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L’ICONOGRAFIA NEI SANTINI DEL NATALE di Raffaele Leuzzi
STORIA DEL SANTINO
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risaputo che la stampa a caratteri mobili nasce nel 1454, a Magonza, per opera di Giovanni Gutenberg, però, molti anni prima, si era diffusa in alcuni paesi europei, un tipo di stampa su carta tratta da incisioni su legno (Imagerie populaire). Per lo più erano immagini della Madonna, di Cristo e dei vari santi, maggiormente venerati. Di queste immagini popolari resta traccia grazie ad una collezione privata di un notaio parmense, tale Jacopo Rubieri, risalente al 1430 circa, il quale, girando mezza Europa, mise insieme un piccolo patrimonio di immagini devozionali. Già alla fine del ‘500 si comincia a coniare il termine di santino per indicare le immaginette sacre. Una diffusione enorme l’ebbero per periodo della riforma luterana (XVI sec.), quando, per opporsi alla stessa riforma che proibiva l’uso di stampe sacre, in alcuni paesi (Anversa, Fiandre ecc.) i Gesuiti particolarmente, consapevoli dell’importanza che le immagini avevano quale mezzo di catechesi, contribuirono a dare un particolare impulso alla diffusione stessa. La diffusione, invero, fu spesso impropria e, se da una parte i santini venivano usati a scopo devozionale, venivano appesi nelle pareti delle case, nelle celle dei carcerati, erano un vero punto di riferimento per la preghiera privata, dall’altra parte cominciarono ad essere utilizzate per pratiche di magia. Dovette intervenire il Concilio di Trento a disciplinare l’uso invitando i vescovi ad istruire i fedeli al buon uso degli stessi e dividendo le immagini di devozione (che suscitavano venerazione per se stesse) dalle immagini di culto (raccomandate per la capacità che hanno di narrare storie, eventi miracolosi, aiutare, appunto, nella catechesi). E sono queste ultime che prima su fogli più grandi e poi in formato ridotto (come gli attuali), si diffondono enormemente nei maggiori centri di produzione europea (Belgio, fiamminghi in particolare, Francia, Germania, Einsiedeln in Svizzera, ecc.)… Accanto alla produzione a stampa, di serie, vi è poi quella dei santini manufatti, prevalentemente di origine conventuale, che ha raggiunto livelli veramente alti di tecnica, virtuosismo e bellezza, senza sottolineare, poi, la loro unicità. Sono un
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esempio tipico i cosiddetti canivets (foto 1). Prodotti prevalentemente nel XVIII secolo, con un minutissimo e prezioso intaglio, che imita diverse qualità di pizzo e contiene al centro una miniatura vera e propria. Successivamente si sostituisce la miniatura con figurine che vengono incollate sopra l’intaglio che nel frattempo si fa più grossolano. (foto 2). Poi si ricorre alla cromolitografia, (foto 3) una nuova tecnica che dalla seconda metà dell’’800, diede al santino un periodo di grande floridezza. Si sviluppa l’uso del colore e nello stesso tempo varie tecniche di stampa a punzone che permettono di fabbricare santini con supporto costituito da un delicatissimo pizzo traforato (foto 4), perpetuando lo stile del “canivet”, con un’offerta allargata al grande pubblico. Ma è l’evoluzione della cromolitografia associata all’invenzione della fotografia (1870) che ha dato una svolta notevole alla
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diffusione e produzione dei santini. Questi tipi di santini col pizzo vengono prodotti fino ai primi del ‘900, insieme ai santini in cromolitografia (foto 5), stampati su cartoncino più pesante dai bordi lisci. Prima del suo declino, il santino conosce un’altra stagione di particolare floridezza nel periodo del Liberty (foto 6) quando il santino si riduce nella dimensioni ma si modifica nei bordi. Non più lisci ma lavorati in vario modo. Il periodo delle due grandi guerre è periodo di crisi anche per il santino, la carta sempre più scadente, lo stesso dicasi per le tecniche, fino all’avvento della plastificazione in era moderna.
IL SANTINO NATALIZIO
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nche il santino natalizio ha subito, ovviamente, gli stessi cambiamenti storici di cui abbiamo parlato. Su questi santini sono riprodotti temi relativi alla natività che, naturalmente, si rifanno ai modelli artistici più aulici e talvolta alla cultura popolare.
È importante conoscere le varie modificazioni che le scene della natività ha subito nel corso dei secoli. Fin dalle prime rappresentazioni viene presentata nelle immagini del Cristo Infante, la sua missione redentrice e con il linguaggio dei simboli mostra come fu accolto e rifiutato, come lo riconobbero e lo adorarono i pastori, i Magi. Ugualmente l’iconografia indica nell’obbedienza il prezzo della Redenzione fino al sacrificio sulla Croce, che inizia con la povertà e i disagi e insieme mostra come tutto sarà risolto con la Resurrezione che sconfigge la morte e afferma la regalità del Figlio. I santini dunque, per loro natura, devono sintetizzare un messaggio di eccezionale portata e vastità nello spazio ristretto di un’immagine di piccole dimensioni.
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I primi cristiani non avevano immagini particolari, solo nelle catacombe, in quelle di Priscilla (II secolo), si trova la Madre col Bambino. (foto 7). Si tratta della prima immagine conosciuta che ha come protagonista il bambinello, ma era un’immagine svincolata dal Natale. Solo nel 354 iniziamo a trovare tale festività, fissata il 6 gennaio per la chiesa d’oriente, mentre il 25 dicembre per la chiesa d’occidente, per noi. Fu papa Sisto III (431 – C. Efeso) che si ripropose di illustrare a tutto il popolo cristiano l’infanzia di Gesù, dedicando la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Vergine Madre ed è qui che si conserva un’ importante reliquia: 5 assicelle di legno che secondo la tradizione facevano parte della Culla di Gesù. Con l’Editto di Costantino (314 d.c.) le masse entrano nella chiesa per cui l’iconografia pagana influenza, e non poco, quella cristiana. Il NATALE stesso, come festa, viene istituito il 25 dicembre proprio perché in quel giorno i pagani festeggiavano il dio Mitra, il Sole invitto, vincitore delle tenebre. Per rappresentare il Bambino viene utilizzato un bel putto biondo, la Madonna prende le sembianze di Giunone avvolta nel manto e con la testa velata… San Giuseppe viene rappresentato come un vecchio senatore, barba lunga, toga ampia e raccolta sul braccio (foto 8). L’angelo viene rappresentato da figure alate di “vittorie” presenti nei laboratori di scultori e pittori. Successivamente la scena si arricchì di altri personaggi e di particolari. Nel periodo rinascimentale, influenzato anche dal francescanesimo, il Bambino non è più fasciato ma nudo ed adagiato non più sulla mangiatoia ma su un prato fiorito. Scompare anche la grotta o la stalla, il paesaggio è quello di un bosco a primavera, quasi fiabesco. La luce inizialmente era centrata sul Bambino, nel settecento poi, l’Illuminismo, ridusse la natività ad una fredda scenografia, nell’800 infine, il Classicismo prima, e poi il Naturalismo, portarono a ricostruzioni accademiche e folcloriche; ci si preoccupò perciò più della fedeltà ambientale e della veridicità dei costumi che del vero valore religioso.
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La natività viene scomposta nelle sue varie parti, tutte centrate ovviamente sul Bambino che viene rappresentato:
• SDRAIATO SULLA CROCE o col cuore visibile sul petto coronato di spine, simboli della Passione. Si vuole sottolineare che “Gesù ha preparato una Croce e le sue spine per salvarci” ma sono anche simbolo del rifiuto che Gesù ha ricevuto: Venne tra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto. o ancora, … non c’era posto per loro in nessun albergo… tant’è che nasce in una mangiatoia, condizione disagiata, inizio del cammino verso il Golgota. • Altri simboli che accompagnano Gesù Bambino solo sono L’OSTIA, IL CALICE, IL GRANO ed i GRAPPOLI D’UVA, (foto 10) simboli delle specie eucaristiche e del fatto che Gesù dovrà, certo, morire, dare il suo corpo (grano da cui si fa il Pane) e versare il suo sangue (uva da cui si fa il Vino), ma rimanere in eterno nell’Eucarestia. • CIRCONDATO DA FIERE SELVATICHE ORRIBILI, (foto 11) o nel contesto di un paesaggio tenebroso, impervio, ricco di rocce e precipizi: è l’ambiente, sconosciuto e terrificante dal quale
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• da SOLO, (foto 9) disteso sulla paglia, e diventa motivo per riflettere sull’umiltà, la semplicità e la povertà. Fu santa Teresa d’Avila (del Bambin Gesù, appunto) a farsi promotrice della devozione al Bambino solo. Non a caso il più famoso Bambinello “solo”, quello di Praga è di chiara origine spagnola.
fuggire per rifugiarsi nel giardino di Gesù, spesso queste immagini venivano utilizzate a scopo educativo da genitori, preti e catechisti. Ma sono anche rappresentazioni di passi biblici (Isaia: un germoglio spunterà dal tronco di Jesse… il lupo dimorerà con l’agnello, la pantera si sdraierà con il capretto, il vitello ed il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà…) Esaminando la LUCE, in alcune immagini la luce emanata dal Bambino contrasta con quanto sta attorno, in altre è la luce del Bambino che si irradia, illuminando i dintorni, in altre ancora è la luce emanata dalla stella cometa ad illuminare la scena. (foto 12) Ma perché la LUCE? Perché Gesù è la luce. Balaam: Io lo vedo ma non ora… una stella sorge da Giacobbe…”; il Vangelo Giovanni dice: veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. La luce, la stella, diventa cometa quando Giotto la rappresenta come la cometa di Halley nella Cappella degli Scrovegni. (foto 13). La stella, la luce che si irradia dal Bambino spesso è tripartita, per indicare la trinità, oppure ha 8 punte per alludere all’ottavo giorno; o ancora ha 6 punte, per alludere al segno a sei punte che si ha dall’intreccio tra la X di Xristos e la I di Iesus. Altri elementi importanti e carichi di significato sono MARIA E SAN GIUSEPPE. Prima dimora di Gesù tra gli uomini è Maria ed in molti santini è lei che lo presenta per essere adorato (in questo simbolo della Chiesa). Giuseppe si presenta sempre in piedi e col bastone fiorito (un mandorlo fiorito) segno non del viandante ma dello sposo prescelto. Il Bambino è speso circondato dagli ANGELI in adorazione segno della sua regalità. Gli angeli fanno da tramite tra il divino e l’umano. Proteggono il Bambino
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all’ingresso della grotta e non mancano di aiutare concretamente ad esempio guidando l’asino nella fuga in Egitto (foto 14). Altro elemento importante: LA MANGIATOIA, vero simbolo del PRESEPE (recinto chiuso con siepi). Già l’iconografia orientale, ortodossa, utilizzava in maniera preponderante l’immagine a scopo catechetico (foto 15): il bambino fasciato, quasi come morto, dentro un sarcofago per ricordare che era destinato al sepolcro. Nella mangiatoia, sul fieno, cibo degli animali, è posto Gesù, cibo di salvezza per gli uomini. La mangiatoia assume via via svariate forme, da quella classica, con il fieno che ricorda anche il grano, segno eucaristico, ma è anche croce o appunto bara. Nelle varie rappresentazioni si alternano LA CAPANNA E LA GROTTA scavata nella roccia. Ciò perché ci si rifà, alcuni, al vangelo di Luca (lo depose in una mangiatoia), altri al vangelo apocrifo dello pseudo Matteo (lo partorì in una grotta dove rimase tre giorni poi si spostò in una stalla…). Nell’uno o nell’altro caso le tenebre, l’oscurità della Capanna e ancor più della Grotta stanno a rappresentare le tenebre del peccato e della morte ove arriva la Luce. Una variazione è data dal rudere, le rovine di un vecchio edificio di cui è rimasta una colonna spezzata, simbolo del vecchio mondo in cui irrompe il nuovo. (foto 16) In alcune immagini Gesù è solo col BUE E L’ASINELLO, (foto 17) nella maggior parte però i due personaggi sono parte integrante dell’immagine presepiale. I Vangeli non parlano né dell’uno né dell’altro per cui nel nostro immaginario abbiamo sempre pensato che fossero messi là per riscaldare, col loro respiro, il Bambino, insomma: due stufette dell’antichità. Ma non è così. Dice il profeta Isaia all’inizio dei suoi scritti: (Is.1,3): Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia (in latino: Presaepe) del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende… ). Cioè l’asino e il bue sono simboli rispettivamente delle genti, dei non ebrei, dell’umanità tutta che è comunque sotto il giogo dei pesi dell’idolatria
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(asino porta i pesi degli uomini il bue porta il giogo), ma conosce il suo padrone mentre… i suoi non lo riconobbero. Si ripete qui il simbolismo del rifiuto del suo popolo da una parte e l’umanità che cerca di cibarsi del suo salvatore. Dice sant’Ambrogio citando Isaia: quel popolo che prima si cibava con un fieno miserabile, ora riceve il pane che scende dal cielo. Però anche tra gli Ebrei vi fu chi lo riconobbe ed ecco comparire nell’immagine sacra la figura dei pastori e delle pecore (il gregge… ). Asino e bue sono nella profezia ciò che pastori e Magi sono nella storia. I PASTORI ED I LORO ANIMALI (simbolo dei Giudei, degli Ebrei) (foto 18) sono i custodi dell’attesa del popolo eletto. Gli ebrei sanno che deve nascere il Messia e lo attendono e per la loro semplicità cedettero all’annuncio degli angeli, riconobbero i segni e lo adorarono (dai vangeli apocrifi si hanno i nomi dei 3 pastori: Giacobbe, Isacco e Guseppe. I RE MAGI ed i loro animali esotici (simbolo dei lontani, dei gentili) (foto 19) sono: Baldassarre, il più vecchio, Melchiorre, l’adulto e Gasparre, il più giovane e sono segno dell’universalità. Sono discendenti di Sem, Cam, e Jafet, quindi segno delle tre razze umane, segno anche delle tre età dell’uomo, giovinezza, maturità e vecchiaia, nonché delle tre parti del mondo allora conosciuto, Europa, Asia e Africa. Ma soprattutto portano doni simbolici. ORO, per annunciare la regalità di Gesù, INCENSO, per dire che era vero Dio e MIRRA, utilizzata per l’imbalsamazione per indicare che sarebbe morto ma, risorgendo, non avrebbe conosciuto la corruzione (salmo 15). LE PIANTE, I FIORI, LE COLOMBE (simbolo della colomba di Noè, quindi della Nuova Alleanza) la cui interpretazione è resa più esplicita dalle invocazioni sottostanti: “abbiano le vostre anime il candore del giglio e la semplicità della colomba
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(siate semplici come colombe…)” “ l’innocenza è bella con i fiori” … le mie pecorelle ascoltano la mia voce e mi seguono…” “agnello…condotto al macello” (Isaia) Fonte di ispirazione per la creazione di molte di queste immagini furono certamente i Vangeli, di Matteo e Luca in particolare, ma anche i Vangeli apocrifi. È importante conoscerli per capire appieno il linguaggio iconografico stesso. Quando i personaggi sono in primo piano, il paesaggio è scarno di particolari e anche ridotto di dimensioni al contrario quando viene privilegiato il secondo piano, la scena si arricchisce di altri personaggi. Il santino manufatto così come quello a stampa, sono stati spesso usati per decorare letterine, personalizzandole con l’applicazione di altro materiale decorativo (fiori secchi, carta colorata, figure in cromolitografia ecc.) In questo contesto si possono ricordare i piccoli presepi pieghevoli (foto 20) costruiti in cartoncino ritagliato e stampato in cromolitografia. Alcuni di questi, anche più grandi, erano costituiti con personaggi mobili tramite apposite linguelle. Per concludere, quindi i santini, sono certamente segno di devozione, forse per alcuni aspetti sorpassata, spesso idolatrica, ma colti nel loro vero segno, nel loro simbolismo originario, più autentico, sono segno catechetico importante parlano al cuore dell’uomo, si fanno portatori di un messaggio che è quello cristiano più autentico. Santa Teresa d’Avila diceva che: “un’immagine pia può essere considerata occasione per risvegliare la devozione”; San Giovanni della Croce affermava che: l’immagine religiosa può essere un mezzo per scrollare la tiepidezza”; infine San Francesco di Sales osservava che: ”l’uso corretto di un’immagine sacra può essere compreso da tutti e quindi portare ad adorare meglio Dio ed i suoi Santi. Buon Natale a tutti.
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Nella Scuola dell’Infanzia “Falcone-Borsellino”
Presepe vivente
Fedele la ricostruzione, affabulante l’atmosfera di Monica Bianchino Coordinatrice del Progetto
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n’ ambientazione perfetta e una ricostruzione fedele ha caratterizzato il presepe vivente della scuola dell’infanzia “Falcone- Borsellino” dell’Istituto Comprensivo L. Chitti di Cittanova. Un articolato percorso lungo il cortile della scuola in cui sono state rappresentate piccole botteghe, scene di vita quotidiana, antichi mestieri animati dai bambini, oltre al quadro suggestivo e commovente della Natività che ha permesso di far rivivere il vero senso del Natale. Vivere questo momento con gli alunni del Plesso Scolastico “Falcone-Borsellino” e con le loro famiglie è stato un momento molto importante per tutto l’Istituto Comprensivo “L.Chitti” che ha potuto condividere il messaggio di pace che nasce proprio dalla grotta di Betlemme insieme alle insegnanti della stessa scuola che con grande attaccamento, con grande sensibilità e amore verso i bambini hanno ben operato alla realizzazione del progetto che ha visto coinvolti con grande sinergia il Dirigente scolastico Antonio Sorace, il Corpo Docente, gli Alunni e i Genitori. I bambini hanno avuto l’opportunità di cogliere il significato autentico e la finalità di un Presepe che è stato pienamente vissuto e che ha fatto conoscere e riconoscere la condivisione, il dono, la speranza e la gioia, quali aspetti determinanti ai fini educativi della festa del Natale.
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In tutta la provincia reggina è stato l’anno dei presepi
MESSAGGIO UNIVERSALE DI PACE E DI AMORE
di Luigi Mamone
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Cambiano le locations ma resta immutato lo spirito che anima i presepisti
a suggestione della Natività ha trovato, da Greccio in avanti, la sua maggiore espressione nel “Presepe”. La ricostruzione plastica - di ambientazione varia - della notte in cui Gesù venne alla luce, partorito da una Vergine. Il primo presepe, quello, appunto, realizzato da San Francesco a Greccio, rispecchiava la dimensione di quell’epoca e il piccolo mondo dei frati. La capanna era una grotta e l’ambientazione ricordava molto da vicino il paesaggio umbro. Però - e questa è la nota che da valore universale al Presepe e all’evento dal quale deriva - in ogni angolo del mondo cambia la location ma resta uguale la presenza di Giuseppe, di Maria e del Bambinello. Tutte le altre figure sono comprimarie. Possono essere i pastori della Marsica o i pescatori del Golfo di Napoli. Possono essere contadini e artigiani o moderni metalmeccanici e operai. Nulla cambia: è l’Umanità, in tutte le sue forme e le sue componenti che si ritrova davanti alla capanna, alla grotta, al container, alla tenda, al tepee o a qualsiasi altro habitat la fantasia del presepista abbia pensato per far nascere Gesù. Da qui deriva l’Universalità del Natale e della natività del Signore. Oltre che nella celebratissima S. Gregorio Armeno, a Napoli, l’arte presepiale anche in Calabria ha trovato belle espressioni. Quest’anno
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fra tutte segnaliamo la bella iniziativa del presepe animato di Melicucco. Sviluppato su una superficie di oltre 200 mq con ricostruzioni d’ambiente ben curate e statue molto belle nel segno della tradizione napoletana presenta, nel solco della tradizione che per decenni fu esclusiva del Presepe di San Giorgio Morgeto, alcune statue animate, il movimento dell’acqua e, con un gioco di luce, l’alternarsi del giorno e della notte. Sempre a Melicucco, un altro grande presepe vivente ha attirato migliaia di visitatori meritando, per la bellezza del quadro d’insieme, la copertina del CdP. Immagine della Santa Famiglia che abbiamo voluto proporre con una foto volutamente sfumata per accentuare, al di là del coloristico e del fotografico, l’alone magico del Natale. La Festa della Vita, della Luce, della Gioia. La festa, speriamo, anche della Pace e della riconciliazione.
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SAN GIORGIO MORGETO:
“La bellezza del paesaggio e le tradizioni del presepe” di Girolamo Agostino
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Paese mio che stai sulla collina, disteso come un vecchio addormentato”!... Correvano gli anni ‘70, quando le note di questa bella canzone immortalavano, come l’opera di un pittore, la vita della gente comune in tutto il mondo, inebriando l’anima e i cuori di molti giovani ed accendendo in loro la luce della speranza. Erano quelli i tempi in cui all’estero ed in molti paesi dell’Italia settentrionale, l’industria si espandeva al punto di parlare di “miracolo”, un miracolo economico, mentre nelle regioni dell’Italia meridionale, ricche di maestranze ed artigiani, il flusso migratorio si accentuava, raggiungendo il suo culmine. Qui la vita non era bella e la miseria logorava la gioventù. Quasi incredibile pensare che allora, San Giorgio Morgeto, il piccolo comune aspromontano in provincia di Reggio Calabria, era un paese sovrappopolato. In questo antico borgo, come in uno specchio, si riflettevano tutti gli aspetti della vita delle popolazioni del Sud. Pochi erano i giovani che terminata la scuola dell’obbligo potevano continuare gli studi e quasi tutti i ragazzi maturavano l’idea - ma solo dopo aver portato a termine il servizio militare (allora obbligatorio) - di trovare lavoro fuori e con questo pensiero, come in un sogno, si aspettava il giorno in cui si poteva prendere “il treno del Sole” ed andare lontano: in Svizzera, in Valle d’Aosta, in Piemonte, le principali destinazioni degli emigrati meridionali. Così si partiva e la mente volava lontano, immaginando di ritornare e trovare un futuro diverso, che consentisse di dimenticare gli stenti ed i sacrifici del passato. Ma il passato, spesso in ognuno di noi è una traccia indelebile ed anche non potendo tornare indietro, in esso ci si immerge come in una vecchia abitudine; per rico-
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struire i momenti cari dell’infanzia e della giovinezza si ritorna periodicamente nella terra natia. Natale, i giorni di festa, di tanto atteso riposo, l’impazienza di rivedere i propri cari crea in ogni ambiente armonia, momenti di calore, di raccoglimento, di amore. In ognuno di noi riaffiorano sentimenti di nostalgia del passato ed in molte case è ancora molto diffusa la tradizione dell’allestimento del presepe, che come una favola, racconta il mondo di un’epoca lontana, l’epoca delle misere case, del duro lavoro, della miseria, del freddo. A San Giorgio Morgeto, il piccolo paesello di Calabria, oggi rimasto prevalentemente spopolato, si rappresenta il “presepe vivente”, uso ormai divenuto tradizionale e reiterato negli anni, con la consueta ambientazione nel caratteristico borgo storico, tra le case secolari, i porticati dei palazzi nobiliari antichi, le strette vie, le antiche botteghe degli artigiani e, soprattutto, la famosa accoglienza umana e gentile che caratterizza il popolo sangiorgese e costellano di bellezza l’ambiente. A rendere verosimile l’evento, è l’«Associazione del Presepe Vivente dei Bambini» che, coadiuvata dall’Amministrazione Comunale, coinvolge ed organizza il lavoro di tanti volontari sangiorgesi coordinati dalla grande maestra Giuseppina Jerace, appassionata di arte e cultura. Nelle giornate del 25 e 26 dicembre 2013, ad armonizzare i borghi sangiorgesi sono stati principalmente i bambini che, come grandi artisti, nei costumi d’epoca hanno saputo rievocare la vita e le usanze del passato nei costumi di falegnami, di fabbri, di pastori, di calzolai. Non mancava poi il suono della zampogna e delle ciaramelle, ad allietare l’atmosfera tra un grande flusso di visitatori, provenienti anche dalla Valle d’Aosta e dalla Svizzera, oltre che dai numerosi paesi vicini, che hanno potuto apprezzare le pietanze offerte dai banchetti gastronomici allestiti lungo le vie del piccolo centro. Poco da aggiungere su questa importante iniziativa: le attività di preparazione ed allestimento del presepe vivente di San Giorgio Morgeto è cosa analoga all’ornamento e all’abbigliamento di una fanciulla già ricca di un suo naturale splendore. Il Presepe vivente è una delle tante espressioni dell’indole di un popolo, dell’arte, delle tradizioni diffuse e tramandate su un territorio, tradizioni delle quali, non è mai trascurabile l’auspicio che finalmente la politica prenda piena coscienza, per la realizzazione di quel cambiamento moderno e civile, che rimane tutt’ora il miraggio di intere generazioni di giovani che sperano di poter vedere ancora qui, in queste terre e non altrove, il loro futuro e poter lavorare onestamente e vivere da buoni cristiani.
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