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Un Museo Diocesano d’Arte Sacra che ha dieci anni di vita, a confronto con altri che, in Calabria e in altre Regioni d’Italia, vantano precedenti longevi o anteriori, può dirsi giunto alla sua prima infanzia. Il che non significa di una minorità, quasi una discriminante vistosa. E’ la sua esistenza e la sua cura che ne fanno una presenza “ecclesiale”, che tanto ha da narrare attraverso i tesori, che vi hanno trovato dignitosa, sicura, didascalica collocazione, sì da essere un “catechista della memoria sacra della comunità credente”. Tale identità esige una cura, una formazione permanente, un arricchimento che, secondo piani mirati e organici, lo facciano crescere e, per ciò, come membro vivo, da valorizzare in quanto di peculiare ha e che altrove non si troverebbe. Al pari dell’Archivio e della Biblioteca, anche il Museo è un scrinium memoriae, un tesoro della memoria, non blindato – se pur necessariamente protetto –, a cui ricorrere per dar forza e conforto alla fede in tutte le opere evocative sui diversi livelli che illumina: la cultura, i paesi, la comunità civile nel suo più ampio senso e così da diventare un “amico”, che si impara lentamente ad amare, rispettare, contribuendo all’arricchimento del suo patrimonio e tutela fino a richiedere, in non pochi casi, un ampliamento delle stesse strutture ricettive. Proprio come avviene in famiglia: se cresce e si sta stretti, è necessità pensare a più larghe abitabilità. Il nostro giovanissimo Museo li ha, finora, conosciuti tutti questi primi passaggi di crescita, allevato com’è stato e com’è tuttora da guide sensibili, esperte, amanti del Bello della fede. E continuerà senz’altro su questa linea, come le recenti acquisizioni esposte in apposita Sala - penso a quella “del San Filippo” - in duetto con un San Gaetano da Thiene, ambedue accuratamente restaurati: un angolino di Paradiso che esalta e rimanda al luogo di provenienza: una Sinopoli, con trascorsi nobili da riscoprire e valorizzare per il presente che ispiri, al ricordo di una rispettabile nobiltà spirituale. Tutto ciò accredita un Museo d’Arte Sacra ad essere veramente – è già avvenuto in questo primo decennio – un laboratorio di “Nutri...Menti”. Ottimo l’alimento che offre, ottimo può prevedersi lo stato di salute di chi accetta di sederne alla mensa. Quale significato e arricchimento, anche semplicemente culturale, nel contesto di altre istituzioni analoghe sul territorio diocesano, si coglie da sé. Un Museo d’Arte Sacra non è mai di nicchia, ma specchio che rimanda le immagini che riceve e per questo rientra a pieno e speciale titolo nel contesto di altre testimonianze di cultura sparse sul territorio, che intende servire aprendo porte ed accoglienza a chi vuol visitarlo, che ne riporta senza dubbio ricordi e conoscenze che prima dell’ingresso non aveva. Un decennale augurale, dunque, quello appena celebrato, auspicio di altri anniversari certamente più solidi per quanto, nella tutela e nell’acquisizione di nuove opere, ne varcheranno la soglia, protette all’interno e attrazione all’esterno.
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+ Francesco MILITO Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi
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Il museo diocesano di Oppido-Palmi al servizio della Chiesa, dell’arte e del territorio. Dieci anni di entusiasmante servizio alla Diocesi di Oppido MamertinaPalmi attraverso l’emozionante bellezza dell’arte cristiana. Arte, che attraverso bagliori di Bellezza nelle opere sensibili, ha sempre affiancato la Chiesa nella missione di annuncio che Cristo gli ha affidato. D’altronde la Chiesa ha sempre incoraggiato l’arte, facendosi carico della salvaguardia delle opere, per tramandarle nei secoli al servizio della Fede e dell’umanità. Una grande realtà nella salvaguardia attiva è rappresentata dai musei ecclesiastici; oggi sistema diffuso, in forte dialogo con il territorio. Il museo diocesano di Oppido-Palmi è custode di un notevole patrimonio di opere d’arte appartenente ad una vasta produzione artistica lunga cinque secoli e proveniente da quasi tutto il territorio Diocesano. Ricco di testimonianze di straordinaria bellezza come il piviale del Vescovo Parisio del 1673 in damasco di seta, il Crocefisso proveniente da San Martino di una emozionante armonia anatomica, San Sebastiano, opera in marmo della seconda metà del ‘400, drammatica presentazione del martirio eseguita da Benedetto da Maiano. Fin dal suo concepimento ha guardato alla museografia moderna, cercando di rendere agevole la visita e favorendo il più possibile la godibilità della bellezza esposta. Una sfida al progetto espositivo è stata la ricerca di una lettura unitaria della storia diocesana. Tema che, per i beni provenienti dell’antica Diocesi di Oppido M. e quelli della Diocesi di Mileto, è stato individuato nelle vicende tragiche dei terremoti che hanno accumunato il territorio. Intorno a questo asse storico-religioso, che ebbe il giro di boa nel flagello del 1783, si è concretizzato il primo percorso espositivo inaugurato dal vescovo Mons. Bux l’11 maggio 2003. San Sebastiano - Benedetto Da Maiano, seconda metà sec. XV •
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Negli anni successivi il museo si è arricchito di tante altre opere, l’11 maggio 2013 il nostro Vescovo Mons. Francesco Milito ha inaugurato la nuova sala detta “del San Filippo”. Il museo, in questi anni ha cercato di far sviluppare la consapevolezza del proprio patrimonio culturale ecclesiastico nelle comunità locali, diffondendo la conoscenza delle vicende storiche che nel territorio hanno accompagnato la vita di questi beni. Tutto questo con un continuo servizio educativo attraverso tanti progetti: percorsi per i fratelli ipovedenti e non vedenti con una edizione del catalogo illustrato in scrittura Braille, laboratori biennali sviluppati con l’Accademia delle belle arti di Reggio Calabria con 60 giovani artisti provenienti da tutt’Italia, Museo Amico per i ragazzi delle scuole superiori. In questi mesi il progetto “Nutri…menti” per le scuole dell’infanzia, primaria e secondarie di primo grado, elaborato con l’aiuto della sezione locale di Slow-food guidata dal Dott. Franco Surace e sviluppato con l’ufficio scuola diocesano diretto da Don Emanuele Leuzzi, che in questi mesi ha portato al museo oltre 400 tra scolari, studenti e docenti. Inoltre una attenta azione di tutela e salvaguardia delle opere ha consentito di salvarne tante,ospitandole al museo, e procedendo al restauro per restituirle al Pubblico. In questo momento cinque tavole sono sotto trattamento anossico nei depositi del museo e due tavole sono del ‘600 sono in restauro. Dieci anni di progetti espositivi, collaborazioni con Enti pubblici, Parrocchie, uffici della Curia, associazioni territoriali, Accademie, Studiosi, sono l’azione che ha consentito e consente al museo di essere una realtà lontana dagli stereotipi, diffusi da una immatura cultura laicista, che vorrebbe questi luoghi come polverose sacrestie o aule del catechismo. Con tutti i limiti, di cui abbiamo piena coscienza, ci sentiamo di dire che il Museo diocesano di Oppido M. è una realtà viva, giovane, in continuo dialogo con il mondo attuale. Un luogo, che forte della propria natura ecclesiale e con l’identità cristiana che lo caratterizza, entra in rapporto con il pubblico più diverso ed incontra uomini e donne del nostro tempo, spesso lontani dalla chiesa, aiutando tutti a scoprire il bello e forse anche lo stupore del fatto religioso. Paolo Martino • Pisside - Argentiere napoletano, 1824-1831 Oppido Mamertina, Cattedrale
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Il Museo in dialogo con i Pubblici Cos’è un Museo? Qual è la sua funzione? Cosa significa conservare un’opera d’arte? Come si fa a sapere chi sono i personaggi raffigurati o quale storia è narrata? Rispondere a queste e ad altre domande è una delle priorità che emerge dalla programmazione ordinaria del Museo Diocesano. L’obiettivo è quello di promuovere l’educazione al patrimonio culturale e insieme, di permettere ai visitatori di acquisire le metodologie dell’indagine storico-artistica, al fine di creare una maggiore consapevolezza del contesto nel quale vivono. Questo significa appropriarsi della propria identità e della memoria storica attraverso un apprendimento attivo, collaborativo e pratico. La nostra sfida è quella di avvicinare anche i più piccoli all’arte sacra, spaziando dalla pittura alla scultura nelle diverse e numerose tecniche e nei differenti materiali che ne sono il tratto rappresentativo. L’offerta didattica si propone di far vivere sia lo spazio museale, con un’ampia e attrezzata sala da utilizzare per le attività di laboratorio previste, sia le opere in esso raccolte per consentire ai giovani visitatori un’esperienza che permetta loro, attraverso il contatto diretto con le opere e lo spazio museale, di elaborare riflessioni, argomentare sui temi, scoprire linguaggi e condividere sentimenti. Tutte le proposte mirano a porre in evidenza i diversi livelli di lettura di un’opera d’arte sacra e portano ad acquisire competenze trasversali relativamente al patrimonio culturale, ma anche e soprattutto, facendo diventare i destinatari del progetto a loro volta protagonisti di quanto stanno scoprendo, magari per la prima volta. Uno degli obiettivi dei laboratori proposti è quello di far percepire, ad es., i legami tra le opere d’arte sacra e i cibi in esse raffigurati: a tal proposito il Museo in partenariato con il mondo della scuola e Slow Food ha proposto durante il corso dell’anno scolastico appena concluso, il progetto “Nutri…menti”. Maturato dalla comune esigenza di sperimentare inedite modalità di coinvolgimento degli utenti, all’interno di
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un luogo inusuale quale il Museo. Il progetto ha, dunqe, consentito di sperimentare una proposta formativa innovativa. Si è parlato di ‘nutrimento’ nella sua accezione più ampia: il cibo è stato inteso come elemento nutritivo del corpo e della mente che permette di far ‘gustare’ alimenti e conoscenze, coinvolgendo gli alunni in un percorso alla scoperta delle loro radici culturali e spirituali. I numerosi partecipanti hanno avuto modo di confrontare alcuni alimenti basilari che nella nostra alimentazione hanno assunto anche a livello simbolico importanti significati religiosi, ad esempio il pane ed il vino. I ragazzi hanno scoperto innanzitutto le immagini presenti nel Museo che si riferiscono a questa simbologia e poi hanno esaminato la loro diffusa presenza nel corso dei diversi momenti della storiografia artistica; infine si sono cimentati a realizzare lavori artistici facendo arte utilizzando, con molta sorpresa, gli alimenti che abitualmente si mangiano. Percorsi di approfondimento hanno riguardato inoltre il cibo presente nelle tre religioni monoteistiche, nelle principali feste cristiane e soprattutto nell’arte cristiana. Il laboratorio si è proposto infatti di fornire agli utenti un percorso pedagogico mirato allo sviluppo dei prerequisiti per l’apprendimento del fare e inoltre ha consentito loro di potenziare le proprie capacità espressive e relazionali, favorendo la nascita di comportamenti creativi, magari superando situazioni di disagio, con una ricaduta positiva sulla personale capacità di esprimersi di ognuno. Le attività pratiche sono sempre state precedute da una visita guidata, con l’obiettivo di stimolare un approccio creativo, facendo notare legami e particolari delle opere altrimenti passati inosservati, consapevoli che il museo non è solo un luogo di conservazione di opere d’arte ma un luogo di apprendimento privilegiato, ricco di stimoli fatti di immagini e parole; un ambiente nel quale si depositano storie dipinte che generano, attraverso il fare, altre bellissime storie. Queste ultime sono espressione di creatività personale, di crescita relazionale, di superamento di situazioni di disagio, della capacità di sviluppare attraverso l’arte le proprie potenzialità espressive. Insomma sentirsi parte attiva del gruppo per stare bene.. non solo a scuola. Teresa Frisina e Maria Teresa Casella
• Vasca di fontana di sacrestia Antico centro di Oppido
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Il Museo e la conservazione dell’arte Il Museo diocesano di Oppido Mamertina svolge ormai da anni una scrupolosa attività di conservazione delle opere affidate alla sua tutela, operando in maniera programmata secondo criteri di priorità d’intervento. L’analisi dello stato di conservazione della collezione ha condotto infatti ad individuare quali fossero i beni che necessitavano di un tempestivo restauro e quali da sottoporre a manutenzione ordinaria. Le sculture lignee raffiguranti San Filippo d’Agira e San Gaetano da Thiene versavano in un cattivo stato di conservazione a causa degli interventi postumi subiti nel tempo ed essendo stati oggetto di infestazione da parte dei tarli, con gravi conseguenze per il legno di supporto. I lavori hanno condotto ad un recupero delle opere ed all’approfondimento delle loro qualità tecniche ed esecutive.
Intervento di restauro su San Filippo d’Agira. Introduzione La statua proviente dall’antico centro di Sinopoli, non è stata ancora oggetto di una specifica analisi storico artistica per cui rimane inquadrata nell’ambito delle botteghe artistiche calabresi, e la si può presumibilmente far risalire alla seconda metà del seicento, come indicato dai risultati ottenuti dall’esame del carbonio-14 realizzato presso il centro CEDAD dell’Università del Salento. Raffigura Filippo d’Agira, un santo di origine siriaca vissuto nel V sec. d.C., inviato in Sicilia dal Papa per compiere esorcismi in quella parte di terra situata alle pendici dell’Etna. Il culto del Santo, detto anche San Filippo il Siriaco, San Filippo Argirò, San Filippo di Tracia o San Filippo ‘u niuru’, si diffuse molto nella Sicilia orientale costituendo tuttora il Santo patrono oltre che di Agira anche di Limina, Adrano, Piazza Armerina, Aidone, Nicosia, Calatabiano, Randazzo ed altri ancora, oltrepassando anche i confini regionali propagandosi ampiamente anche in Calabria ed in tutta l’Italia meridionale. L’iconografia artistica lo vede rappresentato con una carnagione scura, nera, raffigurato con paramenti liturgici a volte latini a volte greci, con la destra benedicente o in atto di scacciare il demonio, spesso con un libro nella mano sinistra che, nella tradizione latina, rappresenterebbe il decreto canonico consegnatogli dal papa di Roma. Nella tradizione bizantina sarebbe il testo dogmatico del Concilio Ecumenico di Calcedonia (451 d.c.) con il quale la chiesa universale andava contro l’eresia ariana diffusa anche in Sicilia.
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Intervento La vicenda conservativa riguardante la statua costituisce un esempio rappresentativo dell’intervento che per secoli si è perpetrato sulle sculture lignee policrome: spesso considerate come semplici “oggetti d’uso” all’interno dell’ambiente ecclesiastico, piuttosto che come opere di espressione artistica. Si osserva su questi manufatti comuni e svariati strati di ridipinture successive, eseguite periodicamente come “manutenzione” nei confronti dell’oggetto. Nel caso di sculture lignee policrome è dunque quasi sempre necessario distingure tra operazioni di semplice pulitura superficiale, riguardante materiale di deposito o vernici alterate, e operazioni più invasive che comportano la rimozione totale di strati di ridipintura. La pulitura del San Filippo D’Agira dev’essere inserita in quest’ultimo ambito per la necessità di rimozione completa di strati pittorici sovrapposti. L’apertura di numerosi tasselli sulla superficie, eseguita a bisturi, ha permesso di stabilire che sotto il rifacimento novecentesco (1937), esistevano altri due strati di ridipintura, e che al di sotto di essi la policromia originaria era presente in maniera estremamente frammentaria, soprattutto per quanto riguardava gli incarnati e la casula. La scelta di rimuoverli è stata frutto di un atto critico motivato da molteplici e differenti ragioni miranti al recupero dell’unità originaria, attraverso l’emersione della policromia originale, seppur molto frammentaria: • la prima è legata anzitutto alla natura stessa dell’opera scultorea, per la quale il legno non costituisce solo il semplice supporto ma è anche l’elemento di base dell’espressione. Gli strati di ridipintura sovrapposti all’originale avevano raggiunto uno spessore tale da modificare l’incisività ed i valori plastici del modellato, e la loro eliminazione e’ stata effettuata affinchè le qualità dell’intaglio venissero messe in luce. • la scultura lignea è stata trasferita negli anni Ottanta presso il museo diocesano di Oppido Mamertina perdendo la sua originaria funzione devozionale. • San Filippo - Bottega calabrese, sec. XVII Antico centro di Sinopoli
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L’attuale connotazione di opera musealizzata ha consentito di sostenere un intervento che conducesse al recupero del suo aspetto originale seppur frammentario. • l’iconografia di San Filippo d’Agira lo vede raffigurato come un Santo “moro” dalla carnagione nera o in alcuni casi olivastra. Le ridipinture di color rosa dell’incarnato, che nel tempo si sono sovrapposte alla originale stesura pittorica, oltre ad essere di modesta fattura ne hanno modificato la connotazione iconografica. Il risultato del restauro è una veritiera comprensione della tecnica esecutiva originale che mette in evidenza le abilità di scultore ed intagliatore dell’ignoto autore. Ciò che è emerso di quest’opera è la buona qualità della sua fattura, già definita dall’intaglio ricoperto da una preparazione ed una stesura pittorica piuttosto sottili, capaci dunque di seguirne fedelmente il modellato. Al contrario, gli esecutori meno virtuosi nell’uso di sgorbie e scalpelli si avvalevano spesso degli strati di stucco per la definizione del modellato, non essendo in grado di ottenere gli stessi risultati attraverso il solo intaglio. Lo stato attuale delle osservazione sembra ancora evidenziare la perizia scultorea nell’utilizzo di un unico tronco in legno per l’esecuzione dell’intera figura del Santo, compresa la testa e ad eccezione dell’avambraccio destro assemblato al resto del corpo tramite chiodi. Le mani sono coestensive con le braccia appartenendo ad un unico pezzo ligneo, e solo il pollice ed indice della mano destra sono stati scolpiti a parte e successivamente assemblati. Colpisce tale capacità di scolpire il legno che sembrerebbe rispecchiare lo stesso procedimento tecnico e mentale utilizzato per una lavorazione del marmo. Grazie all’intervento di restauro si sono potuti inoltre individuare gli antichi e raffinati moduli decorativi riscontrabili seppur in maniera estremamente frammentaria sulla pianeta e lungo i bordi della tunica. A seguito di una osservazione accurata si è provato a formulare delle ipotesi di ricostruzione elaborate attraverso singoli grafici.
Deposizione della croce - Ambito calabrese, fine sec. XVIII-XIX - Acquaro - Santuario di San Rocco •
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Lo scopo di tali analisi è quello di fornire un contributo allo studio di un’opera che sembra mettere in luce la sua importante rilevanza artistica in un contesto geografico scarsamente studiato. I dati tecnico-stilistici potrebbero fornire delle utili tracce per la messa in comparazione con altre produzioni di ambito calabrese e siciliano.
San Gaetano da Thiene La scultura lignea proviene anch’essa da Sinopoli e raffigurante Gaetano da Thiene, Santo fondatore dei Teatini vissuto tra la fine del ‘400 e la metà del ‘500, trasferito a Napoli, capitale del vicereame spagnolo, dove rimase fino alla morte ed in cui si espresse la sua multiforme attività religiosa. L’ opera custodita presso il Museo Diocesano di Oppido lo rappresenta nella più consueta raffigurazione iconografica che vede San Gaetano con Gesù Bambino in braccio la cui presenza è giustificata dall’ apparizione durante la sua prima celebrazione eucaristica della Madonna, che gli depose tra le braccia il Bambino. Non esistono allo stato attuale studi specifici che aiutino a ricostruire le vicende storico artistiche dell’opera, attualmente inquadrata nell’ambito delle botteghe artistiche calabresi del XVIII sec.
Intervento di restauro Anche la statua raffigurante San Gaetano da Thiene era ricoperta da due strati di ridipintura, ma in questo caso si è deciso di eliminare solo il primo strato, di fattura grossolana, mantenedo il secondo steso sull’originale, molto probabilmente molto frammentario. Ma la maggiore difficoltà per quest’opera era rappresentata dal trattamento del supporto ligneo, oggetto di un grave attacco di insetti xilofagi, soprattutto sul basamento e sul retro dell’opera, tale da compromettere la stabilità del manufatto. E’ stato così necessario risanare il supporto con la eliminazione delle sezioni irrimediabilmente degradate ed il consolidamento di quelle meno compromesse, sostituendo le parti mancanti con tasselli di legno di pioppo preventivamente trattati con antitarlo. Anna Arcudi San Gaetano - Bottega calabrese, sec. XVII • Antico centro di Sinopoli
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Museo Diocesano Piazza Duomo Oppido Mamertina (RC) Direttore Museo: Ing. Paolo Martino Curatrice esposizione: Dott. Annamaria Esposito Per info o prenotazioni: Tel. 0966.86513 Tel. 0966.419822 museodiop@gmail.com www.museooppidopalmi.it
Capitello - Bottega meridionale • secc. XVII - XVIII Antico centro di Oppido
design on www.lamorfalab.com
Inserto a cura di Paolo Martino con la collaborazione di: Maria Teresa Casella, Anna Arcudi, Anna Maria Esposito, Don Letterio Festa
Su gentile concessione della Curia di Oppido-Palmi
CARIT ITAS AS VE RITAS UN