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SUGARPULP
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Barbabietole carnivore Lansdale scrittore mojo SUGARPULP Exploitation alla vicentina Il ritmo del pulp
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SUGARPULP Barbabietole carnivore di Elisabetta Badiello
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l Nordest non è più un Paese per vecchi. Con questa affermazione Sugarpulp, movimento letterario padovano, apre il primo festival italiano del noir. Il Nordest non è solo terra d’arte e lavoro, di piccoli e grandi imprenditori, di splendidi paesaggi e di una natura che sa ancora incantare ma è anche teatro di scorribande, criminalità, immigrazione, fatti di sangue e delinquenza, succulenti ingredienti per una letteratura pulp che trova nella nostra terra una fonte ideale per ambientare la narrazione. Ritmi veloci e mozzafiato, molti dialoghi, uno stile che è un susseguirsi di immagini, una trama talvolta fumettistica. Addentato il testo difficile scollarsi. Si legge tutto di un fiato, con
la bocca secca senza sosta fino all’ultima riga. Le “barbabietole carnivore” Matteo Righetto e Matteo Strukul hanno dato vita a un gruppo che si ispira nel nome alla polpa della barbabietola da zucchero, tipico prodotto veneto. Perché il Nordest, come spiegano i sugarpulper, è “un territorio in cui il colore del noir si cela perfettamente dietro quello della barbabietola: un luogo dove anche la delinquenza ha la faccia pulita della borghesia che lavora; dove non si ostenta ma si nasconde e i grandi cortili delle case sono protetti, recintati, invisibili”. Entusiasmo e seguito suscitati dal genere non hanno lasciato scelta: i Sugarpulp hanno deciso di farne un festival.
La curiosità ci ha portato ad avvicinarli. Abbiamo così sentito Matteo Strukul in occasione della presentazione del suo libro La ballata di Mila. Che rapporti ha con la “polpa di barbabietola”? “Ho fondato con Matteo Righetto il movimento Sugarpulp, nato da un blog nel 2009. Entrambi appassionati di letteratura americana abbiamo iniziato a scrivere ispirandoci al genere noir d’oltre oceano di Joe Lansdale, Victor Gischler, Tim Willocks e ad uno dei più grandi maestri italiani del noir, Massimo Carlotto. Perché la scrittura americana? “Perché è maestra nella spettacolarizzazione. Un esempio sono le nuove avan-
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guardie di una new wave a stelle e strisce che annovera nelle sue file autori di grande successo come Cormack McCarthy, Joe Lansdale, Victor Gischler, Elmore Leonard. La scrittura come una polpa che fonde assieme i linguaggi del cinema, del fumetto e dei videogames creando una narrativa giovane, fresca, veloce, che racconta storie slabbrate, rabbiose, piene di humour nero e dissociazioni mentali. Quali sono state le sue letture formative e che cosa ha influenzato il suo stile? Victor Gischler, Willian Faulkner ma anche i Nibelunghi. Leggo molto e tutto entra nella mia scrittura. Il pulp consente di mescolare. Le ambientazioni che conosciamo, un territorio mitico come quello del nordest con una natura straordinaria e con le sue contraddizioni tutto questo nel nostro pulp si materializza.
C’è molto amore per la nostra terra e per ciò che la caratterizza. Dalla campagna all’ippodromo, dalla bocciofila al bar sport. La stessa Mila, protagonista del romanzo, è stata cresciuta dal nonno sull’altopiano dei Sette Comuni. Joe Lansdale sarà ospite del Festival. Che rapporto intercorre tra la criminalità texana raccontata da Lansdale e quella del nordest? Pensiamo a faccia d’angelo, il bel René e alle sue gesta. Siamo ben messi anche nel nordest quanto a criminalità. Voglio dire che anche da noi le fonti non mancano e spesso la realtà è prodiga di soggetti. Nel libro - La ballata di Mila, ndr - si scontrano due gang criminali, quella dei Pugnali Parlanti affiliata alle triadi cinesi, esperte nell’uso delle armi da taglio, e una cosca locale. Parlando di criminalità del nord-est e mafia cine-
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se traggo ispirazione dai fatti di cronaca quotidiana, guardo quello che accade ogni giorno sulle nostre strade, nei nostri quartieri, tra la nostra gente. Il mio leit motiv è quello di raccontare la realtà senza velleità giornalistiche ma affrontando in modo narrativo il tema dei cinesi, dei loro laboratori, di come operano le mafie, dei ricatti, del mercato di carne umana che avviene sotto i nostri occhi, dell’economia fantasma sommersa. Con queste premesse, volendo continuare a raccontare il Nordest, si aprono scenari infiniti. Che influenza ha avuto la sua formazione - Strukul è laureato in giurisprudenza – nella sua scrittura? Magari qualcosa ha pesato, ma come
hanno influito le mie letture, la passione per la musica e il fumetto. Il mio interesse per il genere non deriva dagli studi ma è la mia curiosità, gli occhi con cui guardo la voglia di mescolare linguaggi, generi, esperienze, realtà. Non a caso siamo una polpa, un magma narrativo in cui entra tutto. Dal linguaggio cinematografico alla sceneggiatura, dalle montagne alle strade così come i bar e la vita di tutti i giorni, senza riflessioni.
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Lansdale, scrittore mojo di Paolo Armelli
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crittore tanto prolifico quanto poliforme negli pseudonimi adottati lungo la sua ventennale carriera, Joe R. Lansdale è uno degli ospiti di rilievo della manifestazione Surgarpulp di Padova. E chi è più pulp di Lansdale, attualmente, dato che la sua carriera letteraria conta un sacco di generi diversi, conditi da una scanzonata ironia di fondo? Sembra un abilissimo cuoco della materia romanzesca, Landsale, che prende gli ingredienti tipici della letteratura più commerciale e li condisce in salse gustose e speziate, tanto da rendere accattivanti storie talmente assurde – e a volte banali – che quasi faremmo fatica ad accettare in Ita-
lia, dove un mercato di testi hard-boiled o di serie B non è mai sfondato del tutto come invece è successo in America. Invece le storie di Lansdale sono effettivamente letteratura ben costruita, osannata da critici e soprattutto da orde di fedelissimi fan. Lui si definisce, sul suo sito un po’ sgangherato ma che ricorda le locandine di quei film pulp degli anni 60, “un contastorie mojo di prima qualità”, dove mojo fa riferimento a quel misto di umorismo, magia, sortilegio e fascinazione che sono appunto tipiche dei suoi libri (ed è termine che rivela molto del suo stile linguistico: gergale, screziato, ma spesso evocativo e molto denso). Di sicuro
Lansdale non è il tipico scrittore ingessato: nella vita ha fatto un sacco di cose – fra cui lo sceneggiatore dei cartoni animati di Batman e Superman, nonché lo storyboarder di fumetti. Soprattutto è anche un abilissimo maestro di arti marziali, praticate da oltre trent’anni: “In ogni mia giornata passo sei ore davanti alla macchina da scrivere e tre nella palestra di arti marziali che dirigo,” dice. Quello della scrittura è un fuoco che arde forte, e che lo rende prolifico al punto che ricostruire la sua bibliografia è impresa ardua: “Amo talmente scrivere che lo farei anche se non mi fruttasse una lira”, ha dichiarato per poi aggiungere subito dopo: “Certo, visto che per farlo
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mi pagano e anche bene, incasso volentieri l’assegno.” E questa dell’assegno è una metafora efficace della collocazione letteraria dell’autore: uno scrittore sicuramente commerciale e che arriva al grande pubblico, di certo guardato con sospetto dai critici più puristi, eppure che ha slanci di originalità e spirito da non sottovalutare. In Italia, dove le sue opere sono pubblicate da Fanucci, Lansdale ha un grande seguito e particolarmente apprezzate sono le detective novels che hanno al loro centro la stravagante coppia di investigatori Hap, uomo di mezz’età in perenne crisi, e Leonard, gay e di colore, i quali guidano il lettore in peripezie
a dir poco sgangherate. E’ un genere profondo, questo, che tocca molti nervi della natura americana e del genere del noir, collocandosi su una scia che va da Burroughs a Tarantino, passando – anzi partendo – dal capostipite di tutti che è Chandler (con qualche richiamo a Bukowski, qui e là). Ma Lansdale non è solo gialli: è anche fantascienza, thriller, western, ha scritto perfino un romanzo pornografico (sotto pseudonimo, naturalmente). Tutti generi profondamente americani, si direbbe, ma che facilmente hanno trovato seguito nel nostro paese. “Trovo che il pubblico italiano capisca meglio di quello americano la realtà che racconto”, dice l’autore.
Lansdale non fa segreto di essere stato molto influenzato nella sua scrittura dall’essere texano: “Il Texas è uno stato mentale, avvolto in miti e leggende. Nessun luogo rappresenta meglio lo spirito indipendente e intraprendente dell’America.” Se provassimo a sostituire Texas con Veneto (e America con Italia), ci accorgeremmo che la frase sarebbe comunque ricca di senso – ed è questo che gli organizzatori di Sugarpulp si propongono di fare. Certo, noi forse siamo ancora in attesa di un autore prolifico ed efficace con Lansdale.
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Exploitation alla vicentina di Federico Tosato
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e si pensa al cinema exploitation (in cinematografia non si usa il termine pulp), a livello internazionale la prima figura che a chiunque, ma proprio a chiunque viene in mente, è, a ragione, quella di Tarantino. In un certo senso un orgoglio per noi, dacché l’americano conosce molto bene il nostro cinema di genere degli anni Settanta – polizieschi, horror, gialli nostrani –, dal quale l’exploitation è generato e che sostanzialmente include. Tralasciate le poco veritiere leggende metropolitane che vorrebbero i lavori di Tarantino pieni di riferimenti piuttosto diretti a quella nostra cinematografia di trenta o quaranta anni fa, resta la sua ammirazione per molti dei migliori interpreti del genere, da Fernando di Leo, che definisce «il numero uno dei registi di
film di mafia», a Enzo Castellari, regista di Il cittadino si ribella, considerato da Tarantino «un grande film d’azione, semplicemente meraviglioso» o di Quel maledetto treno blindato, ritenuto «uno dei migliori esempi di exploitation all’italiana», da Sergio Sollima, dichiarato «regista del mio spaghetti western preferito, La resa dei conti, con Tomas Milian», ad Antonio Margheriti, da Lamberto Bava, «di cui mi piace molto Demoni 2 e ho saputo che ha girato anche parti di Shock, uno dei film che amo di più in assoluto», a Michele Soavi. I suoi film non hanno sostanzialmente nulla a che spartire con quelli degli autori appena nominati, ma certamente ne sono stati influenzati. E di tanto in tanto li ha esplicitamente citati, questo è vero, per esempio in Jackie Brown, con De Niro e Jackson che guardano in televisione alcune scene
di La belva col mitra, film della fine dei Settanta, diretto da Sergio Grieco. Osservato questo, sarà possibile trovare lavori in qualche maniera similari nella nostra provincia? Il vicentino sarà mai stato, insomma, set per il cinema exploitation? Pare proprio di sì. Con esiti in parte più che discutibili, ma comunque sì, lo è stato. Sono quattro, perlomeno secondo le ridottissime conoscenze al riguardo di chi scrive, i film interessanti al fine della nostra riflessione. È il ’68 quando Elio Petri dirige Un tranquillo posto di campagna, che racconta le vicende di un affermato pittore pop ora però in crisi creativa, il quale vive un rapporto schizofrenico di odio e amore con la propria amante, amministratrice e infermiera. Per sfuggirle si rinchiude
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in villa Cordellina, a Montecchio Maggiore, dove a fargli compagnia è forse il fantasma di una giovane ninfomane morta ammazzata. Tre anni dopo, è il ’71, Emilio Miraglia si fa vedere in zona per il suo La notte che Evelyn uscì dalla tomba, ispirato ai racconti di Poe: sir Alan impazzisce, perseguitato dal fantasma della moglie che lui stesso ha assassinato; in realtà l’uomo è vittima di una montatura ordita da una coppia che agisce in parte a scopo di lucro e in parte per vendicare le donne dai capelli rossi che nel castello sistematicamente terminano la loro esistenza terrena. Girato tra Thiene e Malo, con tanto di villa Meneguzzo, il film nella diegesi è però ambientato in Inghilterra. Venduto in diversi paesi, nelle sale americane era possibile seguirlo gustando il Bloodcorn, del pop corn tinto di rosso.
Giungendo a tempi più vicini, nell’89 è la volta di Davide Ferrario e del suo La fine della notte: appunto la notte del titolo, che si conclude con alcuni cadaveri, vede muoversi uno schizofrenico e due giovani provinciali in cerca di emozioni forti. Un film cupo, denso, che odora di morte, tratto da un fatto di cronaca accaduto per davvero nella nostra regione. Nella pellicola non è difficile riconoscere il centro di Arzignano, oltre a Chiampo. Scenografia invece del quarto film è il bicentenario liceo cittadino Pigafetta (ma la città di Vicenza rimane innominata), dacché nel 2000 i suoi corridoi e la sue aule sono per qualche tempo il set di Medley - Brandelli di scuola, diretto da Gionata Zarantonello. Morti ammazzati ovviamente anche qui (più di trenta), insegnanti sadici e
allievi stupidi sono gli attanti che agiscono in un ambiente nel quale si praticano l’odio per i libri e il culto per le armi da fuoco. Film lanciato come il The Blair Witch Project all’italiana, criticabile così come la sua locandina – l’impronta di sangue lasciata da una mano è, al centro del palmo, trapassata da una matita, mentre sul fondo si stagliano un foglio di carta sgualcito con scure gocce di inchiostro o altro sangue e un inquietante sguardo femminile –, è stato giustamente premiato al Festival del Cinema Trash di Torino.
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Il ritmo del Pulp di Federico Gobetti
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sci di fretta, camminando veloce. Arrivi alla macchina, sali rapidamente, parti. Un ritmo comincia da subito a uscire dalle casse dello stereo e ti accorgi che la tua testa non può fare a meno di tenere il tempo. Dal centro città ti sposti verso la strada principale: nel traffico sarà sicuramente più facile passare inosservati... non vorrai che qualche sbirro ti veda vero? Ma stai attento! Tieni d'occhio la strada, non ti distrarre uomo. Sei agitato. Cominci a sudare. Alzi il volume dello stereo. Il ritmo ti può aiutare a calmarti. Bene. La strada è libera. Accelera, dai gas. Sterza, schiva, sorpassa, sfiora, sensovieta, impreca, sfanala. La senti l'adrenalina eh? E ora chi ti ferma più?
E' questa musica che ti fa sentire così. Che può trasformare un semplice viaggio in macchina di ritorno dal lavoro in un'avventura da film poliziesco degli anni 70. Funk, la chiamano. Musica rozza, strana. Musica che ti fa ballare. Che non ti fa stare fermo. Musica sporca ma originale, libera dalle inibizioni. Funky, come quel modo di dire dei neri. Funky, come puzzolente, sporco, ma fottutamente sexy. Funky come l'odore del corpo in eccitazione. Funky come il suo inventore "Mr. Dynamite", detto anche "The King of R&B", il "Funky President", meglio conosciuto come “The Godfather of Soul”: Mr. James Brown. Assieme al suo collega, “The Prime Minister of Funk”, il leader dei
Parliament e dei Funkadelic, Mr. George Clinton. I due uomini più funky del pianeta. E il pulp? Il funk è l'anima del pulp. Non riuscirei a pensare al pulp senza il funk. Le sonorità ripetitive e sincopate, i controtempi delle chitarre macchiate di wah-wah e sporche di fuzz, la “voce” stretta, calda e soave, fredda e ghiacciata delle tastiere, le corse veloci dei fiati. Una musica che si aggancia perfettamente alle fughe adrenaliniche dalla “pula”, alle pistole nascoste sotto i sedili, agli sguardi sinistri, ai localacci fumosi di periferia, alle “brutte storie che si vedono da queste parti”. Il funk è controcultura, è violenza, è romanticismo, è sesso, è passione. È… pulp.
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di Elisabetta Badiello
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Verona l’arte diventa protagonista. Dal 6 al 10 ottobre ArtVerona misurerà il polso del mercato dell’arte moderna e contemporanea perché, prima fiera dopo la pausa estiva, anticipa gli appuntamenti d’inizio anno. Nata nel 2005 da un’idea di Danilo Vignati e Massimo Simonetti organizzatore di eventi d’arte il primo e gallerista il secondo – la manifestazione ha saputo ricavarsi uno spazio di rilievo tra gli eventi del settore coinvolgendo le maggiori gallerie italiane e diverse realtà internazionali. Anche per questa edizione è confermato il Premio Aletti rivolto ai nuovi talenti proposti dalle gallerie che li rappresen-
tano. Con il Premio Icona invece, una giuria sceglierà l’opera che diventerà l’immagine della successiva fiera. Si riconferma anche Indipendents, sezione ideata da Fuoribiennale e curata da Cristiano Seganfreddo, che si prefigge di dare visibilità a quelle realtà artistiche e culturali che si muovono in maniera autonoma rispetto al mercato dell’arte e non sono quindi legate ad un sistema istituzionale. Libere espressioni delle nuove tendenze. ArtVerona non è però un evento riservato esclusivamente agli operatori di settore, al mercato dell’arte e ai collezionisti ma è anche l’occasione per molti di avvicinarsi per la prima volta ad una realizzazione di arte contemporanea ed apprezzare novità e diversi linguaggi - sono presenti fotografia, videoarte, perfor-
mance - che possono essere colti tutti assieme, in un unico grande spazio. Il mercato italiano dell’arte rappresenta una consistente realtà economica e culturale in grado di proporre opere ed artisti di valore sia italiani che internazionali. La nostra abitudine a convivere con un patrimonio di storia dell’arte tra i più significativi al mondo ci rende sicuramente in grado di apprezzare anche le nuove tendenze e quella creatività che da sempre appartiene alla nostra cultura.
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alle prime luci dell'alba Paolo Armelli Paragonabili all’intensità di tanti buoni incipit di romanzo, ci sono anche molti inizi di film memorabili. Soprattutto se tratti da altrettanti buoni libri. Io ne ricordo con particolare vivezza tre. Alle prime luci dell’alba, una bellissima donna cammina fasciata in un abito nero da sera Givenchy e lunghi guanti scuri sulla Fifth Avenue a New York, soffermandosi di fronte alla vetrina di Tiffany. E’ Holly Golightly, impersonata dalla magnifica Audrey Hepburn, e così, sulle note di Moon River, inizia Colazione da Tiffany (1961), tratto da uno scritto notevole (e molto diverso dalla trasposizione cinematografica) di Truman Capote. Che dire poi delle scene iniziali di The Hours (2002) di Steven Daldry? Anche qui, una colonna sonora impressionante, quella del grande Philip Glass, e una donna,
anzi tre, le cui vite, in anni diversi, si assomigliano e si intrecciano: fra queste spicca quella di Virginia Woolf che, proprio nelle primissime scene del film, è ritratta mentre si toglie la vita affogandosi nel fiume Ouse. Niente è più intrigante di queste sequenze che si succedono a ritmo serrato dipanando già tutto l’intreccio del film. Ma forse pochi conoscono un altro film, questo ancora una volta classico. Alle quattro del mattino una grande diva dell’era d’oro di Hollywood si alza e inizia i preparativi che la porteranno sul set: prima una doccia bollente, poi un’energica strofinata col sapone, infine un’immersione nel ghiaccio imbevuto di alcool. Cosa si fa per non essere all’altezza. E’ l’incipit di Mammina cara (1981), biopic sulla stella del cinema Joan Crawford – qui interpretata da una splendida Faye Dunaway – tratta dalla bio-
grafia amara che ne fece la figliastra. Se avete nervi, è un film che merita. Sugli explicit dei film non si può ovviamente dire nulla, se no qui si svelano troppi finali. Vi dico solo che alla fine si scopre che era lo psichiatra ad essere morto, per quello il bambino lo vedeva.
Augusten Burroughs, Correndo con le forbici in mano (Bur) "Mia madre è sull'attenti davanti allo specchio del bagno e odora di lucido e di pronto; un misto di Jean Naté, gel Dippity Do e della dolcezza cerata del rossetto. La pistola bianca del suo fon è appoggiata sul cesto della biancheria sporca e ticchetta mentre si raffredda." * "Si è rivelata un'intuizione esatta e ora mio fratello si gode i suoi successi di promettente seconda carriera di fotografo professionista. Neil Bookman non fu più visto né sentito."
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NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI 80 DJ Chemikangelo
Compost/Schema records
Mi do i pizzicotti sulle guance qualche volta, perché non ci credo… Sembra che siamo tutti ritornati in un solo colpo indietro di un ventennio, musicalmente parlando. E avevano ragione gli italiani Afterhours con quella loro mitica canzone “Non si esce vivi dagli anni 80”, o almeno alla radio sembra proprio cosi’. Non vi è sembrato che questa estate, nelle frequenze radio nazionali, ci sia stata una valanga nostalgica di musica anni ottanta? Una miriade di canzoni, ritornelli, speciali dedicati sui migliori dischitormentone di venti anni fa, roba da far fischiare le orecchie per ore e ore; la manopola dell’autoradio gira nervosamente a destra e sinistra e le stazioni fm sputano fuori a caso Sandy Marton, Tracy Spencer, Spagna, Gazebo, Howard Jones, P.Lion, Modern Talking, Alan Sorrenti e Righeira. Sogno o son
desto? La musica estiva, ma il fenomeno ahimé dura oramai da parecchi lunghi mesi, è un variegato puzzle di canzoncine che ci hanno accompagnato durante i nostri anni alle scuole medie-superiori e l’effetto Nostalgia a pelle d’oca ci assale…Toni Esposito, Novecento, Den Harrow, Valerie Dore, Doctor & The Medics e altre decine di nomi sfilano via uno dopo l’altro via etere, e quei semplici ma accattivanti ritornelli ci fanno ritornare in pochi minuti indietro con i ricordi. Passeggiando sul lungo mare, nei discobars sulla spiaggia, nei centri commerciali semivuoti d’agosto, negli spettacoli musicali riempipista di piazza, lo spettro degli anni 80 si è fatto vedere e sentire; ad alto volume si muovevano i piedi a ritmo di Baltimora, Spandau Ballet, Simple Minds, Nik Kershaw, Rockets..come se il mondo si fosse fermato nel 1985, una strana pia-
cevole sensazione comunque. Quando a quei tempi ci si alzava per mangiare una girella assieme ad una tazza di Ovomaltina, poi si indossava lo zaino dell'Invicta e si andava a scuola in sella al Ciaino. Lì magari si giocava un pò con la gomma pane, durante la ricreazione si ascoltava un pò di Spandau grazie al mitico walkman. Poi si tornava a casa, giusto in tempo per vedere "Il Pranzo è Servito" di Corrado. Poi studio e via a giocare con il Commodore Vic 20 o a SuperMario o Donkey Kong alla sala giochi della piazzetta del paese. Poi ancora si giocava con il fucile a gommini e un pò di "celo celo manca" per completare l'album di figurine.... Infine a casa a guardare Happy Days e Hazzard… Riapriamo gli occhi e l’autoradio ci riporta indietro con gli Abba, Alan Parson Project, A-Ha, Queen, Heaven 17, Ultravox.... con quelle vec-
chie care musiche elettroniche di prima generazione, con i tastieroni e sintetizzatori colorati, con i primi effetti a pedale sulle chitarre elettriche, con quei parrucconi e creste punk, con l’epoca delle Timberland e dei giubbotti imbottiti per convincersi di essere un “paninaro”. Tutto passa e scorre via, ma state pur certi che sulle frequenze radio sentirete ancora per mesi e mesi le onde vibranti degli anni 80: le Bananarama, le Bangles, Culture Club, Toto, Talk Talk, Wham e i fratelli La Bionda vi perseguiteranno a lungo… Nostalgia, Nostalgia Canaglia.
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SPEAKER’S CORNER
LA SOLUZIONE DEL DEBITO PUBBLICO Marco Piazza Quest’estate, durante la canicola finanziaria che ha coinvolto il Belpaese, sono stato come raggiunto da una ventata di freschezza quando ho avuto il piacere di gustarmi per l’ennesima volta il film “Il Marchese del Grillo”, diretto nei primi anni ’80 da Mario Monicelli ed interpretato da un grandissimo Alberto Sordi. Brevemente, il film racconta alcuni giorni della vita di questo nobile nella Roma papalina del primo Ottocento, che trascorre le sue giornate nell'ozio più completo e che si diverte ad architettare una serie infinita di scherzi che prendono di mira chiunque, dai poveri mendicanti al Santo Padre. La vittima di uno di questi scherzi è un ebanista ebreo, Aronne Piperno, che non si vede pagare un lavoro commissionato dallo stesso Marchese… Ma leggiamo il dialogo del momento del saldo:
Marchese del Grillo: Aronne Piperno! Vieni, vieni, vieni avanti... Aronne Piperno: Riverisco Eccellenza! MG: Aronne tu lavori bene... AP: Grazie! MG: ...bella ‘a boisserie, bello l'armadio, belle ‘e cassapanche... Bello, bello, bello tutto... bravo... grazie... adesso te ne poi anna'... AP: Non ho capito, Eccellenza... MG: Ah n'hai capito, ho detto: adesso te ne poi anna'!! AP: Me ne devo anna'! Ma io c'avrei... MG: Che c'avresti? AP: ...il conticino! MG: Ah c'hai er conticino? E dammelo ‘sto conticino! AP: Ecco! [il marchese del Grillo strappa il conto di Aronne Piperno] MG: Ecco er conticino! Ecco fatto! AP: E perché l'ha strappato? MG: Embè? Che ce faccio?! AP: Ma come che ce faccio. E li
sordi miei? MG: Eh... nun te li do. AP: Come nun me li da? MG: E come? Voi sape' la procedura? AP: Sì sì sì MG: Io i sordi nun li caccio e tu nun li becchi. AP: Ah ho capito, me vo' fa uno scherzo... […] MG: Ecco bravo, chiamalo scherzo. AP: Lei è famoso per gli scherzi, ne raccontano tante... MG: E allora racconta pure questo, Piperno. AP: Ho capito, forse Eccellenza vole un po' di sconto. MG: No! Il Marchese del Grillo nun chiede mai sconti: paga o nun paga... e io nun te pago! Buttalo fori... Eccola la soluzione al debito pubblico italiano: “Io i sordi nun li caccio e tu nun li becchi.” Con un
piccolo sforzo di immaginazione è possibile individuare il personaggio-politico sempre in vena di scherzi che potrebbe pronunciare la frase ai mercati finanziari, e che credo non ne avrebbe il minimo timore: sarebbe per lui un meraviglioso canto del cigno. Ci sarebbe qualche piccola controindicazione a livello macroeconomico, però che soddisfazione lasciare a becco asciutto tutti quegli avvoltoi! A parte le battute, credo che la questione del debito pubblico italiano non sia un problema solamente economico, di aumento delle imposte, o di cessione del patrimonio pubblico, o di riduzione della spesa pubblica … Il problema è più sostanziale, è un problema di giustizia, in quanto coinvolge un conflitto ancora (ma per poco) latente fra diritti acquisiti e non. Ma partiamo dall’origine: il nostro debito pubblico mette le proprie
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radici negli anni ’70, in seguito alle giuste (ma ingorde) pretese sociali (istruzione, pensioni, sanità) di un popolo che aveva contribuito all’industrializzazione di un paese contadino, ma che non aveva trovato una classe dirigente capace e prudente nel gestire il cambiamento e i conti pubblici. Il debito intanto andava accumulandosi, finché l’Europa di cui siamo parte ha cominciato ad assillarci per una sforbiciata del debito (e non solo), da implementare in due modi: o vendendo il patrimonio pubblico, oppure limando la spesa. La prima soluzione (intrapresa nei primi anni ’90) non ha avuto effetti duraturi, ma ha solo messo una pezza temporanea. Per la seconda, come procedere nella riduzione della spesa pubblica? È difficile diminuire i servizi pubblici, già miseri, è impossibile licenziare (o trasferire) i dipendenti pubblici, data la natu-
ra del loro contratto di lavoro, né si possono diminuire o tagliare le pensioni in essere, che sono di fatto garantite. Ed è a questo punto (dove volevo appunto arrivare) e in queste condizioni economiche che si presenta un conflitto tra diritti acquisiti (molti) e diritti da acquisire (ormai pochi): che cosa succede quando per garantire i diritti acquisiti di alcuni (fin troppi) non si possono più garantire ai giovani gli stessi diritti (parlo dei diritti minimi) di cui le vecchie generazioni hanno goduto (fortunate loro)? Fortunate perché hanno ricevuto più di quello che spettava loro. Almeno finché il sistema regge. Ma la coperta è corta e l’inverno sta arrivando.
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PULP STORY
Alberto Saltini
Sono storie senza un perchè ma con un Quando e un Dove. Quando l'intorno si sta facendo sogno, dove, in fin dei conti, il sogno non c'è
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<prossima uscita>
ventiottobreduemilaundici
REDAZIONE: Nicolettamai albertofabris elisabettabadiello paoloarmelli federicotosato marcopiazza federicogobetti chemikangelo FOTOGRAFIA: Albertosaltini GRAFICA: Enricocapitanio | Editrice Millennium, piazza campo Marzo 12 Arzignano (VI)