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Copertura perdite l'utilizzo della riserva di rivalutazione di Giovanni Di Filippo
Giovanni Di Filippo
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dottore commercialista | revisore ufficiale dei conti giovanni@studiodifilippo.it
Quando un’assemblea straordinaria può rendere superfluo l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione
La facoltà di pervenire alla rivalutazione dei beni d’impresa riproposta dalle recenti norme rappresenta un percorso introdotto dal Legislatore volto ad intervenire in maniera indiretta a supporto e protezione delle imprese danneggiate economicamente dalla pandemia, in aggiunta ai modi più noti e diretti, quali la concessione di contributi a fondo perduto, di crediti d’imposta vari, l’emissione di norme tipo esenzione IRAP o sospensione dei ruoli esattoriali, e altri. Nell’ambito di tale procedura, il presente contributo si concentra sulle possibilità di utilizzo dell’emergente saldo attivo di rivalutazione, in particolare su quella relativa alla copertura delle perdite di esercizio e di quelle pregresse, in considerazione dell’attuale scenario economico nel quale la salvaguardia del patrimonio netto societario sta rappresentando per numerose aziende un compito molto arduo. La disamina di questo aspetto impatta direttamente sul costo della rivalutazione, perché per quanti propenderanno per la rivalutazione dei beni con l’obiettivo precipuo di utilizzare, integralmente o parzialmente, il saldo di rivalutazione a copertura di perdite di esercizio e pregresse, potrebbero ben non procedere all’affrancamento del medesimo, il cui costo in termini di imposta sostitutiva, come noto, è pari al 10% dello stesso. In tal modo, l’opportunità offerta dal Legislatore si appalesa ancor più conveniente, essendo il costo fiscale dell’operazione limitato alla sola imposta sostitutiva del 3% calcolata sul maggior valore attribuito ai beni, da versarsi in tre rate annuali senza interessi. Come noto, a norma dell’art. 13 della Legge 342/2000, il saldo attivo di rivalutazione deve essere imputato al capitale oppure accantonato in un’apposita riserva, con esclusione di ogni diversa utilizzazione. Se, quindi, detta riserva viene attribuita ai soci mediante sua riduzione o mediante riduzione volontaria del capitale sociale precedentemente aumentato dalla stessa, tale distribuzione concorre a formare il reddito imponibile della società, oltre che il reddito imponibile dei soci. In altre parole, in tale sede subiscono una doppia tassazione. Il disposto normativo dà la possibilità di affrancare questa riserva, evitando così che essa non costituisca materia imponibile ai fini fiscali per la società in caso di distribuzione o di riduzione volontaria del capitale sociale precedentemente aumentato per effetto di attribuzione della citata riserva, mediante suo affrancamento con contestuale pagamento di un’imposta sostitutiva pari al 10%. L’af-
francamento della riserva di rivalutazione è notoriamente facoltativo, e in alcuni casi gli amministratori indugiano sull’opportunità offerta dal Legislatore per svariati motivi (costo fiscale che, in ipotesi di rivalutazioni consistenti, non può certo rappresentarsi irrilevante, ipotesi di distribuzione futura incerte o poco attendibili o storicamente non operate, ipotetiche possibilità future di affrancamento mediante opportunità normative che nel tempo vengono riproposte in maniera periodica). Come già anticipato, la medesima riserva può anche essere destinata alla copertura di perdite (in tal caso non si verifica alcuna ipotesi di tassazione immediata). Comportando un effettivo incremento del patrimonio netto della società, essa costituisce una riserva disponibile per tale utilizzo, peraltro rilevando anche ai fini della verifica delle condizioni di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. oppure artt. 2482-bis e 2482-ter c.c. per le srl, che contengono precise indicazioni in merito agli obblighi di copertura delle perdite, laddove le stesse siano superiori al terzo del capitale sociale, ovvero lo riducano al di sotto del limite legale. L’utilizzo della riserva di rivalutazione a copertura delle perdite comporta, però, il divieto di distribuzione di utili fino a quando la stessa non è reintegrata. Si crea, quindi, un vincolo di indistribuibilità degli utili che si formeranno negli esercizi successivi, fino al momento in cui tali utili non raggiungano l’importo della riserva di rivalutazione in precedenza utilizzata. Solo nel momento in cui tali utili hanno raggiunto l’importo originario della riserva di rivalutazione, si potrà procedere alla distribuzione degli utili eccedenti.Questo è quel che si verifica se la copertura della perdita di esercizio, o delle perdite pregresse, avviene in sede di delibera dell’assemblea ordinaria, laddove, su indicazione degli amministratori, è necessario provvedere a porre il vincolo di indistribuibilità degli utili dei futuri esercizi, poiché in sede ordinaria non si può deliberare la mancata ricostituzione della riserva. Onde superare il vincolo di reintegro della riserva negli esercizi futuri, la società può procedere alla riduzione definitiva della riserva di rivalutazione con delibera dell’assemblea straordinaria, anche senza il rispetto delle disposizioni dell’art. 2445, co. 2 e 3, c.c. (tali disposizioni si riferiscono all’ipotesi di riduzione del capitale sociale e prevedono che l’avviso di convocazione dell’assemblea dei soci deve contenere le ragioni e le modalità della riduzione, e comunque la delibera di riduzione può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro tale termine nessun creditore sociale abbia fatto opposizione). Al fine di eliminare l’obbligo di ricostituzione, restano aperte anche altre soluzioni. L’assemblea, pur in sede ordinaria, può deliberare con la presenza di un notaio, con conseguente iscrizione della delibera stessa presso il registro imprese. In tal caso, tuttavia, si ritiene che il quorum deliberativo debba essere necessariamente quello previsto per l’assemblea straordinaria, altrimenti si “aggirerebbe” un preciso dettato normativo. Ipotesi che, ovviamente, non si discosta più di tanto dalla rituale tenuta dell’assemblea in sede straordinaria. In alternativa, l’assemblea potrebbe inizialmente provvedere, in sede ordinaria e senza notaio, alla copertura delle perdite con utilizzo della riserva di rivalutazione e porre il vincolo di indistribuibilità degli utili dei futuri esercizi. In seguito, alla prima assemblea straordinaria “utile”, i soci deliberano, tra le altre cose, anche la riduzione definitiva della riserva, con conseguente liberazione degli utili che nel frattempo sono stati vincolati. Alternativa che, a ben vedere, si rivela più che plausibile, laddove non di rado le società rimandano e raccolgono più di una modifica statutaria (una su tutte l’ampliamento dell’oggetto sociale) concentrandole in un’unica assemblea straordinaria al fine di limitare i conseguenti costi notarili. In tale contesto, se è ben chiara la scelta di eseguire la rivalutazione dei beni nell’ottica di sfruttamento della riserva di rivalutazione così come sopra esposta, non vi è dubbio che l’affrancamento del fondo di riserva di rivalutazione non ha più ragione di essere operato.