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CONSORZIO IL
AGRARIO MILIA E STORIA FUTURO DELL’
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Il Consorzio Agrario dell’Emilia. Tra storia e futuro (1901-2013)
Il Consorzio Agrario dell’Emilia, in collaborazione con l’A., unicamente ai fini di una fedele ricostruzione storica aderente ai fatti ha deciso, in un’ottica di trasparenza, di consentire la citazione di alcuni stralci di verbali di delibere del Consiglio di amministrazione, peraltro risalenti a molti anni or sono, le cui decisioni hanno via via prodotto iniziative, poi realizzate, che da tempo sono note agli operatori del settore e a chi fruisce dei servizi del Consorzio Agrario.
Foto: Archivio fotografico del Consorzio Agrario dell'Emilia
Grafica e impaginazione: Fabio Pellizotti Finito di stampare nel mese di marzo 2013 presso: L6 LITOSEI s.r.l. - O fficine G rafiche Via G. Rossini, 10 - Rastignano (Bologna) www. litosei.com
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Prima parte – Dall’Italia pre-unitaria ad oggi. Sviluppo del sistema agricolo e consorzi agrari
Questo volume intende rappresentare un doveroso ringraziamento a tutti coloro – soci, agricoltori e collaboratori – che in questi 112 anni hanno contribuito alla nascita di questo grande Consorzio dell’Emilia, che si pone come punto di riferimento per l’agricoltura del futuro.
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Gabriele Cristofori
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Prima parte – Dall’Italia pre-unitaria ad oggi. Sviluppo del sistema agricolo e consorzi agrari
Indice
Introduzione
Parte Prima – Dall’Italia pre-unitaria ad oggi. Sviluppo del sistema agricolo e consorzi agrari Capitolo I. Le grandi trasformazioni dell’agricoltura italiana e il ruolo storico dei consorzi agrari 1.
L’avvio della modernizzazione dell’agricoltura dopo l’unificazione nazionale e la nascita dei consorzi agrari ..................................................... pag. 2. I grandi cambiamenti nella proprietà agricola in Italia .............................. ” 3. L’evoluzione della proprietà agricola in Italia dalla fine dell’ancien régime alla riforma agraria .......................................................................................... ” 4. Dalla riforma agraria ad oggi. Il sistema agricolo italiano tra localismo e globalizzazione ............................................................................................. ” 5. Nascita, sviluppo, eclissi della Federconsorzi ............................................. ” 6. Obiettivo efficienza: la nascita di “Consorzi agrari d’Italia” .................... ”
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Parte Seconda – Il consorzio agrario di Bologna. Vicende e protagonisti di oltre 110 anni di storia Capitolo II. Fatti, storie, protagonisti dal 1901 alla fine del secolo 1. Inquadratura storica. Un’agricoltura arretrata. Dalla crisi granaria all’inchiesta Jacini. Dai comizi ai consorzi agrari ....................................... ” 85 2. L’Italia e Bologna nel 1901. Il primo statuto del Consorzio Agrario Bolognese ......................................................................................................... ” 88
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3. Il primo anno di attività del Consorzio. Il ruolo della Banca Popolare di Credito, i soci, le merci .............................................................................. pag. 95 4. Il decollo dell’attività nei primi anni del nuovo secolo. Il ruolo tecnico di sviluppo del Consorzio nell’Italia giolittiana sconvolta dalle tensioni sociali ........................................................................................ ” 102 5. Gli anni Dieci e il dramma della Grande Guerra ....................................... ” 107 6. Dal fascismo alla Seconda Guerra Mondiale .............................................. ” 114 7. Echi di guerra. Gli anni del Consorzio dal secondo conflitto mondiale alla Liberazione ................................................................................................ ” 141 8. La Confederterra, vicina al Pci, vince a sorpresa le elezioni del Consorzio. Dopo alcuni mesi, l’ente è commissariato dal Governo .......... ” 164 9. La ricostruzione, il boom economico, l’epoca repubblicana. Il Consorzio Agrario di Bologna negli anni Cinquanta e Sessanta ................................. ” 171 10. Gli anni Settanta e la conferma del modello di sinergia con le coop ......... ” 190 11. Gli anni Ottanta. I cambiamenti internazionali, la modernizzazione del consorzio, il preludio al piano di razionalizzazione ............................. ” 194 12. Gli anni Novanta. L’affrancamento dalla Federconsorzi, l’acquisizione della Sis, e la politica dei poli territoriali ...................................................... ” 198
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Cronache fotografiche 1901-2012 ..............................................
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Parte terza – Dal Consorzio agrario bolognese (1901) al Consorzio agrario dell’Emilia (2012) Capitolo III. Il Consorzio agrario dell’Emilia. Una realtà proiettata nella moderna agricoltura 1. L’andamento dell’ente consortile bolognese nel primo decennio del 2000 e il piano di razionalizzazione ....................................................... 2. Il Consorzio agrario di Bologna, un ente a servizio dell’agricoltura sempre in bonis ................................................................................................. 3. La nascita del Consorzio agrario dell’Emilia .............................................. 4. Il Consorzio agrario di Reggio Emilia, una storia che s’incontra con quella del consorzio bolognese .....................................................................
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Prima parte – Dall’Italia pre-unitaria ad oggi. Sviluppo del sistema agricolo e consorzi agrari
5. Lo Statuto del Consorzio agrario dell’Emilia ............................................. pag. 273 6. Il Consorzio agrario dell’Emilia: il virtuosismo di una maxi-realtà ............ ” 278 7. Epilogo ............................................................................................................. ” 286 8. 9.
L’albo dei presidenti e dei direttori del consorzio agrario di Bologna (1901-1912) ...................................................................................................... ” 289 L’albo dei presidenti e dei direttori del consorzio agrario di Reggio Emilia (1933-2012) .......................................................................................... ” 291
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Fonti bibliografiche ....................................................................................
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Box 1. I monti frumentari, nummari e di pietà, embrioni medievali della mutualità rurale e dei consorzi agrari ........................................................... 2. Anno 1866, il preludio dei consorzi agrari. Nascono e si diffondono i comizi agrari per individuare leve di sviluppo a beneficio delle agricolture locali .............................................................................................. 3. I professori vanno in campagna. Il ruolo delle cattedre ambulanti di agricoltura .................................................................................................... 4. I contadini come classe sociale sui generis ..................................................... 5. Moro, lo statista del dialogo e la modernizzazione agraria ....................... 6. Il 1986, l’anno della paura. Chernobyl e il vino al metanolo .................... 7. Giovanni Raineri, un politico competente e illuminato nell’età giolittiana .......................................................................................................... 8. La politica degli ammassi. Dall’obbligatorietà stabilita dal fascismo al moderno conferimento cooperativo ........................................................ 9. Stefano Jacini, pupillo di Cavour. La diagnostica socio-economica in agricoltura nell’Italia riunita ...................................................................... 10. Bologna, via Carbonesi: il rogito del notaio Roversi. Il Consorzio Agrario Bolognese è ufficialmente una realtà ............................................. 11. Francesco Isolani, filantropo e promotore del Consorzio agrario bolognese ......................................................................................................... 12. Primo decennio del ’900. Le leggi sul credito agrario e il riconoscimento del ruolo dei consorzi agrari nel settore mutualistico-creditizio ..............
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13. Un nobile alla presidenza del Consorzio agrario bolognese, Antonio Masetti Zannini ............................................................................................... pag. 117 14. Il Littoriale, i rosso-blu che facevano tremare il mondo, Angelo Schiavio e l’epica Nazionale di Vittorio Pozzo ........................................... ” 120 15. La linea della “ruralizzazione” del fascismo. Autarchia, battaglia del grano, bonifiche ............................................................................................... ” 128 16. Un senatore del Regno alla guida del Consorzio Agrario Bolognese. Vittorio Peglion ............................................................................................... ” 135 17. Bologna dal 1943 al 1945. Storie di guerra civile ....................................... ” 148 18. Investigazione storica. 29 marzo 1945. Omicidio al Consorzio agrario. Ucciso a colpi di pistola il direttore Ferruccio Ragazzoni ........................ ” 151 19. La propulsione europea dello sviluppo rurale. La Politica agricola comune, il Feoga e le organizzazioni comuni dei mercati agricoli .......... ” 177 20. Filiberto Fantoni, un direttore pragmatico. L’exploit del consorzio agrario di Bologna dagli anni ’60 agli anni ’80 ............................................ ” 180 21. Il 1969, il miracolo economico, l’“Apollo 11” e l’allunaggio, Carosello e la contestazione, l’inflazione e l’inizio degli anni di piombo ................. ” 187 22. Nazareno Strampelli, il genetista dei frumenti che non aderì al “Manifesto della razza” .................................................................................. ” 270 23. La Società italiana sementi (Sis), punta di diamante nella ricerca di nuove cultivar di cereali ................................................................................... ” 279
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Prima parte – Dall’Italia pre-unitaria ad oggi. Sviluppo del sistema agricolo e consorzi agrari
Introduzione
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ato il 6 aprile 1901, in una Bologna dall’aspetto ancora quasi interamente ottocentesco, ma già in fase di trasformazione urbanistica in seguito al piano regolatore del 1889, attraversata da vie d’acqua e canali, punteggiata di manifatture, angiporti, ed antichi cortili, popolata da uomini con mantello nero, dame dai lunghi vestiti, carrozze e calessini, il consorzio agrario gettò un ponte tra quella città dove, con il nuovo secolo, si animavano palpitanti progetti di sviluppo, e una campagna ancora in larga parte intrappolata in secolari rapporti di dominio e sottomissione, che rendevano statica la produzione e ardue le condizioni di vita delle masse contadine. Appartiene a quell’atmosfera di entusiasmo e fermento per lo spirante vento positivista, così fiducioso nelle possibilità della scienza e della tecnica, insieme agli aneliti di un generale progresso della società e del suo sistema economico, pur spesso frenati da una politica nazionale in gran parte permeata di un liberalismo monarchico e diffidente nei confronti delle innovazioni, ma con interessanti avanguardie anche nelle frange conservatrici, l’iniziativa, illuminata, da parte di un istituto bancario, la Banca Popolare di Credito in Bologna, e del suo presidente, il nobile Francesco Isolani, di far nascere anche nella grande città emiliana un consorzio agrario, ossia un’istituzione che potesse dare un tangibile contributo allo sviluppo globale dell’agricoltura, sia come settore economico, sia come sistema di persone, attraverso la distribuzione a condizioni agevolate di quei mezzi tecnici (sementi selezionate, fertilizzanti adeguati, macchine ed attrezzi) che un modo di produzione arcaico non poteva permettersi, insieme all’assistenza tecnica, alla divulgazione ed al credito. All’epoca, altri consorzi erano appena stati battezzati o stavano per nascere in Italia, contemporaneamente a quello promosso dall’istituto di credito bolognese insieme ad un gruppo di notabili cittadini ed imprenditori agricoli, ma quello di Bologna fu uno dei primi, e seppe fin dal suo primo anno di attività mettersi in luce a livello nazionale, tanto da costituire a sua volta un esempio da imitare in altri luoghi della penisola, compreso il Meridione.
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Il numero di soci, il patrimonio, il volume di attività, la sensibilizzazione degli agricoltori della provincia aumentarono nel giro di un breve volgere di anni, e iniziò presto a manifestarsi anche la capacità dell’ente consortile di sviluppare ed intrattenere relazioni, spesso disinteressate, nei confronti di altri attori sociali del territorio, in primis locale, comprese le istituzioni benefiche, nei confronti delle quali manifestò apertura con iniziative solidaristiche. In quel periodo iniziale di attività, che a rievocarlo oggi attraverso i documenti rimasti, ingialliti dal tempo, e le rarissime immagini dell’epoca, appare quasi epico, il consorzio sapeva di dover superare un banco di prova, ma già allora consolidò la propria immagine di istituzione e di punto di riferimento del territorio, oltre che quella di cooperativa di uomini, connotato che continua a mantenere anche oggi, in un mondo nel quale si fatica a trovare le definizioni per raccontarlo (globale, post-moderno, liquido…). In realtà, l’ente superò brillantemente l’esame iniziale e i banchi di prova sarebbero stati di ben altra portata, dato che la sua traiettoria avrebbe inevitabilmente incontrato, negli anni successivi, innanzitutto i drammi dei due conflitti mondiali. A livello più generale, questa ricostruzione della storia del Consorzio agrario di Bologna, è l’occasione sia per ripercorrere gli incontri, gli interstizi e le tangenze con i principali cambiamenti storici di oltre un secolo, sia per approfondire, più nel dettaglio, l’evoluzione di un sistema essenziale per la società, ossia quello dell’agricoltura. La caratteristica che si colloca alla base di questa ricostruzione – avvenuta attraverso l’analisi delle principali fonti documentarie disponibili del Consorzio, soprattutto i preziosi verbali dei Consigli di amministrazione, le interviste a figure chiave e a testimoni, la ricerca di altre fonti bibliografiche e pubblicistiche – è quella di ricercare sempre – pur facendo i conti con spazi, tempi e risorse disponibili – il collegamento tra il particolare ed il generale, tra la storia locale e quella globale, tra le minuzie che solo gli addetti ai lavori possono riconoscere e gli eventi più noti. È emerso così l’itinerario di un’associazione di persone – oggi, fortunatamente, vitalissima e proiettata nelle complesse dinamiche future – che ha saputo valorizzare l’eredità lasciata dai padri fondatori: caso di studio economico, ma anche soggetto che si è confrontato con l’evoluzione storica, politica e sociale. Confrontandosi sempre quell’ideale di-apoliticità che stava anche alla base dell’originaria inclinazione della Federazione italiana dei consorzi
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agrari, il Consorzio ha dovuto anche, per forza di cose, fare i conti con la dialettica politica, con i diversi orientamenti delle rappresentanze agricole e di classe: tuttavia è innegabile che esso abbia contribuito – diventando per questo un organismo popolare, una sorta di rassicurante bussola per tutti gli agricoltori senza distinzioni di disponibilità e di appartenenza – all’estendersi della piccola proprietà e all’affrancamento da antichi gioghi di ascendenza feudale. Il Consorzio agrario di Bologna, appena diventato, senza dimenticare nulla delle proprie origini e della propria tradizione, una realtà più grande chiamata “Consorzio agrario dell’Emilia”, ha saputo attraversare l’epoca del ventennio fascista, con la statalizzazione imposta e l’annichilimento (temporaneo) dell’originario spirito cooperativo a servizio delle aziende agricole locali, le devastazioni della seconda guerra mondiale, e il trauma del venir meno di quella Federazione nazionale dei consorzi agrari che, pur avendo avuto molti meriti e pur essendo riuscita a diventare un’entità economica fra le più economicamente influenti, ha finito per dissolversi, anche a causa di una politica clientelare ed assistenzialistica, in una clamorosa eclisse. L’insegnamento che si trae dall’esperienza dell’ente bolognese è che, nonostante i problemi e le criticità emersi nella sua lunga traiettoria, sempre superati, gli elementi della ricerca di spazi di autonomia decisionale e della valorizzazione dell’esperienza accumulata non sono mai stati persi di vista. Ed è con questa riflessione che a tutti coloro che gestiscono e contribuiscono all’attività di questa istituzione, nello spirito dei pionieri del “Consorzio agrario bolognese”, auguriamo le migliori fortune. Per la realizzazione di questa ricostruzione storica è doveroso un ringraziamento a tutti coloro che vi hanno contribuito ed in particolare, in ordine alfabetico, ad Angelo Barbieri, Gabriele Cristofori, Filiberto Fantoni, Andrea Fuligni, Alessandro Grandi, Antonio Lelli, Adele Pollini, Luigi Mantovani, Claudio Mattioli, Annalisa Mengoli, Elena Pagliarulo, Carlo Pizzirani, Roberto Ragazzoni, Graziana Ronzoni. Si ringraziano anche Paola Furlan dell’Archivio storico comunale di Bologna, la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, il Comune di Bologna, la Questura di Bologna. Bologna, 19 ottobre 2012
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PARTE PRIMA ,
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Prima parte – Dall’Italia pre-unitaria ad oggi. Sviluppo del sistema agricolo e consorzi agrari
I. LE GRANDI TRASFORMAZIONI DELL’AGRICOLTURA ITALIANA E IL RUOLO STORICO DEI CONSORZI AGRARI 1. L’avvio della modernizzazione dell’agricoltura dopo l’unificazione nazionale e la nascita dei consorzi agrari
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omplesse e, potremmo dire, epocali trasformazioni hanno caratterizzato l’evoluzione di quello che è, par excellence, il sistema produttivo essenziale per le formazioni sociali e la loro continuità, ossia l’agricoltura – e il collegato settore della trasformazione industriale –, dato che da esso dipende il soddisfacimento dei bisogni primari degli individui, quelli alimentari, una questione congenita e connaturata della civiltà, che si collega, peraltro, con le dinamiche dell’intero eco-sistema e, inevitabilmente, con variabili di carattere ultimo, come le visioni del mondo e le cosmologie. L’oggetto di questo libro è la ricostruzione delle principali vicende che hanno caratterizzato il consorzio agrario di Bologna, la cui storia si colloca nell’ampio contesto che vide, tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, la nascita, in varie zone dell’Italia, soprattutto nel Settentrione, di molti altri enti consortili, in un panorama nazionale contrassegnato dalle necessità di trasformare un’agricoltura ancora in larga parte impostata su elementi arcaici e prevalentemente localistici, nella quale dominava una acuta stratificazione sociale e la proprietà fondiaria e la coltivazione, sottoforma di varie forme contrattuali, come la mezzadria e la locazione, servivano soprattutto alla mera sopravvivenza, oppure come strumento di conservazione di uno status sociale privilegiato, garanzia di appartenenza di ceto o trampolino per carriere. La nascita del Consorzio agrario bolognese, nel 1901, evento conseguente alla costituzione della Federconsorzi (1892), è da considerarsi un atto inserito nel lungo e fervente processo di spinta alla modernizzazione di una situazione dell’economia rurale italiana, che, dopo l’Unità d’Italia (1861) e con un’enfasi sempre maggiore in fin de siecle, poneva le necessità sia di una razionalizzazione scientifica, tecnica ed operativa del modo di fare agricoltura, sia della revisione di un assetto proprietario che suscitava
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un elevato tasso di conflittualità – molto spesso violenta – nelle campagne, e che era ancora largamente soggetto ad antichi retaggi da ancien régime. All’epoca, l’ancora prevalente orientamento positivista, alla ricerca di un miglioramento progressivo delle condizioni della vita civile, basato sulla fiducia nelle possibilità della ricerca scientifica e nei conseguenti esiti applicativi, faceva leva sul volano dell’accelerazione di azioni pragmatiche, volte sia ad un insieme di pratiche per un miglioramento di quelle caratteristiche strutturali del territorio italiano che frenavano la produttività agricola e le sue potenzialità – da cui i provvedimenti per la bonifica di territori paludosi, acquitrinosi, sortumosi, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, poi proseguiti in epoca fascista1 –, sia su idee e progetti per una più efficace organizzazione dei modelli produttivi. D’altra parte, essendo la questione agraria strettamente interrelata con decisioni di natura politica relative, in primis, alla strutturazione della proprietà fondiaria, ma anche a variabili di carattere economico come quelle sulla libera concorrenza, sulla determinazione dei prezzi, sui regimi di intervento di mercato, sulle caratteristiche dei contratti, la sua evoluzione dagli anni successivi all’Unità d’Italia, fino a tutto il corso del ‘900, ha finito inevitabilmente con l’incrociarsi e con l’essere condizionata dallo scontro tra forze politiche, in rappresentanza di diverse classi sociali e categorie professionali. I consorzi agrari furono lo stadio maturo di un graduale processo che aveva avuto i suoi prodromi nella nascita di varie società che avevano al centro dei loro interessi l’agricoltura, spesso emanazioni di organismi di studio ed accademie, con oggetti di riflessione, discussione e ricerca più generali come l’Accademia dei Georgofili (fondata nel 1753). Proprio nell’anno dell’Unità d’Italia, il 6 dicembre 1861, fu fondata una “Società agraria per la Lombardia” che si prefiggeva di creare varie sedi locali collegate (ed, in effetti, lo furono) nel territorio della regione. Nel settembre 1870, si svolse a Pistoia il primo Congresso degli agricoltori italiani, per iniziativa del barone Bettino Ricasoli, di Ubaldino Peruzzi, del marchese Luigi Ridolfi, e di vari accademici come Girolamo Caruso, 1. Tuttavia, la consapevolezza di dover guadagnare terreni dal recupero di zone impraticabili, incolte o boschive, era già concreta nel corso del 1700, come ben spiegato da G. L. Della Valentina nel saggio Padroni, imprenditori, salariati: modelli capitalistici padani, in P. Bevilacqua, Storia dell’agricoltura italiana, volume II (“Uomini e classi”), Marsilio, Venezia, 1990.
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Gaetano Cantoni, Antonio Zanelli, Francesco Carega, Giuseppe Toscanelli e vari altri2. «Il 15 aprile 1894 si tiene a Roma un partecipatissimo Congresso agrario nazionale, che aveva come scopo principale quello di chiedere al Governo un dazio protettore sul grano. Tuttavia, all’ordine del giorno, vi era anche la necessità di organizzare le forze agrarie nazionali allo scopo di avere una diretta e legittima rappresentanza degli interessi agrari e (…) di dare, a tale organizzazione, un carattere di continuità, costituendola al di fuori dell’influenza governativa, collegando gli enti agrari esistenti, anche con soli obiettivi tecnici, in una comune azione di tutela» 3 .
Per quel che riguarda, invece, l’aspetto del sostegno mutualistico all’agricoltura, e, per certi aspetti, dell’ammassamento cooperativo del frumento, si può risalire la china della storia, partendo da molto più indietro, ossia dall’epoca della nascita dei “monti frumentari”, una dizione questa, che è rimasta e si è trasmessa, nella cultura popolare oralmente trasmessa di generazione in generazione, al punto, talvolta, da essere utilizzata per indicare gli stessi consorzi agrari. Box 1. I monti frumentari, nummari e di pietà, embrioni medievali della mutualità rurale e dei consorzi agrari Si possono scomodare, andando a sondare le origini più remote dei consorzi agrari, la storia della cooperazione, le comunità dei primi cristiani, le fratellanze e le corporazioni medievali (secondo Luzzatti), le teorie utopiche di Tommaso Moro, Francis Bacon e Peter Cornelius. Secondo l’Enciclopedia Agraria Italiana, che continua ad essere il prodotto pubblicistico che fornisce la più articolata e completa definizione dei consorzi agrari, pur fino al 1950, «i Consorzi agrari sono (…) non la reminiscenza, ma i discendenti legittimi di quelli concordati nelle leggi e nei responsi del diritto romano. Quanto alle origi2. Vedi D. Saraceno, Il Consorzio agrario di Grosseto. Cento anni di vita per lo sviluppo della Maremma 1908-2008, Innocenti, Grosseto, 2008. 3. Ibid.
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ni immediate, e relativamente alle funzioni, esse sono da vedere nei Monti della Pietà di Fra Barnaba a Terni e Fra Bernardino da Feltre (1460-1480), nei Monti frumentari del cardinale Orsini, arcivescovo di Benevento (1697), e nei Monti granatici di Sardegna fondati verso il 1420 sotto Alfonso d’Aragona e riordinati ed integrati con i Monti nummari da Carlo Emanuele III di Savoia verso il 1770. Lo statuto del Monte di Reggio Emilia, del 1494, dice infatti che “se possa prestare a cittadini abitanti in la Citade et Contadini del Distrecto et Ducato”; quello del Monte di Pietà di Firenze, del 1496, consente anticipazioni “ad alcuni della città di Firenze, et a quelli del Contado”; nell’atto costitutivo del Monte dei Paschi di Siena, rogato da Notar Livio Pasquini nel 1623, si legge che “si deva aver principal cura, che il denaro si dia a chi sia per impiegarlo utilmente a prò delle case loro o a beneficio de’ negotii di campo e che possa juridicamente obbligarsi”. È da notare che nell’erogazione di prestiti ai contadini della Maremma, sorsero nel Magistrato del Monte perplessità sulle garanzie, per cui, con ordine sovrano del 2 dicembre 1734, si stabiliva che “messe a parte le difficoltà e pretenzioni del Magistrato, si effettuassero i detti prestiti”. E poiché risulta che quei prestiti servivano ai contadini per acquisti di sementi (da rimborsare con la messe) “è da riconoscere che l’Istituto esercitava già quella forma di credito che oggi suol chiamarsi credito agrario e che in altri tempi formò il compito dei Monti frumentari”. I Monti granatici o frumentari, poi, spuntarono in Sardegna, come si è accennato, verso il 1421, ai tempi di Alfonso V d’Aragona. Successivamente, verso il 1492, se ne riscontra uno nel comune di Macerata; nell’Italia meridionale, il cardinale Orsini, arcivescovo di Benevento, ne stimola ai parroci la formazione, con la pastorale del 14 febbraio 1697; e poi, eletto Papa nel 1724 con il nome di Benedetto XIII, spedisce apposita Enciclica ai Vescovi per la diffusione della benefica istituzione. Per avere un’idea dell’attività svolta a favore dell’agricoltura dai Monti, basterà ricordare che il Governatore di Sassari, in risposta ad un regio viglietto del 1° aprile 1767, con il quale si chiedevano notizie sulla decadenza dell’agricoltura, scriveva (a proposito dei Monti frumentari): “è da questi Monti
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che egli ripromette la emancipazione degli agricoltori poveri ed un vero duraturo progresso dell’agricoltura”. Vera e propria anticipazione dello scopo “di promuovere il miglioramento dell’agricoltura ed in benessere delle classi agricole” (…) della [futura] legge (…) sui Consorzi agrari. Ai Monti frumentari dopo poco tempo si unirono quelli nummari e di entrambi fu detto che dovevano essere considerati come “due rami della stessa opera”. Questi, poi, i nummari, oltre ad avere il fine, come i frumentari, di somministrare ai coltivatori diretti il grano per le semine da restituire all’epoca del raccolto, avevano quello di concedere in prestito attrezzi o sovvenzioni in danaro per sopperire “ai bisogni degli agricoltori nella compera dei buoni atti al lavoro della terra e degli attrezzi di agricoltura, e nelle spese di raccolta del prodotto de’ loro seminati”. Una statistica delle Opere Pie, del 1861, ha rilevato la presenza di 1690 Monti frumentari sparsi sul territorio italiano, meno le province napoletane: di essi 425 nell’antico Stato pontificio, Marche e Umbria; 109 in altre 38 delle 69 province del Regno; 12 nell’antico Stato di Sardegna; 82 in Lombardia; 15 nei Ducati di Mantova, Parma, Piacenza, Ferrara e Modena. Nessuno nella Liguria, nella Toscana e nel Veneto. Ora, tutti questi Enti che, allo scopo di sottrarre le categorie agricole meno abbienti all’esoso costo del denaro, si costituirono per esercitare un’azione calmierante, per dare a credito, con modico tasso, sementi, merci, strumenti e materiali di uso agricolo, e per fare agli stessi agricoltori prestanze in denaro, sono gli antesignani e i precursori dei Consorzi agrari, delle Casse rurali e del credito agrario d’esercizio in generale4 ed espressione, in campo rurale, della grande crociata contro l’usura. Ed è, al riguardo, da tener presente che il sorgere di queste istituzioni non aventi scopo di lucro, con finalità assistenziali a difesa della fatica rurale, denota la gravità di una situazione allora in atto, la mancanza cioè di ogni altro mezzo rivolto a soddisfare elementari esigenze economiche e sociali di un’agricoltura povera. Victor Hugo, in «Lotte sociali» dice che San Vincenzo de’ Paoli, comparso nella prima metà del ‘600 con le sue Figlie della Carità, sta a dimostrare che 4. Corsivo nostro.
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in Francia, a quel tempo, mentre infierivano morbi e pestilenze, non esisteva alcuna organizzazione ospedaliera e assistenziale a sollievo della popolazione, specialmente rurale. In Italia sono benemeriti di un movimento assistenziale, con particolare riguardo ai ceti rurali, Fra Barnaba da Terni e Fra Bernardino da Feltre, il Cardinale Orsini e Carlo Emanuele III di Savoia». Verso la metà del Settecento, scomparsi i Monti della Pietà, quelli frumentari e nummari, nacquero iniziative soprattutto culturali, come l’Accademia dei Georgofili, fondata dal canonico Ubaldo Montelatici il 30 luglio 1763, che si proponeva, tra l’altro, “di perfezionare e propagare l’agricoltura” ed altre istituzioni simili. «Ma, nel 1866, parve che le accademie avessero fatto il loro tempo, per cui dovettero restringere l’azione al campo prettamente accademico, oppure convertirsi in Comizi agrari. Sorgevano così, sotto tal nome, quelle istituzioni di diritto pubblico che hanno percorso e generato i Consorzi agrari della prima forma, quella cioè che oscillò tra la società del Codice 1865 ed i Syndicats agricoles di schema francese5». Tuttavia, in questo percorso, l’evento più rilevante da cui maturò l’idea di far nascere i consorzi agrari, fu l’istituzione, attraverso il Regio Decreto 3452 del 23 dicembre 1866, ossia cinque anni dopo la proclamazione dell’Italia unitaria, dei “comizi agrari”, organismi che dovevano essere presenti in ogni capoluogo di circondario, sostenuti con contributi dei soci e aiuti pubblici, la cui funzione era quella di presentare al Governo le innovazioni di ordine generale e locale che si consideravano in grado di migliorare le sorti dell’agricoltura, raccogliere le notizie che fossero richieste nell’interesse dell’agricoltura, fare opera di informazione tra i contadini per diffondere le coltivazioni migliori, i metodi più adatti alla coltivazione, gli strumenti più moderni e perfezionati, promuovendo esposizioni e concorsi di macchine e strumenti agricoli, esercitare azioni di controllo sul rispetto delle norme in materia di polizia sanitaria. 5. Dalla voce “Consorzio agrario” dell’Enciclopedia agraria italiana, Reda (Ramo editoriale degli agricoltori), Roma, 1954, volume II.
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Box 2. Anno 1866, il preludio dei consorzi agrari. Nascono e si diffondono i comizi agrari per individuare leve di sviluppo a beneficio delle agricolture locali «Sin dagli inizi del Risorgimento, e sempre più a mano a mano che nuove regioni si aggiungevano all’antico nucleo piemontese, fu sentita la necessità di promuovere in ogni provincia un’autorevole rappresentanza degli interessi agricoli. Esistevano, è vero, le varie Accademie agrarie, talune delle quali si erano rese veramente benemerite nel progresso agrario. Ma si trattava sempre di chiusi cenacoli di studiosi, ai quali non poteva essere riconosciuta la rappresentanza vera e propria dei ceti produttori. Nel settembre 1866 il Ministro dell’agricoltura nominava una commissione per lo studio del problema. Con d. 22 dicembre dello stesso anno si darà vita ai Comizi agrari, ai quali spettava di promuovere in senso lato il progresso dell’agricoltura. In particolare il comizio agrario aveva il compito di: – proporre al Governo le provvidenze di ordine generale e locale ritenute capaci di migliorare le sorti dell’agricoltura; – raccogliere e sottoporre al Governo le notizie che fossero richieste nell’interesse dell’agricoltura; – svolgere attiva opera di propaganda per far conoscere le migliori coltivazioni, i migliori metodi colturali, i più perfezionati strumenti, ecc.; – promuovere ed in genere stimolare concorsi ed esposizioni di prodotti, di macchine e di strumenti rurali; – vigilare sulle leggi e sui regolamenti di polizia sanitaria. La partecipazione al Comizio, costituito in ciascuna provincia, non era obbligatoria; ma ogni Consiglio comunale era tenuto a leggervi il proprio rappresentante. I mezzi finanziari provenivano dalle quote annue dei soci volontari e dai contributi delle pubbliche amministrazioni. Al Comizio era conferita piena capacità giuridica. Il regolamento alla legge (che è del febbraio 1867) è stato, varie volte, riveduto e completato, nell’intento di meglio adeguarlo alle necessità che l’esperienza andava suggerendo. Nel complesso, dati i tempi in cui le istituzioni operarono, i comizi possono essere considerati utili pionieri. La loro attività
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però è stata molto disuguale, slegata e discontinua: in talune province vennero ben presto in conflitto con le accademie, mentre in altre poterono stringere con esse proficui contatti. Alcuni comizi ebbero un proprio organo di divulgazione, vennero aperte per i soci sale di lettura, dove si tenevano frequenti conferenze e riunioni. Alcuni dei più fattivi assunsero anche funzioni di acquisto e di vendita di materie utili all’agricoltura, corredarono le sedi di gabinetti di analisi, di biblioteche, ecc. Molti comizi patrocinarono la costituzione delle cattedre ambulanti di agricoltura. L’attività commerciale in rapido progresso, per l’estendersi particolarmente delle concimazioni, trovò gran parte dei Comizi impreparati ed anche non idonei ad assumere responsabilità finanziarie. In questa fase sorge in Italia il movimento cooperativo dei Consorzi agrari, mentre si affermava quello dell’indirizzo tecnico e di propaganda delle Cattedre ambulanti di agricoltura e l’altro di studio delle Accademie. Con il sorgere ed il rapido affermarsi delle nuove istituzioni, il Comizio perdette progressivamente terreno. Nel 1923 ne venne decretato lo scioglimento e le funzioni ed il patrimonio furono devoluti ai Consorzi agrari ed alle Cattedre ambulanti»6 (dalla voce “Comizio agrario”, Enciclopedia agraria italiana, Reda, Roma, 1954). I comizi agrari più attivi, crearono “cattedre ambulanti”, ossia incontri didattici itineranti presso i borghi rurali delle province, attraverso i quali un laureato in scienze agrarie stipendiato, illustrava agli operatori agricoli le nuove metodologie. I più celebri divulgatori furono Tito Poggi, Giovanni Bizzozero, Vittorio Peglion7. Box 3. I professori vanno in campagna. Il ruolo delle cattedre ambulanti di agricoltura «Le cattedre ambulanti di agricoltura si sono affermate in Italia, nella loro forma tipica, a cominciare dall’ultimo decennio del 1800; ma il movimento che ha portato al loro originale diffondersi risale 6. Dalla voce “Comizio agrario” dell’Enciclopedia agraria italiana, cit., volume II. 7. Vedi Box 16.
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a molti anni prima, quando enti pubblici, società agrarie e singoli agricoltori – convinti che soltanto con la diffusione dell’istruzione agraria fra i proprietari, fra i capi di aziende e fra i contadini si sarebbe potuto conseguire un sensibile progresso agrario quale si era verificato in altri Paesi d’Europa – promossero riunioni, dissertazioni, conferenze e lezioni teorico-pratiche fra gli agricoltori, a volte con l’ausilio di campi sperimentali (…). Nel 1885 lo Stato istituì alcune Cattedre ambulanti specializzate aventi particolare ordinamento, in forza del quale le Cattedre stesse dovevano cambiar di sede ogni quindicennio. Nel detto anno cominciarono a funzionarne una per la viticoltura a Nicastro in Calabria e un’altra per l’enologia a Teramo. Successivamente le Cattedre furono portate a cinque, alle quali fu aggiunta quella di zootecnia e caseificio per la Basilicata, con sede prima a Montalbano Jonico e poi a Potenza. Intanto nel 1886 l’Amministrazione provinciale di Rovigo, riprendendo la precedente iniziativa, fondava una Scuola ambulante di agricoltura (…) Questa Cattedra e quella sorta l’anno successivo a Parma, direttore Antonio Bizzozero, allievo del Sanfermo, incontrarono il più grande fervore e dettero impulso al sorgere di altre Cattedre in molte province, specialmente dell’Italia settentrionale e centrale: a Bologna (1893) a Ferrara (1894) a Mantova, Novara e Piacenza (1895); a Cremona ed a Rimini (1896), ecc.; tanto che il numero delle Cattedre funzionanti salì rapidamente a 37 nel 1900 ed a circa 100 nel 1915. (…) I bilanci annui erano modestissimi; nella maggior parte dei casi si aggiravano sulle 6-9000 lire, con le quali si doveva sopperire al pagamento degli stipendi e ad ogni altra spesa. Il maggior contributo era quello delle province, ragguagliabile a circa il 40 per cento; lo Stato concorreva con una quota pari ai due o ai tre quinti dello stipendio del direttore; istituti di credito, comuni ed altri enti o associazioni conferivano il resto. (…) Le visite continue ai comuni delle campagne si effettuavano con i mezzi più semplici: dalla vettura a cavallo alle vecchie diligenze; dalla bicicletta al mulo (…). Con l’andar del tempo, ai molti vantaggi dell’organizzazione auto-
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noma delle Cattedre fecero riscontro numerosi inconvenienti (…) accentuati dalla scarsità dei mezzi finanziari e dal fatto del sempre maggiore ricorso che all’opera delle stesse faceva il Ministero dell’agricoltura per il disimpegno dei servizi statali. Così gli agricoltori, specialmente nelle zone più eccentriche e più lontane dal capoluogo, sede della Cattedra o della sezione, lamentavano di vedere troppo di rado i professori ambulanti e nei loro Comuni e nelle aziende agricole o trovavano le loro visite troppo fugaci (…). Con leggi e decreti successivi, fra il 1916 ed il 1924, furono di nuovo regolate la costituzione consorziale e l’ordinamento delle Cattedre; venne migliorato lo stato giuridico ed economico del personale (…) meglio disciplinati lo svolgimento dei concorsi, l’assunzione di incarichi estranei alle funzioni specifiche da parte del personale, la costituzione di nuove sezioni (…). Un decreto del 6 dicembre 1928, riuniva in t. u.8 le disposizioni sulle Cattedre fino allora emanate e dichiarava le Cattedre ambulanti di agricoltura, enti pubblici con personalità giuridica. (…) I consorzi per il mantenimento delle Cattedre ed i contributi finanziari erano dichiarati obbligatori e permanenti fra Stato, province e consigli provinciali dell’economia. Potevano così entrare a far parte dei consorzi, subordinatamente al benestare ministeriale, i comuni, gli enti morali e le associazioni sindacali agricole. Le Cattedre venivano così distaccate sempre più dalla loro funzione libera e originaria e dalla pur asserita autonomia (…) Il lavoro risultava sempre più svariato, eterogeneo, mal definito; spesso rasentava problemi e attività di natura politica. (…) Le Cattedre erano (…) gradatamente sospinte verso la statalizzazione, alla quale si giunse nel 1934 con l’istituzione dei Regi ispettorati agrari provinciali. Questi prendevano il posto delle Cattedre, le quali, con il d. l. 13 giugno 1935, n. 1120, vennero soppresse»9. Particolare importanza ha avuto il Comizio agrario di Cremona: nella città lombarda, ad esso è stata intitolata una strada. 8. Testo unico. 9. Dalla voce “Cattedre ambulanti di agricoltura”, Enciclopedia agraria italiana, cit., volume II.
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I comizi agrari, che si rifacevano all’esperienza francese (in Francia, il 31 maggio 1833, fu dato il via, per legge, alla costituzione dei comices agricoles), rimanevano tuttavia iniziative, pur virtuose, che, per quanto intendessero compiere un passo in avanti rispetto alla difficoltà di traduzione pratica delle discussioni e delle teorie elaborate nelle varie associazioni agrarie (come quella di Torino), società degli agricoltori e accademie d’agricoltura che nascevano nel corso del 19° secolo, non riuscivano a porsi come anello di collegamento pratico con la produzione agricola. Gli agricoltori dovevano invece risolvere problemi sia economici, per l’acquisto di mezzi tecnici, sia di tecnica agronomica, ad esempio per l’individuazione di metodologie e strumenti per la preparazione dei terreni, la difesa delle colture, la miglior resa di esse in campo. «Nato dal Comizio, il Consorzio non perse mai in seguito le ragioni prime che l’avevano generato, pur compiendo grandi mutamenti (…). Nacque così come esigenza di un ambiente particolar mente vivace (…) verso quella che potremmo invece definire (…) “razionalizzazione tecnico-commerciale”. Slancio economico e svolta politica parevano offrire una possibilità irripetibile di modernizzazione in Italia e fuori. A quel punto l’associazionismo agricolo riconosceva le difficoltà attraversate dalle imprese rurali nell’inseguire l’innovazione e nell’affrontare il mercato, intravedeva la concorrenza di altre for me più comode di investimento legate alla rendita pubblica ed alla speculazione fondiaria, e cercava di realizzare una catena efficiente e razionale dalla produzione al commercio di nuovi prodotti. La crisi agraria degli anni precedenti e il nuovo slancio inducevano a sperimentare una for mula di acquisto in comune che attecchiva in tutti i Paesi avanzati, dando origine però ad una varietà di for me organizzative e di equilibri tra i vari momenti politico, economico, associativo. Di questo atteg giamento furono punti di riferimento soprattutto le grandi esperienze di associazione (…) nell’Italia settentrionale, e, tra tutte, quella realizzata a Piacenza che fece da capofila all’ag gregazione di altri Consorzi, costituendo nel 1892 la Federazione Nazionale dei Consorzi Agrari.» 10 .
10. F. Bertini, Organizzazione economica e politica dell’agricoltura nel XX secolo. Cent’anni di storia del Consorzio agrario di Siena (1901-2000), il Mulino, Bologna, 2001.
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Già nel 1885, comunque, il Comizio agrario di Piacenza, organizzò una “Sezione per gli acquisti collettivi”, curata da Giovanni Raineri, che costituì uno degli spunti per la creazione della Federazione Nazionale dei Consorzi Agrari (o Federconsorzi), nel 1892. In ogni caso si deve alla preziosa esperienza maturata dai comizi e dalla loro linfa, la nascita della lunga traiettoria dei consorzi agrari italiani. «La grande lezione culturale e pedagogica che confluì nei Comizi rappresentò uno dei momenti migliori dell’iniziativa liberale per la formazione dello Stato italiano a pochi anni dall’Unità. Fu così in sé e nella funzione di raccordo con le tante esperienze spontanee di aggregazione ed educazione agricola che si formarono sul campo, nel solco delle grandi istituzioni come (…) le varie società ed Accademie agrarie» 11.
Essi – organizzazioni di agricoltori in forma di società cooperative, su base provinciale o interprovinciale, per l’organizzazione di beni e servizi utili all’attività delle aziende agricole e all’immissione sul mercato delle loro produzioni –, dalla loro nascita, oltre un secolo fa, hanno attraversato la storia del ‘900 e hanno fatto i conti con i principali accadimenti storicopolitici di questo secolo, fino ad affacciarsi, alla congiuntura attuale, in una situazione di intricate modificazioni dell’agricoltura e del sistema agroindustriale, dando un contributo essenziale all’evoluzione del settore primario e seguendo i cambiamenti (e le sfide) delle aziende agricole. Il Consorzio agrario, ha notato F. Bertini, è «prima di tutto azienda», legato «con il mondo della proprietà e dell’impresa agricola», ma anche «con l’aristocrazia, con un mondo cioè capace (…) di esercitare un forte ruolo propulsivo nella politica e nell’economia». Esso ha dato il proprio contributo alle «soluzioni dei problemi di difesa e sviluppo della produzione, alla meccanizzazione», fino a giungere «ai grandi silos in cemento armato (…), ai modelli avanzati di mieti-legatrice, alle macchine del secondo dopoguerra, le sofisticate trebbiatrici e mietitrebbiatrici, fino alle cabine di guida con l’aria condizionata, alle centraline elettroniche per il controllo dei parassiti vinicoli (…)12». Gli enti agrari consortili, nati come funghi, soprattutto nell’Italia set11. F. Bertini, op. cit. pp. 29-30. 12. Ivi, pp. 31-32.
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tentrionale, agli inizi del 20° secolo, hanno saputo diventare fin da subito un punto di riferimento per aziende agricole piccole e grandi, per proprietari terrieri, coltivatori diretti e contadini, grazie alla loro capacità di porsi come intermediari tra la vendita e l’acquisto di sementi, attrezzature, fertilizzanti, commodity soprattutto cerealicole, e ponendosi progressivamente come protagonisti dell’ammasso e dello stoccaggio. Basta esplorare anche i piccoli paesi di provincia, della pianura e della montagna, per rendersi conto di quanta capillarità territoriale abbiano saputo raggiungere. L’agenzia periferica del consorzio agrario, nel piccolo paese, spesso superstite con vecchie strutture delle quali non si sa ancora bene cosa fare – ma che potrebbero essere oggetto anche di idee di recupero e riqualificazione nel novero della salvaguardia delle testimonianze di architettura agricola o logistica – con tratti estetici e cromatici immediatamente riconoscibili (ad esempio, ricorrente è l’esempio delle originali finestre ad oblò), continuano a rimanere un topos della memoria collettiva, come la chiesa, la farmacia, il teatro comunale: pur in un momento storico nel quale le cose sono cambiate, con le piccole agenzie che scompaiono, ormai obsolete, verso grandi centri multifunzionali ed attrezzati, le tappe storiche dei consorzi agrari che si insediavano anche nei piccoli Comuni, continuano a presentarsi agli occhi con le loro reminiscenze ed a raccontare la propria storia. Una storia che parte da lontano, ma che vede nella strutturazione della proprietà agricolo-contadina e nel suo rapporto con il progresso della tecnologia agricola – ma anche, come si diceva, con le visioni del mondo, le credenze e gli ideali, il legame ancestrale con un passato trasmesso di generazione in generazione, le cosmologie e i riti – e con le dinamiche del mercato, uno degli aspetti determinanti. .A, 2. I grandi cambiamenti nella proprietà agricola in Italia
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a situazione strutturale dell’agricoltura italiana di oggi, vede la prevalenza della piccola proprietà agricola con le aziende di tipo contadino a conduzione diretta familiare che rappresentano la realtà più diffusa. Negli ultimi cinquanta anni, inoltre, l’Italia è stata interessata da un fenomeno di drastica riduzione della superficie agricola totale (dai circa
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26,6 milioni di ettari del 1961 ai 19,6 del 2000 fino ai 17,2 del 2010), della superficie agricola utilizzata (dai 17,5 milioni di ettari del 197013 ai 13,2 del 2000 fino ai 12,9 milioni del 2010), e del numero complessivo di aziende agricole censite nel Paese (dai 4,3 milioni del 1961 agli 1,6 milioni del 2010). Nei circa venti anni intercorrenti tra il 1961 ed il 1982, l’Italia ha perso oltre 3 milioni di superficie agricola utile, equivalente all’area territoriale di due regioni come Emilia Romagna e Lazio. Questo valore è andato progressivamente dilatandosi, raggiungendo una differenza di 4,6 milioni di ettari secondo i dati del Censimento dell’agricoltura dell’Istat del 2010. In Emilia Romagna, la regione nella quale opera, fin dalla sua fondazione, il Consorzio agrario di Bologna (dal 2012, Consorzio agrario dell’Emilia, dopo l’accorpamento tra il Consorzio agrario di Bologna e Modena con quello di Reggio Emilia14), la superficie agricola totale è passata dagli 1,9 milioni di ettari del 1961 agli 1,4 del 2010, quella utilizzata dagli 1,3 milioni del 1961 agli 1,06 milioni del 2010 e le aziende agricole attive si sono ridotte ad essere, nel 2010, 73.441 rispetto alle 242.770 del 1961 (la contrazione decennale più consistente è stata quella che si registrata, nel dettaglio, tra il 2000 e il 2010, con il -31 per cento: il calo più significativo, dal 1970 al 2010, delle aziende agricole, inoltre, si è verificato nelle aree montane, con il -42,3 per cento, mentre in pianura la riduzione è stata del -27,8% e in collina del -32,4%). La dimensione media delle aziende agricole, in Italia, si attesta su poco meno di 8 ettari nel 2010, rispetto ai circa 5 di dieci anni prima. Nelle regioni del nord-ovest, nel 2010, raggiunge mediamente i circa 14 ettari, mentre nei territori del Mezzogiorno è di circa 5 ettari15. La grande modificazione del sistema primario nel corso del secolo appena trascorso e del primo decennio di quello appena iniziato è, d’altra parte, ben illustrata anche dal dato degli occupati in agricoltura, nelle forme più varie: nel 1900, quando era in fase di avvio la formazione dei consorzi agrari italiani, su una popolazione censita di 33,5 milioni di abitanti, il 43,8 per cento risultavano essere dediti ad attività agricola. Oggi, 13. Il dato Istat sulla Sau relativo all’anno 1961 non è disponibile. 14. Vedi la Parte terza. 15. Per tutta questa parte si veda R. Fanfani, R. Pieri, Il sistema agro-alimentare dell’Emilia-Romagna. Rapporto 2011, Maggioli, Santarcagelo di Romagna (Rimini), 2012, pp. 424-426.
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su una popolazione quasi raddoppiata (60,6 milioni il 1° gennaio 2011), le persone che operano in agricoltura, in Italia stentano a raggiungere il 5 per cento. Nel sistema agricolo nazionale attuale, inoltre, ampiamente inserito in una dimensione internazionale, spesso è stata sollevata la questione della dimensione media troppo piccola delle aziende agricole e comunque inferiore a quella di altri grandi Paesi europei. Si stanno osservando, tuttavia, negli ultimi anni, sia tentativi di accorpamenti ed aggregazione tra varie realtà aziendali, sia sforzi individuali per aumentare le superfici disponibili per le coltivazioni attraverso l’acquisto o l’affittanza di terreni. Nello specifico, inoltre, il fenomeno che sta interessando l’Italia, come del resto gli altri Paesi specialmente ad economia avanzata, di una progressiva erosione delle superfici agricole disponibili, si è tradotto in un tendenziale trend al rialzo dei prezzi dei terreni agricoli: a livello generale, come ha esemplarmente fatto notare Paolo De Castro, l’aumento della popolazione mondiale, che secondo le stime della Fao passerà dagli attuali 6,9 miliardi di abitanti a 9,1 miliardi nel 2050, ha ingenerato un processo di febbrile accaparramento di terre coltivabili, anche potenzialmente, come nel caso di quelle ancora incolte o da sottoporre a studi circa le loro potenzialità – con inevitabili conseguenze dal punto di vista della competizione in tale percorso fra diverse realtà –, per renderle disponibili al sistema agricolo ed agro-alimentare16. L’altra grande trasformazione avvenuta in Italia in agricoltura è quella relativa all’assetto di proprietà delle aziende agricole. Com’è noto, il più grande passaggio è stato quello della pressoché totale scomparsa della mezzadria, ossia di quel contratto agrario associativo tra un proprietario di un fondo (concedente) ed un mezzadro, di cui parla l’articolo 2141 del Codice civile, per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse da parte del mezzadro, che rappresenta anche la propria famiglia (famiglia colonica) con la condivisione di prodotti ed utili. Questa forma contrattuale – alla quale se ne affiancano, secondo quanto regolato dal Codice civile, altre, come la colonia parziaria (arti16. P. De Castro, Corsa alla terra. Cibo e agricoltura nell’era della nuova scarsità, Donzelli Editore, Roma, 2011.
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colo 2164) e la soccida, in zootecnia – nata in varie parti d’Europa nel basso Medioevo e che ebbe un notevole grado di diffusione in Italia, dopo lunghe vertenze, fu dapprima abolita, con esplicito divieto di stipulazione di nuovi contratti e modifica della disciplina civile sul tema, con la legge numero 756 del 15 settembre 1964, mentre, data la permanenza di contratti già precedentemente stipulati e la pur sporadica sopravvivenza di questo istituto anche negli anni successivi, la legge numero 203 del 3 maggio 1982 ha stabilito la conversione volontaria o automatica dopo 10 anni dall’annata agraria successiva all’entrata in vigore della legge, del contratto di mezzadria in contratto di affitto. Le motivazioni di questa decisione, nel più generale contesto della riforma agraria, di cui parleremo in seguito, sono sottese all’oggettività intersoggettiva del riconoscimento del fatto che questa forma di contratto agrario, che assicurava una rendita al proprietario del terreno concesso in mezzadria, lasciava nella maggior parte dei casi il contadino privo di terra o mezzadro in una condizione di miseria ed estrema precarietà, come raccontato con sublime poesia dal regista Ermanno Olmi nel suo film L'albero degli zoccoli (1978) frenando, in fin dei conti, il progresso, l’iniziativa imprenditoriale e la ricerca del miglioramento della produttività e della qualità in un’agricoltura che ha continuato a mantenere per decenni grandi sacche di puro orientamento ad una perpetuazione senza innovazione, da una parte, e alla sussistenza, dall’altra. Negli anni in cui sorsero i consorzi agrari, in Italia, il sistema agricolo era caratterizzato da una sostanziale divaricazione tra una proprietà agraria spesso di carattere latifondistico e un mondo contadino costretto a vivere, nella maggior parte dei casi, in condizioni di sussistenza. Come ha rilevato F. Bertini in Organizzazione economica e politica dell’agricoltura nel XX secolo, «il sistema della mezzadria (…) era dominante, e radicato tanto nella cultura contadina che nella visione politico-sociale dei proprietari». «Era quello il nodo gordiano: la funzione e il ruolo della mezzadria, il difficile comporre la funzionalità sociale del rapporto con le esigenze del progresso agricolo» 17 .
17. Vedi a pagina 28.
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E M. Ascheri, nella Presentazione di questo ultimo libro, ha osservato come i consorzi siano nati in un contesto di forte conflittualità sociale, tra i mezzadri e la proprietà fondiaria, spesso di carattere latifondistico, che si è evoluto con la scomparsa quasi definitiva della mezzadria e del latifondo, e l’affermazione di un mondo di piccoli produttori specializzati. Si è passati dal mondo mezzadrile delle colture promiscue ed estensive e dominato dal paternalismo conservatore degli agrari per lo più di origine nobile, ad altissima conflittualità sociale, ad un ambiente contraddistinto da una miriade di aziende a conduzione soprattutto diretta, i cui titolari hanno diversissime origini sociali e culturali, «ma sono in gran parte assimilati (anche se non proprio omogeneizzabili) anche politicamente dalla complessità attuale del mondo economico, tecnico e normativo dell’agricoltura nel contesto della globalizzazione e dai comuni problemi di categoria». .A, 3. L’evoluzione della proprietà agricola in Italia dalla fine dell’ancien régime alla riforma agraria
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a tappa fondamentale fu la progressiva abolizione del sistema feudale indotta dalla prima rivoluzione francese (1789), che determinò la nascita di un nuovo ordine nel quale si trovavano i presupposti per un cambiamento della struttura della stratificazione sociale, dove, fino ad allora, la stragrande maggioranza dei contadini – rientranti, insieme alla borghesia non nobile, nel cosiddetto terzo stato, che raggruppava circa il 98 per cento della popolazione – erano costretti ad un regime di semischiavitù e, oltretutto, a pagare tributi sovente assurdi e vessatori, mentre il primo e secondo stato, rispettivamente clero (alto e basso) e nobiltà, ne erano in larga parte esonerati. La diffusione delle idee illuministe – basate su razionalismo, egualitarismo e contrattualismo18 –, insieme ad una situazione congiunturale che si era fatta insostenibile per poveri e contadini, con raccolti andati in rovina, avversità climatiche e prezzo del pane salito alle stelle (e ciò
18. La filosofia che si oppone all’assolutismo e crede in un contratto, possibilmente democratico, sottoscritto, tra popolo e governo.
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conferma come, da sempre, la questione dell’agricoltura e delle politiche agricole ed alimentari sia dirimente, fino a sottintendere le fondamenta di un certo ordine sociale), fecero incubare un movimento rivoluzionario che scardinò il rapace status quo feudale e la monarchia “di diritto divino” (in Francia, rappresentata, in quegli anni, da Luigi XVI), dando vita ai presupposti per un nuovo assetto sociale, che, fra anime liberaldemocratiche e massimaliste-egualitarie, finì con il dare via libera allo sviluppo di una nuova classe borghese, ponendo le basi per un tendenziale processo di mobilità sociale, sostanzialmente non contemplata nel precedente regime castale di matrice feudale. Questo evento indusse effetti a catena anche altrove, come in Italia, Paese peraltro lacerato, per lunghi secoli, prima della sua unificazione, dal dominio di popoli stranieri. La dialettica tra posizioni conservatrici e progressiste, tra anime rivoluzionarie e revansciste, si prolungò per i secoli a venire e, possiamo dire, continua a contraddistinguere, pur in un quadro assolutamente diverso e modificato, anche il dibattito contemporaneo. Sta di fatto che quel fenomeno rivoluzionario, determinò lenti e progressivi effetti anche sul sistema agricolo e sul suo assetto proprietario. Anche nella penisola, gli eventi rivoluzionari della Francia, insieme ad un generale processo di cambiamento sociale, determinarono ripercussioni sulle caratteristiche della proprietà in agricoltura. «Fino alla fine del secolo XVIII le strategie patrimoniali delle famiglie nobiliari si erano fondate soprattutto su una forte immobiliarizzazione terriera delle loro fortune e su una struttura rigidamente patriarcalautoritaria dei rapporti familiari» 19 .
Tra la fine del 1700 e il 1814, in diverse regioni italiane, furono acquistati numerosi terreni di borghesi, mercanti, finanzieri, anche in seguito al processo di messa in vendita di beni nazionali. Fino alla fine del 18° secolo invece, la mobilità dei terreni era scarsissima data la persistenza di sistemi successori patrilineari esclusivi, come il fedecommesso e il maggiorascato, che ne frenavano la libera circolazione sul mercato; inoltre è noto come «le 19. A. M. Banti, I proprietari terrieri nell’Italia centro-settentrionale, in P. Bevilacqua, Storia dell’agricoltura italiana, volume II (“Uomini e classi”), op. cit.
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strategie patrimoniali delle famiglie nobiliari escludessero completamente qualunque forma di sensibilità produttivistica»20. La graduale presa di distanza dei giovani di famiglie nobili dal matrimonio d’interesse, con il dilagare di decisioni di contrarre unioni matrimoniali indipendentemente da qualsiasi forma di pianificazione patriarcale, fece moltiplicare le famiglie in regime di egualitarismo successorio, e anche questo fenomeno contribuì a introdurre dei mutamenti nella distribuzione della proprietà agraria. In seguito alla rivoluzione francese, furono inferti «colpi formidabili alle vecchie legislazioni feudali, fondando i diritti elettivi della libera proprietà (…) sottraendo masse ingenti di beni fondiari ad antichi usi e consuetudini, immettendo in un circuito inedito di mobilità il bene terra (…)», certificato di prestigio, pedina dell’ascesa sociale, spesso la condizione della professione urbana o della carriera politica. Ai primi dell’800, per iniziativa dei governi napoleonici, e anche nella seconda metà del secolo, per intervento dello Stato unitario, una grande massa di beni terrieri e rustici di diversa provenienza e natura fu liquidata, spartita, messa in vendita21. Tanto per fare un esempio, emblematico della trasformazione innescata, a Bologna e nel suo territorio, i nobili che nel 1789 possedevano il 53% della superficie, si trovavano a detenerne il 48% nel 1804 ed il 34,5% nel 1835; d’altra parte le proprietà della borghesia incrementarono il loro peso, passando dal 26% del 1789, al 36% del 1804, ed al 54% del 183522. Dal punto di vista della rappresentanza politica, pur predominando un sistema di tipo nobiliar-revanscita piuttosto che borghese-progressivo, nel quale la proprietà, e non il merito, rappresentava il criterio elettivo per la determinazione dell’identità della classe dirigente, cominciarono ad originarsi indizi di trasformazione. Nel 1882 il sistema elettorale fu modificato e, mentre nel periodo 1861-76, il 43% del personale di governo era costituito da membri di famiglie nobili, dal 1876 al 1903, questa percentuale scese al 16%. Già in epoca molto antecedente, in Italia (secoli 16° e 17°), si 20. Ibid., p. 56. 21. P. Bevilacqua, Introduzione al volume Storia dell’agricoltura italiana, volume II (“Uomini e classi”), op. cit. 22. A. M. Banti, I proprietari terrieri nell’Italia centro-settentrionale, op. cit., p. 61.
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assistette ad una prima ripresa della formazione di piccola e media proprietà contadina, resa possibile da enfiteusi e colonie perpetue ad meliorandum: tuttavia la grande proprietà agraria si divideva tra nobiltà e possedimenti demaniali, feudali, ecclesiastici23 e, solo con gli effetti suscitati dalla rivoluzione francese, si determineranno i germi del cambiamento. Ciononostante, ancora tra la fine del 19° e gli inizi del 20° secolo, il quadro era contraddistinto dalla grande divaricazione tra proprietà latifondistica, da un lato, e la piccolissima e particellare proprietà dall’altro, insieme ad una grande massa di braccianti, mezzadri o contadini senza terra, e ad uno strato definibile come medio, di proprietà borghesi minori e non di carattere latifondistico. La diffusione del latifondo, sistema di proprietà di grandi estensioni di terreni agrari, dei quali ampie aree, molto spesso, erano lasciate a regime scarsamente produttivo, come prato, pascolo, arboricoltura mista e non specializzata e maggese, basato sul modello feudale e dell’economia curtense definibile come Grundherrschaft, ossia di “signoria fondiaria”, diffuso particolarmente nel Mezzogiorno e in particolare in Sicilia, ma con presenze significative anche nel Centro e nel Settentrione, persistette fino agli anni Cinquanta del ‘900, quando furono avviate le azioni decisive per il suo sradicamento con la riforma agraria. I nomi dei grandi latifondisti italiani sono quelli dei Borghese, Torlonia, Zucconi, Tittoni, Riario Sforza, D’Avalos nel Mezzogiorno e nel Centro, insieme ai moltissimi del Nord, come Maria Beatrice Cybo D’Este, o del marchese Riva di Mantova, tanto per citarne solo alcuni pochi24. L’orientamento al possesso dei terreni come elemento di status symbol e veicolo di ascesa sociale fu peraltro proseguito, sulla scia del retaggio nobiliare, soprattutto nel 19° secolo, dagli emergenti ceti borghesi, ma attorno al 1919, insieme ai nobili, anche i borghesi, in seguito ai ripetuti episodi di occupazioni di latifondi da parte dei contadini, spesso oggetto di feroci repressioni, si convinsero a cedere parti dei loro 23. G. Massullo, Contadini, la piccola proprietà coltivatrice nell’Italia contemporanea, in P. Bevilacqua, volume II, op. cit. 24. S. Lupo, I proprietari terrieri nel Mezzogiorno, in P. Bevilacqua, Storia dell’agricoltura italiana, volume II (“Uomini e classi”), op. cit.
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possedimenti, tanto che, «tra il 1919 e il 1933 oltre 948mila ettari, pari al 5,7% dell’intera superficie lavorabile nazionale, passarono nelle mani di 500mila famiglie contadine, delle quali circa un quarto proprietarie per la prima volta»25. Nei primi decenni del Novecento dunque, la piccola proprietà contadina fece un grande balzo, incentivata anche dalla «politica di sbracciantizzazione portata avanti dal fascismo» (che prese il potere nel 1922), con forte incremento di affitto, colonia parziaria e mezzadria. Alla fine della seconda guerra mondiale, la piccola proprietà coltivatrice interessava quasi il 40% dell’intera filiera produttiva nazionale appartenente a privati26. Una delle questioni cruciali, era la necessità di passare compiutamente da una concezione della proprietà terriera come strumento non incentrato su un orientamento produttivista e di sviluppo delle rese, della capacità di difesa, della qualità, ma su logiche di altro tipo – come quella, si è visto, dello status symbol e della terra come fattore di prestigio e di ascesa sociale o mantenimento di status o posizione cetuale –, ad un sistema fondato sulla coltivazione diretta dei terreni, sugli investimenti in nuove colture e in mezzi di produzione, sulla creazione di filiere, e di uno spirito imprenditoriale anche da parte di piccoli agricoltori. Non a caso, nel sistema tradizionale, i proprietari terrieri erano spesso privi di forme anche rudimentali di cultura agronomica, non investivano in figure professionali in grado di dare slancio ad una forma di conduzione dei terreni che si fondava sulla concessione a contadini considerati ancora alla stregua dei servi della gleba di derivazione feudale, costretti ad una condizione di sussistenza, e si mostravano spesso indifferenti anche nei confronti delle coltivazioni estensive – come la cerealicoltura – e specializzate, a favore spesso, di scelte passive che facevano proliferare gli incolti o i prati-pascoli. Più in generale vi era da affrontare la cosiddetta questione contadina, sollevata anche da Antonio Gramsci nel più vasto contesto della “questione meridionale”27.
25. G. Massullo, Contadini, la piccola proprietà coltivatrice nell’Italia contemporanea, in P. Bevilacqua, Storia dell’agricoltura italiana, volume II (“Uomini e classi”), op. cit., p. 27. 26. Ibid., p. 33. 27. A. Gramsci, La Questione meridionale, Editori Riuniti, Roma, 2005.
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Box 4. I contadini come classe sociale sui generis I contadini rappresentano una «classe di piccoli proprietari agricoli che dal punto di vista della professione e della gestione del fondo sono relativamente indipendenti per il fatto di possedere o di controllare, di diritto e di fatto, in forza di patti di proprietà, di affitto o di concessione da parte di terzi, ovvero degli usi locali, sia la limitata superficie di terra che coltivano e su cui allevano animali da lavoro o da cibo – da soli o in cooperazione con altri – ricavandone prodotti destinati in proporzioni variabili all’autoconsumo, al mercato o ad ammassi collettivi, sia la maggior parte degli strumenti di lavoro, degli animali, delle sementi, del denaro liquido necessario per la coltivazione e l’allevamento; e di impiegare principalmente in tale attività la loro stessa forza lavoro, integrandola d’abitudine con l’aiuto di coadiuvanti familiari, e solo occasionalmente col ricorso a lavoro salariato esterno». Secondo la letteratura sociologica esistente, i contadini possono essere, nella molteplicità di forme storiche e nazionali presentatesi, ricchi, medi e poveri, ossia possono seguire la tradizionale divisione schematica della struttura generale della stratificazione sociale (nobiltà-borghesia, ceto medio, proletariato-contadini): pur essendo proprietari, essi, soprattutto quelli più poveri, in case di mutate condizioni (ad esempio la perdita della terra, per le ragioni più svariate), sono oggetto di scivolamento ad una condizione di salariato o bracciante, oppure ad entrare in processi di proletarizzazione nel caso di abbandono dell’attività rurale. «Un dato essenziale per comprendere i meccanismi della differenziazione e stratificazione tra i contadini è la relativa costanza della superficie di terra necessaria per alimentare una piccola famiglia (quattro o cinque membri) e far fronte ai prelievi da parte della comunità o dello Stato. Su terreni non irrigui, con colture estensive, senza l’impiego di fertilizzanti chimici e di energia meccanica, tale superficie si colloca entro i tre-cinque ettari. Di tale superficie media erano i campi dei contadini di Roma sino al IV secolo avanti Cristo, quan-
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do si diffondono rapidamente il latifondo e forme di agricoltura “capitalistica”; i campi dei contadini medievali in gran parte d’Europa; i tupu dei contadini Inca verso il 1400 e, 4.000 chilometri più a nord, i milpa dei contadini aztechi dello stesso periodo; le proprietà dei seredniaki (contadini medi russi) sino all’attuazione della collettivizzazione integrale dell’agricoltura dell’Unione Sovietica, avviata alla fine degli anni ’20 (del Novecento, ndr.); i fondi dei coltivatori diretti italiani negli anni ’70 (del Novecento, ndr.), formati in larghissima parte da quote di proprietà e quote in affitto, ciascuna molto inferiore ai tre ettari; i fondi dei proprietaricoltivatori del Sud-Est asiatico, che formano lo strato locale dei contadini medi»28. Agli inizi del Novecento, insieme ad un ancora elevato tasso di analfabetismo, che peraltro interessava ogni area del Paese, per quanto più acuto al Sud, le condizioni di vita continuavano a rimanere molto spesso miserevoli a causa della pessima situazione igienica e, soprattutto, alimentare – oltre alla difterite e, nelle aree paludose, la malaria, diffusissima era la pellagra, una patologia legata alla carenza o al mancato assorbimento di vitamine del gruppo B, presente in genere nei prodotti freschi, come latte, verdure e cereali, e dovuta a un’alimentazione fondata quasi esclusivamente sulla polenta di mais. Altissimo era anche l’indice di mortalità infantile. Solo nel 1902, nel corso dell’età giolittiana, fu approvata la prima legge che stabiliva obbligatoriamente la denuncia dei casi accertati. Negli anni successivi del nuovo secolo, le condizioni di vita nelle campagne progressivamente migliorarono e anche il fascismo, con la sua nota ideologia ruralista, contribuì all’aumento della piccola proprietà contadina, vista come strumento di una possibile stabilità sociale, tanto 28. I virgolettati sono estratti dalla voce «Contadini» del Dizionario di sociologia di Luciano Gallino, Utet, Torino, 1978, pp. 171-177. Nell’ampia letteratura esistente sui contadini, spesso di carattere sociologico ed ento-antrolopogico, si segnalano E. C. Banfield, Una comunità del mezzogiorno, il Mulino, Bologna, 1961; W. I Thomas, F. Znaniecki, Il contadino polacco in Europa e in America, Comunità, Milano, 1968; R. Scotellaro, Contadini del Sud, Laterza, Bari, 1955; E. De Martino, La terra del rimorso, il Saggiatore, Milano, 2008.
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che, nella provincia di Bologna, tra il 1915 e il 1928, essa registrò un incremento di oltre il 300 per cento29. Dopo che, il 31 ottobre 1944, fu fondata da Paolo Bonomi la Confederazione nazionale coltivatori diretti, organizzazione rotante nell’orbita della Democrazia Cristiana, che raccoglieva piccoli proprietari e affittuari insieme ai mezzadri, e faceva riferimento ad una politica di costruzione di un ceto medio, nel febbraio-marzo 1948 entrarono in vigore le leggi per la formazione della piccola proprietà contadina, che intendevano facilitare gli acquisti di terre da parte dei contadini. Il D.l. del 24 febbraio 1948, prevedeva la concessione di mutui vantaggiosi nei quali lo Stato pagava gli interessi nella misura del 4,5 per cento, e con il D.l. del 5 marzo 1948, nasceva la Cassa per la formazione della piccola proprietà contadina, che si occupava dell’acquisto diretto di terreni da rivendere ai singoli contadini, o associati in cooperative, in forma lungamente rateizzata. Nel 1950 poi, entravano in vigore le leggi per la riforma fondiaria, come la legge Sila (Calabria), la legge stralcio (per il Delta Padano, la Maremma, Puglia, Basilicata, bacino del Fucino, Campania e alcune parti della Sardegna) e la legge per la riforma dei latifondi siciliani30. «Il progetto di redistribuzione fondiaria da attuare attraverso l’esproprio e la successiva assegnazione di terre ai contadini previa opera di colonizzazione e bonifica, fu regolamentato dalle leggi 12 maggio 1950, n. 230, la cosiddetta legge “Sila” per la colonizzazione degli altipiani del massiccio calabrese e dei territori contermini, dalla “legge stralcio” del 21 ottobre e da quella regionale siciliana del 27 dicembre dello stesso anno sulla riforma agraria nell’isola. (…) Ma ancor più ampio che non quello dovuto alla riforma agraria fu l’altro (…) movimento di formazione della proprietà contadina incentivato dalle leggi di agevolazione tributaria, creditizia e finanziaria in favore degli acquisti sul mercato, emanate a più riprese tra il 1948 e il 1956. Grazie alle particolari agevolazioni fiscali, la concessione di mutui a tasso agevolato, le rateizzazioni trentennali degli acquisti fatti tramite la Cassa nazionale per la formazione della piccola proprietà contadina, ci furono, tra il 1948 e il 1960, trasferimenti a favore di famiglie conta29. A. M. Banti, I proprietari terrieri nell’Italia centro-settentrionale, cit. Vedi anche F. Nery Moschini, La riforma fondiaria, Vallecchi, Firenze, 1958 e M. Rossi-Doria, Dieci anni di politica agraria nel Mezzogiorno, Laterza, Bari, 1958. 30. Ibid., p. 98.
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dine per un totale di oltre 1 milione di ettari soprattutto nelle regioni settentrionali ma anche nel mezzogiorno» 31 .
La trasformazione dell’antico sistema dunque, era stata avviata, ma sarebbero stati necessari parecchi anni per la configurazione di un assetto della piccola proprietà contadina più diffuso, anche perché era necessario fare i conti con la persistenza della mezzadria. .A, 4. Dalla riforma agraria ad oggi. Il sistema agricolo italiano tra localismo e globalizzazione
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on il cataclisma della Seconda guerra mondiale, il sistema agricolo era stato messo a dura prova e le aziende agricole furono ridotte allo stremo dalle confische di bestiame, dalle requisizioni di materie prime per gli eserciti, dalle distruzioni di fabbricati, macchine ed attrezzature. I consorzi agrari, statalizzati dal fascismo, avevano avuto il ruolo strumentale della gestione collettiva degli ammassi ed ad essi il regime aveva affidato nel 1940-41, anche la gestione della distribuzione di generi razionati, come sapone, zucchero, olio d’oliva, riso, patate. Dopo la Liberazione e la proclamazione della repubblica, con il referendum del 1946, bisognava riprendere in mano le questioni passate in secondo piano con gli eventi bellici. La confrontazione spesso violenta nelle campagne continuava a manifestarsi alla fine degli anni Quaranta, e i braccianti e contadini in condizioni miserevoli, occupavano i latifondi, come accadde in Basilicata (soprattutto nel Pollino, dove accadde il grave eccidio di Melfi). Particolarmente cruenti furono anche i fatti che accaddero in Emilia. Occorreva rivedere i patti agrari ma soprattutto affrontare la questione del latifondismo. Uno dei provvedimenti più importanti fu approvata nel 1950, con la “legge stralcio” numero 841 del 21 ottobre. La strada era quella dell’esproprio coatto di terreni soggetti alla grande proprietà latifondista e la distribuzione a piccoli imprenditori contadini: nella stessa Basilicata furono espropriati 75mila ettari di terre31. G. Massullo, Contadini, la piccola proprietà coltivatrice nell’Italia contemporanea, pp. 35-36.
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no, ripartiti in quasi 12mila poderi, ma il risultato fu un’eccessiva frammentazione della proprietà, e anche il suo isolamento dal mercato, tanto che si verificarono, nei territori lucani, intensi fenomeni conseguenti di abbandono delle campagne e di emigrazione verso le grandi città l’Italia settentrionale. A sostenere con convinzione la necessità di una distribuzione più equa della proprietà agricola fu anche lo statista italiano della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Box 5. Moro, lo statista del dialogo e la modernizzazione agraria Fra le tante, fondamentali questioni che dovevano essere affrontate con urgenza subito dopo l’ultima guerra mondiale, figurava anche quella della modernizzazione, in senso democratico, di un’agricoltura che rischiava di rimanere intrappolata ancora in antichi retaggi. In questa azione riformatrice, un ruolo rilevante è stato svolto da Aldo Moro, figura di grande statura intellettuale, la cui storia finì drammaticamente negli oscuri “anni di piombo”, in quella che Sergio Zavoli ha definito “la notte della repubblica”. Moro era nato a Maglie, in provincia di Lecce, il 23 settembre 1916, e dopo gli studi classici, si laureò in giurisprudenza all’università di Bari, ateneo nel quale ottenne anche la libera docenza. Nel 1939, scelto da Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, per la presidenza della Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana, incarico lasciato quando fu chiamato alle armi e che fu assunto da un altro nome di spicco della futura Dc, Giulio Andreotti, con il quale il suo destino s’intrecciò fino agli ultimi giorni, in una vicenda per la quale sono stati scritti fiumi d’inchiostro, e che continua a rimanere, per molti aspetti, enigmatica. Tra il 1943 e il 1945 iniziò ad interessarsi di politica e manifestò attenzione per la frangia socialdemocratica del Partito socialista, ma poi se ne allontanò per entrare a far parte delle file della Democrazia Cristiana. Animato da una forte fede cattolica, fu vicino alla componente di Giuseppe Dossetti, politico mistico, progressista e antifa-
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scista. Ricoprì innumerevoli incarichi ministeriali (ministro di Grazia e giustizia nel governo Segni I, della Pubblica istruzione nei governi Zoli e Fanfani, degli Esteri dal 1969 – deteneva questo ruolo all’epoca della strage di piazza Fontana a Milano) e di partito (sia come segretario, sia come presidente della Dc), e a soli 47 anni, divenne per la prima volta Presidente del Consiglio, nel dicembre 1963. Fu proprio in questa occasione che Moro, cattolico osservante e praticante, dimostrò quell’inclinazione all’apertura che gli avrebbe procurato l’avversione di molte forze politiche conservatrici anche a livello internazionale (Usa), nei duri anni della “guerra fredda”: formò un’inedita coalizione fra democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, il primo governo di centro-sinistra. Nel 1976, anno nel quale il Partito comunista italiano ottenne ampi consensi, enfatizzò l’esigenza di dar luogo a governi di solidarietà nazionali, aperti anche alle forze di sinistra: la politica del “compromesso storico”, continuava, ed apriva al Pci di Enrico Berlinguer che, di conseguenza, prese le distanze da Mosca. Il 16 marzo 1978, giorno dell’insediamento del nuovo governo Andreotti, lo statista, all’epoca presidente della Dc, fu rapito in un’azione sanguinaria da un commando delle Brigate Rosse in via Fani a Roma, e dopo 55 giorni di prigionia, fu assassinato: il corpo fu ritrovato nel baule di un’auto in via Caetani, sempre a Roma, il 9 maggio 1978. Su questa vicenda, tra le più impressionanti degli anni del terrorismo, rimane ancora un fitto mistero, soprattutto a proposito delle note scritte dallo stesso Moro in un memoriale ancor oggi non completamente ricostruito. Le questioni da discutere nei primi anni Cinquanta erano parecchie: rilancio delle attività agricole, aspetti agronomici, tecnici, sindacali, tariffa per la trebbiatura a vapore, complicata ristrutturazione degli uffici delegati alla disciplina e all’organizzazione dell’agricoltura, controllo dei prezzi, disciplina del mercato dei bovini, prezzo dei grano per gli operai agricoli e loro salari, disdette coloniche. In questa delicata fase, i consorzi furono coinvolti per il reperimento e la distribuzione dei materiali e la gestione del sistema degli ammassi.
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La grande inflazione nel 1945 aveva fatto accrescere i prezzi dei materiali trattati dai consorzi agrari. «Anche questo fece sì che nell’Italia liberata cominciasse rapidamente la battaglia per l’“arruolamento politico” dei contadini. Da una parte, l’impegno democristiano in direzione dei coltivatori diretti e dei piccoli proprietari, cui cominciò a dedicarsi nel 1944, la Confederazione nazionale dei Coltivatori diretti e Piccoli proprietari, organizzata da Paolo Bonomi, dall’altra, quello delle sinistre verso i coloni, gestito dalla Federterra, organizzazione nell’ambito della Cgil unitaria» 32 .
Il leader della Cgil Di Vittorio, alimentava la contrapposizione. «Il susseguirsi delle tensioni sul patto mezzadrile, il fallimento degli accordi via via raggiunti in sede regionale, la sostanziale impossibilità di conseguirne su base nazionale, indussero (…) De Gasperi a pronunciare, il 26 giugno del 1946, un giudizio non vincolante ma politicamente pesante, che stabiliva le quote della ripartizione, l’incidenza dei danni di guerra subiti dai coloni…» 33 .
Nel 1951, Amintore Fanfani, ministro dell’Agricoltura, sottopose alle Camere un ampio programma di credito per l’agricoltura da 25 miliardi a partire dal 1952-53, con una ripartizione di spesa di 10 miliardi per le costruzioni rurali, e di 7,5 ciascuno per l’irrigazione e l’acquisto delle macchine. L’inverno del 1956 si ricorda per l’ondata eccezionale di gelo, che determinò gravi conseguenze sulla produzione agricola e ancora una volta mise all’ordine del giorno la questione delle polizze assicurative a tutela delle aziende agricole, da sempre esposte ai capricci meteorologici. Sempre negli anni Cinquanta, prendeva avvio il processo preparatorio per la costituzione del Mercato comune europeo: Sicco Mansholt, autore del più compiuto programma agricolo continentale, decise di puntare ovunque sull’azienda familiare e sulla piccola proprietà coltivatrice, e, in Italia, incassò il sostegno di Bonomi della Coldiretti e della Dc, la cui politica mirava alla costruzione di un ceto medio anche agricolo. I bracci 32. F. Bertini, Organizzazione economica e politica dell’agricoltura nel XX secolo, cit. p. 250 e 263. Cfr. anche O. Lanza, L’agricoltura, la Coldiretti e la Dc, in L. Morlino (a cura di), Costruire la democrazia. Gruppi e partiti in Italia, Bologna, il Mulino, 1991. 33. Ibid.
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di ferro tra coloni e mezzadri ebbero altri episodi e nel 1960 si registrò una «nuova rottura sul patto mezzadrile»: gradualmente «i mezzadri scivolavano via dalla storia, lasciando il campo ai piccoli coltivatori e, in buona parte, al lavoro salariato»34. Alla fine degli anni Sessanta, in agricoltura aleggiava un’insofferenza che si traduceva in accuse ai governi di aver esposto il mercato nazionale alla liberalizzazione e all’attacco di prodotti competititivi stranieri, come quelli, zootecnici, danesi e jugoslavi. La sfida che la creazione del nuovo Mercato comune lanciava, era quella della richiesta di una maggiore specializzazione delle colture, di un’evoluzione dei settori della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti: si osservava, al contempo, una forte meccanizzazione, e l’incremento delle produzioni zootecniche dovute all’aumento della domanda di carni in pieno boom economico. D’altra parte, l’erosione e il tendenziale tramonto del vecchio sistema agricolo localistico imponeva un mutamento dei sistemi di produzione, da tarare su un mercato dei consumi, diventati di massa, molto più livellato rispetto al passato. Il Piano quinquennale di sviluppo agricolo o “Piano verde”, a livello europeo, che prevedeva interventi di finanziamento, mutui e l’ulteriore abbassamento del tasso sulla cambiale agraria, favorì l’acquisto di macchine agricole da parte delle piccole aziende, con ovvi riflessi anche sull’attività dei consorzi agrari che si fecero, tra l’altro, promotori della moto-aratura. Si guardava con attenzione «a ciò che avrebbe potuto rappresentare il Feoga (Fondo integrazione e garanzia della Cee), il nuovo organismo europeo per lo sviluppo del mercato e delle strutture agrarie, elemento fondamentale d’indirizzo previsto per gli investimenti»35. Nel maggio 1966, fu creata l’Aima, l’azienda di Stato per gli interventi sul Mercato agricolo, ma la gran parte del servizio era fornito dalla Federconsorzi, che confluiva in un circuito di risorse pubbliche e private, con reazioni contrastanti nei consorzi agrari. Iniziava il processo di graduale aumento del confronto con il mercato europeo. Nel 1972, sul fronte tributario commerciale, si passò dall’Ige all’Iva. Nel 1974 si registrò un ragguardevole incremento del costo del denaro, 34. Per tutta questa ricostruzione siamo grati a F. Bertini, L’organizzazione economica… cit. a cui dobbiamo anche i virgolettati (p. 343). 35. Ibid., p. 354.
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con riflessi sul credito e sulle possibilità di acquisto da parte degli agricoltori. E incassarono consensi le prese di posizione del nuovo ministro dell’Agricoltura e delle Foreste, Giovanni Marcora36, che denunciò il ruolo marginale del settore, avanzando la richiesta di maggiori risorse pubbliche per l’imprenditoria rurale. Frattanto, le Regioni come organismi amministrativi istituiti nel 1970, andavano conseguendo progressivamente sempre più competenze sull’agricoltura (1977). La nave si dirigeva verso quegli anni Ottanta nei quali emerse una forte crisi internazionale e cominciava a manifestarsi la questione dell’enorme spesa pubblica e dell’inflazione, che avrebbe portato non solo a ripetuti provvedimenti di svalutazione della lira, ma anche ad un progressivo acuirsi della situazione, fino alla grande depressione iniziata nel 2009 con il crack della Lehman & Brothers, la finanza dei titoli tossici e dei mutui subprime, le speculazioni finanziarie e le bancarotte (come quella, clamorosa, in Italia, nel settore agro-alimentare, di Parmalat). Negli anni Ottanta, la traiettoria dei consorzi agrari, e soprattutto della loro organizzazione di rappresentanza, virò verso una inarrestabile decadenza, per quanto un nucleo di consorzi efficienti, soprattutto nel Settentrione, sia riuscito a salvare il salvabile. «Apparve particolarmente promettente il riconoscimento dei debiti fatti per gli ammassi in conto dello Stato, stabilito da una legge del 1982, che definiva i criteri per il rimborso, quelli per il rientro e la ricapitalizzazione semestrale degli interessi (…). Con gli anni Ottanta (…) prese avvio una fase di flessione generale su scala mondiale, di calo netto dei redditi agricoli, di minore produzione, al punto che, negli stessi Stati Uniti, una gravissima crisi delle farms finì per travolgere la parte del sistema bancario più legata all’attività agricola. L’indebitamento ai limiti del rischio si rivelò una componente fisiologica del sistema e finì per attanagliare (…) anche il sistema consortile, per cui gli stessi crediti vantati dai Consorzi furono utilizzati in funzione di scambio con la Federconsorzi per il pagamento dei servizi (…) In taluni casi vi furono chiusure dei conti bancari perfino ai Consorzi e occorse allora l’intervento della Federconsorzi con pianificazioni del debito assai impegnative per l’alto costo del denaro. Presero slancio così esposizioni debitorie di alcuni Consorzi che furono attenuate 36. Rimase in carica dal IV Governo Moro (23 novembre 1974) all’autunno 1980, quando andò in crisi il secondo Governo Cossiga.
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temporaneamente con improbabili e sovradimensionate valorizzazioni immobiliari nelle iscrizioni a bilancio» 37 .
Nel 1986, due gravissimi accadimenti di cronaca, aprirono una profonda riflessione anche tra gli esperti e gli operatori dell’agricoltura e dell’agroalimentare: in Italia emerse lo scandalo del vino al metanolo, e in Ucraina (Unione Sovietica), si verificò l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl. Box 6. Il 1986, l’anno della paura. Chernobyl e il vino al metanolo Nel marzo 1986, l’ingestione di vini prodotti da un’azienda in provincia di Cuneo, provocò la morte di 23 persone e gravi danni fisici (cecità, ripercussioni neurologiche) ad altre. I vini adulterati contenevano elevatissime dosi di metanolo, una sostanza tossica prodotta anche naturalmente dalla fermentazione dell’uva, che qualora superi una certa percentuale, può rivelarsi fatale. Il metanolo era utilizzato per alzare la gradazione alcolica dei vini. Si scoprì anche che altre aziende, in Emilia Romagna, Puglia, Veneto e Toscana, utilizzavano questa procedura illecita. Della vicenda si occupò la magistratura e i processi si conclusero con alcune condanne, per quanto accompagnate da aspre polemiche. Alle ore 1 e 23 locali del 26 aprile 1986, a 18 chilometri dalla cittadina ucraina di Chernobyl, prossima al confine con la Bielorussia, nel corso di un test di sicurezza, furono paradossalmente violate tutte le norme di controllo, e ciò provocò un’esplosione nel reattore numero 4, come gli altri, a canali, di tipo Rbmk-1000, moderato a grafite e refrigerato ad acqua. La deflagrazione sprigionò una nube radioattiva che contaminò gravemente le aree attorno alla centrale, e raggiunse l’Europa orientale, la Finlandia, la Scandinavia ed altri Paesi, tra i quali l’Italia. Si ricordano dell’epoca gli inviti della televisione ad evitare il consumo di ortaggi e frutta freschi e a tenere le finestre chiuse. Secondo il rapporto Onu, l’incidente causò 65 vittime accertate 37. Ivi, p. 422.
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e un numero imprecisato di decessi dovuto a tumori e leucemie negli anni successivi. Fu il primo disastro nucleare ad essere classificato al livello 7 della scala Ines, il massimo. Dopo Chernobyl, il secondo incidente verificatosi e collocato a questo livello, è stato quello nella centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, accaduto l’11 marzo 2011. Questo doppio evento catastrofico suscitò una ancor più urgente riconsiderazione delle attività umane nelle economie occidentali in rapporto all’ecosistema ambientale e soprattutto dal punto di vista dell’etica nell’azione. D’altra parte, soprattutto dal secondo dopoguerra, l’industria e la ricerca applicata, avevano compiuto passi da gigante, ponendo però pesanti interrogativi sul loro impatto. Nel 1989, un altro evento dirompente cambiò l’assetto geo-politico del pianeta: lo smantellamento del muro di Berlino (che era stato eretto nel 1961) fu il simbolo della caduta dei regimi comunisti e il venir meno della contrapposizione tra i blocchi attorno alle due super-potenze. La creazione di un’Unione europea allargata anche ai Paesi dell’ex-area sovietica, creò i presupposti per un nuovo sistema-mondo, con ovvi riflessi anche sull’economia e sull’agricoltura, sempre più proiettata al confronto con il mercato internazionale globalizzato. Con la riforma Mac Sharry (1992) della Politica agricola comune (Pac)38, l’Europa ha previsto una riduzione media del 33 per cento dei prezzi agricoli per renderli più competitivi sui mercati nazionali e mondiali, e l’introduzione di aiuti per compensare le perdite di reddito subite dagli agricoltori (compensazione) e per stimolare iniziative di tutela ambientale (accompagnamento). Nel 1999 con “Agenda 2000”, la Pac, strutturata in tre pilastri (politica dei mercati, sviluppo rurale, politica delle strutture), ha introdotto il concetto di multifunzionalità, con una visione dell’agricoltura più ad ampio spettro e attenta alla conservazione del paesaggio, alla tutela dell’ambiente e della sicurezza dei prodotti alimentari, del benessere degli animali. 38. La Pac entrò in vigore nel 1962, con gli obiettivi generali, definiti dal Trattato di Roma (1957) di incrementare la produttività dell’agricoltura, sviluppando il progresso tecnico ed assicurando lo sviluppo razionale della produzione agricola, assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie, in particolare, al miglioramento del reddito individuale degli operatori in agricoltura, stabilizzare i mercati e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Per una più articolata trattazione vedi il riquadro di approfondimento in questo volume.
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Il 26 giugno 2003 fu approvata una nuova riforma della Pac (riforma Fischler), i cui punti chiave, prevedevano, tra l’altro, il disaccoppiamento (introduzione di un pagamento unico per azienda), la condizionalità (aiuti subordinati al rispetto delle misure di carattere ambientale), lo sviluppo rurale (aumento degli stanziamenti destinati allo sviluppo rurale). Iniziò così la stagione dei Piani di sviluppo rurale, gestiti dalle Regioni, in un contesto di sempre maggiore decentramento delle politiche agricole ed agro-alimentari locali verso queste ultime. In questo scenario, che ha visto la sempre maggiore rilevanza del concetto di filiera agro-alimentare, ossia di comunicazione ed integrazione tra gli attori della parte agricola e di quelli della parte che si occupa di trasformazione, con problemi che persistono per gli agricoltori, come la loro frequente penalizzazione di reddito nella divisione della catena del valore dei prodotti, i consorzi agrari hanno dovuto ri-programmare la propria strategia: «Scomparso il tempo in cui alla domanda fortissima di alimenti corrispondeva una produzione limitata, (l’agricoltore, ndr.) non ha più potuto restare in attesa del cliente, ma andarne in cerca (…) nella consapevolezza di non essere più la sola fonte d’informazione economica, agricola, tecnica, quanto piuttosto il baricentro di una concatenazione complessa e articolata di servizi» 39 .
Oggi, in un mondo ampiamente “globalizzato”, ossia contraddistinto dal confronto obbligato con mercati non più divisi, come un tempo, da insormontabili frontiere, ma anche tutto intento a riscoprire identità locali dei prodotti (“glocalismo”), anche per soddisfare le nuove esigenze, largamente selettive, dei consumatori, con l’Europa nel pieno di una crisi finanziaria forse più grave di quella del 1929, anche i consorzi agrari, attori ampiamente inseriti nella nuova agricoltura e nel sistema agro-alimentare maturo, guardano con attenzione agli sviluppi della nuova Pac, che, secondo il commissario europeo all’Agricoltura e allo sviluppo rurale Dacian Ciolos, ha sette punti all’ordine del giorno (alimentazione, globalizzazione, sfida economica, questione territoriale, specificità dell’agricoltura, semplificazione della politica) e non può più fare affidamento sull’antica politica dei sussidi agli agricoltori. .A, 39. Bertini, L’organizzazione economica…, cit, p. 455.
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5. Nascita, sviluppo, eclissi della Federconsorzi
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ull’onda di quel movimento con varie anime nato nei decenni immediatamente successivi all’Italia unitaria, che si proponeva un’azione globale di miglioramento della situazione di un’agricoltura bloccata da secoli in un Paese sottosviluppato e frenato da un lunghissimo periodo di dominazione straniera, e che diede luogo alla nascita di istituzioni specifiche per il miglioramento capillare del sistema, con i comizi agrari, le cattedre ambulanti di agricoltura e i nascenti consorzi agrari, il 10 aprile 1892, presso il notaio Vittorio Porta, fu costituita formalmente la Federazione nazionale dei consorzi agrari, fortemente voluta da Enea Cavalieri, Giacomo Riva e Giovanni Raineri. Con la sottoscrizione di 157 azioni da parte di 18 associazioni – fra cui due banche popolari, a testimonianza del fatto che il mondo del credito rurale, con le banche popolari e le casse rurali e di risparmio, appoggiò fortemente il nuovo fenomeno organizzativo in ambito agrario – e di 33 soci privati, nasceva un’associazione, alla quale avrebbe subito aderito anche il Consorzio Agrario Bolognese, che si proponeva questi obiettivi: «La Federazione dei Consorzi agrari si propone di promuovere dei nuovi Consorzi agrari e di contribuire al maggiore svolgimento dell’opera di quelli che già esistono e di quei Comizi ed altri istituti che funzionano come tali, imprimendo loro unità d’indirizzo e azione. Essa intenderà ai seguenti scopi principali: 1) Acquistare, anche per conto proprio dei soci e di terzi, ma specialmente per conto dei Consorzi agrari, e distribuir loro merci, prodotti, attrezzi, macchine, scorte vive e morte utili all’esercizio dell’agricoltura e alla vita delle famiglie coloniche. 2) Vendere, anche per conto proprio dei soci e di terzi, ma specialmente per conto dei Consorzi, i prodotti agrari in genere, istituendo eventualmente appositi spacci e depositi nel Regno e fuori. 3) Partecipare con altre società e con privati al commercio per la vendita all’interno e per l’esportazione dei prodotti agrari. 4) Dare a prestito od in affitto macchine ed attrezzi. 5) Procurare le infor mazioni ed i mezzi atti a far profittare le classi agrarie dei mercati migliori e sollecitare tariffe speciali in loro favore. 6) Promuovere, sussidiare, sorvegliare e dirigere campi sperimentali nell’interesse dell’agricoltura.
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La Federazione dei Consorzi agrari potrà pure intendere ad altri scopi diretti però sempre alla prosperità e al progresso dell’agricoltura e delle classi agrarie (…)» 40 .
Il contesto nel quale l’organizzazione, un ente di diritto privato, nacque, era quello di un’agricoltura in larga parte realizzata con metodi antiquati, nella quale dominavano mezzadria e latifondo, con scarsa presenza del credito agrario alle piccole aziende agricole e concorrenza delle derrate agricole, specialmente cereali, soprattutto di provenienza transoceanica. In questo clima sorse la Federazione italiana dei Consorzi Agrari, che sin dall’inizio si propose di favorire l’acquisto dei mezzi tecnici con contratti collettivi, di organizzare la vendita e la conservazione dei prodotti, soprattutto quelli di qualità, quali il vino e prodotti caseari, di fornire agli agricoltori facile accesso al credito scontando le loro cambiali a basso saggio d’interesse, di propagandare, con la stampa e con l’ausilio delle cattedre ambulanti, le nuove tecniche colturali 41 .
Nel giro di dieci anni dalla sua fondazione, i consorzi agrari erano diventati 371, ed il valore delle merci consegnate ai soci passava da 700mila a 5 milioni 500mila lire, mentre il capitale sociale saliva da 4.200 a 111mila lire. Il sistema agricolo, per il suo sviluppo, aveva bisogno di nitrati, potassio e fosfati per la fertilizzazione dei terreni, l’invasione della fillossera nelle vigne imponeva l’utilizzo di un anticrittogamico, il solfato di rame, prodotti questi, importati dall’estero (il potassio dalle miniere tedesche di Stassfurt e dall’Alsazia, i nitrati dal Cile, il solfato di rame dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, le scorie Thomas42 dalla Germania) e conseguentemente 40. Voce «Federazione italiana dei consorzi agrari», Enciclopedia agraria italiana, cit., volume IV. 41. Federconsorzi, Gli ottant’anni della Federazione italiana dei Consorzi agrari, Reda, Roma, 1972. 42. «Le scorie Thomas, dette anche scorie fosfatiche, scorie di defosforazione, fosfato Thomas o anche semplicemente scorie, si ottengono dalla defosforazione della ghisa. La materia prima dalla quale si ricavano la ghisa, il ferro, l’acciaio, contiene fra le impurità dei fosfati che devono essere eliminate perché la loro presenza nella ghisa, nel ferro e nell’acciaio ne diminuirebbe il pregio. Gli ingegneri Thomas e Gilchrist, nel 1878, idearono un procedimento, modificato più tardi dal prof. Paolo Wagner, che consente di defosforare la ghisa e di adoperare il residuo come concime fosfatico. Le scorie Thomas contengono l’anidride fosforica sottoforma di tetrafosfato di calce solubile in soluzioni leggermente acide, quindi facilmente assimilabile dalle piante, per quanto più lentamente di quella dei perfosfati (…)», in F. Ragazzoni, I concimi nel commercio e nella pratica agricola, Federazione italiana dei consorzi agrari, Piacenza, 1931.
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gestiti e venduti sul mercato da forti monopoli industriali riuniti in cartelli con prezzi elevati e dunque, spesso proibitivi. La Federconsorzi, riuscì a rompere questo meccanismo perverso e ad inserirsi nel mercato produttivo dei fertilizzanti, anche attraverso stabilimenti produttivi propri, rompendo così il cartello industriale pre-esistente. Inoltre contribuì alla diffusione ed alla concretizzazione dell’idea cooperativa in Italia, che stentava ad affermarsi, attraverso i concetti di acquisto collettivo e di conferimento di commodity e prodotti per una vendita organizzata da parte dei consorzi agrari. La Federconsorzi, attraverso i suoi centri territoriali, i consorzi agrari, è dunque nata e si è sviluppata come anello di congiunzione tra il mondo della produzione agricola e quello dei produttori di mezzi tecnici e del mercato delle materie prime, con il fine non soltanto di rendere più accessibili i mezzi tecnici agli agricoltori, e con questo di concorrere al miglioramento di qualità, ma anche di allocare grandi stock di prodotti agricoli – sia materie prime sia trasformati – sul mercato ai prezzi migliori, di favorire la creazione di utili da ripartire tra i soci, e di continuare, attraverso l’assistenza tecnica, l’opera divulgativa avviata dalle cattedre ambulanti di agricoltura. Nel primo venticinquennio del Novecento, i cereali conseguirono aumenti piuttosto modesti delle quantità prodotte (ad eccezione del riso, che crebbe del 40 per cento), ma molte altre categorie mercantili registrarono un’ascesa, come la barbabietola (passata dai meno di 10 milioni di quintali di inizio secolo ai 25-30 milioni tra il 1920 e il 1925), il tabacco (dai 50mila quintali del 1900 ai 300mila del 1925), e anche la frutta e gli ortaggi freschi (produzione raddoppiata), la carne bovina (macellazioni superiori di cinque volte in questo quarto di secolo), il formaggio e il burro (raddoppio della produzione). Dal 1900 al 1925 inoltre, il consumo di concimi chimici salì da poco più di 3 milioni a 15 milioni di quintali per i fosfatici, da 330mila a quasi 2 milioni per gli azotati, e gradualmente si diffuse la meccanizzazione agricola. La Federconsorzi sviluppò una poderosa macchina per la produzione, l’acquisto, la vendita e la fornitura di mezzi tecnici, per l’ammasso e lo stoccaggio dei prodotti e la loro allocazione sul mercato, collocandosi anche direttamente nello sviluppo di quella filiera agro-alimentare, frutto di convergenza tra industria di trasformazione e produzione agricola, che sarebbe diventata tra i pilastri del sistema economico italiano, con stabi-
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limenti per la trasformazione dei prodotti ortofrutticoli, centrali per la lavorazione del latte, società per la selezione delle sementi, industrie per la produzione di anti-parassitari, mangimifici. Fino all’inizio degli anni ’20, la Federconsorzi e i consorzi agrari furono caratterizzati da quella che Manlio Rossi-Doria ha definito una «fase schiettamente cooperativistica». «Nei primi decenni della loro attività i Consorzi agrari e la loro Federazione (costituita nel 1892) sono state società cooperative create e sorrette esclusivamente da privati. Nate inizialmente nella Valle Padana si sono moltiplicate in seguito in tutta Italia sia spontaneamente che per iniziativa della loro stessa Federazione. I consorzi tra loro federati erano, infatti, appena 17 nel 1892, 58 alla fine dello stesso anno, 405 nel 1905 e ben 953 nel 1924 quando contavano 350mila soci. Il loro giro d’affari era venuto progressivamente crescendo in quegli anni sino a raggiungere oltre un miliardo di lire all’epoca, pari ad un terzo circa del giro di affari attuale. Grazie alle loro considerevoli attrezzature – tra le quali alcune fabbriche di concimi e parecchi piroscafi per il trasporto dei fertilizzanti dai paesi d’oltre mare – e alla politica perseguita, i Consorzi già negli anni precedenti alla prima guerra mondiale erano riusciti a migliorare considerevolmente la posizione degli agricoltori sui mercati di acquisto dei mezzi tecnici in agricoltura (…) Attorno ai consorzi agrari, non solo si sono allora organizzate le migliori iniziative per il progresso tecnologico dell’agricoltura – a cominciare dalle molte “cattedre ambulanti di agricoltura” – ma si sono formati i nuclei più colti e combattivi della lotta per il liberismo economico e per una moderna politica agraria nel nostro paese» 43 .
La Federconsorzi rappresentò la concretizzazione di un attivismo volto allo sviluppo concreto dell’agricoltura, punto d’incontro tra un liberalismo progressista con i settori più sensibili al cambiamento della borghesia conservatrice. «Per tutto il periodo che corre dalla sua fondazione al fascismo, la Federconsorzi – sebbene non direttamente attiva nella vita politica – continuò a esercitare un’influente funzione di indirizzo ideologico, il cui asse centrale scaturiva “dall’incontro fra un liberalismo non dogmatico e dottrinario ma concretamente operoso e aperto verso 43. Manlio Rossi-Doria, Rapporto sulla Federconsorzi, Laterza, Bari, 1963, pp. 55-56.
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i problemi economici e sensibile ai doveri sociali delle classi dirigenti (…) e la cultura tecnica agronomica di tradizione lombarda e cattaneiana”» 44 .
Una delle figure più brillanti di questa fase, fu quella di Giovanni Raineri. Box 7. Giovanni Raineri, un politico competente e illuminato nell’età giolittiana Giovanni Raineri nacque a Borgo San Donnino, l’attuale Fidenza (Parma), città emiliana che si ricorda anche per la nascita del primo zuccherificio della storia industriale italiana, il 17 settembre 1858, da una famiglia della media borghesia impiegatizia (figlio di Rainero, segretario podestariale, e di Catterina Bravetta). Dopo aver conseguito il diploma di perito agrario, ottenne, nel 1879, la laurea in scienze agrarie alla Regia scuola superiore di agraria, e si interessò presto, una volta trasferitosi a Piacenza con la famiglia, dei temi dell’associazionismo e della cooperazione agricola in quanto strumenti di sviluppo dell’agricoltura, e, soprattutto, della questione dell’arretratezza atavica che caratterizzava il settore primario in Italia, con le ovvie conseguenze sociali. A soli 31 anni, nel 1883, divenne segretario del Comizio agrario di Piacenza, e riuscì nell’intento di organizzare, nella città dell’Emilia occidentale, un convegno nazionale nel quale mise sul tappeto, quale tema principale, la necessità di stimolare l’associazionismo agricolo come sorgente per migliorare le gravi situazioni che affliggevano le campagne, tra le quali, la crisi cerealicola, dovuta a contingenze internazionali, e quella vitivinicola, legata al dilagare della fillossera nei vigneti, ma anche una molteplicità di altri elementi problematici. Con Enea Cavalieri, Giacomo Riva e con l’appoggio di Luigi Luzzatti e Antonio Bizzozero, diede un contributo determinante alla fondazione della Federconsorzi, sorta nella stessa Piacenza nel 44. A. M. Banti, I proprietari terrieri nell’Italia centro-settentrionale, cit., p. 79, sulla base di A. Ventura, “La Federconsorzi dall’età liberale al fascismo: ascesa e capitolazione della borghesia agraria, 18921932”, in Quaderni storici, n. 36, sett.-dic 1977, pp. 683-783.
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1892, di cui fu il primo direttore generale ed in seguito presidente (dal 21 maggio 1906 al novembre 1911). Si fece paladino per la diffusione dell’utilizzo di concimi chimici e, nel 1900, pubblicò un testo, L’utilizzo e l’importanza dei concimi chimici per il miglioramento produttivo dell’agricoltura, che stimolò la nascita di un consorzio cooperativo per la produzione di perfosfati. Nel 1905, fu eletto alla Camera nel collegio di Parma e Piacenza, attraverso una coalizione trasversale, che ottenne l’adesione sia delle forze liberali sia di quelle cattoliche e radicali, e fu confermato per quattro legislature, fino al 1923. All’incirca tra il 1908 e il 1914, fu promotore e presidente del “Comitato agrario nazionale”, nel cui programma figuravano, tra l’altro, la formazione di un ministero dell’Agricoltura autonomo, la costituzione di un demanio forestale e delle opere irrigue, la “colonizzazione interna” con intervento statale a favore dello sviluppo della piccola proprietà (progetto di Luzzatti questo). Raineri, esponente della Sinistra democratica, con radicali e frange cattoliche moderato-progressiste, rappresentò un tentativo di incontro tra una visione liberale ed una socialdemocratica e cattolico popolare. Raineri sostenne una battaglia convinta nei confronti del latifondo, in tandem con Luigi Luzzatti, che al convegno di Piacenza del 18 maggio 1913, disse: «Noi facciamo la guerra a quel latifondo, che (…) rappresenta l’ozio dei magnifici sfaccendati assenti sempre dalla loro terra, ma spietati nelle adunche esazioni flagello dell’agricoltura, flagello dei contadini»45. Con il Governo Luzzatti, nel 1910, fu ministro dell’Agricoltura, dell’industria e del commercio, e ministro dell’Agricoltura dal 1916 al 1917 con il Governo Boselli. Nel corso della Prima Guerra Mondiale ebbe anche la responsabilità del rifornimento annonario. Fino al 1922, ricoprì altri incarichi ministeriali, con i Governi Nitti e Bonomi, sostenendo l’idea cooperativa. Con l’ascesa del fascismo al potere, si ritirò dalla vita politica, pur essendo stato nominato senatore del Regno nel 1924. Scomparve a Roma il 26 novembre 1944. 45. S. Fontana, Giovanni Raineri. Tecnico agrario e uomo politico: dalla Federconsorzi al Comitato agrario nazionale, in S. Fontana (a cura di), La Federconsorzi tra Stato liberale e fascismo, Laterza, Bari, 1995, p. 55 n.
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Con l’ascesa del fascismo, la filosofia liberal-progressista che aveva contraddistinto il primo sviluppo della Federconsorzi, attraversò un primo breaking point con le conseguenze della politica del regime. «Fu proprio questo atteggiamento liberale e progressivo dei dirigenti della Federconsorzi ed in particolare dei due maggiori fra di loro – Giovanni Raineri e Emilio Morandi – che fece considerare dopo il 1924 la Federconsorzi come una delle prime istituzioni da “ripulire” o “fascistizzare”. La fascistizzazione, ossia la sostituzione dei dirigenti liberalmente eletti con altri imposti del partito fascista al potere, avvenne, infatti, sin dal 1926, anche se un tal cambiamento non fu subito accompagnato da altri cambiamenti formali di struttura e di funzionamento. Questi vennero qualche anno dopo in conseguenza della generale crisi economica, che ebbe acute manifestazioni in agricoltura. Quasi tutti i consorzi andarono in crisi, per l’indebitamento proprio e degli agricoltori, allo stesso modo che andavano contemporaneamente in crisi tutte le altre istituzioni cooperative, che ancora avevano resistito. Lo Stato venne in soccorso mettendo a disposizione della Federconsorzi, ormai saldamente in mano ai fascisti, i mezzi finanziari per il graduale risanamento delle situazioni debitorie (costituzione dell’Ente finanziario dei consorzi agrari – 1930), ma nel far questo annullò, se non ancora di diritto, di fatto la vita cooperativa del 1.000 e più consorzi periferici, degradandoli a semplici agenzie dei 92 consorzi provinciali creati in loro sostituzione sotto il pretesto della maggiore efficienza e della riduzione delle spese di esercizio. Tale processo di snaturamento e accentramento dei vecchi consorzi cooperativi poté considerarsi ultimato nel 1938, quando apposite leggi (leggi 16 febbraio 1938 n. 1008 e 2 febbraio 1939 n. 159) inquadrarono i consorzi nella organizzazione corporativa. Tale nuovo inquadramento valeva, infatti, anche a ratificare il fatto (…) che i consorzi, in aggiunta alle loro tradizionali private attività, erano divenuti diretti esecutori della politica dello Stato, che aveva ad essi affidato l’ammasso obbligatorio dei cereali ed altri simili o più gravi compiti stava per affidar loro a mano a mano che da una economia di emergenza si entrava in un’economia di guerra» 46 .
Il fascismo stabilì nuove disposizioni e con il Regio decreto legislativo del 30 dicembre 1926, numero 2288, si stabilì la facoltà da parte del Governo di sciogliere il Consiglio di amministrazione delle società coopera46. Manlio Rossi-Doria, Rapporto sulla Federconsorzi, cit., pp. 56-57.
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tive per «inosservanza delle disposizioni di legge e dello statuto o quando fosse compromesso il raggiungimento degli scopi sociali». L’Enciclopedia agraria italiana, nel 1954, osservava come si trattasse di una «norma che non doveva essere applicata nei riguardi della Federazione. Il vero movente, la conquista politica dell’organizzazione, costituì un grave affronto alla libertà di associazione». Il Regio decreto legislativo del 5 settembre 1938, numero 1593, e la relativa legge di conversione del 2 febbraio 1939, n. 159, costituirono il primo intervento che riformò la Federazione ed i Consorzi nella loro «natura» e nel loro «ordinamento» (legge Rossoni47) togliendo agli Enti la qualifica di Società cooperative ed attribuendo ad essi quella di Enti morali sotto la sorveglianza diretta del Ministero dell’Agricoltura e Foreste. I maggiori cambiamenti imposti dalla riforma furono la fusione obbligatoria dei Consorzi agrari e degli Enti cooperativi esistenti, impegnati nell’acquisto e nella vendita collettiva di materie utili all’agricoltura, in un unico ente (Consorzio agrario provinciale), la trasformazione dei soci in quote di partecipazione, rimborsabili alla pari entro tre anni, la nomina del presidente e del vice-presidente dei Consorzi e della Federazione da parte del ministero dell’Agricoltura e delle foreste, la nomina dei soci in rappresentanza di organizzazioni agricole (Confederazione degli agricoltori e Confederazione dei lavoratori dell’agricoltura), la nomina di un Collegio dei sindaci costituito dai rappresentanti dei ministeri dell’Agricoltura, delle finanze e delle corporazioni, la facoltà da parte del ministero dell’Agricoltura, di sottoporre i Consorzi e la Federazione ad ispezioni e di scioglierne il Consiglio di amministrazione in caso di irregolare funzionamento, affinandone l’amministrazione ad un Commissario ministeriale. 47. Edmondo Rossoni, nato a Tresigallo (Ferrara) il 6 maggio 1884, fu sindacalista e giornalista, in una prima fase aderente, come lo stesso Mussolini, al Partito socialista italiano (sembra abbia partecipato attivamente agli scioperi contadini del 1903-1904) e poi passato alla linea interventista alla vigilia della Prima guerra mondiale. Iscrittosi ai Fasci italiani di combattimento e poi al Partito nazionale fascista, continuò l’interesse sindacale, sostenendo, anche in contrasto con la Confindustria, una linea di continuità tra sindacalismo rivoluzionario e corporativista. Nel 1935 fu nominato ministro dell’Agricoltura e delle Foreste, incarico che mantenne fino al 1939. Membro del Gran consiglio del fascismo, il 25 luglio 1943, fu tra coloro che votarono a favore dell’Ordine del giorno Grandi, che determinò l’esautorazione di Mussolini, con conseguente sua condanna a morte in contumacia da parte della Repubblica sociale italiana al processo di Verona. Nel 1945, disciolta la Repubblica di Salò, fu condannato all’ergastolo, ma riparò in Canada. Rientrò in Italia nel 1948 e morì a Roma l’8 giugno 1965. Molto celebre è il suo piano urbanistico nel paese natale.
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«In definitiva la riforma dei Consorzi agrari aveva tolto agli Enti ed alla Federazione il carattere privato fino ad allora gelosamente custodito, conferendo ad essi la figura prevalente di istituti al servizio della politica agraria dello Stato» 48 .
Fu così avviato e si consolidò il sistema degli ammassi obbligatori di materie prime agricole, in primis frumenti, da parte delle strutture logistiche della Federconsorzi, al fine di controllare in maniera centralizzata la distribuzione delle merci in un’economia di guerra e con un sistema di razionamento delle derrate basato sulla “tessera alimentare”. Box 8. La politica degli ammassi. Dall’obbligatorietà stabilita dal fascismo al moderno conferimento cooperativo «L’esperienza pluridecennale dell’organizzazione federconsortile nel campo delle vendite collettive aveva trovato una più vasta e proficua applicazione con la legge del 1927 sul credito agrario, mediante il riconoscimento delle due operazioni: anticipazione su pegno di prodotti agricoli depositati in luogo pubblico o privato, anche presso lo stesso produttore, e prestiti a favore di Enti ed Associazioni agrarie per anticipazioni ai soci in caso di vendita collettiva dei prodotti. E fu un’esperienza preziosa per l’organizzazione e per il Paese, per quanto il volume delle operazioni fosse piuttosto limitato. Sopraggiunse l’ammasso obbligatorio del grano, ordinato dal r. d. l. 16 marzo 1936, n. 392, a mettere alla prova l’organizzazione e i risultati furono lusinghieri. Gli eventi politici che sboccarono nella politica autarchica prima e nel conflitto europeo poi, nonché lo stesso cospicuo incremento del raccolto per effetto della “battaglia del grano”, obbligarono Federazione e Consorzi agrari a formare in breve tempo un’organizzazione centrale e periferica adeguata all’imponenza dei nuovi compiti. D’altra parte era grave la responsabilità che l’istituzione si assumeva di fronte al Paese, il quale, sulla soglia ormai del conflitto mondiale, sperimentava il sistema di ap48. Per tutta questa parte vedi la voce “Federazione italiana dei consorzi agrari» in Enciclopedia agraria italiana, cit. p. 451.
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provvigionamento granario a mezzo dell’ammasso, in sostituzione del sistema della requisizione applicato durante la guerra 1914-18. L’esempio del grano aprì le porte alla “politica degli ammassi” estesi a gran parte dei prodotti. Con gli ammassi, in una situazione di produzioni deficitarie, ad eccezione del riso, si risolveva il problema della difesa delle principali colture nel quadro degli sviluppi della bonifica, delle attività di colonizzazione e degli interessi autarchici. D’altra parte l’istituto dell’ammasso rappresentava anche la base della politica di allora che, secondo il concetto corporativo, tentava di armonizzare la difesa dei prezzi alla produzione con la disciplina dei prezzi al consumo. Si addivenne così agli ammassi della canapa, dei bozzoli, del granoturco, della lana, dell’olio di oliva, del risone, della manna, ecc. Questo lavoro ammassatorio, comprendente un decennio dal 1936-37 al 1946-47, ha rappresentato una formidabile prova per l’organizzazione federconsortile e lo si deve considerare una esperienza veramente decisiva, non soltanto per le delicate funzioni adempiute (…) ma anche per il valore economico-statistico, merceologico ed organizzativo delle operazioni. È in questo sforzo di adattamento alle nuove esigenze che l’organizzazione ha potuto imboccare con sicurezza la via delle vendite e degli approvvigionamenti per conto dello Stato, settore imponente che doveva soverchiare, in breve volgere di tempo, l’ammontare degli acquisti di beni strumentali (concimi, anticrittogamici, macchine, ecc.). La fine della guerra ha determinato lo smobilizzo di gran parte degli ammassi come reazione al regime vincolistico ed in accoglimento delle richieste dei produttori per i quali l’ammasso, nato sostanzialmente come strumento di difesa contro la speculazione sotto il raccolto, si era trasformato in strumento drastico di tutela del consumatore. L’euforia della libertà di vendere ebbe breve durata; il rapido capovolgimento della congiuntura, caratterizzata dal ribasso dei prezzi per la pronta ripresa della produttività, ha riportato ben presto sul tappeto il tema dell’eccesso di offerte al momento del raccolto, riproponendo l’ammasso come mezzo di difesa che aveva dato una buona prova. Così, mentre l’ammasso obbligatorio del grano si trasformava in am-
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masso per contingente, sorgeva ben presto l’esigenza di integrarlo con l’ammasso volontario (…)»49. Se il coinvolgimento dei consorzi agrari nelle operazioni di ammasso ha contribuito a sviluppare logistica, a gestire masse critiche e a favorire la diffusione della cerealicoltura, dando la possibilità agli agricoltori di disporre di una struttura organizzata in grado di confrontarsi con il mercato, ha generato anche, soprattutto nei primi decenni successivi alla seconda guerra mondiale, un sistema di concessione di risorse pubbliche, nell’epoca delle partecipazioni statali, causa di metodologie gestionali clientelari e poco chiare che hanno finito per concorrere al declino della Federconsorzi. Gli ammassi di cereali, dall’obbligatorietà in periodo fascista, divennero poi progressivamente volontari, per quanto ci sia stato un periodo, negli anni Cinquanta e Sessanta del ‘900, durante il quale lo Stato repubblicano abbia continuato ad incoraggiare gli ammassi per contingenti, a fini di regolazione protezionistica del mercato. Oggi il termine “ammasso” è ancora utilizzato, come sinonimo di stock di materia prima destinata allo stoccaggio. Tuttavia, il termine più corretto usato, oggi, è quello di “conferimento”, ossia un contratto su basi volontarie stipulato fra il consorzio agrario, in quanto ente cooperativo, e l’agricoltore, socio e/o cliente, per l’affidamento di una determinata quantità di merce da stoccare nelle strutture consortili, per essere cedute agli interlocutori del mercato in base a modalità prefissate. L’ordinamento che disponeva la statalizzazione della Federconsorzi restò in vigore fino alla primavera del 1942. Nel maggio di quell’anno, nel quale l’Italia era ancora in guerra, fu approvata la legge numero 566, detta “legge Pareschi” che tolse ai Consorzi agrari la veste di Enti morali e le attribuì quella di “persona giuridica”. Tuttavia permase il controllo da parte del Ministero dell’Agricoltura d’intesa con quello delle Finanze con convenzioni «vincolative anche per i singoli Consorzi»50 agrari, fino all’approvazione del Decreto legislativo del 7 maggio 1948 numero 1235 che, in un mutato contesto politico, restituì alla Federazione dei consorzi agrari l’originario assetto, 49. Ibid. 50. Ibid.
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ossia quello di società cooperative a responsabilità limitata, con elezioni per la nomina dei consiglieri e il tramonto dell’epoca del commissariamento governativo imposto. In questo ultimo documento normativo, si definiscono le attività della Federconsorzi che: a) produce, acquista e vende fertilizzanti, antiparassitari, sementi, mangimi, attrezzi, prodotti, macchine, scorte vive e morte ed in genere tutto ciò che può riuscire utile agli agricoltori e all’agricoltura; b) esegue, promuove e agevola la raccolta, il trasporto, la lavorazione, il collocamento dei prodotti del suolo e di tutte le industrie connesse con l’agricoltura, operando sia come intermediaria sia come contraente; c) provvede alle operazioni di ammasso volontario e di utilizzazione, trasformazione e vendita collettiva dei prodotti agricoli; d) dà in locazione macchine ed attrezzi agricoli; e) compie operazioni di credito agrario di esercizio a favore dei Consorzi agrari e dei produttori e concede finanziamenti diretti o a mezzo di fideiussione ai Consorzi agrari federati per tutte le operazioni che essi possono compiere per il raggiungimento del loro scopo sociale e per l’assolvimento dei compiti ad essi affidati; f) concorre agli studi ed alle ricerche nonché all’impianto di campi e stazioni sperimentali nell’interesse dell’agricoltura e, in genere, tutte le iniziative intese al miglioramento della produzione e della capacità professionale dei coltivatori; g) può partecipare ad enti e società i cui scopi interessino l’attività della Federazione stessa (…); h) può eseguire, per conto e nell’interesse dello Stato, le operazioni necessarie per il ricevimento, la conservazione e la distribuzione di merci e prodotti di qualsiasi specie; le gestioni connesse con tali operazioni saranno tenute separatamente da quelle normali; i) è legittimata a compiere per delibera del suo Consiglio di amministrazione, tutte le operazioni industriali, commerciali, finanziarie, che direttamente o indirettamente risultino concorrenti allo scopo essenziale da essa assegnato (…) 51.
Tuttavia, nel primissimo dopoguerra, la struttura federconsortile continuò ad avere forti intrecci con lo Stato, al punto da presentarsi, come osservò Rossi-Doria, un «caso anomalo di ibrido tra pubblico e privato»52. 51. Ibid., p. 455. 52. Manlio Rossi-Doria, Rapporto sulla Federconsorzi, cit., p. 36.
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«(…) la legge del 1948 53 , se formalmente ha restituito alla organizzazione dei consorzi agrari il carattere di società cooperative, ha anche conservato molti dei caratteri che l’organizzazione aveva acquisito nella sua fase, diciamo così, statale-burocratica: la struttura per consorzi provinciali; la presenza nei collegi sindacali dei rappresentanti dei ministeri; l’obbligo di comunicare le proprie delibere al ministero dell’Agricoltura; una notevole subordinazione alla Federazione nazionale dei consorzi provinciali; l’obbligo per questi di scegliere i propri direttori in un ruolo tenuto dalla Federazione e un sistema di reclutamento dei soci che, mentre lasciava aperta la porta – consentendo a qualsiasi agricoltore, che pur pagasse la ridicola somma di 100 lire, di farne domanda – subito la richiudeva riservando ai consigli di amministrazione dei consorzi un potere discrezionale sull’ammissione dei soci stessi» 54 .
Ciò si denotava anche dalla assoluta preponderanza delle attività pubbliche dell’organizzazione, come quella degli ammassi per conto dello Stato, che continuò ancora parecchi anni nel dopoguerra su quelle private, in un regime protezionistico nel quale lo Stato controllava l’export55. Tra il 1945 e il 1949, 53. Il decreto legislativo fu ratificato con la legge 17 aprile 1956 n. 561. 54. Manlio Rossi-Doria, Rapporto sulla Federconsorzi, cit., p. 59. 55. «(…) esistono situazioni di limitazioni forzose della concorrenza (protezionismo statale) da cui gli agricoltori traggono vantaggio, come nello zucchero, riso (Ente risi) e canapa (Ente canapa)» osservava Rossi-Doria. «Lo Stato continua ad avvalersi – aggiungeva – della Federconsorzi per le gestioni speciali fatte per conto dello Stato (ammassi) soprattutto per il frumento (prima obbligatorio, poi per contingente ed ora volontario) e per altri prodotti (olio, lana, parmigiano e […] burro)». Interessante ed esplicativo, per quanto permeato dallo spirito polemico di un giornale schierato con il Pci, è un articolo del 28 novembre 1961: «Nel giro delle ultime ventiquattrore il prezzo del burro è aumentato di 50 lire al kg. La maggiorazione riguarda tutte le marche e, iniziata nelle città del centro-nord, è destinata ad estendersi nell’intero territorio nazionale. (…) Viene fatta così una vasta operazione di speculazione che ha un preciso significato politico, oltre a gravi ripercussioni sui bilanci delle famiglie italiane. Si è parlato in questi giorni del tentativo dell’on. Moro di attrarre dalla sua parte l’on. Bonomi e i deputati della Coltivatori diretti. Merce di scambio in queste trattative sono stati alcuni provvedimenti che mirano a rafforzare il feudo di Bonomi, la potente Federconsorzi. Un primo provvedimento in questo senso ha dato alla Federconsorzi 3 miliardi di lire sui fondi del Piano verde per gestire il monopolio assoluto dell’ammasso del grano. Il secondo decreto concordato tra i dirigenti della Dc e Bonomi riguarda appunto il burro. (…) Il primo contingente di importazione valevole fino al 31 dicembre è stato fissato in 30.000 q.li e la unica licenza di importazione è stata data alla Federconsorzi. Il risultato di questa operazione è il seguente: il feudo di Bonomi acquista all’estero il burro a circa 500 lire al chilo e lo rivende ai grossisti italiani a 840-850 lire al chilo. L’importazione di 30.000 quintali (…) frutterà alla Federconsorzi non meno di un miliardo di lire. Facciamo i conti: l’avvicinamento di Bonomi a Moro per la cosiddetta operazione di centro sinistra è stata pagata, attraverso le disposizioni riguardanti il grano e il burro», “Operazione burro Moro-Bonomi”, articolo non firmato, L’Unità, martedì 28 novembre 1961, p. 2.
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«il rapporto tra le attività ordinarie o “private” della Federconsorzi (acquisti o vendite di prodotti di interesse per gli agricoltori e i consorzi agrari) e le attività straordinarie o “pubbliche” (gestioni speciali per conto dello Stato relative alla importazione e alla distribuzione di cereali e derivati o di altri prodotti, agli ammassi nazionali, alla distribuzione di beni destinati alla pubblica assistenza) era il seguente: 22 miliardi alla prima; 845 miliardi di lire la seconda, la quale, pertanto, sopravanzava quaranta volte la prima (…) 56 ».
La struttura si occupò anche della distribuzione e dell’organizzazione degli aiuti nell’ambito dello statunitense piano Marshall dopo la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, nella fase della ricostruzione. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta, in quella che è stata definita come fase della «stabilizzazione centrista», venne a configurarsi uno stretto intreccio tra l’assetto dirigente della Federconsorzi e le strutture di rappresentanza sia degli agricoltori, sia politico-partitiche. Nel 1944 era sorta la Coldiretti, fondata da Paolo Bonomi, che fu anche il primo presidente della Federconsorzi nel dopoguerra, ed era stato eletto il 2 giugno 1946 dall’Assemblea costituente per il partito della Democrazia Cristiana57. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, si registrarono, in Federconsorzi, una progressiva diminuzione delle gestioni speciali per conto dello Stato («il cui ammontare è stato nel 1961, pari a poco più di un quarto di quello che era dieci anni prima, anche se ha rappresentato ancora il 59% del bilancio»58), un aumento delle operazioni di acquisto e vendita di mezzi tecnici, l’allargamento delle operazioni di credito agrario, la creazione, l’acquisto e lo sviluppo di società controllate e collegate, il «collegamento sempre più stretto tra l’organizzazione consortile, l’organizzazione sindacale dei Coltivatori Diretti e della Confagricoltura», e «un considerevole indebolimento della autonomia finanziaria e amministrativa dei consorzi provinciali con un corrispondente rafforzamento della organizzazione centrale» della struttura59. 56. Manlio Rossi-Doria, Rapporto sulla Federconsorzi, cit. p. 60. 57. Rimase presidente della Coldiretti fino al 1980 e fu deputato nelle file della Dc per otto legislature, dal 1948 al 1983. 58. Manlio Rossi-Doria, Rapporto sulla Federconsorzi, cit., p. 64. 59. Ibid., pp. 64-65. Questa era la divisione del lavoro nella struttura verso il 1960: «Gli uffici o servizi nei quali si articola la Federconsorzi appartengono a tre diversi gruppi: 1) Uffici o servizi relativi alle gestioni per conto dello Stato; 2) Uffici o servizi relativi alle ordinarie attività di istituto; 3) Uffici o servizi centrali
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Con la produzione e la commercializzazione di mezzi tecnici per l’agricoltura (fertilizzanti, antiparassitari, mangimi, sementi), il controllo di gruppi agro-alimentari (come Polenghi-Lombardo e Massalombarda), già all’inizio degli anni ’60 la Federconsorzi era diventata un colosso capace di generare un fatturato di 245 miliardi annui, «inferiore (…) solo a quello della Fiat (546 miliardi, 1960) della Finsider (434 miliardi, 1960), e dell’Eni: superiore a quello della Montecatini (167 miliardi, 1960) e della Finmeccanica (154 miliardi, 1960)»60. Nella sua relazione esaminata dalla Commissione parlamentare tra la fine del 1961 e l’inizio del 196261, Rossi-Doria osservava come l’iniziale obiettivo della Federazione nazionale dei consorzi agrari di porsi come limitatrice dei forti oligopoli industriale che frenavano lo sviluppo dell’agricoltura agli inizi del ‘900 e deus ex machina della diffusione dell’idea cooperativa, avesse deviato dal proprio percorso, ponendosi a sua volta come elemento fortemente accentratore. In un contesto descritto come «d’inferiorità» e «di debolezza degli agricoltori» legate alle «forme monopolistiche» di azione di «grandi e grandissime industrie» produttrici di mezzi tecnici, come fertilizzanti, anti-crittogamici, macchine agricole, al dominio dell’industria trasformatrice, in grado di imche provvedono al coordinamento e al finanziamento di tutte le attività della organizzazione». (…) «Del primo gruppo facevano parte almeno fino a qualche anno fa: 1) il Servizio alimentari d’importazione; 2) il Servizio distribuzione cereali, farina e pasta (Ce.Fa.Pa.); 3) il Servizio ammassi; 4) l’Ufficio franco molino; 5) l’Ufficio olii, grassi e semioleosi». Il servizio Alimentari di importazione aveva il compito «di provvedere, per conto dello Stato, al ritiro e all’immagazzinamento delle derrate alimentari importate e di produzione nazionale. In base ai piani di approvvigionamento dell’Alto commissariato per l’alimentazione, ha dato esecuzione, nei primi anni del dopoguerra, ai programmi Primo Aiuto, Unrra, Ausa, Usfap, Erp, oltre che alla distribuzione, a titolo gratuito, dei viveri destinati all’Amministrazione aiuti internazionali agli asili, alle scuole, ospizi e altre categorie di bisognosi». Il servizio Ammassi, provvedeva «all’organizzazione, coordinamento e controllo della complessa attività relativa all’ammasso per contingente del grano. (…) Per i cereali esteri effettua per conto dello Stato gli acquisti e le importazioni di prodotti occorrenti alla integrazione del fabbisogno nazionale e alla costituzione delle scorte. A tale scopo si avvale dei propri uffici a Washington e Buenos Aires». (…) «L’Ufficio franco molino cura la cessione all’industria molitoria, con la clausola della condizione “franco molino” del grano nazionale degli ammassi e del grano estero dai porti (…)». «L’Ufficio olii, grassi e semi oleosi segue il commercio in territorio nazionale degli olii di oliva commestibili; cura il collocamento dei rettificati ottenuti dalla lavorazione dei lampanti di produzione nazionale o d’importazione; (…) organizza gli ammassi volontari». Cfr. ibid., pp. 68-69. 60. Ibid., p. 95. 61. «Mi sono deciso a pubblicare in volume l’interrogatorio del 15 febbraio 1962 alla Commissione parlamentare d’inchiesta sui limiti alla concorrenza e la memoria sulla Federconsorzi da me presentata alla stessa il 20 dicembre…», ibid., p. 5.
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porre le condizioni e ad un mercato che finiva anch’esso per prevalere e fare la voce grossa di fronte alla fragilità dei produttori all’origine62, lo studioso sottolineava e poneva la questione del ruolo anche della Federconsorzi in questa situazione. La Federazione, aggiungeva, «rappresenta una colossale organizzazione finanziaria ed economica, dotata sul mercato di un forte potere che esercita in tutta una gamma di settori, in cui essa determina situazioni probabilmente diverse da quelle che si sarebbero determinate se (essa, ndr.) avesse una organizzazione diversa da quella che ha». Essa «occupa la posizione che in tutti i paesi moderni di tipo occidentale è occupata dalle grandi organizzazioni cooperative dei produttori, cioè dalle organizzazioni attraverso le quali gli agricoltori tendono, e riescono in parte, a correggere altrove la loro posizione di inferiorità sul mercato». Essa si trova «al centro» di «rapporti di scambio» con grandi industrie «di tipo oligopolistico, che provvedono mezzi tecnici all’agricoltura», con le quali intrattiene «una serie di accordi in esclusiva»63. «Nei rapporti interni tra consorzi locali e federazione, nulla da obiettare al concetto di una federazione delle cooperative locali al fine di meglio tutelare i propri interessi, ma mi chiedo se oggi non si sia capovolto un tale rapporto e se i consorzi agrari locali non siano piuttosto da considerare agenti periferici della Federconsorzi, che agiscono per conto di questo grosso complesso finanziario» 64 .
La Federconsorzi divenne un’organizzazione che usufruiva di potenti iniezioni di risorse finanziarie pubbliche e una influente lobby in grado di esercitare un rilevante peso elettorale, tanto da controllare l’elezione, è stato scritto in varie sedi, di un centinaio di parlamentari e di innumerevoli amministratori locali. Pesanti dubbi emersero anche sull’ammanco di oltre 1.000 miliardi di lire dai bilanci dell’organizzazione presentati allo Stato legati alla gestione degli ammassi, dal 1946 al 1961, un “buco” esaminato nel dettaglio da Rossi-Doria e che ebbe una dura replica da parte del ministero 62. Ibid., p. 15. 63. Ibid., pp. 18-21. 64. Ibid., p. 37.
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dell’Agricoltura. Lo stesso fondatore del Partito popolare italiano, don Luigi Sturzo, intervenne aspramente sulla questione della commistione di poteri e sulla strumentalizzazione politica della Federconsorzi sulle pagine del Tempo di Milano, il 31 luglio 1949: «Siamo ad una svolta. I consorzi hanno avuto il regalo di uno statuto discutibilissimo, approvato per decreto legislativo; i consorzi dovranno ritornare ai veri agricoltori. Essi nomineranno, finalmente, i loro amministratori. La battaglia è ingaggiata tra Confagricoltura, Federterra e Coltivatori Diretti; e, a sentire le voci che corrono, si sono fatti entrare affrettatamente un numero notevole di nuovi soci col pagamento di 100 lire di quota (meno di un pacchetto di sigarette) fissato per legge (!); e per di più le quote sono state pagate dagli Enti nazionali in lotta. È una battaglia politica dove sono ingaggiati partiti, deputati e senatori. Nessuna meraviglia, nel clima attuale, se deputati e senatori saranno eletti a presidenti dei consorzi provinciali e della Federazione nazionale. Lo Stato dovrà affidare centinaia di miliardi ad enti diretti da parlamentari. Trent’anni fa questa era considerata una mostruosità morale e giuridica. Oggi sembra cosa normale e senza importanza. Peggiore vendetta non poteva ideare il fascismo contro i suoi avversari che quella di inoculare al post-fascismo il virus della sete di potere e di guadagni, del cumulo di posti lavorativi e di autorità, del continuo accentramento dell’economia privata nello Stato, della moltiplicazione degli Enti parastatali e della confusione tra amministrazione pubblica, semipubblica e privata. Il mio è un grido di allarme (…)».
La questione della contabilizzazione delle gestioni degli ammassi negli anni del dopoguerra, degli aiuti post-bellici, delle importazioni e commercializzazioni di prodotti agricoli per conto dello Stato, come ha notato Enzo Reali nel 1991, è un nodo piuttosto oscuro. Come rimane sibillino l’operato di alcuni consorzi agrari negli anni del dopoguerra, invischiati in gravi perdite finanziarie. Comunque, la Federconsorzi (o Fedit) stipulò grandi accordi commerciali negli anni del boom economico, come quelli con la Montecatini (poi Montedison) per la fornitura di fertilizzanti fosfatici ed azotati, e con la Fiat per la commercializzazione di trattori e macchine agricole della casa torinese attraverso la rete delle filiali dei consorzi agrari, con in contropartita una commissione dal 43 al 45% sulle vendite delle macchine a favore della Fedit. Un accordo dell’organizzazione federconsortile con l’Agip, negli anni Cinquanta, diede luogo alla nascita di un nuovo stabilimento, a Ravenna,
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dell’Anic (Azienda nazionale idrogenazione combustibili), azienda di Stato attiva nel petrolchimico, nata nel 1936, in periodo autarchico. Nel sito produttivo romagnolo si dovevano produrre fertilizzanti, come urea e nitrato ammonico e dopo varie vicende e la crisi del petrolchimico degli anni Settanta, confluirà nel 1984 nella nuova società Enichem Anic. Attraverso le proprie strutture, favorì inoltre la formazione del cartello “Seifa” (Montecatini, Edison, Vetrocoke e Rumianca) nel settore dei fertilizzanti e anche la sua associata Siapa (Società italo-americana prodotti antiparassitari), fondata nel 1948 (acquisita da Isagro s.p.a. nel 2001, nell’ambito dell’operazione di acquisto dell’intero ramo agrochimico di Caffaro) ebbe un trend crescente. Dal 1962 al 1982, la Federconsorzi procedette in maniera sostanzialmente statica, lasciandosi anche sfuggire nuovi settori di business, come quello della soia introdotta in Italia soprattutto dal gruppo Ferruzzi e lo sviluppo della grande distribuzione organizzata, con l’organizzazione di supermercati da parte della Lega delle cooperative. Tuttavia, già negli anni Sessanta era iniziato un fenomeno di indebitamento dell’organizzazione e di alcuni consorzi agrari, che furono poi ridotti di numero, da 92 a 74. «È solo dalla gestione 1976 che, costretta dai rigori della nuova legislazione fiscale, la Federconsorzi ha dovuto piegarsi alla compilazione di bilanci che, pure alquanto sintetici, offrono tuttavia alcune indicazioni numeriche degli azionisti (…) Fino al 1975 quel prospetto è consistito praticamente in un solo conto patrimoniale, in cui tutti gli immobili, edifici, magazzini, scali, aziende agricole, erano sinteticamente valutati per 11.965.579.252 lire (meno del valore del palazzo romano ove hanno sede gli uffici centrali). (…) Nel decennio tra il 1980 ed il 1990, mentre il capitale sociale rimaneva e non poteva che rimanere, perché lo limitava la legge del 1948, sempre di sole lire 4.650.000 pari a 93 quote da lire 500.000 cadauna detenute dai consorzi, i dipendenti salivano a circa 2.000, i depositi di benzina agricola a 1.500, gli empori a 3.500. La Fedit era, di fatto, una holding che controllava in forma diretta od indiretta società industriali, commerciali ed immobiliari. La Fedit aveva inoltre partecipazioni nelle seguenti società: I.o.r. (Italiana Oli e Risi), Enichem Agricoltura, Banca nazionale dell’agricoltura, Banca nazionale del lavoro, Montedison. La Fedit, inoltre, era il veicolo esclusivo di commercializzazione dei trattori Fiat e partner di importanti gruppi economici, quali l’Enichem e la Ferruzzi; deteneva pacchetti azionari di maggioranza, di controllo o di riferimento in banche e società assicurative e di factoring: Banca nazionale dell’agricoltura, Credito agra-
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rio Ferrarese, Fata spa - società di assicurazione -, Agrifactoring spa. La Fedit esercitava, inoltre, di fatto una funzione bancaria, tanto da essere considerata il più importante istituto bancario di credito agrario: il giro annuo di affari era di circa 1.000 miliardi. Perdurando l’istituto degli ammassi volontari, essa era ente ammassatore per conto e nell’interesse dello Stato. Infine svolgeva funzioni di assuntore nell’ambito e per conto dell’Aima (l’Azienda per gli interventi sul mercato agricolo, istituita con la legge n. 303 del 1966, ndr.). Disponendo del più vasto patrimonio di silos granari, in larga parte costruiti con finanziamenti dello Stato, nonché di silos per ogni altro genere di derrate, era il più importante assuntore italiano. Le cifre sono imponenti e le attività svolte vitali per l’agricoltura italiana. Il sistema federconsortile sembrava, dunque, funzionare. Ma già negli anni Sessanta non erano mancate le denunce su numerosi aspetti negativi di questo sistema, che pur in quegli anni prosperava grazie ai ricavi delle gestioni speciali: la preminenza della Federconsorzi sui consorzi agrari provinciali, l’estromissione dei veri agricoltori dall’amministrazione dei consorzi, gli alti prezzi di vendita dei prodotti acquistati dalla Fedit e rivenduti ai consorzi, le spese eccessive, l’inefficienza del controllo sindacale, l’asservimento politico. Si tratta di critiche fondate e condivisibili, anche in riferimento alla gestione degli anni successivi, che già indicavano alcune delle ragioni della successiva crisi del sistema, che si manifesterà molti anni dopo, quando la redditività assicurata dalla fonte pubblica sarà del tutto venuta meno. Già negli anni Sessanta i consorzi agrari in generale versavano in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed erano a rischio di fallimento» 65 .
Già all’inizio degli anni Ottanta la crisi era abbastanza evidente, almeno agli addetti ai lavori, tanto che la Coldiretti, con Arcangelo Lobianco, con il progetto “Aquila” tentò un processo di ammodernamento e riorganizzazione, con creazione di una rete di supermercati locali presso i consorzi agrari, e di servizi di assistenza tecnica e finanziaria agli agricoltori. Furono inoltre conclusi alcuni accordi industriali, come con Enichem Agricoltura, per quanto quest’ultima giudicasse alcune aziende di Federconsorzi in capo a Fertilgest, improduttive al punto da chiedere il loro smantellamento. Nel luglio 1986 fu costruita la Fedital – e vi fu stimolato a parteciparvi anche il Consorzio agrario di Bologna – con l’incorporazione di diverse società strutturate in quattro divisioni: lattiero-caseario (Polenghi), ortofrutta trasformata (Massalombar65. Commissione parlamentare di inchiesta, XIII legislatura, 2001, Capitolo quarto.
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da-Colombani), vinicolo (Enologica Valtellinese, Granducato e Tusculum) e dietetici (Weight Watchers, Augusto). Molte altre operazioni furono tentate – e la loro analisi dettagliata richiederebbe uno studio ad hoc – anche attraverso il successivo piano triennale di risanamento del 1988-199066. Nel 1991, Enzo Reali dava della Fedit una definizione che conteneva molti aspetti critici, alcuni dei quali anticipavano, pur con certune differenze, quelli della Commissione parlamentare d’inchiesta del 2001: «Il gruppo Federconsorzi è (…) rimasto l’unico di grandi dimensioni a non fare il bilancio consolidato, a non certificare i propri bilanci aziendali, a non renderli pubblici e a rispondere sempre “picche” alle richieste di informazioni sullo stato dell’azienda, siano esse pervenute da singoli cittadini, potenti organizzazioni, o istituzioni come l’ufficio Studi della Camera dei deputati. Miglior trattamento non è riservato neppure ai soci. Basti pensare che fino a tutti gli anni ’70 il resoconto annuale che la Federconsorzi distribuiva ai soci (Consorzi agrari) consisteva in un solo conto patrimoniale dove tutti gli immobili, magazzini, macchinari, scali e aziende agricole erano compressi in un’unica voce e venivano valutati meno del valore della sede centrale. L’altro documento contabile, il conto profitti e perdite, a conferma della sinteticità del documento informativo, era illustrato da una tabellina di cinque voci. (…) La Federazione italiana dei Consorzi agrari (Fedit), nata a Piacenza nel 1892, è formalmente una cooperativa privata di secondo grado costituita per coordinare i Consorzi agrari provinciali (Cap) nell’acquisto e fornitura di mezzi tecnici, produrre e vendere operando sul mercato, gestire attività finanziarie, partecipare e promuovere la costituzione di enti i cui scopi interessino attività consortili ed eseguire per conto dello Stato le operazioni necessarie per il ricevimento, la conservazione e la distribuzione di merci e prodotti. (…) Attraverso (varie) vicende storiche (…) la Fedit è diventata una grande holding che oltre a controllare direttamente più di 80 società operanti nel settore agro-alimentare e finanziario, coordina e gestisce tutti i Consorzi agrari provinciali diffusi sul territorio nazionale, esportando i propri prodotti in 43 Paesi. (…) Il volume di affari del gruppo nel 1989 arriva, senza grandi errori, a circa 10 mila 650 miliardi, con un incremento del 4,4% rispetto all’anno precedente. (…) La quota del fatturato totale del gruppo (…) è (…) così distribuita: 54% ai Cap, 14% alle controllate, 32% alla Federconsorzi. Con questi livelli di fat66. Per tutta questa parte vedi E. Reali, Federconsorzi tra mercato e politica, Il Sole 24 Ore Libri, Milano, 1991, Capitolo 2°.
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turato il gruppo Fedit rimane ben saldo nella posizione di leader del settore agro-alimentare in Italia, mentre in Europa risulta solo quinto, ed è una delle prime 60 aziende europee se consideriamo l’intero mondo economico». (…) Terreni e allevamenti, enopoli, oleifici e caseifici, palazzi cittadini e aziende agrarie ma soprattutto magazzini e sili agrari sono le strutture che compongono il grande patrimonio della Federconsorzi. Solo una parte di questi stabilimenti sono stati costruiti dalla Fedit; la maggioranza degli immobili e degli impianti sono stati derivati dai Consorzi agrari provinciali. L’organizzazione madre, la Fedit, in cambio di immobili ha infatti versato preziosa liquidità nelle casse di quasi tutti i propri figli, i Cap. Molti di questi hanno evitato, sia pur per poco, la bancarotta, vedi, ad esempio, i Cap di Foggia, Bari, Cagliari e Asti; alcuni, come il Cap di Milano e il Cap della Basilicata, sono riusciti a migliorare le loro performance; altri invece non ce l’hanno fatta e adesso sono diretti da un commissario. La tendenza alla vendita degli immobili alla Fedit da parte dei Cap in crisi non accenna ad arrestarsi, come dimostra l’acquisto per 55 miliardi del Consorzio agrario di Reggio Emilia gestito da un commissario dal 1988. Tutte le acquisizioni sono state effettuate senza aver di mira un efficiente recupero delle strutture, con il risultato che adesso la Fedit si trova a gestire un disorganico patrimonio composto da 900 cespiti per un valore complessivo attuale di circa 750 miliardi, concentrati in gran parte a Roma» 67 .
Alla fine degli anni Ottanta, la Federconsorzi aveva un organico di quasi 20mila dipendenti, di cui oltre 13mila nei Consorzi agrari. Quelli delle società controllate erano circa 5mila. Il tasso di indebitamento nei confronti di istituti di credito nazionali e internazionali era elevatissimo, anche a causa delle erogazioni a pioggia nei confronti dei consorzi agrari spesso mal gestiti ed inefficienti: 1.126 miliardi di lire nel 1987, 1.437 nel 1988, 1.728 nel 1989 e 2.400 nel 199168. «Al di fuori di ogni controllo istituzionale, l’indebitamento aveva sforato i 5mila miliardi a fronte di appena 16 miliardi di garanzie da parte delle banche»69. La Fedit si trovava sull’orlo del baratro e il crack fu riconosciuto e ufficializzato il 17 maggio 1991, quando il ministro dell’Agricoltura Giovanni Goria, decise il commissariamento dell’organizzazione70. 67. E. Reali, Federconsorzi tra mercato e politica, cit., pp. 9-17. 68. A. Bernacchi, “Quel gigante chiamato Federconsorzi”, il Sole 24 Ore, sabato 17 ottobre 2009, p. 2. 69. Ibid. 70. Commissione parlamentare di inchiesta, XIII legislatura, 2001, Capitolo tredicesimo.
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«La ragione fondamentale della crisi fu il peso insostenibile degli interessi che l’indebitamento bancario comportava. Tale indebitamento non era connesso ad investimenti, ma serviva esclusivamente a sostenere il sistema e, quindi, non poteva essere affrontato, superato e ridotto seriamente se non riformando il sistema. In mancanza di un intervento strutturale, il tracollo era irreversibile. Se il Ministro non avesse adottato il provvedimento, ne sarebbe derivato un sicuro aumento dell’indebitamento che avrebbe nuociuto ulteriormente agli interessi del ceto creditorio. A poco sarebbero giovati interventi di sostegno dello Stato - che peraltro, vale ricordarlo, all’epoca era impegnato in una politica economica che andava in direzione opposta - ed il pagamento dei debiti dovuti per la gestione degli ammassi. Senza radicali interventi strutturali, miliardi pubblici sarebbero stati in breve sterilmente bruciati in interessi a favore esclusivamente del sistema bancario e senza alcun beneficio per il mondo agricolo. Il problema si sarebbe ripresentato dopo poco. Sul piano politico, la decisione del commissariamento, che fu anche una presa d’atto del fallimento del sistema e di chi lo sosteneva, fu assunta dall’onorevole Goria d’intesa con il presidente del consiglio Andreotti e con l’approvazione implicita del segretario della Democrazia cristiana Forlani» 71 .
Per la gestione della società in stato di fallimento furono nominati tre commissari, Giorgio Cigliana (ex-manager di Bi-Invest e presidente di Crediop), Agostino Gambino (futuro ministro delle Poste con il Governo Dini), e Pompeo Locatelli, un commercialista milanese. «La procedura di cessione dei beni ai creditori si presentò subito complessa, una cosa da “azzeccagarbugli”. Una parte dei crediti era stata ceduta all’Agrifacturing, una società creata dalla stessa Fedit con Bnl e altri istituti (…). Cresceva il fondato timore nella schiera dei 15mila creditori che la liquidazione del patrimonio potesse risolversi in una svendita. Le banche temevano che si andasse alle calende greche, nonostante la buona volontà del commissario giudiziale, Nicola Picardi. Ed è a questo punto che nel puzzle apparve (…) Pellegrino Capaldo, professionista di lunga data, presidente del Banco di Roma, un economista gradito a Piazza del Gesù e alla Banca d’Italia allora presieduta da Ciampi. Capaldo scese in campo proponendo di costituire una Sgr (Società gestione per il realizzo, ndr.) che rilevasse dalla procedura di concordato preventivo l’intero patrimonio della Fedit. L’idea ebbe subito consensi ma fu 71. Ibid.
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il prezzo pagato dall’ex-banchiere, in tutto 2.150 miliardi, a imprimere una svolta processuale del tutto imprevista alla vicenda Fedit che avrebbe portato alla condanna dello stesso Capaldo a 4 anni di reclusione per bancarotta. Era il 29 settembre 2002. Stessa sorte il Tribunale di Perugia riservò a Ivo Greco, presidente del Tribunale fallimentare di Roma e giudice delegato al concordato di Fedit. (…) Intanto era trascorso più di un decennio da quel venerdì nero (del 17 maggio 1991, ndr.). (…) Le cifre parlavano chiaro: gli asset di Fedit erano stimati in 4.800 miliardi, poi ridotti per prudenza a 3.939, comunque una cifra sempre molto più alta di quella pagata dalla Sgr di Capaldo. Qualcuno, come l’avvocato calabrese Sergio Scicchitano, quinto liquidatore giudiziale della Fedit a partire dalla fine del 2003, era poi convinto che la Sgr avesse sborsato anche meno: non più di 800 miliardi. (…) Il crack Federconsorzi restava (…) ancora un grande buco nero, un ginepraio di cause civili sempre aperte, una delle pagine più sconcertanti dell’economia asservita alla politica con il suo carico di misteri e intrighi (…)» 72.
Nella relazione per il Concordato preventivo della Federconsorzi, stilata dai consulenti della sezione fallimentare del Tribunale civile e penale di Roma, furono sondate le cause generali e particolari del dissesto. Per quel che riguarda gli elementi d’incidenza generale, «alla base dell’insolvenza non si rinviene un’unica causa, ma un complesso di anomalie economico-funzionali, sia di origine oggettiva, dipendenti cioè da accadimenti estranei al potere dispositivo dell’imprenditore e dallo stesso imprevedibili e incontrollabili, sia di origine oggettiva, aventi cioè correlazione con il comportamento e con le scelte degli amministratori. Verosimilmente, una prima, e forse fondamentale, causa del dissesto, va colta nello stesso contesto nel quale la Federconsorzi ha operato. Il mondo agricolo – frammentato in numerosissime imprese spesso di dimensioni molto modeste – è anche diversificato in ragione delle aree geografiche e delle zone (pianeggianti, collinari e montane), a maggiore o minore produttività. La conformazione dell’Italia accentua tali diversità. Si aggiunga la notevole rigidità del mercato agricolo, caratterizzato da una scarsa attitudine a seguire la legge della domanda e dell’offerta, e influenzato, invece, dalla incidenza dei fattori naturali sulla produzione. La mancanza di una concentrazione delle imprese e il difetto di informazione sono altre ragioni che alimentano la frammentazione. In una situazione del genere è ragionevole che assuma una 72. A. Bernacchi, “Quel gigante chiamato Federconsorzi”, art. cit.
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particolare importanza il fenomeno dell’associazionismo, che consente all’agricoltore di essere meno solo nelle scelte. Di ciò prendono atto le norme comunitarie che frequentemente si rivolgono, come soggetti destinatari o beneficiari, anche a forme associate di conduzione agricola e ad associazioni professionali. In tale contesto (…) si spiega il ruolo storico rivestito, in Italia, da soggetti economici che, secondo modalità associative, si sono posti accanto alla tradizionale famiglia contadina, talvolta in sede operativa (cooperative agricole) ed. a volte, inserendosi come fattori di aiuto, di sostegno e di sviluppo alle imprese. Questo secondo è il caso dei Consorzi (agrari, ndr.), i quali, a partire dall’epoca fascista, si sono costituiti e diffusi su base provinciale. I Consorzi Agrari Provinciali, nella loro azione di appoggio a favore del mondo agricolo, hanno assunto anche la funzione di soggetto (…) intermedio, idoneo a garantire un certo raccordo tra l’impresa agricola, collocata al centro, il settore dell’industria e dei servizi, situati a monte, ed i mercati di sbocco, posti a valle. Tale funzione, svolta in prima battuta dai Cap, ha trovato la sua espressione più cospicua nella Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, la quale ha assunto un ruolo di guida e di traino dell’intera agricoltura italiana. Cap e Federconsorzi sono però, soggetti economici, e non socio-politici. Come tali essi hanno finito per sopportare le incidenze negative di una così profonda trasformazione. Accompagnare gradualmente un sistema di radicali modificazioni significa farsi carico anche delle imprese marginali, degli imprenditori meno avveduti, dei comparti agricoli più poveri, delle produzioni meno competitive (…) La Federconsorzi spesso ha finito per operare non da società lucrativa, ma secondo la logica di una società consortile (…). Si è così constatato, di frequente, la disapplicazione di alcune disposizioni attinenti allo scopo lucrativo e la sua sostituzione con la funzione consortile. Probabilmente questa è una delle cause della odierna insolvenza. Causa latente, sotterranea, con radici lontane, ed emersa, con la sua gravità, solo in tempi recenti» 73 .
Per quanto riguarda gli elementi di tipo particolare, «una ulteriore causa della attuale insolvenza della Federconsorzi è (…) ascrivibile all’andamento economico e finanziario negativo di vari Consorzi Agrari Provinciali». 73. Tribunale Civile e Penale di Roma – Sezione Fallimentare – Giudice delegato: Presidente dott. Ivo Greco. Concordato preventivo Federconsorzi. Relazione particolareggiata del Commissario Giudiziale avv. prof. Nicola Picardi, con la collaborazione del Coadiutore generale avv. prof. Ludovico Pazzaglia, dattiloscritto, Roma, 21 gennaio 1992, capitolo V, pagg. 48-58.
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Secondo i consulenti del Tribunale di Roma, al momento del fallimento della Federconsorzi, «i consorzi agrari si trovano (…) in una grave crisi di liquidità, dovuta, per lo più, alla politica creditizia adottata verso gli agricoltori. A questi ultimi, infatti, venivano concesse lunghe dilazioni, che giungevano a superare, a volte, i duecento giorni. Tali dilazioni non venivano coordinate con le dilazioni massime concesse dai fornitori. La mancanza di una capitalizzazione e della possibilità di fornirsi di mezzi propri, al pari di un’azienda comune, hanno, così, indotto i Consorzi a tentare di risolvere lo squilibrio, aumentando il loro indebitamento nei confronti della Federazione, e trasferendo su di essa gli oneri finanziari. In altri termini, il nesso che si è venuto a creare fra Federconsorzi, Cap ed agricoltori sta alla base di una plausibile spiegazione della crisi. (…) Le difficoltà degli agricoltori si sono riversate sui Cap che li sostenevano e ne erano creditori. Le difficoltà (e, a volte, la cattiva gestione) dei Cap si sono riversate, a loro turno, sulla Federconsorzi, che, in concreto, ne costituiva il supporto e ne assicurava la sopravvivenza. (…) (Inoltre) sono state sostanzialmente trasferite, ai Consorzi in crisi, risorse finanziarie che, in un’ottica di economicità, avrebbero dovuto essere attribuite, piuttosto, ai Consorzi sani, i quali in qualche caso se ne sono doluti 74. L’impiego crescente, e progressivamente assunto, dalla Federconsorzi, verso i Cap, in dipendenza prevalentemente di operazioni di finanziamento commerciale, è testimoniato dalla dilazione dei crediti Federconsorzi verso i Consorzi. Si tratta, spesso, di forniture concesse ai Consorzi Agrari e da questi ultimi non pagate. Nel 1986 il credito complessivo ammontava a 1.187 miliardi, ed è progressivamente aumentato fino a raggiungere, nel 1990, l’importo di 2.114 miliardi».
Altre cause erano individuate nella «mancanza di propri canali distributivi per prodotti e servizi» e nella dipendenza, per questo aspetto, dai Cap, «l’insufficiente e inesistente capitalizzazione» che ha determinato «la necessità di ricorso al sistema bancario, per l’approvvigionamento dei mezzi finanziari occorrenti alla politica gestionale», l’«assunzione diretta o indiretta di partecipazioni» e la «deviazione dei Cap dai loro obiettivi primari», con intensificazione «abnorme» dell’azione di sostegno dell’organizzazione verso gli stessi, l’amministrazione delle società immobiliari e degli immobili di proprietà «con criteri diversi da quelli di economicità e redditività», la tenuta della contabilità non «all’altezza di un soggetto imprenditoriale delle dimensioni della Federconsorzi». Per quanto si riferisce, infine, alla «condotta degli amministratori» 74. Corsivo nostro.
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e al «problema della meritevolezza», si contestavano «occultamento di perdite per sopravvalutazione dell’attivo e mancanza di svalutazione dei crediti (…) nei confronti dei Cap e delle partecipate», «artificioso aumento dell’attivo per imputazione di poste creditorie prive di capacità di ritorno (…) nei confronti del Maf75 e delle “gestioni speciali”», «alterazioni di bilancio con la tecnica delle rivalutazioni dei cespiti immobiliari», «spese per progetti e attività inutili». Nel 2010, la vicenda Fedit e la questione della cessione del patrimonio dell’organizzazione a quotazione sottostimata, è tornata di attualità, quando l’allora ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan, nell’occasione di una conferenza stampa alla Camera dei deputati, ebbe a dichiarare: «Per Federconsorzi servono 800 milioni di euro. Quando si dichiarò il fallimento della Federconsorzi si fece uno degli atti più sconcertanti e scandalosi della storia italiana, peggio della Banca Romana. Sono andato a studiarmi le carte. Ho visto una roba che valeva 100 ed è stata valutata 40 (…). Adesso vedo una sentenza che è stata quantificata in 800 milioni di euro, più gli interessi. È una grande partita, qualcuno deve cacciare questi soldi. Credo che vanno chiesti al ministero dell’Economia».
Lo stesso Galan, firmò un decreto ministeriale, il 9 dicembre 2010, nel quale si nominavano un commissario e un sub-commissario per la Federazione italiana dei consorzi agrari, e si osservava: «I professionisti dovranno procedere alla ricognizione del contenzioso pendente, in particolare quello nei confronti del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, in ordine ai crediti derivanti dalla rendicontazione della gestione degli ammassi dei prodotti agricoli, nonché il contenzioso promosso da alcuni ex-dipendenti della Federconsorzi e di alcune società ad essa collegate, con il compito di definire, anche in via transattiva, i predetti contenziosi».
Ai consorzi agrari spetterebbe una somma, inizialmente quantificata da Camera e Senato in circa 1.100 miliardi di lire, per operazioni di ammasso per conto dello Stato dalla fine della guerra agli anni Settanta. La legge sulla semplificazione del maggio 2012 ha dimezzato gli 800 milioni di cui parlò Galan, una somma che comprendeva anche la valutazione di immobili di 75. Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.
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proprietà della Federconsorzi, riducendola a circa 400 milioni, anche per effetto di una sentenza della Corte d’Appello di Roma. Ma questi 400 milioni, ammesso che si trovino, data l’attuale difficile congiuntura finanziaria, a chi saranno assegnati? Alla Federconsorzi, risorta per porre fine ad una intricata controversia, nonostante la legge numero 410 del 28 ottobre 1999, “Nuovo ordinamento dei consorzi agrari”76, la dichiarasse sciolta77? O ai consorzi agrari, che vantano questi crediti? Un fatto è certo. Come spesso accade, le critiche attorno allo scandalo della cattiva gestione della Federconsorzi, che condusse ad un allontanamento dei fini iniziali dell’associazione e al suo asservimento al sistema politicopartitico e alle sue logiche clientelari, e che anticipò la più generale bufera di “Tangentopoli”, hanno rischiato di far buttare il bambino insieme all’acqua sporca. La storia della Federazione italiana dei consorzi agrari fa emergere anche il suo ruolo propulsivo e di accompagnamento verso la modernità nei confronti di un sistema agricolo che, all’epoca della nascita dell’ente cooperativo a Piacenza, versava in situazioni disastrose. Come ha correttamente notato F. Bertini: La Federconsorzi (…), intorno ad un impianto tecnico-commerciale di prim’ordine, costruì rapidamente un’influenza politico-culturale nel segno di un liberalismo pragmatico, fortemente impregnato dalla considerazione dei problemi economici, agronomici e produttivi del settore e, se non altro, fu uno degli elementi che consentirono il decollo industriale italiano, per l’incremento offerto alla produzione di materiali per l’agricoltura. Destinata a costituire uno dei “casi” del sistema italiano in tutta la sua esistenza, per motivi di volta in volta diversi, dall’antagonismo con la nascente industria chimica, alla concorrenza con le importanti articolazioni del commercio privato e con una rete di vendita tanto minuta quanto capace di pressione, allo scambio col sistema politico (…), la Federconsorzi costituì alle origini, nel sistema italiano, un elemento più di modernizzazione che di freno del sistema. In certo modo condusse le tante esperienze sparse e rivolte alla dimensione provinciale o regionale dei mercati a guardare oltre, tanto per lo smercio dei prodotti, quanto per l’ampliamento delle proprie caratteristiche produttive. Nel suo rafforzamento e sviluppo concluso traumaticamente all’inizio degli 76. Cfr. Gazzetta ufficiale n. 265 dell’11 novembre 1999. 77. Al comma 2 dell’articolo 5: «La Federconsorzi, a seguito della esecuzione del concordato preventivo in corso, è sciolta ai sensi dell’articolo 2544 del codice civile».
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anni Novanta del Novecento, si espresse l’esigenza dell’agricoltura di avere uno strumento di contrattazione con l’industria, ma si determinò un grande fenomeno di raccordo con l’economia nazionale e con i poteri politici. In generale gli agricoltori ebbero i benefici della disponibilità dei prodotti, talora ne pagarono un prezzo eccessivo» 78.
.A, 6. Obiettivo efficienza: la nascita di “Consorzi agrari d’Italia”
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all’epoca del tramonto della Federconsorzi, per sopravvenuta insolvenza, nella tarda primavera del 1991, i circa 79 consorzi agrari italiani affiliati all’organizzazione nata nell’aprile 1892, hanno dovuto procedere la propria attività autonomamente, e con le situazioni più diverse dal punto di vista dello stato finanziario e patrimoniale. Una parte di essi, pur avendo attraversato talvolta momenti di difficoltà, presentavano una situazione di salute finanziaria, mentre altri uscivano disastrati spesso a causa di gestioni negative o di gravi indebitamenti. Tuttavia, nel sistema agricolo che si è andato profilando, tra gli anni Novanta del Novecento e i primi dieci anni del nuovo secolo, connotato da problematiche vecchie e nuove, tra le quali quelle della necessità di rafforzare il reddito dell’anello debole della catena della formazione del valore nel sistema agro-alimentare, ossia le aziende agricole, attraverso sistemi aggregati di contrattazione in grado di fronteggiare la sempre maggiore concorrenza internazionale legata alla tendenziale liberalizzazione dei mercati mondiali, è emersa l’evidente necessità sia di valorizzare il patrimonio di esperienza maturato dai consorzi agrari italiani in oltre un secolo di storia, sia di colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa della Federconsorzi. Se, infatti, l’intreccio tra enti consortili e federazione-madre ha condotto, come si è visto, a storture e deviazioni da scopi virtuosi, ha anche rappresentato un esempio di creazione di azioni soltanto positive, come la capacità di rappresentanza delle esigenze del sistema agricolo e di contrattazione, insieme al contributo alla diffusione di mezzi moderni in un’agricoltura nazionale che ha saputo produrre eccellenze internazionalmente riconosciute. Per questo – si comprese più avanti – c’era la necessità non tanto di far risorgere
78. F. Bertini, Organizzazione economica e politica dell’agricoltura nel XX secolo, op. cit., pp. 30-31.
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un alias dell’organismo federconsortile come una sorta di araba fenice – come in un primo tempo di tentò di fare – quanto quella di generare ex-novo un organismo associativo aggregato efficiente, capace di valorizzare patrimonio e potenziale di azione dei consorzi agrari, salvandone gli aspetti positivi e correggendone quelli negativi, e, insieme, elevandone l’operato d’assieme, a fronte dell’ultra-competizione dei mercati moderni. Nell’ottobre 2009, è stata pubblicamente annunciata la nascita di “Consorzi Agrari d’Italia” (Cai), una società formata inizialmente da 23 consorzi agrari, la maggior parte dei quali in Italia settentrionale e centrale, ma non solo (data la presenza anche della Sardegna), con un capitale iniziale di 4 milioni di euro e un fatturato aggregato dei suoi componenti di 2,5 miliardi, con il fine di creare una rete consortile in grado di imporre la propria capacità di azione sul mercato, attraverso iniziative di concentrazione dell’offerta, necessarie nell’impostazione e nelle caratteristiche dell’attuale sistema agroalimentare, di unificare le filiere anche attraverso prodotti realizzati con marchio dei consorzi agrari per garantire maggior ritorno reddituale agli agricoltori soci e non soci, di organizzare una rete efficiente di servizi sul territorio nazionale, compreso quel Meridione spesso così disastrato nell’andamento degli enti consortili, ed economie di scala. Niente a che vedere dunque, nella dichiarazione di intenti, con i vecchi carrozzoni colonizzati dalla politica e dalla burocrazia, ma un organismo pragmatico capace di confrontarsi operativamente con la congiuntura agricola, segnata spesso da fenomeni rilevanti, come nel caso del mercato dei cereali, dal 2008 al centro di un’elevata volatilità delle quotazioni. Le leve d’intervento individuate, fortemente interconnesse e in grado di innescare un circolo virtuoso, sono l’ottimizzazione della rete commerciale e infrastrutturale dei consorzi agrari, il rafforzamento della posizione nel mercato delle commodities cerealicole, la capacità di erogazione di credito al cliente agricolo, la solidità patrimoniale e la capacità di investimento, lo sviluppo di servizi innovativi per l’agricoltore e per i consorzi agrari, il rafforzamento del rapporto diretto con il consumatore attraverso prodotti a filiera tutta italiana, controllata e gestita direttamente dai consorzi agrari dalla progettazione della coltivazione, fino alla fase della trasformazione finale. I consorzi puntano dunque a consolidare e rafforzare il sistema di azione mediante l’ottimizzazione commerciale della rete rispetto alle effettive esigenze ed al potenziale del mercato, rendendo più fecondo il rapporto tra
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tre fattori: la capillarità della rete, la quota di mercato ed i costi di struttura. Metodologia preminente per giungere a questa ottimizzazione è una razionalizzazione delle infrastrutture dei consorzi (stoccaggio, trasformazione mangimi e sementifici, trasformazione alimentare) all’interno di bacini produttivi omogenei. Secondo la filosofia di Cai, infatti, la creazione di poli territoriali all’interno dei singoli bacini di produzione è fondamentale per poter governare il processo di ristrutturazione della rete e ottenere risultati positivi in tempi ragionevoli. «L’autorevolezza del sistema dei Consorzi agrari, nell’ambito della filiera agricola, è un punto di forza trasversale da sfruttare per la costruzione di partnership sulle singole leve di intervento in base al mandato formativo da parte del mondo agricolo che rappresenta» sostengono, infatti, gli estensori del progetto. Sono stati pertanto individuati 9 bacini produttivi, accomunati da caratteristiche di omogeneità (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro-Nord, Centro, Sud, Sud-Est, Sud-Ovest, Sicilia e Sardegna), all’interno dei quali favorire e formare aggregazioni di consorzi agrari, risollevare enti consortili in crisi, dare luogo a strutture di servizio comuni in grado di ridurre le dis-economie. I principali punti di forza sono: 1) la notevole copertura territoriale delle strutture consortili, nelle aree maggiormente specializzate nella coltivazione di grano tenero, mais, orzo, colza, girasole e soia, e dell’allevamento dei bovini, soprattutto da latte, con una superficie che realizza circa il 58% della Produzione lorda vendibile dell’agricoltura italiana; 2) la presenza di una rete commerciale (filiali e agenzie, tecnici agrari) e di una rete infrastrutturale (centri di stoccaggio, mangimifici, sementifici e struttura agro-alimentari) e, in alcuni territori, di una rete di punti vendita; 3) l’offerta ampia ed integrata di servizi all’agricoltore, dall’assistenza tecnica in fase di programmazione delle colture, alla commercializzazione del prodotto finito; 4) l’aggregazione dell’offerta, soprattutto di seminativi, sul mercato finale, sia a livello di singolo Consorzio agrario provinciale, sia mediante società di scopo. Nel complesso i consorzi agrari, nel 2008, hanno raccol-
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to il 12,5% della produzione nazionale di grano tenero, il 6,7% di quella di grano duro, e il 10,1% di quella di mais. Inoltre, le quote di mercato possedute sono elevate rispetto alla frammentazione del settore; 5) il consistente patrimonio immobiliare e la rilevanza del giudizio dei consorzi agrari sulle scelte degli agricoltori, con i quali essi mantengono un rapporto fiduciario. D’altro canto, si evidenziano anche aspetti di debolezza, come: 1) la marginale copertura delle aree territoriali vocate alla produzione di frumento duro; 2) le quote di mercato ancora modeste in valori assoluti sul mercato nazionale; 3) il frequente sottodimensionamento delle strutture di stoccaggio rispetto alle potenzialità di raccolta dei diversi bacini; 4) il persistente, forte ricorso alla modalità del conto deposito come strumento contrattuale di rapporto tra i consorzi agrari e gli agricoltori per il conferimento dei cereali, la quale, essendo vincolata alla decisione da parte delle aziende agricole sul momento nel quale collocare la merce sul mercato, è all’origine della scarsa flessibilità nell’offerta di cereali; 5) la dipendenza, dal punto di vista economico, dall’andamento delle vendite di mezzi tecnici; 6) il ricorrente impegno del patrimonio in garanzie per il debito a lungo termine; 7) l’assenza di coordinamento delle iniziative di accorciamento della catena distributiva e di lancio dei prodotti firmati dall’agricoltore; 8) la scarsità di risorse finanziarie per nuovi investimenti. In questa partita, tuttavia, le opportunità sono molte, tra le quali: 1) il rafforzamento di Consorzi Agrari d’Italia mediante il coinvolgimento di altri consorzi agrari e soggetti economici alternativi (come le cooperative), con conseguente possibilità di realizzare economie di scala e di scopo;
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2) la razionalizzazione della rete commerciale e delle infrastrutture, l’ammodernamento e la razionalizzazione; 3) l’ampliamento della rete di stoccaggio attuale e l’allargamento dei servizi nelle aree non servite, spesso significative in termini di produzione di seminativi; 4) l’acquisizione di nuove quote di mercato; 5) l’ulteriore aggregazione dell’offerta in fase di commercializzazione, anche mediante la negoziazione di accordi quadro con l’industria di trasformazione, il superamento del conto deposito, l’opportunità di partnership con attori istituzionali, finanziari e industriali, la creazione di un marchio consortile in grado di dare visibilità sul mercato, lo studio di strumenti per mitigare le oscillazioni dei prezzi, la centralizzazione di servizi e procedure. Non sono affatto da sottovalutare, tuttavia, anche gli aspetti problematici, come l’alta competitività del mercato, la concorrenza di altri attori, come Op e cooperative, la difficoltà nell’estendere l’incidenza di forme di contratto alternative al conto deposito. A livello generale, i tre poli sui quali s’incentra il progetto Cai, sono quelli della valorizzazione delle radici italiane della produzione – fattore questo che concorre sia al sostegno delle filiere nazionali sia alle maggiori possibilità di controllo della qualità dei prodotti finali –, il sostegno al trading dei seminativi per garantire capacità contrattuale collettiva nei cereali ai consorzi agrari, e l’attenzione ai progetti nel settore delle energie rinnovabili. Per quel che riguarda i progetti di creazione di filiere italiane governate e gestite dai consorzi agrari, si segnalano il progetto relativo al pastificio Ghigi. Merita attenzione tuttavia, anche il contratto collettivo di fornitura di materia prima di produzione italiana al colosso industriale Barilla, sottoscritto per la prima volta nel 2006, e da allora costantemente rinnovato per le successive campagne, con importante ruolo dei consorzi agrari. .A,
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2. FATTI, STORIE, PROTAGONISTI DAL 1901 ALLA FINE DEL SECOLO 1. Inquadratura storica. Un’agricoltura arretrata. Dalla crisi granaria all’inchiesta Jacini. Dai comizi ai consorzi agrari
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ra la fine del 1800 e gli inizi del ‘900, l’Emilia Romagna era una delle regioni italiane dove regnavano effervescenza e fervore pragmatico per dare slancio ad un sistema agricolo che stentava fra problematiche legate alla divaricazione dicotomica nella struttura della proprietà fondiaria e alle caratteristiche di arretratezza e di stagnazione economica che contraddistinguevano, in tutta la penisola, questo frangente storico. Nel 1884 la grande inchiesta parlamentare coordinata da Stefano Jacini, dal quale prese il nome, aveva messo in luce, lungi dai luoghi comuni che dipingevano l’Italia come il giardino d’Europa, come nel settore agricolo, il principale dell’economia del Paese, si operasse in situazioni spesso ardue dal punto di vista pedo-climatico. Inoltre, nelle campagne, imperavano miseria, malattie e rancori – a causa delle enormi diseguaglianze, dello sfruttamento della manodopera bracciantile e delle precarie condizioni di vita e di remunerazione del lavoro, quasi assimilabili ai sistemi in voga nelle piantagioni coloniali – insieme ad un’impostazione localistica e incentrata sull’auto-consumo delle produzioni e ad un utilizzo dei terreni reso spesso impossibile dalle ampie plaghe acquitrinose e paludose, e dunque incolte, utilizzabili solo nei mesi aridi per il pascolo brado. Nel 1880, l’anno dell’abolizione del corso forzoso e della guerra doganale con la Francia, il prezzo internazionale del grano era precipitato, con effetti drammatici sull’agricoltura: la quotazione del frumento tenero scese, dal 1873 al 1894, da 36 a 19 lire al quintale, la rendita fondiaria crollò, e gli agricoltori che avevano contratto ipoteche furono stretti nella morsa per pagare interessi ed imposte, con la conseguenza che, dal 1° gennaio 1885 al 30 giugno 1897, furono eseguiti oltre 80mila espropri per il mancato pagamento delle imposte. Bisognava migliorare ed accrescere il capitale fondiario anche dei piccoli coltivatori, sostenerli nell’acquisto dei mezzi tecnici, supportarli nelle
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tecniche di gestione agronomica e di ricerca della qualità dei prodotti, ampliare le dimensioni dei mercati di riferimento. Era necessario, insomma, rendere più strutturata, efficace e penetrante l’attività che già avevano iniziato a svolgere i comizi agrari e le loro emanazioni divulgative, le cattedre ambulanti di agricoltura. Nel 1885 un gruppo di proprietari piemontesi e lombardi si era riunito a Torino per fondare la “Lega di difesa agraria”, un’associazione nata per superare una serie di contrasti tra affittuari e proprietari delle aree della Padana irrigua che la crisi agraria aveva ingigantito, e che aveva come obiettivo primario la mobilitazione degli interessi agrari per il dazio sul grano: 200 deputati erano pronti a sostenerne le richieste in Parlamento79. Il vuoto lasciato da questo organismo, discioltosi pochi anni dopo, e con una filosofia ampliata, fu riempito dalla Federconsorzi, costituita a Piacenza nell’aprile 1892: fra i 18 enti promotori di quello che sarebbe presto diventato «il punto di aggregazione più rappresentativo degli interessi agrari per tutta Italia» c’era anche il già attivo comizio agrario di Bologna, insieme a quelli di Modena, Forlì, Parma, Pavia ed Alessandria80. Esattamente nove anni dopo, il 6 aprile 1901, a Bologna, nello studio del notaio Luigi Roversi, fu ufficializzata la nascita del Consorzio Agrario Bolognese, la cui lunga storia, che oggi continua, prospera di promesse, ha contribuito in maniera determinante a quel processo fondamentale al quale i Consorzi agrari hanno dato un apporto determinante, ancora poco noto al grande pubblico, di «sviluppo generale del Paese»81. Box 9. Stefano Jacini, pupillo di Cavour. La diagnostica socio-economica in agricoltura nell’Italia riunita Nato a Casalbuttano (Cremona) il 20 giugno 1826, Stefano Jacini, proveniente da una famiglia dell’alta aristocrazia lombarda, dopo gli studi in Svizzera e Germania, s’interessò di economia ed agricoltura: già nel 1856 pubblicò uno studio sulla proprietà fondiaria in Lombardia. Nel 1858 scrisse un libro bianco sulle condizioni generali 79. A. M. Banti, I proprietari terrieri nell’Italia centro-settentrionale, cit. p. 78. 80. Ibid., p. 79. 81. Federconsorzi, Gli ottant’anni della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, cit.
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di Lombardia e Veneto, descrivendo i problemi legati al dominio austriaco, su commissione di Camillo Benso di Cavour. Lo stesso Cavour lo nominò ministro dei Lavori pubblici del Regno di Sardegna (1860-1861), carica rinnovata anche nell’appena sorto Regno d’Italia nei Governi La Marmora I, La Marmora II e Ricasoli I (Destra storica), fino al febbraio 1867. Nel maggio 1885, Jacini, senatore della Destra storica rappresentante gli interessi della grande proprietà fondiaria ma innovatore e progressista, denunciò al Governo il disinteresse pressoché completo della politica dominante nei confronti della questione agricola, e presentò i risultati un’indagine capillare sul territorio italiano volta a diagnosticare lo stato di salute del mondo della produzione agricola. Quell’indagine si era svolta tra molte difficoltà, come la soppressione del ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio, stabilita, nel giorno del suo insediamento (26 dicembre 1877), dal terzo Governo De Pretis, decisione che suscitò un nugolo di proteste (il Governo Cairoli, sei mesi dopo, lo ripristinò). Ciononostante, la Commissione presieduta da Jacini portò a termine il lavoro – che fu pubblicato in 15 volumi – nell’aprile 1885, nel quale emergeva, come lo stesso Jacini sottolineò, la necessità di passare da un sistema produttivo estensivo ad uno intensivo, basato sulla specializzazione produttiva. Dell’inchiesta parlamentare si fece un gran parlare in anni di emergenti crisi agricole, nei quali stavano sorgendo a macchia di leopardo i comizi agrari, istituiti con un decreto del 22 settembre 1866, con il compito di contribuire al progresso dell’agricoltura. Merito dell’indagine è anche il fatto di aver messo in evidenza i gravissimi problemi sociali dei contadini, come l’alto indice di mortalità dei bambini per difterite e la diffusione della pellagra. Jacini si fece notare anche per le capacità diplomatiche (conosceva la lingua tedesca), in particolare nell’accordo anti-austriaco con la Prussia, alleata dell’Italia nella terza guerra d’indipendenza, e per le consulenze circa la formazione della rete ferroviaria nazionale. Morì a Milano il 25 marzo 1891. .A,
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2. La nascita ufficiale e il primo statuto del Consorzio Agrario Bolognese. L’Italia e Bologna nel 1901.
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iin un prezioso libretto della consistenza di 23 pagine con copertina carta da zucchero, stampato a Bologna, dalla Società cooperativa tipografica Azzoguidi nel 1902, conservato presso gli archivi del Consorzio Agrario dell’Emilia e reperibile anche alla Biblioteca d’Arte e di Storia “San Giorgio in Poggiale” di Bologna82, che si può leggere il primo Statuto del “Consorzio Agrario Bolognese – Società anonima cooperativa”, ossia l’originario testo «deliberato dall’atto costitutivo della Società, a rogito 6 aprile 1901 del notaio dott. Luigi Roversi. E, a seguito di provvedimento del Regio Tribunale di Bologna in data 15 aprile 1901, depositato e trascritto nella Cancelleria del Tribunale medesimo il 18 dello stesso mese, affisso nei luoghi di legge ed inserito nel n. 93 del Foglio degli annunzi legali della Provincia di Bologna il 20 aprile 1901». Box 10. Bologna, via Carbonesi: il rogito del notaio Roversi. Il Consorzio Agrario Bolognese è ufficialmente una realtà Il rogito83 del «Dott. Luigi di Roberto Roversi», «Regio Notajo, residente in Bologna, inscritto presso il Consiglio Notarile di questo Distretto», rende conto della nascita ufficiale del Consorzio, sabato 6 aprile 1901. «I Sig.ri Intervenuti» dichiararono «di voler costituire, come fra di loro costituirono col presente atto, una Società Anonima Cooperativa, fatto il nome di Consorzio Agrario Bolognese, con sede in Bologna, avente il fine di giovare, nei modi migliori, e mediante la cooperazione, alla agricoltura ed alle classi agricole della Provincia di Bologna. Tale Società sarà retta dallo Statuto che i Sig.ri intervenuti dichiarano di conoscere, di avere già approvato e che qui riaffermano e accettano in ogni sua parte e mi presentano perché l’inserisca in allegato a questo mio atto come inserisco in Allegato C. La Società avrà la durata di anni cinquanta dalla data del presente rogito, il suo capitale è illimitato e costituito da azioni nominative di lire ven82. La sede della Biblioteca, gestita dalla Fondazione Carisbo, è a Bologna, in via Nazario Sauro 22. 83. Repertorio numero 8081-7862.
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ti (£. 20) ciascuna, da versare secondo le disposizioni che verranno date dal Consiglio d’Amministrazione. La Società intraprenderà le sue operazioni non appena il Consiglio d’Amministrazione lo crederà opportuno. Gli Amministratori sono esonerati dal dare cauzione. Gli Atti sociali saranno pubblicati nel Foglio degli Annunzi Legali della Provincia di Bologna ed almeno in un giornale di Bologna tra i più diffusi. Ai promotori non è concesso alcun vantaggio particolare (…) La Banca Popolare di Credito in Bologna assume a suo carico tutte le spese di costituzione della Società con rinuncia al diritto ad esserne rimborsata». Si procedette poi all’elezione dei consiglieri, dei sindaci effettivi e supplenti, e dei probiviri («Poscia i Sig.ri Intervenuti procedono alla elezione delle cariche sociali…»). I Consiglieri d’Amministrazione eletti furono: Alessandro Bragaglia (che poi sarà il primo Presidente del Consorzio agrario bolognese), Domenico Casalini (il primo Direttore), Carlo Antonio Lolli, Mauro Pizzoli, Luigi Pizzoli fu Giovanni, Francesco Stagni, Umberto Zotti. In quell’occasione, furono acquistate anche le prime azioni, complessivamente 615, per un valore totale di 10.300 lire. All’incontro ufficiale, che si tenne presso la sede della Banca Popolare di Credito in Bologna, in via Carbonesi 11, partecipò anche il presidente dell’istituto, il conte Francesco Isolani fu Gaetano, che sottoscrisse 50 azioni. Il futuro presidente Bragaglia ne acquistò invece 5 e il direttore Casalini 10. In quel primo anno del nuovo secolo, che si sarebbe rivelato denso di eventi spesso drammatici e di radicali trasformazioni sociali, si svolse la prima cerimonia di assegnazione dei premi Nobel a Stoccolma, l’Australia fondò il Commonwealth ed ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna (ma la Nigeria divenne protettorato britannico), morì la regina Vittoria nell’isola di Wight (segnando la fine di un’epoca), la Norvegia fu la prima nazione che ratificò la possibilità di partecipazione al voto elettorale da parte delle donne, Theodore Roosevelt fu nominato presidente degli Stati Uniti. In Italia, il Presidente del Consiglio era il liberale moderato bresciano Giuseppe Zanardelli, un uomo politico con idee progressiste: riformò il codice penale, a lui si deve la soppressione della pena di morte e si rese protagonista di una proposta di legge sul divorzio – in larghissimo ed
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incredibile anticipo sui tempi a venire –, che peraltro incontrò una forte opposizione popolare (Zanardelli rimase in carica dal 15 febbraio 1901 al 3 novembre 1903, e fu anche ministro ad interim dell’Agricoltura, dell’industria e del commercio, dal 18 aprile 1901 al 4 agosto 1901). Nel 1901, il pane costava 0,38 lire al chilo, la carne 1,29, lo zucchero 1,54, il latte 0,26 al litro, un quotidiano 5 centesimi, 10 sigarette 18 centesimi, un telegramma 1 lira, una macchina da cucire 205 lire, una poltrona alla Scala a Milano 15 lire. Il pontefice era Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, Leone XIII84, l’autore della Rerum Novarum, l’enciclica sociale che diede vita alla dottrina sociale della Chiesa. Nel 1901, a Milano, morì il grande compositore Giuseppe Verdi, ad Acqualagna fu catturato il celebre brigante dell’Aspromonte Giuseppe Musolino, si svolse il primo giro automobilistico d’Italia, organizzato dal Corriere della sera con partenza da Torino, e Guglielmo Marconi riuscì a realizzare la prima trasmissione telegrafica transatlantica. Questi ultimi due fatti interessarono direttamente anche Bologna. Il primo, perché le 30 vetture in gara passarono, per l’undicesima tappa del giro, dal capoluogo felsineo, con strade al limite dell’impraticabilità per il maltempo e una folla ad attendere il corteo di auto fuori porta Mazzini (poi, ad Altedo, si verificò una tragedia con una bambina investita da una macchina in corsa). Il secondo, perché l’esperimento di Marconi, che ricevette alla stazione di St. Johns, nell’isola di Terranova, i tre punti della lettera “S”, trasmessi da una stazione dall’altro capo dell’oceano, un successo che avrebbe portato all’invenzione della radio (il New York Times definì quell’operazione “la più straordinaria conquista scientifica di quest’epoca”), dava gloria alla città natale dell’inventore, Pontecchio, sulle colline bolognesi. Ma anche nell’agricoltura, il settore dell’economia allora maggiormente diffuso, si registravano accadimenti di rilievo. A Molinella, nel 1901, 4.800 braccianti scioperarono per 42 giorni, e il 25 maggio, a Marmorta, intervenne la polizia con l’uccisione di uno di essi e il ferimento di numerosi altri. I possidenti agrari chiesero l’intervento dell’esercito per far fronte ai lavori di mietitura e di trebbiatura, e per queste operazioni furono impiegati 600 soldati. 84. Nato a Carpineto Romano il 2 marzo 1810, fu eletto papa il 20 febbraio 1878, e scomparve il 20 luglio 1903. Proveniente da una famiglia della nobiltà rurale, scrisse ben 86 encicliche.
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Il 24 e 25 novembre 1901, il primo Congresso dei Lavoratori della Terra, che si svolse a palazzo dei Notai a Bologna e a cui parteciparono oltre 700 leghe da tutta Italia, sotto la presidenza di Andrea Costa e della mondina di Molinella Adalgisa Lipparini, partorì la Federterra. Facevano parte della Federazione nazionale le leghe dei braccianti e dei salariati agricoli, quelle dei mezzadri, dei fittavoli e dei piccoli proprietari che coltivavano direttamente la terra. La Federterra si proponeva iniziative per migliorare le misere condizioni dei lavoratori dei campi, puntando all’elevazione del salario (0,60 lire al giorno per le donne) e alla diminuzione dell’orario di lavoro (circa 14 ore). In qualità di segretario della Federazione fu eletta Argentina Altobelli, e tra i partecipanti al congresso figurava anche Francesco Zanardi, futuro sindaco di Bologna, delegato dei braccianti di Molinella. Lo Statuto del Consorzio Agrario Bolognese si compone di 10 capitoli. Per la rilevanza dei contenuti, e rimandando gli interessati ad una consultazione completa dell’intero testo originale, vale la pena riportare alcuni stralci del primo (“Indole, scopo, sede e durata della Società”). «Il Consorzio Agrario Bolognese è società anonima cooperativa a norma del vigente Codice di commercio» (articolo 1). «È costituito ad iniziativa della Banca Popolare di Credito in Bologna all’intento di giovare, nei modi migliori e mediante la cooperazione, alla agricoltura e alle classi agricole della provincia di Bologna» (articolo 2). «La Società ha domicilio in Bologna nella residenza del suo ufficio. Potrà stabilire Filiali ed Agenzie nei tempi e luoghi opportuni a deliberazione del Consiglio di Amministrazione» (articolo 3). «La Società (…) ha una durata di anni cinquanta dalla data del suo atto costitutivo ed è prorogabile» (articolo 4). «Allorché dall’annuo bilancio risulti, oltre l’esaurimento della riserva, la perdita della metà del capitale versato all’epoca dell’ultimo bilancio, il Consiglio di Amministrazione ed i Sindaci, sono in ogni tempo tenuti di convocare l’Assemblea generale per deliberare o lo scioglimento della Società, o la riduzione del valore nominale delle azioni alla condizione effettiva della attualità, o la reintegrazione del capitale sociale» (articolo 5).
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Del terzo (“Soci e Azioni”): «I Soci hanno diritto: a) di usufruire dei vantaggi che la Società offre loro per gli acquisti e le vendite e per le altre operazioni sociali; b) di votare nelle assemblee; c) di partecipare al patrimonio e agli utili sociali, ciascuno in ragione delle proprie azioni» (articolo 12). «Possono essere soci soltanto coloro che sono possessori di fondi rustici o agricoltori in genere ed altre Società che si propongano scopi analoghi od affini a quelli del Consorzio» (articolo 3). «L’esclusione del Socio può essere pronunciata dal Consiglio nel caso: a) di fallimento; b) di perdita dei diritti civili; c) di azioni disonorevoli o dannose alla Società a giudizio dei Probiviri; d) di mora al pagamento di quote sociali; e) di inadempienza di obbligazioni verso la Società» (articolo 19). «Le azioni sono di venti lire ciascuna, indivisibili, sempre nominative e personali e non possono essere cedute a fino a che non siano interamente liberate (…)» (articolo 20). «Il valore delle azioni è vincolato a pegno in favore della Società per tutti gli obblighi di qualunque natura dell’intestato o suoi eredi verso la medesima: e perciò la cessione o il pegno delle azioni non può essere opposto alla Società se fu fatto senza il consenso espresso del Consiglio d’Amministrazione (…)» (articolo 24).
Del quinto (“Ordinamento amministrativo”): «Il Consiglio d’Amministrazione si compone di sette Consiglieri eletti dalla Assemblea fra i Soci. Durano in carica quattro anni e sono rieleggibili (…)» (articolo 42). «Il Consiglio esercita tutti gli atti di amministrazione e di gestione che non sono tassativamente riservati all’Assemblea. Le principali attribuzioni sono: a) determinare i fondi per le operazioni; b) procedere agli acquisti e alle vendite e a tutte le altre operazioni sociali;
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c) fissare i prezzi delle merci; d) costruire, acquistare, vendere stabili, prenderli in affitto per oltre nove anni (…); e) stanziare le spese di Amministrazione; f) fare operazioni attive e passive di credito e fissare e modificare la misura degli interessi attivi, passivi, provvigioni, ecc.; g) formulare i bilanci e presentarli all’Assemblea; h) proporre il riparto degli utili; i) determinare il valore di emissione delle azioni e le norme della loro emissione; l) indirizzare, sorvegliare tutte le operazioni del Consorzio e l’andamento dell’azienda locale; m) compilare i regolamenti; n) nominare, sospendere, revocare il Direttore, il Cassiere e gli altri impiegati, stabilirne gli stipendi, le cauzioni e le attribuzioni; o) formulare l’ordine del giorno dell’Assemblea e le proposte di votazione; p) proporre le riforme dello Statuto, la proroga, lo scioglimento della Società, la riduzione o reintegrazione del capitale sociale (…)» (articolo 51).
Del settimo (“Delle operazioni sociali”), dove si definisce l’ambito di attività nella neonata struttura cooperativa: «Possono essere oggetti della Società a seconda del bisogno e dello sviluppo che la Società stessa sarà per prendere: a) acquistare per conto proprio o di terzi e distribuire ai propri Soci e agli agricoltori in genere merci, prodotti, attrezzi, macchine, sementi, scorte vive e morte occorrenti all’esercizio dell’agricoltura o al consumo delle famiglie coloniche; b) vendere, sia per proprio conto, sia per conto di terzi, i prodotti agrari dei soci e degli agricoltori in genere; facilitarne il commercio all’interno o l’esportazione all’estero; c) aprire nella città e provincia di Bologna depositi, magazzeni, spacci e cantine per l’acquisto e la vendita di prodotti agrari; d) acquistare macchine e attrezzi per venderli e noleggiarli ai Soci; e) istituire un essiccatoio per bozzoli; f) stabilire laboratori ed opifici per la coltivazioni di prodotti agrari; g) fabbricare per conto dei Soci o dei terzi merci e prodotti occorrenti all’esercizio della agricoltura o dei prodotti affini; h) fare saggi, analisi, esperimenti e corsi di istruzione agrari; i) facilitare le operazioni di credito agrario dei propri Soci» (articolo 69).
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«La Società può pure proporsi operazioni accessorie ed affini dirette sempre al miglioramento dell’agricoltura e delle classi agricole» (articolo 70). «La vendita dei concimi, sementi, macchine, attrezzi, ecc. viene fatta preferibilmente a contanti. Però per il pagamento delle merci ricevute potrà essere accordato ai soli soci un tempo non maggiore di sei mesi, purché rilascino un loro pagherò cambiario o appongano alla fattura il visto per accettazione e pagamento a giorno fisso» (articolo 73).
E dell’ottavo (“Del Bilancio annuale degli utili e del loro riparto”): «Gli utili risultanti dal bilancio sono ripartiti come segue: a) il 5 per cento alla riser va ordinaria; b) il 10 per cento al fondo d’ammortizzazione delle perdite; c) il 10 per cento al Consiglio d’Amministrazione; d) il 10 per cento al Direttore e agli impiegati; e) il 65 per cento ai soci, con che però il dividendo sulle azioni non debba mai superare il cinque per cento del loro valore risultante dal precedente bilancio (…)» (articolo 83).
Dunque il Consorzio Agrario Bolognese era nato e aveva un suo documento statutario ufficiale. Poteva così avviare la propria attività. Qualche giorno prima, un quotidiano, la Gazzetta dell’Emilia, aveva dato risalto all’iniziativa stimolata, patrocinata e finanziata da un istituto di credito, come negli altri casi di costituzione di consorzi agrari in altre località italiane. «Gli istituti di credito dei centri agrari della provincia hanno accolto di buon grado l’invito della nostra Banca Popolare di cooperare con lei per raccogliere fra gli agricoltori adesioni al Consorzio Agrario Bolognese. E così le azioni del Consorzio si possono sottoscrivere, oltre che alla Banca Popolare di Bologna, anche presso la Banca Popolare di Castel San Pietro e presso la Cassa di Risparmio di Bagni della Porretta, Castiglione dei Pepoli, Medicina, San Giorgio di Piano e San Giovanni in Persiceto. Come dicemmo l’altra volta, dette azioni sono del valore di L. 20 e basta sottoscriverne una per diventare socio del Consorzio» 85.
Nella stessa edizione del giornale di quel mattino, le notizie riportate descrivevano come il conflitto di classe nelle campagne, le rivendicazioni 85. Gazzetta dell’Emilia, lunedì 1° aprile 1901.
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dei contadini e la cruenta repressione da parte dello Stato fossero un fatto ordinario, tanto da apparire costantemente nelle cronache dell’epoca, pur con la scarsa enfasi e la minimizzazione manifestamente giustificatoria di alcuni organi di stampa. «Rivolta contro i carabinieri – Brescia 31, ore 1 (P. G.) – Nostro telegramma particolare – Un gravissimo conflitto è avvenuto fra i reali Carabinieri e la popolazione di Bienno. Per i diritti di pascolo cessati la popolazione di Bienno si recava alla casa comunale tumultuando, ma per intromissione del sindaco senatore Fè d’Ostiani la folla si calmò. Alcuni però provocarono scene prepotenti e furono arrestati dai Carabinieri accorsi da Breno. La popolazione irritata voleva la liberazione degli arrestati ed assaliva la forza: i Carabinieri dovettero ricorrere alle armi. Dopo la scarica di sei colpi la piazza era sgombra: lasciando però due morti e 5 feriti quasi tutte donne (…).
Spicca anche un dispaccio giunto dalla zona di Trecenta e Badia Polesine, nel Rodigino, «Scioperi nel Polesine per l’affitto delle terre ritenuto gravoso», ancora a testimonianza del clima di elevata tensione sociale che proseguirà anche negli anni successivi. .A, 3. Il primo anno di attività del Consorzio. Il ruolo della Banca Popolare di Credito, i soci, le merci
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ià pochi giorni dopo l’ufficializzazione della costituzione del Consorzio Agrario Bolognese, anche a seguito del tam tam della notizia a livello nazionale, l’11 aprile 1901, il municipio di Benevento inviò una missiva al presidente del neonato ente, «volendo questa Amministrazione promuovere in questa città la costituzione di un consorzio agrario (…)», chiedendo «copia dello Statuto, del Regolamento e dei diversi moduli in uso per cotesto onorevole consorzio…» (fu risposto prontamente con l’invio dello Statuto, il 15 aprile). Il 20 aprile 1901, alle 15, iniziò la prima riunione del Consorzio, presso la sede provvisoria della Banca Popolare di Credito di Bologna, la principale promotrice e finanziatrice dell’iniziativa (come peraltro accadde in svariate altre
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esperienza di creazione di enti consortili agrari: ricordiamo ad esempio il ruolo del Monte dei Paschi di Siena per il locale Consorzio agrario) destinata ad avere una importante azione di sviluppo nel sistema agricolo locale, per procedere celermente all’avvio delle attività a pieno regime dell’ente consortile. «(…) Il conte Isolani continua manifestando la compiacenza della Banca Popolare per la rapida e felice attuazione della sua iniziativa ed esprime la piena sua convinzione che gli amministratori del Consorzio sapranno sagacemente guidarne i suoi primi passi. Ripete quanto ebbe già a dire in seno alla Commissione costitutrice e cioè che la Banca assume tutte le spese di impianto e del primo anno di esercizio del Consorzio, pone a disposizione la sua residenza per l’ufficio del Consorzio stesso, nonché il proprio personale, e a tal scopo invita il Consiglio del Consorzio a prendere le proprie intelligenze (…) per la designazione del personale della Banca del cui ministero il Consorzio possa abbisognare».
Alla seduta intervenne infatti il presidente della Banca Popolare di Credito in Bologna Francesco Isolani (il quale, dato il via ai lavori, passa poi a dichiarare «che il suo compito è finito…»), insieme al direttore Vincenzo Sani. Si discute delle prime e fondamentali mosse da svolgere, in primis la raccolta di soci aderenti, precisando che non si procede ad individuare soci nel territorio imolese, in quanto da Imola giungono notizie che s’intende costituire «colà un Consorzio locale»86. Box 11. Francesco Isolani, filantropo e promotore del Consorzio agrario bolognese Francesco Isolani, rampollo di un’antica famiglia senatoria bolognese, nacque il 30 settembre 1836 da Gaetano e Luigia Rusconi. Nel 1859 ottenne la laurea in giurisprudenza e il 14 novembre 1864 si unì in matrimonio con Letizia, figlia di Angelo Tattini e Carolina Pepoli, dalla quale ebbe cinque figli – tre dei quali, Gualtiero, Lodovico e Luisa, morirono in età infantile, mentre Carolina restò nubile e Gualtiero, nato nel 1881 e a cui fu dato il nome del fratellino defunto, sposò Camilla Beccadelli Grimaldi. 86. Consorzio Agrario Bolognese in Bologna. Società anonima cooperativa. Libro dei Verbali delle adunanze e delle deliberazioni del Consiglio di amministrazione. Vol. I. Verbale.
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Nel corso della sua esistenza (scomparve il 18 marzo 1906) ricoprì numerosissimi incarichi pubblici. Fu sindaco e assessore in vari piccoli Comuni, presidente di società di mutuo soccorso e beneficenza (ed anche della sezione bolognese della Croce Rossa), consigliere provinciale e comunale ed assessore del capoluogo emiliano per più di trent’anni, due volte deputato nel Parlamento nazionale, eletto a scrutinio uninominale nella 13ª e 14ª legislatura. Fu anche amministratore, dal 1874, del “Corpo degli Spedali” cittadino (dispose di trasformare l’Ospedale Sant’Orsola da ricovero assistenziale ad istituto clinico) e presidente (dal 1884, succedendo a Paolo Silvani) di quella Banca Popolare da una cui costola nacque il Consorzio Agrario Bolognese. Oltre ad appoggiare azioni di miglioramento delle condizioni abitative, con la costruzione di Case popolari, s’interessò anche della questione del miglioramento della situazione dell’agricoltura, dando un importante contributo alla soluzione del problema della bonifica renana come membro della Congregazione del IV e del VII Circondario degli Scoli, assumendo la presidenza della “Società anonima per la filatura della canapa in Bologna” e della Società Reale Grandine, un organismo assicurativo di cui era stato convinto promotore (cfr. Discorso del conte Francesco Cavazza nell’Assemblea delle Congregazioni consorziali dei circondari di scolo (…), Tipografia Tomasoni e Albertazzi, Bologna, 1906). Nel Consiglio di Amministrazione (d’ora in poi Cda) del 4 maggio 1901, fu già stilato un elenco dei soci, un prospetto con «casato», nome, paternità, domicilio e numero di azioni sottoscritte: il primo è Agosti Antonio, domiciliato a Bologna, con 2 azioni, e l’ultimo Zilipetti ing. Cav. Giovan Battista con 10 azioni. In totale, ad un mese dalla nascita del Consorzio, i soci erano 238, titolari di un complesso di 1.122 azioni. All’«oggetto terzo» si registra come si ritenesse opportuna adeguata campagna di divulgazione dell’iniziativa consortile attraverso: «la pubblicazione di un manifesto, col quale si annunci agli agricoltori della provincia l’avvenuta costituzione dell’amministrazione del Consorzio, si invitino i sottoscrittori di azioni a versarne l’importo, si ecciti, chi non lo è, ad iscriversi….».
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Il giorno precedente, in data 3 maggio, l’Ufficio provinciale dell’agricoltura di Bologna, con la sponsorizzazione di alcuni istituti di credito, aveva indetto un «concorso per le migliori coltivazioni di patate da fecola». S’incoraggiavano gli agricoltori, attraverso la promessa di un premio, a migliorare la qualità delle loro coltivazioni, in questo caso destinate alla filiera della trasformazione industriale. «Allo scopo di incoraggiare la coltivazione delle patate industriali e di coadiuvare e concorrere al sorgere nella nostra Provincia dell’industria della fecola, questo ufficio agrario provinciale, accogliendo la proposta e il contributo dell’amministrazione comunale di Crevalcore e col sussidio della Cassa di Risparmio di Bologna: bandisce un concorso tra i coltivatori di patate industriali dette di gran reddito, adatte all’industria della fecola nella provincia di Bologna e per l’anno corrente. Sono offerti per tale concorso i seguenti premi: 1. Premio lire 200 e diploma; 2. Premio lire 100 e diploma; 3. Premio lire 50 e diploma; 4. Menzione onorevole. Chi aspira al primo premio deve coltivare almeno un ettaro di terra con patate di qualità riconosciuta acconcia allo scopo e consegnare un prodotto in tuberi non inferiore ai 300 quintali per ettaro seguendo, nella concimazione e coltivazione le regole più razionali, alle quali darà ragguaglio alla Commissione (…). Due mesi dopo la raccolta dei tuberi, la Commissione presenterà le sue conclusioni e l’Ufficio agrario prenderà le disposizioni opportune per l’assegnazione dei premi» 87 .
Sono momenti di impaziente ed alacre attività. Come emerge dalla minuta grafia a pennino ed inchiostro dei verbali in carta da bollo da dieci lire, le riunioni ufficiali del Cda si susseguirono numerose in un breve arco di tempo. Nell’adunanza del 25 maggio 1901, i soci risultavano essere già 373, per un totale di 1.823 azioni. In quella data si decise anche una «gita a Piacenza», città sede della Federconsorzi, per valutare «come si contiene la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari in riguardo ai magazzini, alle compre e ai fidi». Si faceva chiarezza, sia sui valori ideali, sia sugli obiettivi concreti. 87. Bologna, 3 maggio 1901, manifesto della Società tipografica già compositori, firmato il Direttore tecnico D. Cavazza, e il Presidente dell’Ufficio agrario E. Pini. Il reperto è conservato negli archivi del Consorzio agrario dell’Emilia, presso la sede centrale di San Giorgio di Piano (Bologna).
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«(…) il Consorzio nostro, più che fare la concorrenza dei prezzi ai grandi produttori e commercianti locali, potrà rendere servigio ai coltivatori per la bontà e genuinità delle merci che andrà loro a amministrare (…) il Consiglio riconosce come al Consorzio competa una vera funzione moralizzatrice del commercio agrario» 88 .
Il 15 giugno 1901, s’iniziò a discutere per l’acquisto di «scorie», come «acido fosforico con ½ di tolleranza, 75% di finezza, 75% di solubilità a £. 63 la tonnellata», oppure «16-18 di anidride, di solubilità e finezza 75-95% a 6,60 al quintale, franco stazione di Serravalle, che viene a stare a Bologna a 7,50…». «Casalini89 informa che la Federazione dei Consorzi Agrari di Piacenza vuole fare un esperimento nel Bolognese di falciatrici e mietitrici; e amerebbe seguirlo sotto gli auspici del nostro Consorzio». «Pizzoli accenna alla convenienza di un ufficio in Borsa per uso del Consorzio. Egli sa attualmente che ve ne ha disponibile uno per il quale si domandano £. 140 di affitto». I soci diventarono 405, con 1.902 azioni. Nel Cda del 22 giugno 1901, «Casalini informa che ha parlato con i Signori Aristide Brunetti e Guglielmo Cesari perché facciano offerte di sangue secco, panelli…».
Nella seduta del 28 giugno fu fissato il compenso per il direttore del Consorzio, con «stipendio di £ 3000 oltre la quota statutaria degli utili». Si discusse inoltre per gli acquisti di partite di nitrato di soda ed anidride fosforica, mentre «i concimi organici» furono ritenuti «cose troppo difficili» ed «è bene di attendere di avere un direttore capace che si occupi della materia con competenza». Il 13 luglio si propose l’acquisto di 300 quintali di grano da semina (Cologna Veneta), insieme a fertilizzanti come solfato di ammoniaca, perfosfato minerale, concimi da canapa. Il 15 luglio 1901, il consorzio agrario di Bologna scrisse al Consorzio agrario di Rieti per sollecitare l’acquisto di un lotto di grano da semina: 88. Verbale del Cda del 25 maggio 1901. 89. Domenico Casalini, il primo direttore del Consorzio agrario bolognese. Ricoprì anche la carica di vice-presidente della Federconsorzi, dal 29 marzo 1922 al marzo 1923.
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«Accusiamo ricevuta della pregiata vostra cartolina. Torniamo a disturbarvi per chiedervi se, tosto che siate in ordine, abbiate difficoltà alcuna ad entrare in trattative per fornire a questo Consorzio Agrario Bolognese una partita da 100 a 200 q.li di grano da semina della migliore qualità raccolta quest’anno in codeste campagne».
Circolata la notizia della avviata attività del Consorzio agrario bolognese, iniziarono a giungere depliant pubblicitari da parte di aziende produttrici di mezzi tecnici, come quello della ditta Vandone e C. di Milano per un «cannone grandinifugo» dato che già a quell’epoca era stata sviluppata una tecnica di dissoluzione della grandine in quota, eterno spettro distruttivo per gli agricoltori. Il 20 luglio 1901 i consiglieri interloquirono per acquisti di perfosfati minerali, nitrato di soda, solfato di ammoniaca, panello di Ravezzo, cloruro di potassa, sangue secco, sementi (grani di Rieti). Giunse intanto risposta via lettera dal «Consorzio Agrario di Rieti in cui si dice che per ora non può prendere impegni. Ma al momento opportuno si porrà a nostra disposizione».
Una epistola inviata dal Consorzio il 22 luglio 1901 al «signor Vittorio Cauvin, Genova», confermò un ordine di materia prima: «A seguito della pregiata vostra 18 andante che questo Consorzio agrario bolognese è disposto ad acquistare 500.= q.li di nitrato di soda 15-16 a frs. oro 22, franco vagone Venezia, consegna febbraio p. v. pagamento pronta cassa».
Il 31 agosto 1901, Alessandro Bragaglia, il primo presidente del Consorzio agrario bolognese sottolineò: «Mercè la disinteressata iniziativa e l’aiuto il più generoso della spettabile Banca Popolare di Credito in Bologna, questo Consorzio è sorto e si è legalmente costituito nell’intento di giovare all’agricoltura dell’intera provincia bolognese. Nel muovere i suoi primi passi questo Consorzio invia anzitutto un doveroso saluto a quei Sodalizi, Consorzi, Sindacati, Comizi, che sulla base della mutualità e cooperazione si studiano di migliorare le condizioni dell’agricoltura e degli agricoltori nel nostro Paese (…)».
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Dal verbale del Cda del 28 settembre 1901, all’oggetto terzo (“Servizio macchine”), si rileva come il Consorzio tentasse di avviare i propri servizi anche nel settore delle attrezzature e macchine agricole, attraverso un’interlocuzione diretta con Giovanni Raineri, presidente della Federconsorzi e futuro ministro dell’Agricoltura. «Il Cons. Direttore comunica che scrisse personalmente al prof. Raineri di Piacenza per le modificazioni che (…) fossero apportate alla convenzione proposta dalla Federazione pel servizio di vendita delle macchine agrarie; e il prof. Raineri (…) risponde che sebbene non trovi difficoltà perché siano accettate le modificazioni amerebbe che il Consorzio non si discostasse troppo dalla forma tipica di Convenzione che la Federazione ha adottato per tutte le associazioni agrarie».
Nella riunione ufficiale del 16 novembre 1901 il Cda prese atto che «…sarebbe bene impiantare in varie sedi della provincia delle Agenzie e Succursali del Consorzio…», decisione di portata fondamentale nella successiva lunga vita del Consorzio, la cui caratteristica principale, che ancor oggi permane, pur con vari mutamenti, è la sua strutturazione in agenzie periferiche distribuite sul territorio della provincia (e dalla sua trasformazione in Consorzio interprovinciale, delle province), elemento questo che ha contribuito a radicare anche nell’immaginario collettivo non solo agricolo-contadino, il consorzio agrario come servizio e topos di riferimento. In quella sede si decise anche l’acquisto di 525 copie di una pubblicazione della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, «giacchè contiene distribuite nei vari modi istruzioni intorno alle macchine agrarie, alle malattie delle piante, agli alimenti del bestiame, ai concimi, ecc.».
Alla fine del 1901, il Consorzio Agrario Bolognese aveva acquistato 25.323 quintali di merci per un valore di 46.132,34 lire. I soci erano 479 con 2.122 azioni da 20 lire. Il totale delle vendite fu pari a 195.894 lire e il profitto netto di 1.171 lire. .A,
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4. Il decollo dell’attività nei primi anni del nuovo secolo. Il ruolo tecnico di sviluppo del Consorzio nell’Italia giolittiana sconvolta dalle tensioni sociali
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el corso degli anni del primo decennio del Novecento si registrarono eventi di sensibile trasformazione della società italiana, attraversata dalle problematiche connesse allo sviluppo industriale e all’insufficienza del sistema del lavoro, che costrinse, in questo primo decennio del secolo, ben 9 milioni di italiani, la maggior parte analfabeti, a scegliere la strada dell’immigrazione, spesso nell’incognita ancor più grande dell’oltreoceano. L’indice delle partenze degli immigrati, salì progressivamente: dal 7 per mille nel 1894, al 10 per mille nel 1901, fino al 20 per mille del 1905 e al 25 per mille del 1912. L’industria cresceva ed attraeva forza lavoro dalle campagne, si sviluppava il triangolo industriale, la classe operaia s’ingrandiva, a Livorno nasceva la Fiom. Tuttavia, l’agricoltura continuava ad essere dominante. E le condizioni di lavoro erano spesso infime sia nelle fabbriche sia nelle campagne. Con il perdurante effetto della conflittualità: scioperi degli operai e dei braccianti. In provincia di Ferrara la polizia sparò sui rivoltosi il 27 giugno 1901 (e, sempre nel 1901, negli Stati Uniti, fu ucciso il presidente McKinley, al quale succedette Theodore Roosevelt). Ma s’iniziava ad intravedere qualche risultato, sottoforma di miglioramenti salariali. Le classi povere facevano ampio uso di chinino, uno stupefacente a basso prezzo, del quale lo Stato si prendeva carico della vendita. Nel 1903 iniziò l’età giolittiana, e i socialisti, se avevano appoggiato alcune iniziative governative, erano sempre più critici all’opposizione: i governi liberali di Giolitti, inoltre, tendevano ad appoggiare la grande proprietà agraria, specialmente del Sud, e a difendere il latifondo. Continuavano gli scioperi, anche dei minatori (Antonio Labriola): nel 1907 si contarono 2.258 scioperi. Nel 1905, prese il via il progetto politico di don Luigi Sturzo, che puntava a cercare una terza via, tra il liberismo e il socialismo. Nel 1906, nasceva una nuova forza sindacale, la Cgil, nella quale prevaleva un’ala riformista rispetto a quella rivoluzionaria. Una crisi economica di portata mondiale attanagliava le economie. Nel 1908, Gaetano Salvemini sottolineò la gravità della questione meridionale, già teatro di grandi movimenti di protesta bracciantile, come
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quello dei Fasci Siciliani, duramente represso da Crispi, e ribadì come il Mezzogiorno costituisse una sorta di polveriera. Nella notte tra il 27 e il 28 dicembre di questo anno, alle 5 e 21 del mattino, un devastante terremoto con conseguente maremoto, del 10° grado della scala Mercalli, colpì le città di Messina e Reggio Calabria, con 45mila morti nella prima e 15mila nella seconda. Nel 1909 fu eletto al soglio pontificio Giuseppe Melchiorre Sarto, Pio X, un papa di origini popolari. Nel Cda del Consorzio Agrario Bolognese del 2 agosto 1902, si mise in luce la risposta favorevole da parte di vari consorzi agrari, come quelli di Pavia, Cremona, Bagnolo, alla proposta dell’ente consortile bolognese, «promettendo di acquistare frumento da semina riprodotto previo esame del campione di vendita….». Sabato 8 novembre 1902, in quella che era la sede del Consorzio, in via Carbonesi 6, nel centro di Bologna, si discusse sulla proposta per la rappresentanza delle macchine, in particolare trebbiatrici, delle «R. Ferriere dello Stato Ungherese». Dal verbale numero 3 del 31 gennaio 1903, emerge la presentazione della rendicontazione di bilancio del 1902, con un «ammontare complessivo delle vendite» di 44.095,13 lire per il settore macchine e di 809.050,31 lire per quello dei concimi. Al 31 dicembre 1902 il totale delle attività era di 254.777,70 lire e il profitto d’esercizio di 4.216,54 lire. Il catalogo delle merci acquistate e rivendute si andava arricchendo sempre più, figurandovi anche panello90 di ricino, lino, cocco, unghia e corna torrefatte91, crisalidi92, semi di canapa, patate, gesso eccetera. Il primo presidente del Consorzio, Alessandro Bragaglia, rimase in carica fino al 1906. Il 24 marzo 1906, con 4 voti a favore, fu eletto nuovo presidente del Cda, Ubaldo Monari. Poi, Umberto Zotti, sarà consigliere delegato dal settembre 1906 e, nel 1907 s’insedierà il nuovo presidente, Alfredo Santi, un ingegnere, che rimarrà fino al 1911, per poi passare il testimone ad Enrico Daddi. 90. I panelli erano i residui dei semi oleosi dopo l’estrazione dell’olio, che, compressi con un torchio, assumevano un aspetto che ricordava quello del pane rustico. 91. Oltre agli usi industriali, per la fabbricazione di pettini, scatole, bottoni, oggetti di chincaglieria, unghie e corna degli animali, dopo un processo di trasformazione, erano utilizzati come concimi organici, data la presenza, nella loro composizione, di azoto, anidride fosforica e potassio (o potassa). 92. Dei bachi da seta.
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Nel Cda di sabato 6 luglio 1907, «il Consigliere Direttore annuncia che nei giorni 23, 24 e 25 settembre p. v. in Cremona, verrà tenuto il 7° Congresso dell’Alleanza Cooperativa Internazionale. A tale Congresso prenderanno parte le Società Cooperative Italiane e quindi anche i Consorzi Agrari».
Inoltre: «Il Consigliere Direttore comunica che al Consorzio è proposta d’affitto dello stabilimento della ditta Cesare trada Speranza a Borgo Panigale, quartiere ad ovest grado di produrre 35-40 quintali giornalieri di rizza 93 e unghie torrefatte».
stata fatta una Lucca in Condi Bologna in 100 quintali di
Dal verbale numero 10 del 20 luglio 1907 emerge che risultavano iscritti al Consorzio 879 soci, per un patrimonio sociale di 93.902.33 lire. Dal numero 14 del 26 ottobre 1907 si rileva come fosse in progetto l’acquisizione di un terreno per la costruzione del magazzino. «Riguardo alle pratiche relative all’acquisto del terreno pel magazzino del Consorzio, il Consigliere Direttore comunica che il sig. Cavalier Ferrario domanda del suo terreno fuori porta Galliera £. 15 per metro quadrato, ma probabilmente, in caso di una trattativa seria potrà ribassare le sue pretese a £. 11 per mq. Comunica ancora d’avere in vista il terreno del sig. Zappoli (non ben leggibile, ndr.) fuori p. (porta, ndr.) Saffi, ed il terreno del sig. Stagni Ferruccio fuori porta Mascarella vicino al gasometro»
Fra le merci trattate nel 1907, figuravano scorie Thomas, perfosfato minerale, nitrato di soda, sali fosfatici, panello di ricino e di ravezzo, crisalidi, sangue secco94, unghie e corna torrefatte, panello di granturco e di cocco, solfato rame nazionale, ed estero, zolfi, cuoio torrefatto. 93. Unghie tagliate a fettine sottili. 94. All’epoca il sangue di origine animale concentrato, disseccato e polverizzato rappresentava uno dei più efficaci ed usuali concimi azotati. Era inoltre impiegato per scopi industriali, con estrazione del prussiato giallo e dell’albumina, per la fabbricazione di vernici per pavimenti, decoloranti, oggetti per impianti elettrici ed altro.
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Avviandosi alla conclusione del primo decennio di attività, il Consorzio Agrario Bolognese, aveva costantemente aumentato il numero di soci aderenti (dai 479 di fine 1901, ai 954 di fine 1909), il patrimonio sociale complessivo (dalle 50.853 lire del 1901, alle 131.342 del 1909) e il volume di credito ai soci (dalle 19.116 lire del 1901, a 1 milione 118.151 lire del 1909)95. Box 12. Primo decennio del ‘900. Le leggi sul credito agrario e il riconoscimento del ruolo dei consorzi agrari nel settore mutualistico-creditizio È con le varie leggi sul credito agrario che, insieme al processo di formazione delle associazioni, si osserva l’affermarsi della denominazione “Consorzio agrario”. «Le leggi 7 luglio 1901, n. 334, e 2 dicembre 1902, n. 542, autorizzano rispettivamente la Cassa di risparmio del banco di Napoli e l’Istituto di credito agrario per il Lazio ad impiegare parte dei depositi in operazioni di credito agrario con “consorzi ed istituti legalmente costituiti”. La legge 31 marzo 1904, n. 140 autorizza la Cassa provinciale di credito agrario per la Basilicata a fare anticipazioni in denaro, attrezzi e scorte ai “Consorzi agrari”. La legge 29 marzo 1905, n. 100 autorizza la sezione Credito agrario del Banco di Sicilia a fare operazioni di credito agrario con società cooperative agricole di produzione e lavoro, monti frumentari, casse agrarie, “consorzi ed associazioni agrarie” ecc. La legge 9 luglio 1908, n. 445, che reca provvedimenti per la Basilicata e la Calabria, autorizza la Cassa anzidetta a fare anticipazioni in denaro, attrezzi o scorte ai monti frumentari, alle casse agrarie ed ai “Consorzi agrari” anche nel territorio di Calabria»96 .
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95. Consorzio Agrario Bolognese, Bilancio 1909, Stabilimento tipografico emiliano, Bologna, 1909. 96. Dalla voce «Consorzio agrario», Enciclopedia agraria italiana, cit.
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Tabella 1. Dati di esercizio del Consorzio agrario bolognese dal 6 aprile 1901 al 31 dicembre 1909
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5. Gli anni Dieci e il dramma della Grande Guerra
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na pubblicazione a cura dello stesso Consorzio Agrario Bolognese del 1910, non nascondeva, con il tipico tono enfatico dell’epoca, la soddisfazione non solo per l’attecchimento, ma anche per l’andamento crescente del primo decennio di attività dell’ente consortile. «Col 1910 è trascorso il primo decennio di vita del Consorzio Agrario Bolognese e rimane ancora vivo nella nostra memoria il ricordo di quel giorno, all’inizio della primavera dell’anno 1901 (fu il 17 marzo) in cui una numerosa raccolta di agricoltori bolognesi era convocata in questa sala, per geniale e saggia iniziativa della Banca Popolare, ad udire l’esposizione del progetto che li invitava, auspice e protettrice la Banca stessa, a gettare le basi della nostra società. Sorta con sì valido aiuto, e con tanta concordia di intenti e di speranze, essa si accinse ad affrontare il suo compito colla tranquilla sicurezza di chi ha la coscienza della propria forza morale e la fede nella bontà dello scopo che si prefigge. Volgendo ora uno sguardo al periodo trascorso, a questi primi dieci anni di attività sociale, svoltisi certamente in mezzo a difficoltà non piccole, poiché anche le iniziative migliori al loro nascere trovano sempre i diffidenti, i calunniatori e gli invidiosi che le osteggiano o le deridono, ripensando alle vicende commerciali attraversate, alle preoccupanti crisi finanziarie che angustiarono i mercati, alle imprevvedibili 97 e spesso capricciose oscillazioni di prezzi di alcune merci, alle insidie della concorrenza e a tutti gli ostacoli che per opera degli uomini e delle cose rendono difficile e pericolosa la esistenza di enti che, come il nostro, hanno modestia di capitali e vastità di scopi; siamo indotti a constatazioni che ci fanno bene sperare per l’avvenire. Infatti da dieci anni or sono ad oggi, siamo venuti rassodando gradatamente la nostra compagine, abbiamo notevolmente ingrossato le file dei nostri soci, il nostro capitale si è rafforzato di una somma non trascurabile di riser ve e la cerchia e l’entità delle nostre operazioni hanno raggiunto un grado di sviluppo che attesta la indiscutibile bontà del programma della nostra Società (…). Il 1910 dal punto di vista agricolo non lasciò buon ricordo di sé, specialmente in causa delle vicende climateriche che contrariarono il regolare andamento di alcune colture, ma i coefficienti d’ordine commerciale concorsero senza dubbio a migliorare le sorti economiche dei nostri agricoltori e 97. Nell’originale.
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ci basti accennare al prezzo di alcuni prodotti quali l’uva e la canapa e all’attività sempre crescente del commercio del bestiame. Per quanto si riflette all’andamento commerciale che interessa noi direttamente, la decorsa annata fu favorevole alla massima parte delle merci che formano l’oggetto delle nostre operazioni, non già perché abbiamo potuto sfruttare dei rialzi di prezzo che sarebbero poi tornati gravosi ai nostri agricoltori, ma perché ebbe termine lo stato di malessere mantenutosi con infausta persistenza nel 1908 e 1909, essendosi formato, parte per forza delle cose, parte per volontà di industriali preveggenti, un ambiente favorevole al tranquillo andamento degli affari, un assettamento delle industrie dei concimi che ha tolto quel timore di dolorose sorprese per l’avvenire che paralizzò nei due esercizi precedenti qualsiasi sforzo tendente ad un lavoro proficuo» 98 .
Il bilancio del primo decennio del Consorzio manifestò un incremento medio di circa 50 soci e di 230 azioni all’anno. «In dieci esercizi i primi 479 soci possessori di 2.122 azioni, si sono più che raddoppiati, raggiungendo al 31 ottobre 1910 il numero di 979 soci con 4.425 azioni» 99 .
Nel Bollettino del Consorzio del marzo 1911, si nota come l’amministrazione metta in luce il crescente movimento delle vendite. «Ci preme soltanto di richiamare la vostra attenzione sulle cifre che riguardano le vendite dei concimi fosfatici: scorie Thomas e perfosfati, che complessivamente ammontano a quintali 149.221,90, superando quelle dell’esercizio precedente di oltre quintali 53.000 e di oltre quintali 24.000 quelle del 1907 che, per le eccezionalmente favorevoli condizioni di quell’annata, furono una cifra memorabile e non più rag giunta nei due esercizi complessivi. Le scorie Thomas furono da noi acquistate approfittando della forte e provvida organizzazione che fa capo alla Federazione dei Consorzi Agrari di Piacenza e si svolge con la trattazione di acquisti collettivi per quantità imponenti di molte centinaia di migliaia di quintali, in modo da poter ottenere dai diretti produttori i migliori prezzi, riducendo al minimo le spese di acquisto e quelle relative ai trasporti marittimi ed alle successive operazioni ai porti. 98. Bollettino del Consorzio Agrario Bolognese, marzo 1911, anno II, n. 1, pp. 6-7. 99. Ibid., p. 7.
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Questa nostra organizzazione per gli acquisti collettivi suddivisa in grandi gr uppi regionali, si esplicò parimenti nella laboriosa e sag gia politica commerciale propugnata da un forte gr uppo di industriali perfosfatieri per giungere finalmente ad un assetto durevole del mercato di questa principalissima fra le materie concimanti, e ad essa abbiamo pure dato la nostra adesione. I fatti hanno dimostrato che fu opera chiaroveg gente quella di aiutare le numerose nostre fabbriche per giungere ad un durevole assetto del mercato, basato sulla regolare ripartizione delle vendite a nor ma dei bisogni delle varie regioni e sulla stabilità del giusto prezzo rimuneratore dell’industria, senza essere vessatorio pel consumatore. (…) Le vendite dei concimi azotati organici rappresentano esse pure, in confronto di quelle effettuate nei precedenti esercizi, un notevole progresso. Complessivamente fra panelli per concime, sangue essiccato, crisalidi, ritagli d’unghie bovine cr ude (rizza) e corna torrefatte, rag giungono i 24.230 quintali» 100 .
Nel 1911 iniziarono a funzionare due agenzie periferiche del Consorzio, quelle di Bagni della Porretta e di Corticella, e gli organi dirigenti dell’ente osservavano anche come fosse tenuta in alta considerazione l’attività sul versante del credito agrario. I nostri soci approfittarono largamente per nostro mezzo del credito che mediante lo sconto delle fatture accettate viene praticato dai nostri benemeriti Istituti cittadini: Banca Popolare e Cassa di Risparmio. La cifra complessiva di esso durante il 1910 fu di L. 1.141.668,52 superando quella del precedente esercizio di L. 23.517,38 ed a queste cifre, per rendersi un concetto esatto dell’azione del Consorzio in questo campo, così efficacemente benefico per i nostri soci, è d’uopo ag giungere quella abbastanza cospicua dei conti correnti speciali che la Cassa di Rispar mio pratica ai nostri soci in aumento di 30 per la somma complessiva di oltre L. 120.000 con fine esclusivo di fornire a basso sag gio di interesse, le somme occorrenti per gli acquisti delle materie utili all’agricoltura in proporzione dei bisogni agricoli delle nostre aziende. In tal modo complessivamente i nostri soci fr uirono per mezzo nostro di un credito rag giungente la somma di L. 1.260.000 101 .
100. Ibid., pp. 7-8. 101. Ibid., p. 10.
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Nel secondo decennio del secolo, si perpetrò una delle molte grandi tragedie del Novecento, ossia la Prima Guerra Mondiale, che il pontefice Benedetto XV definì «un’inutile strage». Fu il più immane evento bellico fino a quel momento verificatosi nella storia e la scintilla, come noto, spicciò il 28 luglio 1914, con la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia, in seguito all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno, per concludersi l’11 novembre 1918. Il conflitto coinvolse le maggiori potenze mondiali dell’epoca, divise in due blocchi contrapposti: da una parte gli imperi centrali (germanico, austro-ungarico, ottomano e Regno di Bulgaria) e, dall’altra, le potenze alleate, Francia, Regno Unito, Impero russo, Serbia, e poi, anche Italia e Stati Uniti. Furono mobilitati oltre 70 milioni di uomini e le ostilità causarono 9 milioni di vittime tra i soldati e circa 7 milioni tra i civili. In Italia, furono coscritti con la divisa grigio-verde dell’esercito, a combattere una guerra soprattutto di trincea, soprattutto contadini: le campagne si spopolarono di giovani – fra i quali, nell’ultimo anno di guerra, i “ragazzi del ‘99”, i diciottenni della classe 1899, costretti a partire per il fronte e, spesso, a perdere la vita. Alla fine del conflitto, i maggiori imperi esistenti al mondo – tedesco, austro-ungarico, ottomano e russo – cessarono di esistere, e da essi nacquero diversi Stati che riconfigurarono la geografia europea. Nel 1917 in Russia, con la “rivoluzione d’ottobre”, i bolscevichi (che in russo significa “i maggioritari”), l’ala massimalista del Partito Operaio Socialdemocratico, nato al Congresso di Londra il 17 novembre 1903, che prevalse sulla corrente menscevica (la quale proponeva invece un approccio più graduale al socialismo), presero il potere. Il leader rivoluzionario fu Vladimir Il’ič Ul’ianov, detto Lenin. Lo zar Nicola II e la famiglia furono fucilati e iniziò il periodo del cosiddetto “terrore rosso”, con l’imposizione della dittatura, che causò la guerra civile, con milioni di vittime. I contadini poveri spesso appoggiarono i bolscevichi, ma una parte di essi era vicina alla componente moderata menscevica. Nelle campagne, furono stabiliti provvedimenti di requisizione forzata delle derrate, il che sollevò rivolte pesantemente represse. Il regime comunista, in Russia, sarebbe continuato fino al 1989. Con la Grande Guerra, in Italia, si verificò un aumento dei prezzi dei beni primari (caro-viveri) e dell’importanza del grano. Nelle campagne
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si succedevano gli scioperi e le rivolte contadine, con fenomeni di speculazione da parte dei possidenti. Nel settembre 1919 il Governo dispose provvedimenti che stabilivano accordi tra le Associazione agrarie e la Federazione nazionale lavoratori della terra. Fu istituito l’arbitrato. Uno dei fatti salienti di questa epoca fu il cosiddetto “biennio rosso”. Nell’adunanza del Cda del Consorzio agrario bolognese del 6 gennaio 1916, ore 17, sempre nella sede di via Carbonesi 6, a Bologna, furono presentati i «contratti di merci» (il presidente era Enrico Daddi, un avvocato). «Il consigliere Direttore con le opportune delucidazioni presenta i seguenti contratti: pasta caffaro q.li 5000; solfato ammonio q.li 200; solfato ammonio q.li 47; panello di cocco q.li 100; sangue secco macinato q.li 200; solfato ammonio q.li 500; calce bianca q.li 500/1000» (Verbale n. 1).
Nel verbale n. 2 del Cda del 22 gennaio 1916, «Il Consigliere Direttore riferisce che dalla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari e dal Ministero d’Agricoltura Industria e Commercio è pervenuto alle Associazioni cooperative l’invito di fare opera di propaganda e di raccogliere fra gli agricoltori le nuove sottoscrizioni al nuovo prestito nazionale per le spese di guerra. Il nostro Consorzio ha aderito di buon grado a quest’opera patriottica ed ha provveduto a diramare numerose circolari-invito ai soci agricoltori del Consorzio; le sottoscrizioni hanno raggiunto una cifra abbastanza rilevante (…). Dal Comitato dei Mutilati della nostra città, è pervenuta al Consorzio domanda di sussidio ed offerta. Il consiglio delibera di versare al comitato la somma di lire 250».
Il profitto netto dichiarato per l’esercizio 1915 fu di 14.502,22 lire. Nell’incontro del 13 maggio 1916 si fece ancora il punto sui nuovi contratti per l’acquisto di materie prime («Contratti di merci: 100 q.li di solfato di ammonio; 500 di calce bianca; 100/120 di mattonelle Cardiff; 97 di solfato di rame nazionale; 1500 di solfato di rame nazionale per campagna 1917») e si decise un «aumento degli stipendi agli impiegati effettivi ed avventizi in servizio attuale in ragione del 20% dell’importo dello stipen-
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dio stesso, con decorrenza dal 1° gennaio corrente anno» e «del 20% dei salari dei facchini nei magazzini…» Nel verbale numero 1 del 3 febbraio 1917, all’«oggetto secondo» si esaminò la «…richiesta pervenuta dall’Istituto Nazionale per la Mutualità Agraria il quale ha preso l’iniziativa per una cassa centrale di Assicurazione e riassicurazione del bestiame». Il profitto dell’ultimo esercizio fu di 52.182,87 lire «dei quali 25mila lire detratte di cui è creditrice la Banca Popolare di Credito di Bologna per l’importo del terreno sul quale furono costruiti i Magazzini…».
Nell’adunanza del Cda del 28 aprile 1917, all’«oggetto secondo», «Il Consigliere direttore rende conto delle pratiche condotte dal Comitato Combustibili Nazionali, avente sede in Roma, via Francesco Crispi n. 10, al fine di ottenere una certa quantità di lignite mancando quest’anno in modo assoluto il carbone inglese, onde per far fronte ai bisogni agricoli per le trebbiature, arature meccaniche, sollevamento di acqua etc. Si ottenne così un’assegnazione di q.li 10.000 che verranno spediti nei mesi di maggio, giugno e luglio…».
Il 7 luglio 1917 fu estesa una proposta di acquisto di uno stabile a San Pietro in Casale (Bologna). Gli echi degli eventi bellici in corso continuavano a risuonare, come dal verbale dell’adunanza del Cda numero 10 del 17 novembre 1917, all’«oggetto secondo»: «Il Consigliere direttore infor ma il Consiglio sul richiamo alle ar mi dell’impiegato avventizio Andreani Luigi e sulle non buone condizioni finanziarie della sua famiglia. Egli non ha alcun diritto ad un trattamento speciale, ma per considerazioni di ordine generale propone che il Consiglio gli assegni lire 100 al mese per un trimestre. Il Consiglio approva».
Nell’incontro del 15 dicembre 1917, «oggetto quinto»,
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«il Consigliere Direttore richiama all’attenzione dei presenti la convenienza che il Consorzio si assicuri il rifornimento del nuovo concime fosfatico denominato tetrafosfato».
Nel bilancio al 31 dicembre 1917, il patrimonio sociale risultava essere prodotto da 5.806 azioni, possedute da 1.299 soci, per un totale di 116.120 lire. Il 20 dicembre 1917 (verbale n. 11) «…il signor Consigliere Direttore rappresenta che riterrebbe opportuno di aprire una agenzia in Spilamberto, zona di molte attività agricole…».
L’assemblea del Cda del 29 gennaio 1919 rilevava un patrimonio sociale di 124.960 lire, in forza di 6.248 azioni di proprietà dei 1414 soci. Il profitto netto dell’esercizio 1918 fu di 84.258,73 lire. Nel verbale numero 1 del 24 gennaio 1920 si trova notizia della sensibilità del Consorzio agrario bolognese nei confronti dei propri dipendenti chiamati alle armi nella prima guerra mondiale. «Il Sindaco interviene nella discussione in appoggio alle idee del sig. Consigliere Direttore (…) per gli impiegati – ritornati dalle armi – dovrebbesi riconoscere che non è equo che essi – per il tempo che hanno compiuto il loro dovere verso la Patria, debbano perdere tutti quei vantaggi che avrebbero conseguito restando a loro posto nell’impiego presso il Consorzio e quindi si prega il Consorzio di accogliere favorevolmente la domanda che gli interessati per suo mezzo fanno al Consiglio pervenire e con le quali si limitano a chiedere una assegnazione del Fondo di previdenza per gli anni in cui ne avrebbero avuto diritto».
Finita la Grande Guerra, nuovi eventi – spesso di portata catastrofica – si affacciarono sulla scena dell’Italia e del mondo a partire dai primi anni Venti, e perdureranno fino al 1945, l’«anno zero», per richiamare il titolo di un celebre film di Roberto Rossellini. Essi, inevitabilmente, condizioneranno anche la traiettoria del Consorzio Agrario Bolognese. .A,
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6. Dal fascismo alla Seconda Guerra Mondiale
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rincipalmente come reazione alla rivoluzione bolscevica in Russia e ai programmi massimalisti delle sinistre partitiche e di alcuni sindacati dei lavoratori in Italia, e in polemica nei confronti del sistema liberal-democratico dopo la Prima Guerra Mondiale, in gran parte ispirato al retaggio liberal-conservatore giolittiano, mosso da una Weltanshauung mistico-pagana, autoritaria ed anti-democratica e ad una visione organicista della società impostata sulla concordia obbligata tra le classi sociali in un modo di produzione capitalistico, il 23 marzo 1919, a Milano, nacque ufficialmente il fascismo, con la fondazione dei “Fasci italiani di combattimento”. Dopo il primo congresso nazionale, che si svolse a Firenze nell’ottobre 1919, il movimento si presentò alle elezioni politiche nello stesso anno, con una lista capeggiata da Benito Mussolini e Filippo Tommaso Marinetti, che peraltro non ottenne alcun seggio. Gli adepti iniziarono ad organizzare azioni squadriste, attraverso le quali, gruppi paramilitari, attaccarono e distrussero sedi di partiti della sinistra, di giornali, cooperative, case del popolo. Si giunse così, il 28 ottobre 1922, alla marcia su Roma, e il re Vittorio Emanuele III dette l’incarico a Mussolini di formare il nuovo Governo, una coalizione tra liberali, cattolici e fascisti. Il 10 giugno 1924, Giacomo Matteotti, socialista e antifascista, fortemente critico nei confronti dei fascisti, accusati in Parlamento di condotte illecite, fu assassinato da una squadra fascista. Mussolini negherà di essere stato il mandante dell’omicidio, ma si assumerà la responsabilità morale dell’azione. Il fascismo diventò così dittatura. Nel 1925 tutti i poteri furono affidati a Mussolini – sostenuto dal pensiero di Giovanni Gentile –, che si proclamò Duce del fascismo, responsabile solo nei confronti della Corona e non più anche del Parlamento. Connotandosi con un’enfasi che richiamava l’Antica Roma e la sua politica imperial-espansionista, il totalitarismo fascista si raccorderà successivamente con il nazionalsocialismo tedesco di Hitler, salito al potere nel 1933, finendo per promulgare le leggi razziali e per essere coinvolto nella Seconda Guerra Mondiale, i cui esiti saranno disastrosi anche per l’Italia.
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Le sconfitte in Africa e Russia e l’invasione alleata nelle regioni dell’Italia meridionale, segnarono l’inizio della fine per il fascismo: Mussolini fu arrestato e fu nominato il governo Badoglio. L’Italia si trovò spezzata in due e Mussolini, con l’aiuto di Hitler, riparò a Nord, dove governò uno stato-fantoccio, la Repubblica Sociale Italiana, riconosciuta solo dall’Asse. Iniziò un cruento periodo di guerra civile fra le formazioni partigiane e i repubblichini fiancheggiati dai tedeschi, che causò migliaia di vittime. Il 25 aprile 1945 fu il giorno della Liberazione, proclamata dal Comitato di liberazione nazionale (Cln) e la Repubblica Sociale Italiana fu spazzata via. Mussolini ed altri gerarchi, catturati dai partigiani, furono fucilati tra il 28 e il 29 aprile 1945 e i corpi furono trasportati a Milano ed esposti al pubblico ludibrio in piazzale Loreto. Anche il Consorzio agrario Bolognese fu inglobato nella politica di fascistizzazione dei consorzi agrari e, nei resoconti del Cda dell’ente, si trovano numerosi riferimenti al radicale cambiamento dello scenario politico italiano, con la sua virata autocratica, insieme alle attività economiche e di ordinaria e straordinaria amministrazione, e agli incidenti, piccoli e grandi, che talvolta diventano materia di cronaca nera. Già il 24 febbraio 1923 (verbale numero 3) si trovano riferimenti al mutato quadro politico. Il Cda, infatti, «nota (…) l’aumentato consumo di concimi, mettendolo in relazione all’aumentata fiducia nell’azione del nuovo governo per assicurare la tranquillità alla vita nazionale» e «fa accenno alle nuove organizzazioni sindacali che hanno innanzi a sé un vasto campo per lo svolgimento della loro molteplici attività». «Entrando quindi nell’esame del bilancio 1922, la relazione mette in evidenza l’ottima situazione finanziaria e patrimoniale del nostro Consorzio, e gli utili risultati dall’ultima gestione, utili che hanno reso possibile l’ammortizzamento completo della perdita subita dal nostro Consorzio per la malversazione del Cassiere della Banca Popolare di Credito, R. rag. G.».
Nell’adunanza del 26 giugno 1924, «Il sig. Consigliere Direttore comunica di avere ricevuto invito dall’Istituto di Propaganda Internazionale per lo Sviluppo delle In-
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dustrie e dei Commerci, a dare allo stesso la sua adesione che comporterebbe per il nostro Consorzio un nuovo onere. Il sig. Consigliere Direttore presenta al Consiglio una lettera del Comitato “Cure marine” costituitosi a Castel S. Pietro Emilia richiedente il concorso del nostro Consorzio alla sua opera, a vantag gio dei bimbi poveri di quel Comune. Nel contempo fa rilevare che il nostro Consorzio già concorre in opere di beneficenza varie, e ritiene che non possa accettarsi tale domanda per ragioni varie e principalmente per un criterio di opportuna economia». «Il sig. Consigliere Alessandretti comunica al Consiglio di avere appreso da fonte sicura che prossimamente cesserà di funzionare il Deposito Animali Miglioratori a Reg gio Emilia, nonostante le benemerenze acquistate nel settore zootecnico. Prega poi il Consiglio di vedere se fosse il caso di interessarsi di impedire tanta jattura…».
Nell’incontro del Cda del 17 aprile 1926, «Il sig. Presidente prima d’iniziare la discussione dà comunicazione dell’alta onorificenza conferita di motu proprio da S. M. il Re al Consigliere avv. Giorgio Barbieri insignito della Commenda della Corona d’Italia, ed esprime al neo Commendatore i più vivi rallegramenti. (…) Il Consigliere Delegato ing. cav. Domenico Casalini ringrazia l’on. Consiglio per le onoranze che il 6 aprile corr. in occasione del 25° annuale della fondazione del Consorzio, ha voluto rendere a Lui che durante il venticinquennio diresse il Consorzio stesso; ringrazia per la bella medaglia d’oro offertagli e per aver voluto rendere la festa ancor più significativa con l’inter vento di tante autorevoli personalità».
Inizia a trovarsi traccia del nuovo approccio di penetrazione statale nell’agricoltura e nella sua organizzazione sistemica. «Il Presidente fa dare lettura della lettera in data 23 marzo del Ministero dell’Economia Nazionale all’og getto: trasfor mazione del laboratorio di Chimica Agraria, con la quale l’on. Ministro propone di dare al laboratorio stesso una personalità giuridica costituendo un Consorzio per il suo funzionamento da annettere al R. Istituto Superiore Agrario, chiedendo che la somma di £ 1000 con la quale il Consorzio Agrario Bolognese contribuisce per il funzionamento».
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Nella seduta del Cda del 12 marzo 1923 (verbale numero 4) in riferimento al «…prossimo accordo tra il nostro Consorzio e la Federazione dei Sindacati agricoltori per accedere alla fornitura dei concimi…», «Il sig. avv. Alessandretti vorrebbe essere tranquillizzato sulla forma dell’accordo in discussione considerato che i sindacati non sono enti legalmente costituiti, e quindi giuridicamente non responsabili…»
Agli inizi del 1923, la presidenza del Consorzio Agrario Bolognese fu assunta dal «conte ing. Antonio Masetti Zannini». Box 13. Un nobile alla presidenza del Consorzio agrario bolognese, Antonio Masetti Zannini Le foto d’epoca lo ritraggono in abito scuro, baffi, capelli impomatati. Spesso è in posa a fianco della moglie, la cugina Germana Teresa Stagni, donna con i capelli scuri raccolti a chignon, dall’aspetto grazioso e devoto, con la quale si unì in matrimonio il 9 novembre 1895. Da lei, Antonio Masetti Zannini, che nacque a Bologna il 21 novembre 1869, ebbe 11 figli. L’Enciclopedia storico nobiliare italiana di Vittorio Spreti102, che ne traccia una biografia, annota che fu «Cavaliere degli ordini di San Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia», «cattolico, patriota (…)», e aderente al fascismo. La sua prima formazione avvenne presso i padri Barnabiti e il Collegio San Luigi (corso classico). Ottenne poi la laurea nell’ateneo bolognese in ingegneria il 5 agosto 1895. Si specializzò negli studi di idraulica e ricoprì numerose cariche pubbliche, come quella di assessore comunale a Bologna ai tempi dei sindaci Giuseppe Tanari (marchese) e di Ettore Nadalini. Accanto alla presidenza del Consorzio agrario bolognese, fu presidente del Regio ricovero di mendicità, della Giunta censuaria provinciale e del Consiglio provinciale dell’economia corporativa. Nella prima guerra mondiale divenne tenente colonnello di artiglieria. Ebbe parte attiva nella realizzazione della linea
102. 6 voll. e 2 app., Milano, 1928.
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ferroviaria direttissima Roma-Bologna103. In un suo scritto del 1920, La terra agli agricoltori, argomentò a proposito del «frazionamento delle terre» con una visione conservatrice circa la struttura della stratificazione delle classi sociali, ma con alcuni elementi progressisti. Morì a Bologna il 13 ottobre 1934. Nell’adunanza del 23 settembre 1922 (verbale numero 8), all’«oggetto IV» il Cda aveva preso formalmente atto, per informativa del «Consigliere Direttore ing. Domenico Casalini» delle «gravi condizioni di salute del sig. presidente avv. Enrico Daddi, facendo rilevare come ci possano essere ben poche speranze di guarigione prossima, tenuto conto delle dichiarazioni del suo medico curante prof. Brigatti. Informa inoltre che giornalmente vengono assunte informazioni sul decorso della sua malattia…».
Per quel che riguarda la situazione patrimoniale sociale, come risulta dal verbale n. 2 del 3 febbraio 1923, le azioni sottoscritte dai soci erano giunte ad essere 10.053, a lire 20, per un totale di 201.060 lire. Nel 1924 fu approvato il “Regolamento per la Cassa di Previdenza per gli impiegati del Consorzio Agrario Bolognese” che, all’articolo 1°, recitava: «L’attuale fondo di previdenza per gli impiegati del Consorzio Agrario Bolognese, istituito con deliberazione consigliare del 30 aprile 1904, viene trasformato in Cassa di previdenza a favore degli stessi, della quale assume l’amministrazione il Consiglio di Amministrazione del Consorzio agrario con conti e bilanci separati».
Nella riunione del 18 ottobre 1924 (verbale numero 8), «Il signor Consigliere Direttore dà informazioni su l’andamento abbastanza soddisfacente delle vendite e circa la più marcata richiesta di concimi azotati organici di cui purtroppo sembra che il mercato difetti…». 103. G. Morselli, In memoria del conte ing. Antonio Masetti Zannini. Cenni commemorativi letti alla Società agraria di Bologna nell’adunanza dell’8 maggio 1935, Estratto dagli annali della Società, volume LXIII, anno accademico 128, Tipografia Paolo Cuppini, Bologna, 1935.
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Le azioni erano 10.420, sempre a lire 20 ciascuna, per un complesso di 208.400 lire. Il profitto netto risultava essere di 62.901,35 lire, così ripartito: «5% alla riserva ordinaria lire 3.145.05 10% al Fondo ammonizzazione perdite 6.290,15 10% al Consiglio di Amministrazione 6.290,15 10% alla Cassa Previdenza del personale 6.290,15 65% ad azionisti, soci e sindaci 40.885,85».
Nell’adunanza del 2 gennaio 1926 (verbale n. 1), all’«oggetto II», «viene data comunicazione di una circolare della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari all’oggetto: aumento di capitale della Federazione». «L’appello lanciato dalla Federazione, dice l’ing. Casalini, non può lasciare indifferente il Consorzio Agrario Bolognese che usufruisce presso la stessa Federazione di un credito, per il pagamento delle merci fornitegli, per un importo che nell’anno 1925, ha raggiunto lire 5.932.355,05 (…). Propone che il Consorzio Agrario Bolognese sottoscriva numero 500 nuove azioni. La proposta viene accettata senza discussione».
Dall’adunanza del 5 febbraio 1927 (verbale numero 1), emergono i dati del bilancio dell’ultimo esercizio. «Attività 4.813.030.54 Passività 4.064.467 Patrimonio sociale 274.740 Azioni numero 13.737 a £. 20 Profitto netto 81.091.90»
Nel 1928, anche il Consorzio Agrario Bolognese si apprestava a diventare provinciale («…trattare la fusione tra Consorzi agrari della provincia per formare il Consorzio agrario provinciale…», verbale n. 1 del 14 gennaio 1928, oggetto 2°). Il 28 aprile 1928 (verbale numero 6), «Il Direttore informa che, in conformità alla direttiva della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, (…) a formare in ogni Provincia un
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Consorzio Agrario Provinciale, allo scopo di avere organismi forti, bene attrezzati, meglio rispondenti alle nuove esigenze…»
Il «13 febbraio 1930 – VIII104» (verbale n. 1) i dati dell’ultimo esercizio erano: «Attività: 8.121.944.33 Passività: 7.177.139.58 Patrimonio sociale: 868.187.54 Profitto netto: 76.617.21»
Il 22 marzo 1930 («VIII»), verbale n. 3, «Il Direttore presenta una domanda dell’amministrazione del Littoriale 105 , tendente a rimuovere il contratto d’affitto del riquadro pubblicità nello Stadio, e di pubblicità nella rivista per la fiera campionaria. Ricorda che la pubblicità nello stadio costa £ 1500 e che l’inserzione nella rivista (…) £ 1500. (…) Dopo ampia discussione viene deliberato di rimuovere il contratto per la pubblicità nello Stadio, e di attenersi, per quanto riguarda la rivista, a quanto farà la Federazione Provinciale Sindacati Agricoltori».
Box 14. Il Littoriale, i rosso-blu che facevano tremare il mondo, Angelo Schiavio e l’epica Nazionale di Vittorio Pozzo Anche il Consorzio agrario bolognese, per un certo periodo di tempo, fece pubblicità, come si desume dai verbali, allo stadio “Littoriale”, voluto dal potente gerarca Leandro Arpinati, che fu vicesegretario generale del Partito nazionale fascista e podestà106 di Bologna. L’impianto fu inaugurato il mattino del 31 ottobre 1926 alla presenza di Mussolini, che vi entrò a cavallo, e nel pomeriggio fu al 104. «Ottavo anno era fascista». Dal 29 ottobre 1927, in seguito a una circolare governativa del dicembre 1926, divenne obbligatorio, per disposizione del regime, apporre in numeri romani, accanto alla data del calendario cristiano, l’anno dell’“era fascista”, il cui inizio era stato stabilito il 29 ottobre 1922, all’indomani della “marcia su Roma”. L’anno fascista iniziava quindi il 29 ottobre e si concludeva il 28 ottobre di quello successivo. 105. Così si chiamava, all’epoca, lo stadio di Bologna. 106. Ossia sindaco.
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centro di un attentato. Ma il primo incontro che vi si svolse, con in tribuna il Re d’Italia e varie altre autorità, fu tra la Nazionale italiana e la Spagna, con vittoria degli azzurri per 2 a 0, rete di Baloncieri ed autogol di Manuel Prats Guerendain. I pali della porta spagnola erano difesi da Ricardo Zamora, l’ipnotizzatore dei rigoristi, uno dei più grandi portieri della storia del calcio internazionale. Il secondo match, al Littoriale, vide contrapposte Bologna e Genoa, con successo dei rosso-blu per 1 a 0, goal di Giuseppe Martelli. Da quel momento, il nuovo stadio ospitò le partite del Bologna Football Club – compagine fondata il 3 ottobre 1909 alla birreria Ronzani di via Spaderie – sostituendo l’amatissimo Sterlino, in via Toscana, fuori Porta Santo Stefano, nella zona pedecollinare della città, che fu demolito nel 1969. Al termine della guerra, il suo nome fu cambiato in Stadio Comunale, per poi essere intitolato a Renato Dall’Ara nel 1983, in memoria del celebre presidente del Bologna (lo fu dal 1934 al 1964), scomparso tre giorni prima del memorabile spareggio con l’Inter per lo scudetto 1963-64, vinto dal Bologna. All’epoca della costruzione dello stadio, il team rosso-blu stava vivendo un periodo di gloria che si sarebbe prolungato nel corso degli anni Trenta fino agli anni della seconda guerra mondiale, quando iniziò la favola del Grande Torino di Valerio Bacigalupo e Valentino Mazzola, finita in tragedia contro la collina di Superga il 4 maggio 1949. Contendendosi la vetta della classifica del massimo campionato soprattutto con l’Ambrosiana Inter (o Internazionale) e la Juventus, il Bologna, in quella che fu la fase di massimo splendore della propria storia calcistica, vinse due tricolori negli anni Venti (1924-25 e 192829), tre consecutivi negli anni Trenta (1935-36, 1936-37 e 1938-39) e uno all’inizio dei Quaranta (1940-41). Negli anni Trenta, tra le file dei rosso-blu giocavano molti campioni che contribuirono anche ai due successi nella Nazionale italiana allenata da Vittorio Pozzo, ai campionati del mondo (o, come allora erano chiamati “Coppa Jules Rimet”) del 1934 (in Italia) e del 1938 (in Francia): Angelo Schiavio, Eraldo Monzeglio, Michele Andreolo, Amedeo Biavati (passato alla storia anche per il suo originalissimo dribbling chiamato “doppio passo”), Carlo Ceresoli. In particolare, Schiavio, nato a Bologna il
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15 ottobre 1905 e scomparso, sempre nel capoluogo emiliano il 17 settembre 1990, trascorse tutta la sua carriera di calciatore nei ranghi rosso-blu, e si ricorda non solo per la sua impressionante serie di realizzazioni (il centravanti detiene una media di 0,69 reti a partita), vicina a quelle degli altri due mostri sacri dell’epoca, Silvio Piola e Giuseppe Meazza, e tra le maggiori di tutti i tempi, ma anche per la sua tripletta in Italia-Stati Uniti 7 a 1 nei campionati del mondo italiani del 1934 (durante i quali anche il Littoriale fu scelto come campo ufficiale per gli incontri), e, soprattutto, per la rete decisiva nei tempi supplementari nella finalissima Italia-Cecoslovacchia, finita 2 a 1, con conseguente trionfo degli azzurri. Il 28 marzo 1931 («IX»), verbale numero 4, si illustrava l’andamento delle vendite di fertilizzanti (oggetto 2°): «concimi fosfatici, vendite pari al 75% del quantitativo delle passate campagne primaverili; nei concimi azotati minerali, le vendite non arrivano al 40%; nei concimi azotati organici il 15%, nei concimi potassici il 20%».
Nell’adunanza del 16 maggio 1931 («IX»), verbale numero 6, «il Direttore informa che il “Credito Italiano” ha revocato il credito di £ 200mila messo a disposizione del Consorzio…». «Dopo di ciò il Direttore informa che ai sensi del R. D. legge 2 marzo 1923 n. 324 / Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1931 n. 88 / il Consorzio quale Cooperativa fra agricoltori, deve aderire alla Federazione nazionale fascista delle cooperative fra agricoltori attraverso alla Federazione provinciale Sindacati fascisti degli agricoltori».
Il 17 dicembre 1931 («XI°), verbale numero 10, si deliberava il trasferimento del Consorzio Agrario nella sede di via Mazzini 29, «nei locali già occupati dalla Federsport».
Il 23 settembre 1932, un grave incidente si verificò nel magazzino cerealicolo di San Giovanni in Persiceto (Bologna), gestito dal Consorzio
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Agrario Bolognese. Il Cda fu immediatamente convocato il giorno dopo, nella vecchia sede di via Carbonesi 6, a Bologna, alle ore 17. « (…) Prende la parola il consigliere delegato ing. Domenico Casalini. Egli dice: “Vi ho convocati d’urgenza per il doloroso fatto avvenuto ieri a San Giovanni in Persiceto. Verso mezzogiorno di ieri una telefonata comunicava al Direttore che uno scoppio per solfuro di carbonio faceva crollare il magazzino che conteneva il grano ammassato di quella plaga e che si contavano due morti, un ferito grave ed altri due feriti lievemente. Il direttore, senza porre tempo in mezzo, s’è portato subito sul luogo del disastro, dove ha potuto accertare il triste bilancio di 3 morti: il signor Luca Zambonelli, agente a San Giovanni in Persiceto, Barattini Alberto (…) ed un certo Forni d’anni 15 che si trovava là non si sa per quale motivo – e di tre feriti», un impiegato e due operai» (Verbale numero 8 alle ore 17 del 24 settembre 1932 – «X»).
Sembra che la causa della tragedia, fu la malaugurata decisione di «spegnere la luce manovrando l’interruttore presto, nell’interno del locale»: la scintilla provocò lo scoppio. L’incidente creò una serie di ripercussioni legali per l’ente consortile felsineo per il risarcimento dei danni chiesto dai famigliari delle vittime. Alcuni anni dopo, nel 1940, la pratica in uso di disinfestare i grani con solfuro di carbonio provocò un’altra esplosione in un magazzino da grano a Castelmaggiore (Bologna), fortunatamente senza vittime, e con danni alle merci, quantificati in 10mila lire. Nell’assemblea ordinaria dei soci del “Consorzio Agrario Cooperativo Bolognese” del 4 marzo 1933, oltre ad essere formalizzata la proposta di fusione del Consorzio Agrario Imolese “Soc. An. Coop.” e del Consorzio Agrario Medicinese “Soc. An. Cooper.”, con il Consorzio Agrario Bolognese, fu approvato all’unanimità, il cambiamento della denominazione del Consorzio Agrario Bolognese, che assunse il nuovo nome di “Consorzio Agrario Provinciale di Bologna”. Questo nome resterà invariato fino al 1998, quando, a seguito della fusione del Cap di Bologna con quello di Modena, esso verrà ad essere denominato “Consorzio Agrario Interprovinciale di Bologna e Modena”. Nell’adunanza del Cda, che si tenne nello stesso giorno, furono ricordate le vittime dell’incidente di San Giovanni in Persiceto.
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«Prima di dare inizio ai nostri lavori rivolgiamo il nostro mesto, accorato pensiero alle vittime del disastro di San Giovanni in Persiceto, avvenuto il 23 settembre scorso. Il triste fato ha voluto colpirci in pieno spargendo il lutto in tre famiglie e il dolore più vivo in tutti noi. Alla memoria di Enea Zambonelli, Alberto Barattini, Armando Forni, eleviamo il nostro Vale; il loro ricordo rimarrà sempre scolpito nel nostro cuore».
Poi si passò ad esaminare l’andamento congiunturale. « (…) l’esercizio chiusosi il 31 dicembre scorso 107 , del quale Vi presentiamo il bilancio, ha registrato malgrado l’andamento stagionale dell’annata non sempre favorevole, un sensibile aumento del consumo dei fertilizzanti, in confronto alla precedente gestione che fu quella che segnò il limite minimo raggiunto nell’ultimo quinquennio».
Nel passo successivo si nota l’enfasi sugli indirizzi di politica agricola del Governo di Mussolini. «Le provvidenze del Governo Nazionale hanno ridato la fiducia all’agricoltore: la sensazione che la terribile crisi che da anni tormenta il mondo stia per cessare e che si vada incontro a tempi migliori hanno infuso speranza e coraggio».
Poi si tornava all’analisi di dettaglio. «Il mag gior consumo s’è notato nei fosfatici e negli azotati minerali, specialmente nel nitrato di calcio e della calciocianammide. I concimi azotati organici, invece, segnano una continua decrescenza, principalmente perché il loro prezzo per unità d’azoto si mantiene superiore al prezzo dell’azoto degli azotati minerali, ed anche perché è diminuita la coltivazione della canapa 108 per la quale i detti fertilizzanti vengono particolar mente usati, e perché i nuovi impianti di frutteti, a causa sempre della crisi mondiale, si sono momentaneamente arrestati. Anche i concimi potassici hanno segnato una diminuzione sul già scarso uso che l’agricoltore fa di potassa, poco apprezzata, 107. 31 dicembre 1932. 108. La coltivazione della canapa registrerà, negli anni, successivi, un progressivo declino, fino alla sua pressoché totale scomparsa, se si fa eccetto di qualche piccolo esperimento, ad esempio in Emilia Romagna, nei primi anni Duemila.
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perché in massima la concentrazione potassica viene erroneamente considerata un lusso più che una necessità. Gli anticrittogamici e gli antiparassitari si sono mantenuti sullo stesso livello malgrado il loro consumo avesse dovuto essere superiore per gli accresciuti impianti fatti nei precedenti anni e malgrado le precipitazioni atmosferiche dell’estate che imponevano ripetuti trattamenti: l’agricoltore non ha potuto affrontare la spesa in vista dello scarso realizzo della frutta e dell’uva. Le macchine e gli attrezzi, dopo una lunga sosta di qualche anno, hanno segnato durante il 1932 una ripresa, specialmente nelle seminatrici e nelle macchine da raccolta (falciatrici, rastrelli, ecc.) e negli attrezzi leg geri da campagna. L’Agricoltore bolognese, provato forse più di ogni altro dalla lunga crisi, ha saputo ricorrere a tutte le economie, ha escogitato tutti gli espedienti per tenersi nei limiti più ristretti di spesa, senza abbandonare però le pratiche che la rinnovata tecnica agraria impone 109 ».
Nel 1932 le attività furono di lire 10 milioni 321mila circa e le passività di 9 milioni 366mila, con un patrimonio sociale di 955.156,03 lire. Le vendite, nel 1932, consistettero in 185.110 quintali (per lire 8.710.547), unitamente ad altre 433.661 lire di macchine agricole, rispetto ai 152.110 quintali (per circa lire 8 milioni 322mila) più 242.302 lire per le macchine agricole del 1931. Le attività di credito comprendevano, sempre nel 1932, 1.370 operazioni per i proprietari (corrispondenti a circa 7 milioni 242mila lire), 618 a favore dei fittavoli (1 milione 281mila lire) e 32 per enti ed associazioni agrarie (1 milione 318mila lire). Sul fronte del credito – osservava l’amministrazione del Consorzio – «si nota chiaramente come le provvidenze governative abbiano attenuato in parte le conseguenze della crisi ed aumentata la disponibilità, giacché il miglior segno di benessere lo si ha nella minore entità dei debiti». Dopo la relazione tecnica, il Cda esprimeva enfaticamente l’appoggio entusiastico al regime, soprattutto per l’aspetto dell’appoggio finanziario ai consorzi agrari. «Egregi soci, nell’Assemblea straordinaria che seguirà, sarete chiamati a dare la Vostra approvazione per la fusione del nostro Consorzio con i confratelli di Imola e Medicina. Dall’unione dei tre Enti dovrà sor109. Consorzio Agrario Bolognese, Rendiconto 1932, Stabilimenti Poligrafici Riuniti, Bologna, 1933, pp. 13-14.
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gere un ente unico: il Consorzio Agrario Provinciale, aspirazione da tutti desiderata, sorretta dalle illuminate provvidenze del Regime, affiancata dalle organizzazioni sindacali. Auguriamo al nuovo Ente una vita prospera e felice, come ne fanno fede le illuminate provvidenze atte al suo maggiore sviluppo. Nel progresso della nostra agricoltura, l’assistenza dei tecnici e la tutela svolta dalla organizzazione cooperativa ha sempre ottenuto ottimi risultati e il mettere a disposizione degli agricoltori tutti i mezzi a loro necessari, senza fini di speculazioni, integra l’azione delle Cattedre Ambulanti e le sagge direttive del Governo Centrale. La nostra Direzione, gli Impiegati e gli Agenti del Consorzio hanno sempre assolto il compito loro con fede e intelligenza, portando così un contributo decisivo sia al progresso tecnico, sia allo sviluppo economico della produzione. Si pensi che il nostro programma di cooperazione rurale è utile ai piccoli produttori, i quali, attraverso la nostra organizzazione, possono usufruire dei mezzi e delle possibilità di cui dispongono le grandi imprese. Il motto: vis unita fortior è la nostra guida ed è la salvezza dell’agricoltura. Quindi è con entusiasmo e con fede di un sempre migliore e più prospero avvenire, noi abbiamo salutato (…) il sorgere dell’Ente Finanziario 110 , che, con occhio lungimirante, il Governo Fascista ha voluto costituire per consolidare i Consorzi Agrari, i quali potranno sempre meglio e sempre più assolvere il compito importante di migliorare le condizioni tecniche e quelle economiche dell’agricoltura. A tale scopo l’Ente finanziario dei Consorzi Agrari, di cui è già stato approvato con Regio Decreto lo Statuto, compirà importanti e risolutive operazioni di credito a favore dei Consorzi Agrari e della loro Federazione Italiana. È necessario vivere la nostra vita da agricoltori, con l’assistenza delle superiori Gerarchie, ma è altrettanto necessario che ciascuno di noi partecipi più che sia possibile alla vita dell’organizzazione, per uscire dalla ristretta cerchia egoistica individuale: il che poi, in ultima analisi, è di grande utilità alla Società nostra ma insieme a tutti i singoli componenti. La organizzazione cooperativa, ricordiamolo, potrà raggiungere il suo massimo grado di efficienza e di produttività, se ci manterremo fedeli alle direttive che ci vengono date dalle nostre superiori Gerarchie. E qui mi 111 corre l’obbligo di ricordare l’insegnamento dei nostri maggiori uomini nel campo scientifico e tecnico dell’agricoltura: insegnamento che, a mezzo dei tecnici agricoli e delle Cattedre Ambulanti, viene messo a conoscenza di tutti gli agricoltori. Ond’è che con l’aiuto finanziario e con le dovute istruzioni, gli agri110. A caratteri maiuscoli nel testo originale. 111. Parla il presidente Antonio Masetti Zannini.
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coltori italiani saranno posti in grado di maggiormente intensificare e migliorare tutte le loro produzioni. “In campis vita!”. Sia oggi e sempre il nostro grido di battaglia 112 .
Nell’adunanza del 3 giugno 1933 («XI»), verbale numero 11, sede di via Mazzini 29, presidente Antonio Masetti Zannini, «Il Direttore rende noto che la benemerita Cassa di Rispar mio di Bologna, aderendo ad un desiderio della direzione, ha accettato di fare il ser vizio di cassa alle stesse condizioni praticate per oltre un trentennio dalla Banca Popolare di Credito acconsentendo inoltre di staccare un suo cassiere presso la sede del Consorzio in via Mazzini 29 per la bisogna». (…) «Infine comunica che avrebbe fissato in £ 14.000 annue ad iniziare dall’8 mag gio, il fitto dei locali della nuova sede da pagare alla Federazione Provinciale Fascista degli Agricoltori che subaffitta…».
Il 29 luglio 1933 («XI°»), verbale n. 12, all’«oggetto 3°»: «Il Direttore informa che anche quest’anno la Cassa di Risparmio in Bologna ha aderito di buon grado alla richiesta del Consorzio di finanziare i propri soci in relazione ad ammassi di grano di produzione 1933. Anzi data l’urgenza, alcune di dette operazioni sono state eseguite con le seguenti modalità: - ammasso del grano nei magazzini del Consorzio - emissione di una cambiale a 4 mesi da parte dell’agricoltore in ragione di £ 70 per ogni quintale di grano depositato - sconto della cambiale stessa presso la Cassa di Risparmio al saggio del 4 ½ % e pagamento del netto ricavo al socio».
Il 6 dicembre 1933 («XII»), verbale n. 17, il Cda, in merito all’estensione provinciale del Consorzio agrario, precisava che: «(…) la somma erogata dall’Ente finanziario dei Consorzi agrari, attualmente depositata presso la Cassa di Risparmio di Bologna, è vincolata alla fusione dei tre Consorzi: Bolognese-Imolese e Medicinese già deliberata dalle rispettive Assemblee Generali dei soci (…)».
112. Consorzio Agrario Bolognese, Rendiconto 1932, cit., pp. 9-10.
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Il 17 marzo 1934, verbale n. 5, si discusse sulla modifica statutaria in seguito «alla fusione dei tre consorzi». Si scendeva dunque nel dettaglio dei singoli articoli del nuovo Statuto. Ad esempio, l’articolo 1, «che dovrebbe essere così modificato: Il Consorzio agrario provinciale di Bologna, già Consorzio agrario Bolognese, è società anonima cooperativa a norma del vigente codice di commercio».
e l’articolo 2: «Suo intento è di giovare nei modi migliori e mediante la cooperazione all’agricoltura ed alle classi sociali della provincia di Bologna» (…).
Quindi si discusse degli stipendi: «gli stipendi per il personale appartenente alla 1ª categoria vengono fissati all’assunzione a mezzo contratti di lavoro. Lo stipendio iniziale per gli impiegati appartenenti alla II categoria è di: I° grado £. 1000, II° grado £. 800, III° grado £. 500, IV° grado £. 300 per gli uomini, £. 250 per le donne».
«Dopo ciò», «il Consiglio prende in esame una proposta presentata dalla società “Le Assicurazioni d’Italia” collegata con l’Ente nazionale delle assicurazioni – organismo parastatale – per la concessione al Consorzio da parte della Società stessa di una rappresentanza speciale per la Provincia di Bologna per le assicurazioni contro i danni della grandine e dell’incendio dei prodotti del suolo».
Box 15. La linea della “ruralizzazione” del fascismo. Autarchia, battaglia del grano, bonifiche Nel “Foglio di disposizioni” del Partito nazionale fascista del 28 dicembre 1939, numero 40, si riportano una serie di «frasi del Duce suddivise secondo il contenuto». Una sezione dedicata alle «case rurali” contiene esternazioni relative all’agricoltura.
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«Condizione insostituibile del primato è il numero. Bisogna essere forti prima di tutto nel numero. I popoli che abbandonano la terra sono condannati alla decadenza. Bisogna dare la massima fecondità ad ogni zolla di terra. Le nazioni solide, le nazioni ferme, sono quelle che stanno appoggiate sulla terra. Verso la terra debbono volgersi le speranze e le energie dei popoli. Gli eserciti si perfezionano combattendo. Così avviene dell’esercito rurale italiano. La vera fonte, la vera origine di tutta l’attività umana è la terra. È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende».
Soprattutto nell’ambito della politica autarchica, volta a ridurre il più possibile il ricorso alle importazioni di materie prime, Mussolini puntò molto sull’agricoltura e sul suo sviluppo, sia da un punto di vista tecnico, sia sul versante sociale e dell’assetto proprietario. Tra le principali azioni vi furono il tentativo di “sbracciantizzazione” del sistema agricolo, con la tendenza alla riduzione del lavoro non contrattualizzato, la bonifica delle aree paludose e acquitrinose (soprattutto in Emilia, Romagna, Veneto, Friuli, Lazio113, Puglia, Campania e Sicilia), con l’istituzione dei consorzi di bonifica e la legge Serpieri del 1923, l’espropriazione di terreni afferenti a proprietà latifondistiche e, spesso, lasciati incolti e improduttivi, e la “battaglia del grano”114, avviata nel giugno 1925, orientata principalmente ad elevare le rese medie per ettaro dei frumenti ma anche le superfici coltivate. Nello specifico, la politica di incentivazione cerealicola, con quanto richiedeva in materia di sviluppo della selezione varietale, insieme alle altre necessità di miglioramento dello sviluppo dei mezzi tecnici in agricoltura, portò il regime a puntare, a partire dal 1926, sul rafforzamento del ruolo – centralizzato, attraverso la Federconsorzi – dei consorzi agrari, i quali, a differenza dei distributori privati, 113. Molto nota, in Lazio, è la bonifica dell’Agro-Pontino, su oltre 26mila ettari, con l’impiego di più di 18 milioni di giornate lavorative. Si stima che furono complessivamente bonificati circa 1 milione di ettari di terreno. 114. «Il popolo italiano avrà quindi il pane necessario alla sua vita, ma anche se gli fosse mancato non si sarebbe mai piegato a sollecitare un aiuto qualsiasi alle cosiddette grandi demoplutocrazie». Sono parole pronunciate da Mussolini in occasione di un discorso durante una visita propagandistica nelle campagne, nel corso della quale il dittatore partecipò simbolicamente alle operazioni di trebbiatura.
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potevano far leva su un credito agrario senza interessi per gli acquisti di sementi, fertilizzanti, macchine agricole, antiparassitari, capi zootecnici. Sempre sui consorzi agrari si puntò per l’organizzazione degli ammassi, ai fini di razionalizzare gli stoccaggi anche per rendere preparato il Paese ad affrontare un’economia di guerra, oltre che per dotare i piccoli agricoltori di una maggior forza contrattuale – con l’intermediazione degli enti consortili – nei confronti di possibili speculazioni di trasformatori e distributori. Il primo ammasso volontario del grano fu nel 1935, anno nel quale i Consorzi agrari raccolsero 12 milioni di quintali di conferimenti, mentre nel 1938, la quantità ammassata, per le necessità autarchiche, raggiunse i 40 milioni di quintali. Per quel che riguarda la conformazione sindacale e societaria, le cooperative agricole furono inquadrate nell’ordinamento corporativo: l’obiettivo, nel quadro della visione del lavoro del regime, era quello di assorbire il conflitto tra le classi sociali – tra padronato e lavoratori – così foriero di lotte intestine nei due primi decenni del Novecento, anche in agricoltura. Fu fondata la Confederazione Nazionale Fascista degli Agricoltori (dal 1934 Confederazione Fascista degli Agricoltori), a cui aderiva anche la Federconsorzi. Negli anni Trenta, il fascismo spinse per la meccanizzazione agricola: la Landini assunse in primato italiano nel settore. Successi di vendite si riscontrarono per il trattore “Superlandini” (1934), della potenza di 48 cavalli, e del più piccolo “Vélite” (1935). In seguito alla battaglia del grano, la capacità dell’agricoltura italiana di soddisfare il fabbisogno interno di frumenti aumentò notevolmente. L’accento posto sui valori della ruralità si tradusse anche in manifestazioni proposte dal regime per la penetrazione dell’idea bucolico-corporativa nella cultura popolare, attraverso la classica canzonetta Reginella campagnola, cantata da Carlo Buti, una sorta di chansonnier ufficiale del fascismo, di apologo del Duce attraverso motivetti pacchiani intrisi di retorica del consenso, diventato celebre anche per quella Faccetta nera, inno al colonialismo mussoliniano che, in realtà, fu causa di crimini efferati nei confronti delle popolazioni africane.
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Lo storico Denis Mack Smith, autore di una tra le più puntuali biografie politiche di Mussolini, ha posto molti rilievi critici, sulla politica di ruralizzazione del fascismo. Sia dal punto di vista generale: «Ruralizzare l’Italia sarebbe stato – Mussolini lo sapeva – immensamente costoso, e ci sarebbe voluto forse un mezzo secolo; ma bisognava farlo. Per il miglioramento della condizione urbana era sufficiente un impegno minore, perché “i debiti fatti per abbellire le città sono perniciosi e parassitari”. Anche nelle campagne occorreva a suo giudizio limitare i progressi dell’edilizia popolare, perché migliori condizioni di alloggio rischiavano di condurre ad una limitazione delle nascite. Convinzioni siffatte divennero per lui un’ossessione. Ordinò ai prefetti di impedire, se necessario con la forza, alla gente delle campagne di lasciare la terra. Roma non doveva diventare una città industriale ma il centro di una regione agricola, e molte altre città importanti dovevano venir costrette a ridurre le loro dimensioni. Ma si trattava in questo caso di una battaglia disperata, e le città continuarono a crescere come per il passato. Dapprincipio falsificò i dati dei censimenti per celare questo spiacevole fatto, ma in seguito finì per mutare parere, e decise di spendere un fiume di denaro per fare di Roma un grande centro commerciale» 115 .
Sia sulla battaglia del grano. «Un successo maggiore ebbe la “battaglia del grano” lanciata nel giugno 1925, quando vennero imposte forti tasse all’importazione, con l’obiettivo di lungo termine di raggiungere l’autosufficienza in fatto di cereali. Quest’idea poggiava sul presupposto che il paese doveva e poteva produrre il suo fabbisogno alimentare di base, più un’eccedenza da esportare. Molti economisti pensavano, al contrario, che l’Italia avesse già troppa terra coltivata a cereali. Dato il clima italiano, era possibile produrre con assai maggior profitto numerose altre colture d’esportazione, e per questa via procurarsi divise con cui acquistare poi cereali sul mercato mondiale ad un prezzo inferiore alla metà di quello pagato dai consumatori italiani. Ma la battaglia del grano stava enormemente a cuore a Mussolini, il quale arrivò a scrivere, ed a pubblicare, una poesia sull’argomento. In termini di aumento della produzione il successo fu assai cospicuo; ma per ottenerlo si dovè 115. D. M. Smith, Mussolini, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, ediz. 1999, p. 198.
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pagare il prezzo di una diminuzione della redditività dell’agricoltura mantenendo in vita produttori ad alti costi e metodi inefficienti. In conclusione, la battaglia del grano fu gravemente controproducente, perché ne risultò da un lato un elevato prezzo interno per una derrata alimentare essenziale, e dall’altro una perdita di mercati d’esportazione per altri prodotti agricoli più pregiati, dovuta alla conversione alla cerealicoltura di superfici per l’innanzi destinate a colture differenti. Chi ci guadagnò furono i latifondisti e i grandi agricoltori. Mussolini aveva un tempo sperato di allargare la proprietà contadina, ma in effetti la sua politica si risolse in un massiccio sussidio ai latifondisti. Il successo riportato nella battaglia del grano fu dunque un’altra illusoria vittoria propagandistica, ottenuta a scapito dell’economia italiana in generale e dei consumatori in particolare. E quando nel 1940 arrivò la guerra, la cerealicoltura italiana appariva sì capace di coprire quasi per intero, nelle annate buone, il fabbisogno del paese, ma pochissimo era stato fatto nel campo dei fertilizzanti, talché il taglio degli approvvigionamenti esteri di concimi naturali e chimici dovuto alle condizioni del tempo di guerra bastò a far crollare fortemente la produzione» 116 .
Il giudizio è invece positivo sul dettaglio della politica di bonifica. Una vittoria più autentica fu ottenuta nella battaglia per la bonifica. Grosse somme furono stanziate dal governo fascista per opere di prosciugamento, nonché per l’edilizia agricola. È difficile accertare con precisione le cifre reali, comunque sicuramente inferiori a quelle ufficiali. E gli obiettivi della battaglia non furono raggiunti che parzialmente. Ciò nondimeno, l’Italia avrebbe tratto grandi vantaggi dal prosciugamento delle terre paludose, ed i risultati ottenuti furono, del tutto giustamente, vantati come un importante successo del fascismo» 117 .
Mercoledì 20 dicembre 1933, in via Mazzini 29 a Bologna, con rogito del notaio Antonio Magli fu Gaetano, fu sottoscritta la fusione dei Consorzi Agrari di Imola, di Medicina e Praduro Sasso col Consorzio Agrario Provinciale di Bologna118. 116. Ibid., pp. 198-199. 117. Ibid., pp. 199-200. 118. N. 16521/1053 di Repertorio.
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Al 31 dicembre 1933, la situazione patrimoniale del Consorzio Agrario Bolognese si quantificava in lire 13.739.037.23 (totale delle attività). Il capitale sociale (20.363 azioni da 20 lire) era di 407.260 lire. I profitti ammontano a 907.987,01 lire e l’avanzo netto di 9.930.59. Quanto al trend del 1933, l’amministrazione osservava: «Con l’avvenuta fusione il Vostro Consorzio conta: la Sede con n. 20 agenzie direttamente dipendenti, una filiale a Imola con n. 5 agenzie, una a Vergato con n. 4 agenzie, una succursale a Medicina. Sono in totale n. 33 unità, 33 magazzini di distribuzione su 61 Comuni della provincia. (…) La sezione macchine, che ha sentito più fortemente l’effetto del disagio economico che da qualche anno infierisce, è oggetto di particolari attenzioni. Ci auguriamo di vederla tornare presto al passato splendore. (…) La sezione ortofrutticola, costituita nel passato anno, ha due centri di lavorazione: Bologna e Imola. La preparazione della campagna, per una serie di circostanze a tutti note, ha dovuto avvenire affrettatamente ed il primo periodo di lavorazione specialmente, ha dato luogo ad alcuni inconvenienti ai quali, con sforzi non lievi, si è potuto sopperire non senza risentirne tuttavia qualche effetto dannoso. La mancanza di locali prima, e di spazio sufficiente poi; la inevitabile lentezza dei primi giorni nelle consegne degli imballaggi da raccolta; la scarsezza di maestranze addestrate ed altre lacune di minor rilievo hanno fatto sentire il loro peso. (…) Come media generale, per le pesche si è avuto il 18,60% di scarto ed il 24,78% di maturo, complessivamente il 43,38% di non esportabile; per le susine il 22,45% di scarto ed il 9,21% di maturo, complessivamente il 31,66% di non esportabile; per le pere il 20,87% di scarto ed il 31,42% di maturo, complessivamente il 52,29% di non esportabile».
In conclusione dell’adunanza del 30 marzo 1934, il presidente Masetti-Zannini, si riservava un articolato epilogo nel quale magnificava il regime, e dove s’individuano interessanti elementi storici: «Egregi soci, ricordiamoci delle sagge parole scritte dal Compianto Arnaldo Mussolini in occasione della visita fatta al Consorzio Agrario di Tripoli 119 nel 1931: “Il Consorzio Agrario è la cellula vitale, l’elemento propulsore del miglioramento agricolo. Esso domina gli egoismi, vince il misonei119. La politica di sostegno ai consorzi agrari si estese anche ai territori coloniali. Questo aspetto meriterebbe una più approfondita ricerca.
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smo così diffuso fra la gente della terra, crea la solidarietà fra i produttori” 120 . Oggi si apre, per il costituito nuovo Consorzio Provinciale, una più ampia sfera d’azione: e ciò non solo perché il nostro Consorzio si è fuso con gli altri Consorzi della provincia, ma anche, e più ancora, perché viene ad assumere una posizione nuova nei riguardi della politica Corporativa. Anche prima, il vincolo che legava i nostri Soci non si limitava al semplice compito di acquistare le merci necessarie con la maggiore possibile garanzia di bontà e al prezzo più conveniente, ma si riferiva anche alla funzione produttiva, nella perfezione dei prodotti e nel renderli più rispondenti alle esigenze del consumo. Certo è che oggi, con lo stabilirsi delle Leggi per la Corporazione, la organizzazione nostra si perfeziona e si integra in una disciplina economica, che contribuirà al maggior interesse della collettività e insieme dei singoli contribuenti. La nuova azione si imposta sempre più e sempre meglio nella produzione collettiva, riuscendo più facilmente a migliorare l’indirizzo tecnico dei prodotti e il loro collocamento. Per tutte queste considerazioni (…) gli agricoltori acquisteranno maggior forza, sentendo tutto il vantaggio economico e morale di una cooperazione perfezionantesi negli organi corporativi, per il maggior vantaggio della economia dei singoli insieme a quello della intera nazione. E qui giova riportare integralmente le parole autorevoli del Capo del Governo e Duce 121 del Fascismo, quando alla chiusura dell’Assemblea Generale del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, nel novembre u. s. dichiarò che: “le corporazioni sono lo strumento che, sotto l’egida dello Stato, attua la disciplina integrale, organica ed unitaria delle forze produttive, in vista dello sviluppo della ricchezza, della potenza politica e del benessere dello Stato italiano”: e quando aggiunse che: “lo Stato Maggiore della Corporazione deve comprendere i rappresentanti delle Amministrazioni Statali, del Partito, del Capitale, del Lavoro e della Tecnica”. Da ultimo, a conforto dei nostri studi e delle nostre fatiche ricorderemo che S. E. Benito Mussolini, nel suo programma di “Ruralizzazione” ha definito la ruralità con queste sagge parole: “Ruralità significa una fatica seria, incessante, amorosa, sottoposta spesso al capriccio delle stagioni: fatica che tal volta non raccoglie ciò che è stato seminato, ma pur tuttavia non si stanca: poiché chi dice rurale dice uomo tenace e paziente 122 ”. Noi dunque, con tenacia e con pazienza, incoraggiati dai validi e sapienti aiuti del nostro Governo e
120. Il corsivo è nell’originale. 121. In maiuscolo nell’originale. 122. In corsivo nell’originale.
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dagli autorevoli incitamenti del nostro Duce 123 , potremo più e meglio assolvere il nostro compito di Soci del Consorzio Agrario Provinciale, costituitosi sotto i più lieti auspici; compito importante e vitale per il migliore avvenire dell’Agricoltura; confidando pienamente negli aiuti e nei consigli delle Superiori Gerarchie, le quali traggono coraggio e forza dagli ordini sapienti dell’Uomo che la Divina Provvidenza ha dato all’Italia nostra, per il suo trionfo nel mondo intero» 124 .
Il 7 aprile 1934 («XII°»), verbale n. 7, «per acclamazione viene eletto a Presidente il Senatore S. E. Peglion prof. Vittorio…».
Alla guida del Consorzio felsineo s’insedia dunque una personalità di spicco a livello nazionale. Box 16. Un senatore del Regno alla guida del Consorzio Agrario Bolognese. Vittorio Peglion Vittorio Peglion nacque a Nizza il 29 luglio 1873. Dopo la laurea in Scienze agrarie all’università di Pisa, divenne assistente presso l’Istituto botanico di Pavia, per passare poi alla Scuola di viticoltura ed enologia di Avellino, dove si dedicò in particolare alla micologia. Dal 1901 al 1913 fu direttore della Cattedra ambulante di agricoltura di Ferrara. Nel 1913 fu nominato professore di Biologia agraria alla Scuola superiore agraria (poi facoltà di Agraria) di Bologna, della quale, nel 1923, assunse l’incarico di direttore. Lasciata la direzione nel 1924, a seguito della sua nomina a sottosegretario per l’Agricoltura, la riprese nel 1927, mantenendola fino al 1934, anno del pensionamento. Fu deputato al Parlamento italiano e senatore del Regno. Morì nel 1967. Dai verbali dei Cda spuntano curiosità, eventi piccoli e grandi, incoraggianti e funesti. 123. In maiuscolo nell’originale. 124. Consorzio Agrario Bolognese, Rendiconto 1932, cit., pp. 20-21.
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Nell’incontro del del 28 aprile 1934 (verbale n. 8), si legge: «… si rende indispensabile a proporre di assumere il sig. Alfonso Masetti Zannini, decimo figlio dell’ex-presidente, attualmente disoccupato. Il Consiglio delibera l’assunzione in servizio, in qualità di allievo contabile».
Nell’adunanza del 16 giugno 1934 («XII»), verbale n. 11, «Il direttore informa che presentandosi quest’anno molto difficile il mercato bozzoli per l’assenza quasi completa del commerciante, cosa questa che metteva in grave imbarazzo gli allevatori di bozzoli della provincia che non avrebbero saputo a chi affidare il prodotto, la Federazione degli Agricoltori, alla vigilia dell’apertura del mercato ha interessato il Consorzio affinché provveda d’urgenza all’ammasso dei bozzoli».
Di notevole rilievo storico è quanto prese atto il Cda, a proposito dell’avvio della politica nazionale degli ammassi, il 7 luglio 1935 (verbale n. 7): «(…) il Consorzio agrario provinciale di Bologna è stato autorizzato dal Centro ammassi compartimentale a funzionare quale Ente Ammassatore della provincia di Bologna agli effetti delle disposizioni inerenti agli ammassi grano per la vendita collettiva del raccolto 1935; che la legge 24 giugno 1935 n. 1049 che disciplina la costituzione ed il funzionamento degli ammassi agrari per la campagna 1935 ammette che chiunque (produttori, commercianti, industriali) possano conferire grano all’ammasso e che pertanto occorre abrogare l’art. 6 delle “norme generali sugli ammassi e le vendite collettive del grano” che limitava ai soli agricoltori la facoltà di ammassare».
Nel 1935, la sede del Consorzio Agrario Provinciale si trasferì in Strada Maggiore, una delle principali arterie del centro della città di Bologna, al civico 29. Nella seduta del 15 febbraio 1936 (XII°), verbale n. 2, «Il Direttore informa che i Magazzini generali raccordati del Monte di Bologna, potranno avere l’incarico di immagazzinare a Imola una
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discreta quantità di carbone = 1000/1500 tonnellate = e che all’uopo è stata fatta richiesta da parte dei magazzini stessi». «Il Direttore passa quindi a riferire che la Confederazione Fascista degli Agricoltori ha dato disposizioni alle Unioni Provinciali perché provvedano all’ammasso della lana indicando quali Enti ammassatori, i Consorzi agrari (…) Circa l’anticipo da dare ai pastori all’atto della conferma della merce (…) si potrebbe arrivare alle 10 lire, in quanto il prezzo di requisizione della lana, sarà basato sul prezzo del mercato estero, attualmente di lire 7 il Kg, più un premio non ancora precisato che darà il Governo». «Informa inoltre il Direttore che la Confederazione Fascista degli agricoltori, presi accordi con i Ministeri dell’Agricoltura e della Guerra e la Federazione dei Consorzi Agrari, ha dato disposizioni alle Unioni provinciali della regione per il rifornimento diretto allo Stabilimento Militare di Casaralta di n. 100 capi di bestiame bovino al giorno, e per il rifornimento di bestiame ai Commissariati Militari di presidio. I bovini dovrebbero essere forniti direttamente dagli agricoltori all’Autorità Militare 125 ed ai Consorzi verrebbe dato l’incarico di provvedere al pagamento del bestiame all’agricoltore all’atto che questi consegna la sua merce (…) I finanziamenti necessari verrebbero fatti dalla banca nazionale dell’Agricoltura, con la quale la Federazione dei Consorzi agrari sta prendendo accordi».
Nel Cda del 17 settembre 1937 («XV»), verbale n. 8, si riferiva «(sull’)ammasso granario che alla data del 15 settembre aveva raggiunto quintali 617mila, pagamenti per £. 75 milioni, con 15.700 conferimenti senza il minimo incidente e con piena soddisfazione di tutti».
In quell’occasione si stabiliva inoltre un contributo di 500 lire «a favore della gestione provvisoria della linea aerea Bologna-Roma», a fronte della richiesta di contributo di 1.000 lire dell’Unione Fascista degli Agricoltori. Nel Cda del 22 ottobre 1937 (verbale n. 9) si dispose il «premio di 125. Nel 1935, precisamente il 2 ottobre, l’Italia entrò in guerra in Africa Orientale, in Etiopia, chiamata allora Abissinia.
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nuzialità» per due impiegati della filiale di Imola «sulla base fissata per gli impiegati statali e parastatali». E il 21 gennaio 1938 (verbale n. 1), «Il Consiglio approva la spesa per n. 25 abbonamenti a “Il Popolo d’Italia” 126 secondo richiesta della Federazione dei Fasci di combattimento. Approva pure la spesa di £. 1000 per l’iscrizione a socio perpetuo della Gioventù Italiana del Littorio (…) come da richiesta dell’on. Presidente dell’Ente Naz. Fasc. della Cooperazione».
Nel bilancio del 31 dicembre 1937, alla voce “Partite di terzi”, figuravano gli ammassi collettivi di grano (lire 38.775.402.50), oltre che di bozzoli. Nel verbale numero 1 del 31 gennaio 1939 individuiamo il passaggio nel quale il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna non doveva far altro che prendere atto della statalizzazione dei consorzi agrari, trasformati, come abbiamo visto, da enti di diritto privato (cooperative), ad enti pubblici statali (enti morali), svuotandosi così della loro iniziale funzione cooperativa, ma, soprattutto, della loro autonomia decisionale. Nonostante il ritorno, previsto nel 1948, con il nuovo ordinamento dei consorzi agrari, alla condizione giuridica pre-fascista, l’influenza statalista e centralizzatrice del provvedimento mussoliniano, condizionerà – soprattutto attraverso l’azione della Federconsorzi e del suo intreccio con il sistema politico-partitico – la possibilità da parte dei consorzi agrari di tornare all’originaria autonomia (pur con vicende molto diversificate dei singoli enti consortili), fino alla caduta della Federconsorzi e alla fine della Prima Repubblica con gli eventi dell’inchiesta “Mani Pulite”. «S. E. Sen. Peglion dà lettura della lettera 27 genn. corrente n. 3203 del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste – Direzione Generale – per i Consorzi e per la tutela dei prodotti, e dell’unito Decreto mini126. Il Popolo d’Italia fu il giornale fondato da Benito Mussolini nel 1914 dopo le dimissioni dalla direzione dell’Avanti! in seguito al suo cambiamento di posizione, da neutralista ad interventista, circa il coinvolgimento dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Il giornale iniziò le proprie pubblicazioni il 15 novembre 1914. Aspramente polemico nei confronti del Partito Socialista, del quale Mussolini aveva fatto parte fino ad allora, «si schierò però nel campo del socialismo. La sua novità stava nell’esser favorevole alla guerra, e nel sostenere che la guerra avrebbe aperto la via alla rivoluzione sociale. Il partito non accettò questa posizione, ed espulse Mussolini». Cfr. D. M. Smith, Mussolini, cit. p. 49.
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steriale del 26 gennaio 1939 XVII°, che dichiara il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna trasformato in Ente Morale in applicazione del R. D. L. 5 settembre 1938 XVI° n. 1593 contenente la riforma della natura e dell’ordinamento dei Consorzi Agrari. Il Consiglio prende atto ed augura al nuovo ente, confortato dall’appoggio del Ministero dell’Agricoltura, le migliori fortune».
Nel verbale del Cda del 21 febbraio 1939 («XVIII») è registrata la «trasformazione del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna in Ente Morale»: «Il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna – Soc. An. Cooperativa, in base all’art. 1 del R. D. L. 5 settembre 1938 n. 1593 sulla riforma della natura e dell’ordinamento dei Consorzi Agrari; convertito in leg ge con modificazioni con la leg ge 2 febbraio 1939 XVII n. 159; con decreto del Ministero per l’Agricoltura e le Foreste in data 24 gennaio 1939 XVII pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno del 31 gennaio 1939 XVII, depositato presso la Cancelleria del Tribunale Civile di Bologna, inserito nel Foglio degli Annunzi legali della provincia di Bologna del 7 febbraio 1939 XVII n. 64, è stato dichiarato trasformato in Ente Morale 127 . Lo Statuto del nuovo Ente confor me al testo approvato dal Ministero per l’Agricoltura e per le Foreste con decreto in data 18 febbraio u. s. è stato pubblicato nel Foglio degli Annunzi legali della Provincia di Bologna n. 71 del 3 corr. mese di marzo 1939 XVII».
Sempre nell’anno 1939, al Consorzio agrario di Bologna giunse un «premio di fedeltà» dalla Federconsorzi, di 85mila lire. Nell’adunanza del 25 agosto 1939 (verbale n. 6), «Il Presidente prospetta la necessità di fornire la zona montana che fa capo a Castiglione dei Pepoli di un’Agenzia del Consorzio allo scopo di agevolare gli agricoltori della Valle del Setta, privi di comodità e distanti dal magazzino più vicino».
Successiva lettera del ministero dell’Agricoltura e delle Foreste del 23 settembre 1939 comunicò che: 127. Corsivo nostro.
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«questo ministero non si oppone acchè sia data esecuzione alla delibera concernente l’apertura di un’agenzia a Castiglione dei Pepoli».
L’11 novembre 1939 (verbale n. 8), il Cda propose l’apertura di agenzia a Granarolo dell’Emilia. E il 26 aprile 1940 (verbale n. 13), di un’altra a Ponte Samoggia, due piccoli Comuni dell’entroterra felsineo. Sempre nella seduta del 26 aprile 1940, all’«Oggetto ottavo», «Il Presidente ricorda che nel mag gio prossimo avrà luogo a Bologna la Fiera del Littoriale 128 alla quale il Consorzio ha sempre partecipato e chiede la autorizzazione alla partecipazione anche a questa XVI».
Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra contro Francia e Gran Bretagna (dopo che, il 1° settembre 1939, la Germania di Hitler aveva invaso la Polonia). La decisione fu ufficialmente comunicata da Mussolini in un discorso diffuso anche nelle piazze delle città italiane. «L’ora segnata dal destino batte sul cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente che in ogni tempo hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. L’Italia proletaria e fascista è per la terza volta in piedi forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola: categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano. Vincere».
In realtà il coinvolgimento dell’Italia nel conflitto si manifestò una tragedia d’immani proporzioni: persero la vita, si stima, 300mila italiani e il bilancio complessivo della guerra fu di 55 milioni di morti in Europa tra militari e civili. .A,
128. In generale, i Littoriali erano manifestazioni ad ispirazione sportiva, culturale, artistica, organizzati dalla segreteria nazionale del Partito Nazionale Fascista.
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7. Echi di guerra. Gli anni del Consorzio dal secondo conflitto mondiale alla Liberazione
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el corso degli anni del conflitto, anche la vita e le attività del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, proseguirono come sempre. Tuttavia, con l’acuirsi della drammaticità della situazione, quando l’Italia divenne teatro di scontri e violenze, inevitabilmente le conseguenze finirono per essere molto gravi anche per l’ente consortile nato nel 1901. Le scelte del regime fascista, oltre ad intaccare quella iniziale autonomia decisionale dell’organismo era stato costituito nel 1901, si rivelarono distruttive. Nell’incontro del Cda del 20 dicembre 1940 (verbale n. 20), all’«Oggetto quarto», «Il Presidente chiede l’autorizzazione di provvedere perché anche il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna figuri tra gli offerenti al “Parco natalizio per i soldati al fronte” e prega di fissare la somma. Il Consiglio unanime, accettando con entusiasmo la proposta del presidente lo autorizza a versare £. 3.000 e manifesta tutta la sua ammirazione per l’eroico Esercito Italiano che combatte su tutti i fronti».
Al termine della seduta, «ultimata la discussione dell’o.d.g. il Presidente dichiara sciolta l’adunanza e ordina il saluto al Duce. Sono le ore 17».
All’«oggetto terzo» del verbale numero 24 dell’11 giugno 1941 («XX°»), «il Presidente rende noto che oltre all’assegnazione mensile di olio d’oliva, il Consorzio ha potuto ottenere un’assegnazione mensile di riso; che la vendita delle marmellate ha portato ad un consumo insperato; che d’accordo con la Federazione Italiana Consorzi Agrari bisognerà dare sviluppo alla vendita dei vini; che c’è l’autorizzazione per la vendita del carburo di calcio per l’illuminazione e che, in una parola, si rende necessario istituire la Sezione Alimentari, affidandola a persona competente».
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Il ministero dell’Agricoltura e delle Foreste approvò la delibera consigliare del 24 luglio 1941, «relativa alla costruzione in Bologna del magazzino per mangimi concentrati». Nell’adunanza del Cda del 30 ottobre 1941 (verbale n. 27), «Il Presidente comunica che la società “La Forag gera” di Lodi 129 , costituita con l’appog gio della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari e con l’inter vento di 62 Consorzi agrari, in considerazione dello sviluppo rag giunto ha deliberato di aumentare il capitale sociale di lire un milione, portandolo (…) a £. 1.300.000; che il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna è socio con n. 20 azioni da £. 100 (£. 2000) e che è chiamato a sottoscrivere proporzionalmente alla sua quota». (…) «Viene data comunicazione di una richiesta dell’Unione Provinciale Fascista del lavoratori dell’Agricoltura tendente ad ottenere un contributo per i premi del VI° concorso del “Fedeli alla terra” che col prossimo 21 aprile verranno distribuiti in Bologna a 25 famiglie coloniche in possesso dei requisiti voluti dal regolamento della “Fondazione nazionale Arnaldo Mussolini dei Fedeli alla Terra”».
Dal 30 ottobre 1942, dopo essere stato per un certo periodo vicepresidente, Amedeo Boninsegna assunse la presidenza del Consorzio Agrario di Bologna. Il profitto netto dell’esercizio 1942, risultò essere di 422.950 lire. Il 20 aprile 1943, il presidente dell’ente consortile felsineo era Antonio Santi. Nella riunione del 20 aprile 1943 (verbale n. 37), si analizzò l’andamento delle vendite in tempo di guerra, ad esempio nel settore delle sementi: «Il servizio sementi ha venduto: seme di grano qli 62.561 seme di granone qli 6.355 seme di altri cereali qli 2089 semi da prato 2173 semi di patate 49.324 seme di cipolla dorata bolognese kg 13mila»
Emergeva che, 129. La società è antesignana dell’attuale Sis, Società italiana sementi, come si vedrà nella Parte terza.
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per il servizio mangimi ha raggiunto complessivamente qli 120.356, ed il servizio ortofrutticolo qli 148.220, che il servizio macchine ha venduto per £ 11.119.100,15 ed infine il servizio foraggi e paglia ha potuto soddisfare a tutte le esigenze delle FF. AA. 130 , delle aziende deficitarie e delle industrie della carta».
L’adunanza del Cda del 21 maggio 1943 («XXI») fu l’ultima nella quale, alla conclusione dei lavori, «Si ordina un saluto al Duce».
Come si riscontra dal verbale numero 40 del 12 maggio 1944 («XXII»), l’adunanza del Consorzio si svolse nella «sede di sfollamento di via San Mamolo 26». Il Presidente era ancora Antonio Santi e il suo vice Amedeo Boninsegna. All’«oggetto n. 1», «Il Presidente comunica che le risultanze del bilancio 1943, chiusosi il 31 dicembre scorso, sono in relazione all’andamento venutosi a creare con gli avvenimenti del 25 luglio 131 e dell’8 settembre 132 ».
In questo frangente chi lavorava doveva certificare la propria occu130. Forze Armate. 131. Nella seduta segreta del Gran Consiglio del Fascismo, tenutasi dal pomeriggio di sabato 24, fino alle prime ore del 25 luglio 1943, attraverso l’approvazione di uno dei punti dell’Ordine del giorno, quello cruciale, passato alla storia come “Ordine Grandi” (Dino Grandi, che fu ricevuto in udienza nel giugno 1943, da Vittorio Emanuele III), Benito Mussolini fu sfiduciato. Nel pomeriggio di domenica 25 luglio, il Duce si recò dal Re, che gli comunicò la decisione presa, di sostituirlo con il militare Pietro Badoglio. All’uscita da Villa Savoia, il monarca fece arrestare Mussolini. La notizia fu data dalla radio la sera, alle 22 e 45, preceduta dal classico vocalizzo dell’“uccellino”: «Attenzione attenzione, sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato presentate da Sua Eccellenza il cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato Capo del Governo, Primo ministro e Segretario di Stato Sua Eccellenza il cavaliere maresciallo d’Italia Pietro Badoglio». 132. Alle 19 e 42 dell’8 settembre 1943, il maresciallo Badoglio, dai microfoni dell’Eiar, comunicava al popolo italiano l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile, firmato con gli americani il 3 settembre: «il Governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle Forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse reagiranno però ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». Dopo il proclama, che rompeva con i tedeschi, che avrebbero conseguentemente occupato la penisola, Badoglio, Vittorio Emanuele III e il figlio Umberto, fuggirono a Pescara e poi verso Brindisi, e l’esercito italiano, privo di ordini, finì allo sbando.
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pazione in un luogo di lavoro ritenuto congruo dai tedeschi occupanti, per non incorrere nel rischio di essere spedito in Germania. Anche i dipendenti del Consorzio agrario di Bologna furono costretti a questo onere, come evidenziato dal testo di una dichiarazione (“Bescheinigung”) del Militärcommandentur 1012 – Verwshungsgruppe – Abteilung E. und L. – Aussen Stelle Bologna, il Comando militare di stanza a Bologna, in via delle Rose 18: «Es wird bescheinigt, dass Herr (nome del dipendente, ndr.) beim Consorzio Agrario Provinciale di Bologna beschaeftigt ist. Diese Dienststelle hat zur Zeit den Auftrag ueber 300000 Doppelzenter Getreide zu verlagern und die neue Ernte zu erfassen. Aus diesel Grunde ist von einer Einziehung zur Arbeitsleistung ins Reich oder zum sonstingen Arbeitseinsatz, sei es auch nur kurzfristig, Abstand zu nehmen» 133 .
In un’Italia spaccata in due, con Roma lungamente in mano ai tedeschi tallonati dagli anglo-americani da Sud, al nord, i fascisti, con l’appoggio della Germania, costituirono la Repubblica Sociale Italiana (Rsi), attraverso il Congresso di Verona. Il 14 novembre 1943, con la Carta di Verona, i cui punti furono indicati nella «prima assemblea nazionale del Partito Fascista Repubblicano», presso Castelvecchio, nella città scaligera, iniziò l’esistenza della Rsi (e i consorzi agrari – almeno quelli territorialmente afferenti, come quello di Bologna – finirono sotto il suo controllo134). Il 13 settembre 1943, l’agenzia di stampa ufficiale tedesca, Deutsches Nachrichten Bureau, riferiva la notizia della liberazione di Mussolini, in arresto sul Gran Sasso, avvenuta con un colpo di mano aereo dai nazisti: 133. «Si dichiara che il sig. (nome dell’interessato) è occupato presso il Consorzio Agrario Provinciale. Questo Ufficio ha l’incarico di provvedere per 300000 qli di frumento fino la nuova campagna di raccolta. Per questa ragione si deve rinunciare di requisire il personale per occuparlo in lavori in Germania, ed in genere per qualsiasi lavoro anche se di breve durata». Firmato «il capo della sezione». Il reperto, che riproduciamo fotograficamente in questo libro, ci è stato gentilmente fornito dal sig. Carlo Pizzirani, all’epoca dipendente dell’ente consortile bolognese. 134. Da un libro dei verbali dell’archivio del Consorzio Agrario di Bologna spunta un foglio di cartavelina del ministero dell’Agricoltura e delle Foreste (di cui in questo libro riportiamo la riproduzione dell’immagine) con sovrastampato il timbro viola del Ministero della Produzione agricola e forestale della Repubblica Sociale Italiana, che dà atto di aver visto un documento del Cda. Per conoscenza, la ricevuta è inviata dal ministero repubblichino, anche alla Federazione italiana dei consorzi agrari, la cui sede, all’epoca, era in piazza Fontana numero 6, a Milano. Un’altra curiosità è che sulle lettere di vidimazione del Ministero alle adunanze del Cda nel periodo fascista, appare sempre il timbro blu in caratteri maiuscoli con la scritta “Vincere”.
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«Dal Quartier Generale del Führer, 12 settembre. Reparti di paracadutisti e truppe di sicurezza germanici, unitamente ad alcuni elementi delle Ss, hanno oggi condotto a termine un’operazione per liberare il Duce che era tenuto prigioniero della cricca di traditori. L’impresa è riuscita. Il Duce si trova in libertà. In tal modo è stata sventata la consegna agli anglo-americani da parte del governo di Badoglio» 135 .
Il 9 settembre 1944 (verbale n. 41) si faceva riferimento allo scioglimento del Cda del Consorzio stabilito con Decreto Ministeriale del 3 luglio 1944136 e si riportava che, «(…) con decreto in data 28 agosto 1944, il Capo della Provincia nominava Commissario per la gestione straordinaria del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna il dr. Cesare Masetti Zannini in sostituzione del Presidente avv. Antonio Santi dimissionario».
Tuttavia il D. M. del 3 luglio 1944 recitava: «Con decreto del ministro dell’Agricoltura e delle Foreste in data 3 luglio 1944-XXII è stato sciolto il Consiglio di Amministrazione del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna e nominato per la gestione straordinaria dell’Ente il geometra Giuseppe Caliceti» 137 .
Chiarezza fu fatta nel Cda del 4 novembre 1944, un sabato, tenutosi in Strada Maggiore 29, a Bologna (verbale n. 44), alla presenza del «Vicecommissario» Caponi dr. Unico (il direttore è Ferruccio Ragazzoni, un nome da tener presente nei successivi sviluppi della storia del Consorzio Agrario di Bologna). «Il dr. Caponi assume la presidenza e dopo aver dato comunicazione del decreto del Ministro dell’Agricoltura e Foreste in data 29 settembre 1944 – pervenuto in data 2 ottobre – con il quale viene ratificato il provvedimento del Capo della Provincia relativo alla nomina del Com135. S. Bertoldi, Salò. Vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, Rizzoli, Milano, ediz. 1997, p. 17. 136. Alla stessa data del D.M, fu emanato anche un Decreto legislativo del Duce (3 luglio 1944, n. 392), che ordinava la «requisizione delle trebbie e la militarizzazione del personale di macchina», «per le esigenze della trebbiatura dei cereali prodotti nella campagna agraria 1943-44» (Gazzetta Ufficiale d’Italia, 6 luglio 1944, anno 85°, n. 156). 137. Gazzetta Ufficiale d’Italia, giovedì 28 luglio 1944, anno 85°, n. 175, p. 1148.
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missario del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna nella persona del dott. Cesare Masetti Zannini in sostituzione del geom. Giuseppe Caliceti, e la sua nomina a Vice-Commissario, dice di aver ritenuto indispensabile questo primo incontro con i rappresentanti del Collegio Sindacale allo scopo di esaminare la situazione dell’Ente venutasi a creare con l’incalzare degli avvenimenti bellici, e prega il direttore di voler riferire in merito. Questi informa che con decreto in data 3 luglio 1944 era stato nominato Commissario il geom. Giuseppe Caliceti in sostituzione del presidente avv. Antonio Santi e del Consiglio di Amministrazione disciolto in forza del decreto stesso; che il geom. Caliceti, partitosi da Bologna in data antecedente, non aveva potuto assumere la carica, e che con decreto del capo della Provincia in data 28 agosto successivo veniva nominato in sua vece, Commissario per la gestione straordinaria del Consorzio stesso, il dr. Cesare Masetti Zannini, Commissario Confederale dell’unione degli agricoltori; che, infine, avendo dovuto il dott. Cesare Masetti Zannini raggiungere la Confederazione degli agricoltori lasciò la carica, tenuta per brevissimo tempo, di maniera che dal luglio fino all’arrivo dell’ultimo decreto, (…) l’amministrazione dell’Ente gravò sulla persona del Direttore».
Sciolto questo nodo, il Cda passò, quel giorno, ad esaminare la situazione in una contingenza gravissima per la storia italiana, con pesanti riflessi anche in Emilia Romagna, annessa alla Repubblica Sociale Italiana. «(…) mentre l’andamento del 1° semestre, malgrado le crescenti difficoltà, specialmente per quanto riguarda i trasporti, si può considerare pressoché normale, il 2° semestre invece, per l’incalzare degli avvenimenti, si delineò subito più difficile e preoccupante. Prendendo in esame le due principali funzioni del Consorzio, quella commerciale e la contabile (…) per quanto riguarda il lato commerciale, si sono avute nel 1° semestre assegnazioni di merce in relazione alle scarse disponibilità, e malgrado le grandi difficoltà che si incontravano nei trasporti si è potuto, affrontando sacrifici di ogni genere, rifornire i magazzini. Le distribuzioni agli agricoltori, che come si sa venivano fatte dietro buoni rilasciati dall’Unione degli Agricoltori e dalla Sezione della Zootecnia, procedevano lentamente oltre che per le difficoltà dei trasporti che gli agricoltori stessi incontravano, anche e principalmente per le esigue quantità loro assegnate che non invogliavano ad affrontare disagi e pericolo dovuti ai bombardamenti e mitragliamenti. Perciò in considerazione che dette merci potevano essere soggette a distruzione delle offese aeree, venivano date disposizioni – circolare
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18 luglio – perché tutti i magazzini provvedessero alla distribuzione agli agricoltori che ne avessero fatta richiesta, anche se sprovvisti di buoni. Il provvedimento servì ad alleggerire non poco le Agenzie, e ben è stato fatto, in quanto intensificandosi sempre più le incursioni aeree molti magazzini vennero colpiti o danneggiati. Informa il Direttore che per il ripetersi degli allarmi, delle incursioni aeree e delle azioni di rastrellamento di persone, si è determinata una notevole diserzione del personale dipendente, e che in conseguenza la contabilità del Consorzio subì fino dai primordi dell’esercizio, un arretrato che per l’aggravarsi della situazione non è stato possibile eliminare. Recentemente poi essendosi imposto il provvedimento dell’occultazione delle macchine contabili, si sono arrestate in pieno le registrazioni della contabilità, tanto che non sarà possibile mettere al corrente i registri per la fine dell’esercizio, né presentare a tempo debito i registri stessi per le vidimazioni annuali. Fa notare che la situazione sopra descritta non è gran ché diversa per i vari servizi e gestioni di ammasso che hanno contabilità distinte. L’esaurimento della maggior parte delle consistenze delle merci nei magazzini per effetto delle vendite, delle requisizioni da parte dei Comandi Germanici, dei saccheggi perpetrati da truppe isolate e da civili in contrapposto alla mancanza di nuovi rifornimenti, nonché ai gravi danni causati dalle incursioni aeree ai magazzini di Bologna, Castenaso, Imola, Medicina e di molte altre agenzie, hanno posto il personale in istato di forzata attività. Di fronte a questa dolorosa situazione sorge il problema di ridurre ulteriormente il personale impiegatizio e di fatica. Fa presente che le spese di personale fino dal decorso mese di agosto gravano mensilmente sul conto economico del Consorzio – escluse le gestioni ammassatorie – con le seguenti cifre globali: £. 170.000 per il personale impiegatizio e £. 28.000 per quello salariato. Fa notare che l’arresto dell’attività divenuto totale in questi ultimi giorni non consente di continuare a sostenere un onere così rilevante dal momento che non si possono realizzare proventi. (…) Circa i danni di guerra informa che fintantoché è stato possibile sono stati di volta in volta rilevati e denunziati e che ora, purtroppo, non passa giorno senza che giungano all’orecchio notizie di stabili distrutti, di saccheggi effettuati, di arbitrarie acquisizioni, di furti».
Nel 1945 a Bologna, sotto la Repubblica Sociale Italiana, la situazione era sempre più grave. Assassini, esecuzioni sommarie, torture dei fascisti sui partigiani, regolamenti di conti reciproci erano all’ordine del giorno in una città in cui si fronteggiavano repubblichini e nazisti, da una parte,
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e i partigiani dei Gap (Gruppi d’azione patriottica), dall’altra. Alla guerra civile in corso, alle atrocità dei nazisti, che segneranno una delle pagine più nere del Novecento, si aggiungevano i bombardamenti aerei sulla città, stabilita come zona di combattimento e non come “città aperta” da un “feldmaresciallo” di Hitler, Kesserling. Quella che segue è la ricostruzione di uno spaccato delle vicende del capoluogo emiliano in quei terribili anni. Box 17. Bologna dal 1943 al 1945. Storie di guerra civile « (…) L’inverno del ’43-’44 fu durissimo. Nevicò ininterrottamente da Natale a marzo. La città era ghiacciata, le strade coperte di neve e mai spazzate per mancanza di uomini. Il riscaldamento saltuario. Per ordine delle autorità, i termosifoni cessarono di funzionare il 15 marzo, quando la temperatura era ancora sotto zero. Non si trovava carbone. Chi poteva, si aiutava con stufe “Becchi” a legna o con piccole stufette elettriche. Ma l’energia era razionata e bisognava non farsi sorprendere. Ci si scaldava con lo stesso batticuore con cui si ascoltava radio Londra. Mancavano le stoffe per gli abiti. Dovevano venire dalle fabbriche del Piemonte e non venivano. La gente portava vecchi vestiti lisi. Sparite anche le scarpe di cuoio: chi poteva, si faceva applicare le famose suole di gomma “vibram”, dette carri armati. Costavano dalle 1.000 alle 2.000 lire al paio, cioè carissime; ma almeno non lasciavano passare l’acqua. Però procurarsi le “vibram” era difficile, come del resto qualsiasi articolo di gomma. I copertoni di bicicletta, per esempio, divennero introvabili e al mercato nero di Saragozza si pagavano cifre altissime. Più tardi, in seguito agli attentati dei Gap che si servivano delle biciclette per compierli, i tedeschi e i fascisti bloccarono la consegna di pneumatici. Non riuscendovi, proibirono addirittura la circolazione delle biciclette. Chi veniva sorpreso a pedalare rischiava grossi guai: era subito sospettato di essere un partigiano. Nonostante le restrizioni, i fascisti bolognesi erano pur sempre bolognesi e spesso si riunivano nei ristoranti più noti per cene o, come dicevano, per “ranci camerateschi” (cioè per colossali mangiate). I giovani dei Gap, allora, cominciarono a lanciare bombe contro
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questi locali. Colpirono il “Diana” e il “Pappagallo”, dove morirono anche alcuni tedeschi; sapevano di trovare più fascisti a tavola che in federazione e che la digestione li rendeva lenti di riflessi, torpidi e inclini a cercare nelle celebri case di tolleranza locale i piaceri del dopocena. Il federale di Bologna si chiamava Eugenio Facchini. Due ciclisti lo uccisero la mattina del 27 gennaio 1944, in piena via Zamboni. Il cardinale Giovanni Battista Nasali Rocca, dal pulpito, deplorò l’azione dei partigiani e fu lodato dal “Resto del Carlino”. Nasali Rocca era amico del colonnello delle SS Eugenio Dollmann e lo ospitò frequentemente al palazzo arcivescovile. Nei giorni precedenti la liberazione, accettò anche di custodirgli alcune casse piene di oggetti del suo appartamento romano (Dollmann viveva a Roma dal 1929), per restituirgliele in tempi migliori. Ma per il colonnello quei tempi non tornarono e, come raccontò a qualcuno, le casse non riuscì a riaverle, erano andate a finire chissà dove. Per rappresaglia alla morte di Facchini, i fascisti fucilarono nove innocenti, gente in carcere solo perché sospettata o accusata di aiutare prigionieri alleati a nascondersi, o indiziata di far parte di bande sulle montagne. Venivano chiamati “sbandati”, o “disertori”, o “ribelli”, e non lo erano. Però un sospetto bastava per prelevarli e metterli a morte, al solo scopo di terrorizzare. Cominciò una serie crudele di vendette. Un mese dopo Facchini, il 24 febbraio “gapisti” in bicicletta spararono contro il professor Pericle Ducati in viale Albertazzi e lo lasciarono a terra gravemente ferito, ma vivo. Pericle Ducati era un archeologo di chiara fama, membro dell’autorevole Accademia dei Lincei, titolare della cattedra di archeologia di Bologna, la sua città. Aveva aderito al fascismo repubblicano con altri docenti locali, tra cui Goffredo Coppola che diventerà rettore dell’università. Le sue ferite si aggravarono e Ducati morì a Cortina, sette mesi più tardi. (…) Il podestà Mario Agnoli ogni tanto andava al teatro Comunale, per dare alla sua carica quel tocco di mondanità che gli pareva necessario, nonostante i tempi. (…) Sia la lirica sia la prosa ebbero un buon periodo come in tutto il resto della Repubblica Sociale. Venne
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anche il pianista jazz Luciano Sangiorgi e al teatro “Medica” si ebbe una tournée di cantanti dell’Eiar, con il Quartetto Cetra, la bolognese Norma Bruni, Aldo Donà e qualche altro. Dirigeva il maestro Gorni Kramer, che allora – per disposizioni governative contro i nomi stranieri – si chiamava Crameri. Il tennista Kucel era diventato Cucelli, il calciatore Loik, Locchi, rugby si scriveva rugbi e soltanto il gerarca Pagliai potè continuare a chiamarsi alla tedesca Franz. I nomi di persona non furono i soli ad essere sottoposti a operazioni filologiche ai tempi di Salò. A Bologna, piazza di Porta San Vitale diventò piazza Muti e fu precisato che i giardini Margherita si chiamavano così senza riferimento alla regina. Con sdegnosa premura, il paesino emiliano di Mordano si ribattezzò Moreto, per cancellare la vergogna di aver dato i natali a Dino Grandi, considerato dai fascisti il traditore numero uno. (…) Il 27 dicembre 1943, per rappresaglia all’uccisione di Vincenzo Onfiani, segretario del comune di Bagnolo in Piano, a Reggio Emilia furono fucilati all’alba i sette fratelli Cervi. Erano rinchiusi nel carcere di quella città con il padre Alcide, accusati di aver dato aiuto a prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento. I Cervi erano antifascisti per tradizione familiare. Si erano battuti contro la Guardia Repubblicana quando aveva circondato la loro fattoria di Praticello di Campegine per catturarli con i militari inglesi e americani nascosti da loro. Erano gente forte e onesta (…)138». Anche nel Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, in questo periodo di transizione violenta, avvenne un fatto di sangue. Ferruccio Ragazzoni, direttore dell’ente dal 1925, fu ucciso mentre era seduto alla sua scrivania di lavoro in Strada Maggiore 29, il 29 marzo 1945. Il verbale numero 53 del Cda del 30 marzo riporta il fatto: «Alle ore 9 del giorno 29 marzo 1945 è stata fulmineamente stroncata la preziosa esistenza del compianto e benemerito Direttore del Consorzio Agrario Provinciale, dott. Ferruccio Ragazzoni, per opera di due individui sconosciuti che, presentatisi a lui mentre svolgeva 138. S. Bertoldi, Salò. Vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, cit., pp. 226-231.
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serenamente al suo tavolo di lavoro le pratiche inerenti al suo ufficio, lo hanno proditoriamente colpito con armi da fuoco. Con cuore profondamente commosso, nel deplorare l’esecrando, inconcepibile crimine, rievoco gli alti meriti dello scomparso, la sua illuminata attività svolta con amore e fede costante durante venti anni di assiduo lavoro ed elevo alla sua memoria un tributo di accorato rimpianto. Dispongo: a) che siano presentate alla famiglia espressioni di profondo, sincero cordoglio e che le esequie siano effettuate a spese del Consorzio Agrario; b) delego il Vice-Direttore anziano, rag. Aldo Ricci (…) ad assumere “in via provvisoria” la reggenza della Direzione del Consorzio Agrario fino a che la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari a cui per l’art. 23 dello Statuto è devoluta la nomina del Direttore, non avrà provveduto in merito».
Box 18. Investigazione storica. 29 marzo 1945. Omicidio al Consorzio agrario. Ucciso a colpi di pistola il direttore Ferruccio Ragazzoni Alla Certosa. È domenica pomeriggio. Trenta settembre 2012. L’elicottero azzurro della Polizia sorvola il cimitero monumentale della Certosa di Bologna, la città dei morti del capoluogo emiliano, producendo un rombo che si disperde verso il colle della Guardia, dove, silenzioso e benedicente, svetta il santuario della Madonna di San Luca, simbolo religioso e classico punto di orientamento per bolognesi e forestieri. Le origini di questo luogo risalgono al lontano 1334 quando, per volontà del giureconsulto Giovanni D’Andrea, fu posata la prima pietra della chiesa monastica di San Girolamo di Casara, in onore di papa Giovanni XXII, con annesso monastero, arricchiti, nei secoli successivi, dalle opere dei maggiori artisti felsinei, come Bartolomeo Cesi, Agostino e Ludovico Carracci, Alessandro Tiarini e Ubaldo Landolfi139. In seguito alle disposizioni napoleoniche, nel 1801, divenne sito di sepoltura comunale. Scultori, architetti, decoratori e pittori vi si cimentarono, spesso su commissione da parte di famiglie nobili e borghesi, tanto che la Certosa divenne un 139 A cura di G. Pesci, La Certosa di Bologna. Immortalità della memoria, Editrice Compositori, Bologna, 1998, con ricca serie di immagini. In questo libro v. R. Faben, Socio-antropologia della morte e della sepoltura. L’uomo, la società, la morte, pp. 90-108.
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“museo all’aperto”, meta di grandi viaggiatori come Chateaubriand, Byron, Dickens e Stendhal. Qui sono sepolti molti personaggi noti, dal poeta Giosuè Carducci al romanziere Riccardo Bacchelli, l’autore del Mulino del Po, dal pilota ed imprenditore Alfieri Maserati, fondatore dell’omonima casa automobilistica, a Marco Minghetti, politico della destra storica ottocentesca, da Giorgio Morandi, l’enigmatico pittore delle nature morte a Mariele Ventre, fondatrice del “Piccolo coro dell’Antoniano di Bologna”, resa celebre dallo Zecchino d’oro, fino al cantautore Lucio Dalla, l’autore di Quattro marzo 1943 e di Se io fossi un angelo. Una donna con i capelli bianchi, reduce da una visita alla tomba di Dalla, non facile da individuare, perché senza iscrizioni, con lastra interamente bianca, chiede la via per l’uscita, forse pensando alle parole di Caruso, uno dei maggiori successi del popolare artista: “Ah sì, è la vita che finisce / ma lui non ci pensò poi tanto, / anzi si sentiva felice / e ricominciò il suo canto”. Essendo le dimensioni di questo cimitero sterminate (che lo rendono fra i più grandi d’Italia, accanto al Monumentale di Milano, allo Staglieno di Genova, al Verano di Roma) e ospitando, secondo le stime della multiservizi Hera, almeno mezzo milione di salme, l’ubicazione di una tomba qualunque sarebbe pressoché impossibile da determinare, senza l’aiuto del computer della portineria. Noi stiamo cercando quella del dottor Ferruccio Ragazzoni, nato a Concadirame, piccolo paese della provincia di Rovigo, il 24 luglio 1885, cognome originario, come attestato dal certificato di nascita, Ragazzon, direttore per 19 anni, dal febbraio 1926 al marzo 1945, del Consorzio agrario bolognese, giustiziato dai partigiani alla scrivania del suo ufficio in via Maggiore 29, alla fine di marzo del 1945. I campi di sepoltura si susseguono come in un labirinto e sono circondati dal viluppo di strutture che contengono i loculi, dalle quali si dirama anche l’intrico delle corsie sotterranee. Questi luoghi sono spesso deserti o quasi, ed è impressionante, essendo domenica e giocandosi un incontro di calcio allo stadio Dall’Ara, attiguo alla cittadella funeraria, il boato della folla stipata negli spalti che esplode ad una segnatura della squadra locale (si sta giocando Bologna-Catania,
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campionato di serie A, risultato finale 4 a 0), enfatizzando l’assurdo contrasto tra la folla vociante dei vivi e quella silente dei morti. Il loculo di Ragazzoni si trova al campo 1962, in un sotterraneo, corsia interna ovest, talmente lunga che si stenta a scorgerne la fine, al numero 97. È nella fila più alta, accanto al soffitto. Non c’è una fotografia, solo una luce votiva con riflessi arancio che lumeggia su una piccola croce in metallo, due vasetti in ottone con felci e fiori viola sintetici, le generalità, «dott. Ferruccio Ragazzoni», data di nascita e di morte. La vita. All’epoca della drammatica vicenda che stava per perpetrarsi, Ferruccio Ragazzoni aveva l’età di 69 anni, era sposato con la signora Enrica Candussio, nata a Codroipo, in Friuli, il 7 dicembre 1885 (coetanea, dunque, del marito), con 3 figli maschi (Enzo, Giandomenico e Luciano), e abitava in un appartamento in affitto di uno stabile in viale Carducci 22, uno dei viali di circonvallazione della città di Bologna, non lontano dalla casa-museo del celebre poeta, in direzione collina. Ragazzoni, dopo la laurea ed un’esperienza a Teramo, si era stabilizzato alla direzione del Consorzio agrario bolognese in epoca fascista, periodo nel quale le cariche amministrative degli enti consortili erano soggette al ferreo controllo da parte dell’establishment, facendosi notare anche per una pubblicazione di carattere squisitamente tecnico dalla quale emerge la sua ragguardevole preparazione scientifica e professionale (“I concimi nel commercio e nella pratica agricola”), edita dalla Federazione italiana dei consorzi agrari. Dalle rare fotografie e dalle testimonianze, raccolte dopo non semplici ricerche, emerge la figura di un uomo di corporatura robusta, appassionato del proprio lavoro (dalla documentazione dei suoi rapporti con il Comune di Bologna come direttore del Consorzio figura il suo coinvolgimento in numerose iniziative, come la richiesta di esclusiva per la fornitura del latte – 1940 – l’interessamento per soddisfare il fabbisogno di grano per i non abbienti, la concessione di contributi per la festa delle uova), che divideva la sua esistenza fra il suo tavolo di lavoro, la famiglia – un’immagine lo ritrae, con moglie e
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figli, sotto l’ombrellone, in villeggiatura al mare in estate – e gli amici che incontrava al Caffè San Pietro, all’angolo di via Altabella con via Indipendenza, a due passi dal centro di Bologna, dove oggi ha sede una banca. Era insomma un’esistenza medio borghese la sua, senza eccessiva ostentazione – non volle mai avere una casa in proprietà – e con l’imperativo di far ottenere una laurea ai figli, a quei tempi garanzia di sicurezza sociale e di carriera140. Il fatto di sangue. Il 29 marzo 1945, a Bologna c’era un tempo tendente al soleggiato. Ragazzoni, che solitamente faceva a piedi il breve tragitto da casa sua alla sede del Consorzio, secondo un’attendibile ricostruzione, in quel periodo era sfollato con la propria famiglia a Pontecchio Marconi, nella prima collina bolognese, e forse giunse al lavoro accompagnato con la vettura di servizio del consorzio agrario, una Aprilia. Alle 9 e 30 del mattino era già intento al lavoro nel proprio ufficio, assistito dalla segretaria, Rina Nardoni, nata nel 1904 ad Udine, quando l’usciere del consorzio, entrato nella stanza, annunciò la richiesta di conferimento da parte di due persone probabilmente sconosciute. Disattendendo ai consigli della moglie, che in quel periodo convulso di guerra civile aveva chiesto al marito se era il caso di continuare a recarsi al lavoro, ripetendogli che le precauzioni non erano mai troppe, Ragazzoni diede il proprio assenso all’ingresso nella stanza dei due richiedenti, che indossavano impermeabili. Essi, una volta entrati, a volto scoperto, chiusero a chiave la porta dell’ufficio, e chiesero al direttore del consorzio di esibire un documento d’identità. Nell’atto di estrarre il portafogli, fu investito da una scarica di proiettili, partiti dalle rivoltelle dei due, che lo uccisero sul colpo, sotto lo sguardo pietrificato della segretaria. Come risulta da una dichiarazione giurata resa il 21 maggio 1975, dalla stessa Rina Nardoni (che anni più tardi lasciò Bolo140. Per l’aiuto alla ricostruzione della vicenda e della vita a Bologna nel 1945, insieme alla gentile messa a disposizione di documenti e fotografie, ringraziamo la professoressa Adele Lollini, di origini bolognesi ma residente a Pescia (Pistoia), vedova di Enzo Ragazzoni, di professione medico, uno dei figli di Ferruccio.
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gna ritirandosi nella propria terra di provenienza), presso lo studio del notaio Angelo Occhialini di Udine141, gli esecutori dell’omicidio, nell’accingersi a lasciare concitatamente la stanza, gridarono: «La settima G.a.p.142 non perdona!» e quindi, tenendo gli impiegati sotto la minaccia delle armi, uscirono e si confusero tra la gente che affollava la via Maggiore. Giunsero poi gli agenti del Commissariato, che eseguirono i rilievi e presero informazioni sommarie (ma presso gli archivi della Criminalpol non è stato possibile reperirne la documentazione), e i sanitari, che accertarono la morte. Non è chiaro se sia stata disposta un’autopsia: le fonti rimaste indicano la presenza di un certificato necroscopico. Molto probabilmente, al fatto non seguì un’inchiesta giudiziaria né, tanto meno, fu celebrato un processo, dato anche che gli autori dell’assassinio non furono mai identificati. Le ricerche da noi condotte presso l’Archivio di Stato di Bologna non hanno dato alcun esito e nemmeno quelle di uno dei figli, Enzo, all’epoca radiologo all’ospedale di Pescia (Pistoia), fatte tra il 1975 e il 1977, volte ad ottenere il riconoscimento della qualifica di orfano di guerra, ottennero risultati apprezzabili. Il “Resto del Carlino”, nell’edizione di giovedì-venerdì 29-30 marzo 1945143 diede la notizia, a due colonne, in “Cronaca di Bologna”, attribuendo l’omicidio ai partigiani: “I crimini dei fuori legge. Il direttore del Consorzio agrario vilmente assassinato nel suo ufficio. Ragazza uccisa a pugnalate”. Come risulta dal Registro di ingresso alla Certosa, la salma di «Ragazzoni Ferruccio, paternità Domenico, anni 59, direttore del Consorzio agrario, causa di morte “ferite da arma da fuoco in parti vitali”, luogo in cui è avvenuto il decesso “via Maggiore 29”, 700 lire di tasse pagate per i trasporti, nulla osta della Procura del 30 marzo 1945», fu tumulata al cimitero comunale
141. Repertorio n. 39682. 142. Gruppo di azione patriottica. 143. Anno 61, numero 76. Titolo prima pagina: «La grande battaglia di movimento all’ovest. L’alta valle del Sieg raggiunta da forze mobili americane provenienti dal Westerwald. Punte corazzate nemiche contenute presso Dillenburg e infiltrazioni bloccate ad est di Gemünden. Gravi combattimenti a Francoforte, Hanau, Aschaffenburg e fra Wienheim e Mannheim».
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probabilmente il 1° aprile 1945144. Nello stesso giorno dell’omicidio di Ragazzoni, al terzo piano di uno stabile al numero 2 di via dello Scalo, vicino a Porta Lame, sempre a Bologna, veniva assassinata una ragazza di 23 anni, Maria Neve Tassoni, che viveva con gli zii, ripetutamente accoltellata al petto e giunta esanime all’ospedale Sant’Orsola dopo in trasporto in autolettiga. Il “Carlino” attribuì anche questo omicidio sempre ai “senza patria”. Sta di fatto che nel “Registro giornaliero dei decessi denunziati per la tumulazione nel cimitero della Certosa”, le informazioni burocratiche due salme, quelle di Ragazzoni e della Tassoni, appaiono l’una di seguito all’altra. Nell’edizione successiva del giornale bolognese, palesemente schierato con la Repubblica sociale italiana145, il fatto fu ripreso in un altro pezzo ad una colonna, con evidente errore nel titolo (“Le vittime dell’odio di parte. Carlo Ragazzoni, esempio di probità”146). «La notizia dell’assassinio – per mano di elementi antinazionali – (…) ha destato in città e provincia la più viva emozione e profondo rimpianto. Nel 1925, proveniente da Teramo, assunse la direzione del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, al quale dedicò tutte le sue migliori energie, amministrandolo con criteri quali si addicono ad un uomo onesto e probo del suo stampo. Studioso, fu discepolo e amico di Vittorio Peglion. (…) Ragazzoni, competentissimo in materia di agricoltura, diede il contributo della sua intelligenza non solo nel campo provinciale, ma – chiamato alla fiducia dei suoi superiori – anche in quello nazionale: infatti fu consigliere della Federazione Nazionale
144. Registro di ingresso alla Certosa, numero progressivo 2217 del 30 marzo 1945, Atto registro morti numero 1125, Archivio comunale non anagrafico di Bologna, via Tartini. Permesso di seppellimento rif. Atto di morte 1125 (634). 145. Venerdì-sabato 30-31 marzo 1945-XXIII, Anno 41, numero 77, “ultima edizione». Il titolo di apertura in prima pagina di questa edizione era il seguente: «Il bacino della Ruhr, la vallata del Lahn e la piana dell’Assia zone nevralgiche della gigantesca battaglia di movimento sul fronte occidentale». Occhiello: «L’ampliamento della testa di ponte di Niederrhein pagato dal nemico con fiumi di sangue e montagne di materiali – Solido sbarramento tedesco tra il Sieg e il Westerwald – La zona di Glessen-Marburg e quella di Grünberg raggiunte da corazzate (…) Gravi combattimenti nell’Odenwald e ad oriente di Mannheim». 146. Carlo anziché Ferruccio.
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dei Consorzi Agrari e Sindaco della Federazione stessa. (…) L’attività di (…) Ragazzoni, ebbe sviluppi particolar mente vasti e meritorii nel campo dell’approvvigionamento della popolazione civile, settore nel quale, collaborando con le superiori autorità, rag giunse risultati assai proficui, nonostante le eccezionali difficoltà della situazione. Il compianto funzionario, che fu esempio luminoso di dirittura morale, lascia la moglie e tre figli, dei quali uno disperso in Russia. Il Capo della Provincia ha espresso ai famigliari il suo più profondo cordoglio».
Nella stessa pagina, appare anche il necrologio, stavolta con le corrette generalità, con partecipazione del Consorzio agrario provinciale di Bologna e della Federazione italiana dei consorzi agrari. Nel resto del foglio si leggono notizie di carattere politico, con sarcasmo da parte del quotidiano nei confronti degli accadimenti romani («uno strano organismo sta per sorgere a Roma. Si tratta di un’assemblea consultiva, ovvero di una specie di Parlamento, che dovrà essere composto da ben dieci commissioni […]. Delle commissioni faranno parte membri dei vari partiti antifascisti. La notizia della creazione del Parlamento bonomiano suscita i più ironici commenti da parte della stampa romana […]. La banda dei criminali incaricati delle persecuzioni contro i fascisti si è arricchita di altri […] elementi»). Ed altre comunicazioni di servizio, come quelle legate alla grave situazione di guerra (la «Prefettura repubblicana» annunciava la posticipazione del coprifuoco alle ore 21, «di comune accordo con i comandi germanici, a partire da domenica 1° aprile», fino alle 6 del mattino; la sezione provinciale dell’alimentazione rendeva nota la distribuzione nei negozi di 60 grammi di grassi suini a persona prenotati in marzo e di 1 etto di formaggio grana), accanto ad eventi che facevano rimpiangere una normale vita civile, come l’entrata in vigore dell’ora legale «a decorrere dal 2 aprile», l’«orario dei negozi nelle festività pasquali», il turno delle farmacie, i «fiocchi bianchi» («Gabriella e Franco Cappelli, col cuore pieno di gioia, annunciano la nascita del loro primogenito Enzo»). Al cinema «Imperiale» si proiettava «una prima d’eccezio-
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ne», Senza una donna, al «Modernissimo» Rivelazione, regia di Hans Steinhoff, all’«Olimpia» La bisbetica domata, con Amedeo Nazzari. All’Arena del Sole era in calendario la rivista «Baci… bacilli» con Oscar Carboni. Nei “Piccoli avvisi” si mettevano in vendita o si acquistavano cucine economiche, macchine da cucire, grammofoni, frigoriferi, pellicce di persiano nero, oppure si cercavano od offrivano lavori per cassiere, dattilografe, ragionieri. Fra gli «annunzi sanitari», gli indirizzi degli ambulatori degli specialisti in malattie veneree avevano la prevalenza su quelli su quelli di dentisti, odontotecnici ed oculisti. Il negozio Harem proponeva profumi di lusso come “Ricordami!”, “Notte d’Oriente”, “Sandalo di Zanzibar”, “Mammole azzurre”. Nei “matrimoniali”: «Giovane ricca sola sposerebbe giovane distinto anche nulla tenente». Attività sportiva: un incontro di calcio, al Littoriale, «fra atleti bolognesi e tedeschi». Il presunto movente del delitto. Alla vedova di Ferruccio Ragazzoni, distrutta dal dolore (morì circa 9 mesi dopo la tragica scomparsa del marito, nel dicembre 1945) dissero che alle origini dell’uccisione del marito, poteva esserci stato «un errore di persona». Alcune testimonianze fanno supporre tuttavia che l’assassinio del direttore del Consorzio agrario, potesse essere legato al clima di feroce odio tra fascisti e partigiani esistente all’epoca, che portò ad eliminazioni sommarie da entrambe le parti. Un’ipotesi plausibile tuttavia, è suggerita da un libro, uscito nel 2010, scritto da Nicoletta Bettini, Meravigliosi soldati. Storia della Prima compagnia arditi Gnr147, nel quale si ricostruiscono le vicende di un gruppo di legionari della Guardia nazionale repubblicana, giovani fascisti fedeli a Salò e ai nazisti, che consideravano l’esercito anglo-americano “invasore” ed erano coinvolti in una lotta intestina con i partigiani antifascisti. «Nell’aprile 1944, tutta la Compagnia del 16° Battaglione fu trasferita a Castel D’Aiano nell’Appennino bolognese ed i legionari furono alloggiati nel capannone del Consorzio Agrario in modo molto pre147. Greco&Greco Edizioni, Milano.
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cario: dormivano in terra su di una coperta. Si disse che sarebbero rimasti solo alcuni giorni ma in realtà furono impegnati in quel paese per circa tre anni. A Castel D’Aiano vivevano i familiari della più alta autorità militare della provincia di Bologna: il generale Calzolari. Sulle colline circostanti c’era molto movimento di partigiani (…)» 148 .
In quel frangente, uno dei legionari fu colpito a morte con spari provenienti da una collina e altri due furono feriti. La Gnr individuò poi un rifugio dei partigiani, e tre di loro furono arrestati e poi fucilati dopo un processo sommario nella piazza di Castel D’Aiano. È dunque verosimile, che il movente dell’esecuzione da parte dei partigiani, attivi nella guerriglia anti-fascista, del direttore del Consorzio agrario di Bologna, sia legato a questi terribili accadimenti: i membri della Resistenza potrebbero aver deciso la vendetta con l’accusa a Ferruccio Ragazzoni di “collaborazionismo” per il fatto di aver concesso rifugio e base agli arruolati nella Gnr in una struttura logistica del consorzio agrario. L’atmosfera a Bologna nel marzo 1945. Tra il 16 luglio 1943 e il 22 aprile 1945 la città subì 94 incursioni aeree, delle quali 32 compiute da formazioni e il resto da velivoli da caccia o da ricognizione, fra i quali il celebre “Pippo”. Le vittime tra i civili furono moltissime. Nella memoria dei testimoni di allora, rimane scolpito il grave bombardamento del 25 settembre 1943 da parte di una squadriglia di fortezze volanti, senza essere preceduto dalla sirena dell’allarme. Furono colpite piazza Ravegnana, a due passi dalla torre degli Asinelli e dalla Garisenda, dove si trovava anche la torrefazione Roversi, il teatro del Corso, il palazzo della Mercanzia, le centrali via Indipendenza e via Irnerio, e anche la sede del Consorzio agrario in via Maggiore, vicino alla storica drogheria Scaramagli, ancor oggi esistente, subì lesioni. Fu una carneficina, quel giorno. E Bologna rimase tempestata di rovine, un lontano ricordo della città dove ogni studente ambiva a trascorrere gli anni della goliardia, splendente di vita notturna, di 148. Vedi p. 101 e segg. di questa pubblicazione.
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bistrot e ritrovi. Vi regnavano il terrore e il sospetto, attentati e delazione erano all’ordine del giorno. La sera scattava il coprifuoco e i pubblici postriboli di via dell’Orso e via Bertiera, traverse di via Indipendenza, erano frequentati più da gerarchi e nazisti che da gaudenti civili. La gente, quando urlavano le sirene degli allarmi aerei, si rifugiava nelle cantine o in altri luoghi destinati, come sotto la galleria del Pincio. La Questura era sfollata in via Sabbioni, dietro ai giardini Regina Margherita, e anche l’ufficio ammassi del Consorzio agrario fu evacuato e trasferito in via Guglielmini 43. I tram viaggiavano su rotaie e per prenotare una fermata i passeggeri tiravano una cordicella che faceva percuotere un piccolo batacchio su una campanella. Dato il razionamento dei generi di prima necessità, provvedimento preso in seguito alle massicce requisizioni per fini militari, una famiglia aveva diritto, quando stabilito e lasciando i bollini della tessera annonaria, a una bistecca da 1 etto di lombo di suino, a 2 etti di pane e a poco altro, a prezzo politico, ma ad un certo punto mancarono sale e caffé. Nelle case, per condire l’insalata, si usava il grasso sciolto della pancetta e le trattorie servivano tagliatelle insipide. Altrimenti restava la soluzione della “borsa nera”, attraverso la quale molti contadini e intermediari fecero affari d’oro, con altissima speculazione sulle quotazioni delle derrate. Le sigarette dell’epoca erano le eleganti “Macedonia extra” da 10 e le “Aoi” (Africa orientale italiana). I repubblichini, a chi denunciava un partigiano, offrivano come taglia 5 chilogrammi di sale. Dall’autunno 1943 al 1945, fino alla Liberazione, a Bologna si verificò una sequenza impressionante di assassini. Nell’Italia settentrionale la guerra civile giunse a travalicare la contrapposizione ideologica, trasformandosi in una spirale di odio allo stato puro e provocando migliaia di morti. I crimini più efferati vi si compirono con gravi responsabilità sì dei partigiani, ma soprattutto di un fascismo ormai trincerato in un disperato crepuscolo con quartier generale tra Verona e il lago di Garda, succubo e al fianco di un esercito tedesco incrudelito e autore di stragi su popolazioni inermi (eccidi di Marzabotto – Bologna – di Sant’Anna di Stazzema – Lucca –, delle
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Fosse Ardeatine a Roma) e ciecamente ubbidiente fino all’ultimo, tranne qualche caso isolato, ad un capo che aveva sulla coscienza Auschwitz e molte altre atrocità. Il destino di Ragazzoni e la sua famiglia. Molte volte i dipendenti del Consorzio agrario di Bologna si sono chiesti il perché di un assassinio che non ha mai avuto risposte e che ora, almeno, trova un probabile movente. Certamente, il fatto di collocarlo nel clima barbarico del 1945 è stato quasi automatico da parte di chi si è posto degli interrogativi su quella sedia forata dai proiettili su cui molti hanno indirizzato spesso lo sguardo. Con la fine della guerra, gradualmente fu ripristinata la normalità, e lo stesso Consorzio agrario fu coinvolto nell’erogazione degli aiuti alimentari dagli Stati Uniti del programma Unrra nel 1946 e 1947. La contrapposizione ideologica149 che creò così tanta violenza negli anni più crudeli della guerra civile, non finì, purtroppo, con la Liberazione, e diede origine ai lugubri, oscuri anni delle stragi e degli opposti estremismi. Ferruccio Ragazzoni fu una persona fedele al proprio lavoro e agli ideali in cui credeva ed è da considerarsi, secondo chi scrive, una vittima della prepotenza, ma anche del suo desiderio di normalità. Le esequie si celebrarono alle ore 10 del 31 marzo 1945, con partenza dalla camera ardente, allestita presso la sede del Consorzio agrario, verso la chiesa parrocchiale dei santi Vitale e Agricola. I figli Luciano, Giandomenico ed Enzo, arrivarono tutti alla laurea e si sposarono. Solo Luciano, all’epoca dell’omicidio del padre prigioniero in Russia, poi trasferitosi a Pesaro, ebbe dei figli, due, Roberto, medico ospedaliero, e Stefano, ingegnere nucleare. Il 25 aprile fu il giorno della Liberazione, con le note manifestazioni popolari di tripudio nelle strade per la caduta del nazifascismo, e le sfilate degli americani. Già nella notte tra il 20 e il 21 aprile l’esercito tedesco, pressato dagli Alleati, aveva iniziato ad abbandonare Bologna e a procedere ad una spasmodica ritirata a Nord verso il Po, ed, insieme 149. Vedi K. D. Bracher, Il Novecento secolo delle ideologie, Laterza, Roma-Bari, 1985.
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ad esso, anche molti collaboratori fascisti si dettero alla fuga. Benito Mussolini, a Milano, il 25 aprile, corse all’arcivescovado e cercò una resa, ma, come noto, fu poi giustiziato vicino alla frontiera italo-svizzera, il 28 aprile, da un partigiano comasco, insieme all’amante Claretta Petacci, con un mitra “D-Mas” calibro 7 e 65. La truce storia della Repubblica Sociale Italiana giungeva così al suo epilogo. La radio, dette poi la notizia eccezionale della fine della guerra. A comunicarlo fu Corrado Mantoni, conosciuto in seguito come “Corrado”, popolare presentatore della tivù di Stato italiana. «Interrompiamo le trasmissioni per comunicarvi una notizia straordinaria. Le forze armate tedesche si sono arrese agli anglo-americani. La guerra è finita. Ripeto: la guerra è finita».
Tra il 7 e l’8 maggio 1945, l’esercito tedesco si arrese. Il 6 agosto, fu il raccapricciante giorno dello sganciamento della bomba atomica statunitense su Hiroshima dal quadrimotore B29 “Enola Gay”. Il 9 agosto un altro ordigno nucleare fu lanciato su Nagasaki. Il 15 agosto l’imperatore nipponico Hirohito dichiarò la resa del Giappone. Nella situazione di complessa transizione sociale e politica, si registra, nel maggio 1945 (verbale numero 55 del 21 maggio) un cambiamento ai vertici del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, con nomina di Zeno Pezzoli a commissario del Consorzio Agrario Provinciale «nel testo sottoriportato»: «Prefettura della Provincia di Bologna – n. 2939 – Decreto n. 45 (…) Il Prefetto Reg gente della Provincia di Bologna, viste le dimissioni del prof. Caponi dalla carica di Commissario del Consorzio agrario provinciale di Bologna, visto il decreto prefettizio del 13/4 u.s. n. 2400/13-16, considerata la necessità e l’urgenza di assicurare il funzionamento dell’Amministrazione in questo particolare momento in vista anche dei nuovi compiti demandati ai consorzi agrari. Su confer ma proposta del Comando Provinciale dell’Amministrazione Militare Alleata (A.M.G.). Vista la leg ge 18/5/42 (…). Il signor Pizzoli Zeno fu Giuseppe è nominato Commissario per la gestione straordinaria del Consorzio agrario provinciale. Fir mato il prefetto Gianguido Borghese. Visto col. Floyd E. Thomas, commissario provinciale».
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Iniziava quindi un periodo di gestione straordinaria del Consorzio agrario provinciale di Bologna, decisa per legge, per governare la transizione, in una situazione molto delicata di cambiamento socio-politico, verso la nuova disciplina degli enti consortili dopo quella del regime fascista. Dopo il periodo del Comitato di liberazione nazionale (Cln), formazione interpartitica tra comunisti, democristiani, liberali, socialisti e demolaburisti e rappresentanze dei partigiani per le varie aree ideologiche, poi sciolto, con i due governi Badoglio, i due governi Bonomi, il governo Parri e il primo governo De Gasperi, con rappresentanze delle varie componenti tra i vari ministeri (tra le quali quella del leader comunista Palmiro Togliatti, che fu vice-presidente del Consiglio e ministro di Grazie e giustizia), il 2 giugno 1946 si svolsero le prime libere elezioni dopo il fascismo, con vittoria della repubblica sulla monarchia nel referendum popolare e della Democrazia Cristiana alle politiche, ma con vasti consensi anche alle sinistre (Partito socialista italiano di unità proletaria e Pci). Il 25 giugno 1946 ebbero inizio i lavori dell’Assemblea Costituente per la stesura della Costituzione. Si giunse così alle celebri elezioni del 18 aprile 1948 nella neo-nata repubblica, in un clima di fortissima contrapposizione ideologica, soprattutto tra i due grandi partiti di massa, la Dc e il Pci, i cui due segretari, Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, divennero le figure politiche più rappresentative dell’epoca – e i personaggi del parroco di campagna don Camillo e del sindaco comunista Peppone, creati nel 1948 dalla penna di Giovanni Guareschi, e non a caso agguerriti avversari in un paesino dell’Emilia, Brescello, ne divennero, con la complicità del cinema, la più nota parodia. In gioco c’era, nel nuovo contesto della “guerra fredda”, in caso di vittoria elettorale dei comunisti, l’adesione al “Patto di Varsavia”. I risultati delle urne sancirono la vittoria della Dc e la conseguente adesione dell’Italia al “Patto atlantico”. Dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, finiti i totalitarismi, fascista e nazionalsocialista, proclamata la repubblica, iniziò l’avvio della “normalizzazione” democratica. .A,
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8. La Confederterra, vicina al Pci, vince a sorpresa le elezioni del Consorzio. Dopo alcuni mesi, l’ente è commissariato dal Governo
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el 1948, i Consorzi agrari, come si è detto, furono de-fascistizzati con il decreto numero 1235. Emesso il 7 maggio 1948, pochi giorni dopo le elezioni politiche, nelle quali prevalse la Dc, il provvedimento che modificava l’ordinamento dei Consorzi agrari e della Federconsorzi, «segnava finalmente per i Consorzi il ritorno alla qualifica di società cooperative a responsabilità limitata, e ne vedeva riconosciuti tanto i caratteri aziendali che le funzioni d’interesse pubblico, mentre regolava il rapporto con la Federconsorzi con alcuni passaggi obbligatori, tra cui la scelta dei direttori dei Consorzi in un ruolo nazionale compilato dall’Ente centrale» 150 .
Il controllo statale, purtuttavia, persisteva, e, stante il già analizzato processo di formazione ed azione del complesso – e discutibile, almeno in alcuni modi di procedere – apparato politico-burocratico della Federconsorzi, fino agli anni Novanta sarebbe sussistita un’azione di vigilanza da parte del ministero dell’Agricoltura sulle operazioni dei consorzi agrari, con atti formali di comunicazione ed intervento e fenomeni di divergenze di vedute tra i singoli enti consortili in merito alle ingerenze della Federconsorzi e all’autonomia del proprio raggio d’azione. Nel verbale (numero 52) della Consulta del 22 ottobre 1948, si trova notizia della scoperta di «un ammanco di circa 300 quintali di grano, verificatosi presso il Granaio del Popolo di Mordano durante la campagna ammassatoria 194647». (…) «Si dà incarico alla Direzione di provvedere (…) (al)l’immediato licenziamento del magazziniere e di interpellare il legale del Consorzio e la Federazione dei Consorzi Agrari circa la opportunità di denunciare l’accaduto al ministro dell’Agricoltura, oppure direttamente all’Autorità Giudiziaria».
150. Cfr. F. Bertini, Organizzazione economica e politica dell’agricoltura nel XX secolo, cit. Vedi anche Ministero dell’Agricoltura e delle foreste, Ordinamento dei Consorzi agrari e delle federazione Italiana dei Consorzi agrari, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1948.
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Accanto alla presa d’atto di questo evento, «Il Commissario presenta una domanda del Centro nazionale famiglie Partigiani caduti, Centro che si occupa prevalentemente del recupero delle salme dei partigiani Caduti, tendente ad ottenere, da parte del Consorzio, l’acquisto di alcune sue azioni del valore di £. 200 cadauna».
Il 2 marzo 1949 (verbale della Consulta numero 55) si discusse di una lettera del ministro dell’Agricoltura (Antonio Segni, quinto governo De Gasperi) datata 26 febbraio 1949, che rimbrottava il Consorzio Agrario di Bologna: «… si osserva che entro il 31 gennaio avrebbe dovuto essere stabilita la data precisa in cui deve essere tenuta l’assemblea generale del Consorzio, in conformità a quanto stabilito dall’art. 42 del D. L. n. 1235 e ribadito con circolare di questo ministero n. 142 del 10 gennaio u. s. (…) Si prega di stabilire, con la massima urgenza, la data di cui sopra (…)».
Il 9 maggio 1949 (verbale n. 1) Zeno Pezzoli, è indicato come consigliere e commissario uscente. Secondo quanto previsto dal Decreto legge 1235/1948, dovevano infatti tenersi in ogni consorzio agrario, le assemblee generali dei soci per l’elezione del nuovo Cda. Le elezioni si svolsero, ma con una sorpresa nel risultato. A risultare maggioritaria fu l’organizzazione agricola di sinistra, la Confederterra151, con conseguente nomina di Luigi Zucchini, un professore, espressione di quella componente di rappresentanza, molto radicata nei territori emiliani, come peraltro manifestato dai risultati elettorali dell’aprile 1948. L’assunzione da parte della Federterra delle redini di comando del Consorzio agrario provinciale di Bologna (a Zucchini, dimissionario152, successe poi, nel giro di un breve arco temporale, Lino Visani, sempre 151. Qualche altro sporadico caso di prevalenza dell’organizzazione agricola di sinistra si verificò in altri 3 consorzi agrari italiani, ossia Livorno, Grosseto e Salerno. 152. «Il progettato tentativo della Commissione presso il prof. Zucchini non potrebbe dare alcun risultato, tanto più che in occasione dell’ultima riunione del Comitato Esecutivo il prof. Zucchini ebbe a dichiarare che, se le dimissioni fossero state respinte, si sarebbe trovato costretto a ripresentarle» (verbale numero 12 del Cda del 9 maggio 1950). Le motivazioni addotte da Zucchini per le proprie dimissioni furono la sua volontà di sostenere gli esami per Procuratore.
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emanazione di questa organizzazione), suscitò una serie di reazioni a catena da parte delle forze contrapposte, sempre nel clima di acerrima confrontazione ideologica dell’epoca. Nell’incontro del Cda (verbale n. 1) del 9 maggio 1949, al termine della gestione commissariale di Pezzoli, si segnalava «con vivo compiacimento che l’attività commerciale dell’Ente ha avuto in questo inizio dell’anno 1949 un notevole soddisfacentissimo incremento. Infatti le vendite a tutto il 31 marzo sono ammontate a £. 879.989.533, mentre nel corrispondente periodo del 1948 le vendite per le stesse voci raggiunsero £. 617.374.176».
Tuttavia, solo qualche mese dopo, con la prevalenza di Confederterra, ed in seguito alla politica gestionale da essa inaugurata, le reazioni da parte della Federconsorzi e degli istituti di credito fu durissima per i timori suscitati dal cambiamento e si concretizzò nella revoca dei fidi e della disponibilità creditizia. I dipendenti del consorzio agrario iniziarono uno sciopero che contribuì a rallentare la sua attività, e nonostante l’andamento economico fosse soddisfacente, iniziarono così i problemi indotti. Si trova nel verbale numero 21 del Cda del 5 ottobre 1950, iniziato alle 9 e 15 antimeridiane in Strada Maggiore 29 a Bologna, e che si protrasse anche nel pomeriggio dopo un’interruzione per il pranzo, l’evocazione dell’eccezionale momento di tensione che si era venuto a creare. «Il Presidente informa che dopo l’ultima riunione del Consiglio, provveda a riunire presso la sede della Cassa di Risparmio di Bologna che gentilmente concesse ospitalità, i Direttori delle banche che sono in rapporto di affari con il Consorzio Agrario. Esposta loro la situazione (…) i convenuti dimostrarono la loro intenzione di non precipitare la situazione, in attesa dell’esito dei passi che si stavano intraprendendo presso il Ministero dell’Agricoltura. Più gli avvenimenti procedono, continua il Presidente, alla stregua di quanto è già stato fatto contro i consorzi di Livorno e Grosseto, che ci si trova di fronte ad una presa di posizione contro la Confederterra (…) Successivamente si è preso conoscenza di una relazione redatta dai Sindaci ministeriali e dal Sindaco di minoranza che giudica, senz’altro commento per lo meno tendenziosa, e che fu sottoposta all’approvazione dei Sindaci di maggioranza (…) Afferma che la maggioranza è decisa a difendere il Consorzio e la conquista democratica dell’Ente e quindi si opporrà con
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ogni mezzo legale all’invio di un Commissario da parte del Ministero, ciò che porterebbe inevitabilmente alla liquidazione dell’ente (…)».
«Dopo qualche attimo di silenzio» prese la parola il Sindaco ragionier Tagliavini, ritenendo «l’affermazione del Presidente grave e che l’emozione stessa l’addolora, perché sa di avere sempre tenuto un contegno improntando esclusivamente la sua attività su basi tecniche».
Il Presidente replicò che «ha giudicato la relazione tendenziosa per il fatto che di fronte ad una situazione così grave e delicata, non sono stati interpellati gli altri sindaci. Rileva altresì una frase inserita nel verbale, dove si parla di “crisi di sfiducia”, frase che si presta a false interpretazioni».
Prese poi la parola il vice-presidente Palmieri, riferendo che «nell’ultimo periodo sono avvenuti fatti che hanno pesantemente contribuito a colpire il Consorzio, e precisamente la polemica svoltasi attraverso la stampa cittadina, l’atteggiamento della minoranza e del personale. Quando il consorzio è entrato in crisi, si sono viste le forze separarsi: il personale e la minoranza hanno sostanzialmente preso lo stesso atteggiamento. Dall’atteggiamento del personale si arguisce che non è soltanto l’apprensione per la continuità del lavoro che li ha animati, ma che esistono altri motivi. La riprova di tale sua affermazione ritiene di trovarla nel fatto che l’atteggiamento del personale ha contribuito ad articolare l’azione intrapresa presso lo stesso Ministero dal Presidente. Anche quanto apparse sulla stampa cittadina sta a dimostrare che c’è stata una precisa presa di posizione. (…) È stato posto in rilievo il mancato pagamento degli stipendi (e) tale comunicazione ha, tra l’altro, allarmato i privati fornitori di merce, ai quali è stato impossibile successivamente rivolgersi. (…) Di fronte alla posizione assunta dalla Federconsorzi e di fronte alle inspiegabili tergiversazioni del Ministero dell’Agricoltura, obbligo dei Consiglieri è quello di tentare di salvare il Consorzio, per mantenere fede alla volontà della propria base sociale. Il Consorzio non deve avere difficoltà (…) a invocare l’intervento della Magistratura, al fine di constatare la regolarità dell’Amministrazione e per dimostrare ai creditori che
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il Consorzio non è in situazione di dissesto ed ha le possibilità di far fronte integralmente ai suoi impegni. (…) Venendo a parlare della crisi di sfiducia che si è abbattuta sul Consorzio, rileva che il Presidente ha detto che la Confederterra ha conquistato democraticamente il Consorzio e che i provvedimenti presi dalla Federconsorzi sono rivolti unicamente contro la Confederterra. (…) Rifà a questo proposito sinteticamente, la storia del Consorzio, ponendo in rilievo che egli entrò a farvi parte quando una azione costava una lira, e che l’ente gradualmente si sviluppò e si consolidò mercè l’azione disinteressata di poche ed encomiabili persone che operarono per il bene comune e per il bene dell’Agricoltura senza preconcetti politici. La sostanza era allora veramente democratica. Disgraziatamente un bel giorno esce una legge che suscita appetiti politici e si assiste all’entrata del Consorzio di masse, non di soci, perché tali non possono essere chiamati quelli che sono stati immessi recentemente con il pagamento di cento lire non bastevoli nemmeno a pagare l’impiegato che ne registri il nome sui libri 153 ».
Intervenne poi anche il futuro direttore Filiberto Fantoni: «Prende la parola il Consigliere dr. Fantoni il quale, a proposito della suddivisione delle forze alla quale ha accennato il Vice Presidente, afferma che se si cercheranno le responsabilità dopo un sereno esame, si può arrivare a conclusione opposta a quella del Vice-Presidente. Infatti a proposito dei Centri di moto-aratura ricorda la pubblicazione in un giornale di partito, il quale conteneva affermazioni inesatte. Recentemente, su un altro giornale di partito è apparso un articolo trattante la natura del Consorzio, e nel quale si affermava che solo quattro Consorzi in Italia lavorano per la pace, mentre tutti gli altri lavorano per la guerra. Nello stesso articolo vi è affermato che i Consorzi sono stati fondati dal fascismo per perseguire la politica degli ammassi».
Alla fine la Confederterra dovette arrendersi. Il 14 ottobre 1950, nell’incontro del Cda, alla presenza del «dr. Raul Testa», «del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste appositamente delegato», gli organi ministeriali comunicavano la decisione ufficiale di commissariamento del Consorzio agrario provinciale di Bologna e la sostituzione del presiden153. È la questione di cui hanno parlato M. Rossi-Doria e Luigi Sturzo, come riportato negli estratti nel Capitolo primo.
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te in carica Lino Visani, con il Commissario governativo Renato Codicè (vicino all’Unione Agricoltori di Bologna). Come riportato nel “Verbale di insediamento di Commissario Governativo” del 14 ottobre 1950, «Il dr. Testa porta a conoscenza il Decreto del Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste in data 13 ottobre 1950, con il quale è stato disposto lo scioglimento del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna e la nomina a Commissario Governativo dell’avv. Renato Codicè».
Toccò allo scorato presidente uscente Visani leggere il testo del decreto: Il Ministro Segretario di Stato per l’Agricoltura e le Foreste, visto il Decreto legislativo 7 maggio 1948 n. 1235, sull’ordinamento dei Consorzi agrari; visto l’art. 2543 del Codice Civile; considerato l’irregolare e illegale funzionamento del Consorzio Provinciale Agrario di Bologna, provato dai protesti cambiari, dai sequestri conservativi a carico dell’Ente stesso, dalla sospensione del Credito di finanziamento da parte degli Istituti Bancari, nonché dalle risultanze dell’eseguita ispezione ministeriale; considerato che il Consorzio stesso è venuto a trovarsi in istato di insolvenza temporanea, come è provato dall’istanza per l’Amministrazione Giudiziale controllata presentata dagli amministratori al Tribunale di Bologna il 7 ottobre 1950; ritenuto necessario provvedere allo scioglimento degli organi amministrativi del Consorzio suddetto ed affidarne la gestione ad un Commissario Governativo che accerterà rapidamente l’esatta situazione del Consorzio; decreta: Art. 1 – Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna è sciolto ed è nominato Commissario Governativo del Consorzio stesso per la durata di tre mesi il sig. avv. Renato Codicè. Art. 2 – Al Commissario predetto sono conferiti i poteri di cui all’art. 24 del decreto legislativo 7 maggio 1948 n. 1235, con carico di sottoporre alla preventiva cognizione del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste ogni eventuale atto di disposizione. Roma, lì 13 ottobre 1950 firmato Il Ministro Segni 154 Per copia conforme – Il capo di gabinetto Firmato dott. Francesco Costantino». 154. Antonio Segni, ministro dell’Agricoltura e delle Foreste del VI Governo Alcide De Gasperi.
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Non mancarono le rimostranze da parte dei consiglieri espressione di Confederterra, ai quali non restava altro, tuttavia, che prendere atto della decisione. «L’avv. Codicè viene quindi invitato dal dr. Testa ad insediarsi nella carica di Commissario Governativo; a lui il dr. Testa rivolge il saluto e l’augurio fer vido di un fecondo lavoro nell’interesse del Consorzio Agrario (…). Il Vice-Presidente Palmieri precisa a nome dei consiglieri di mag gioranza, tutti presenti, che giudicando illegale il provvedimento, questi si ritengono tuttora in carica sicuri di soddisfare la precisa volontà degli 8.000 soci del Consorzio di Bologna, ingiustamente colpiti da tale provvedimento e certi della energica protesta di questi soci onde ottenere la revoca del provvedimento ed il rispetto dei principi democratici regolanti l’Istituto Cooperativo. Dopo le sopra riportate dichiarazioni, il Commissario avv. Renato Codicè ed il dr. Livio Visani si accordano di procedere al passag gio delle consegne lunedì 16 ottobre 1950 alle ore 15 nei locali del Consorzio Agrario».
Più avanti, un altro decreto del Ministro per l’Agricoltura e per le foreste, datato «Roma, 31 agosto 1951» e firmato da Amintore Fanfani155, confermava e prorogava la gestione straordinaria del Consorzio agrario provinciale di Bologna, decretando, in un «articolo unico»: «La gestione straordinaria del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna è prorogata fino al 30 aprile 1952 ed il sig. avv. Renato Codicè è confermato nell’incarico di Commissario Governativo del Consorzio stesso, con i poteri del Consiglio di Amministrazione e con carico di provvedere entro la data agli adempimenti di chiusura dell’esercizio corrente nei modi e nei termini prescritti dall’art. 2364 del Codice Civile».
Di fatto, la fase del commissariamento si prolungò fino al 31 marzo 1953, giorno in cui, il Commissario governativo Codicè, fu eletto presidente, una carica che mantenne, grazie anche alle sue capacità di mediazione, per ben 30 anni. .A, 155. Fanfani fu, infatti, ministro per Agricoltura e le Foreste nel VII Governo De Gasperi.
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9. La ricostruzione, il boom economico, l’epoca repubblicana. Il Consorzio Agrario di Bologna negli anni Cinquanta e Sessanta
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opo la parentesi turbolenta del commissariamento governativo, la vita del consorzio riprese all’insegna di grandi speranze di sviluppo e Renato Codicè, dopo aver rivestito il ruolo di commissario straordinario, divenne per molti anni il presidente del Cda dell’ente. Il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna tornò a godere della stima di una molteplicità di istituti di credito, che concessero all’ente consortile varie iniziative fiduciarie (Cassa di risparmio di Bologna, Banca Nazionale del Lavoro, Banca Nazionale dell’agricoltura, Banco Ambrosiano, Credito Romagnolo, Banca Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma), insieme a quelle per il tramite della Federazione italiana dei consorzi agrari. Le risorse finanziarie servivano anche a riparare, ristrutturare, ripristinare la funzionalità e ricostruire gli «stabili sinistrati» a causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Nei primi anni Cinquanta, le azioni di ripristino realizzate furono molte: «Tuttavia, a quanto con lodevole sforzo fu compiuto immediatamente dopo la cessazione delle ostilità e dalla prima regolare amministrazione dopo il 1949, altre realizzazioni debbono aggiungersi, quali: la costruzione di capaci magazzeni in Castelmaggiore, Molinella, Decima di Persiceto; l’acquisto di un’ottima attrezzatura in Ozzano Emilia; la ricostruzione di un altro capannone presso la Filiale di Imola; la definitiva sistemazione dell’attrezzatura presso la Filiale di Medicina; la sistemazione degli Uffici Centrali in una nuova Sede 156 , rispondente in tutto e per tutto alle esigenze funzionali dell’Ente e che, sotto l’aspetto della razionalità, è indubbiamente da annoverarsi fra le migliori di cui dispongono i vari Consorzi d’Italia. E tutto ciò per limitarci al solo settore delle attrezzature immobiliari e trascurando quelle meno appariscenti, ma pur tuttavia ugualmente utili, nel campo dei mezzi di trasporto, della attrezzatura degli uffici, della officina, della distribuzione dei carburanti, ecc. In complesso, i magazzeni di proprietà sono così saliti a 22, per una capienza complessiva di circa 400.000 quintali, di fronte ai 280.000 circa del 1950 ed a quella praticamente nulla che avevasi alla fine della guerra, durante la quale il nostro Ente, in fatto 156. Quella di via Guglielmo Marconi numero 3.
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di distruzioni, ebbe a registrare un doloroso primato. Se l’attrezzatura è da considerarsi ancora largamente insufficiente e non si è potuto dare di più (…), lo si deve alle seguenti ragioni: non si poteva, soprattutto in un Ente uscito da una grave crisi finanziaria, non cercare di contenere gli immobilizzi entro limiti certamente sopportabili, per non sacrificare le esigenze dell’attività commerciale e per non aggravare quel problema che per primo fu dovuto risolvere. Giacché è bensì ovvio che le disponibilità finanziarie sono risultate nel frattempo più che raddoppiate ma è anche vero che le stesse disponibilità sono state praticamente assorbite dalla aumentata attività commerciale, anch’essa praticamente pressoché raddoppiata, come risulta dalle cifre dianzi esposte. E tale aumento di attività ha comportato necessariamente un aumento nelle cifre relative ai crediti concessi alla clientela, che da uno scoperto medio di circa 350 milioni nel 1950, sono saliti ad oltre 650 milioni nel 1952 (…), mentre l’aumento delle gestioni di Stato ha comportato un proporzionale aumento nelle anticipazioni per far fronte alle spese stesse» 157 .
E l’attività commerciale, insieme all’«attività assicurativa della delegazione F.a.t.a. (…) passata da 684 polizze per 12 milioni 860mila lire di premi nel 1950, a 1.765 polizze per oltre 57 milioni di premi nel 1952», manifestava un promettente dinamismo: «(…) il miglioramento del Consorzio si è registrato non solo in senso assoluto, ma anche in senso relativo: rispetto cioè agli altri Consorzi dell’area emiliana e rispetto ai consumi provinciali, sui quali maggiore è og gi l’incidenza; (…) si è avuto cura di sviluppare non solo il settore che può considerarsi tradizionale, quello cioè della somministrazione alle aziende agricole di quanto alle stesse occorre, ma anche quello dell’assistenza alle aziende nel collocamento della loro produzione. E vogliamo ag giungere con pieno successo, come stanno a comprovare le spontanee dichiarazioni dei produttori che hanno conferito all’ammasso volontario del grano o alla sezione ortofrutticola. Ed a questo proposito, bastino le seguenti cifre: fra ammasso volontario e grano da macina collocato per conto dei produttori si è rag giunta nel 1952 la rispettabile cifra di 88.000 quintali, mentre la sezione ortofrutticola ha collocato circa 50.000 quintali di prodotti, dalle fragole alle patate».
157. Verbale del Cda del 25 marzo 1953.
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Nell’esercizio 1952 del Consorzio felsineo, il ruolo principale fu ricoperto dalle «gestioni di Stato», per una quantità pari a 2 milioni 531mila quintali, in forte crescita (1 milione 760mila nel 1950). Sempre nel 1952, la gestione commerciale, registrò 708mila quintali, pari ad un importo finanziario di 3 miliardi 539 milioni di lire, all’incirca raddoppiato rispetto al 1950 (394mila quintali, per un valore economico di 1 miliardo 793 milioni). L’importanza della partita dell’ammasso volontario del grano, si desume anche dal verbale di delibera n. 41 del 18 aprile 1952: «Ammasso volontario del grano di produzione 1952. Tenuto conto dei desideri espressi dalle organizzazioni sindacali di categoria e direttamente dagli stessi produttori interessati; visto l’ottimo svolgimento delle operazioni di ammasso volontario di produzione 1951 in base al regolamento a suo tempo predisposto; constatato che la situazione del mercato presenta quest’anno, a causa dell’abbondante produzione e delle più affrettate operazioni di trebbiatura, maggiore necessità di provvedere alla difesa del prezzo del grano in favore dei produttori; ha deliberato di organizzare anche per il raccolto 1952 l’ammasso volontario del grano con lo stesso regolamento in vigore per l’ammasso volontario della precedente campagna (…)».
Nel corso della seduta del Cda del 25 marzo 1953, il presidente del Consorzio Agrario di Bologna, l’avvocato bolognese Renato Codicè, che in precedenza aveva assunto l’incarico commissariale, osservò: «Gli evidenti miglioramenti conseguiti (…) mentre lasciano tranquilli circa il giudizio che vorrà formularsi intorno alla gestione Commissariale, consentono di esprimere la fiducia che la regolare amministrazione uscita dall’assemblea generale dei soci, saprà non solo consolidare i risultati stessi, ma portare l’Ente a quel livello di perfezionamento e di potenziamento che l’importanza agricola della provincia richiede, nell’interesse di tutti indistintamente i produttori, senza distinzioni di mansioni e di opinioni sindacali e politiche».
L’ultima considerazione esposta da Codicè («senza distinzioni di mansioni e di opinioni sindacali e politiche»), è particolarmente importante, dato che intendeva significare una tappa importante nella normalizzazione democratica del dopoguerra dopo il regime fascista, ossia l’auspicato ritorno dell’orientamento principale del consorzio agrario a principi di
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apoliticità e, soprattutto, di pragmatismo tecnico volto allo sviluppo del sistema agricolo. Nell’incontro del Cda del 24 giugno 1953 (verbale n. 3), nella sede di via Guglielmo Marconi 3, vicino alla stazione ferroviaria della città di Bologna, dove il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna si era trasferito da circa un anno, si riferiva sugli accordi raggiunti a livello nazionale relativamente all’ammasso volontario del grano. «Ammasso volontario. Il Presidente riferisce che, dopo che il Comitato Esecutivo aveva già deliberato di procedere all’ammasso volontario del grano di produzione 1954 con le stesse norme adottate nelle precedenti campagne e che si erano dimostrate perfettamente aderenti alle necessità sia del Consorzio sia dei produttori interessati, e dopo che era già stato assicurato il finanziamento da parte della Cassa di Risparmio di Bologna ed, occorrendo, anche da parte di altri istituti, è pervenuta dalla Federconsorzi di Roma notizia di un accordo raggiunto in sede nazionale fra la stessa Federconsorzi da una parte, la Confederazione Generale dell’Agricoltura e la Confederazione Nazionale dei Coltivatori Diretti dall’altra per la esecuzione dell’ammasso volontario».
E si aggiungeva: «anche se è prevedibile che in sede di applicazione provinciale del regolamento possano adottarsi varianti che lo rendano meglio accetto agli interessati, e anche se può presumersi che il maggior costo della gestione possa essere compensato dalle maggiori possibilità di realizzo conseguenti alla visione a carattere nazionale e internazionale che del mercato può avere la Federconsorzi, resta il timore che gli agricoltori interessati nutrano dei dubbi circa la convenienza a conferire all’ammasso volontario, e non siano invece indotti a vendere al momento della trebbia oppure ad approfittare di altre forme che consentano di dilazionare la vendita pur ricevendo fin d’ora un acconto sul grano depositato (…)».
Il 17 dicembre 1953 (verbale n. 6), anche per far fronte agli ammassi, si rilevava la necessità di ampliare la capacità dei magazzini di Imola, Medicina, San Pietro in Casale, Bazzano, Sasso Marconi, Castenaso, Granarolo Emilia, Castelmaggiore, Baricella, nella misura variabile da 4mila a 20mila
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quintali. Le vendite del consorzio, dal 31 dicembre 1951 al 31 dicembre 1953, passarono da un valore di lire 2.200 milioni a 3.302 milioni. Notevole effervescenza si riscontrava nel segmento dei fertilizzanti: «Il Presidente, dopo aver posto in rilievo che il consumo provinciale dei fertilizzanti è in soddisfacente aumento, comunica che pure in aumento risulta la incidenza percentuale delle vendite del Consorzio rispetto al totale consumo, come appare dai seguenti dati, forniti dalla Federconsorzi: % venduta dal Consorzio 1950-51 1951-52 1952-53 Perfosfato minerale Solfato ammonico Calciocianammide Nitrato di calcio
46,84 45,32 52,54 33,84
56,02 59,78 64,43 58,86
60,36 67,18 74,71 58,36»
Disposizioni sul commercio di macchine agricole giungevano dalla Federazione Nazionale dei Consorzi Agrari: «… come da comunicazione di cui alla circolare n. 110/3 in data 10 novembre 1953 della Federconsorzi, al Consorzio Agrario è affidata la vendita in esclusiva delle macchine Hassey-Harris (mietitrebbia, mietilegatrice, ecc.)».
Un esempio del controllo del ministero dell’Agricoltura, di concerto con la Federconsorzi, dell’attività dei consorzi agrari si ha in questa lettera del 4 ottobre 1952 al Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, a proposito del verbale di deliberazione del 12 agosto 1952, indirizzata al Commissario Governativo Codicè: «Con riferimento alla deliberazione in oggetto, concernente la costruzione di un edificio ad uso uffici ed abitazione in Granarolo Emilia, si prega di far conoscere se la progettata costruzione risponda ad imprescindibili esigenze funzionali dell’Ente, o sia soltanto l’adempimento di un impegno assunto dalla cessata Amministrazione verso il cennato Comune, e come si concilii col programma di graduale ricostruzione delle attrezzature danneggiate dagli eventi bellici, fin qui differito per
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difficoltà di ordine finanziario, e la cui realizzazione sembrerebbe più urgente, e quale l’ammontare della spesa occorrente. Intanto in attesa delle comunicazioni richieste, l’esecuzione della delibera in esame deve considerarsi sospesa».
Dal verbale n. 7 del 23 gennaio 1954 si evince come la quantità totale di grano ammassato dal Consorzio bolognese, prodotto nel 1953, fosse stata di 22.423 quintali, con un «prezzo medio ricavato lire 7.575 al quintale». La situazione patrimoniale che si riscontrava il 9 marzo 1954, presentava un attivo di 2 miliardi 302 milioni 931mila 416 lire, un passivo di 2 miliardi 292 milioni 187mila 853 lire e un utile netto di 3 milioni 50mila 200 lire. Nella riunione del Cda del 2 luglio 1956, si notava con soddisfazione che anche l’agricoltura montana, da sempre in una situazione di disagio rispetto alle zone piane, stava mostrando sempre maggiore sensibilità all’utilizzo di fertilizzanti: «Il Presidente, dopo aver riferito in ordine all’ammontare delle vendite di concimi effettuate nelle zone di montagna dall’inizio della campagna 1955-56 al 30 aprile 1956, con le note facilitazioni in tema di pagamento deliberate dal Consiglio (…) fa rilevare il sensibile incremento verificatosi rispetto alla campagna precedente, sia come numero di aziende sia come quantità distribuite, incremento che è stato all’incirca del 100%, e di conseguenza il tangibile contributo che il Consorzio ha offerto a favore delle aziende agricole delle zone più disagiate della nostra provincia».
Nel primo decennio successivo a quello della guerra, il Consorzio Agrario di Bologna, ricostruì il proprio assetto e si rimise in piedi, riprendendo a pieno ritmo la propria attività di commercializzazione dei mezzi tecnici, gestendo il sistema degli ammassi cerealicoli per conto dello Stato (in un regime di tipo protezionistico delle quotazioni dei cereali) e intervenendo con il proprio supporto alle nascenti filiere agro-alimentari, come quelle ortofrutticole e casearie. Questo processo fu favorito anche dai programmi governativi di sostegno e sviluppo di un’agricoltura che stava progressivamente uscendo dalla situazione di grave squilibrio, anche nell’assetto della proprietà contadina, che si era riscontata nella prima metà
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del Novecento. Fu tuttavia negli anni Sessanta che l’ente consortile emiliano decollò e confermò quella posizione di primo piano nel panorama consortile nazionale che aveva già assunto dopo il suo atto fondativo e si manterrà, rafforzandosi, pur con qualche periodo di stasi, fino ad oggi. Come si è già accennato, uno degli eventi determinanti che contribuirono allo sviluppo sia del sistema agricolo in generale, sia dell’attività del Consorzio Agrario di Bologna, fu lo straordinario piano europeo di sostegno all’economia rurale. Box 19. La propulsione europea dello sviluppo rurale. La Politica agricola comune, il Feoga e le organizzazioni comuni dei mercati agricoli Per raggiungere o, comunque, avvicinarsi agli obiettivi stabiliti della Politica agricola comune, entrata in vigore nel 1962, furono creati il Fondo europeo agricolo d’orientamento e di garanzia (Feaog, ma molto più comunemente, almeno in Italia, Feoga) e le Organizzazioni comuni dei mercati agricoli (Ocm). Il Feoga, contenitore delle risorse finanziarie della Pac, prevedeva una sezione denominata “orientamento”, per contribuire alle riforme agricole strutturali e allo sviluppo delle aree rurali, e una sezione “garanzia”, per finanziare le spese delle Ocm (come i cosiddetti “ritiri dal mercato” delle eccedenze produttive, una procedura talvolta utilizzata nel comparto ortofrutticolo). In generale, le Organizzazioni comuni di mercato, tuttora vigenti per molti prodotti agricoli, hanno favorito le produzioni comunitarie attraverso la libera circolazione dei prodotti agricoli tra gli Stati membri, proteggendo il mercato interno dalle importazioni da Paesi extra-continentali e dalle fluttuazioni del mercato mondiale (tuttavia, come è accaduto per il mercato bieticolo-saccarifero, questa pratica è stata sensibilmente modificata, con progressive aperture all’import extra-continentale, in seguito agli accordi Wto e Doha Round). In seguito alla riforma della Pac del 2003, la maggior parte delle Ocm sono state sottoposte al regime di pagamento unico per azienda, con aiuti disposti nei confronti delle aziende agricole indi-
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pendentemente dai volumi prodotti (disaccoppiamento). Nel 2007, nell’ambito del processo di semplificazione della Pac, è stata istituita un’unica organizzazione dei mercati che disciplina le varie filiere, ai fini della sostituzione di 21 Ocm. Come ha fatto notare Filiberto Fantoni, figura di spicco della storia del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, il grande ruolo di propulsore dello sviluppo agricolo della Pac, attraverso i fondi Feoga, si è registrato soprattutto dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del secolo scorso, quando i finanziamenti per lo sviluppo coprivano il 50 per cento degli investimenti a fondo perduto e l’altro 50% a tasso agevolato. Il Cda riunito il 23 marzo 1962, tracciava una panoramica dell’attività svolta nei mesi immediatamente precedenti a quella primavera. «il miglioramento delle attrezzature non si è limitato alla parte immobiliare, ma ha avuto ulteriore sviluppo nel potenziamento del settore produttivo nel campo delle macchine agricole, dei carburanti e lubrificanti, degli insetticidi, dei mangimi e nel campo organizzativo in genere attraverso la completa revisione del campo di attività delle varie agenzie (…). «il Direttore pone in rilievo che tutti i settori hanno contribuito al considerevole incremento che si è verificato, passando da 5 miliardi e 600 milioni e 6 miliardi ed 800 milioni».
Si registrarono incrementi nel settore zootecnico («con 633mila pulcini di fronte ai 364mila dell’anno precedente e ai 453 capi di bestiame bovino in confronto ai 342 capi dell’anno precedente»), nel reparto carburanti, lubrificanti e filo di ferro, nelle macchine agricole («in incremento il collocamento delle trattrici passate da 369 a 392 unità nuove vendute) e le motofalciatrici (da 108 a 137 unità) nonché gli aratri, gli estirpatori, gli erpici…». Per gli altri segmenti commerciali, si annotava: «(…) ammasso volontario del grano 225mila quintali, rispetto ai 130mila quintali dell’esercizio precedente a cui vanno sommati 35mila quintali ammassati dalla Apca (Alleanza provinciale cooperative agricole) con realizzo medio di oltre 7mila lire al quintale (…) che lascia facilmente prevedere, tenuto conto naturalmente del contributo dello
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Stato nelle spese di gestione, che il prezzo netto liquidabile riuscirà di piena soddisfazione dei conferenti». «All’ammasso volontario del formaggio grana sono affluite n. 28.048 forme per q.li 8.899 di fronte alle 11.000 per q.li 3.700 dello scorso anno. Provvidenziale quindi è stato l’ampliamento dei magazzeni di gestione tempestivamente disposto ed attuato». «Sensibile incremento si è registrato nel settore ortofrutticolo per patate da alimentazione, cipolle, frutta fresca, fragoloni, asparagi». «Nel settore delle gestioni speciali l’ammasso grano per contingente ha raggiunto qli 182.500 di fronte ai 45mila quintali dell’anno precedente, restando però largamente al di sotto del contingente fissato per la nostra provincia in 208.000 qli. A causa della deficitaria produzione del 1960 si è avuta una massiccia importazione di grano dall’estero (…) Anche il Franco Molino ha avuto un movimento considerevole: 784.600 qli contro 716mila dell’anno precedente».
L’utile netto 1961 risultò essere di 4.741.155 lire. Nei registri si trovano anche minuzie che oggi risultano divertenti, ricordando antichi Natali quando il potere d’acquisto della lira era ancora molto alto e nessuno immaginava quanto sarebbe successo negli anni a venire. «Viene altresì deliberato di concedere a ciascun dipendente del Consorzio Agrario, a titolo di strenna natalizia, un buono per il prelevamento gratuito di generi alimentari o altre merci presso il Consorzio, per l’ammontare di £ 10.000. Il Consigliere in rappresentanza del personale (…) ringrazia per la concessione e chiede che, in considerazione dell’aumentato costo della vita, la strenna natalizia sia elevata da 10 a 15.000 lire pro-capite; proposta che viene respinta» 158 .
Il 9 dicembre 1963, il Cda decise anche di istituire una “Sezione per la lotta antiparassitaria alle colture” per promuovere le operazioni di «difesa collettiva antiparassitaria». Alla metà degli anni Sessanta, precisamente nel 1965, la presidenza Codicè del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, iniziò ad avvalersi di un braccio operativo, il nuovo direttore Filiberto Fantoni, che darà un 158. Verbale del Cda del 9 dicembre 1963.
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fondamentale contributo al decollo finanziario ed operativo dell’ente, attraverso una politica oculata e trasparente che consoliderà enormemente il suo stato patrimoniale, rafforzando l’assetto cooperativo – come nella filosofia iniziale del Consorzio Agrario Bolognese – e sapendo anche mantenere quell’autonomia nei confronti dell’organismo centrale – la Federconsorzi – che si rivelerà vincente. Box 20. Filiberto Fantoni, un direttore pragmatico. L’exploit del consorzio agrario di Bologna dagli anni ’60 agli anni ‘80 Filiberto Fantoni nacque a Bologna il 5 ottobre 1923 e ottenne il diploma di ragioniere e perito commerciale nel 1942, anno nel quale ebbe il suo primo impiego presso il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, all’ufficio ammassi, dove rimase fino al 1943, quando fu chiamato alle armi nel Genio Fortificazioni Campali. Dopo la Liberazione, fu riassunto al Consorzio agrario felsineo nell’agosto 1945, «proprio durante i tristi giorni – ricorda – delle bombe atomiche sganciate sul Giappone». Nell’anno accademico 1946-47, si laureò in Economia e commercio, all’università di Bologna, con una tesi intitolata L’organizzazione e la gestione dei Consorzi Agrari (il relatore fu il professor Gaetano Corsani), mentre continuava ad operare all’ufficio ammassi. Nel 1951 fu nominato capo-contabile e nel 1961 vice-direttore amministrativo. Succedendo a Leone Grillenzoni (che ricoprì anche l’incarico di funzionario della Federconsorzi all’ufficio inter-regionale di Bologna, competente per i consorzi agrari dell’Emilia, della Romagna e della Toscana, con sede in via G. Marconi 45, anni più avanti ceduta all’Unipol), nel 1965 divenne direttore del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, carica che mantenne per quasi 25 anni, fino al maggio 1989, quando il presidente del Consorzio era Pier Vincenzo Pastore. Con una vasta esperienza accumulata già nel corso della guerra, nel suo appartamento del quartiere Colli a Bologna, ricorda l’epoca degli ammassi obbligatori di grano per conto dello Stato, istituiti in epoca fascista, che continuarono anche nel primo dopoguerra: «a Bo-
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logna la gestione del grano fu affidata dal 1941 all’Ente economico per la cerealicoltura, che era statale, e prevedeva l’obbligatorietà degli ammassi, in un regime protezionistico contraddistinto dal “prezzo politico” anche per l’orzo, il granoturco e gli altri cereali oltre al frumento». «Nel momento in cui riceveva i conferimenti – aggiunge – il Consorzio agrario emetteva bollette di entrata del grano, in base alle quali l’agricoltore poteva veder retribuito il proprio raccolto, attraverso l’intermediazione degli istituti di credito, incaricati di liquidare le risorse statali. Lo Stato, tra l’altro, provvedeva anche al pagamento delle spese di stoccaggio della materia prima e di trasporto». Nell’epoca degli ammassi del grano gestiti dallo Stato, i magazzini di stoccaggio dei Consorzi agrari, erano comunemente chiamati anche “granai del popolo”: «quando venne meno – rievoca Fantoni – l’obbligatorietà del conferimento, gli enti consortili proseguirono nell’attività dell’ammasso volontario, sempre ispirati dal senso cooperativo originario, traendo tuttavia vantaggio dall’esperienza fatta per conto dello Stato». Con la gestione direttiva di Fantoni il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, fece una svolta e, attraverso il solido legame ed intreccio con strutture cooperative, in primis il Concopa, una maxicooperativa indipendente ma anche una sorta di emanazione dell’ente consortile, rafforzò la propria attività nel campo del supporto alla produzione e commercializzazione dei prodotti agricoli e alla fornitura di mezzi tecnici ed assistenza agronomica ai soci di queste cooperative. Fu un’operazione altamente azzeccata questa, che favorì la capillarizzazione sul territorio dell’attività del Consorzio agrario, e lo sviluppo delle filiere agricole della provincia bolognese: si costituì, infatti, un fertile indotto tra i rami operativi consortili e la galassia di coop – come il Consorzio Cooperative Frutta di Vergato (Bologna) per le ciliegie, la Cooperativa Produttori Castagne ed altre – coordinate dalla cooperativa-madre, il Concopa. Questa modalità operativa fruttò l’imponente patrimonializzazione del Consorzio. «Il Consorzio era così riuscito a costituire – sintetizza Fantoni – un formidabile patrimonio di mezzi tecnici attraverso questo binomio cooperativo».
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Un altro aspetto da non tralasciare, nel successo del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna a partire dalla metà degli anni Sessanta, fu la propria capacità di trattare direttamente con i fornitori di mezzi tecnici e di servizi, riuscendo ad anteporre il proprio tornaconto rispetto ai circuiti che intendeva imporre la Federconsorzi, e mantenendo così una propria autonomia virtuosa e finanziariamente efficace. «Fu questa la formula vincente – riconosce oggi l’ex-direttore –: la combinazione fra una rete di cooperative che agivano in maniera sinergica con il Consorzio agrario, che diventava la leva operativa dei soci sul mercato dei prodotti agricoli, l’individuazione di percorsi vantaggiosi nel reperimento dei mezzi tecnici sul mercato, anche attraverso l’esperienza di funzionari di prim’ordine, e l’autonomia decisionale nei confronti della Federconsorzi». Fantoni aveva già infatti compreso nel percorso della sua dissertazione di laurea l’importanza del nodo delle forniture e del ruolo della Federconsorzi e dei consorzi agrari in questa partita (e ciò significa riuscire ad assicurarsi condizioni economiche migliori rispetto all’offerta dell’industria privata): «Gli acquisti dei concimi da parte dei Consorzi agrari vengono per la mag gior parte effettuati presso la Federazione, che provvede a stipulare contratti con l’industria per grandi quantitativi. Le industrie vengono così ad assicurarsi senz’altro il collocamento della loro produzione, sono in grado di regolare l’entità della produzione stessa in modo da limitare al minimo i quantitativi invenduti e possono concordare un calendario delle consegne in modo da dare ordinato sviluppo all’attività. Per queste ragioni la Federconsorzi può spuntare condizioni migliori di quelle ottenibili da ogni Consorzio operante per proprio conto (…). Si può quindi affer mare che i Consorzi Agrari svolgono una funzione di calmieramento dei prezzi, agendo in un primo tempo sulla fase di vendita dall’industria agli operatori mercantili, e necessariamente nella fase di distribuzione agli agricoltori offrendo merci e prezzi deter minati con criteri conseguenti alla natura cooperativa degli enti» 159 . 159. F. Fantoni, L’organizzazione e la gestione dei Consorzi Agrari, università degli studi di Bologna, anno accademico 1946-47.
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Egli tuttavia, capì anche come fosse di fondamentale importanza, sapersi distanziare, laddove necessario, da quei settori tentacolari della Federconsorzi nei quali, a causa degli intrecci con una politica clientelare, il mordente commerciale era scarso e finiva per arrendersi ad altre logiche, rischiando di avviluppare in questo meccanismo anche i consorzi agrari più dinamici. L’altro grande volano che consentì al Consorzio diretto da Fantoni di crescere di spessore e patrimonializzarsi, fu la possibilità di accedere ai fondi comunitari Feoga, che consentirono di realizzare investimenti immobiliari strategici per rinfoltire gli asset del patrimonio e, allo stesso tempo, necessari alla funzionalità operativa, come i centri di raccolta, i silos per lo stoccaggio dei cereali, i magazzini per la frutta e i prodotti orticoli, gli essiccatoi, le strutture per la frigoconservazione, il magazzino di stagionatura del Parmigiano Reggiano di San Giovanni in Persiceto, della capacità di 70mila forme. Filiberto Fantoni, alla fine degli anni Ottanta, quando si congedò dalla sua scrivania direttiva al Consorzio Agrario di Bologna, attraverso la sua visione di lungo periodo e gli investimenti indovinati, in un periodo nel quale la fiducia nella crescita, a livello nazionale, era notevole, per quanto cominciassero ad emergere i segnali di un sistema che sarebbe stato destinato al declino, aveva lasciato una realtà florida e un esempio di gestione sana e trasparente. Nella seduta del Cda del 9 settembre 1968 (verbale numero 102), «il Direttore su invito del Presidente, riferisce che in relazione all’espansione del lavoro sia nel campo mangimistico che in quello zootecnico, si manifesta sempre più evidente la necessità che l’Ufficio mangimistico-zootecnico sia diviso in due, in modo da aversi una gestione più aderente alle necessità tecnico-commerciali ed una più diretta responsabilità dei preposti. Dopo breve discussione, su proposta del Presidente del Consiglio, delibera la costituzione dell’Ufficio mangimi e dell’Ufficio zootecnico al posto dell’unico fin qui operante (…)».
Si parlò poi del «mandato alla Federazione Italiana dei Consorzi
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Agrari per l’assunzione dei servizi di intervento nel mercato dei prodotti agricoli. Grano tenero. Granoturco»: «Il Consiglio di Amministrazione, visto il D. L. 7 mag gio 1948 n. 1235 “Ordinamento dei Consorzi Agrari e della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari”, (…) visto particolar mente l’art. 3 su richiamato, nel quale è sancito che la Federazione “esercita”, con riguardo alle esigenze di carattere nazionale, le attività di cui all’articolo precedente, e “svolge ser vizi di carattere generale nell’interesse dei Consorzi Agrari, regolandone e coordinandone l’attività; vista la leg ge 23 mag gio 1966 n. 303 “Istituzione dell’azienda di Stato per gli inter venti nel mercato agricolo” ed il Decreto del Presidente della Repubblica in data 25 luglio 1967, con il quali vengono affidati all’Aima i compiti di organismo di inter vento nel settore cerealicolo previsti da qualsiasi regolamento emanato e da emanare dalla Comunità Economica Europea (…) delibera che il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna conferisca alla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari ampio mandato perché, anche in nome e per conto del consorzio mandante, faccia tutto quanto riterrà utile e opportuno per ottenere (…) l’incarico di assuntore dei ser vizi relativi agli interventi di mercato di cui ai regolamenti comunitari ed alla leg ge 13-51966 n. 303 e ciò per la campagna cerealicola 1968-69 grano tenero e granoturco (…).
Il 25 novembre 1968, il Cda (verbale numero 103) riconobbe l’esigenza di estendere la capacità di un magazzino per la frigo-conservazione della frutta: «Il presidente ricorda che già in data 17 giugno corrente anno il Consiglio di amministrazione riconobbe opportuna l’iniziativa di aumentare la capienza del frigorifero di Minerbio in relazione alle esigenze dei frutticoltori della zona ed in particolare della cooperativa Frasi con la quale il Consorzio agrario collabora strettamente per la commercializzazione dei prodotti».
E deliberò «di presentare domanda (…) ai sensi del regolamento n. 17/64 C.e.e. del Consiglio del 5 febbraio 1964 e dell’art. 35 della legge 27/10/1966 n. 910, al fine di ottenere le sovvenzioni concesse dalla sezione
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“Orientamento” del F.e.o.g.a., nonché quelle accordate dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste sulla spesa di £. 514.884.000 occorrente per la realizzazione in Minerbio dell’ampliamento dell’esistente impianto ortofrutticolo con annesso frigorifero di proprietà del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna». «Contributo in conto capitale da parte dello Stato italiano, pari al 25% della spesa ammessa (£. 128.721.000: £. 514.884.000 x 25%); contributo in conto capitale da parte del F.e.o.g.a., pari al 25% della spesa ammessa (£. 128.721.000); mutuo integrativo ventennale al tasso agevolato del 3%, pari al 50% della spesa ammessa (£. 257.442.000 – £. 514.884.000 x 50%); totale spesa prevista: £. 514.884.000».
Sempre con contributo Feoga, si dispose di realizzare un impianto ortofrutticolo con frigorifero a Molinella su richiesta dei «produttori agricoli della zona (…) per la maggior parte aderenti alla Società Cooperativa Molinella Frutta»: il totale della spesa prevista era di 1 miliardo 315 milioni di lire. Dal verbale numero 106 del 27 marzo 1969 emerge che il volume di attività del Consorzio era di oltre 46 miliardi di lire. Nella situazione patrimoniale al 31 dicembre 1968, figurava un utile netto di 5.688.925 lire, di cui il 20 per cento (1.137.785 lire) destinati alla riserva ordinaria. Il Presidente informò che « (…) la Federconsorzi ha comunicato di avere fissato in £. 1.700.000.000 il fido ausiliario a favore del Consorzio agrario di Bologna per la campagna primaverile 1969».
e si conferiva mandato «al Direttore di soddisfare la richiesta pervenuta dalle Suore dell’Asilo Don Guidi di Camugnano (Bologna) intesa ad ottenere una offerta per l’acquisto di un apparecchio televisivo: l’erogazione, nel limite di qualche decina di migliaia di lire, è da mettersi in relazione oltre che alla finalità della richiesta, alla opportunità di agevolare l’avviamento dell’agenzia situata nello stesso centro appenninico».
Si formalizzava anche «la partecipazione del Consorzio agrario alla Sagra della ciliegia che si
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svolgerà in Vergato nei giorni 31 maggio e 1-2 giugno 1969, soprattutto in relazione alla collaborazione in atto con il Gruppo Produttori Ciliegie della Valle del Reno».
Il 24 giugno 1969 il Cda aggiornò sulla questione degli interventi europei sul mercato degli cereali e del ruolo dei consorzi agrari e della Federconsorzi: «Considerato che con provvedimento A.i.m.a. del 18 giugno 1969, vista la contingente necessità ed urgenza di provvedere alla organizzazione del ser vizio di attuazione degli inter venti sul mercato dei cereali previsti dai regolamenti della Comunità Economica Europea, è stato stabilito di affidare, per l’annata di commercializzazione 196970, l’esecuzione dei ser vizi stessi a trattativa privata a cooperative, consorzi e loro organizzazioni (…).
E deliberò «che il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna conferisca alla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari ampio mandato perché, anche in nome e per conto del Consorzio mandante, faccia tutto quanto riterrà utile ed opportuno per ottenere, nei modi dalla leg ge previsti e per esercitare, nei limiti in cui ne otterrà l’affidamento, l’incarico e le funzioni di assuntore dei ser vizi relativi all’esecuzione degli inter venti di mercato di cui ai regolamenti comunitari ed alla leg ge 13-5-1966 n. 303 e ciò per la campagna cerealicola 1969/1970 e per i cereali per i quali gli Organismi Comunitari decideranno l’inter vento nei centri di commercializzazione della provincia».
Molto interessante è il sesto punto all’ordine del giorno della seduta del Cda del 2 settembre 1969 (verbale n. 109), dato che da esso si rilevano le pressioni da parte della Federconsorzi sulla cessione alla stessa di un credito per l’ammasso del grano maturato circa venti anni prima, ossia nella campagna cerealicola 1948-49. È da osservarsi che la questione dei crediti non riscossi dai consorzi per gli ammassi negli anni delle gestioni per conto dello Stato e della sorta di contesa con la Federconsorzi (il cui commissariamento, ricordiamo, fu deciso dal Governo nel maggio 1991), tornerà di attualità molti anni dopo, tra il 2011 e il 2012, in un viluppo di implicazioni giuridico-burocratiche e in un panorama di
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dissesto della finanza pubblica dovuto anche alla recessione economica internazionale. «Cessione di credito alla Federconsorzi – Il Presidente ricorda che il Consorzio è creditore verso lo Stato (Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste), tra gli altri, della liquidazione delle spese a rendiconto della gestione di ammasso grano della campagna 1948-49 e precisamente dell’importo di 312.007.801 oltre agli interessi dal 30/6/1958 come risulta dalla comunicazione del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste n. 71339 del 22/6/1960. Considerato che non è ancora avvenuto lo smobilizzo del credito suddetto scontato verso lo Stato, e che la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari ha proposto che le sia ceduto il credito stesso, limitatamente a £. 202.199.208, dietro del pagamento del prezzo di pari importo, il Presidente ritiene che sia da accogliere la proposta della predetta Federazione, con carico al consorzio delle spese notarili e di registrazione, queste ultime nella misura dell’1,50% dell’importo del credito da cedere».
Questa fu la risposta del ministero dell’Agricoltura, firmata dal «sottosegretario di Stato On. Avv. Dario Antoniozzi, e inviata per conoscenza alla Federconsorzi: «(…) Per quanto concerne la cessione alla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari di parte del credito vantato dal Consorzio stesso verso lo Stato, si fa presente che tale operazione dovrà risultare da regolare atto notarile ed essere notificata a questo Ministero che, ai sensi dell’art. 9 della leg ge 20.3.1865, si pronuncierà nella opportuna sede».
Box 21. Il 1969, il miracolo economico, l’“Apollo 11” e l’allunaggio, Carosello e la contestazione, l’inflazione e l’inizio degli anni di piombo Tra gli Cinquanta e gli anni Sessanta la società italiana assume un nuovo volto, il miracolo economico la trasfigura e diventa irriconoscibile rispetto a come l’avevano lasciata il fascismo e la guerra. Il grande ottimismo della ricostruzione facilita gli investimenti anche da parte dei piccoli risparmiatori che, grazie ai tassi di
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interesse particolarmente appetibili praticati dalle banche, riescono spesso ad acquistare la prima casa. La politica scudo-crociata di allargamento del ceto medio, per motivi di consenso elettorale e di stabilizzazione, porta i suoi frutti, per quanto alcune conseguenze del malgoverno nel dopoguerra diffondano fenomeni di degrado urbanistico e ambientale, come raccontato da Franco Rosi nel film Le mani sulla città (1963). La società dei consumi di massa è ormai pienamente affluente e alimenta il circuito della crescita. Nel paniere Istat, dal 1928 al 1954, comparivano in tutto 60 prodotti tra i quali l’olio di ricino, la legna secca per riscaldamento, le polacchine per uomo. Nel 1966 le referenze contemplate consistevano di 240 prodotti, compresi il popelin, la brillantina, la soda, le calze di nylon per donna, il servizio di stenodattilografia. Alla metà degli anni Ottanta le voci diventarono 601, includendo hamburger e cotoletta surgelati, i collant, il freezer, la schedina del Totocalcio, il televisore portatile, fino a giungere agli anni 2000, con un identi-kit dei consumi evoluto: attrezzi per il bodybuilding, navigatore satellitare, telefono portatile, abbonamento alla pay-tivù, chiavetta usb, cereali biologici e insalate di terza e quarta gamma. Nel 1969 lo stipendio base di un operaio generico era di circa 123mila lire, una corsa in tram, un quotidiano e un caffè espresso costavano 70 lire cadauno, il pane 230 lire al chilo, la carne 2.100, un litro di benzina 148 lire. In agricoltura, la specializzazione produttiva e la meccanizzazione avevano fatto passi da gigante e la percentuale degli addetti nel settore primario, in un secolo, ossia dall’Unità d’Italia, era passata dal 70 per cento al 35%, per scendere progressivamente, fino al 3,8% nel 2009. Nel 1926 la superficie agricola era destinata in misura prevalente alla coltivazione di foraggiere (oltre 9,4 milioni di ettari), frumento (4,9 milioni) e mais (1,5 milioni). La vite e l’olivo assorbivano rispettivamente 849mila e 749mila ettari di superficie. Nel 2009, l’unica coltivazione che ha visto crescere la superficie investita, rispetto al 1926, è stata quella dell’ulivo (+53,1%), mentre il frumento è sceso del -62,5%, il mais del -37,3, le pata-
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te addirittura del -83,2%. Al primo censimento dell’agricoltura del 1961, le aziende agricole erano 4,3 milioni: nel 2000 si sarebbero contratte a 2,6 milioni160. Nel 1969 in gran parte delle case italiane era entrato un apparecchio televisivo, ma si andava ancora al bar ad assistere agli spettacoli sul piccolo schermo – fra i quali infuriavano Canzonissima e i quiz di Mike Buongiorno – che lentamente toglieva spettatori al cinematografo. Carosello, nel pre-serale, intrattenimento pubblicitario dedicato soprattutto ai bambini, ma anche simbolo dell’era consumistica, divenne popolarissimo. Il Dixan della Henkel e poi il Dash, si diffusero in tutte le case, insieme alla lavatrice, dando l’addio ad antichi riti del bucato. Il capitalismo del consumo di massa attirò severe critiche, come quelle della Scuola di Francoforte e di Herbert Marcuse, e, in Italia, di Pierpaolo Pasolini, cantore dell’innocenza perduta delle società contadine e pre-industriali e di un Lumpenproletariat delle periferie urbane prodotto delle contraddizioni del capitalismo maturo. Il 1969 fu anche l’anno del clamoroso “allunaggio” dell’“Apollo 11” e del primo uomo – Neil Armstrong – che mise piede sul suolo del satellite, con una diretta televisiva di Tito Stagno che fece epoca. L’Italia, tuttavia, era attraversata da forti tensioni sociali, con la contestazione degli studenti del 1968, sull’onda del maggio parigino, e le rivendicazioni operaie scaturite nel cosiddetto “autunno caldo”. Il 12 dicembre 1969 una bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, che provocò 17 morti ed oltre 88 feriti, nella maggior parte piccoli coltivatori venuti dalla provincia, segnò il triste inizio della strategia della tensione, degli opposti estremismi e degli anni di piombo, che sarebbero culminati con l’assassinio di Aldo Moro con inquietanti particolari circa il coinvolgimento anche di poteri manifesti ed occulti dello Stato e della politica. Intanto si stava profilando anche lo spettro dell’inflazione, che 160. Istat, Italia in cifre, 1861-2011, Roma, 2011.
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avrebbe galoppato negli anni Settanta e Ottanta, con un indebolimento delle economie europee e soprattutto di quella italiana, poi quasi travolta dall’applicazione di una politica keynesiana di continuo aumento della spesa pubblica. All’inizio degli anni Settanta, si registrò la crisi del dollaro, il provvedimento di inconvertibilità della divisa statunitense in oro, e la costituzione del “serpente monetario”, per mantenere un margine di fluttuazione contenuto tra le valute europee e quella statunitense. Il 1973 sarebbe stato l’anno della crisi petrolifera in seguito alla guerra del Kippur e dell’austerità, alla quale i giornali italiani dedicarono fiumi d’inchiostro. .A, 10. Gli anni Settanta e la conferma del modello di sinergia con le coop
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nche durante gli anni Settanta del ‘900, così densi di incognite e con una società italiana sconvolta dalla violenza, le vicende del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna procedevano in maniera soddisfacente, grazie anche alla continuità del modello “sinergico-cooperativo” portato avanti dal direttore Filiberto Fantoni. Il dettaglio dell’organizzazione cooperativa e della focalizzazione del consorzio sull’attività della commercializzazione frutticola ed orticola, con i relativi indotti di vendita di mezzi tecnici, insieme a quella cerealicola tradizionale, è ben descritto da Tullio Romualdi in questo stralcio di uno scritto uscito nel 1977, in occasione del settantacinquesimo compleanno del Consorzio Agrario felsineo. «L’evoluzione delle produzioni agricole procede rapidamente specie nel campo della orticoltura e della frutticoltura. Il Consorzio agrario si preoccupa di garantire agli imprenditori agricoli una buona collocazione del prodotto sia in Italia sia all’estero. Promuove a questo scopo strutture cooperative e le segue sino a che possano andare avanti con le proprie gambe. Og gi le cooperative create dal consorzio sono riunite nel Concopa (Consorzio cooperative produttori agricoli) e costituiscono un punto di forza dell’agricoltura bolognese. In alcuni settori, quello della coltivazione degli asparagi, ad esempio,
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rag giungono vertici di valore europeo. Nel settore ortofrutticolo, la Centrale Molinella Frutta dispone di un modernissimo frigorifero di proprietà del consorzio agrario, della capacità di 78.000 quintali. I soci sono 120, 118 dei quali piccoli imprenditori. L’Afral-Associazione frutticola di Altedo ha un magazzino frigorifero di 59.000 quintali. La Cofri-Cooperativa frutticola di Imola, usufruisce di un magazzino frigorifero di proprietà del Consorzio agrario, della capacità di 37.000 quintali; raccoglie la produzione di 220 soci e la esporta nella misura del 60 per cento nei Paesi della Cee ed in quelli scandinavi. La Frasmi-Frutticoltori associati di Minerbio, dispone di un magazzino frigorifero di proprietà del Consorzio agrario della capacità di 65.000 quintali. La Fruba-Frutticoltori baricellesi associati, possiede un magazzino di 75.000 quintali, e i 200 soci sono in prevalenza coltivatori diretti. La Cooperativa di produttori di patate si sta attualmente attrezzando con una propria centrale di conser vazione a Molinella capace di raccogliere 110.000 quintali di prodotto. Nel 1975 ha ritirato e lavorato presso la Frasmi di Minerbio, 285mila quintali di patate prodotte da 820 soci. La cooperativa da qualche anno ha costituito una sezione a Castel D’Aiano, che produce tramite 35 soci, patate da seme di ottima qualità, distribuite in tutta Italia. Il Gruppo produttori di asparagi di Baricella è la cooperativa più importante d’Italia nel settore e forse d’Europa. Lavora, surgelandone una parte, 25.000 quintali di asparagi. I soci sono 800, quasi tutti coltivatori diretti. La Cooperativa produttori di cipolle è di recentissima costituzione e conta già 48 soci che hanno conferito, lo scorso anno, 30.000 quintali di prodotto, utilizzando le attrezzature della Frasmi di Minerbio in attesa di propri magazzini, già progettati. La Coprocama – cooperativa produttori di castagne e marroni – è di recente costituzione. Conta 40 soci con aziende nell’Appennino bolognese. Nel 1976 ha raccolto 3.000 quintali di prodotto. La Produttori ciliegie opera nel Vergatese, nella valle del Reno. I soci sono 147, tutti coltivatori diretti. Nel 1975 la cooperativa ha ritirato 2.094 quintali di ciliegie in gran parte di pregio. Nel settore zootecnico il Consorzio ha promosso la costituzione di numerose cooperative per gestire, in for ma collettiva, terreni ed attrezzature. Alcune stalle sociali sono già funzionanti, altre sono in corso di costruzione, per altre si è già superata da poco la fase di progettazione. Esse interessano le zone di Vergato, Montepastore, Sassoleone, Crevalcore, Molinella, San Pietro in Casale e Sant’Agata Bolognese» 161 . 161. T. Romualdi, “Il Consorzio agrario provinciale compie 75 anni”, La Mercanzia, marzo 1977, pp. 183-185.
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La situazione patrimoniale del Consorzio al 31 dicembre 1975, testimonia di un quasi esponenziale incremento delle immobilizzazioni, con terreni e fabbricati di proprietà dell’ente per un valore di 6 miliardi 539milioni di lire, rispetto ai 2 miliardi 176 milioni della fine del 1968, pur tenendo conto della svalutazione. L’utile netto era di 7.234.216 lire. Intanto il Consorzio, dal 1972, ha lasciato la sede di via Marconi, per trasferirsi nella nuova sede di via Mattei numero 6, nella prima periferia di Bologna in direzione Ravenna, dotata di moderni uffici, magazzini, parcheggi. Nel Cda del 30 aprile 1976 (verbale n. 154), al terzo punto all’ordine del giorno, si dette ancora mandato «alla Federazione Italiana dei Consorzi agrari per l’assunzione dei ser vizi di inter vento nel settore dei cereali – Il Presidente ricorda al Consiglio le nor me emanate dai competenti organi della Comunità Economica Europea relative all’attuazione di un’organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali. Rileva che, per l’attuazione delle nor me predette, l’Organizzazione federconsortile fornì, già in passato, attrezzature, ser vizi e prestazioni e che pertanto il Consorzio agrario può e deve mantenere la propria collaborazione, nei limiti delle sue possibilità, per il rag giungimento degli scopi che le accennate nor me comunitarie e le conseguenti disposizioni si prefiggono. Propone, pertanto, che il Consiglio deliberi di conferire per la campagna cerealicola 1976-77 alla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari ampio mandato perché, anche in nome e per conto del Consorzio, partecipi, nei modi, nei tempi, e nei limiti consentiti dalle disposizioni emanate e da emanare, all’assunzione e prestazione dei ser vizi occorrenti per l’attuazione delle nor me comunitarie sopra accennate (…)».
Nel Cda del 9 novembre 1977, si manifestò il rinnovamento di fiducia nei confronti della collaborazione con le cooperative agricole: «Dopo breve discussione il Consiglio, considerati gli stretti rapporti di collaborazione esistenti tra le Cooperative in questione, il Con. Co.P.A. ed il Consorzio Agrario, rapporti che mettono quest’ultimo in condizioni di seguire l’ordinata ed oculata gestione delle Cooperative medesime, delibera la concessione dell’avallo del consorzio agrario a favore della Banca Nazionale del Lavoro – Sezione Speciale
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Supercredito – che erogherà il prestito alle seguenti cooperative, per gli importi massimi a fianco indicati: Produttori Patate £. 1.000.000.000 Produttori Cipolle £. 100.000.000 Produttori Asparagi £. 60.000.000 Produttori Ciliegie £. 40.000.000 Produttori Castagne £. 40.000.000 Fr.As.Mi. £. 100.000.000 A. Fr.Al. £. 100.000.000 Co.Fr.I. £. 100.000.000 Fru.Ba. £. 100.000.000 Stalla Sociale Montepastore £. 80.000.000 Stalla Sociale Sassomorelli £. 50.000.000 Stalla Sociale Sassoleone £. 90.000.000 Stalla Sociale Vergato £. 85.000.000».
Il 16 dicembre 1977, «Il Presidente infor ma che la “Stalla Sociale di Sassoleone”, Soc. Coop. a r.l., assistita dal Con.Co.Pa ha possibilità, stante la disponibilità di fondi presso la Cassa Rurale ed Artigiana del Mugello, di avere un prestito a tasso agevolato a nor ma dell’art. 8 della leg ge 5 luglio 1928, n. 1760».
Tra gli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta, il Consorzio Agrario Provinciale di Bologna guadagnò posizioni sul mercato e continuò la sua traiettoria di crescita. Fu questo un periodo di grandi investimenti, delle aziende agricole, in meccanizzazione: «erano anni, questi, nei quali il Consorzio agrario di Bologna riusciva a vendere oltre 1.000 trattori l’anno con quote di mercato che talvolta superavano il 50 per cento. E altrettanto elevata era la frazione nel segmento dei fertilizzanti, con incidenza delle vendite provinciali del Consorzio mediamente del 60 per cento»162. L’aumento delle quote di mercato si registrava anche nel comparto sementiero – contraddistinto dalla specializzazione delle colture cerealicole, come il mais e il sorgo, e dal progressivo affermarsi dell’importanza della soia, introdotta in Italia soprattutto dal gruppo Ferruzzi – e in quel162. Testimonianza di Daniele Brandani, amministratore delegato della Sicap, società controllata in maggioranza dal Consorzio Agrario dell’Emilia, e figura storica del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, nel corso del focus-intervista con l’A. realizzato nel settembre 2012.
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lo degli antiparassitari. In questa fase, come emerge anche dai resoconti dei Cda, si poneva notevole fiducia anche sul comparto zootecnico e sul sostegno alle cooperative controllate di questo settore, che stava tuttavia attraversando una fase di sensibile trasformazione, con progressiva perdita di importanza del settore delle carni bovine e affermazione dell’allevamento dei bovini da latte (un business questo, sostenuto anche dal rampante settore del Parmigiano Reggiano, con un bacino produttivo comprendente le province di Reggio-Emilia, Modena, Parma, Bologna e Mantova), insieme all’integrazione verticale dell’avicolo con colossi dell’agro-alimentare come Arena, Veronesi e Amadori. Oltre agli investimenti in nuove strutture per il ritiro, l’essiccazione e la lavorazione dei cereali, il Consorzio indirizzò la propria attività, verso la metà degli anni Settanta, sulle cosiddette “stalle sociali”, anche in sinergia con la cooperazione emiliano-romagnola (Legacoop e Confcooperative), e usufruendo di importanti compartecipazioni finanziarie con risorse sia comunitarie sia regionali. .A, 11. Gli anni Ottanta. I cambiamenti internazionali, la modernizzazione del consorzio, il preludio al piano di razionalizzazione
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l positivo incedere del cammino del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna proseguì anche nei primi anni Ottanta, quando cambiamenti di portata storica si sarebbero verificati a livello internazionale, con riflessi e conseguenze anche per l’Italia. Il più importante di questi accadde il 9 novembre 1989, con il crollo della “cortina di ferro” fra l’area dei Paesi del Patto atlantico e quella del Patto di Varsavia, simboleggiato dalla demolizione del muro di Berlino, dal 1961 triste simbolo della frattura e della divisione tra Est e Ovest. Due figure furono particolarmente significative nel processo che portò alla sollevazione popolare nei Paesi del socialismo reale, dopo oltre 40 anni di dominazioni dispotiche, capricciose, violente e rapaci da parte delle nomenklature comuniste. La prima è quella di Karol Josef Wojtyla, nato a Wadowice, in Polonia, il 18 maggio 1920 e scomparso il 2 aprile 2005. La sua elezione al soglio pontificio fu annunziata in una sera di pioggia e ombrelli del 16 ottobre 1978, il nome fu quello di Giovanni Paolo
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II (scelto da Wojtyla per stabilire una continuità con la figura di Giovanni Paolo I, Albino Luciani, suo predecessore, l’indimenticabile papa eletto il 26 agosto 1978, il cui pontificato durò soltanto 33 giorni, uno dei più brevi della storia163) e fu successore di Pietro non italiano dopo 455 anni (l’ultimo era stato Adriano VI, dal 1522 al 1523). Già nella sua omelia alla messa di avvio del pontificato, il 22 ottobre 1978, pronunciò queste parole rivoluzionarie che enunciavano con chiarezza il suo pensiero: «Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo. (…) Aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!».
Il 13 maggio 1981, Wojtyla subì un attentato da parte di un sicario turco, Mehmet Ali Agca, che gli sparò due colpi di pistola all’addome, ferendolo gravemente. Forti sospetti sull’Unione Sovietica, sarebbero, in seguito, emersi, circa la reale matrice dell’attentato, forse organizzato dal Kgb in collaborazione con i bulgari e con un gruppo dell’estrema destra turca, i “Lupi grigi”. La seconda figura determinante nella disgregazione del blocco comunista fu quella di Michail Sergeevic Gorbacev, ultimo segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (Pcus), che attraverso decisioni politiche apertamente di rottura rispetto alla linea dei propri predecessori, soprattutto le riforme economiche stabilite con la perestrojka e la maggiore trasparenza nella vita pubblica (glasnost), fece scoccare la scintilla che avrebbe portato alla dissoluzione del blocco sovietico, con cambiamenti sostanziali anche nel sistema economico internazionale. Il 7 novembre 1983, nell’ambito di un’iniziativa chiamata “Questionario 1983”, diretta a meglio conoscere i dettagli dell’attività economica del consorzio bolognese sul territorio, anche attraverso le opinioni di soci e clienti, si giungeva a conoscere un primo, importante dato: 163 Albino Luciani, di origini popolari, un padre con idee socialiste, era nato a Forno di Canale (dal 1964 Canale D’Agordo) il 17 ottobre 1912 e scomparve, in circostanze mai del tutto chiarite, il 28 settembre 1978. È affettuosamente ricordato come “il Papa del sorriso”.
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«i produttori agricoli che nel periodo 1 gennaio-30 settembre 1983 hanno acquistato presso il C.a.p. per un importo fino a 2 milioni di lire rappresentano il 65 per cento del totale degli acquirenti, dimostrandosi così la capillarità dell’azione del Consorzio e la vocazione “popolare” della sua funzione 164 ».
L’utile netto d’esercizio 1982 fu di 14 milioni 163mila lire. Sono questi gli anni nei quali s’iniziò ad investire in innovazione in quelle tecnologie informatiche che avranno una vorticosa evoluzione negli anni successivi. «Il Direttore sottopone alla valutazione del Consiglio la proposta di potenziare ulteriormente il Centro elaborazione dati in vista del sempre maggior carico di lavoro che rende ormai saturata la capacità delle macchine, oltreché piuttosto lenti certi tempi di risposta; propone l’acquisto di un’unità disco della capacità di mezzo miliardo di bytes (costo £. 55.059.000), dei congegni che integrano al mod. 8 l’attuale versione 7 del sistema 38 (costo £. 11.010.000) e degli attacchi relativi (costo £. 7.042.000). Dopo esauriente discussione il Consiglio approva all’unanimità» 165 .
Nel bilancio 1985 l’utile netto risultò essere di circa 15 milioni 285mila lire, di cui il 10 per cento andò «al Fondo solidarietà consortile presso la Federconsorzi»166. Nel Cda del 17 marzo 1986 si parla dell’andamento dell’attività del consorzio all’inizio dell’anno. «Il Direttore, su invito del Presidente, comunica i dati relativi alla attività distributiva realizzata dal Consorzio nel primo bimestre dell’anno che, confrontati con i dati corrispondenti del 1985, evidenziano una riduzione del 7%; il Direttore fa rilevare che tale risultanza deve essere attentamente meditata, come ulteriore sintomo della tendenza dei consumi verso un contenimento, anche se va sottolineato che le minori vendite complessive, per 1.800 milioni, trovano rispondenza quasi aritmetica nella riduzione delle vendite di prodotti petroliferi, giustificata questa dalla nor malità dell’inverno 1985-86 rispetto alla 164. Verbale del Cda n. 206. 165. Verbale numero 204 della riunione del Cda del 27 luglio 1983. 166. Verbale n. 223 della riunione del Cda del 17 marzo 1986.
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eccezionale rigidità di quello precedente, nonché dalla nota flessione dei prezzi di vendita».
Il 20 novembre 1989, il Cda prese atto delle difficoltà economiche del Con.Co.P.A., un organismo che stava per tramontare. E questo fu il preludio al piano di razionalizzazione consortile del 1990. «Il presidente (…) rammenta al Consiglio che il Con.Co.P.A., consorzio di 2° grado è stato costituito nel 1972 con gli scopi principali di coordinare, rappresentare, assistere le cooperative associate nello svolgimento della loro attività alimentare per la difesa e valorizzazione delle produzioni. I risultati ottenuti in questi anni sono senza dubbio soddisfacenti, le 24 cooperative che ne fanno parte ed in modo particolare le 14 cooperative ortofrutticole hanno ricavato benefici da detta struttura. Il Presidente ricorda che il Consorzio agrario, riconoscendo propria finalità, negli anni passati ha investito in diverse strutture ortofrutticole consegnate successivamente in gestione alle cooperative nelle zone frutticole più importanti della provincia. Come tutte le attività, anche il Con.Co.P.A. ha bisogno oggi di essere più aderente a quelli che sono i cambiamenti e le modificazioni di sistemi sia commerciali sia gestionali, per questo motivo non togliendo niente dei pregi e dei vantaggi che ha saputo dare in passato si ritiene che oggi debba essere rivisto in una visione di efficienza e capacità rispetto alle difficoltà che dovremo affrontare in futuro. Il Presidente prosegue soffermandosi su l’andamento di alcune cooperative che fanno rilevare un non più adeguato sistema gestionale legato a bassi volumi di conferimento in relazione ai costi gestionali ulteriormente aggravati in questo anno dalle note vicende climatiche. Nel soffermarsi su questo punto il Presidente sottolinea che non dobbiamo rischiare che il Con.Co.P.A. possa essere uno strumento che fa ricadere le sue difficoltà da un punto di vista economico sul Consorzio agrario, e se pur con sacrifici il Consorzio debba partecipare a qualche intervento, strettamente finalizzato ad una nuova impostazione, sia per il Con.Co.P.A. sia per le cooperative che ne fanno parte (…) Il Consiglio dopo ampia discussione prende atto di quanto detto dal Presidente e in modo particolare evidenzia il fatto che le difficoltà economiche non debbano ricadere sul Consorzio».
Per quanto riguarda l’andamento della gestione, nello stesso Cda, «Il Direttore, su invito del Presidente, comunica i risultati delle vendite conseguiti al 31-10-1989 in confronto con lo stesso periodo dell’anno
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precedente. Le vendite a detta data per mezzi tecnici e materie utili all’agricoltura fanno registrare un incremento di 2.327 milioni, riportandosi sui dati del mese di agosto. Su dette vendite si rileva una forte contrazione del comparto dei fertilizzanti sia per diminuiti consumi sia per grosse vendite anticipate effettuate nello scorso fine anno. Gli altri comparti fanno registrare un incremento tangibile di prodotti petroliferi e di mangimi composti con una buona tenuta delle macchine e ricambi e del settore irrigazione. Diminuite vendite si rilevano nel comparto dei mangimi semplici a causa di una politica commerciale intrapresa».
In quegli anni fecero la loro apparizione nuove imposte, come l’Iciap. La burrascosa congiuntura innescata dall’acuta situazione debitoria della Federconsorzi si stava per avvicinare. Tuttavia, ancora alla fine del 1989, le prospettive apparivano non preoccupanti dato che, «Il Presidente informa che la Federconsorzi ha comunicato in data 11 ottobre scorso di avere confermato in 5 miliardi di lire il fido cambiario da utilizzare ai sensi dell’art. 2 n. 4 lett. A) della legge 5 luglio 1928 n. 1760 per il pagamento di forniture con il rilascio di cambiali agrarie».
Gli anni Novanta erano alle porte. L’organismo federconsortile nazionale avrebbe, di lì a poco, manifestato la propria grave situazione e il Consorzio agrario di Bologna, pur accusando qualche inevitabile colpo dall’effetto-domino del commissariamento, ne sarebbe uscito bene. .A, 12. Gli anni Novanta. L’affrancamento dalla Federconsorzi, l’acquisizione della Sis e la politica dei poli territoriali
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li anni Novanta del ‘900, si aprirono con la vicenda della liquidazione della Federconsorzi, con la quale anche il Consorzio agrario provinciale di Bologna deteneva rapporti istituzionali e associativi, pur agendo in un quadro di sostanziale autonomia gestionale rispetto ad alcuni altri consorzi agrari italiani, un elemento questo, che ha consentito all’ente bolognese la prosecuzione della propria attività senza gravi problemi, pur accusando qualche voce di perdita legata a partecipazioni in società con-
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trollate dal colosso, come in Fedital167. Già in un verbale del Cda del 20 novembre 1989, infatti, s’individuano informazioni circa la partecipazione del Consorzio agrario provinciale di Bologna in Fedital: Il Presidente comunica che oggi 20 novembre scade il termine per l’esercizio del diritto di opzione a sottoscrivere l’aumento del capitale sociale della S.p.a. Fedital da £. 61.563.841.332 a £. 200.082.484.329; precisa che il Consorzio agrario possiede 1.016.805 azioni della Società e che le modalità dell’aumento indicano in £. 1.251.431.523 l’importo delle nuove azioni che il Consorzio può sottoscrivere e in £. 68.634.270 l’importo del rimborso spese».
Nel Cda del 24 giugno 1991 (presidente Pier Vincenzo Pastore e direttore Giampiero Masotti), verbale numero 264, a poco più di un mese dall’evento choc che dava avvio alla liquidazione di Federconsorzi, il presidente dell’ente consortile riferiva «…dell’evolversi della situazione Federconsorzi, informando il Consiglio che il giorno 17 giugno è stato convocato nuovamente a Roma ed ha partecipato ad una riunione di tutti i Presidenti C.a.p. Nel corso di detta riunione, informa il Presidente, si è parlato nuovamente della soc. s.r.l. per l’acquisizione della quota di maggioranza della S.p.a. Fedit Agrisviluppo. Il Presidente riferisce che i quattro Presidenti dei C.a.p. di Bologna, Benevento, Brescia e Milano sono stati ricevuti dai Commissari della Federconsorzi che hanno illustrato loro la situazione esternando grosse preoccupazioni per la eventuale liquidazione volontaria Fedit».
Una precedente riunione, a Roma, con i rappresentanti di tutti i consorzi agrari italiani, aveva portato alla richiesta agli enti consortili, di partecipare ad una società a responsabilità limitata, per acquisire la maggioranza di Fedit Agrisviluppo, una società per azioni che avrebbe dovuto scongiurare, negli intenti, la liquidazione di Federconsorzi. 167. La Fedital era una società del gruppo Federconsorzi, specializzata in attività agro-alimentari, soprattutto nel settore lattiero-caseario. Dopo la procedura fallimentare dell’organizzazione, fu ceduta al gruppo Cragnotti, al prezzo di 20 miliardi di lire e, anche a causa della quotazione, fu al centro dell’attenzione dell’autorità giudiziaria. Il settore latte di Fedital, fu conferito nell’ambito dell’operazione Cirio, con rivalutazione, e assunse il nome di Eurolat, poi passata a Parmalat, e sempre oggetto di indagini giudiziarie.
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«Il Presidente informa il Consiglio sulle recenti vicende di Federconsorzi e relativo commissariamento avvenuto con provvedimento del Ministro dell’Agricoltura in data 17 maggio scorso. Proseguendo, il Presidente informa che in data 7 giugno si è ricevuta una comunicazione dei Commissari Federconsorzi finalizzata alla realizzazione di una S.p.a. per il proseguimento delle attività di Federconsorzi alla quale il mondo agricolo dovrebbe avere partecipazione di maggioranza. Il Presidente fa presente che nei giorni scorsi è stato convocato a Roma, in una assemblea di Presidenti di Consorzi agrari dalle due organizzazioni di categoria nel corso della quale si è discusso approfonditamente l’argomento riguardante le società illustrando ai convenuti i particolari dell’incontro. Da tale Assemblea è scaturita l’iniziativa di costituire un Comitato di Rappresentanza dei Consorzi Agrari, composto dai Presidenti dei Consorzi Agrari di Benevento, Brescia, Milano e Bologna. Scopo del Comitato è quello di trattare le singole questioni relative al funzionamento dei Consorzi con i Commissari Governativi Fedit, con le banche e con i fornitori e quindi tutelare gli interessi dei Consorzi Agrari, nonché quello di esaminare ed assumere iniziative per la salvaguardia della operatività dei Consorzi Agrari stessi. Il Consiglio, sentita la relazione del Presidente, vista la lettera del 7 giugno 1991 dei Commissari Fedit, ritenuta l’opportunità di assecondare l’iniziativa contenuta nella lettera mediante la partecipazione ad una società a r. l., tra i C.a.p., che sottoscriverà la maggioranza assoluta del capitale sociale di una S.p.a. avente lo scopo: “a) il commercio all’ingrosso e al minuto, la esportazione e l’importazione si prodotti agricoli e alimentari di ogni genere, loro derivati, e di largo consumo, di materie utili all’agricoltura, di prodotti delle industrie connessi con l’agricoltura ed in generale di tutto ciò che può essere utile agli agricoltori, all’agricoltura e ai consumatori in genere, sia in Italia che all’estero”; “b) la prestazione di servizi e di attività di consulenza ed intermediazione nel settore agricolo ed alimentare, in favore degli agricoltori, dei consumatori e delle cooperative ed associazioni di categoria, nonché delle industrie i cui prodotti siano connessi con l’agricoltura”; il tutto sia per conto proprio che per conto terzi, come ipotizzato nella lettera dei Commissari Fedit (…)».
Il Cda, «pur condividendo, nei contenuti, quanto esposto (…)», decise «di dare mandato al Presidente di approfondire più nel dettaglio (…)
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lo Statuto della s.r.l. che dovrà detenere la maggioranza assoluta di una S.p.a. avente gli scopi di cui sopra» 168 .
Poco più avanti, tuttavia, verificatasi l’impossibilità di dare vita ad Agrisviluppo, a livello nazionale si optò per una seconda strada, ossia quella della costituzione di un’altra società, So.Con.Agri (Società Consorzi Agrari), con simili obiettivi. Nell’incontro del Cda del 26 luglio 1991 (verbale numero 266), «Il Presidente (…) comunica che il giorno 17 luglio è avvenuta la trasformazione della società rilevata in So.Con.Agri. che ha adottato lo Statuto del quale si dà lettura».
Il Consorzio agrario provinciale di Bologna, ancora una volta dimostrò sensibilità, prudenza ed oculatezza e, pur non sottraendosi all’istanza, si convenne «di dare mandato al Presidente e al Direttore congiuntamente di sottoscrivere sino al limite di L. 26.250.000 la partecipazione al capitale della società Con.So.Agri».
Tuttavia, nella successiva evoluzione della caotica situazione, come accaduto per Agrisviluppo, emerse l’impossibilità di attuare anche il progetto “So.Con.Agri.”, soprattutto per mancanza di fiducia da parte delle banche, come emerge dalla relazione della Commissione parlamentare di inchiesta, del 2001. Essa, su Agrisviluppo osservò: A sottoscrivere le azioni della nuova società furono chiamati i consorzi agrari ed i rappresentanti del mondo agricolo, ma in realtà la condizione economica e finanziaria dei consorzi non consentiva che in pochi casi 168. Nello stesso Cda, si dovette affrontare anche la questione delle eventuali ripercussioni sullo stoccaggio dei cereali, a fronte della situazione della Federconsorzi: «Il Direttore, su richiesta di alcuni Consiglieri, comunica che a seguito della situazione che si è venuta a creare con il commissariamento di Federconsorzi e ad incertezze del mondo agricolo per quanto riguarda la gestione dello stoccaggio grano, si è data disposizione alla periferia ed al personale addetto di dare precedenza per lo stoccaggio ai Soci ed ai clienti del C.a.p. che hanno usufruito negli anni passati dei magazzini C.a.p., rimandando le effettive disponibilità di spazio, verso fine campagna, per eventuali richieste da agricoltori di fuori provincia».
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la partecipazione alla nuova iniziativa, denominata, con felice sintesi giornalistica, Fedit 2. La categoria dei “rappresentanti del mondo agricolo” era inoltre assai nebulosa e non era quindi chiara e definita la composizione della compagine sociale e l’attribuzione della direzione. Dopo qualche iniziale resistenza, il progetto Agrisviluppo fu approvato dall’Abi, nel contesto di un protocollo di intesa globale con il Ministero dell’Agricoltura che prevedeva anche la disponibilità delle banche a considerare congelati i saldi creditori verso la Fedit e parimenti congelati gli interessi dal 1° gennaio al 31 novembre 1991. Il tentativo non ebbe successo perché non prestarono la loro collaborazione molte banche italiane e tutte le banche estere (…). Infatti l’intesa tra Ministero ed Abi non fu approvata, come richiesto dal ministro Goria e dai commissari governativi, da tutte le banche e, al suo fallimento, alla fine di giugno 1991, fece seguito la richiesta di concordato preventivo. Va notato che tra le banche italiane che non aderirono al progetto di rilancio vi era la Banca Nazionale del lavoro, che era la maggiore creditrice del gruppo Fedit-Agrifactoring. Ciò sembra significare che neppure il Dicastero del tesoro, in quel momento retto dal dottor Guido Carli, sosteneva il progetto» 169.
Su So.Con.Agri., invece, la Commissione osservò: In risposta al commissariamento della Fedit ed al tentativo di lanciare una Fedit 2, pochi giorni dopo la presentazione della richiesta di ammissione al concordato preventivo, Coldiretti e Confagricoltura concretizzarono un loro progetto alternativo che si tradusse nella promozione di un’altra società che fosse sotto il loro totale controllo. Il 9 luglio 1991, infatti, i consorzi di Ravenna, Benevento e Treviso/Belluno, acquisirono il capitale di una società, la New Door, e costituirono la So.con.agri. srl. Aderirono alla società 37 consorzi agrari, di cui 21 in gestione ordinaria (fra i quali, quello di Bologna, ndr.), 6 commissariati, 3 in amministrazione controllata e 7 in liquidazione coatta. Le funzioni di presidente provvisorio furono affidate al dottor Libero Iannella del consorzio di Benevento. Quanto alla presidenza definitiva, si era fatto il nome di un personaggio di prestigio del mondo agricolo, il senatore Alfredo Diana 170. Il tentativo di clonazione della Fedit con la stessa impo169. Commissione parlamentare di inchiesta, XIII legislatura, cit., Capitolo settimo. 170. Fu ministro dell’Agricoltura del Governo Ciampi, che s’insediò il 28 aprile 1993.
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stazione e con le stesse referenze era sicuramente anacronistico, e velleitaria l’idea di realizzare l’attività di coordinamento e sostegno dei consorzi agrari con una società con un capitale sociale di trecento milioni, che erano tanti rispetto al capitale della Fedit, che era di solo 4,65 milioni, ma pochissimi rispetto ai fini annunciati. La So.con.agri. incarnava, pertanto, un messaggio politico di vitalità della Coldiretti piuttosto che un vero progetto operativo. Insieme con il progetto So.con.agri. fu elaborato un progetto finanziario denominato Fiordaliso, con il compito di rastrellare capitali tra gli agricoltori, oltre che dalle banche e da altri privati. Le due società, So.con.agri. e Fiordaliso, essendo complementari tra loro dovevano essere presiedute dalla stessa persona. Riferisce l’onorevole Lobianco alla Commissione, nel corso dell’audizione del 1° febbraio 2000: “Per quanto riguarda il progetto So.con.agri., noi riunimmo i nostri presidenti dei consorzi agrari e quelli della Confagricoltura per poterli assistere, perché in quella situazione si parlava di Agrisviluppo, e non c’era più coordinamento. Allora si pensò di fare una società in cui entrassero i consorzi agrari disposti al coordinamento per poterli assistere, sia nelle vicende del concordato, sia successivamente nei rapporti con i commissari per continuare l’azione di assistenza. Questo progetto So.con.agri. è andato molto lento; ultimamente ho letto che la società è stata sciolta”. Il progetto So.con.agri non si è mai attuato» 171.
A parte questa spinosa questione, il Consorzio proseguì nella propria attività gestionale, che puntava, in seguito alle trasformazioni dello scenario agricolo nazionale ed internazionale, a razionalizzare e modernizzare le proprie strategie di azione. Nel 1990 era stato stabilito un piano per migliorare efficienza ed efficacia d’azione della società. «Il Presidente riferisce che nel piano predisposto nell’autunno 1990 sono state proposte le linee guida volte a migliorare l’efficacia e l’efficienza d’azione del C.a.p. (rif. Delibera del 12/11/1990), ricordando che gli inter venti che qualificano il nuovo modo di proporsi del C.a.p. sul proprio mercato riguardano: - la gestione dei rapporti con i soci-clienti; - l’adeguamento della struttura organizzativa del C.a.p». 171. Commissione parlamentare di inchiesta, XIII legislatura, cit., Capitolo settimo.
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«(…) il Direttore, su invito del Presidente, relaziona sulla opportunità di una prima parte di ristrutturazione: a – Ristrutturazione periferica: Polo S. Giovanni in Persiceto In settembre si propone l’operatività del Polo di S. Giovanni in Persiceto che comprenderà la filiale di S. Giovanni in Persiceto e le agenzie di Calderara di Reno, Sala Bolognese, Decima, Palata Pepoli, Crevalcore e Sant’Agata Bolognese. Si prevede di creare una struttura centrale “Polo” (già esistente) a S. Giovanni in Persiceto, una periferica “Sub-Polo” (da crearsi nel comprensorio di Crevalcore-Palata) e due punti vendita al dettaglio a Decima e Sala Bolognese. Al Polo saranno demandati tutti i compiti gestionali, logistici e di stoccaggio, al Sub-polo i compiti di magazzinaggio mezzi tecnici, stoccaggio di cereali e proteici; ai Punti di vendita al dettaglio la vendita ed il presidio di zona. (…) Sono stati stoccati e movimentati nell’area interessata al Polo 206.000 q.li di prodotti agricoli (grano, soia, mais e sorgo); sono stati movimentati 120.000 q.li di mezzi tecnici di cui ne sono stati trasportati 33.000 q.li in azienda. Il costo globale di struttura al 1990 è stato di 972 milioni, pari al 6,6% del fatturato, mentre si prevede a regime un costo di L. 765 milioni (lira costante) (incidenza del 5,2% sul fatturato 1990) con una differenza per minori costi di L. 207 milioni ed inoltre una riduzione stimata delle scorte di magazzini pari ad oltre il 45%».
Il piano prevedeva, ai punti successivi, la ristrutturazione interna dell’assetto del personale, insieme ad altre disposizioni commerciali. Il 27 febbraio 1992 (verbale 271) si ratificò l’adesione del Consorzio alla neo-costituita “Associazione consorzi agrari dell’Emilia Romagna” (Asscaer, tuttora in attività, che in seguito inglobò anche il Consorzio agrario di Perugia), «esprimendo la convinzione che detto organismo potrà essere un valido supporto per l’attività e gli interessi dei consorzi agrari».
Nello stesso incontro del Cda, «Il Presidente, come già informato il Comitato Esecutivo, riferisce che la Federconsorzi con lettera in data 10 gennaio 1992, a firma dei Commissari Governativi, ha comunicato di rendersi disponibile quale mandataria per la vendita dei titoli B.n.a. 172 di proprietà C.a.p., sottolineando 172. Banca Nazionale dell’Agricoltura.
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che l’eventuale alienazione dei suddetti titoli, congiuntamente a quelli di proprietà della Federconsorzi, potrebbe dar luogo ad un prezzo di realizzo più vantaggioso. Il Presidente precisa che questo Consorzio Agrario è attualmente proprietario di n. 139.932 azioni ordinarie e n. 69.968 azioni privilegiate. Il Consiglio, condividendo quanto già espresso dal Comitato, esprime parere negativo in considerazione del fatto che detto pacchetto azionario costituisce una quota di valore e dunque una capitalizzazione per la nostra azienda».
Si aveva notizia, ancora, di qualche contraccolpo nella vicenda della liquidazione della Fedit. In questo caso si parlava di Feditinvest173. «Il Presidente riferisce che l’Assemblea straordinaria della Feditinvest, riunitasi il 13 gennaio scorso, ha deliberato la riduzione del proprio capitale sociale per perdite, portando da L. 77.000 a L. 43.000 il valore nominale per azione; tenuto conto che il Consorzio Agrario è proprietario di n. 270 azioni, la perdita complessiva è di L. 9.180.000».
Da questo importante Cda si desume anche come il Consorzio agrario di Bologna avesse dovuto procedere a provvedimenti di natura finanziaria direttamente collegati alla liquidazione della Fedit. «Il Direttore riferisce che essendo venuto meno il presupposto della solvibilità della Federconsorzi, sottoposta attualmente a procedura concorsuale, il Ministero delle Finanze – Dipartimento Dogane e II.II., ha revocato alla suddetta Federazione l’esonero dall’obbligo di prestare le cauzioni dovute dai Consorzi agrari provinciali, a garanzia dei tributi gravanti sui prodotti petroliferi agevolati custoditi nei propri depositi. Per tale motivo, prosegue il Direttore, l’Ufficio Tecnico di Finanza di Bologna ha chiesto al Consorzio Agrario di Bologna di provvedere alla prestazione della cauzione ai sensi dell’art. 7 della legge 2/7/1957 n. 474». 173. Feditinvest, società di servizi finanziari, della Sgr (Società gestione realizzo). Un lancio della Adn Kronos del 3 novembre 1993, riferiva che il commissario governativo di Federconsorzi, Stefano Ercole, firmò quel giorno la cessione a Sgr di Feditinvest, partecipata da Fedit all’80%, insieme ad Arsol (società di mangimistica), Cappa (intermediazione commerciale a favore dei Consorzi agrari), Federgraf (industria tipografica), Oimai (Officina interconsortile macchine agricole industriali), Sasa (produzione sacchi polietilene per prodotti chimici), Siapa (produzione e commercializzazione fitofarmaci e chimica) e Sis (produzione e commercializzazione sementi). Come si vedrà poco più avanti, la Sis fu acquisita dalla Sgr dal Consorzio agrario provinciale di Bologna, con la partecipazione di altri enti consortili agrari.
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Il consuntivo delle vendite 1991 fu di 199,7 miliardi di lire, ma il momento congiunturale non era affatto facile. Il consorzio bolognese, tuttavia, si difese e se la cavò. «Dalle cifre sopra esposte e dall’analisi delle singole Divisioni si può rilevare che nel complesso l’azienda ha mantenuto la partecipazione al mercato, segnando addirittura in alcuni settori aumenti di quote. Da sottolineare una generale riduzione di impieghi di materie utili all’agricoltura nel corso dell’anno. Alcuni settori hanno risentito maggiormente dell’andamento commerciale di prodotti agricoli, come per esempio, la meccanizzazione che per una sommatoria di motivi negativi ha fatto segnare un recesso di oltre 5.000 milioni rispetto al budget e di 3.500 milioni rispetto alle vendite dell’anno precedente. Riduzione si rileva nella commercializzazione dei mangimi semplici per la politica di vendita e nella commercializzazione del grano per diminuito valore unitario, ma aumento di quantitativo trattato. Per il comparto dei costi il consuntivo fa registrare una buona tenuta di tutti i costi gestionali, ad eccezione del costo del personale che fa registrare un aumento in assoluto, rispetto allo scorso anno, di oltre il 7%, nonostante la riduzione, nel corso dell’anno, di n. 7 dipendenti. La politica oculata nella gestione clienti, fornitori e stock di magazzino, ha permesso all’azienda di ottimizzare la gestione finanziaria, abbattendo notevolmente l’utilizzo complessivo e conseguentemente gli oneri finanziari netti. Nel concludere, il Direttore si ritiene soddisfatto del risultato del 1991, anno che ci ha visto attraversare difficoltà, specialmente dopo il commissariamento di Federconsorzi, nella consapevolezza però di iniziative che possano in futuro stabilizzare meglio i risultati»
Difficoltà si registrarono nel 1992. «Andamento della gestione. Il Direttore, su invito del Presidente, informa il Consiglio che il fatturato complessivo al 31 marzo 1992 fa registrare un decremento di Lire 3.231 milioni. Analizzando il dettaglio, il Direttore fa rilevare che le vendite di mezzi tecnici e materie utili alla data suddetta registrano un decremento di L. 1.178 milioni, la commercializzazione dei prodotti agricoli segna un decremento di L. 2.053 milioni. Da segnalare che in questo ultimo raggruppamento fanno parte L. 440 milioni di formaggio grana non più commercializzati» 174.
174. Incontro del Cda del 5 maggio 1992.
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Il 22 novembre 1993 (verbale numero 284), si parlò della chiusura della posizione debitoria del consorzio nei confronti di Fedit (Sgr). Mentre si stava procedendo alla completa autonomizzazione del consorzio agrario bolognese nei confronti della vicenda Federconsorzi e all’assolvimento di ogni pendenza, un altro fatto molto importante fu trattato, ossia fu iniziata la procedura per l’acquisto da parte del Cap, insieme con altri consorzi agrari, ma in posizione di assoluta maggioranza, della Sis (Società italiana sementi), di proprietà della concordataria Fedit e poi di Sgr. «Il Presidente (…) in relazione all’opportunità di rilevare le quote azionarie della società S.i.s. – Società Italiana Sementi – detenute da Federconsorzi, dopo aver ricordato che la partecipazione alle aste indette dal Tribunale non addivenirono ad alcun esito, informa che si intravede oggi la possibilità di riproporci per l’acquisizione di detta società, previa eventuale transazione dei debiti nei confronti delle banche, della procedura Federconsorzi e di altri piccoli creditori. Prosegue inoltre rammentando l’importanza strategica della società S.i.s., che può trovare ottimizzazione solo nell’ambito dell’organizzazione consortile; e precisa che all’eventuale nuova proposta sono interessati altri Consorzi Agrari. (…) Si ritiene (…) di sottoporre a questo Cda l’opportunità di acquisire insieme ad altri C.a.p., o eventualmente anche in proprio, la partecipazione in S.i.s. della ex-Federconsorzi, previa comunque transazione con i creditori».
In quel periodo, tra l’altro, si registrò l’Opa dell’Ina per l’acquisizione di F.a.t.a., di cui il Consorzio agrario provinciale di Bologna era nella posizione giuridica di agente (come peraltro molti altri consorzi agrari) dalla Sgr, dato che l’organismo assicurativo, oggi controllato dal Gruppo Generali, era di proprietà di Fedit. Nella riunione del Cda del 18 dicembre 1993 (verbale numero 285), «Il Presidente informa che stanno proseguendo i contatti per l’eventuale acquisizione della società Sis (…) Proseguendo comunica quindi che si riterrebbe opportuno, analogamente a quanto fatto per il seme da grano al fine di garantire il mantenimento dei brevetti, commercializzare il riso da seme ritirando il prodotto dagli agricoltori e facendolo lavorare negli stabilimenti S.i.s.».
E, finalmente nella riunione del Cda del 28 febbraio 1994 (verbale n. 287),
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«Il Presidente informa che la S.g.r. – Società Gestione per il Realizzo – tramite comunicazioni verbali, ci ha fatto sapere di aver aderito alla richiesta di cessione delle quote di maggioranza della società Sis da essa detenute. Comunica altresì che l’assemblea dei Soci della S.i.s. ha contestualmente dato mandato al proprio Liquidatore di fare richiesta di concordato».
Si procedette, dunque, alla deliberazione «di acquistare, congiuntamente ad altri Consorzi Agrari, o anche singolarmente (ed in questa seconda ipotesi con disponibilità a cedere successivamente parte delle quote ai Consorzi interessati), una società tramite la quale addivenire all’acquisto della quota di capitale sociale S.i.s. detenuta da Fedit».
Nel bilancio al 31 dicembre 1993, il Cda discusse sull’annosa questione dei crediti dei consorzi agrari, fra i quali quello bolognese, relativamente alle vecchie gestioni degli ammassi per conto dello Stato, una faccenda, come abbiamo visto, ancor oggi non risolta: «Per concludere e per completezza di informazione segnaliamo che l’ammontare dei saldi contabilizzati all’inizio di ciascuna gestione delle vecchie gestioni di ammasso dei cereali affidate al Consorzio Agrario per conto dello Stato (campagne relative agli anni 1961-62 e precedenti) ammontano a L. 127.205.921.182; in merito si precisa che il suddetto importo comprende sia la parte relativa al credito vantato dal Consorzio nei confronti dello Stato (…) che il credito vantato dagli istituti finanziatori sempre verso lo Stato per un importo di L. 81.179.182.203. Con il medesimo decreto legge, di cui è stato riferito nel commento del nostro credito, è stata disposta la regolazione del debito dello Stato e pertanto, alla scadenza del 31 gennaio 1994, gli effetti relativi non sono più stati rinnovati».
Tuttavia, il 1° settembre 1994 (verbale n. 291), si prese atto di un ennesimo nulla di fatto, a livello nazionale. «Il Presidente informa che il Senato, in data 1 agosto u. s., ha bocciato il Decreto 423 del 30-6-1994 che prevedeva l’eventuale liquidazione delle spese per le gestioni di ammasso per il grano nelle annate 62-63 e 63-64. Rammenta che detto decreto era stato varato originariamente
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dall’allora Ministro dell’Agricoltura Alfredo Diana, e successivamente reiterato più volte. Gli elementi che hanno contribuito alla sua bocciatura sottintendono evidentemente che, al di là dei diritto del credito già riconosciuto dal Ministero e da alcune denunce dei Tribunali (vedi quella relativa al C.a.p. di Milano), la soluzione è solo ed esclusivamente di natura politica».
Nel novembre 1994, precisamente nei giorni 5 e 6, il Nord-Ovest italiano fu colpito da una grave alluvione, che interessò soprattutto le province di Cuneo, Asti ed Alessandria. L’ondata di piena dovuta all’esondazione del Po, del Tanaro e di alcuni affluenti, come il Belbo nelle Langhe, provocando circa 70 vittime, con oltre 2.200 sfollati. Il Corriere della sera di martedì 8 novembre 1994, riferiva della drammatica situazione in cui si trovava il paese di Santo Stefano Belbo, travolto dal fango ed isolato, con danni anche ai materiali documentari del suo personaggio più rappresentativo, Cesare Pavese, autore della Luna e i falò e della Bella estate. Come in tante altre occasioni, anche allora il Consorzio agrario di Bologna mostrò la propria solidarietà concreta a favore delle popolazioni colpite. «Il Presidente, con riferimento al recente evento alluvionale che ha colpito il Settentrione e di cui sottolinea l’eccezionalità e la gravità, propone di devolvere a favore delle popolazioni alluvionate (o in alternativa a favore di enti o associazioni preposte alla ricostruzione), l’importo già stanziato dall’Amministrazione lo scorso anno per la relazione ai Dipendenti sull’andamento della riorganizzazione aziendale e per la manifestazione svoltasi in tale occasione, importo che ammontò a circa 14 milioni di lire» 175 .
Giungeva intanto notizia, di una serie di liquidazioni coatte di alcuni consorzi agrari del Sud. «Il Presidente, dopo aver rammentato che il Direttore del Consorzio Agrario di Siena dott. Mario Pucci è stato di recente nominato SubCommissario Governativo addetto alla vigilanza dei Consorzi Agrari, informa che lo stesso, con lettera del 18/7 u.s., ci ha portato a conoscenza degli ultimi provvedimenti adottati per alcuni Consorzi Agrari. In particolare, fa presente che il Consorzio Interprovinciale di Salerno, Napoli 175. Verbale numero 293 del Cda del 21 novembre 1994.
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e Avellino è stato posto in liquidazione coatta amministrativa con esercizio provvisorio, e che è stato nominato liquidatore il dott. Mario Capua (…); che l’avv. Catalano è stato nominato Commissario liquidatore, in sostituzione del prof. Margotta presso il C.a.p. di Bari-Brindisi, già in liquidazione coatta; per quanto concerne il Cap di Foggia, anch’esso in liquidazione coatta amministrativa, l’avv. Santangelo è stato nominato commissario liquidatore, in sostituzione del dott. Giannotti» 176.
Nella «relazione sulla gestione al bilancio d’esercizio al 31 dicembre 1994» si faceva presente che «L’esportazione è proseguita anche nel ’94 raggiungendo in alcuni settori un vero e proprio boom grazie alla perdita di valore della lira. Ciò non deve illuderci, perché la situazione monetaria lascia intravedere una ripresa dell’inflazione derivante da componenti esterni e fra questi il prezzo delle materie prime».
Inoltre, «il triennio che ha visto impegnata questa Amministrazione, è stato caratterizzato da eventi particolari che hanno comportato, e comporteranno ancora in futuro, mutamenti profondi nel modo di porsi e di gestire le attività di qualsiasi genere, ma in particolare l’agricoltura. Vogliamo qui ricordare l’apertura delle frontiere a livello europeo, la riforma della Politica agricola comunitaria, gli accordi Gatt. Il nostro Consorzio non è rimasto estraneo a tutti questi avvenimenti, anzi ha cercato in questi tre anni di mettere a frutto nel modo più efficiente le linee guida già dettate dal piano di ristrutturazione aziendale del 1990, adattandole a seconda della peculiarità degli eventi. Tutti i mutamenti e gli interventi aziendali sono stati supportati da un principio costante, quello di soddisfare nel modo migliore il produttore agricolo, con una struttura più efficiente e più flessibile».
Nello specifico, nel 1994 si registrarono un aumento della superficie cerealicola, con 74mila ettari seminati (+15% di tenero e -16% di duro), un buon andamento della barbabietola da zucchero (21mila ettari), che sarebbe stata fortemente ridotta nel 2005 con la riforma europea dell’Organizzazione comune di mercato dello zucchero, un discreto trend per la carne bovina e 176. Verbale n. 290 del Cda del 25 luglio 1994.
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un episodio che colpì il settore avicolo (salmonellosi nelle uova), con conseguente suo picco negativo a fine anno. Le vendite di concimi del consorzio salirono del +8,3% rispetto al 1993, gli antiparassitari del +5%, le sementi del +38% (in collaborazione con la Sis), le macchine agricole del +32%. Nel settore frutticolo, da sempre vanto della produzione agricola dell’Emilia Romagna, aveva fatto apparizione l’actinidia, nota a tutti come kiwi, un frutto di origine neo-zelandese di cui l’Italia sarebbe diventata, negli anni successivi, il primo produttore mondiale. Sempre nel 1994, il consorzio avvio trattative con la Sgr, «per l’acquisto di 5 magazzini già di proprietà Federconsorzi siti a Budrio, San Lazzaro di Savena, Ozzano, Calderara di Reno e Castel San Pietro». Dal 1993, inoltre, il Consorzio agrario di Bologna impostò il progetto dei poli, «che prevedeva, tra l’altro, la trasformazione della maggior parte degli agenti che gestivano piccoli depositi, in agenti tecnico-commerciali senza deposito, i quali facevano riferimento a strutture poli-funzionali». Questa strategia portò alla chiusura di sedi periferiche obsolete, mentre altre, in luoghi centrali di alcune località, come Idice, Granarolo, Cadriano, nell’hinterland bolognese, si specializzavano in offerte commerciali per il garden177. Il Consorzio agrario si avviava verso la sua modernizzazione, con crescita dell’assistenza tecnica e del supporto finanziario agli agricoltori e incremento del volume d’affari. Il presidente Francesco Cavazza Isolani, nell’Assemblea Ordinaria dei Soci del 28 aprile 1995, affermava: «dopo il riassetto organizzativo la nostra azienda si sta avviando a caratterizzarsi come il supporto per eccellenza al mondo agricolo, nonché la cerniera tra il mondo agricolo e l’industria di trasformazione».
È del 1998 l’acquisizione, da parte del Consorzio agrario di Bologna, di quello di Modena. Forte dei cambiamenti degli anni Novanta, l’ente bolognese si avviava ad affrontare il nuovo secolo. Il primo decennio del 2000 sarebbe stato contraddistinto da un altro piano di razionalizzazione, fino al raggiungimento, dal 2008 in avanti, di un’invidiabile situazione gestionale e finanziaria. .A, 177. Testimonianza di D. Brandani nel focus-intervista già citato.
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1. Uno scorcio di Bologna nel 1901, anno di nascita del Consorzio agrario bolognese, con le torri Artenisi e Riccadonna, abbattute nel 1917
2. Giovanni Raineri, padre fondatore della Federconsorzi
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3. Frontespizio di pubblicazione del 1901 con listino dei prezzi delle merci
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4. Volantino pubblicitario di un’azienda tedesca del 1900 conservato nell’archivio cartaceo del Consorzio agrario dell’Emilia
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5. Copertina del Bollettino del Consorzio agrario bolognese in un’edizione del 1909
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6. Lî?¸antica sede del Consorzio in via Maggiore (oggi Strada Maggiore) nel centro di Bologna
7. Torre degli Asinelli e Garisenda
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8. Scena di mietitura nella campagna bolognese nei primi anni del ‘900
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9. Vista d’epoca dall’alto con antichi trattori
10. Mietitrici sotto il sole
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11. Covoni caricati su carro trainato da buoi
12. Un autocarro del Consorzio agrario di Bologna trasporta trattrici
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13. Vittorio Peglion, docente universitario e senatore. Fu presidente del Consorzio agrario provinciale di Bologna in epoca fascista, dall’aprile 1934 al marzo 1939
14. Antonio Masetti Zannini, nobile bolognese, presidente del Consorzio agrario dal dicembre 1922 all’aprile 1934, ritratto con la moglie
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15. Volantino pubblicitario del Consorzio felsineo stampato durante il fascismo (archivio Sis).
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16. Frontespizio del Bollettino del Consorzio e del Comizio agrario di Bologna con la dea Cerere, in un disegno di Maiani (archivio Sis-Claudio Mattioli)
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17. Dichiarazione dell’esercito tedesco, durante l’occupazione in Italia, per consentire la continuità del lavoro del dipendente nel Consorzio agrario di Bologna ed evitare la deportazione.
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18. Ferruccio Ragazzoni, direttore del Consorzio agrario, assassinato dai partigiani il 29 marzo 1945, alle 9 del mattino, mentre era seduto alla sua scrivania in Strada Maggiore a Bologna
19. Il verbale originale del Consiglio di amministrazione, che prendeva atto dell’uccisione del direttore
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20. La notizia dell’omicidio di Ragazzoni cosÏ come apparve sul Resto del Carlino del 29-30 marzo 1945
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21. Certificato di visione e approvazione di delibere commissariali del Consorzio agrario provinciale di Bologna del 24 aprile 1945, con visibile il timbro sovraimpresso della Repubblica Sociale Italiana (Salò)
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22. Corrado Mantoni: annunciò alla radio la fine della guerra. In seguito divenne un popolare presentatore televisivo. Il secondo conflitto mondiale lasciò gravi danni alle strutture logistiche del Consorzio agrario
23. Angelo Schiavio, campione del Bologna e della Nazionale azzurra. Il Consorzio agrario di Bologna apparve in varie réclame pubblicitarie al Littoriale, lo stadio costruito durante il fascismo (dal 1983 “Renato Dall’Ara”)
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24. Dichiarazione del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste del 4 marzo 1946 con indicazioni su delibere commissariali del Consorzio agrario di Bologna
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25. Silvana Mangano, protagonista del film drammatico Riso Amaro, di Giuseppe De Santis, prodotto da Dino De Laurentis (1949). Raccontava una storia sullo sfondo della dura vita nelle risaie piemontesi. Qui a destra, la locandina del film
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26. L’azienda agricola “Idice” in una splendida immagine. Il sito, dove oggi si trovano la sede e lo stabilimento della Società italiana sementi (Sis), fu acquistato nel 1946 in occasione del trasferimento a Bologna della società “La Foraggera” (archivio Sis)
27. L’agenzia di Budrio in una fotografia scattata intorno al 1950
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28. Pergolato sopra l’ingresso dell’agenzia di Castel San Pietro (Bologna)
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29. Antichi magazzini del Consorzio agrario a Bologna 30. Un’immagine dell’agenzia di San Pietro in Casale negli anni ’50 del ‘900
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31. Magazzini del Consorzio presso lo scalo ferroviario di San Donato a Bologna
32. Capo bovino vinto da un agricoltore bolognese in occasione di un sorteggio gratuito tra gli associati del Fondo assicurativo tra agricoltori (F.a.t.a.) nel 1955
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33. Suggestiva immagine con nuvole dell’agenzia di Castelmaggiore (Bologna) negli anni ’50 del ‘900
34. L’antico magazzino centrale di Bologna del Consorzio
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35. Immagine panoramica d’epoca con distributori di benzina dell’agenzia del Consorzio agrario di Medicina, nella pianura bolognese
36. Antiche pompe di benzina agricola del Consorzio agrario ad Imola
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37. In primo piano un trattore Fiat in un centro macchine del Consorzio agrario negli anni ’50 del ‘900
38. Ricambi di macchine agricole
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39. Lavoratrici addette alla selezione della frutta
40. Certificato di azioni societarie del Consorzio agrario di Bologna del 1951
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41. Il magazzino di stagionatura dei formaggi del Consorzio agrario a San Giovanni in Persiceto
42. Parmigiano Reggiano (a crosta gialla e a crosta nera) messo a stagionare nelle scalere del magazzino del Consorzio agrario a metĂ del ‘900
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43. Medaglia commemorativa in bronzo coniata nel 1951 in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione del Consorzio agrario di Bologna
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44. Renato Codicè, prima commissario governativo e poi presidente per 30 anni (marzo 1953 - febbraio 1983) del Consorzio agrario di Bologna
45. Filiberto Fantoni, direttore del Consorzio agrario di Bologna dal 1965 al 1989
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46. La sede del Consorzio agrario di Bologna, in via Mattei, nella prima periferia metropolitana in un’immagine degli anni Settanta
47. Fotografia di gruppo dei dipendenti del Consorzio agrario di Bologna nel 1976
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48. Il complesso polifunzionale di San Giorgio di Piano (Bologna) che ospita anche la nuova sede del Consorzio agrario dell’Emilia
49. Stemma del Consorzio agrario di Modena, acquisito dal Consorzio agrario di Bologna nel 1998
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50. Il centro macchine del Consorzio agrario dell’Emilia
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51. Suggestivi effetti cromatici nei campi sperimentali della Sis
52. La palazzina di ricerca della Società italiana sementi (Sis), il cui socio di maggioranza è il Consorzio agrario dell’Emilia
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53. Ammasso di grano a Castelfranco Emilia (particolare)
54. Il garden center di Idice a Ozzano Emilia, in occasione delle festivitĂ natalizie
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55. Due immagini della sede, a Reggio Emilia, del Consorzio agrario provinciale
56. Simone Nasi, giĂ presidente del Consorzio agrario di Reggio Emilia
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57. Gabriele Cristofori, presidente del Consorzio agrario dell’Emilia
58. Angelo Barbieri, direttore del Consorzio agrario dell’Emilia
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59. Stefano Ravaglia (a sinistra), Claudio Mattioli (al centro) ed Antonio Lelli (a destra). Mattioli è direttore generale della Sis
60. Il frumento, tra le principali materie prime trattate dai consorzi agrari
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61. Aratura
62. Panoramica di Bologna
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Terza parte – Il XXI secolo. Dal Consorzio Agrario Bolognese al Consorzio Agrario dell'Emilia
III. IL CONSORZIO AGRARIO DELL’EMILIA. UNA REALTA’ PROIETTATA NELLA MODERNA AGRICOLTURA 1. L’andamento dell’ente consortile bolognese nel primo decennio del 2000 e il piano di razionalizzazione
C
on le trasformazioni intercorse nel sistema agricolo ed agro-alimentare dalla fine degli anni Ottanta del ‘900, che hanno portato ad una situazione di sempre maggiore competizione, soprattutto legata alla globalizzazione dei mercati e delle attività di trading, ed in seguito ai contraccolpi incassati, anche da parte di consorzi con gestioni positive e andamenti finanziari favorevoli, dopo la vicenda del collasso della Federconsorzi del 1991, che determinò un generale condizionamento negativo anche sull’atteggiamento delle banche per la concessione di prestiti fiduciari, anche il consorzio agrario di Bologna (che assorbì quello di Modena nel 1998), ha dovuto affrontare un complesso piano di razionalizzazione e di modernizzazione. Pur non avendo mai raggiunto posizioni finanziario-debitorie paragonabili a quelle di altri consorzi agrari, costretti a seguire la strada obbligatoria della liquidazione volontaria o coatta amministrativa e del commissariamento, il consorzio agrario di Bologna, a partire dal 1992, l’anno successivo al cedimento dell’ente federconsortile, iniziò a manifestare una sequenza di risultati gestionali negativi, dal -0,91 per cento del 1992, al picco negativo del -4,46% del 2003. Nel 2004, fu avviato un processo di profondo rinnovamento nella strutturazione delle attività del Consorzio, che prevedeva la chiusura delle sedi periferiche più obsolete, la creazione di centri poli-funzionali di servizi sul territorio di competenza, la costruzione ex-novo di grandi centri di stoccaggio – al fine di stimolare economie di scala, e con moderne tecnologie, adatte al nuovo scenario e alle insorgenti esigenze delle aziende agricole, e dei soggetti interlocutori, come l’industria molitoria e pastaria. Nel 2005, fu inaugurato il complesso poli-funzionale di Castel-
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franco Emilia (Modena), che determinò un investimento di circa 13 milioni di euro, con una superficie coperta di 7.500 metri quadrati, un’agenzia, un centro-macchine, una struttura per il garden e un polo di stoccaggio per i cereali della capacità di oltre 20mila tonnellate, diventate successivamente 40mila, con possibilità di essiccare circa 1.000 tonnellate al giorno di commodities cerealicole. A ciò si aggiunse una nuova agenzia e il primo garden center apparso nel Modenese, a Castelnuovo Rangone. Fu inoltre ampliato il polo di Crevalcore (Bologna) e decisi investimenti per il potenziamento del centro di San Giorgio di Piano (Bologna), con aumento della capacità di stoccaggio dei cereali da 200mila a 300mila quintali, e modernizzazione del deposito dei prodotti petroliferi. Il risultato economico del 2004 del Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena, indicava un fatturato di 272 milioni (in crescita del +10,9% rispetto al 2003), con una sensibile diminuzione della perdita ante imposte, di 773mila euro, rispetto ai quasi 3 milioni del 2003 (-75%). Nel 2006, anno nel quale iniziarono ad apparire i segnali dell’escalation delle quotazioni internazionali dei cereali, manifestò dati di bilancio con crescita dei valori della produzione sia aggregata (ossia della capogruppo, il Caip, insieme alle società controllate), di 283 milioni di euro (rispetto ai 262 del 2005, con trend ascendente del +7,5%), sia della capogruppo considerata singolarmente (123,8 milioni rispetto ai 119,4 del 2005). Già dal 2004, il risultato di gestione cominciò a rallentare il suo andamento negativo, con un -2,57, che scese progressivamente, fino a raggiungere il -1,09 nel 2007. Nel 2008, apparve il primo risultato di gestione positivo dopo molti anni (+0,13 per cento), che, con la presidenza di Gabriele Cristofori, presidente del Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena dal 2009, affiancato dal direttore Angelo Barbieri, che ha assunto questo incarico nel 2003, ha preso quota, fino anche a sfiorare il +1 per cento nel 2010, un dato altamente significativo, questo, che, dopo un periodo di lunga e complessa transizione, ha indicato il maniera inequivocabile il successo del piano di razionalizzazione avviato nel 2004. Il trasferimento della sede del Consorzio agrario, dalla sede bolognese di via Enrico Mattei, alla nuova ed architettonicamente av-
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veniristica struttura in vetro e acciaio di via Centese a San Giorgio di Piano178, nella pianura bolognese, ai confini con Argelato, integrata con un grande polo per lo stoccaggio dei cereali e le macchine agricole, ha segnato simbolicamente per l’ente consortile felsineo l’uscita da una situazione di trasformazione e il giro di boa della modernizzazione peraltro senza preoccupanti aut-aut. Tanto che il Consorzio bolognese, è stato tra i primi cinque consorzi agrari italiani a dare vita, insieme a quelli del Lombardo-Veneto, di Grosseto, Padova e Siena, alla società “Consorzi agrari d’Italia”, che rappresenta la rinascita di un’associazione nazionale dei consorzi agrari, partendo da quelli più efficienti e dinamici. .A, 2. Il Consorzio agrario di Bologna, un ente a servizio dell’agricoltura sempre in bonis
S
ono trascorsi oltre 111 anni da quel giorno d’aprile del 1901, quando un gruppo di possidenti agrari, agricoltori ed impiegati in varie altre attività nel capoluogo bolognese, con l’egida dalla Banca Popolare di Credito di Bologna e il placet ricco d’intenti del suo presidente Francesco Isolani, istituzionalizzava la costituzione del Consorzio Agrario Bolognese, in un momento nel quale stavano sorgendo, in altre parti d’Italia, altre analoghe iniziative, che avrebbero gradualmente sostituito i precedenti comizi agrari, nell’attività di supporto, attraverso la commercializzazione di mezzi tecnici a prezzi agevolati, le iniziative sul credito, l’assistenza tecnica, allo sviluppo di un sistema agricolo ancora molto arretrato. La lunga storia dell’ente consortile, che si è intrecciata con una miriade di eventi, sia di carattere generale – come la Grande Guerra, il fascismo, la Seconda Guerra Mondiale, il sistema politico-partitico della Prima Repubblica, le crisi economiche internazionali – sia di carattere particolare – come, soprattutto, la crisi e il collasso di quell’organismo associativo dei Consorzi agrari, la Federconsorzi, che ha condizionato le sorti dei consorzi agrari per quasi 100 anni, dal 1892 al 1991, anno del suo commissariamen178. L’insediamento nella nuova sede di San Giorgio di Piano è avvenuto il 21 settembre 2009.
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to – ha accompagnato la crescita dell’agricoltura italiana, che oggi appare irriconoscibile rispetto alla sua condizione dei primi del Novecento. Sostituendo il comizio agrario, il consorzio agrario di Bologna ha progressivamente esteso la propria attività, rafforzato la propria base sociale e la propria offerta alle aziende agricole, sempre più configurate in base al sistema della piccola proprietà a conduzione diretta, sapendo tuttavia salvaguardare, pur con qualche inevitabile momento di preoccupazione e difficoltà, dovute sia alle congiunture negative sia a qualche episodio gestionale con aspetti discutibili, la propria autonomia nei confronti di tentativi di condizionamento esterno (ad esempio della Federconsorzi, organizzazione che tuttavia ha spesso contribuito positivamente all’attività dell’ente), e uno stato finanziario e patrimoniale che non è mai sfociato liquidazioni volontarie o coatte. È questo un aspetto da sottolineare. Mentre vari altri consorzi agrari italiani, hanno dovuto attraversare burrasche finanziarie e commissariamenti dovuti a situazioni debitorie acute, fino, talvolta, alla loro definitiva liquidazione e relativo fallimento, il Consorzio agrario provinciale di Bologna è stato sempre una realtà in bonis, ossia in una condizione di salute finanziaria o, al limite, di leggero malessere, poi rientrato dopo diagnosi e cure azzeccate. L’unico episodio di commissariamento governativo della storia del consorzio, deciso il 13 ottobre 1950, è da considerarsi unicamente il risultato di una delicata situazione politica fra gli organi eletti dell’ente e della conseguente crisi con evidenti caratteri di artificiosità. La radicata realtà del Consorzio Agrario Provinciale di Bologna, dopo essere uscita indenne dal crack della Federconsorzi, ha dimostrato la propria solidità patrimoniale in primis nel 1998, quando fu deciso di rilevare il vicino Consorzio agrario di Modena (storica realtà sorta nel 1885), che versava in una situazione di liquidazione coatta amministrativa, operazione che diede luogo alla trasformazione del Cap di Bologna in Caip (Consorzio interprovinciale di Bologna e Modena) e poi nel 2012, quando, a partire dalla primavera, sono state realizzate le operazioni societarie e giuridiche necessarie per la fusione per incorporazione, formalizzata ufficialmente il 1° novembre 2012, da parte del Caip, del Consorzio agrario di Reggio Emilia (Care), operazione questa che ha costituito il Consorzio agrario dell’Emilia. .A,
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3. La nascita del Consorzio agrario dell’Emilia
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opo una complessa fase preliminare e i relativi studi di fattibilità, nel giugno 2012, le assemblee straordinarie dei soci del Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena e del Consorzio agrario di Reggio Emilia, hanno approvato la fusione tra le due storiche realtà consortili. Come si è argomentato nel 6° paragrafo del capitolo I, la strategia della giovane società “Consorzi agrari d’Italia” è quella di costituire aggregazioni volontarie e concordate di consorzi agrari, in bacini territoriali e produttivi contigui ed omogenei, al fine di valorizzarne le sinergie, realizzare economie di scala, razionalizzarne le strutture e le attività, innalzarne la capacità contrattuale e la massa critica nei vari segmenti. Per quel che riguarda il bacino emiliano, a forte vocazione cerealicola, ortofrutticola e zootecnica, il significato dell’operazione che ha portato alla costituzione del Consorzio agrario dell’Emilia è quello di fondere in un’unica realtà le attività consortili per i bacini di Bologna, Modena e Reggio Emilia. Ciò, in un contesto nazionale e internazionale nel quale la tendenza va nella direzione di un aumento delle dimensioni, specialmente per imprese a bassa marginalità, ossia non orientate, per le loro caratteristiche di attività, all’ottenimento di grandi utili: un macro-settore nel quale rientrano anche i consorzi agrari. Nel 2010, le vendite del Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena (concimi, materie plastiche, irrigazione, sementi, antiparassitari, mangimi, macchine, ricambi, carbolubrificanti, garden, alimentari, cereali) hanno raggiunto il valore di 151,3 milioni di euro. Per i propri, simili ambiti di azione, invece, il Consorzio agrario di Reggio Emilia ha ottenuto 71,4 milioni. Complessivamente le due realtà consortili, sempre nel 2010, hanno realizzato vendite per 222,7 milioni. Gli indicatori evidenziano come il maggior punto di forza del Consorzio agrario di Bologna e Modena sia la superiore capacità performante dal punto di vista finanziario e gestionale rispetto a quello di Reggio Emilia. L’ente consortile di Reggio Emilia, dal canto suo, presenta un quadro finanziario maggiormente equilibrato rispetto al consorzio bolognese. Vari sono i motivi economico-finanziari individuati che hanno fat-
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to optare per l’aggregazione delle due realtà, che porterebbe queste opportunità: a) unire i punti di forza dei due consorzi, anche al fine di mitigarne le debolezze (migliore gestione caratteristica e tenuta del Caip di Bologna e Modena e miglior equilibrio finanziario del Care); b) giungere a dotazioni strumentali più efficienti, a fronte di un’ottimizzazione delle strutture, con un maggior utilizzo e conseguente razionalizzazione degli impianti disponibili; c) concentrare le attività in strutture più efficaci, evitando duplicazioni, potendo così dismettere strutture non più strategiche; d) diluizione dei rischi d’impresa, con conseguente maggior stabilità della nuova società, mitigazione del rischio di mercato come effetto della maggior diversificazione delle attività, naturale unificazione territoriale. Sul versante delle sinergie derivanti dalla fusione dei diversi settori aziendali, nel dettaglio, si sono individuati questi benefici: a) nel settore commerciale si ipotizza un incremento dei volumi d’affari e, conseguentemente di quelli d’acquisto, con conseguente elevazione del potere contrattuale; b) nel comparto delle produzioni industriali si prevede un miglior sfruttamento degli impianti sementieri e la possibilità di realizzazione di sistemi integrati per maggiori produzioni specialistiche; c) nel segmento delle macchine agricole si profila la possibilità, da parte della nuova realtà consortile, di adottare scelte di marchio più opportune e di ottenere condizioni migliori nei rapporti con i fornitori; d) nella commercializzazione dei prodotti, soprattutto quelli del core business, ossia i cereali, la fusione tra i due consorzi dà luogo a maggiori volumi, ed all’aumento della capacità contrattuale nel mercato; e) nella logistica, Sicap, la società logistica controllata all’80 per cento dal Consorzio agrario di Bologna e Modena, potrà gestire tutta l’attività dei due bacini – quello felsineo-modenese e quello reggianoemiliano – con le conseguenti economie di scala;
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f) nel settore assicurativo, operando entrambi i consorzi agrari come agenti F.a.t.a., esiste l’opportunità di ottimizzare le strutture organizzative; g) dal punto di vista delle società controllate, aumenta, con la fusione, il peso della partecipazione nella Sis (la Società italiana sementi), mentre Eurocap petroli, società che gestisce i centri di ritiro e stoccaggio dei cereali, le materie utili all’agricoltura e i carburanti, potrà aumentare la massa critica con un migliore utilizzo dei depositi. E il nuovo consorzio ottiene le maggioranza delle quote in Emilcap. Dal punto di vista delle economie gestionali, con la fusione per incorporazione si prevede una riduzione dei costi generali e una minore incidenza delle spese di governance, e di hardware e software, una riduzione progressiva del personale dipendente di circa 15 unità tramite turn over e senza operazioni straordinarie, e, a livello di magazzinaggio, sarà diminuito il livello medio delle scorte rispetto alla somma algebrica delle stesse, con vantaggi anche di natura finanziaria. Per la gestione del patrimonio immobiliare si sfrutterà la complementarietà evitando le duplicazioni e, per quella delle partecipazioni societarie (Emilcap, Cer, Sis, Chigi, Cai), aumentando la sottoscrizione azionaria, crescerà il peso decisionale. Considerando gli oneri finanziari, si prevede inoltre un miglioramento della gestione finanziaria, che deriverà dagli effetti positivi della gestione e da una migliore rotazione del capitale investito. Importante è anche l’aspetto del rafforzamento patrimoniale. Il patrimonio netto contabile aumenterà probabilmente in maniera talmente importante da produrre vantaggi sulla capacità di credito presso il sistema bancario e i creditori. Si ipotizza anche un migliore equilibrio finanziario a breve e medio-lungo termine. In generale, dalla fusione del Consorzio agrario provinciale di Bologna e Modena con quello di Reggio Emilia, si attende il miglioramento dei servizi resi ai soci e ai clienti, con miglior utilizzo delle risorse, maggiore efficienza ed efficacia legata all’integrazione dei rami tecnici dei due consorzi, diversificate e più elevate opportunità finanziarie, maggiori e migliori condizioni contrattualistiche.
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Nel bacino agricolo di Bologna, Modena e Reggio Emilia, in base ai dati Istat del Censimento agricolo 2010, 21.917 aziende investono oltre 312mila ettari in seminativi, 6.858 in impianti frutticoli per quasi 22mila ettari, 10.010 con vigneti per quasi 23mila ettari, circa 15mila in altre tipologie di colture per oltre 46mila ettari. In zootecnia operano nel comprensorio 3.610 imprese agricole che allevano oltre 269mila capi bovini ed altre 564 dedite all’allevamento di 792mila capi suini. Sempre da dati 2010, inoltre, i consorzi agrari di Bologna e Modena e di Reggio Emilia, hanno ricevuto conferimenti per 105.360 tonnellate di frumento tenero (delle quali, 87.850 al Consorzio agrario di Bologna e Modena e 17.510 a quello di Reggio Emilia), 62.990 di frumento duro (53.422 al Caip e 9.568 al Care), 113.919 di mais (97.855 al Caip e 16.055 al Care), 34.552 (31mila al Caip e 3.552 al Care), 4.484 di soia (tutti ritirati dal Caip) e 7.976 di altri prodotti agricoli (Caip). Complessivamente, il Consorzio agrario dell’Emilia179, si viene a delineare come una realtà in grado di sviluppare un fatturato di 320 milioni di euro, con un complesso di 52 agenzie territoriali, 19 centri di stoccaggio, 10 garden center, 12 agenzie assicurative (filiali) F.a.t.a., 8 depositi di carburanti, 3 centri macchine, 6 discount ed 8 essiccatoi. Da Bologna, dunque, parte una grande operazione – che si affianca ad altre, in primis, quella, afferente al bacino della Romagna e delle Marche, che ha visto la nascita, sempre nel 2012, dopo lungo iter propedeutico, del Consorzio agrario adriatico, che fonde le realtà dei Consorzi agrari di Forlì-Cesena, Rimini, di Macerata, di Pesaro-Urbino e del Piceno (Ascoli Piceno e Fermo) – che dipinge i primi tratti dell’identi-kit di quella che sarà la strutturazione del network di consorzi agrari riuniti nella new.co “Consorzi agrari d’Italia”. .A,
179. Cfr. R. Faben, “Cereali, un maxi-consorzio in Emilia. Via libera alle procedure per l’aggregazione tra il Caip di Bologna e Modena e il Care di Reggio. La nuova realtà da 320 milioni di fatturato unisce specializzazioni cerealicole e mangimistiche”, Agrisole-Il Sole 24 Ore, 30 marzo-5 aprile 2012 e R. Faben, “Si scaldano i motori per il maxi-consorzio dell’Emilia”, Agrisole-Il Sole 24 Ore, 1-7 giugno 2012.
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4. Il Consorzio agrario di Reggio Emilia, una storia che s’incontra con quella del consorzio bolognese
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el 1875 la Società agraria si fuse con il Comizio agrario reggiano, sorto nel 1861, e assunse il nome di Consorzio agricolo di Reggio Emilia, che divenne socio della Federazione italiana dei consorzi agrari alla sua nascita. Essendo sorti nella provincia reggiana altri consorzi agricoli (Cooperativa agricola reggiana, Federazione agricola reggiana, Consorzio degli agricoltori reggiani, Consorzio cooperativo di Montecchio, Consorzio agrario cooperativo della montagna reggiana, Consorzio agrario cooperativo di San Martino in Rio, Consorzio agrario cooperativo di San Polo d’Enza, Consorzio agrario cooperativo scandianese) si decise, nel 1933, la loro fusione nel “Consorzio agrario cooperativo reggiano”. La formalizzazione dell’operazione avvenne il 28 settembre 1933, a Reggio Emilia, in via Guidelli 8, presso la sede della “Federazione provinciale fascista agricoltori”, con rogito notarile del «Dottor Ferrante Prati fu Dottor Daniele Regio Notaro». A seguito della fusione, si legge nell’atto legale, «la nuova società “Consorzio agrario cooperativo reg giano”, subingredisce di pieno diritto in tutto il patrimonio attivo e passivo di questa società, in tutte le sue ragioni, diritti, obblighi ed impegni di ogni specie e natura anche se posteriori al 31 dicembre 1932, nessuno escluso né eccettuato, dichiarandosi, in relazione all’articolo 194 del codice di commercio, che alla estinzione di tutte le passività di questa società sarà provveduto, nelle rispettive condizioni di scadenza, dalla nuova società “Consorzio agrario cooperativo reg giano» 180 .
La fusione, «deliberata dalle otto società comparenti era stata dichiarata di pubblico interesse con decreto 9 settembre 1932-X del Guardasigilli Ministro per la Grazia e Giustizia pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno N. 213 del 14 settembre 1932» 181 .
180. Repertorio n. 2862/2814. 181. Atto costitutivo del Consorzio agrario cooperativo reggiano, Tipografia Morini, Reggio Emilia, 1934.
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Lo Statuto del nuovo consorzio agrario, al Titolo 1 (“Costituzione, scopo, durata e sede della Società”), stabiliva: «È costituita in Reg gio Emilia una società anonima cooperativa con la denominazione “Consorzio Agrario Cooperativo Reg giano”» (art. 1) «La società si propone di: 1) acquistare per conto proprio o di terzi e distribuire ai propri soci ed agricoltori in genere, merci, prodotti, attrezzi, macchine, scorte vive e morte, occorrenti all’esercizio dell’agricoltura ed eventualmente al consumo delle famiglie coloniche; 2) vendere, sia per proprio conto, sia per conto di terzi, i prodotti agrari dei soci e degli agricoltori in genere; 3) acquistare macchine ed attrezzi agricoli in genere ecc. per cederli in noleg gio ai soci; 4) facilitare le operazioni di credito agrario dei propri soci. Al fine di meglio conseguire gli accennati scopi il Consorzio farà parte della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari con sede in Roma». Art. 3. La società potrà pure esercitare altre funzioni dirette al miglioramento dell’agricoltura e al benessere delle classi agricole fra cui: a) istituire nella provincia ed eccezionalmente fuori di essa, uffici, magazzeni e stabilimenti per la produzione, per la conser vazione, per l’acquisto e per la vendita di prodotti agrari e derrate in genere, o di prodotti occorrenti all’esercizio della agricoltura o della industria; b) partecipare con altre società e con privati alla conser vazione, alla trasfor mazione ed al commercio per la vendita all’interno e per l’esportazione all’estero dei prodotti agrari e derrate in genere; c) assumere la liquidazione di società aventi scopi affini; d) propagare l’istituzione agraria, istituire laboratori di analisi, impiantare campi di esperimento e vivai, promuovere il miglioramento delle razze di bestiame, fare quant’altro può portare aiuto e miglioramento all’agricoltura per il mag gior sviluppo della produzione agricola; e) cooperare con le associazioni consorelle allo scopo di esercitare un’alta missione di affratellamento fra le varie classi che costituiscono la grande famiglia degli agricoltori. Il Consiglio di amministrazione deter minerà se, ed in qual misura, i non soci possano partecipare alle operazioni sociali».
E, al titolo II (“Patrimonio della società”):
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Art. 5 – Il patrimonio sociale è costituito: a) dalle azioni sottoscritte dai soci il cui valore è di lire 100 (cento) cadauna; b) dalla riser va; c) dai fondi speciali che venissero istituiti per operazioni e gestioni deter minate. Dopo il compimento del terzo esercizio sociale, qualora la riser va giunga a superare una volta e mezzo il capitale sottoscritto, l’assemblea potrà deliberare di ripartire il fondo di riser va fra i soci regolar mente inscritti assegnando ad essi un numero uguale di azioni per ciascuna azione da ogni socio posseduta, lasciando poi la residua azione nel fondo di riser va. Art. 6 – Il capitale sociale ed il numero di azioni sono illimitati».
Nel 1939, con la “legge Rossoni”182, divenne “Consorzio agrario provinciale di Reggio Emilia”. Molto interessante è una pubblicazione curata da questo consorzio nel 1949, che faceva il punto sulle migliori cultivar di frumenti, in uso e di nuova introduzione, nella provincia di Reggio Emilia – che, all’epoca, vantava una produzione media di 800mila quintali annui di grano – per incentivare gli agricoltori a continuare a sostenerne la coltivazione, un problema questo che è ancora di attualità in Italia. «Dalle zone fertilissime della Bassa Reg giana rivierasche del Po, alle zone collinari e montane sino ai 1000 metri circa di altitudine, la coltura del frumento si estende, con le sue numerose razze adatte ai singoli ambienti e terreni, su circa 40.000 ettari di territorio portando l’alimento indispensabile ad una forte e provetta schiera di agricoltori, oltreché al resto della pur numerosa popolazione occupata in altre attività produttive. Il ribasso del prezzo del frumento, deter minatosi specialmente dopo il raccolto 1949, potrà forse allar mare non pochi agricoltori i quali penseranno che non sia più conveniente coltivare detto cereale poiché si è già manifestato in Italia un eccesso di produzione. Ma superproduzione effettivamente non c’è, in quanto tutti sanno che il nostro Paese è ben lontano dall’aver coperto il proprio fabbisogno e le importazioni di grano estero sono tuttora necessarie. Il ribasso del prezzo quindi non è altro che un ulteriore passo verso la stabilizzazione economica nazionale. D’altra parte questo ribasso 182. Vedi il Capitolo Primo.
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non deve indurre l’agricoltore a diminuire la superficie investita nella coltivazione del grano, aumentando quella delle altre colture (foraggiere, industriali, ecc.), poiché anche per i prodotti di esse arriverà certamente, se non è già arrivato, il periodo di stabilizzazione dei prezzi ed un forte aumento di produzione potrebbe forse deter minare un vero tracollo con danni incalcolabili per le aziende agricole. È necessario invece incrementare la produzione dei cereali in genere e del grano in particolare, senza aumentarne la superficie, affinché le rese più alte possano ripagare le mag giori spese e compensare la diminuzione del prezzo avvenuta» 183 .
Nell’introduzione a questa pubblicazione, amplissimi meriti sono attribuiti alla figura del genetista italiano Nazareno Strampelli. Box 22. Nazareno Strampelli, il genetista dei frumenti che non aderì al “Manifesto della razza” Pur essendosi iscritto al Partito nazionale fascista nel 1925, anno nel quale fu lanciata la campagna d’incremento delle rese cerealicole nei campi italiani, nell’ambito della più generale “battaglia del grano”, e nonostante il corteggiamento di Mussolini, per il suo contributo all’aumento della produzione italiana di frumento, che lo fece eleggere, incurante della sua ritrosia, senatore, Nazareno Strampelli, nato a Castelraimondo (Macerata) il 29 maggio 1866, non aderì al “Manifesto della razza”.
183. Consorzio Agrario Provinciale – Reggio Emilia, Grani da seme di razze elette coltivati e di nuova introduzione nella provincia di Reggio Emilia, Poligrafica Reggiana, Reggio Emilia, 1949, p. 7. Molto suggestive, sono, in questa pubblicazione, le descrizioni tecniche delle varietà di frumenti consigliate per il territorio reggiano. Per il “Fiorello”, adatto alla pianura: «Deriva dall’ibrido artificiale n. 157 (Centottantotto – Damiano) creato recentemente dall’Istituto di Allevamento Vegetale per la Cerealicoltura di Bologna. Grano autunnale, tenero, precoce; culmi di taglia bassa come il Damiano, più sottili ma notevolmente elastici e pertanto resistenti all’allettamento; spighe ristate, color bianco paglierino, sul tipo di quelle della razza Centottantotto (tratta dal Cologna a grana lunga), più compatte e più corte ma notevolmente più fertili; interessanti sono i granelli che hanno la grossa mole del Cologna a grana lunga, color rosso fromentino ed ottime caratteristiche qualitative». Per il “Roma”, indicato per collina e montagna: «Ottenuto dal sen. Nazareno Strampelli, è il tipo T. XI – 1929 dell’ibrido interspecifico Akagomughi – Triticum villosum (1927): quest’ultima specie è una graminacea spontanea. Grano autunnale, tenero, precoce; spighe mutiche, rossicce, serrate; cariossidi color rosso fromentino, ovali-ellittiche, con profilo leggermente concavo, frattura farinosa; culmi alti m. 1,30-1,50, elastici, abbastanza resistenti all’allettamento; paglia lunga, rossiccia. Molto resistente alle ruggini, ai freddi invernali ed ai geli…».
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Appassionato della ricerca e con idee geniali, al punto da ottenere risultati ancor oggi internazionalmente riconosciuti nel campo del breeding, ossia del miglioramento varietale, aveva evidentemente ben chiaro il concetto dei confini etici della scienza e del suo sfruttamento da parte del potere. La sua storica innovazione, fu quella di incrociare, per la selezione di nuove cultivar, differenti varietà, ad esempio selvatiche e domestiche, anziché cercare di ottenerne il miglioramento all’interno di una sola. Strampelli, fu anche alla guida della Cattedra ambulante sperimentale di granicoltura che fu istituita dal ministero dell’Agricoltura, dell’industria e del commercio, nel 1903, a Rieti, e in questo periodo costituì oltre 100 nuove varietà di frumenti. Raggiunta la fama, nel giugno 1919, fondò, a Roma, l’Istituto nazionale di genetica per la cerealicoltura. L’obiettivo principale delle sue tecniche di ibridazione dei frumenti, fu quello di sviluppare piante con rapido ciclo vegetativo ed elevato rendimento produttivo, oltre che a fusto più corto e resistenti alla ruggine. Inoltre, essendo all’epoca ancora diffusa la malaria, contribuì, attraverso l’anticipazione della maturazione del frumento, a limitare l’esposizione dei contadini alla malaria, che coincideva con la fase della mietitura. Il prodotto più famoso realizzato dallo studioso fu la varietà di frumento “Ardito”, ottenuta dall’incrocio tra il noto “Rieti”, prima con una cultivar olandese ad alta resa (Wihelmina Tarwe), e poi con una giapponese (Akagomughi) resistente all’allettamento e a maturazione precoce. Creatura di Strampelli fu anche la varietà “Senatore Cappelli”, da grani autoctoni pugliesi e dal tipo tunisino Jeanh Rhetifah. Ancora dieci anni dopo la sua scomparsa, avvenuta a Roma nel gennaio 1942, circa la metà delle superfici cerealicole erano coltivate con ibridi di sua produzione. Con le “sementi elette” di sua costituzione, ebbe ampia fama internazionale. Convinto sostenitore della cooperazione, nel marzo 1891 a Crispiero, il suo borgo natale, frazione di Castelraimondo, fondò la “Società agricolo-operaia di mutuo soccorso”, e fornì aiuti importanti alle popolazioni colpite dal sisma
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della Marsica nel 1915. Nonostante il successo dei propri ibridi, non volle mai sottoporli a brevetto, un’azione questa, che gli avrebbe fruttato enormi ricchezze, e rifiutò anche i trattamenti speciali che lo Stato gli offrì. Come riconosciuto nel 1999 dal Journal of Genetics and Breeding, gli studi di Strampelli, al quale è stato dedicato anche un film-documentario (Nazareno Strampelli e il grano, segreti di una storia millenaria, di Giancarlo Baudena) sono alla base della cosiddetta “prima rivoluzione verde”, ossia quella trasformazione che, attraverso varietà ibride e il combinato utilizzo di agro-farmaci e fertilizzanti, ha consentito di migliorare la produttività agricola in varie parti del mondo, contribuendo ad alleviare il problema della sotto-alimentazione. Dal 1955, la sede amministrativa e commerciale del Consorzio agrario di Reggio Emilia è in via fratelli Manfredi numero 5, a ridosso del centro storico, un complesso di fabbricati con magazzini ed uffici per una superficie di 25mila metri quadrati. Già nel 2005, il consorzio reggiano presentava una interessante diversificazione, con: a) l’unità produttiva per la selezione delle sementi (sulla scia della solida tradizione sementiera che l’ente vanta) e per la produzione mangimistica, a Castelnovo di Sotto su un’area di 17mila metri quadrati, insieme ad un deposito carburanti, con capacità di lavorazione di 250mila quintali di sementi e cereali annui e magazzini di stoccaggio per 250mila quintali di prodotto da lavorare ed altrettanti di confezionato, tecnologie per l’individuazione di Ogm, come la macchina “Dna Engine”, realizzata dall’azienda statunitense MJ Research; b) la partecipazione ad Emilcap, società costituita dai Consorzi agrari di Parma, Bologna e Modena, Piacenza, per la produzione di mangimi di alta qualità soprattutto per le mucche da latte per il Parmigiano Reggiano; c) la capacità di stoccaggio di 400mila quintali di ammassi, il 65% delle forniture provinciali di fertilizzanti ed il 60% di quelle di fitofarmaci, i punti vendita di prodotti tipici e i discount, insieme ai prodotti per il
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garden. Nel 2004 il Consorzio ha ottenuto, inoltre, la certificazione di rintracciabilità di filiera Uni 10939. Oggi il Consorzio reggiano dispone di 22 agenzie, 2 centri di stoccaggio, 1 deposito di carburanti, 6 discount, un centro di essiccazione e un sementificio. .A, 5. Lo Statuto del Consorzio agrario dell’Emilia
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on la creazione del Consorzio agrario dell’Emilia è stato redatto un nuovo Statuto della società, che sostituisce il precedente, del Consorzio agrario di Bologna e Modena, entrato in vigore il 28 maggio 2010. Varie sono state le modifiche statutarie dalla nascita del Consorzio agrario bolognese, spesso in corrispondenza di trasformazioni nello scenario nazionale e locale, come nel caso dell’obbligatorietà, imposta per legge, del passaggio alla dimensione provinciale, durante l’epoca fascista. Il panorama generale, ad oltre 111 anni dalla costituzione dell’ente consortile bolognese è profondamente cambiato, e il nuovo Statuto, oltre che della fusione per incorporazione del Consorzio agrario di Reggio Emilia in quello di Bologna e Modena, fa proprie le modificazioni legislative intervenute in materia di normazione sui consorzi agrari e di cooperazione. Se il valore di ciascuna azione sociale, nel 1901, era stato fissato a 20 lire, oggi la quotazione è di 25 euro. All’articolo 1 del Titolo I (“Costituzione – Sede – Durata – Scopi”), si definiscono l’inquadramento sociale generale e i vincoli di legge. «Il “Consorzio agrario dell’Emilia – Società Cooperativa”, con sede a San Giorgio di Piano (Bologna), è una società cooperativa retta dal presente statuto, dalle norme del Codice civile, dalle disposizioni della legge n. 410/1999, della legge n. 99/2000 e dalle altre leggi speciali in materia di società cooperative (…). Il Consorzio Agrario è una società Cooperativa a mutualità prevalente ai sensi dell’art. 9 della citata legge n. 99/2000 e quindi a norma dell’art. 2514 del C.C. trovano applicazione nella Cooperativa: 1) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo fissato dalla legge rispetto al capitale effettivamente versato; 2) il divieto di remunerare gli eventuali strumenti finanziari offerti in
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sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite previsto per i dividendi; 3) il divieto di distribuire le riserve tra i soci cooperatori, sia durante la vita del Consorzio sia all’atto della liquidazione; 4) l’obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale, comprese le eventuali rivalutazioni ed i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Esso potrà, con delibera presa in conformità alle norme di legge, istituire o sopprimere filiali, succursali ed agenzie in altre località sia in Italia sia all’estero (…)».
All’articolo 2, la durata dell’associazione. «Il Consorzio Agrario dell’Emilia ha durata fino al 31 dicembre 2099 e potrà essere prorogata a norma di legge (…)».
E all’articolo 3, le sue finalità. «Il Consorzio Agrario dell’Emilia, che non ha finalità speculative, ha lo scopo di contribuire all’innovazione ed al miglioramento della produzione agricola, nonché alla predisposizione e gestione di servizi utili all’agricoltura; potrà: - concorrere alla riduzione dei costi di produzione e stabilizzare i prezzi alla produzione; - acquistare, affittare o costruire immobili da adibire ad uso di trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli; - offrire l’assistenza tecnica per le produzioni agricole dei soci. Il Consorzio può svolgere attività anche a favore di non soci (e) può inoltre compiere operazioni di credito agrario di esercizio in natura, ai sensi dell’articolo 153 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché di anticipazione ai produttori in caso di conferimento di prodotti agricoli, e può partecipare a società i cui scopi interessino l’attività consortile o promuoverne la costituzione. A tal fine esso: a) produce, trasforma, acquista e vende, anche previa importazione: fertilizzanti, antiparassitari, sementi, mangimi, attrezzi, prodotti agricoli e agroalimentari, macchine, attrezzature e in genere tutto ciò che può riuscire utile agli agricoltori e all’agricoltura; b) esegue, promuove e agevola la raccolta, il trasporto, la conser vazione, la lavorazione, la valorizzazione e la commercializzazione ed
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il collocamento dei prodotti del suolo, dell’allevamento e di tutte le industrie connesse con l’agricoltura, operando sia come intermediario sia come contraente; c) provvede alle operazioni di utilizzazione, trasformazione e vendita collettiva dei prodotti agricoli ed agro-alimentari; d) dà in locazione ed in noleggio macchine e attrezzature per l’esercizio delle attività agricole e di giardinaggio; e) realizza, acquista, vende e può gestire impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili; f) compie direttamente, o come intermediario, operazioni di credito agrario di esercizio in natura nonché anticipazioni ai produttori in caso di conferimento all’ammasso volontario dei prodotti e di utilizzazione, trasformazione e vendita collettiva dei medesimi; g) concorre agli studi e alle ricerche nonché all’impianto di campi e stazioni sperimentali nell’interesse dell’agricoltura ed in genere a tutte le iniziative intese al miglioramento della produzione e della capacità professionale degli agricoltori; h) svolge ogni attività a servizio diretto o indiretto degli operatori agricoli, anche in relazione alle esigenze dello sviluppo tecnologico; i) la società, potrà inoltre, assumere, con attività esercitata non in confronti del pubblico e non in via prevalente, interessenze e partecipazioni in altre società od imprese aventi oggetti analogo od affine al proprio (…)».
L’articolo 13 del Titolo III (“Patrimonio sociale”), definisce la composizione del capitale sociale. «Il patrimonio sociale è costituito: a) dal capitale sociale dei soci cooperatori, che è variabile ed è formato da un numero illimitato di azioni del valore nominale ciascuna di euro 25 (venticinque); b) dal capitale sociale dei soci avventori, rappresentato da azioni nominative, destinato allo sviluppo tecnologico o alla ristrutturazione o al potenziamento aziendale (…); c) dalla riserva legale indivisibile formata dal 30% degli utili netti annuali e dal valore delle azioni eventualmente non rimborsate; d) dall’ammontare delle azioni di partecipazione cooperativa eventualmente emesse (…); e) dal fondo di riserva ordinaria, formato con le quote degli utili netti annuali o con le quote sociali eventualmente non rimborsate ai soci defunti, receduti o esclusi;
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f) dall’eventuale fondo sovrapprezzo azioni, formato con le sole somme versate dai soci (…); g) dalla riserva straordinaria; h) da ogni altra riserva costituita e/o prevista per legge; i) da ogni altra attività pervenuta alla cooperativa per conferimento di soci, per contributi di enti o privato o liberalità di terzi (…)».
Mentre all’articolo 15 del Titolo IV («Esercizio sociale e bilancio») si indicano i criteri per la ripartizione degli utili di esercizio. «L’esercizio sociale va dal 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno. (…) Gli eventuali utili netti annuali saranno così ripartiti: a) non meno del 30% al fondo di riserva legale; b) una quota ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, nella misura e con le modalità previste tempo per tempo dalle leggi regolanti la materia ed in particolare dalla legge 59/92; c) un’eventuale quota da distribuire ai soci cooperatori e avventori, quale dividendo, in misura non superiore a quanto consentito dalla legislazione vigente per le cooperative aventi i requisiti della mutualità prevalente (…)».
Molto importante è anche il contenuto dell’articolo 36 del Titolo VIII («Sezione di attività per settore o prodotto agricolo – Anche “Op”»), che riguarda la possibilità di istituzione, da parte del Consorzio agrario, di Organizzazioni di produttori (O.p.), ossia di organismi, controllati dai produttori agricoli, che hanno lo scopo di assicurare la programmazione della produzione e il suo adeguamento alla domanda – anche in funzione della prevenzione delle crisi di mercato, ad esempio da sovrapproduzione –, di promuovere la concentrazione dell’offerta, e metodologie colturali rispettose dell’ambiente e di ridurre i costi di produzione. «Il Consorzio, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lett. f-septies), del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, nonché del rispetto di ogni altra normativa comunitaria e nazionale o regionale in materia, può istituire per ciascun settore o prodotto agricolo, una o più sezioni di attività, con gestioni separate, cui aderiscono esclusivamente imprenditori agricoli iscritti nel registro delle imprese (…). Il Consorzio può richiedere per le sezioni il riconoscimento come organizzazione di produttori ai sensi del decreto legislativo 27 maggio
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2005, n. 102 (…). Il Consorzio svolgerà in favore dei soci iscritti alla specifica sezione O.p., le attività previste dalle norme vigenti in materia di O.p., in particolare: a) raccolta e conservazione delle produzioni agricole e, in genere, tutte le attività atte a valorizzare al meglio le produzioni agricole provvedendo, ove occorra, anche al trasporto, lavorazione, conservazione e trasformazione dei prodotti; b) assicurare la programmazione della produzione e l’adeguamento della stessa alla domanda, dal punto di vista quantitativo e qualitativo; c) concorrere alla riduzione dei costi di produzione e stabilizzare i prezzi alla produzione; d) acquisto, affitto o costruzione di immobili da adibire ad uso di trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli; e) offrire l’assistenza tecnica per le produzioni agricole dei soci, in accordo con l’eventuale O.p. di appartenenza; f) compiere, nei limiti della vigente legislazione in materia, direttamente o come intermediario, operazioni di credito agrario di esercizio, nonché di anticipazioni ai produttori in caso di conferimento all’ammasso volontario dei prodotti e di utilizzazione, trasformazione e vendita collettiva dei medesimi; g) partecipare alla gestione delle crisi di mercato; h) promuovere pratiche colturali e tecniche di produzione rispettose dell’ambiente e del benessere degli animali, allo scopo di migliorare la qualità delle produzioni e l’igiene degli alimenti, di tutelare la qualità delle acque, dei suoli e del paesaggio e favorire la biodiversità, nonché favorire processi di rintracciabilità».
Nelle “Disposizioni transitorie” (titolo IX), si prevede un periodo graduale di transizione nel passaggio definitivo all’operatività completa delle strutture ai due consorzi che si sono fusi. «Al fine di favorire una migliore integrazione delle strutture aziendali del Consorzio Agrario Provinciale di Reggio Emilia soc. coop. (società incorporata), con quelle del Consorzio Agrario dell’Emilia soc. coop. (già Consorzio Agrario di Bologna e Modena soc. coop.; società incorporante) e tra i soci delle medesime società, all’esito della fusione delle stesse, si prevede un periodo transitorio nel quale, in parziale deroga allo Statuto, vale la disciplina di cui al presente titolo» (art. 45).
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6. Il Consorzio agrario dell’Emilia: il virtuosismo di una maxi-realtà
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ono due storie con una radicata tradizione che s’incontrano, quelle del Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena e del Consorzio agrario di Reggio Emilia. La loro fusione per incorporazione consentirà di generare una maxi-realtà, con conseguente rafforzamento delle attività comuni e incremento dell’incidenza nelle società controllate e partecipate. Il Caip di Bologna e Modena, detiene quote di maggioranza – direttamente o indirettamente – sul capitale della Società Italiana Sementi (Sis), nella società a responsabilità limitata Flaminia (che possiede la maggioranza delle quote societarie della stessa Sis), e sulle srl Qualità Seeds (sementi di qualità per patate) e Sicap (logistica). E la partecipazione a Eurocap Petroli (pariteticamente con Energy Group), nei prodotti petroliferi e carbo-lubrificanti, e ad Emilcap, società nel comparto mangimistico, per la quale il Caip, insieme al Care di Reggio Emilia, ha perfezionato il contratto d’affitto di ramo d’azienda dal Consorzio agrario di Parma, in situazione di difficoltà finanziaria (e, con la medesima operazione di affitto di ramo d’azienda, il Caip si è attivato anche per il settore dei prodotti petroliferi del Cap di Parma, attraverso la partecipata Eurocap). Importante da sottolineare è anche la partecipazione del Consorzio agrario di Bologna e Modena (e dunque, dopo la fusione, del Consorzio agrario dell’Emilia), nel pastificio Ghigi a San Clemente, nelle prime colline di Rimini, un’industria e un marchio acquisiti nel 2008 da una serie di consorzi agrari italiani (Consorzio agrario adriatico, Caip di Bologna e Modena, consorzi agrari di Ravenna, di Reggio Emilia, di Bolzano e Maremma)184 che ha un potenziale produttivo di 500mila quintali di pasta all’anno, di cui il 65 per cento corta e il 35% lunga, con un volume d’affari stimato di oltre 35 milioni di euro. Il pastificio è l’unico in Italia che si avvale di frumento duro interamente di produzione nazionale, nell’ambito di una filiera interamente controllata dai consorzi agrari, con garanzia di rintracciabilità e libera da organismi geneticamente modificati (ossia, come si dice usualmente, Ogm free). Il Consorzio agrario di 184. R. Faben, “I Consorzi agrari rilanciano con il pastificio Ghigi”, Agrisole-Il Sole 24 Ore, 18-24 maggio 2012.
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Bologna e Modena è il secondo azionista del pastificio Ghigi e con la sua fusione con quello di Reggio Emilia, che detiene anch’esso quote sociali, aumenta il proprio peso nella gestione. Inoltre, a partecipare al pacchetto azionario è anche la Società Italiana Sementi, di cui il Caip, attraverso Flaminia, vanta il controllo. Box 23. La Società italiana sementi (Sis), punta di diamante nella ricerca di nuove cultivar di cereali La Società Italiana Sementi (d’ora in avanti Sis) fu costituita, a Bologna, il 23 agosto 1947, per iniziativa congiunta dell’allora “Istituto di allevamento vegetale per la cerealicoltura”, che aveva sede nel capoluogo emiliano, e della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, per moltiplicare e diffondere le varietà sviluppate da questo istituto, oltre che da costitutori privati di nuove cultivar. Già qualche anno prima, nel 1939, anno d’inizio della seconda guerra mondiale, la Stazione di Praticoltura di Lodi e la Federconsorzi, con l’intervento di 62 consorzi agrari italiani, fra i quali il Consorzio agrario provinciale di Bologna185, avevano dato vita alla società “La Foraggera”, che aveva la mission di diffondere le varietà costituite dalla Stazione e di sviluppare il settore della foraggicoltura. “La Foraggera”, dalla sua sede iniziale di Lodi, fu trasferita a Bologna nel 1946 in concomitanza con l’acquisto di un podere in località Idice di San Lazzaro di Savena, che sarebbe divenuto l’attuale “Azienda agraria sperimentale Idice”, nel cui perimetro si trovano oggi la sede e lo stabilimento della Sis. Nel 1968 ebbe origine la spa “Sisforaggera Società Italiana Sementi”, in seguito alla fusione per incorporazione della società “La Foraggera” nella Società Italiana Sementi. Nel 1987, Sisforaggera ha inglobato le società “Polesana Produttori Sementi” di Badia Polesine (Rovigo) e “Sementi Nazareno Strampelli” di Limiti di Greccio (Rieti), anch’esse della galassia della Federconsorzi. Nel 1991, la società è ritornata all’originaria ed attuale denominazione Sis - Società Italiana Sementi spa. 185. Vedi lo stralcio del verbale n. 27 del 30 ottobre 1941, riportato nel Capitolo Secondo.
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Sempre nel 1991, in seguito al commissariamento della Federconsorzi, che ne deteneva la proprietà, il controllo di Sis passò a Sgr (la Società gestione per il realizzo186) e, in seguito (1994), alla srl Flaminia, società a responsabilità limitata costituita dal Consorzio Agrario di Bologna, divenuto poi, come si è visto, nel 1998, Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena e, dal 1° novembre 2012, Consorzio agrario dell’Emilia. Il Consorzio agrario dell’Emilia detiene largamente la maggioranza (61,83%) del pacchetto azionario. Il capitale sociale di Sis, di 1 milione e 40mila euro, è detenuto da 37 soci: Flaminia srl ne possiede l’87,28 per cento, Sada (controllata, dal 1997, dall’Associazione nazionale bieticoltori – Anb – che si è fusa il 21 giugno 2012 con il Consorzio nazionale bieticoltori – Cnb – dando luogo alla nascita della Confederazione generale dei bieticoltori italiani – Cgbi) l’8 per cento, e un insieme di 35 consorzi agrari, il 4,22 per cento. L’attività della Sis si articola su ogni fase del ciclo del seme e si esprime nella costituzione di nuove varietà, nella moltiplicazione delle sementi e nella loro lavorazione e commercializzazione, con l’obiettivo di mettere a disposizione degli agricoltori italiani strumenti innovativi che consentano loro di migliorare le proprie produzioni. Il lavoro di ricerca e sperimentazione si svolge principalmente nelle due aziende di proprietà, “Idice” di circa 40 ettari, e “Cantaglia”, di circa 95, ma trova supporto anche in una fitta rete di prove condotte esternamente in altre aree italiane direttamente dal personale della società. L’attività di moltiplicazione delle sementi avviene, anch’essa, sotto il controllo diretto dei tecnici Sis, presso aziende agricole che per la maggior parte possono vantare una pluriennale esperienza di collaborazione con la società. La lavorazione del seme si realizza principalmente nello stabilimento di Idice adiacente alla sede. Tuttavia, considerato il notevole incremento dell’attività degli ultimi anni, e l’esigenza di fornire tempestivamente anche i clienti delle zone più lontane, si è recentemente fatto ricorso a rapporti di lavorazione in conto terzi con alcune fra le più moderne realtà sementiere di diverse aree geogra186. Vedi il Capitolo Primo.
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fiche. La commercializzazione dei prodotti è curata da una squadra di tecnici della società, che si avvalgono della collaborazione, nelle varie zone, di una rete di agenti che Sis ha progressivamente ispessito, con lo scopo di essere sempre più vicina, localmente, alle esigenze della clientela. Ciò consente alla società, di fornire un capillare ed efficace programma di assistenza costituito anche da incontri informativi, visite a campi dimostrativi allestiti per testare i prodotti nei vari ambienti, distribuzione di manuali e stampati tecnici e presenza alle principali manifestazioni. Oggi, i settori di principali in cui opera Sis, sono quelli dei cereali a paglia, del riso, del mais e sorgo, delle oleaginose e delle foraggiere, con una gamma di oltre 150 prodotti, la cui produzione e commercializzazione ha consentito alla società – il cui presidente è Gabriele Cristofori e il direttore, Claudio Mattioli – di realizzare brillanti risultati gestionali e, di conseguenza, importanti investimenti in ricerca ed innovazione. L’attività di Sis si è concretizzata, negli ultimi anni, in un elevato numero di nuove varietà iscritte sui Registri nazionali ed europei, sia nei segmenti cerealicoli (frumento, orzo, riso, mais e sorgo), sia in quelli di oleaginose e foraggiere. In particolare, nel settore dei frumenti teneri e duri, e nel riso, la società bolognese partecipa al mercato nazionale in percentuali che si attestano mediamente sul 19,3 per cento, con diverse varietà presenti fra le dieci più coltivate in Italia. A livello internazionale, Sis mantiene rapporti di collaborazione con le più importanti realtà sementiere, per un proficuo scambio di materiale genetico e con lo scopo di inserire le proprie varietà sui principali mercati esteri e svilupparne la commercializzazione. Allo stesso tempo, la società, attraverso un lavoro di screening, si propone di individuare ed introdurre sul mercato italiano le varietà straniere più idonee per le caratteristiche pedo-climatiche nazionali. A fianco delle attività tradizionali, è stata intensificata la collaborazione con diversi istituti ed enti di ricerca, attraverso la partecipazione a progetti, che puntano ad introdurre importanti elementi d’innovazione nei materiali e nelle procedure selettive disponibili. I risultati
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ottenuti nel completamento di questi progetti sono resi disponibili all’intera filiera, dal mondo della produzione agricola sino a quello dell’industria di trasformazione. Sis, ha introdotto sul mercato vari prodotti con la precisa consapevolezza di trovarsi al centro di un processo di filiera, come la varietà di grano tenero “Bologna”, giunta ad essere la più diffusa in Italia, le soie a basso contenuto di fattori antinutrizionali – e per questo connotato, utilizzabili crude nell’alimentazione zootecnica –, i mais ad alta digeribilità della fibra, particolarmente efficaci sia nella produzione zootecnica sia nell’uso per la produzione di biogas. Interessanti e promettenti sono anche le partnership inaugurate dalla Sis nella filiera agro-alimentare. Nella primavera 2012, è stato sottoscritto un accordo di ricerca con il gruppo abruzzese De Cecco187, fondato nel 1886 da Filippo De Cecco, con sede a Fara San Martino (Chieti) che, con l’acquisizione avvenuta nel 2011 di 3 stabilimenti in Russia (Mosca, Smolensk e San Pietroburgo), è diventato il terzo produttore mondiale di pasta, alle spalle di Barilla e degli spagnoli della Ebro. L’obiettivo del gruppo, che produce, solo in Italia, 1,5 milioni di quintali di pasta (dato 2011), con una quota del 7,5% del mercato italiano delle paste di semola di grano duro, realizzando un fatturato di 380 milioni di euro e con una frazione del 45 per cento di export (i primi mercati sono Stati Uniti e Giappone) in circa 100 Paesi, è quello di incrementare progressivamente, nei prossimi anni, la disponibilità di frumento duro prodotto in Italia (Puglia, Abruzzo e Molise sono le regioni principali di approvvigionamento e la quota media fino ad ora disponibile varia tra il 50 ed il 60%), da miscelare con i migliori grani stranieri, provenienti soprattutto da Stati Uniti e Canada. «Le nuove cultivar sviluppate da Sis – ha osservato il direttore Claudio Mattioli –, di eccellente qualità pastificatoria, saranno concesse in esclusiva a De Cecco in funzione di questo contratto. Ciò andrà a beneficio della filiera nazionale, con maggior impiego di frumento italiano, e 187. R. Faben, «Più grano italiano per la De Cecco. L’accordo con la Società italiana sementi nasce dalla volontà di aumentare il peso delle forniture locali», Agrisole-Il Sole 24 Ore, 20-26 aprile 2012, p. 16.
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consentirà di rafforzare la quota della nostra società sul mercato nazionale delle sementi. L’attività di ricerca si fonda sul potenziamento, già dall’attuale campagna cerealicola, della rete sperimentale nel Centro-Sud, attraverso campi parcellari sui quali valutare l’adattabilità dei frumenti duri. L’obiettivo del nostro responsabile di ricerca, Stefano Ravaglia, è quello di individuare i genotipi adatti agli specifici standard richiesti da De Cecco»188. La società sementiera bolognese, ha inoltre sviluppato, una nuova varietà di riso, iscritta, dopo anni di ricerche, nel Registro varietale nel 2007, chiamata “Yume”, termine giapponese che significa “sogno”, coltivata esclusivamente in Italia nelle zone vocate alla coltivazione risicola, tra la Lomellina e il Piemonte, distribuita e commercializzata dalla Japan Food Corporation (Jfc) – con la quale Sis ha sviluppato un accordo esclusivo – controllata dal gruppo Kikkoman, capofila planetario per il commercio della salsa di soia, a circa 5mila ristoranti fra Europa, Canada, penisola arabica e Paesi del Far East. Yume è una cultivar sviluppata da Sis partendo da un germoplasma giapponese e si contraddistingue per un granello tondo, a ridotto contenuto di amilosio e dalla consistenza cristallina. Questa varietà di riso, infatti, è particolarmente adatta a sposarsi con gli ingredienti, a base di pesce crudo, utilizzati nella preparazione del sushi, la specialità gastronomica porta-bandiera del Giappone. Dal 1999, il volume d’affari della Sis si è costantemente innalzato, senza alcun segnale di decremento, passando dai circa 12 milioni di euro del 1999 ai quasi 34 del 2011. Nonostante la crisi economica internazionale partita negli Stati Uniti nel 2007, con gravi ripercussioni anche sui Paesi dell’euro-zona e sulle loro finanze pubbliche (soprattutto Grecia, Irlanda e Portogallo) e conseguenze anche per l’Italia, con caduta dell’esecutivo ed istituzione di un governo tecnico189, una vicenda che ha determinato la carenza di 188. “Mattioli (Sis): rafforzare la ricerca al Centro-Sud”, Agrisole-Il Sole 24 Ore, 20-26 aprile 2012, p. 16. Intervista di R. Faben. 189. È del 12 novembre 2011 la fine anticipata del IV Governo Berlusconi e del 16 novembre la nomina del Governo Tecnico di Mario Monti, il 61° dell’età repubblicana.
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liquidità degli istituti bancari, l’aumento del costo del denaro e la riduzione degli affidamenti anche a clienti tradizionalmente solvibili, come le aziende agricole, il Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena «ha consolidato in questi anni il suo equilibrio e riesce a superare anche dinamiche di mercato negative in situazioni economico-finanziarie sfavorevoli»190. Gli effetti della débâcle finanziaria sono stati gli alti prezzi delle materie prime, soprattutto del greggio, una crisi alimentare mondiale, che ha colpito soprattutto i Paesi del Nord Africa, una galoppante inflazione, numerosi tonfi dei principali mercati borsistici, l’instabilità monetaria con, talvolta, nell’area euro, paventate prospettive di ritorno alle vecchie divise nazionali. In questa congiuntura così difficile e preoccupante, il Consorzio bolognese è riuscito a chiudere in attivo la gestione corrente 2011, per il quarto anno consecutivo, con un utile di esercizio balzato a 10,6 milioni di euro ed un margine operativo, al netto delle operazioni straordinarie, a livello 2,3 milioni. Come ha dichiarato il direttore del consorzio, Barbieri, «anche il livello di indebitamento netto, di 44 milioni su un consolidato di 366, è da considerarsi fisiologico, come confermato dalla società di revisione191». Il fatturato (ricavi) della capogruppo (Caip) è stato di 181,1 milioni, rispetto ai 159,8 del 2010, con una crescita del +13,3 per cento, mentre il valore della produzione aggregata si è attestato su 366,6 milioni (362,1 nel 2010), con un incremento del +1,2%. Nelle agro-forniture (fertilizzanti, sementi, antiparassitari, mangimi, materie plastiche e irrigazione), il volume d’affari (oltre 117 milioni) è cresciuto di 23 milioni rispetto al 2010. Quantunque il trend delle vendite di macchine agricole sia stato altalenante e spesso in flessione a causa della crisi, si è registrato un leggero aumento nelle vendite, di circa 25 milioni. Fatturato in linea con il 2010 per il garden, un mercato molto lunatico, con il progetto di apertura di un nuovo negozio e la completa ristrutturazione di quello di Pianoro, nella prima collina bolognese. Quanto a cereali e proteici, i ritiri sono aumentati dalle 235.900 tonnellate del 2010 a 247.750 tonnellate. Molto soddisfacente è stato anche l’andamento del 190. Consorzio Agrario Bologna e Modena, Bilancio consolidato al 31 dicembre 2011, Caip, Bologna, 2011, p. 24. 191. La società di revisione è PricewaterhouseCoopers Spa di Milano.
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settore petrolifero, nonostante la riduzione generale dei consumi in Italia nel 2011 (-2,5% rispetto al 2010) e le turbolenze internazionali (vicenda della Libia, con destituzione del dittatore Mu’ammar Gheddafi). Promettente è l’ingresso del Consorzio nel settore delle energie da fonti rinnovabili, con gli impianti fotovoltaici. Dal canto suo, il consorzio agrario di Reggio Emilia, ha chiuso il bilancio 2011 con un fatturato di 89,2 milioni di euro, in crescita del 22 per cento rispetto al 2010. Trend ascendente anche per capitale (28,6 milioni di euro), e risultato netto (1 milione 171mila euro). Le vendite di agro-farmaci, sono salite del +0,76 per cento sul 2010 nonostante il calo del mercato provinciale del -3,3%, e, nei cereali, si è registrata una leggera contrazione di conferimenti del grano da macina, e un aumento di mais e sorgo. Nel segmento delle sementi, è entrata a regime la nuova linea per la selezione cereali a paglia a Castelnovo Sotto, con incremento di vendite per i semi di frumento ed orzo (+11,19%), di mais ibridi (+29,77), e per quelle destinati ai prodotti zootecnici, ad altri cereali semplici, soia, patate, miscele per ornitologia (+54,19%). È salito anche il valore delle vendite dei fertilizzanti commercializzati dal consorzio, nonostante il calo di quelli complessi nella provincia di Reggio Emilia del 15%. Il fatturato del garden ha registrato un +10%, mentre nei discount il volume delle vendite è cresciuto del +6,70%. Numeri positivi anche per il settore della meccanizzazione agricola del consorzio, con il +18% delle vendite di trattrici a campo aperto, e quota del mercato provinciale del 23%, che fanno del consorzio il primo concessionario della provincia di Reggio Emilia. A dispetto della crisi nel settore petrolifero, il consorzio ha confermato la propria leadership per volumi e fatturato nel settore dei carburanti agricoli, al primo posto, nonostante la recessione, consolidando e migliorando la propria posizione di mercato. Inoltre, nel corso del 2011, ha investito oltre 2 milioni di euro, per la costruzione di un nuovo deposito meccanizzato per il ricevimento dei cereali nello stabilimento di Castelnovo Sotto. .A,
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7. Epilogo
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opo gli eventi prioritari che hanno interessato il sistema agricolo ed agroalimentare nei primi dieci anni del nuovo secolo – la crescente volatilità dei prezzi dei cereali, la ristrutturazione del comparto bieticolosaccarifero, la difficoltà di accesso al credito come effetto della crisi globale, la crescente necessità di modernizzazione e differenziazione delle attività delle aziende agricole, solo per ricordarne alcuni – gli operatori agricoli si trovano di fronte ad una sfida: riuscire non solo a sopravvivere, ma anche ad individuare soluzioni per affrontare il futuro in un sistema sempre più globalizzato ed interdipendente. L’Europa si sta inoltre preparando alla elaborazione della nuova Politica Agricola Comunitaria (Pac) 2014-2020, un programma al quale gli operatori italiani hanno chiesto una ripartizione del futuro budget agricolo basata non solo sulla superficie, una revisione della proposta di greening, più efficaci politiche di mercato, tutele attive nei confronti della volatilità dei prezzi internazionali, concreto riequilibrio della catena del valore a favore della componente agricola, reciprocità nelle regole commerciali e sanitarie con il resto del mondo, sostegni diretti e priorità di finanziamento alle produzioni agricole ed alimentari di qualità, minori carichi burocratici. Le aziende agricole si trovano di fronte alla non facile questione di fare delle scelte per la loro crescita, basata non solo sull’individuazione di piani colturali adeguati e il più possibile remunerativi, sull’adesione a progetti di filiera e ad indirizzi di programmazione delle produzioni, ma anche su strategie di diversificazione e multifunzionalità, nella direzione delle agro-energie, della ricettività agrituristica e dell’ospitalità rurale, della valorizzazione dei prodotti tipici e delle vendita diretta. Dunque, pur in un quadro radicalmente trasformato rispetto a quello degli inizi del Novecento, quando sorse il Consorzio agrario bolognese, gli aspetti problematici continuano a presentarsi per il sistema agricolo, e il ruolo dei consorzi agrari, nell’affrontare il futuro, appare determinante. Il Consorzio agrario di Bologna e Modena, fondendosi con quello di Reggio Emilia, e dando così vita ad una realtà che si colloca all’avanguardia nella svolta legata alla nascita di “Consorzi agrari d’Italia”, dimostra di essere preparato ad affrontare questa sfida, e di porsi al servizio delle aziende agricole non solo con quello spirito co-
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operativo con cui è stato costituito, nel lontano 1901, ma anche con la consapevolezza che le partite non sono mai completamente vinte, e richiedono costanza e aggiornamento continuo. Tuttavia, un aspetto fondamentale da ricordare, di ordine generale, è che lo storico ente, non intende dimenticare alcun aspetto della propria lunga storia. Patrimonio trasmesso di generazione in generazione, frutto del lavoro collettivo di persone che hanno dato il prezioso tempo delle loro esistenze per la crescita e lo sviluppo di questo organismo, combattendo con le traversie e i momenti di sconforto, il Consorzio valorizza, attraverso la ricostruzione della sua storia, gli aspetti salienti della propria memoria, attendendosi di continuare a contribuire, come sempre indicato nelle disposizioni statutarie, al miglioramento delle condizioni e delle possibilità di progresso di quell’insieme di attori sociali e di mezzi, che costituiscono l’agricoltura quale sistema insostituibile alla base delle formazioni sociali. .A,
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L’ALBO DEI PRESIDENTI E DEI DIRETTORI DEL CONSORZIO AGRARIO DI BOLOGNA* (1901-1912)
Presidenti Alessandro Bragaglia (dal 24 agosto 1901 al 24 marzo 1906) Ubaldo Monari (dal 24 marzo 1906 al 6 luglio 1907) Alfredo Santi (dal 6 luglio 1907 al 6 aprile 1912) Enrico Daddi (dal 6 aprile 1912 al 9 dicembre 1922) Antonio Masetti Zannini (dal 9 dicembre 1922 al 7 aprile 1934) Vittorio Peglion (dal 7 aprile 1934 al 10 marzo 1939) Antonio Santi (dal 10 marzo 1939 al 30 ottobre 1942) Amedeo Boninsegna (dal 30 ottobre 1942 al 26 marzo 1943) Antonio Santi (dal 26 marzo 1943 al 28 agosto 1944) Cesare Masetti Zannini e Unico Caponi (Commissari dal 28 agosto 1944 al 21 maggio 1945) Luigi Zucchini (dal 24 maggio 1949 al 9 maggio 1950**) Lino Visani (dall’11 luglio 1950 al 14 ottobre 1950) Renato Codicè (Commissario Governativo dal 14 ottobre 1950 al 31 marzo 1953 e presidente dal 31 marzo 1953 al febbraio 1983) Piervincenzo Pastore (dal 1983 al 1991) Francesco Cavazza Isolani (dal 1992 al 1997) Sante Cervellati (dal 1998 al 2003) Marco Pancaldi (dal 2004 al luglio 2008) Gabriele Cristofori (in carica dal 29 luglio 2008, ora presidente del Consorzio agrario dell’Emilia)
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Direttori Domenico Casalini (dal 27 luglio 1901 al febbraio 1926) Ferruccio Ragazzoni (dal febbraio 1926 al 29 marzo 1945) Claudio Cozzani (reggente dal 1° agosto al 15 settembre 1945) Leone Grillenzoni (dal 1° settembre 1945 al 14 giugno 1965) Filiberto Fantoni (dal 14 giugno 1965 al 15 maggio 1989) Giampiero Masotti (dal 22 maggio 1989 al 28 marzo 1999) Paolo Ghiacci (dal 15 aprile 1999 al 30 settembre 2003) Angelo Barbieri (dal 1° ottobre 2003 – in carica – direttore del Consorzio agrario dell’Emilia) * Dal 1998 Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena, e, dal novembre 2012, Consorzio agrario dell’Emilia ** dimissionario
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Terza parte – Il XXI secolo. Dal Consorzio Agrario Bolognese al Consorzio Agrario dell'Emilia
L’ALBO DEI PRESIDENTI E DEI DIRETTORI DEL CONSORZIO AGRARIO DI REGGIO EMILIA* (1933-2012)
Presidenti Cesare Righi (dal 12 dicembre 1933 al 26 gennaio 1939) Giuseppe Baldi (dal 28 marzo 1939 al 7 marzo 1945 – commissario governativo dall’11 aprile 1945 al 19 giugno 1945) Carlo Calvi (commissario prefettizio e governativo dal 20 giugno 1945 e poi presidente della gestione ordinaria fino al gennaio 1962) Alessandro Magnanini (dal 5 marzo 1962 al maggio 1964) Natale Salvarani (dal 13 maggio 1964 al novembre 1972) Lorenzo Trevisi (dall’11 novembre 1972 al febbraio 1988) Giorgio Candeo (commissario governativo – in seguito al decreto del ministero dell’Agricoltura e Foreste del 12 marzo 1988, delibera numero 1 del 18 marzo 1988 – fino al 1° dicembre 1990; poi commissario liquidatore nell’esercizio provvisorio in seguito al provvedimento di liquidazione coatta amministrativa). Andrea Salvigni (commissario liquidatore dal 14 marzo 1991 al dicembre 1994). Ennio Minuz (commissario liquidatore dal 14 dicembre 1994 al ritorno della gestione ordinaria) Romano Simonazzi (dal 29 settembre 2000 al 21 settembre 2002) Simone Nasi (dal 25 ottobre 2002 al 4 novembre 2012, data dell’ufficializzazione della fusione per incorporazione del consorzio agrario di Reggio Emilia nel Consorzio agrario dell’Emilia. Nasi assume l’incarico di vice-presidente del Consorzio agrario dell’Emilia, affiancato da altri due vice-presidenti, Carlo Bellini e Marco Magri)
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Direttori Vincenzo Sani (dal 12 dicembre 1933 al 31 gennaio 1940) Anacleto Gagliardi (dal 1° febbraio 1940 al 15 luglio 1947) Lorenzo Bennati (dal 16 luglio 1947 al 30 maggio 1964) Umberto Gobbati (reggente dall’8 giugno 1964 al 30 novembre 1964) Antonino Mannino (dal 1° dicembre 1964 al 31 gennaio 1970) Ennio Minuz (dal 1° febbraio 1970 al 21 dicembre 1973) Pio Rigon (dal 1° gennaio 1974 al 18 marzo 1976) Vittorio Rubin (dal 1° aprile 1976 al 1° settembre 1987) Francesco Cappellini (reggente dal 1° settembre 1987 al 1° giugno 1989) Luigi Rossi (dal 1° giugno 1989 al 30 novembre 1990) Angelo Nazzari (dal 4 novembre 2003 al 14 aprile 2010) Angelo Barbieri (reggente dal 1° dicembre 1990 al 14 dicembre 1994, ordinario fino al settembre 2003 e poi dal 27 maggio 2010 al novembre 2012) * Dal novembre 2012, incorporato con fusione nel Consorzio agrario interprovinciale di Bologna e Modena, da cui il Consorzio agrario dell'Emilia
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