Tutti gli artisti presenti nella collettiva, ospitata negli spazi attigui alla mostra di Mike Ciafaloni, hanno accettato, con sensibi lità, identico entusiasmo, scelte espressive diverse la nuova poetica dell’arUn momento dell’inaugurazione te-terapia. In questa chiave, davvero l’opera successivi passaggi, con sted’arte assume una dimen- sure che diventano meccasione diversa, fino a rap- nismi rituali grazie ai quali presentare un momento pian piano prendono corpo catartico di liberazione per i colori che si sedimentachi la realizza ma anche no sulla tela fino a coglieper chi la osserva con ani- re il senso dell’armonia mo aperto e disponibile. E generale con una evidenle scoperte che si fanno vi- te funzione antiansiogena. sitando le sale sono mol- Romano Isidoro Domenico. te e affascinanti. Vogliamo Oggetti misteriosi. Forme qui di seguito riportare le inusitate. Come in una dinote critiche che abbiamo scesa nel mondo onirico, raccolto da commenti, im- l’artista lavora su volumi e pressioni e da brevi scam- forme che attraverso le sue bi di pareri con alcuni degli pennellate si umanizzaartisti presenti. Quello che no, si piegano, si deforma-
colori e al loro abbinamento che non è mai casuale ma risponde a principi di equilibrio molto delicati. Rino Gaetano Tammaro. Non è difficile capire che dietro il lavoro di Tammaro c’è una lunga ricerca e varie sperimentazioni. Quello che colpisce sono soprattutto le atmosfere delle sue opere decisa-
mente originali e in grado di spaesare il fruitore ma anche il modo autorevole di interpretare la forma e la figura con rimandi a echi lontani e classicheggianti. Stefania Presta. Nelle sue opere emerge con forza la sua origine napoletana. Nei suoi quadri ribollono i magmi vivi della sua terra, che lei sa modulare con colori accesi e coinvolgenti. Da poco tempo il suo sguardo si è rivolto al cielo. E il soggetto preferito sono le galassie, gli ammassi stellari. Anche in questi vortici di colori e di emozioni, l’artista sa ritrovarsi e indicarci la strada. Rosida Mandruzzato Vettori. La capacità evocativa dell’artista è ben ri-
levata anche dal critico Simone Fappanni che delle sue opere evidenzia la capacità di “armonizzazione della pasta cromatica lungo scie luminose che si incastonano l’una nell’altra al ritmo di partiture visive permeate da un fascino raro e conturbante.” Natalia Berselli. Il percorso che compie l’artista è complesso e tortuoso come quello di Arianna e Teseo nel labirinto. E nelle sue opere si segue il percorso sinuoso che ci viene indicato senza perdere il filo che ci conduce alla sua interpretazione, attraverso l’eleganza e l’originalità della sua ricerca cromatica. Dopo un primo impatto laborioso, il pensiero trova infine il suo momento liberatorio. Natali Grunska. Il mistero e una forte carica simbolista avvolgono le realizzazioni dell’artista d’origine ucraina. Calarsi nelle sue opere significa affrontare un viaggio attraverso la memoria della coscienza, guidati dalla capacità di fascinazione dei suoi colori e dei suoi toni, colti sulla tela attraverso una gestualità sicura da cui emerge la sua grande personalità. Roberta Musi. La musica non la si ode ma è il sottofondo delle opere esposte dalla Musi. Un suono cadenzato, fatto di gesti armoniosi, netti e decisi, come nel tango figurato,
e le forme dei corpi, in un manierismo del tutto originale, sottolineano il rapporto eterno tra uomo e donna, quel continuo prendersi e lasciarsi che è il lait-motiv dell’amore. Dino Maccini. Accostare senza stridenti contrasti, antico e moderno. A Maccini riesce questa operazione inusitata, di ridare freschezza e creatività alla tecnica musiva, all’arte del mosaico, che da strumento puramente decorativo, com’era inteso in passato, riesce ad assumere nei suoi lavori significati espressivi autonomi ed efficaci, creando composizioni di estrema eleganza ed equilibrio formale. Caroline Culubret. Un grande tondo che rappresenta un nudo su sfondo d’oro. Così si presenta Caroline con la sua opera. L’artista dipinge solo dal vero con modelle, se le chiedono di realizzare quadri da fotografie si rifiuta. E si capisce perché. Crede nel rapporto profondo con chi ha di fronte, vuole penetrare nel suo animo, coglierneibaglioricherichiamano a una bellezza eterna. Cascina Roma Piazza delle Arti, 2 San Donato Milanese Fino al 7 marzo 2010 Orari: dal lunedì al sabato 9.30 – 12.30 14.30 – 18.30 domenica 10.00 - 12.30 16.30 - 19.00 Tel. 02-55603159 Francesca Bellola tel. 347-4300482 francescabel10@yahoo.it
Azienda Spia d’Italia
A ritto a rientrare tra i sistemi più efficaci di medicina spirituale. Non è una novità, di per sé, credere al valore del colore come medicina alternativa per la cura delle malattie. Secondo la cromoterapia, infatti, i colori aiutano il corpo e la psiche a ritrovare il loro naturale equilibrio e avrebbero effetti fisici e psichici in grado di stimolare il corpo o calmare determinati sintomi. L’argomento, peraltro non semplice, verrà
si spalanca davanti a noi è un mondo diverso rispetto a quello che incontriamo fuori ogni giorno, più attento ai significati della bellezza, dell’equilibrio, ricco di solidarietà, di amore, di attenzione verso gli altri. Regina Di Attanasio. Quello che colpisce a prima vista nelle opere dell’artista è l’esplosione di colori che la tela è in grado di raccogliere e di rimandare al fruitore. Si tratta di un flusso continuo, una specie di cangian-
no, lanciandoci messaggi difficili da decrittare ma affascinanti. Il tutto in una visione nitida, di cromatismi perfetti, di chiaroscuri vividi e incisivi. Bruno Golin. Sculture essenziali le sue, ma frutto di un lavoro attento e amoroso, che utilizza i materiali di recupero (sacchi di iuta, stoffe di materasso, legni da panificatore), per trasformarli in qualcosa di vivo e animato, grazie alla paziente scelta dei
ll’evento Formart l’azienda agricola “Spia d’Italia” di Lonato del Garda ha offerto una raffinata degustazione di vini. Tra la vasta produzione vitivinicola l’azienda vanta un’ulteriore creazione, il vino “Gefide”, definito così da Luigi Veronelli dal nome del tipo di diamante più splendente. I vigneti situati sulle assolate e ventilate colline moreniche che dominano il Lago di Garda, il suolo calcareo arido e sassoso - tipiche terre bianche che caratterizzano il territorio a spiccata vocazione viticola - la giusta esposizione, le rese per ettaro volutamente basse garantiscono uve armoniosamente mature. Un’attenta lavora-
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Di Modica Egon Schiele Arturo L’uomo vincente che c’è dietro
Espressionismo a Palazzo Reale Francesca Bellola
Segue da pag. 1 l pubblico potrà ripercorrere il breve periodo della fiorente e straordinaria ascesa culturale della capitale asburgica nella tormentata e rovinosa vecchia Europa. In questo clima di innovazioni e di sovversione dei canonici accademici, il giovane Schiele diventa il dissidente e il promotore delle controtendenze espressioniste capitanate dal già famoso Klimt. Tra i due nascerà un’amicizia e l’influenza del maestro sull’allievo emergerà in molte opere di Schiele, una per tutte “Gli eremiti” che raffigura i due amici uniti da un cappotto nero. La vita dissoluta di Schiele è stata costellata da un’infanzia dolorosa, segnata dalla perdita del padre, capostazione, il quale malato di gravi attacchi depressivi, sognava per il figlio, un futuro di ingegnere. Ma il piccolo Egon, già all’età di un anno e mezzo, dimostrava una vera ossessione
la scultura più famosa di New York
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nel disegnare i treni. Ben presto, si rivela uno studente dalle scarse qualità per le materie scolastiche, presenta quindi domanda di iscrizione alla prestigiosa Accademia viennese di Belle Arti. Supera brillantemente l’esame di ammissione tanto che, a soli sedici anni, è il più giovane studente a frequentare la scuola. Il suo modo di infrangere le regole della pittura, deformando vo-
Gillo Dorfles “Arte concreta” a Palazzo Reale Giuliana De Antonellis
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ilano celebra la figura poliedrica di Gillo Dorfles, ponendo l’accento sulla sua identità di artista, oltre che critico d’arte ed estetologo con laurea in medicina e psichiatria, alla soglia dei suoi cent’anni. In mostra sono esposte a Palazzo Reale, dal 26 febbraio al 23 maggio 2010, circa 150 opere, in prevalenza dipinti e opere grafiche, ma anche ceramiche, gioielli e una serie di fotografie. Oltre alla collezione personale dell’artista e di altre collezioni private italiane, sono presentate opere provenienti da musei italiani, tra cui il CSAC – Centro Studi e Archivio
della Comunicazione di Parma. Completano l’allestimento una sezione fotografica dove sono presentati i ritratti dell’artista insieme ad amici intellettuali ed artisti; una sezione documentaria con i volumi più celebri di Dorfles e un video con interviste a Dorfles a cura di critici e artisti. Nel 1948, con Munari,
Soldati e Monnet, è tra i fondatori del Movimento Arte Concreta, movimento d’avanguardia che reagisce polemicamente tanto ai dogmi della figurazione quanto a quelli dell’astrazione postcubista. La sua presenza nel movimento è centrale sia come critico, sia come teorico. Sulla scia dei suoi teoremi i “concretisti italiani” si battono per l’assoluta libertà e indipendenza dell’arte da qualunque ideologia, aspirano a consolidare legami con il mondo della produzione e il loro desiderio di crescita industriale li rende attenti alle nuove tecniche e ai nuovi materiali. Mirano ad una interdisciplinarietà in tutti i settori della vita moderna, fondendo in un unico corpo pittura, scultura, design, architettura, grafica. Di particolare rilievo è la produzione dopo il 1985 in cui Dorfles ci regala inediti personaggi, organismi anomali, indefinibili, nati da contaminazioni tra mondo umano, animale e vegetale, fluttuanti e dinamici in un perenne processo di evoluzione: una pittura libera, carica di immagini fantastiche, dove l’immagine torna nell’opera, non più dalla natura esteriore, ma piuttosto da quella interiore dell’artista, assumendo gli infiniti aspetti e la poesia che le relazioni delle forme suggerite dalla fantasia possono determinare. Palazzo Reale, 26 febbraio - 23 maggio 2010. w w w.mazzotta.it w w w . c o m u n e . m i la no.it /pa la zz orea le
lutamente le forme con un segno quasi elementare e la maniera spregiudicata di ritrarre la fisicità delle modelle come un’attrazione dello strumento indagatore dell’animo umano, lo renderanno sublime nonostante le sue vicissitudini. Viene infatti, accusato di aver sedotto e rapito una quattordicenne, in realtà, la ragazzina si era allontanata volontariamente dalla famiglia. Subisce comunque il carcere per aver divulgato materiale pornografico e aver mostrato nel suo atelier ad alcuni minorenni i disegni erotici, ritenuti osceni alla pubblica morale. Espone in importanti istituzioni di Praga, Zurigo, Berlino, Monaco, Vienna ma la sua carriera sarà stroncata da una morte prematura per aver contratto l’influenza spagnola a soli 28 anni. Il grande successo e la notorietà internazionale arriverà solamente dopo molti anni dalla sua scomparsa e questo evento è il degno omaggio alla sua consacrazione.
Silvia Cipriano
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rturo Di Modica a New York lo conoscono tutti, oltre che per la sua famosa scultura del “Charging Bull”, anche per la voglia di vivere che lo contraddistingue nelle notti “newyorkesi” e la bizzarria del suo estro che nel passato l’ha portato anche ad imporsi per la sua personalità oltre che bravura artistica. Sì perché un bravo artista è colui capace di creare e comunicare la propria personalità oltre che attraverso le proprie creazioni anche attraverso il modo di farle conoscere ed Arturo questo lo ha saputo fare molto bene, ponendo il famoso toro di Wall Street sul suolo del Financial District di propria iniziativa e con la fatica delle proprie braccia nel passato 1989, dichiarandolo in vendita per impedirne lo spostamento ai buyers. Di certo una persona con la determinazione e il carattere di difendere le proprie scelte ed imporne la divulgazione. Figlio
di una terra che non lascia molto spazio ai sogni e di una famiglia che lo stimolava a volere di più, Arturo scopre da subito di avere la propria intelligenza nelle mani e di volerla coltivare per riuscire ad esprimere al meglio la sua abilità artistica studiando all’accademia di Firenze pittura e scultura. Di giorno studente, di notte carrozziere per guadagnarsi da vivere e trovarsi i clienti che gli avrebbero comperato le proprie sculture, trovando i materiali nel più economico dei modi ad esempio fondendo rame e ottone per ottenerne bronzo anziché comprarlo direttamente. Abilità, dedizione, determinazione, fatica, positività e voglia di vivere hanno portato Arturo Di Modica ad essere l’artista stimato e conosciuto in tutto il mondo. Ed è proprio questa sua personalità che si manifesta attraverso le sue “sculture parlanti” perchè esse trasudano messaggi che appartengono all’intima storia di Arturo. La positività,
la forza e il rilancio che il Charging Bull sta a significare non possono che riflettere l’approccio alla vita dell’uomo prima che artista, Arturo Di Modica, così come le sculture del cavallo che si morde la coda scolpita a segno di cerchio che sta ad indicare il ciclo della vita piuttosto che la statua di Bacco circondata dai delfini a segno dell’intelligenza generata e alimentata dal sangue che dà vita e dalla vita che dà sangue. Arturo è costantemente in evoluzione e movimento, non si ferma, si pone sempre nuovi obiettivi. Ad esempio il fratello di Wall Street, “The Bund Bull”, commissionato dal governo di Shangai, sarà esposto fine marzo a Shanghai e sarà pronto a breve un libro che racconta tutta la sua vita, attraverso anche gli aneddoti più divertenti. Il maestro non si dimentica però della sua terra dove il progetto della scuola che si chiamerà “La Galleria del nuovo Rinascimento” avanza, affinché i giovani di una terra spesso dimenticata possano trovare formazione e possibilità di sviluppare il proprio talento ad emulazione di un uomo vincente proveniente dalla loro terra. Dalla Sicilia a New York a tutto il mondo, ora basta andare al Cipriani per trovarlo seduto davanti a un Bellini salutato da tutti con rispetto ed ammirazione di fronte al suo Charging Bull, baciato e toccato da tutti e che Arturo controlla con attenta indifferenza e fierezza. Dalla nostra inviata a N. Y.
Cambiaso, Maestro del ‘500 Tra maniera e controriforma
Alfredo Pasolino
“L
uca, Luce dell’arte...” , lo invocava nel 1619 il poeta Giovan Battista Marino in un sonetto della sua Galleria. E che Luca Cambiaso, nato a Moneglia ligure, vissuto dal 1525 al 1585, fosse una vera luce dell’arte per la bravura e la luminosità della sua pittura, lo dimostra la sua frenetica attività a Genova e dal 1583 in Spagna all’Escorial. Nato in quella capitale marinara che fu attrattiva e fucina di grandi artisti, come Pierin Del Vaga, trasferitosi da Roma, si trattenne per quasi dieci anni, entrando al servizio dell’ammiraglio Andrea Doria, grande sostenitore dell’imperatore Carlo V, che gli affidò l’incarico di sovrintendere alla ristrutturazione della sua dimora principesca nella zona di Fassolino. Dopo aver aderito, sull’esempio del padre Giovanni, al gigantismo esasperato del Pordenone (“Storie dell’Iliade”, Palazzo Anto-
nio Doria), Cambiaso acquisì, durante la collaborazione con G.B. Castello (in San Matteo, Palazzo Imperiale, Palazzo Grimaldi, sempre a Genova) una vasta cultura aperta a influenze venete “correggesche”, e una notevole conoscenza prospettica e compositiva. Cambiaso, come Del Vaga, con uno stuolo di artisti, si occupò alla decorazione dei palazzi e delle ville, che univano stucchi fregi dipinti e affreschi, che solo in parte si sono conservati, che celebravano le analogie tra Genova e Roma antica, esaltando le azioni pacificatrici compiute da Carlo V e da Andrea Doria. Altri artisti, come Perin del Vaga, che affronta, come Giulio Romano a Mantova, il tema della “Caduta dei Giganti”, per esaltare il committente che, come Giove, aveva annientato i suoi nemici. Ma secondo una vena brillante, prediligente accordi di colori insoliti e allunga le figure atteggiandole in pose artificiose. Luca Cambiaso
completò la sua formazione genovese con un probabile soggiorno romano dedicato soprattutto allo studio delle opere di Pierin del Vaga e di Pellegrino Tibaldi. Negli anni della maturità rimeditò le esperienze romane, dipingendo opere di soggetto religioso che rispecchiavano le indicazioni devozionali post-tridentine. Contemporaneamente l’artista fu attratto da esperimenti luministici e predilesse atmosfere notturne con lumi di candele o bagliori di torce che accentuano la suggestione delle
sue immagini. Da segnalare alcuni dipinti profani (come la lavorazione sul tema Venere, Amore e Venere Adone), e le tele di soggetti sacro, detti “notturni”, eseguite dal 1570 in poi tra cui: “Cristo davanti a Caifa” e “Madonna della Candela, Genova Palazzo Bianco, Palazzo Spinola, Palazzo Rosso e Palazzo Verde. Severe meditazioni sul tema della luce, con effetti di intensa religiosità. Cambiaso eseguì anche arazzi su cartone e scolpì le Virtù della Cappella Lercari nel Duomo di San Lorenzo.
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Arte
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itinerari culturali: campania
Pontelandolfo, il “Grande Esodo” Tracce di una storia ultramillenaria
l documento che sancisce la nascita del’originario aggregato di Pontelandolfo risale al 980; è un atto di donazione del territorio di Ponte S. Anastasia da parte del principe beneventano Pandolfo Capodiferro e di suo figlio Landolfo, ai monaci benedettini di Montecassino. La tradizione vuole che siano stati gli stessi monaci ad interessarsi della costruzione sia del castello che della chiesa della SS. Annunziata. Una diversa interpretazione, motivata dal ritrovamento dello stemma custodito nella chiesa madre del SS. Salvatore, vuole che il principe longobardo “Landolfo”, a circa un chilometro dall’antico Casale di Santa Teodora della località Sorgenza, onde poter attraversare il torrente Alente fece costruire un ponte, al quale diede il suo stesso nome: da questo Pontem Landulphi (poi Pontelandolfo) il nome, evocato per la prima volta nel 1138 nella cronaca dello scrittore medioevale Falcone, per indicare l’abitato che si sarebbe formato nei pressi. Può darsi benissimo che in quel medesimo sito nell’antichità sannitica vi sia stato uno degli Oppidi sanniti, sulla via Numicia, comunicante i Caudini con i Pentri. Diverse vicende, nei secoli che seguirono, devastarono il borgo. Il primo noto evento risale al 1138 data in cui Pontelandolfo subì un primo assedio ed incendio per mano di Re Ruggero il Normanno, a causa della ribellione del Conte di Ariano. E’ chiaro quindi
sisma distrusse interamente l’abitato. Ricostruito, fu nuovamente distrutto quasi interamente da un forte terremoto nel 1456. Nel 1461 subì un ulteriore assedio ed incendio questa volta ad opera di Ferdinando I d’Aragona in guerra contro Giovanni d’Angiò e i suoi vassalli. Successivamente, Pontelandolfo, con la sua terra, fu venduto da Ferdinando II d’Aragona ad Andrea di Capua. Infine, dopo ulteriori vicissitudini, diventa nel 1466 terra dei Carafa fino al 1806, anno in cui venne abolita la feudalità, che anche qui faceva sentire la sua gravezza, pretendendosi onerosi pagamenti dai pastori che conducevano gli armenti sulle montagne. Nel 1688 ancora una volta un violento terremoto danneggiò gravemente l’abitato di Pontelandolfo decimando buona parte della popolazione già duramente colpita pochi anni prima dalla pestilenza. Nel 1806 Giuseppe Napoleone, con l’abolizione della schiavitù, pose fine alle secolari contese. Solo con l’avvento del XVIII secolo, iniziò a delinearsi in modo concreto un risveglio demografico, favorito peraltro dalla stabilità assicurata dal nuovo Stato Borbonico, che prese corpo soprattutto nel corso del XIX secolo. E’ di questo periodo l’affermarsi delle arti e dei mestieri legati alle risorse locali. La pastorizia subisce un significativo incremento con la conseguente produzione di lavori tessili e dei ricami, di lavori in ferro, in legno ed in pietra, che rappresenteranno l’economia e l’attività del
note vicende di sangue dell’estate del 1861, pagando così con la morte e la distruzione la tanto agognata Unità d’Italia. I delittuosi fatti che con ferocia si perpetrarono il 14 agosto 1861, hanno senza dubbio segnato la pagina piùt triste della lunga storia di questo paese. Era l’anno 1861, mentre i rivolgimenti italiani preparavano al nuovo regno, una banda di briganti comandata da Cosimo Giordano giunse il 7 di agosto in Pontelandolfo depredando le case dei cittadini che intanto erano fuggiti, ed assassinando un negoziante ed un altro pacifico cittadino. Il giorno 11 agosto per sedare i disordini fu inviato da Campobasso un drappello di 45 soldati del 36° di linea col tenente Bracci e 4 carabinieri. Questi attaccati si rifugiarono nella torre, ma provocati dagli insorgenti ed a corto di munizioni, tentarono una sortita incamminandosi verso Casalduni. Qui una numerosa banda di briganti, comandata da Angelo Pica li trucidò. Fu così che all’alba del 14 agosto per ordine del generale Cialdini un battaglione di 500 bersaglieri comandati dal tenente Negri raggiunse il paese. La gente ignara di quanto fosse accaduto a Casalduni, smarrita fuggiva dall’abitato. Ma l’ordine fu eseguito. Il giorno dopo un dispaccio annunziava laconicamente nei giornali ufficiali “ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo …”. A partire da questo fatale “incontro” con la storia dell’Unità d’Italia gli anni bui del Grande Esodo non tarda-
che era sito nella Contea di Ariano, la quale venne abolita dai Re Normanni. Fu feudo del Bursello, dei Sanframondo, degli Svevi, dei d’Angiò, nonché dei Gambatesa che per ragioni difensive, a protezione del piccolo borgo, già cinto interamente da mura, costruirono una imponente torre merlata, tutt’oggi esistente in tutta la sua originaria maestosità, simbolo eterno del paese. Nel 1349 un forte
paese. Prima della realizzazione della ferrovia Benevento-Campobasso, posto sulla via Sannitica, Pontelandolfo era un importante centro di transito e di commercio tra Napoli e il Sannio, con una ricca dogana di granaglie istituita nel 1853 con decreto di Ferdinando II di Borbone. Più volte nei secoli oggetto di calamità naturali e non, Pontelandolfo vive l’ennesimo dramma durante le
rono ad arrivare carichi di effetto dirompente per la stabilità residenziale della comunità pontelandolfese: o brigante o emigrante. Pontelandolfo, dunque, devastata dal ferro e dal fuoco nonché punita dagli effetti di legge e dai provvedimenti emanati dai piemontesi, dopo i delittuosi fatti narrati del 1861, per reprimere le rivolte, che gli insorgenti meridionali, delusi nelle loro aspettative, scatenavano
Gabriele Palladino
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contro l’esercito del re sabaudo, inizia, da quel lontano tempo, a spopolare. Si innesca, così, il triste fenomeno dell’emigrazione, che, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo seguente, assumerà dimensioni di portata colossale fino a ridurre il paese nella esiguità di poche anime residenti. Migliaia sono gli artigiani, i braccianti, i coltivatori, i manovali pontelandolfesi che attraversano le imponenti onde dell’oceano. Dopo l’America Latina, dove per lo più realizzano un’opera di colonizzazione agricola, i più numerosi sono quelli che si dirigono sulla costa atlantica del Nord America, a Waterbury, la città industriale nello Stato del Connecticut. Gli immigrati pontelandolfesi si adeguano ben presto al contesto sociale di accoglienza; frequentano con profitto i corsi serali; imparano la lingua americana; si organizzano e sviluppano produttività e grado di cultura. Molteplici sono i pontelandolfesi che si affermano nel mondo della imprenditoria ed è motivo per tutti di fama, vanto e lustro. Un esempio distinto è rappresentato dalla felice e fortunata storia imprenditoriale di Angelo Romanelli. Angelo, detto Marzia, emigra negli Stati Uniti verso il terminare degli anni Cinquanta del secolo scor-
so. Dopo un periodo, seppur breve, di subordinazione al padronato locale, mette in piedi un’impresa edile, che, in pochissimo tempo, si afferma tra le più professionali e competenti di Long Island (N.Y.). Già proprietario di cave a Massa Carrara, provvede alla fornitura dei marmi pregiati per la realizzazione delle famose Twin Towers di New York, di cui, oggi, resta il triste ricordo di quel terrorizzante 11 settembre 2001. E’ nota inoltre a tutti la storia degli oltre sedicimila pontelandolfesi di origine che vivono nella città di Waterbury, dove hanno raggiunto elevati livelli di fortuna amica e di benessere meritato, senza mai dimenticare le radici affettive lasciate con profonda nostalgia a Pontelandolfo. E’ a suggello di sì grande e nobile sentimento, peraltro cordialmente ricambiato da tutti i pontelandolfesi residenti in Italia, che le due comunità sanciscono il gemellaggio rappresentativo dell’amicizia, dell’affinità di tradizione, di realizzazioni e di propositi esistenti tra loro con un ampio articolato programma di incontri e di festeggiamenti. Lo storico ed importante avvenimento si concretizza in due distinti tempi: il 13 ottobre 1994, quando vennero sottoscritti dai rispettivi sin-
daci delle due comunità, presso la Sede Municipale di Waterbury, il documento d’intesa e il contratto di protocollo relativi alla collaborazione; il 16 luglio 1996, quando venne sottoscritto dai rispettivi sindaci delle due comunità, presso la Sede Municipale di Pontelandolfo, l’Atto di Determinazione delle relazioni di gemellaggio. L’ideale ponte di fratellanza, che unisce e vincola con un legame indivisibile le due comunità gemellate, si è materializzato grazie e soprattutto, alla grande opera del Pontelandolfo Com-munity Club, con sede in Waterbury, l’associazione per antonomasia dei pontelandolfesi d’America fondata nel 1930 grazie alla tenacia e al senso di appartenenza di Frank Albini e pochi amici e che conta oggi circa 1000 iscritti. L’associazione attualmente saggiamente guidata dal presidente Tony Rubbo, ha saputo custodire e preservare, nell’ambito di molteplici iniziative, le antiche, magiche tradizioni della terra natia con lo scopo perseguito e conseguito di coltivare il legame culturale ed affettivo degli emigrati pontelandolfesi con la terra d’origine, salvando il ricco patrimonio dei valori antichi dalla dispersione e dall’oblio. ...segue a pag. 17
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L’incisione, arte e luogo della memoria
Lo sterminato patrimonio estetico e creativo dell’arte incisoria Leonardo Scarfo’ - incisore
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ono incisore”: poche affermazioni, poche risposte lasciano interdetto e vagamente smarrito l’interlocutore come questa. Bisogna imparare a sorriderne senza sprezzo o delusione, perseverando, ma facendo intanto in modo che un’arte tanto antica e preziosa torni a farsi conoscere, ad essere visibile, a rendere visibile ciò che per essa viene colto ed immortalato. Larga parte della critica contemporanea, ormai preda di un delirio schizofrenico rispetto alle opere autenticamente tecniche e spirituali, tutta proiettata verso la miseria e l’illusione dell’ultima trovata, subito si irriterebbe di fronte al recupero dello sterminato patrimonio estetico e creativo dell’arte incisoria, gridando alla riesumazione, al classicismo vuoto, al vecchio, all’accademico…E qui invece davvero viene da ridere, da piangere, da reagire comunque…il fatto che la maggior parte degli artisti contemporanei ignori l’incisione - e dunque, fatalmente, il disegno stesso - non può essere considerato in alcun modo un punto d’onore a favore degli artisti, della loro spesso solo presunta originalità e neppure a favore della pura e semplice perizia di base, lo ricordiamo volentieri, indispensabile per dirsi persone dedite all’arte. Esiste una ragione sottile e forse non del tutto ovvia nel forzato oblio verso cui l’incisione è stata volgarmente sospinta; essa, trovandosi esteticamente in un luogo tecnico ed ideativo inter-
medio fra disegno e pittura, partecipa dell’essenza di entrambi: dovendo così esprimersi come tramite uno specchio, attraverso canali magicamente indiretti, l’incisione può lasciar trasparire soltanto ciò che realmente sussiste, essa è appunto uno specchio portentoso posto innanzi all’anima, alle mani dell’artefice ed alla sua forza creatrice, al suo stile, alla sua capacità di fare. Non ammette approssimazione, finzione, simulazione, inganno; in essa la componente tecnica ed artigianale sono imprescindibili; l’errore e l’imperizia saltano subito agli occhi, come la debolezza del segno, l’incertezza del gesto, la fiacchezza dell’istinto e della invenzione. Insomma il fatto che in campo incisorio sia davvero impossibile il bluff, che invece con arroganza e pessimo gusto è divenuto il - fragile - pilastro della contemporaneità, ha fatto sì che una simile arte dovesse essere molto trascurata. Vi è poi un’altra evidenza straordinaria che ci piace ribadire, e che spesso, per le stesse ragioni, tende ad essere dimenticata, o ignorata. A partire dal primo ‘500, fu proprio l’affinamento e la diffusione sistematica dell’arte incisoria, in particolare dell’acquaforte, a segnare il passaggio decisivo verso la modernità di tutta la sterminata tradizione occidentale. La necessità di diffondere il sapere, di illustrarne il senso, di espandere la civiltà, fecondarla, trasmetterla, lasciarla fruttificare, preservarla, furono i fattori nobili che determi-
Incisione su Pontelandolfo di Leonardo Scarfò
narono l’urgenza non solo dei caratteri tipografici a stampa, ma anche della possibilità di riprodurre in copie molteplici e fedeli tutte quelle figurazioni scientifiche, simboliche, sacre che per natura completano e superano il mero significato della parola scritta, veicolando conoscenze, suggestioni ed intuizioni fondamentali. Fondando il sapere sulla memoria e la memoria sulle figure e le figure su sottili ma fortissime matrici in metallo. Vengono subito in mente i formidabili frontespizi delle prime preziose
edizioni illustrate - a Roma, Venezia, Anversa…- tutti in bilico fra riferimenti ermetici, araldici, religiosi, già secondo un gusto ed un’inclinazione netta all’intersecazione allegorica del sacro e del profano che mai più si perderà, e che anzi avrà un nuovo vertiginoso picco dopo quattro secoli interi, attraverso le ultime grandi manifestazioni stilistiche universali: il Preraffaelismo, il Purismo, il Simbolismo. Vengono in mente le pionieristiche tavole anatomiche, di un virtuosismo macabro, ma talmente belle ed accurate da lasciar
superare l’orrore della scarnificazione e della dissezione, stampate all’acquaforte con coraggio e spirito di innovazione, tese a veicolare una sempre maggiore conoscenza della mirabile macchina umana, senza la quale i prodigi della medicina e chirurgia contemporanea non si sarebbero mai prodotti. Vengono in mente le prime grandi e piccole carte geografiche, tutte acqueforti, stampate e raccolte in volumi poderosi e ricercatissimi ancor oggi, senza cui le rotte, gli itinerari, i nomi e i luoghi si sarebbero dispersi in un oblio caotico e confuso. Vengono in mente le raffigurazioni di paesi e città con le loro campagne ed i loro mari, tese a diffonderne la forma e la memoria, capaci di fissarne il profilo ora austero, ora augusto, ora fantasticamente rivisitato, così come il pittore fissa ed idealizza ad un tempo la perfezione di un profilo perfetto, e tuttavia con la differenza che per l’incisione si possono trarre esemplari molteplici, in modo che non uno solo possa goderne. Viene in mente anche la miriade di immagini sacre e devozionali, talvolta ingenue nella conduzione, in genere derivate da opere pittoriche, spesso vere e proprie opere d’arte, capolavori talvolta; ed anche su questo punto è bene soffermarsi: per cinquecento anni l’incisione è stato il tramite elettivo assoluto di conoscenza e diffusione dell’arte pittorica, l’unico modo per far circolare fra collezionisti, mecenati, artisti e non solo lo sterminato, dilagante patrimonio pitto-
rico attraverso immagini che sarebbe volgare intendere come semplici riproduzioni. Tanto è vero che a partire da queste incisioni nacquero, o sarebbe meglio dire, si riprodussero, altri capolavori, secondo le leggi immortali di ogni genialità e di ogni autentica dedizione. Di molti dipinti non resta che l’incisione, facendosi dunque originale la copia, il ricordo, la traccia, il segno; secondo le stesse leggi misteriose che animano ogni ripetere, ogni rimemorare. Proprio questo è accaduto per il Comune di Radicofani, particolarmente attento e sensibile al patrimonio artistico passato e presente - ben integrati nell’antico contesto della suggestiva Piazza risaltano già i bassorilievi severi e suggestivi di Carlo Sassi, medico artista - che ha commissionato una tiratura limitata di acqueforti dedicate alla propria storia, al proprio territorio, alle proprie tipicità nel senso più vasto e denso del termine. Si tratta di un modo antico e modernissimo di celebrare i propri luoghi, la loro memoria, di onorare chi sa apprezzarli e, soprattutto, rispettarli, viverli.E’ un segno di risveglio, non solo da un punto di vista estetico ma anche - è un fatto determinante, come per l’antico mecenatismo - politico e culturale: il ritorno ad un concetto umanistico della persona e del territorio. Dove tutto si lega con tutto ed ogni cosa richiede cura e dedizione. E questa incisione ne sarà testimonianza sempre viva, sempre evocativa, presente aldilà di ogni trascorrere.
Pontelandolfo, i fratelli di Waterbury (USA)
...segue da pag. 16 Tony Rubbo, insieme ad una folta delegazione di compaesani di Waterbury, è stata ospite proprio in questi giorni di una Pontelandolfo vestita a festa per la specia-
le occasione. Tra le molteplici iniziative intraprese in loro onore, significativa è quella promossa dall’”Associazione Pontelandolfesi nel Mondo” del presidente Renato Rinaldi e svoltasi in
un clima di toccante pathos emotivo il giorno 11 febbraio presso la sala consiliare del Comune, con la preziosa collaborazione delle locali associazioni Officina delle Idee e Gruppo Teatrale Folk “Ri Ualanegli” e del Ponte’s Club di Waterbury. Durante il fraterno incontro il sindaco Dott. Cosimo Testa ha consegnato agli intervenuti una pergamena di conferimento della “Cittadinanza Culturale” e di “Ambasciatore nel Mondo” del Comune di Pontelandolfo rilasciata dal presidente Antonio Miniaci dell’”Associazione Culturale P.C.C.” Club Miniaci. A tutti i fratelli d’oltreoceano è stata inoltre donata una preziosa opera d’arte realizzata dall’artista senese Leonardo Scarfò raffigurante in forma allegorica i monumenti, le bellezze, gli usi, i costumi, le tradizioni di Pontelandolfo. Ma il programma delle attività organizzate in onore dei fratelli d’oltreoceano, che di seguito riportiamo, ha vissuto altri momenti di allegria, di rievocazione delle antiche tradizioni e di cre-
scita culturale: 9 febbraio: ore 13,00 – arrivo dei concittadini dagli U.S.A. – saluto in piazza; 10 febbraio: ore 8,30 – raduno presso la casa di Rubbo Carlo detto Zi Pupp per la partecipazione al rito dell’uccisione del maiale – colazione di lavoro a base di prodotti locali offerta dagli amici delle contrade; l’11 febbraio, dopo la bellissima manifestazione tenutasi nella sala consiliare del Comune, alle ore 11,30 gli emigrati hanno partecipato ad una interessante ed istruttiva visita guidata nei luoghi caratteristici del centro storico di Pontelandolfo curata dall’associazione locale “Officina delle Idee”; 12 febbraio: ore 12,00 – pranzo con menù a base di carne di maiale e prodotti enogastronomici tipici presso i locali del bar rosticceria “Bradescu”; 15 febbraio, nell’accogliente sala Papa Giovanni Paolo II, ore 9,00 – proiezione del film documentario “Lontani dal Cuore – Loro Scoprirono l’America” del regista Pino Tordiglione; in prosieguo si è tenuto un inte-
ressante dibattito sul tema “Emigrazione e Contributi” con la partecipazione di: Dott. Cosimo Testa, Sindaco di Pontelandolfo – Pino Tordiglione, Regista – Tony Rubbo, Presidente Comunità Pontelandolfese di Waterbury – Dott. Carlo Falato, Assessore al turismo della Provincia di Benevento – Dott. Renato Rinaldi, Presidente Associazione Pontelandolfesi nel Mondo – Virgilio Caivano, Portavoce Coordinamento Nazionale Piccoli Comuni – Onorevole Amato Berardi, Deputato eletto nella circoscrizione del Nord Centro America.
Durante le predette giornate sono state organizzate gare dell’antichissimo gioco popolare del lancio della Ruzzola del Formaggio lungo il tradizionale percorso urbano. Sono stati momenti indimenticabili, che hanno segnato una ulteriore pagina significativa della storia ultramillenaria di Pontelandolfo. La fiduciosa speranza della comunità sannita è quella di intensificare sempre di più i rapporti con i fratelli d’oltreoceano, che rappresentano sicuramente l’elemento trainante per una auspicata crescita socio economica futura del paese.
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Quando l’arte diventa terapia Ampia retrospettiva di Mike Ciafaloni
Ugo Perugini
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rande successo e affluenza di pubblico alla Galleria d’Arte Moderna Cascina Roma a San Donato Milanese all’inaugurazione della mostra Personale “Arte: medicina spirituale” di Mike Ciafaloni dal 6 febbraio al 7 marzo 2010. L’Assessore alla Cultura di San Donato, Rosa Carriero, nel sottolineare l’importanza della manifestazione durante il suo intervento, ha ricordato che una grande opera di Mike Ciafaloni è esposta presso la nuova sede del Policlinico San Donato, uno dei più importanti gruppi ospedalieri italiani, e ha il pregio di trasmettere in chi la osserva un senso di armonia, serenità e accoglienza, indispensabili in un luogo di sofferenze. Maria Antonietta Porfirione, critico d’arte, ha evidenziato, durante la pre-
sentazione della mostra, la positiva risposta che la città ha riservato a questa iniziativa culturale, illustrando il lavoro artistico di Mike Ciafaloni nell’ambito dell’arte terapia. I punti fondamentali del teorema
ambientale. Anche attraverso il colore e la creatività è possibile trasmettere un messaggio di speranza e concorrere a migliorare la qualità della nostra vita. L’artista è il fondatore di un nuovo movimen-
to nei confronti delle persone e del nostro pianeta. Questo movimento è stato condiviso non solo da artisti ma anche da manager, imprenditori, intellettuali e comuni cittadini, che hanno costituito una
Un momento dell’inaugurazione. Al centro Maria Antonietta Porfirione, Mike Ciafaloni e l’Assessore alla Cultura Rosa Carriero
artistico su cui si incentra la sua attività sono tre: arte, ragione, amore. Occorre, infatti, riconquistare i valori, spesso dimenticati, dell’armonia, della bellezza, senza trascurare l’importanza della sostenibilità
to noto come Art-Co, Arte Compatibile, che nasce dal bisogno di ritrovare, in un’epoca in cui la tecnologia ha preso il sopravvento, un nuovo e più autentico rapporto con la natura e un senso di maggiore rispet-
Giancarlo Cerri
Fondazione (Plef, Planet Life Economy Foundation) e ne hanno fissato i principi attraverso un Manifesto. L’Arte terapia sviluppa anche le tematiche relative alla Cromoterapia, cioè l’influenza dei colori e dei loro particolari abbinamenti sulla psiche umana,
che ha radici scientifiche e filosofiche profonde, risalenti alle civiltà antiche, la cui validità è oggi confermata da studi di Max Lüscher e Theo Gimbel e dalle recenti ricerche in campo neuro scientifico. La Dott.ssa Marina Mela ha testimoniato l’efficacia dell’Arte terapia che ha potuto constatare personalmente grazie ad un affresco realizzato all’interno della sua abitazione; l’opera del maestro Ciafaloni ha contribuito in maniera risolutiva a migliorare la sua condizione psicofisica. Mike Ciafaloni, ringraziando tutti coloro che si sono impegnati per la riuscita di questo evento, ha rivolto sinceri apprezzamenti ai pittori e scultori della collettiva “FormArt” che hanno condiviso con lui, pur nella diversità di approcci e di stili, questa esperienza di ricerca dell’armonia e del benessere attraverso l’arte. La curatrice di “FormArt”, Francesca Bellola, ha sot-
tolineato come la filosofia dell’arte terapia non trovi la sua naturale collocazione solo negli ospedali e nei luoghi di cura, ma anche in ambiti pubblici per combattere il degrado delle città e nelle collezioni private, proprio perché va intesa come medicina dello spirito, utile a superare le tante contraddizioni della nostra epoca. All’evento l’azienda agricola “Spia d’Italia” di Lonato del Garda ha offerto una raffinata degustazione di vini. Tra la vasta produzione vitivinicola l’azienda vanta un’ulteriore creazione, il vino “Gefide”, definito così da Luigi Veronelli dal nome del tipo di diamante più splendente. Le etichette delle bottiglie che contengono questo prezioso vitigno, sono state realizzate riproducendo in numero limitato di copie un trittico del maestro Ciafaloni dal titolo “Concerto di primavera” destinato ad un collezionismo mondiale d’élite.
Ubelly Guerrero Martinez Dalla figurazione all’astrazione “Al di là dell’oceano”
Isabella De Matteis
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e è vero, come ricorda Felice Bonalumi, che il significato etimologico del termine “antologia” è raccolta di fiori e, per estensione, del meglio di un artista, allora la Galleria d’arte contemporanea di Cascina Roma porge un gioioso benvenuto ai “fiori” di Giancarlo Cerri, ospitando, a partire dal 20 Marzo, un’ampia antologica del suo lavoro. Un’esposizione che ripercorre cinquant’anni d’arte; una vita impegnata nell’incessante ricerca della relazione armonica tra forma e colore, con oli, acrilici e disegni, alcuni di grande formato, la cui datazione copre un arco temporale che va dal 1954 al 2005. Il percorso artistico di Giancarlo Cerri appare immediatamente quale è: molto prolifico ed estremamente dinamico. Un percorso che procede per semplificazioni successive e che, a partire dalla riflessione naturalistica sul paesaggio, ha condotto l’artista all’essenzialità della giustapposizione di campiture cromatiche. Paesaggista sui generis, il cui lavoro affonda le radici nella pittura lombarda di fine Ottocento, Cerri è nato a Milano nel 1938, ma è sempre rimasto profondamente legato ai luoghi d’origine
suno ruba”; e allora perché andar via? Malgrado non ci siano riferimenti temporali fino a pagina quarantasei, si intuisce che la storia è ambientata nella seconda metà del ‘900, quando le giovani donne colombiane hanno accesso ad un’istruzione e si trasferiscono a Bogotà alla ricerca di un futuro migliore. Ma, se le ragioni che spingono la protagonista,
Patricia, a trasferirsi nella capitale possono sembrare legate a questioni economiche, la vera ragione risulta essere la ricerca di libertà. Il racconto fa riferimento più volte al carattere dominante della ragazza, che ad un’analisi superficiale sembra non spaventarsi davanti a episodi difficili e spesso tragicamente violenti. w w w.ubellyguerrero.net
A dei genitori, a quella Bassa Padana segnata anche visivamente dalla presenza e dal lento scorrere del Po. La lunga carriera di Cerri, scandita in tre grandi periodi, la cui analisi dettagliata è pubblicata in catalogo a firma del curatore della mostra, Luca Nicoletti, pur nella sua intensa vivacità è connotata da una costante e personalissima interpretazione del dipingere e dall’espressione di una carica emotiva di forte impatto che coinvolge profondamente chi ne osserva gli esiti: a questo proposito Cerri parla più che di colore, di forza-colore, pura potenza espressiva che
svela poeticamente il senso nascosto del visibile. Delle sue folgoranti cromie dice: “Il rosso è la forza del quadro, il giallo la luce, il nero il mistero. Il nero per me è fondamentale”. La mostra con il meglio delle opere di Giancarlo Cerri è visitabile sino al 2 Maggio. Curatore, Luca Pietro Nicoletti, Giancarlo Cerri – Dalla figurazione all’astrazione. Testi in catalogo, Felice Bonalumi e Luca Pietro Nicoletti. Cascina Roma, dal 20 marzo al 2 maggio 2010 Ingresso libero Orari: lunedì-sabato 9.30 – 12.30 e 14.30 – 18.30 Domenica 10 – 12.30 e 16.30 – 19 Info: Cascina Roma 02.55603159
l di là dell’oceano è un racconto autobiografico; una storia come tante, come molte, purtroppo, dove la tragedia personale, la ricerca della propria identità si scontrano con una situazione socio-economica comune a molti. Siamo in Colombia, a Victoria, una cittadina tranquilla “dove non c’è bisogno di chiudere le porte, perché qui nes-
SERATE : 02-29409724 MUSICALI telefono
Lunedì 1 marzo 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio Via Conservatorio, 12 – MI) “IL DOPO HOROWITZ” Pianista YEVGENY SUDBIN F. CHOPIN Fantasia in fa minore op. 49 Ballata n. 3 in la bemolle maggiore op. 47, Mazurca in fa minore op. 7 n. 3, Mazurca in si minore op. 33 n. 4, Ballata n. 4 in fa minore op. 52 , R. STEVENSON Fuga su un frammento di Chopin, F. LISZT Da 12 Studi d’esecuzione trascendentale S. 139 n. 11 in re bemolle maggiore “Armonie della sera”, M. RAVEL Gaspard de la Nuit Lunedì 8 marzo 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio), “IL DOPO HOROWITZ” Pianista FREDDY KEMPFR. SCHUMANN Toccata in do maggiore op. 7 Arabeske in do maggiore op. 18, lumenstück in re bemolle maggiore op. Humoreske in si bemolle maggiore op. 20 LISZT/HOROWITZ Seconda Rapsodia ungherese F. LISZT:Mephisto Valzer
Giovedì 11 marzo 2010 – ore 21.00 (Sala Verdi del Conservatorio), ORCHESTRA ACCADEMIA DELLE OPERE Direttore ALESSANDRO FERRARI Pianista ALEXANDROS KAPELIS F. CHOPIN Concerto per pianoforte e orchestra d’archi n. 2 op.21, SKALKOTTAS Danze greche F. MENDELSSOHN Sinfonia per archi n. 12 Venerdì 12 marzo 2010 - ore 21.00 (Teatro Dal Verme - Via S. Giovanni Sul Muro, 2) Pianista ROBERTO PROSSEDA “LIPSIA 1840” R. SCHUMANN 4 Marce op. 76 (1. in mi bemolle minore- 2. in sol minore -3. in si bemolle maggiore - 4. in mi bemolle maggiore), C. SCHUMANN 3 Romanze op. 11 (1. Andante a 3/4 in sol bemolle2.Andante a quattro tempi in sol minore – 3. Moderato a tre tempi in la bemolle maggiore) I. MOSCHELES Notturno, F. LISZT Fogli d’Album, F. MENDELSSOHN 6 Romanze, F. CHOPIN 2 Notturni op. 27 (op. 27 n. 1 in do diesis minore- op. 27 n. 2 in re bemolle maggiore)
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MIART 2010: Milano si illumina d’Arte
Clara Bartolini
deo, installazioni, sculture, pitture, disegni, film, fotografie, oggetti, riviste, libri, musica, scritte, performance, conferenze. A questo momento veramente straordinario per la città, si affiancherà anche Enjoy MiArt, grande happening per visitatori nazionali e in-
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mportanti novità in tutta la città per la quindicesima edizione che si terrà dal 26 al 29 marzo. Le ragioni per essere ottimisti ci sono tutte, a cominciare dal fatto che, in un anno di crisi come il 2009, MiArt aveva generato un giro d’affari per otto milioni di euro. Forti di questo successo, in questa edizione saranno proposte importanti novità. Giacinto Di Pietrantonio resta anche quest’anno il curatore del settore dedicato all’arte Contemporanea, alla ricerca di astri nascenti, nomi su cui scommettono le gallerie giovani o sperimentali. Donatella Volontè sarà il curatore del settore riguardante l’arte Moderna, dove si concentrano le più importanti gallerie italiane e straniere. A loro si aggiungono tre efficaci nuove figure: Francesca Ceccarelli responsabile del programma Vip dedicato ai collezionisti italiani e stranieri, Giorgio Verzotti, cui è stata affidata la cura del catalogo che si presenta con nuovi contenuti. Le bellissime immagini di Armin Link corredano il volume e caratterizzano la campagna promozionale di questa edizione di MiArt (Gabriele Basilico aveva realizzato le immagini per la campagna 2009). La terza figura che si aggiunge a questo gruppo di esperti sa-
ternazionali e, il 27 Marzo, Musei aperti in tutta la città e gallerie aperte fino alle ventidue, daranno modo a tutti di partecipare a questa kermesse artistica. MiArt si appresta quindi ad animare tutta Milano che si conferma quindi, punto di riferimento internazionale
per capacità d’innovazione e intraprendenza, mostrando come sia capace di fare i conti con un mercato dell’arte, dell’abbigliamento, dell’arredo sempre più agguerriti e, non dimenticando il mondo dei giovani con i nuovi mezzi di comunicazione che li riguarda.
PITTORI PIUTTOSTO PITTORESCHI. aneddoti minimi dal mondo dell’arte
Zuppa e Arte
Datemi un piatto di minestra e vi disegnerò il mondo Massimo Zanicchi
rà Milovan Ferronato, che curerà De Arte Disputatio, un programma di convegni, incontri, e tavole rotonde che coinvolgeranno personaggi diversi del panorama artistico nazionale e internazionale. Quattro le interessanti sezioni, Eorum Vox ciclo d’interviste dedicato ai collezionisti, Libera opinione expositio dedicato alle nuove direzioni museali, Inter artem et elegantiam perregrinationes divagazioni tra arte e mo-
da, Interludium interventi ad hoc che precedono e concludono incontri o programmi. Molti gli eventi speciali proposti e tra questi, dopo il successo della mostra di Vanessa Beecroft nel 2009, MiArt in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura di Milano, presentano al PAC la mostra “IBRIDO”. Questo evento trasformerà il Padiglione di Arte Contemporanea in un vero spazio multimediale che proporrà: vi-
CHIAR DI LUNA Ristorante Dal 1977 Ricerchiamo la qualità
Nelle nostre dispense vengono custoditi preziosi e rari formaggi e salumi provenienti dall’Europa, essi rappresentano il nostro vanto La pasta prodotta quotidianamente da noi vi permetterà di apprezzare i relativi sughi Il vitello olandese ed il manzo della Baviera trovano consenso per il loro sapore e la loro tenerezza Infine i dolci di nostra produzione ultimeranno, unitamente ad un buon vino, il vostro pasto Il tutto nel rispetto della cucina tipicamente all’italiana, con il mantenimento di alcuni piatti della nostra tradizione La famiglia Trabattoni Chiar di Luna chiuso martedì e mercoledì via Gandolfi, 12 24042 Capriate S. Gervasio (Bergamo) tel: 02 9091110 www.chiardiluna.it info@chiardiluna.it
uello tra pittura e arQ te culinaria è da sempre un rapporto dominato
da una logica illogica: dal piatto unico di Caravaggio alla zuppa milionaria di Warhol. Pittura e cibo si sono da sempre mischiati con una logica illogica. Piatti nutrienti ma miseri in cambio di capolavori non ancora svelati: una prassi bizzarra, eppure, un’equazione abusata nel mondo dell’arte. Quando un artista ha fame scopre letteralmente sulla propria pancia un rudimento della teoria della relatività: il valore di una scodella di zuppa può superare mille girasoli di Van Gogh. Non c’è margine di trattativa, inutile perdere tempo a recriminare: non è morto mai nessuno per scarso senso estetico; la fame, invece, ogni giorno può contare a mazzi le proprie vittime. E allora non c’è da stupirsi se il mitico Caravaggio scarabocchiasse disegni per gli osti ricevendo come contropartita qualche ciuffo d’insalata che lui stesso definiva: «Antipasto, pasto e postpasto». Oltre che un grande della pittura, un precursore forzato dell’invenzione del piatto unico. Ma il passo dalla fame alla fama per chi ha ricevuto in dono il talento, a volte, può essere breve. Lo stesso Caravaggio, quando la sua pittura iniziò a sostenerlo adeguatamente, non ci mise molto ad abbandonare la dieta vegetariana monopietanza per diventare un esigente buongustaio: non è un caso se oggi i carciofi alla romana nei ricettari sono riportati anche come “carciofi alla Caravaggio”. Un altro soggetto che visse in balia del proprio sregolato talento è l’olandese Van Gogh. Anche lui ebbe un travagliato rapporto con il cibo. Travagliato nel senso che alternava pasti scarni a digiuni involontari. Lo si potrebbe definire un inconsapevole dietologo di se stesso. Non ebbe mai problemi di linea, ma di fame ne ebbe, eccome. Un quadro più degli altri illustra il suo rapporto con la tavola. L’opera in
questione s’intitola “I mangiatori di patate”. Ne esistono due versioni pressoché identiche: una è conservata ad Amsterdam, l’altra a Otterlo, un piccolo borgo della provincia olandese. In esso si scorge quella che è la sua concezione del mangiare: un rito necessario per tirare avanti. Sfamarsi e nulla più. Una cerimonia priva di fronzoli, orfana della poesia che ognuno di noi percepisce gustando un piatto ben preparato. Quel quadro è una collezione di ombre in cui una famiglia di poveracci si butta in corpo delle tristi patate. Quando si pensa a Van Gogh, si pensa al sole, al giallo abbagliante, ai cieli blu, eppure, la unica sua visione del mangiare che ci ha lasciato è un’istantanea in duplice copia dal tono funebre. Il messaggio che c’indirizza è una concezione utilitaristica del cibo: alimentarsi per campare. Una fase che è anni luce dalla nostra realtà, ma non così lontana da quella
frutto del lavoro di un uomo. Nella società rurale di un tempo ognuno a suo modo doveva cercare di darsi da fare. Ligabue offriva gli schizzi come risultato dei propri sforzi. Le opere spesso finivano a coprire i buchi dei pollai per tener lontane le volpi. Persone umili che si stavano ancora scrollando di dosso il terremoto bellico non avevano né la voglia, né il tempo da dedicare all’arte. Avevano, però, quel senso di solidarietà che li spingeva ad accogliere alla propria tavola un poveruomo che necessitava di una scodella di brodaglia arricchita da una spolverata di parmigianoreggiano, il formaggio che, già allora, rendeva qualsiasi pietanza degna di un re. Quei semplici piatti di minestra si sono trasformati col tempo, a seconda dei casi, in cruccio o benedizione. Chi ha conservato la contropartita adesso, oltre a una buona storia da raccontare, ha un patrimonio artistico senza pari. Chi
dei nostri nonni: gente che ha fatto la fame e la spola tra due guerre. Come Toni il pittore: lo svizzero un po’ svitato che animò il folclore della bassa reggiana. Di cognome faceva Laccabue anche se lui stesso si firmava Ligabun o Ligabue. Il suo regime dietetico era regolato dal caso e dalla bontà della gente. Gente semplice che per spirito cristiano non esitava a barattare un piatto di minestra in cambio degli animali selvatici che Toni vergava sulle tavole di faesite. Di per sé, apparentemente, oggetti privi di valore, ma comunque il
non è stato così avveduto, invece, rosola nel rimorso. Diametralmente opposta l’intuizione di Andy Warhol: quel piatto di zuppa, che molti dei suoi predecessori si erano procurati svendendo i propri lavori, lo elevò a opera d’arte. La provocazione di utilizzare una minestra inscatolata come soggetto di un dipinto fece breccia chiudendo, in modo inaspettato, il cerchio: zuppa e arte da sempre vanno a braccetto e lo faranno a lungo, perlomeno, finché gli artisti di belle speranze non perderanno il vizio di voler mangiare.
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Goya e il suo mondo
A Palazzo Reale omaggio alla Spagna Silvia Colombo
ueste mostre sono un “Q omaggio ai luoghi” afferma il Sindaco Letizia
Moratti durante la conferenza stampa incentrata sul programma culturale del Comune di Milano per l’anno 2010. E l’omaggio alla Spagna, per celebrare il semestre di Presidenza spagnola all’Unione Europea, s’incontra in due occasioni, ospitate entrambe a Palazzo Reale: la mostra di Dalì e, in un periodo più prossimo, un’esposizione dedicata a Goya. “Goya e il mondo moderno” infatti aprirà al pubblico dal 17 marzo al 27 giugno e, curata da Valeriano Bozal e Conceptión Lomba, studiosi specialisti dell’arte e del lavoro del maestro aragonese, si prospetta come un’iniziativa totalizzante. Totalizzante perché da un lato verranno proposti al pubblico i soggetti pittorici più cari all’artista, che non è stato solo pittore di corte – ricorderemo tutti l’imparziale e quasi crudele ritratto della famiglia reale di Carlo IV (18001801) –, ma si è avvicinato anche a temi più dolorosi,
come la distruzione e afflizione portate dalla guerra, e oscuri, ad esempio l’occulto, rimanendo fedele per tutto il corso della sua esistenza (1746-1828) a una linea stilistica totalmente indipendente. Dall’altro perché Goya viene messo a diretto confronto con i maggiori artisti nazionali e internazionali dal suo tempo ai giorni nostri attraverso cinque sezioni tematiche – “Il lavoro del tempo. I ritratti”, “La vita di tutti i giorni”, “Comico e grottesco”, “La violenza”, “Il Grido” – che, in un crescendo “patetico”, vogliono sottolineare il passaggio da uno stato storico-politico da Ancien Régime al raggiungimento di una nuova consapevolezza sociale, passata attraverso la presa di coscienza di sé (anche attraverso il grottesco), e la sofferenza delle rivoluzioni. Perché per poter approdare a un nuovo stato di pace, si deve per forza di cose attraversare una crisi estesa. E così, all’interno della prima sezione “Il lavoro del tempo. I ritratti”, Goya dialoga in maniera serrata con due tra i maggiori esponenti francesi del tem-
po, Jacques-Louis David ed Eugène Delacroix, mostrando la propria capacità di indagare ogni aspetto del quotidiano senza indulgere nei particolari – e in questo la tradizione pittorica spagnola risente di quella caravaggesca, veritiera e senza filtri. E la loro eredità, fortemente ottocentesca, viene raccolta e seguita attraverso le testimonianze artistiche del tedesco Emil Nolde e di Picasso, ormai nel secondo decennio del ’900, sino a Francis Bacon. Questo è quindi il filo conduttore che guida lo spettatore attraverso le sale di Palazzo Reale: una traccia senz’altro monografica, ma insieme tematica e cronologica che arriva fino al 2005, con l’artista tedesco Anselm Kiefer. I nomi e le opere chiamati in gioco sono molteplici e, se in “La vita di tutti i giorni” Goya è raffrontato a Honoré Daumier, più conosciuto per le sue caricature dissacranti, Victor Hugo, e paragonato al caustico Grosz, che della Germania anni ’20 è stato un critico feroce, con “La violenza” vengono chiamati in causa tutti coloro che si sono
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Al Circolo dell’Arte Caro
Carlo Roccazzella “Caro”
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rovarsi tra chi ama l’arte per l’arte è sempre un “vissuto” che si tinge di mille emozioni. Una sorta di “danza” di “matissiana” memoria, la caròla appunto, che nel dare, nel ricevere e nello trasmettere indora copiosamente l’amore. Una variegata collettiva d’arte dove protagonista è il simpatetico confronto interscambio culturale di idee e di progettazioni di eventi… Ed ecco la voce di Italo Mazzei (il presidente
della Associazione Arte e Creatività di Pero) “l’arte riempie i vuoti” e poi Walter Venanzio (il presidente dell’Accademia Italiana del Terzo Millennio), “l’arte è l’essenza vitale che conduce alla spiritualità”… Quanti colori, calori, al circolo dell’arte Caro, per “riscaldare” il “bianco e algido
inverno” con una grande tavolozza di linguaggi e messaggi di vera passione, eccola è WHITE ART. Quanti “suoni dell’anima e del cuore”. Ecco la danza di Tina Ambrosca che accarezza “ la magia e il soffio creativo”. E poi? Poi lo spazio poesia di Maria Elena Mejani, Elena Bertoni e Fabio Amato, quello teatrale di Ester Mistò e quello narrativo di Gabriela Mariani. Quanti percorsi e sentieri… Victor Hugo un giorno ha detto: “Quando si viaggia si vive e si rina-
sce ogni volta”… si l’arte è un viaggio e WHITE ART è la messaggera di quella purezza, di quel “candido bianco “che sempre deve contribuire a liberare l’opera d’arte dal niqab, quella sorta di “velo di Maya” che copre volontà e verità per condurre l’artista, così, alla autenticità della sua
essenza espressiva…ed eccoli allora i protagonisti di questo cammino: Malù, Ester Mistò, Pierangelo Bernini, Elena Bertoni, Anna Setàro, Antonina Zenone, Domenico Panarò, Domenico Castagna, Maria Montenero, Mauro Baldaccini, Italo Mazzei, Antonio Mongiardo, Filomena Semeraro, Nunzio Mozzitelli, Fiammetta Pancera, Michele Rondinone, Marco Luzzi, Giuliana Cioffi, Guido Poggiani, Maria Elena Mejani, Giuseppe Mejani, Walter
Bruscato, Venzi, Potito D’Alessio, Fabio Amato, Costanza Zappa, Nicoletta Morelli, Elios Ferrante, Tina Ambrosca, Caro. Ecco a voi, ecco a noi la “wunderkammer”, la camera delle meraviglie. Info 3483664250 dalle 16 alle 20 in via Mortara 5 MM porta Genova.
schierati contro la guerra, le ingiustizie e i regimi, non importa di quale epoca o nazione o se la Spagna sia quella dei “Disastri della guerra” di Goya o di Francisco Franco condannata da Picasso cent’anni dopo. Ciò che conta è che l’arte abbia qualcosa da dire, e non solo a se stessa, ma soprattutto a chi la contempla, perché ciò che viene rappresentato possa essere ricordato dai contemporanei e dalle generazioni future. Quindi grandi artisti e grandi numeri sono le due parole chiave con cui parte la nuova stagione espositiva milanese: 180 opere di Goya, Mirò, Picasso, Guttuso, Pollock, Bacon e altri, prestate da 65 istituzioni culturali – dagli Uffizi di Firenze al Prado di Madrid, dalla Phillips Collection di Washington alla Fondació Joan Miró
– di 35 Paesi. “Goya e il Mondo moderno”, Milano, Palazzo Reale, 17 marzo-27 giugno 2010; Orari:
lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì 9.30-22.30. M1 Duomo.
LA RUBRICA DI “CARO”
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Le voci dei nostri più fedeli amici
nei primi giorni di gennaio, al circolo dell’arte Caro, alcuni artisti hanno deciso di mettere a posto l’archivio culturale che, oltre alla parte prettamente artistica, comprende anche una parte riguardante la filmografia, cd e vecchi dischi a 33 e 45 giri in vinile. L’attenzione è caduta su alcune etichette come “La voce del padrone” famoso logo di una datata casa discografica di origine inglese. L’immagine raffigura un cane che ascolta la musica che esce dalla tromba di un vecchio grammofono. Si tratta in realtà della riproduzione di un’opera di un pittore inglese della fine dell’800, Francis Barraud che alla morte del fratello Mark aveva ricevuto un cane di nome Nipper e un grammofono con incisa la voce di Mark. Pare che tale cagnolino fosse solito ascoltare la voce del padrone defunto e il dipinto era intitolato HIS MASTER’S VOICE. L’opera acquistata dalla società Gramophone a scopo pubblicitario servì così a divulgarne il prodotto. Si può allora parlare di “rapporto sinalagmatico” tra Nipper e il suo padroncino, tra immagine e fruitore, una sorta di relazione reciproca veicolata da due realtà, quella vera e quella percepita (per usare un pensiero assai caro al grande artista Man Ray). E come non accostare tale iconografia con un film che in questi giorni va per la maggiore. Si tratta di “ Hachiko: a dog’s story”. In tale film di Lasse Hallstrom, i protagonisti sono un prof. di musica (interpretato da Richard Gere) che trova un cagnolino ab-
bandonato e che diventerà suo amico inseparabile di vita. Hachiko sarà allora il nome del cane che tutte le mattine accompagna alla stazione il suo padrone e ne aspetta il ritorno verso sera sempre alla stessa ora. Morto il padrone (all’università dove insegnava) il cane ha continuato ad aspettarlo per 10 anni e poi, morto di vecchiaia, uno scultore ne ha realizzato una scultura bronzea tutt’ora nel luogo di questa commovente storia, in Giappone nella stazione di Shibuya a Tokio. Il film è tratto da una storia realmente accaduta nel 1920, e pone in essere come la cronaca vera, cinema, musica, arte si armonizzano in un meraviglioso viaggio di “
magia”. Osserviamo in tal senso l’arte del noto pittore tedesco Franz Marc che è riuscito a creare con l’iconografia del mondo animale (in particolar modo con il mondo dei cani), tutto un viaggio che ha accompagnato fedelmente la voce del suo credo artistico. Egli riteneva che gli animali fossero più puri e più spirituali dell’uomo e per questo anche più belli e quindi li dipingeva con i colori primari in cui vedeva una forte carica legata allo spirituale. E’ noto infatti che Franz Marc non avendo avuto figli con la moglie, dedicasse tutta la vita all’amorevole rapporto con questi “magici Argo Ulissiani”. “Chapeau” allora ad Hegel, “la vita è l’arte dell’incontro”.
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Barry Lyndon
Il dipinto filmico Luca Impellizzeri
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scito nel 1975 (in Italia un anno dopo), questo film di Kubrick, il più criticato (tacciato di essere meramente un’oggetto d’arte fine a sè stesso) è forse quello che stilisticamente meglio esplica il concetto e gli scopi del suo cinema. Barry Lyndon ci racconta la storia (furbescamente e “kubrickiana-mente” narrata con gloria) dell’arrivista sociale Redmond Barry, che, dopo aver sposato la ricca Lady Lyndon ed essersi elevato socialmente, precipita nuovamente in disgrazia (perde addirittura una gamba a causa del duello finale con l’odiato figliastro Lord Bullingdon). Poco prima che il fim si concluda, Kubrick cita parecchia pittura settecentesca, inglese e non, per spiegare alla nostra percezione visiva questo concetto: apre e conclude il suo discorso riguardo un tentativo di rappresentazione-riflessione della sulla Storia servendosi dell’arte figurativa e della musica, ritenendo che l’arte dell’epoca sia la fonte storica per eccellenza, forse l’unica per la prepotenza del tempo che scorre imperterrito cancellando la vita e con essa tutti gli accadimenti passati, proprio come recita lo
spietato epitaffio con cui il film si conclude (sarebbe più opportuno dire muore) che recita sostanzialmente l’uguaglianza dell’umanità tutta, bella o brutta o ricca o povera che sia, dinanzi alla morte e alla Storia. Il regista statunitense cita i paesaggi di Constable (vedi le inquadrature dedicate
alla residenza dei Lyndon), le passeggiate all’aria aperta di Gainsborough (la sequenza in cui i Lyndon passeggiano nel parco all’inglese della stessa loro residenza), le pinacoteche di Zoffany (quando Barry si reca in una galleria d’arte perchè interessato ad acquistare alcuni dipinti), i soggetti equestri di Stubbs
(quando Barry compra il cavallo al figlioletto Bryan), nonchè gli incubi notturni tanto ricchi di luci e ombre dell’elvetico Fussli (quando Lady Lyndon è accasciata disperatamente sul suo letto). Barry Lyndon fu girato con delle lenti ottiche della Zeiss adattate a delle macchine da presa speciali messe a punto dalla Panavision, poichè era desiderio del regista fotografare tutte le scene con il solo ausilio della luce naturale, soprattutto candele (facile ma per nulla banale allegoria all’epoca illuminista durante la quale si snodano le vicende del protagonista); ne risultarono delle immagini di straordinaria qualità (ad esempio ricchissime delle tonalità sature e calde tanto care alla solita pittura britannica dell’epoca). Famosa anche l’ossessione per i particolari di Kubrick, che costrinse addirittura il cast ad indossare della autentica biancheria intima settecentesca. Eppure il freddo sguardo che il film assume verso ciò che filma (i personaggi sono imbelletati in viso come dei cadaverici esseri che camminano) ci fa pensare alla vacuità e ad una presunta inferiorità dell’arte tutta di fronte al corso della Storia.
Dalla coscienza fenomenica oggettiva a quella virtuale N
oi tutti sappiamo che la percezione del mondo che ci circonda avviene tramite i nostri cinque sensi, percezioni che elaborate dal nostro cervello ci danno la possibilità di costruirci una coscienza dei fenomeni che si susseguono intorno a noi. Da qui, ognuno con la propria emotività, sensibilità, motivazioni, interagisce con il mondo fenomenico reale costruendo un dialogo, modificando parti di realtà e adattandola e a sua volta adattandosi con il mondo reale. E da considerare che l’uomo fin dalla sua comparsa nel mondo, traendo esperienza dall’interazione con la realtà fenomenica, ne è sempre rimasto affascinato. Nasce in lui il desiderio e l’esigenza di rappresentare ciò che ha esperito, immaginando spesso scene che soddisfino le sue esigenze, che vanno dal buon auspicio, vedi scene di caccia, a quelle religiose, alla rappresentazione di tutto ciò che piace, una copia dei fenomeni naturali. Stiamo assistendo alla nascita di un mondo virtuale. Dalla rappresentazione pittorica e scultorea, alla fotografia, alla cinematografia e negli ultimi anni settanta la nascita di simulatori di giochi tramite l’avvento del computer. La tecnologia oggi ci propone prodotti che ci semplificano la vita, la rendono più piacevole, alla portata di tutti, tutti siamo affascinati dai risultati e dal piacere che essa ci procura. La virtualità dei fenomeni tecnologici sono
Nuovo libro del poeta F. Amato P
oeta di mirabile sensibilità, nato a Milano nel ’64, laureato in pedagogia ed educatore presso la Fondazione Istituto Sacra Famiglia dove opera dal 1991. Si è dedicato alla poesia dal 2000, e se prima affrontava tematiche paesaggistico-sociali, è approdato poi ad un mondo più intimista ed emozionale dove i versi scorrono liberi da strutture sintattiche e caratterizzati dalla forza della immediatezza e dalla grinta dell’attimizzazione. Ha pubblicato recentemente due raccolte Falene e Solo l’Amore (entrambe Otma edizioni) e fa parte del catalogo L’Esagono (pittori, scultori e poeti). Ho rivolto ad Amato alcune domande. Fabio, ho visto nei tuoi versi quello che diceva Pirandello: noi siamo la risultante delle persone
che conosciamo e dei libri che leggiamo. Sicuramente, dal mio lavoro di educatore ho tratto delle verità che vanno oltre l’apparenza e che mi hanno dato la spinta creativa necessaria alla mia produzione poetica. Ungaretti, poi, è la mia fonte letteraria di ispirazione, perché vedo in lui il cantore dell’angoscia contemporanea ed i suoi versi danno l’universalità del divenire e la magia che mi affascina di continuo. La tua “attimizzazione” poetica, può essere densa di sfumature come diceva Verlaine: le sfumature sono la vera essenza delle cose… Cerco di cogliere sempre l’attimo con tutte le fascinazioni della modulazione dell’evolversi,
come un pittore attraverso le sfumature del colore crea il linguaggio della sua anima. E’ proprio questo il senso della mia poesia, e in Falene, tale messaggio
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parliamo di... a cura del prof. purpura
Circolo dell’Arte Caro
Carlo Roccazzella “Caro”
Arte
è particolarmente rappresentato nella dimensione dell’emozionalità, per cui c’è questo pendolo di dualità apparentemente contraddittoria che si enuclea tra “ romanticismo ed esistenzialismo”. I tuoi versi sono come dei “ritratti dell’essere”, decalcomanie di un tracciato di calore e colore nell’affascinante gioco-scontro tra immaginazione e verità. La tua poesia è come un quadro e vedo che le copertine delle due raccolte, hanno le riproduzioni di due opere pittoriche. Si, proprio così: per Falene l’artista è Patrizia Scazzuso e per Solo l’amore Lara Barbera. Fabio Amato, un grande poeta degno rappresentante della poesia contemporanea.
sempre più vicini e verosimili ai fenomeni reali. Oggi ci propongono film in tre dimensioni, giochi interattivi in “cyberspazio” dove allo schermo si è sostituito il casco (data head), i guanti (data glove) ed in seguito una tuta. Tramite questi ausili si interagisce con una realtà assolutamente virtuale assolutamente inesistente ma che al soggetto appare verosimile a tal punto che le reazioni emotive di paura, ansia, timore, gioia e altro sono vere e a seconda dei casi, anche le leggi fisiche vengono alterate o annullate. Quindi il soggetto si trova a vivere esperienze non reali ma con emozioni e produzione ormonali re-
L’uomo spinto comunque dall’ambizione, dal guadagno e in definitiva dalle esigenze del proprio Sé, mette in secondo luogo l’attenzione verso le possibili e probabili conseguenze di questa corsa al virtuale. Oggi non abbiamo nessun organo che analizzi il fenomeno e ponga almeno dei consigli sui possibili cambiamenti e modificazione dell’individuo prima e della società dopo. Solo pochi osservatori e studiosi si interessano al fenomeno. Il virtuale appare un territorio pieno di risorse e di promesse modellabili in modo esponenziale per poterlo rallentare. Philippe Queae vi vede un universo intermediario fra
ali. L’essere umano è molto attratto dalle piacevoli sensazioni, anche virtuali, si pone in gioco e gioca con le emozioni forti, sicuro di essere protetto da uno stato fenomenico virtuale. Le funzioni cognitive implicate, si sviluppano, si potenziano, la prevalenza delle componenti sensoriali mette in risalto il contenuto soggettivo di uno stato fenomenico. Questa esperienza virtuale e artificiale può essere definita apprendimento in quanto ripetuta e ricercata, con l’intensità e nel tempo potrebbe portare al cambiamento delle normali risposte emozionali e di coscienza propria riferite al reale e al sociale. Già oggi, le notizie di disgrazie come terremoti o altro, apprese dalla televisione, ci lasciano non dico indifferenti ma quasi, il problema visto tramite uno schermo è diverso dal viverlo magari in prima persona o sul luogo, dove la percezione fenomenica è talmente incisiva (l’odore della polvere, del sangue, le sirene, le urla di dolore, di richiesta di soccorso), che vivremmo un vero dramma anche solo come spettatori. Possiamo considerare quindi due i concetti di mente: quella fenomenica e quella psicologica: la prima basata sull’esperienza cosciente, di ciò che si prova, la seconda con base causale o esplicativa del comportamento di ciò che si fa. Ma questa distinzione si può definire meramente concettuale in quanto l’una ha una stretta relazione con l’altra.
il mondo delle idee e quello della materia, dal punto di vista cognitivo la possibilità di attuare potenzialità psico-percettive insolite. Elemire Zolla la ritiene un mezzo per espandere la coscienza per accedere a una visione allargata dell’universo. Timothy Leary giunge persino a prospettare un’esistenza futura totalmente immersa nel virtuale. Possiamo immaginare i futuri esseri umani spesso confusi nel discernimento tra realtà e virtualità, tra il possibile o il volare come Peter Pan, esseri pseudo autistici indotti, che rifuggono la realtà con i suoi aspetti anche poco piacevoli, esseri che vagano velocemente nel reale per ottemperare a certi obblighi per poi rifugiarsi nel mondo virtuale perché più soddisfacente alle esigenze del proprio Sé. E’ questa la prospettiva? Forse dovremmo vivere più a contatto con la natura, apprezzare il reale sicuramente più bello in tutti i suoi risvolti fosse solo perché creati da Dio sicuramente molto più bravo a darci le sensazioni che spesso affannosamente cerchiamo di imitare con la tecnologia. Personalmente ho qualche perplessità sul futuro tecnologico, a meno che non si tenga controllato. La realtà alla fine credo sia da preferire, anche se non sempre piacevole, è comunque possibile avere un riscontro tangibile e vero, che dà la vera sensazione del dominio sempre che esso sia ciò che vogliamo esperire.
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Arte
Pier Domenico Magri: il signore della luce S
Lo spazio, il cosmo, l’attrazione, le galassie
crive Fortunato Orazio Signorello nella biografia di Pier Domenico Magri: “una pace generalizzata scandita da quella gamma infinita di sfumature dei verdi delle campagne cremasche, è l’universo scenico e poetico nel quale l’artista è nato ed è diventato adulto. Sin da bambino lo sguardo e la mente si sono nutriti, alimentando in lui l’attitudine e il piacere verso il dinamismo vitale del colore, degli armoniosi contrasti di forme e cromatismi dei luoghi cremaschi. Più tardi è stato invece l’humus metropolitano (Milano e il suo hinterland), per lui così carico di incontri e confronti tanto significativi, a nutrire con nuovi e variegati stimoli l’esuberante curiosità e la vivace propensione artistica. La frequentazione di grandi artisti quali Carrà e Crippa (che di Magri apprezzò, tra l’altro, il modo con cui egli esperisce la sua ricerca espressiva in termi-
gio espressivo – è ormai uno sperimentatore riconosciuto dei mezzi e delle tecniche pittoriche. Agli esiti con valenze materico-informali, che hanno subito ottenuto lusinghieri consensi di critica e di
ni compositivi e mediante patterns visivi “che vivono di luce propria”), ma anche d’altri importanti personaggi del mondo dell’arte e della cultura, hanno avuto la capacità d’influenzare compiutamente Magri; non tanto dal punto di vista della qualità intrinseca della sua opera, quanto piuttosto per quella facoltà così particolare che gliene deriva di tradursi “in immediata e spontanea cascata di spunti per la sua dirompente forza ispiratrice”. Divenuto noto al grande pubblico a partire dalla metà degli anni Ottanta per i suoi lavori informali ravvivati, oltreché dalla ricchezza dei colori, da stratagemmi estetici, l’artista – che s’è subito distinto da altri pittori italiani della sua generazione proprio per la sua capacità e determinazione nel rendere innovativo metodo e approccio al linguag-
pubblico anche per le inaspettate soluzioni stilistiche, sono seguite ricerche più raffinate – frutto anche dell’insegnamento appassionato del sodale Giorgio Cigna, il quale, frequentando Magri per diversi anni il suo studio d’arte, lo ha guidato ad affinare e sperimentare varie tecniche pittoriche che gli hanno fatto raggiungere una sua precisa cifra stilistica – sia per quanto concerne la tecnica (campiture ampie ottenute con la spatola compongono un’espressività originale e di forte impatto emozionale) che l’ideazione compositiva. Allo stesso modo anche lo studio e la ricerca appassionata dei grandi temi della cinematografia, uniti a una loro lettura particolarmente sensibile e approfondita, hanno avuto il potere di convertirsi in Magri “in ulteriori fonti di arricchimento e ispirazio-
ne della sua effervescente produttività artistica”. Il cinema dunque inteso come arte nella sua massima espressività di movimento e colore, a volte si materializza sulla tela dell’artista in una dinamicità di forme complesse che hanno la caratteristica di essere ed evidenziarsi solo attraverso l’uso prepotente e incensurato del colore con il suo totale dominio. Tutta l’opera di Pier Domenico Magri è pervasa da un lirismo emozionante e coinvolgente – quasi uno struggimento – capace di catturare, trattenere e infine condurre lo spettatore “ tra le trame più sottili e nascoste dei suoi paesaggi interiori”. La sua produzione – caratterizzata da uno stile tuttora in fase di sperimentazione e da un cromatismo vivido e sempre sorprendente che a tratti frantuma e disgrega per poi risorgere ed evidenziare, grazie a graffianti spatolate che sono diventate il marchio indiscusso di quanto da lui realizzato con rilievi ben definiti e reticoli particolareggiati, l’interpretazione del suo
segno-gesto ricco di partecipazione emotiva – è stato oggetto di molti articoli e saggi. L’artista, che ha trovato definitivamente una propria identità e creatività che è fonte sicura di riscatto, ha partecipato a molte mostre e concorsi; dove ha sempre incontrato il favore del pubblico e della critica. L’attuale espressio-
ne è senza dubbio riconducibile al grande filone dello “Spazialismo arricchito, però, di nuovi apporti estetici e contenutistici, di nuovi linguaggi culturali, storici e filosofici insieme (neo spazialismo). Ha ricevuto numerosi importanti riconoscimenti e premi internazionali, tra i quali il Premio Salvetti e il Premio Sikelia. Nel 2005 ha preso parte, su invito del comitato scientifico, alla Triennale d’arte contemporanea di Catania; dove gli è stato conferito, selezionato su ben 453 artisti, il Premio di merito della giuria”. Sulla sua produzione pittorica riportiamo la recensione tratta dal volume “I Giudizi di Sgarbi”, editoriale Giorgio Mondadori. “La ricerca di Pier Domenico Magri si caratterizza in un’elaborazione segnica che appare minuziosa come un ricamo sulla tela. Esercitando un forte controllo su una manualità certamente esuberante, egli comunica la visione di un bizzarro ed accattivante gioco prospettico, che si presenta come un paesaggio irriconoscibile ripreso dall’alto, seguendo la motivazione di scrittura che mira alla luce, all’ombra, al contrappunto, e che produce linee di confine tra una partitura e l’altra del quadro. Sono lavori che si legano alle vicende dell’arte contemporanea. Alla copertura della superficie della tela con pigmenti e tracce grafiche, egli ha preferito il tratto pittorico per ridisegnare a suo modo forme geometriche, che hanno l’eccellenza di un intelligente e premeditata immediatezza, rivelando un’accorta meditazione, tutt’altro che fredda e neutrale, sull’uso tradizionale del colore ad olio. Il confine tra la realtà e la forma nega-
ta è qui labile e messo persino in discussione, come se il problema della riconoscibilità sussistesse comunque come memoria frammentata. Pittore di una virtualità di superfici che tessono contrappunti cromatici e stacchi tonali netti, Pier Domenico Magri mette in gioco una carica emotiva e una finzione figurale ritmata in variazioni musicali. Il suo cromatismo appartiene a un lirismo informale di grande suggestione, che rivela una cauta sottrazione del reale allo spazio della tela, una sorta di
questo artista si manifesta come atto poetico di comunicazione, dove la misura della sua registrazione del reale esorbita lo spazio materiale della tela e quello psicologico della comprensione immediata, lasciando aperte molteplici possibilità interpretative, al di là della definizione didascalica dell’autore. Esprimendosi in una cifra stilistica coerente alle aspettative di una notevole capacità tecnica e compositiva, l’autore di questi lavori informali lascia intravedere un’innegabile quanto rara vocazio-
sospensione dell’immagine fra le maglie allusive della trama cromatica. In questo intreccio spaziale di eventi tangibili egli è quanto mai incalzante, poichè conduce l’osservatore al reperimento delle visioni che consegnano all’impressione ottica un percorso mentale ancora in parte riconoscibile. Si tratta qui di una ricerca artistica che guarda alla materia pittorica come strumento di constatazione di una natura trasfigurata, sulle cui tracce il percorso del pennello opera con accelerazioni, pause e frantumazioni espressivamente calcolate. Ogni lavoro di
ne poetica. La sua pittura ha tuttavia solo l’apparenza dell’impulsività, corrispondendo piuttosto a un’attenzione meticolosa del gesto, a una predisposizione calcolata dello spazio pittorico, a una capacità interpretativa che sa selezionare le modalità più efficaci per interferire sulla realtà visiva. In questa nostra contemporaneità dove prevale in arte una concettualità che rifugge dal soggettivismo, Magri persiste in una scelta ancora legata alla partecipazione emotiva, preferendo proiettarsi nei colori di una naturalità ancora possibile”.
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Arte
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Alla Galleria Mondo Arte “I Maestri del Novecento”
In mostra opere di Warhol, De Chirico, Picasso, Mirò e Rotella Ugo Perugini
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resso la Galleria Mondo Arte di via Brera 3, dal 20 febbraio al 27 marzo 2010, si apre una delle più interessanti esposizioni di questo scorcio d’anno. Si tratta di alcuni tra i più prestigiosi maestri che hanno giocato un ruolo di assoluto primo piano nei principali movimenti artistici che hanno caratterizzato il Novecento: dal Cubismo alla Metafisica, dal Surrealismo alla Pop-Art e che in modi diversi hanno contribuito a influenzare con la propria espressività tutti i settori della cultura fino ai giorni nostri. La mo-
Mirò - personnage past su carta cm 48x30-1979
WARHOL “fish” opera unica su tela 85x90 anno 1983
stra, organizzata dalla galleria Mondo Arte di Antonio Miniaci in collaborazione con Massimo Ferrarotti, propone circa quaranta opere di alcuni tra i più significati artisti del XX secolo. La Galleria ha sede in via Brera. Esposte dieci opere uniche su carta realizzate da Andy Warhol tra il 1975 e il 1987: Watermelon una natura morta che rivela l’attenzione di Wahorl per i motivi iconografici classici, Fish, che traggono origine dalle carte da parati con Pesci. Tre gli esemplari trat-
ti dalla serie Hans Christian Andersen realizzati nel 1987, opere dell’ultima produzione di Andy Warhol. Di Joan Miró pastelli e tecniche miste, uno dei 1960 e due del 1979. Infine di Mimmo Rotella oltre alle famose Marilyn, tra cui Marilyn, una storia vera (2004) e Adorabile Marilyn (2003) esposto il primo décollage pubblicato, eseguito nel 1954. Antonio Miniaci –Responsabile di Mondo Arte – da noi interpellato conferma che “in questi periodi di crisi, con mercati
Il piacere dei “grandi progetti” Aldo Carrozza
“D
ue eccessi: escludere la ragione, non ammettere che la ragione”. Così scriveva Blaise Pascal ne “I pensieri”. È vero, solo con la ragione o senza la ragione il mondo è monoculare. Per fortuna ci sono anche le passioni e i sentimenti che stringono la ragione e colorano la vita e le relazioni con il mondo. Antonio Miniaci è uno a cui queste cose non bisogna dirle. Lui le sa perché è fatto di ragione e di passione: di slanci emotivi e di riflessioni critiche, con un punto di forza che è anche la sua debolezza: l’amore per l’arte e per la sua terra d’origine. Antonio Miniaci è un mercante d’arte che non compra e vende l’arte per darle un prezzo, ma per diffonderla, la fa defluire selezionandola come fa un vinificatore che distilla le sue grappe. “La bellezza sal- Decollage verà Rotella il mondo”, ama ripete re, citando Adorabile Marilyn Dostoevskij. Egli
è convinto che il lato positivo della vita conduce alla bellezza e viceversa, anche se il cammino è irto di ostacoli; è convinto che l’egoismo e le brutture non potranno non soccombere sotto il maglio dell’arte. Ama vi-
Rotella, decollage, Adorabile Marilyn 96x68cm 2003
vere spostandosi per cercare la bellezza e le bellezze là dove queste albergano indisturbate. Ho conosciuto diversi anni or sono Antonio
Miniaci. L’ho incontrato alla presentazione di un mio libro. Ovviamente, il tema trattato era l’arte. Il mio modo di fare e le mie analisi teoriche lo hanno colpito favorevolemte. È nata subito tra di noi la giusta sintonia per i “grandi progetti”. Da allora stiamo lavorando per individuare quegli artisti che meglio esprimono lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Stiamo selezionando quegli artisti che rappresentano la creatività trimoderna. Il lavoro è a buon punto. Presenteremo questi artisti con un libro ed una mostra-evento. La loro cifra creativa è legata alla “terna mixata”, ossia alla capacità di mettere in comunione tre valenze: il medium impuro, la formattazione dell’immagine massmediatica e la semantica di orientamento. La loro cifra creativa nascerà sotto una nuova locuzione battesimale: la “Ranking art”. A presto, dunque, per parlare, finalmente, di Ranking art.
incerti e borse che crollano, l’acquisto di opere d’arte di maestri di indiscusso valore internazionale rappresenta non solo un “bene rifugio” ma un investimento sicuro sia dal punto di vista culturale che finanziario. Naturalmente, a condizione di rivolgersi a esperti del settore che offrano le massime garanzie di sicurezza sulla provenienza e sull’autenticità delle opere. In occasione di questo esclusivo evento “I MAESTRI DEL ‘900” verrà offerto un servizio unico nel suo genere che prevede la possibilità di visionare comodamente presso la propria abitazione, con
Picasso _Le chevalier et le page_ incis cm 36,5x 26,5-1951
il supporto di uno staff altamente qualificato diretto da Simone Viola Giovanni Castellano, le opere dei maestri presenti nella mostra.” Dal 20 febbraio al 27 marzo
De Chirico - Due cavalli in riva al mare O_T 49X39 anni 70
2010 presso Mondo arte Via Brera 3 - 20121 Milano tel 02.8053943 INGRESSO LIBERO
Ambasciatore dell’Arte Itinerari culturali Un patrimonio inestimabile La forza degli italiani nel mondo
Segue da pag. 1 l Club Miniaci, in modo meticoloso e capillare, si sta muovendo in tutta Italia con l’intento di valorizzare il patrimonio culturale, storico, artistico delle piccole e grandi realtà territoriali. Creando contatti concreti con le comunità di italiani all’estero, là dove vi siano stati fenomeni marcati di emigrazioni, o comunque con i maggiori poli attrattivi dell’export di qualità, il Club Miniaci struttura ponti di comunicazione e scambio, invita ad un turismo di qualità nel segno del rispetto. Non solo, attraverso il costituirsi di gruppi di volontari colti e preparati, giovani o anziani, vere e proprie sentinelle promotrici della propria terra, opera un censimento culturale del territorio con particolare attenzione alle bellezze bisognose di restauro, a luoghi interessanti ma non fruibili, a tesori incustoditi, a realtà sconosciute ma importanti. E ancora, attraverso l’opera artistica di un giovane incisore toscano, che collabora in esclusiva anche come pittore e scultore con la Miniaci Art Gallery di Milano, questi luoghi magici, queste realtà ricche e dense, vengono tradotte in immagine evocativa e simbolica tramite l’antica tecnica dell’acquaforte. Questo modo nuovo di accostarsi al territorio sta portando ottimi frutti, sta contagiando di ottimismo e voglia vera di fare, di cam-
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www.OKARTE.org
biare, le amministrazioni, le persone, i vari addetti ai lavori. Emblematico il caso del Comune di Radicofani (leggi articolo a pagina 8), perla della Val d’Orcia, in provincia di Siena, dove un’amministrazione particolarmente giovane e dinamica, oltre ad ordine, pulizia e fruibilità
sta praticando in concreto una politica per il territorio, da ogni punto di vista; dalla incentivazione della “filiera colta” rispetto alle specialità agroalimentari, al mecenatismo artistico, all’educazione civica ed ambientale. Educazione civica ed ambientale…quante, troppe volte viene umiliata! Altro caso emblematico quello del Comune di Pontelandolfo (leggi articolo a pagina 16), nel cuore del Sannio, dove è stata creata occasione d’incontro con un nutrito gruppo di emigranti negli Stati Uniti esempio di grande coesione e solidarietà: a Waterbury, vicino New York c’è una comunità organizzatissima di novecento pontelandolfesi…Anche qui l’amministrazione si è dimostrata
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particolarmente attenta, lungimirante, collaborante. E l’incisione ha già fatto… il giro del mondo, portando ai cittadini lontanissimi, ai loro figli, un’immagine preziosa e intensa della realtà degli avi. Una realtà non perduta ma che attende ora più che mai il contributo di tutti per tornare a splendere nel suo generoso rigoglio. Esempio eccellente di cura e dedizione al territorio, di progresso senza negare la tradizione, ci viene dal Comune di Lesmo (leggi articolo a pagina 6), Milano, sulle sponde del fiume Labro, nelle prime colline della Brianza, per il quale è in corso d’opera un nuovo lavoro incisorio. L’attuale amministrazione ha operato nel senso chiaro e perentorio di un cambiamento radicale; ordine, efficienza, pulizia, restauri capillari, incentivazione delle attività locali, valorizzazione dei parchi e delle ampie zone residenziali, rifugio sereno per chi lascia la città verso dimensioni a misura d’uomo. Il Club Miniaci è presente in tutta Italia, si sta ampliando ogni giorno, ha costruito con le sole proprie forze una residenza per artisti ad Albanella, ad un passo dai templi di Paestum, dimostrando che investire nella propria terra di origine, vincendo l’inerzia ed il cupo pessimismo di troppa gente, seduta nell’ozio spirituale e non solo, premia in modo particolarmente prezioso.