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Tra le torri del Primitivo
Un viaggio unico tra terra e mare, scandito da muretti a secco costruiti e mantenuti con pazienza certosina, che limitano migliaia d’appezzamenti curati con passione e pazienza centenaria.
michele dreassi
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Distese di vigneti, in gran parte ad alberello, nelle forme più moderne ordinati e sequenziali e nelle forme più antiche, disordinati e irregolari. Vigne che arrivano sul mare, olivi che si alternano ai vigneti, chiese, palazzi e masserie. È il territorio del Primitivo, il vitigno che prematuramente matura e viene vendemmiato a fine agosto e che ha, come pochissimi altri esempi, un’area geografica con un’impronta culturale e folkloristica che da Taranto percorre le strade a sudest. Oggi il Consorzio di Tutela raduna una squadra di 60 cantine ed è chiamato a difendere questa grande denominazione d’origine protetta che, ormai da alcuni anni, si è affermata tra gli estimatori ed è diffusa a livello mondiale. In queste terre gli appassio-
CULTURA, CIBO, VINO E TURISMO NEI TERRITORI PIÙ BELLI DI PUGLIA
nati di enoturismo possono apprezzare le antiche pratiche contadine e le moderne tecniche di vinificazione anche grazie ai tanti tour nei vigneti che le varie cantine offrono, oltre alle svariate degustazioni abbinate al buon cibo locale. È un legame molto stretto quello tra vino e territorio, che dà a questi luoghi un fascino particolare, raccontando una storia antica che profuma di tradizione. E in estate arriva la terza edizione di “Tra le torri del Primitivo di Manduria”, evento col quale il Consorzio di Tutela invita appassionati di vino a partecipare ai percorsi esclusivi con degustazioni in programma da fine luglio a settembre: 23 luglio – saline Monaci e Torre Colimena (Manduria, Taranto); 6 agosto – museo dell’olio e del vino e centro storico (Sava, Taranto); 27 agosto – chiesa rupestre e visita ai vigneti (San Marzano di San Giuseppe, Taranto); 3 settembre – frantoio ipogeo e centro storico (Torre Santa Susanna, Brindisi). Quattro esperienze che permetteranno di scoprire anche i monumenti più nascosti e i sentieri naturalistici meno battuti. E poi frantoi, escursioni in barca, musei e chiese rupestri. L’occasione è quella giusta, la pandemia ha cambiato definitivamente il paradigma del viaggio che già era in fase di trasformazione. Si torna a viaggiare a piedi, come pellegrini o antichi viandanti: è tempo di camminare. Un’occasione per concedersi una pausa a contatto con la natura scoprendo tradizioni enogastronomiche e attrazioni culturali che garantiscono vere e proprie chicche da scoprire a piedi. Tutti gli eventi sono gratuiti e aperti a un massimo di 50 partecipanti, quindi è necessario prenotarsi tramite email all’indirizzo: comunicazione@consorziotutelaprimitivo.com. Ogni singolo partecipante avrà diritto a una sola prenotazione per una delle quattro tappe previste. Le peculiarità culturali e archeologiche di ciascun appuntamento verranno raccontate da una guida e, alla fine di ogni percorso, l’evento sarà arricchito da una degustazione offerta dalle aziende del Consorzio di Tutela. Infine, ai partecipanti sarà consegnato un kit di prodotti tipici in sacchetti bio, a cura di Slow Food Puglia. Con l’accoglienza green ed ecosostenibile e la possibilità di scoprire località di gran fascino tra le distese di vigneti e mare ecco l’occasione per conoscere la Puglia con un approccio diverso. “Tra le Torri del Primitivo di Manduria” quest’anno si avvale del patrocinio dell’Assessorato alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia. Così vi invitiamo a andare a piedi lungo i sentieri, tra bellezze storiche, naturalistiche e soprattutto vitivinicole, per scoprire i luoghi più belli della Puglia.
Jacky Rigaux, originario della Loira, di formazione psicoanaliJacky Rigauxsta, ex docente all’Università della Bourgogne e autore di numerosi libri, è un miI VINI DELLE VITI FRANCHE DI PIEDE HANNO UN’IDENTITÀ DISTINTA litante della causa dei E RICONOSCIBILE piccoli terroir (cru). ALLA DEGUSTAZIONE
rebecca fortunati
I riconoscimenti giuridici dei nomi dei piccoli terroir sono iniziati da pochi anni in Italia, mentre in Borgogna le classifi cazioni dei cru e le delimitazioni dei relativi terroir sono state introdotte dai monaci Benedettini e dai Cistercensi. Jacky Rigaux, assieme a Henry Jayer, ha ideato “il risveglio dei terroir” verifi cato col “risveglio della degustazione”, ribattezzata “degustazione geo-sensoriale”. L’approfondimento di questa evoluzione concettuale si può trovare nel suo recente libro Le monde du vin aujourd’hui. Terre en Vues-Clémency, uscito nel 2020. Rigaux ha avuto la fortuna di conoscere Didier Dagnenau, discepolo più ispirato del predetto Jayer, che ha fatto “parlare il terroir”, attraverso le sue potenzialità. Dagnenau non aveva ripiantato il suo vigneto distrutto dalla fi llossera, ma sullo stesso terreno da diversi anni ha realizzato un confronto fra viti franche di piede con viti innestate su portinnesti americani. Alla degustazione cieca Rigaux ha sempre individuato il vino prodotto dalle viti franche di piede per la maggior sapidità, purezza, profondità ed energia, unitamente a una tessitura più delicata. Didier Dagnenau aveva acquisito la certezza che la vite franca di piede è la miglior interprete del terroir, rispetto alla vite con radici americane. Era triste nel constatare che nessun ricercatore s’interessava seriamente alla vite franca di piede. Ha chiesto aiuto a Claude Bourghignon, conosciuto in Italia, il quale purtroppo era al momento privo di fi nanziamenti per la ricerca. Bourghignon ha altresì scritto una parte del libro di Rigaux dal titolo Il gusto ritrovato del vino di Bordeaux, riferendosi alle viti franche di piede, suscitando un’ampia reazione. Rigaux ha seguito altre esperienze di viti franche di piede, come quella di François Chidaine a Montlouis, di Anne-Claude Lefl aive a Puligny, nonché quella di Charlopin in Borgogna: ebbene, in tutti i casi i vini delle viti franche di piede emergevano ed erano riconoscibili alla degustazione per la loro sapidità, tessitura più delicata, maggior eleganza e spessore della trama sensoriale. Tramite la “degustazione geo-sensoriale”, che privilegia il gusto o sapore in bocca e fornisce una particolare dimensione tattile, è stato confermato che i vini delle viti franche di piede guadagnano livelli più elevati nel tasting in bocca e meno sull’aroma (rilevato al naso), anche se l’eleganza aromatica dei vini franchi di piede è superiore a quella dei vini innestati. In conclusione, Rigaux sostiene la necessità di aprire il dossier della viticoltura franca di piede.
L’Alsazia è un giardino straordinario dove si scoprono paesaggi unici e una cultura secolare. Dove l’influenza unica e originale dei terroir di eccezionale vocazione enoica consacra vini autentici. E, al confine coi vigneti, si ergono piccoli villaggi organizzati secondo un’arte misteriosa, circondati da colline, torri e castelli che ricordano le vestigia di un passato ricco di storia.
Alsazia
alessandro ercolani
Qui è l’amore per il vino che modella i paesaggi e dona la serenità ideale per la degustazione. Il vigneto alsaziano, uno dei più settentrionali di Francia e d’Europa, è situato su 119 comuni dei dipartimenti del Bas-Rhin e del Haut-Rhin. Proseguendo in parallelo rispetto al Reno, si estende per una lunghezza di 120 km e solo qualche km in larghezza, da Marlenheim sino all’altezza di Strasburgo, arrivando a sud di Thann con una piccola enclave al nord dell’Alsazia vicino a Cleebourg. Il vigneto comprende una totalità di 15.500 ettari vitati Aoc, godendo della vicinanza dei Vosgi e di colline caratterizzate da un’altezza media tra i 200 e i 400 metri s.l.m. Le esposizioni a sud e a sud-est, più frequenti, così come l’altezza particolarmente elevata delle vigne, offrono all’uva un irradiamento costante, al massimo della sua portata. La barriera naturale dei Vosgi ripara le vigne e ha un duplice effetto sul clima, molto particolare, che si ritrova in tutta la regione. Inoltre i venti provenienti da ovest hanno la tendenza a rallentare le precipitazioni abbondanti dalla parte occidentale dei Vosgi e a scendere, asciugando i vigneti: la zona di Colmar si caratterizza così per la pluviometria più bassa di Francia, solo 550 mm annuali di pioggia. Se questo clima secco è particolarmente adatto allo sviluppo vegetati-
TERRA DI TRADIZIONE E GRANDI VINI
vo, è dovuto al fatto che le vigne danno il meglio di loro proprio in condizioni poco favorevoli: necessitano di poca acqua e si sviluppano su suoli poveri, sassosi, impervi. Le precipitazioni deboli permettono di contenere i trattamenti sulla vigna e l’inquinamento ha difficoltà a svilupparsi. Il clima in Alsazia si caratterizza per l’alternanza di giornate calde e notti fresche, condizioni propizie alla maturazione lenta e prolungata dell’uva, favorendo lo sviluppo di aromi complessi e la conservazione della freschezza e del frutto, donando vini strutturati che ruotano attorno a un’acidità matura. Senza scordare che una storia geologica movimentata ha permesso la nascita di una moltitudine di terroir magnifici e variegati. Infatti tutte le formazioni, dalla primaria alla quaternaria, sono presenti in Alsazia. Oggi la maggior parte dei comuni vitivinicoli crescono su cinque formazioni differenti in una giustapposizione di parcelle a volte molto ristrette, offrendo un mosaico di suoli di una ricchezza e una diversità che non ha paragoni. Ed è proprio in questa diversità infinita che si ritrova buona parte dell’eccezionalità dei Vini d’Alsazia. L’estrema diversità di suoli, sottosuoli e microclima ha condotto i produttori alsaziani a conservare un largo ventaglio di vitigni, preservando in questo modo la biodiversità vegetale e offrendo a ciascun vitigno le condizioni ottimali per esprimersi. Non bisogna poi dimenticare che l’esposizione sulle colline, la loro pendenza, la capacità d’immagazzinare calore tipica del suolo, la protezione da parte dei rilievi, l’influenza di una riva sono tutti fattori che inducono alla nascita di diversi microclima, di cui beneficiano in primo luogo i Grand Cru. La nozione di Grand Cru appare in Alsazia nel IX secolo. Così i migliori territori sono nati dal savoirfaire e dall’esperienza dei viticultori che hanno scoperto, col tempo, i suoli più notevoli su pendenze impressionanti. Oggi 51 territori, delimitati a seconda di criteri geologici e climi austeri, costituiscono il mosaico degli Alsace Grand Cru, vini che rappresentano il 4% della produzione totale dei vitigni. Ma i vini d’Alsazia si raccontano anche grazie al loro contenitore: un solo colpo d’occhio è sufficiente per identificare la bottiglia alsaziana, la flûte del Reno, riconoscibile grazie alla sua forma slanciata, obbligatoria per tutti i vini fermi.
CHE FATICA jacopo vagaggini BERE QUESTI VINI…
Le gradazioni alcoliche sono oggi un problema primario per enologi e produttori: vini sempre più alcolici, spesso squilibrati e di difficile beva.
Per chi ancora non crede al “climate change” consiglio di andare in un’enoteca, prendere un po’ di bottiglie di vino e guardare la retro etichetta: difficilmente troverete scritto il numero 13 nella gradazione alcolica. A seguito del “global warming” le gradazioni aumentano sempre di più, portando spesso a vini troppo alcolici, pesanti e difficili da consumare. Un problema importante perché, come dico sempre, la miglior bottiglia è quella che non basta mai. Mettiamo in chiaro un concetto: l’alcol non va demonizzato ed è spesso un elemento rilevante per la qualità. L’equilibrio del vino è infatti determinato da 3 principali componenti: acido, dolce e amaro. Provate ad assaggiare l’alcol puro a 95°: è dolce. Da qui nasce infatti una dicotomia: i vini molto alcolici, oggi in forte crescita, sono spesso mal visti da alcuni mercati, ma apprezzati da critica e consumatori, che gradiscono la dolcezza e l’untuosità che l’alcol apporta. Tutto sta nel trovare il giusto equilibrio tra le varie componenti del vino. Mi sono convinto di questo concetto bevendo whisky, di cui sono un grande amante: spesso prodotti a 51°, molto strutturati e a lungo invecchiati in botte, sono meno brucianti rispetto a whisky di 40° più giovani e semplici. Il mio lavoro di enologo si muove quindi su 2 fronti: quando mi trovo a lavorare con vini molto alcolici cerco di svilupparne adeguatamente la struttura, così da equilibrare l’impatto dell’elevata gradazione. In parallelo, nel mio polo sperimentale nell’azienda Amantis, da tempo studio e testo tecniche per limitare l’avvento di elevate gradazioni. La sperimentazione si muove su tanti fronti, dalla vigna alla cantina. Studio nuove forme d’allevamento, cloni e soprattutto portinnesti più resistenti alla siccità, prodotti e lavorazioni che aiutino la pianta a tollerare meglio il caldo e lo stress idrico, tra cui l’utilizzo di caolino, le irrigazioni di soccorso e la defogliazione precoce. Da alcuni anni lavoro su nuovi ceppi di lievito in grado di allungare la prima fermentazione del vino, chiamata glicero-piruvica, che sottrae parte dello zucchero destinato alla fermentazione alcolica. Questo cambiamento può portare a una diminuzione dell’alcol complessivo nel vino, aumentando invece la concentrazione di glicerolo, molecola responsabile della cosiddetta “sucrosité”, ossia la dolcezza senza zucchero, considerata dai francesi uno dei requisiti più importanti di un grande vino. Ma, come spesso accade nel mio percorso mentale, prima di guardare avanti mi volto indietro, poiché credo che la storia e le tradizioni ci tramandino già molte soluzioni su cui conviene interrogarsi: troppo spesso accade di abbandonare improvvisamente tecniche acquisite col tempo e l’esperienza per seguire mode o convinzioni provenienti da luoghi con terroir e culture diverse. In questa logica trovo fondamentale la valorizzazione dei vitigni autoctoni, di cui l’Italia è particolarmente ricca: più di 500 distribuiti tra tutte le regioni! Questi vitigni hanno mostrato nel tempo di aver trovato, in un determinato terroir, la propria nicchia d’adattamento, mostrandosi perciò più resistenti verso le stressanti condizioni portate dal riscaldamento globale.