Cabaret Voltaire aprile 2013

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Aprile 2013

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Catholic Edition

l’ampliamento della ragione | w il braghettone | de pulchritudine non disputandum est | ciak, si legge!


l’ampliamento della ragione 2 w il braghettone 8

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de pulchritudine non disputandum est 10 ciak, si legge! 12

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Joseph Alois Ratzinger: l’am di Marco Piazza

Senza alcun dubbio Joseph Alois Ratzigner è stato uno fra i massimi teologi della seconda metà del XX secolo, un intellettuale che ha sempre cercato di conversare con la contemporaneità, ben radicato nella propria fede e cultura. Questo articolo vuole mirare al cuore della sua imponente opera di approfondimento teologico, con la quale il Papa Emerito ha tentato di (di) mostrare che la fede può fare appello alla ragione, ad una ragione gnoseologicamente “allargata”, che abbandoni il confino razionalista e si apra (anche, ma non solo) al trascendente. Paradigma di questo straordinario itinerario è il discorso di Ratisbona del settembre 2006, in cui il Papa Emerito ha auspicato un allargamento del concetto (e quindi dell’uso) di ragione, in modo che «ragione e fede si ritrov[i]no unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione auto-decretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza». L’importanza della fede nel potenziamento della ragione umana appare anche nell’enciclica Spe Salvi, all’interno di una riflessione circa le potenzialità della ragione: «Se il progresso per essere progresso ha bisogno della crescita morale dell'umanità, allora la ragione del potere e del fare deve altrettanto urgentemente essere integrata mediante l'apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male. Solo così diventa una ragione veramente umana». Per comprendere come possa essere possibile un dialogo equilibrato e fecondo tra fede e ragione, è necessario chiarire questi concetti da un punto di vista antropologico. L’intelligenza è una facoltà (o capacità), mentre la fede è una virtù (o abito operativo) particolare, in quanto soprannaturale.


mpliamento della ragione Da queste definizioni segue che la facoltà intellettiva-razionale riesce a conoscere da sé un certo insieme di realtà ma che, potenziata dalla fede, può arrivare ad approfondire meglio alcune di queste realtà e a conoscerne anche di più elevate; inoltre, la fede da sola non è in grado di conoscere niente. La metafora più felice che si può utilizzare è quella della vista e della lente: il senso della vista-ragione funziona anche senza l’uso della lente-fede, ma sicuramente grazie a quest’ultima riesce ad osservare meglio la realtà e a coglierne aspetti prima meno visibili; e la lente da sola non è altro che un pezzo di vetro. Questa premessa permette di non esagerare il ruolo conoscitivo della fede e di non sottovalutare quello della ragione, all’interno di una concezione che non le vede contrapposte, bensì in reciproco aiuto. Nel considerare la storia della filosofia, possiamo scorgere un periodo di forte cesura, avvenuto nell’età moderna, con l’apparire del cogitum cartesiano e della scienza galileiana. Il pensiero cartesiano ha sostituito infatti il criterio di verità dei filosofi antichi (come conformità della conoscenza alla realtà) con quello di certezza (come convinzione della perfezione delle idee e rappresentazioni soggettive): con Cartesio la ragione si stacca dall’influenza del trascendente e finisce per considerarsi autosufficiente, se non onnipotente. Per quanto concerne la questione scientifica invece, rispetto al mondo classico, in cui si dava priorità all’oggetto del conoscere (la realtà) piuttosto che al metodo conoscitivo, nell’era moderna la preferenza viene assegnata al metodo, che va sempre più raffinandosi, piuttosto che all’oggetto del conoscere, ed in questo modo l’ambito di ciò che è comprensibile attraverso la ragione si restringe sempre di più (basti pensare alle idee chia-


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re e distinte): le scienze positive, avendo una competenza ben determinata e ristretta per i temi che hanno ad oggetto, in gran parte riferiti ad entità fisiche, e per la prospettiva adottata, particolare e riduttiva, non possono pretendere di dire nulla su ciò che le oltrepassa, perdendo quella capacità di dare una spiegazione più profonda e duratura della realtà. La scienza utilizza infatti un metodo proprio, basato sul rigore matematico, sulla verifica sperimentale, e sull’efficacia dell’applicazione tecnica, ed ha il problema dell’astrazione nel significato etimologico del termine, estrarre un sapere a partire da altre conoscenze, con il pericolo di perdere per strada alcuni aspetti da cui la realtà singola e particolare non può in nessun modo prescindere, isolando le proprietà delle cose considerandole senza riferimento all’insieme. In questo sistema di pensiero, ciò che viene conosciuto o creduto per fede (o anche per amore) cessa di essere un autentico sapere, cadendo nella sfera del soggettivo, dell’opinabile, fino a diventare nemico della ragione, come successe nel periodo illuminista (e si trascina fino a noi). Una volta che la concezione di ragione si allarga, come auspicato da Ratzinger, le implicazioni sul vissuto personale e sociale diventano decisive. Per quanto riguarda la concezione della persona umana, il discorso che il Santo Padre avrebbe pronunciato all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Sapienza di Roma parla chiaramente: «la vera, intima origine dell’università sta nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità». La natura razionale dell’uomo tende alla conoscenza della verità piena, che non è solo materialmente o storicamente data. A livello sociale invece, gli effetti del rifiuto di una ragione “umana” sono oggi palesi, come aveva annunciato il Card. Ratzinger durante l’omelia della Messa di inizio del Conclave, in cui parla di un fondamento extra-razionale del vero umanesimo: «si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una


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fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità». E ancora, parlando delle radici della cultura occidentale, edificata nella ricerca di Dio perseguita esemplarmente dai monaci del Medioevo, il Santo Padre auspicava un innalzamento della ragione, affermando che «cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui […] oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi». Per quanto concerne il rapporto tra fede e politica, Benedetto XVI al Parlamento tedesco nel settembre del 2011 si poneva una serie di domande, relative al concetto di giusto, alla capacità di distinguere il bene dal male, e obiettava che «nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta». La sua proposta era (e rimane) quella di ritornare al “linguaggio della natura”, ripetuta anche a Milano nel giugno del 2012, quando ha ricordato alle autorità che le leggi di uno stato devono «trovare giustificazione e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana». E ancora nel 2010, durante la visita al Parlamento britannico, Benedetto XVI criticava il principio del consenso come fondamento delle leggi, ricordando che l’etica precede e supera la politica, e che la democrazia si indebolisce nel momento in cui ignora questa verità: «senza il correttivo fornito dalla religione anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana». Ecco dunque che il programma di “ampliamento della ragione” si rivela una delle grandi eredità della ricerca intellettuale del teologo Joseph Alois Ratzinger e del magistero del Santo Padre Benedetto XVI, teso a ricordare che “la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità”.


W il Braghettone

di Giuseppe Signorin

Grazie e Dio è successo a Okuizumo. In un parco di questa piccola cittadina di 15mila anime a sud di Tokyo, infatti, accanto ad attrezzature sportive e giochi per bambini, sono state posizionate due copie di cinque metri ciascuna del David e della Venere di Milo, così come mamma o meglio Michelangelo e probabilmente Alessandro di Antiochia li hanno fatti, recenti doni di un uomo d'affari natio della zona. E cos'è successo? Grazie a Dio è successo che i pudici okuizumesi hanno protestato chiedendo di coprirne in qualche modo le parti intime, perché molti dei loro bambini, non abituati, sono rimasti scioccati. Pausa. Oltre a un paio di ringraziamenti a Dio che i più potrebbe trovare fuori luogo, deve essermi scappata anche la parola "pudici", plurale di "pudico". Altra pausa. Non è semplice. Prima di psicanalizzarmi, cerco nel dizionario online cosa significhi "pudico". Nel dizionario online "pudico" significa "che nutre sentimenti di pudore". Grazie tante. Ce ne sono milioni di dizionari online, ma preferisco cambiare parola piuttosto che dizionario online. Allora cerco la parola "pudore", e scanso equivoci la cerco nel dizionario online dei sinonimi e contrari, questa volta. Ce ne sono sicuramente di meno. Ecco i sinonimi: castità, candore, onestà, purezza, decenza, castigatezza, costumatezza, verecondia, modestia, ritegno, ritrosia, vergogna, timidezza, pudicizia. Ecco i contrari: impudicizia, spudoratezza, impudenza, sfacciataggine, sfrontatezza, oscenità, indecenza. Fine pausa. Per quel che ne capisco, e stando al dizionario online dei sinonimi e contrari che ho consultato, "pudore" indica qualcosa di... Non ci riesco... Forse prima dovrei dire qualcos'altro. Per esempio l'espressione "comune senso del pudore", che non è solo un film (fino a qualche istante fa da me ignorato e tutt'ora non visto) di Alberto Sordi con Claudia Cardinale, del 1976. La sto prendendo un po' alla lontana, me ne rendo conto. Quello che voglio dire, in

realtà, è che oggi ci si spoglia per qualsiasi motivo, e che l'asticella di questo “comune senso del pudore” mi pare essere costantemente e coattivamente tenuta sempre più su, almeno da farci passare sotto qualsiasi cosa. Non solo dai romani. Le copia del David e della Venere di Milo ignude nel parco di Okuizumo sono l'ultimo dei problemi. Il penultimo è che fra un po' ci si spoglierà pure per protestare contro chi si spoglia. Vedo gente ignuda ovunque. Sono davvero tentato di calarmi i pantaloni anch'io. Mi trattengo. Mi sono appena commosso davanti a questa scena di Okuizumo. Ho appena cercato online i sinonimi e i contrari della parola "pudore". Non posso calarmi i pantaloni adesso. Però sono tentato. Non posso stare coi pantaloni su di fronte a tutta questa gente ignuda. Che faccio? Sono pure senza cintura, ci metterei un attimo... "Non conformatevi a questo mondo!". Una voce. È San Paolo. Meno male. E allora col cavolo che mi calo i pantaloni. Piuttosto vado a comprarmi una cintura. O faccio come quel genio assoluto di Daniele da Volterra, il Braghettone – lui sì che se ne intendeva di pantaloni – lui che nel 1565 ricoprì con panneggi e foglie di fico le nudità del Giudizio Universale nella Cappella Sistina, in seguito alla delibera del Concilio di Trento. Il Braghettone sì che ci aveva visto lungo, lui sì che aveva capito con secoli di anticipo quello che sarebbe successo oggi, quello che sarebbe diventato l'unico comandamento da rispettare ma soprattutto l'unico comandamento che tutti ossequiosamente rispettano: cavatevi di dosso i vestiti e mostrate al mondo le pudenda (lascio al lettore verificare il significato di questo termine così strettamente imparentato con "pudore". Ahn, cercate in uno dei milioni di dizionari online normali; a quanto pare non ci sono sinonimi e contrari per le pudenda). W il Braghettone.

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di Valentina Arduini

Quando siamo chiamati a dare un parere estetico, su un quadro, una statua o un edificio siamo soliti usare una terminologia di cui si è perso il vero significato. Il vocabolo più utilizzato e più importante nel mondo dell'arte è bellezza; ma cosa significa veramente questo termine? La nostra idea più convenuta ci fa affermare che la bellezza sia proporzione, ordine e armonia tra le parti. Queste tre qualità sono molto distanti dalla realtà moderna, facendoci capire come l'idea di bellezza che ad esse fa riferimento sia frutto di un modo di pensare molto preciso nella storia della nostra cultura, quello condizionato dal pensiero neoclassico di Johann Joachim Winckelmann. Per capire il vero senso della bellezza, tale concezione va superata, tornando indietro al suo significato originale. La difficoltà in cui ci imbattiamo per cogliere il reale senso del bello dipende fondamentalmente dal relativismo della nostra cultura, che tende a rendere ogni concezione soggettiva. Ci troviamo così a confondere la bellezza con il gusto. Il gusto è una cosa, la bellezza un'altra. Solitamente si tende a rispondere alla domanda su cosa sia la bellezza con un vecchio detto popolare: «È bello ciò che piace.» In realtà non risulta essere corretto, per quanto tale osservazione nasconda in sé una verità. Questo modo di dire esplicita

che per noi un'idea come quella di bellezza può avere soltanto una valenza soggettiva, legata alla scelta personale, e che è assolutamente ingannevole credere di poter trovare un'espressione che metta tutti d'accordo. Contrariamente, la bellezza è un significato propositivo, illusorio, mai involutivo, suscettibile, attraverso il quale gli uomini comunicano la loro idea di vita, il loro modus di intendere il mondo. Ma la bellezza, come forza, intenzione, rimane sempre la stessa pur essendo prodotta con stili diversi. La bellezza si contraddistingue per il suo carattere assoluto, per quanto, nella storia occidentale, essa venga rappresentata, secondo le epoche, in modi differenti. Non bisogna, quindi, confondere la bellezza con il gusto. Il gusto esprime una sensazione e un sentimento personali, che traggono la loro origine dalle mode, dai principi morali, e dai pensieri di una determinata epoca. Esso è identificabile come un fenomeno storico, e i giudizi che vengono dati sulla base del gusto derivano «dalla realtà sociale e culturale esistente, di cui essi stessi sono elementi essenziali». Il giudizio di gusto si impone quando il concetto di bellezza viene messo in dubbio, diventando di conseguenza, una fra le altre categorie dell'esperienza artistica. La cultura europea tra il XVII e il XVIII secolo, interessando nel relativismo dei giudizi soggettivi, oltre al


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concetto del bello, anche fondamentali problemi filosofici come il vero e il giusto, risulta essere il momento storico in cui questo problema si sviluppa maggiormente. Il bello, come il bene, diviene una questione vincolata al sentimento: dunque, non spiegabile mediante norme e principi intellettuali, ma attraverso una proprietà soggettiva dell'essere umano: il gusto. Se il gusto viene utilizzato per valutare un'opera d'arte, esso segna il declino della bellezza, intesa sia come premessa della creatività estetica, sia come tipologia del giudizio estetico. Quando il gusto si afferma, tramonta l'idea di bellezza. Ciononostante i due concetti possono andare benissimo d'accordo. Il nostro significato comune di gusto si deve soprattutto alla filosofia inglese settecentesca, che attraverso varie elaborazioni ha reso il gusto il centro dell'autonomia dell'arte e della libertà di giudizio del pubblico e della critica. Le idee di gusto prendono forma nell'immaginazione, mezzo attraverso cui proviamo piacere per qualcosa di visto, di percepito o di ricordato. L'immaginazione determina il gusto, che ci porta a pronunciarci in maniera positiva o negativa, rispettivamente se si tratta di qualcosa di piacevole o noioso alla nostra immaginazione. Come per quanto concerne la bellezza, anche il gusto non può risultare un semplice giudizio personale: esso esprime sempre la nostra cultura e la nostra tradizione. Nel corso dei secoli, arte e gusto sono diventati sempre più soggettivi, pur rimanendo saldamente vincolati a rigidi legami morali. Il XX secolo è diventato il momento storico in cui l'arte del brutto predomina in gran parte delle rappresentazioni artistiche, dove il non senso estetico, reduce dalla crisi del rapporto tra piacere, moralità e immaginazione, ha introdotto nella nostra “terminologia tecnica” il concetto di kitsch, di “robaccia”. Per aver giudicato il brutto un principio di interessante innovazione culturale e intellettuale, l'arte dei nostri tempi fatica ad essere capita, apprezzata e reputata bella, soggetta al dominio del consumismo, segno distinguibile della nostra società. Per tornare ad un'universalità che l'ha sempre distinta, l'arte deve abbandonare la strada del brutto per tornare a quella del bello, perché solo ciò che è oggettivo dura nel tempo, e la vera bellezza lo è.


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Un’arte antica e una moderna, come la letteratura e il cinema, si guardano, senza sospetto, e si avvicinano. Molto più che per un’osmosi di soggetti, come da tempo accade, ora si rubano le forme espressive dando vita a nuovi linguaggi, ibridi, punti di contatto tra i due mondi che, riprendendo il passo dei tempi, sono in grado di conquistare nuovo pubblico. Paradossalmente, potrebbe sembrare, quel pubblico che non legge più, o quantomeno che si è abituato a guardare uno schermo, pigramente. Come si racconta un romanzo? Con un film, meglio con un corto. Anzi, con un booktrailer, genere relativamente recente, specie in Italia. Come le produzioni cinematografiche vengono anticipate dai trailer, rapidi montaggi di fotogrammi, voluti per incuriosire lo spettatore creando l’attesa che porterà al successo di botteghino, così ora è il booktrailer a diffondere il senso di un libro, le atmosfere che il lettore troverà poi nell’opera originale. Molto più che uno spot, un booktrailer diventa un piccolo film, un corto d’autore. Ed è così che un festival dedicato ai cortometraggi quest’anno, per la prima volta, ha riservato un’intera sezione ai booktrailer. Abituata a fare tendenza, è Cortina la location di questo evento, con il suo Cortiname-

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traggio che si aggiudica così il titolo di primo festival europeo del cinema ad aprire ai booktrailer. Un primato non da poco, che trova corrispondenza in un media partner d’eccezione, come la RAI, che tiene a battesimo l’iniziativa. «La parola d’ordine, quando si propone un festival giovane e alternativo – racconta Maddalena Rayneri, presidente di Cortinametraggio – è innovazione. L’idea del primo Booktrailer Film Festival ha avuto ottimi riscontri. Abbiamo selezionato 27 lavori, tra le diverse centinaia che ci sono arrivati. Questi poi sono stati valutati da una giuria tecnica e dal pubblico in sala, che ha mostrato di apprezzare il genere. E, dopo questo debutto, è già confermata la replica per l’anno prossimo, naturalmente accanto ad ulteriori novità.» La prima edizione si conclude con tre vincitori, a partire da “Cose che nessuno sa” di Cric, prodotto da Mondadori che si aggiudica il premio “Rai 5 per la comunicazione del libro”. Incisivo e raffinato, questo booktrailer ha conquistato la giuria per la sua sapienza nel coniugare la parola e l’immagi-

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ne, in una fiaba raccontata e animata. Il premio RAI Cinema, per la qualità cinematografica del booktrailer, va a “Suk Ovest”, di Piero Ciccotti, che racconta la realtà violenta della Garbatella, la Roma Suk Ovest. “Se ti abbraccio non aver paura” di Mauro Cozza, prodotto da MC2Studio, ha conquistato invece la giuria del pubblico, che gli ha assegnato il il premio “Tropico del Libro”. L’ambiente naturale del booktrailer è il web, che rende facilmente fruibile il materiale video e condivide la stessa vocazione alla rapidità e alla brevità. Un genere giovane, superfluo spiegarlo, che attrae registi alla loro opera prima, gli amatoriali, fino agli studenti, ma anche registi di fama, e case editrici maggiori e minori, in veste di produttori. Nella selezione dei corti in concorso si mischiano bene nomi famosi come Luciano Ligabue, Giorgio Faletti, Beppe Severgnini e Massimo Gramellini, con altri meno conosciuti, almeno a livello nazionale, e case editrici come Mondadori, Longanesi, Rizzoli, Einaudi, con altre di dimensione locale ma ugualmente vivaci nel percorrere le nuove strade della comunicazione e dell’espressione artistica.


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<prossima uscita> giugno

REDAZIONE: Nicolettamai albertofabris elisabettabadiello giuseppesignorin marcopiazza valentinaarduini annabaldo GRAFICA: Amosmontagna Editrice Millennium, piazza Campo Marzio 12 Arzignano (VI) www.corrierevicentino.it | blog@corrierevicentino.it

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