Omelia per gli adulti Anno A

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Imparare dal cuore di Cristo “Un gruppo di manager di Londra, che avevano terminato una importante settimana di economia mondiale, realizzando notevoli affari in un paese centro-­‐africano, correvano nei corridoi del piccolo aeroporto, perché l’autobus, che li aveva trasportati attraverso le vie caotiche della grande città africana, aveva accumulato un notevole ritardo e rischiavano di perdere l’aereo che li avrebbe finalmente riportati a casa dalle loro famiglie. Stringevano nelle mani valigette con importanti documenti, il biglietto dell’aereo e il passaporto, affannati e preoccupati non guardavano in faccia a nessuno. Purtroppo, all’improvviso, senza volerlo, due di questi uomini di affari inciamparono in una bancarella di frutta e fecero cadere tutti i cesti per terra… tutte le mele si sparse per il corridoio, ma loro erano di fretta e non potevano aiutare nessuno. Senza guardare indietro continuarono la loro folle corsa e riuscirono a raggiungere il punto di imbarco. La frutta fu rovinata e calpestata da tutte quelle persone. Tutti gli uomini di affari salirono sull’aereo, meno uno: quest’ultimo si fermò provando un sentimento di compassione per la padrona del banco di mele. Urlò ai suoi amici di continuare senza di lui ed avvertì la moglie che sarebbe arrivato con il volo successivo. Tornò al Terminal e… grande fu la sorpresa di scoprire che la padrona del banco era una bambina cieca. La bambina piangeva disperatamente, grandi lacrime solcavano il suo candido visino. Toccava il pavimento, cercando invano di raccogliere le sue mele, mentre moltitudini di persone andavano e venivano, incuranti di lei e della sua disperazione. L’uomo di affari si avvicinò e dolcemente le disse: “Non preoccuparti. Ti aiuto io, bambina!” Educatamente la bambina ringraziò e sorrise. L’uomo rimise le mele nella cesta e rimontò il banco della frutta, ma si rese conto che molte mele cadendo si erano rovinate e molte altre erano state schiacciate dalla gente. Quindi si avvicinò alla bambina e delicatamente le disse: “Tu stai bene?”. Lei sorridendo annuì con la testa. L’uomo di affari tirò fuori allora dal suo portafoglio una banconota da 100 euro e la mise nelle mani della bambina: “Prendila per favore. Sono per il danno che ti abbiamo fatto. Spero di non aver rovinato la tua giornata.” La bambina gentilmente rispose: “Oggi lei mi ha regalato il sole. Grazie signore!” L’uomo di affari riprese la valigetta, il suo biglietto e il passaporto, e con passo deciso si avviò al punto di imbarco… ma ecco che la voce della bimba lo richiamò: “Signore, signore, vorrei farle una domanda.” L’uomo si fermò e si girò a guardare il volto della bimba:“Dimmi pure.” “Vorrei sapere una cosa da lei: lei… per caso… è Gesù?”. Lui rimase immobile. Non sapeva cosa dire… Ma mentre si stava avviando all’aereo, si girò parecchie volte a guardare la bambina e una domanda gli bruciava nel cuore e gli tormentava l’anima: “Tu sei Gesù?” A volte anche noi senza saperlo possiamo portare agli altri, attraverso gesti semplici, l’amore di Dio che salva: questa bambina era cieca e quante persone sono cieche perché non conoscono il Suo Amore; questo uomo spontaneamente ha fatto brillare il sole nella vita di questa piccola. Oggi è la Giornata missionaria mondiale: noi tutti possiamo aiutare i missionari nelle diverse parti del mondo, ma prima di tutto possiamo essere missionari nel nostro mondo occidentale, così indifferente, freddo e cinico, così triste ed egoista portando a tutti il bene più prezioso… l’amore di Dio che abita in noi. Ma noi ci sentiamo amati da Dio? In questa domenica ancora i farisei cercano di mettere in difficoltà Gesù. Dopo la questione della liceità o meno di pagare il tributo a Cesare (questione che ci pone una domanda fondamentale al nostro vivere “Chi è il Dio che servi nella tua vita?”), ecco oggi un’altra questione posta a Gesù per accusarlo e condannarlo: “Maestro, nella Legge, qual è il grande Comandamento?” La risposta del Signore Gesù è immediata, anzi automatica: “Amerai…” (Mt 22,37) www.parrocchiamadonnaloreto.it

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citazione testuale dello Shemà Israel (Dt 6,4) ma subito viene messo in relazione con il precetto dell’amore del prossimo presente nel Levitico (Lv 19,18). Il Signore da vero Maestro realizza una piccola grande rivoluzione: seguendo una lettura cara alla tradizione rabbinica, mette in stretta relazione i due precetti “Questo è il grande e il primo…Il secondo è simile a quello… Da questi due dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22,38-­‐40). Gesù ci porta all’immagine della moneta della scorsa settimana, sempre con due facce complementari, una moneta donataci da Signore per spendere bene la vita, per entrare e restare attivamente nella logica del Regno di Dio. Il dottore della Legge vuole una risposta scolastica dal Signore Gesù (“Cosa viene prima e cosa viene dopo?) ma riceve una risposta disarmante, che non riguarda la gerarchia degli elementi messi in gioco, bensì il fondamento della vita del credente: “essere imitatori di Dio”. E si può cominciare ad imitare Dio solo quando si desidera “conoscerlo” con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. E la conoscenza nella Bibbia è sempre un “atto d’amore” (Adamo ed Eva si conobbero). Dio si rivela a noi in Gesù per quello che è, per quello che dice e rivela di se stesso, e tutto questo si riassume nelle poche parole conclusive che abbiamo letto oggi dal libro dell’Esodo: “Perché io sono pietoso” (Es 22,26). Solo nell’esperienza provvidenziale del nostro “sentirci amati da Dio” potremo a nostra volta amare, solo sperimentando la sua misericordia saremo capaci di misericordia nei riguardi dei fratelli. Non si tratta di fare qualcosa per Dio, quanto di diventare come Dio, frequentando il suo Amore: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Ciascuno di noi dovrebbe tendere a meritare l’elogio che l’apostolo Paolo rivolge ai Tessalonicesi: “Voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore… per servire il Dio vivo e vero (1Ts 1,6.9). Il Dio di Gesù di cui vogliamo farci imitatori per esserne un amabile riflesso non è un Dio fissato in uno scritto o custodito gelosamente in uno scrigno o tabernacolo, né tantomeno idolatrato in un crocifisso… ma è sempre e continuamente un Dio incarnato nella nostra carne, Vivente oltre lo spazio e il tempo nel nostro spazio e tempo vitale, dinamico e in continua crescita con noi nella progressiva consapevolezza di “essere Amati da Lui e di essere inviati ad amare nel suo Amore”. Ecco dunque che l’anima dei comandamenti non è solo obbedire ciecamente a un Dio che può mandarci all’inferno, quando ad Dio che vuole trasformare la nostra vita in un Paradiso per noi e per gli altri, nel suo Amore di cui la nostra vita è riflesso. Cercare di obbedire talora a caro prezzo, assumendo docilmente nella nostra carne la passione di Gesù per l’umana creatura. Essere trasformati in Colui al quale vogliamo conformarci, non per la Legge, ma attraverso la Legge meravigliosa del suo Amarci senza limiti e condizioni. Questo è lo scandalo del suo amore che rende la nostra vita scandalosa. Da questo punto di vista i comandamenti non sono dunque dei limiti, dei pesi, degli obblighi, ma al contrario sono le regole del meraviglioso gioco del Suo Amore. I comandamenti ci permettono di diventare come Lui, di affrontare come Lui la croce per Amore. Ci permettono di raggiungere un grande senso di soddisfazione e di pace profonda, persino quando siamo sconfitti dagli eventi del mondo. Che gusto c’è nel vincere sempre perdendo il fratello? Vi è gioia più grande nel permettere all’altro di vincere per condividere con lui una vittoria più profonda, duratura ed autentica… quella di “sentirci amati ben sopra ogni nostro merito”. Se faremo questo saremo uomini e donne dal cuore grande, perennemente stupiti e commossi davanti a tutto e tutti, liberi da ogni paura e pericolo perché avvolti e protetti da un Amore che è nostra forza, sicurezza e beatitudine, vulnerabili nell’amore ma vittoriosi nell’amore. Non ci resta che impiegare tutta la nostra vita in www.parrocchiamadonnaloreto.it

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questa “Ars Amandi” e cercare come possiamo di essere “radiosi testimoni” di questo Amore che è per sempre. Fra Alberto

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Come il Signore, esempio di umiltà Gesù chiamò a sé gli apostoli e disse: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mt 20,25-­28). •

Carissimi fratelli e sorelle, amati e prediletti dal Signore, oggi il Vangelo ci interpella con un accusa forte contro il nostro vivere una fede tiepida o superficiale. L’accusa rivolta ai farisei vale ancora oggi nei riguardi della nostra vita di credenti: ad ogni cristiano è chiesta la testimonianza, “che esempio do?”, “sono coerente con la fede che professo?”.

Nelle tre letture che ci vengono proposte questa domenica ricorrono i diversi ruoli che il credente è chiamato a impersonare nella sua vita sociale, ruoli che anche noi siamo chiamati a vivere più o meno bene nei nostri rapporti fraterni: si parla di “padre” (Ml 2,10; Mt 23,9), di “madre” (Sal 130,2; 1Ts 23,7), di “fratelli” (Mt 23,8), di “servo” (Mt 23,11).

Frate Francesco scriveva nella “Lettera a tutti i fedeli”: Oh, come sono beati e benedetti quelli e quelle, quando fanno tali cose e perseverano in esse; perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore (cf. Is. 11,2) e farà presso di loro la sua abitazione e dimora (cf. Gv. 14,23); e sono figli del Padre celeste (cf. Mt. 5,45), del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri (cf. Mt. 12,50) del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù di Spirito Santo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli (Mt. 12,50). Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio (cf. Mt. 5,16).

Il Signore ci aveva detto la scorsa settimana che l’essenziale e il fondamento della Legge e dei Profeti è amare Dio e amare il fratello come siamo amati noi stessi da Dio. Sono le due facce della stessa medaglia, della stessa moneta donataci da Dio per spendere bene la vita. Oggi nella prima lettura Dio si lamenta con il suo popolo, o meglio con i suoi sacerdoti, a causa della durezza del loro cuore: “Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?” (Ml 2,10). Si può perciò dedurre che il “dare gloria a Dio” è prima di tutto “prendersi cura dei fratelli”, secondo l’insegnamento e l’esempio dell’apostolo Paolo, che dice alla comunità di Tessalonica: “Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.” Anche voi mi siete cari e siete sempre nel mio cuore, carissimi fratelli della comunità di Chivasso e faccio miei le parole di Paolo. Guardando al Signore, impariamo da Lui che umile e mite di cuore. Dare gloria al nome di Dio, nostro Padre, è veramente prima di tutto “amarci amorevolmente come una madre verso i propri figli”, amare con l’amore materno di Dio (“Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.” Is 66,13-­‐14).

Che cosa significa essere madre per l’altro? Paolo ci dice di essere stato “madre” che nutre e cura. Ecco dunque il ministero della maternità: nutrire l’altro perché cresca e questa crescita sia come quella degli alberi del bosco, nella libertà, nella diversità e pluralità delle forme, al www.parrocchiamadonnaloreto.it parrocchiamadonnaloreto@gmail.com 1


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massimo delle proprie possibilità, ma tutti verso il sole. Questo ho desiderato quando ero fra voi e questo ancora oggi desidero per tutti voi. •

La parola “autorità” deriva dal termine latino “augere” cioè “far crescere”. L’atteggiamento dei farisei e di alcuni pastori della nostra Chiesa sembra essere proprio l’opposto, in quanto sono proprio coloro che bloccano la crescita della comunità parrocchiale. Il presbitero guardando all’atteggiamento di Dio, che è Padre e Madre al contempo (“Se una madre si dimenticasse del proprio bambino, io non ti dimenticherò mai” Is 49,15) dovrebbe essere “padre e madre” della sua comunità, guardando all’esempio di Gesù (“Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” Lc 22,27) dovrebbe, pur presiedendo alla comunità nel nome del Signore (colui che sta a tavola), essere colui che lava i piedi e le ferite delle “pecorelle” del suo gregge.

Lo scopo dell’atteggiamento dei farisei è cercare l’ammirazione della gente intorno a loro. Anche una madre può essere orgogliosa di sé, ma tale ammirazione si fonda sull’amore autentico per le persone che ama e non su uno sterile autocompiacimento del mondo, nel sentirsi “migliori”. Una madre è orgogliosa nel vedere che la sua creatura cresce sana e bella ai suoi occhi, non ricorda la fatica e le veglie, si preoccupa solo delle continue cure che desidera dare a quel piccolo mondo di persone che ama genuinamente, un mondo che dipende dalle sue attenzioni ma che nel contempo è meravigliosamente autonomo nella crescita. Beato chi ha vicino a sé persone così belle, vivrà “quieto e sereno” come in braccio a una madre.

Concludo con le parole del grande J. H. Newman: “Gli apostoli furono considerati dal Cristo come rappresentanti degli altri credenti o piuttosto come i suoi propri rappresentanti. In realtà, egli è il solo e l’unico a sedere sul trono del Regno (Ml 1,14)… essi sono solo i suoi reggenti, in sua assenza… e qualunque sia il loro potere, non è un potere che possiedono in proprio, ma un potere che viene da Lui; e come questo potere non ha la sua origine in loro, così non ha la sua fine in loro”. (J.H.Newman, Sermoni sui temi del giorno, 16). Uniti sempre nella preghiera e nel Suo amore, Pace e Bene nel cammino della Vita con Lui.

PREGHIERA: Liberaci dalla doppiezza e dall’ipocrisia, Signore, con l’aiuto del tuo Spirito. Vogliamo essere tuoi veri discepoli, persone semplici e schiette, che non si accontentano di seguirti solo con le parole. Donaci sincerità, limpidezza e coerenza: mai nessuno si scandalizzi per i nostri cattivi esempi. Aiutaci a combattere la nostra presunzione di “essere maestri”; donaci il coraggio di “essere madri” che danno tutto loro stessi agli altri nel tuo Amore che è per Sempre. Amen. Alleluja.

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Tu quando verrai Signore Gesù… Una voce! L'amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti,balzando per le colline… Ora l'amato mio prende a dirmi:"Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico sta maturando i primi frutti e le viti in fiore spandono profumo. Alzati, amica mia,mia bella, e vieni, presto! (Ct 2,8.10-­13) Nell’Ultima Cena Gesù ha lasciato ai suoi discepoli e a tutti noi il segno del Pane e del Vino, presenza reale del Signore fra noi. Ogni eucaristia viene celebrata nell’attesa della sua venuta nuovamente fra noi nella gloria. Ogni assemblea eucaristica non si stanca di invocare “Vieni Signore Gesù!” Il mistero della sua venuta, verso la quale tende tutta la storia della salvezza, è il tema di questa domenica. In realtà il mondo di oggi pensa poco alla morte e tanto meno, anche molti cristiani praticanti, pensano al ritorno del Signore, compimento delle nostre vite e della nostra storia. Ci si preoccupa di tante cose, come Marta la sorella di Maria e di Lazzaro, e si presume che quando sarà venuto quel momento, solo allora si penserà come affrontarlo. “È un atteggiamento insensato” ci avverte Gesù raccontandoci la parabola delle dieci vergini. La venuta di Gesù va preparata giorno per giorno nel nostro cuore: “Ecco lo sposo. Andiamogli incontro” •

Ma noi desideriamo che egli venga nella nostra vita per illuminarla? La sua luce mostrerà la verità del nostro vivere. Signore pietà.

Ci siamo forse addormentati lungo l’attesa? Lui viene e bussa al nostro cuore per risvegliarci dal torpore del peccato. Cristo pietà.

Abbiamo consumato tutto il nostro olio e nel cuore sentiamo la pesantezza del dubbio e dell’angoscia? Lui viene per portarci vita. Signore pietà.

Tu, quando verrai, Signore Gesù, quel giorno sarai un sole per noi. Un libero canto da noi nascerà e come una danza il cielo sarà. Tu, quando verrai, Signore Gesù, insieme vorrai far festa con noi. E senza tramonto la festa sarà, perché finalmente saremo con te. Tu, quando verrai, Signore Gesù, per sempre dirai: "Gioite con me!". Noi ora sappiamo che il Regno verrà: nel breve passaggio viviamo di te. •

Favola: Un giovane abile ed intraprendente aveva ricevuto dal padre un grande regno, ma prima di salire al trono decise di chiedere consiglio ad un vecchio saggio che abitava fra le montagne. Fece perciò un lungo viaggio e giunto sulla montagna dai grandi abeti e querce, decise di intrattenersi con il maestro per parecchi giorni. Molti furono i suoi insegnamenti sia sulla natura umana, sia sulle cose del mondo. Giunto il giorno di partire, incantato dalla saggezza che si irradiava da quel vegliardo, il giovane gli chiese un ultimo consiglio per poter governare con altrettanta sapienza il suo popolo: “Qual è la prima virtù che deve avere un re?”. Il vecchio rifletté un istante e poi disse: “Per prima cosa sii paziente e non avrai difficoltà alcuna a portare bene e prosperità al tuo regno”. Il giovane re ringraziò e fece un inchino… ma il saggio ripeté “Per prima cosa sii paziente e non avrai difficoltà alcuna a portare bene e prosperità al tuo regno”. Il giovane re sorrise e promise al saggio che avrebbe

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fatto tesoro del suo consiglio… ma il saggio ripeté ancora “Per prima cosa sii paziente e non avrai difficoltà alcuna a portare bene e prosperità al tuo regno”. Il giovane re ripromise che avrebbe ascoltato e messo in pratica il consiglio… ma il saggio nuovamente disse “Per prima cosa sii paziente e non avrai difficoltà alcuna a portare bene e prosperità al tuo regno”. A questo punto il giovane re si arrabbiò e disse: “Mi credi un imbecille o pensi che sia sordo? Ho capito. È la quarta volta che mi dici la stessa cosa. Ho capito e lo farò”. Il saggio gli sorrise dolcemente e per mostrargli la difficoltà di mettere in pratica il suo consiglio aggiunse: “Vedi, non è per niente facile essere pazienti. È bastato che io abbia ripetuto una volta di più il mio consiglio e subito ti sei irritato. Se vuoi arrivare alla Sapienza, sappi aspettare”. •

La scorsa domenica il Vangelo ci invitava a prendere le distanze dal comportamento ipocrita, saccente e opprimente dei farisei per assumere invece il cuore vitale e vivificante della “madre” che nutre e si adopera ogni giorno per la crescita dei figli. Nella liturgia odierna appare l’immagine nuziale della vergine in attesa ardente dello Sposo, tensione che arriva al culmine nel compimento del desiderio: “Le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze” (Mt 25,10). Il verbo “entrare” sottolinea il coronamento di un profondo desiderio di comunione, il raggiungimento di quella intimità tanto sperata nella lunga attesa della notte.

Tutto ciò trova conferma nella prima lettura dove abbiamo sentito che la sapienza “facilmente si lascia vedere da coloro che la amano” (Sap 6,12) e nella seconda lettura dove l’apostolo Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, li esorta a rallegrarsi e a confortarsi a vicenda nella speranza che alla fine “così per sempre saremo con il Signore” (1Ts 4,17).

La nostra vita d’altronde noi la viviamo nell’equilibrio degli opposti: entrare o rimanere fuori dalla festa; essere ammessi o essere esclusi dal banchetto di nozze; godere o essere privati della visione beatifica del volto dello Sposo che dona gioia e pace ai nostri cuori inquieti. Solo contemplando lo Sposo Gesù che si unisce alla Sposa la Chiesa, noi possiamo far risplendere i nostri giorni nel trionfo della vita attraverso la vittoria del suo Amore.

Nelle feste di nozze, ai tempi di Gesù, le vergini che accompagnavano la sposa, trovavano marito: anche noi nella nostra partecipazione vitale alla missione della Chiesa permettiamo alle nostre esistenze di trovare quel senso e quella pienezza che solo Gesù ci può garantire.

In che cosa consiste la Sapienza? Che cosa distingue le vergine sagge dalle stolte? Analizzando da vicino il testo, ci accorgiamo che la saggezza non sta nel “resistere al sonno”: tutte si addormentano… il sonno del dubbio, la fatica dei giorni e le tenebre dell’angoscia, la paura di restare soli o disperare della sua misericordia per i troppi peccati che ci hanno allontanato da Lui… tutte queste cose le hanno vissute grandi santi come Francesco, Rita, Teresina del Bambin Gesù o padre Pio. La carta vincente delle vergini sagge è “insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi”. L’olio si produce con la spremitura delle olive, triturate dal frantoio: le vergini vivono l’attesa nel desiderio e lavorano ogni giorno nell’attesa operando il bene, preparano il Regno nel loro cuore e nei luoghi della loro vita, accettando di offrire le loro vite per amore di Gesù Sposo, tutto di loro stesse danno a Lui, vivono di Lui e per Lui producendo il buon olio della Fede, della Speranza, della Carità. La Sapienza perciò consiste nel “non stare con le mani in mano” ma nel lavorare per il Regno, preparandosi al peggio. La Sapienza è sapere in anticipo che le cose potranno “andare per le lunghe”: lo Sposo potrebbe tardare a venire… perché l’umanità non è ancora pronta ad accoglierlo. Le vergini sagge hanno un rapporto giusto con il tempo e con la vita, sanno che noi viviamo di Lui e per Lui; mentre le stolte vivono in modo superficiale, si lasciano prendere dal funesto ottimismo di una vita senza pericoli o problemi, eternamente nell’illusione di un paese dei balocchi dove tutti si vogliono bene e nessuno ti può ingannare.

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Solo in un rapporto giusto con il tempo e la vita, accettando contrattempi, ritardi e delusioni, senza lasciarci vincere da queste, potremo attendere il compimento dei nostri giorni con l’arrivo dello Sposo desiderato; a tutti noi è stata affidata nell’attesa, come una lampada, la nostra vita, nel corpo e nello spirito che vanno entrambi nutriti e fatti crescere. Occorre che la lampada-­‐vita sia accesa e perché questa lampada funzioni è necessario il nostro impegno e la nostra lungimiranza. Il pericolo sempre in agguato è che la lampada si spenga: tutti corriamo il rischio di “spegnerci” e quindi di non riconoscere l’arrivo dello Sposo perché ripiegati su noi stessi, sulle nostre paure e dubbi.

Quando arrivò lo Sposo “la porta fu chiusa”: è ben giusto che la porta venga chiusa per garantire l’intimità e il calore della festa e della comunione d’Amore.

Signore Gesù, che sei veramente lo Sposo delle nostre vite, della nostra umanità, donaci il coraggio dell’attesa e la sapienza della lungimiranza nel nostro lavoro fedele per rendere possibile l’avvento del tuo Regno nei nostri Cuori e nelle nostre Vite. Dona alla nostra lampada non solo l’olio sufficiente ma anche quello indispensabile per superare e varcare le molti notte del nostro vivere nella gioiosa speranza del tuo Amore che è per Sempre. Fra Alberto

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Chiamati ad essere liberamente responsabili In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì… Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro» (Mt 25,14-30)

Lavorare per portare frutto nel Regno di Dio: questa è la sintesi del Vangelo odierno. Oggi celebriamo la solennità della Chiesa locale, ma al consueto brano evangelico della “Vite e i tralci” (Gv 15) ho preferito leggere e meditare sul passo di Matteo 25, di cui sentiremo la conclusione nella prossima domenica.

Il lavoro è un dono di Dio, perché l’uomo si realizzi nella sua piena umanità, un dovere e un diritto soprattutto oggi dove difficilmente si trova lavoro, una legge inscritta da Dio nel nostro statuto di creature a cui viene affidato responsabilmente il creato. Noi cristiani lavoriamo a immagine di Dio e a immagine di Cristo Gesù, che sempre opera in noi se ci lasciamo lavorare dal suo Spirito (Gesù disse loro: "Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco". Gv 5,17).

Ora se il lavoro è un dono, lo sono anche gli strumenti per lavorare: qualità, abilità, attitudini, relazioni… Dio ce le dona per lavorare bene, ma occorre metterle al servizio degli altri. La parabola di oggi ci fa capire quanto il Vangelo abbia condizionato il parlare comune: quando una persona è ha delle doti o delle risorse straordinarie diciamo che ha un “talento”. Un talento costituiva la paga di circa seimila giornate di lavoro, dunque un vero e proprio capitale. Anche il servo al quale viene affidato un solo talento, riceve in realtà una grande ricchezza.

Dunque tutti abbiamo dei talenti: questa è una bellissima notizia. Chi più o chi meno, tutti abbiamo un capitale ingente da amministrare, da far fruttare per il bene di tutti, una risorsa da mettere a disposizione di tutti. Tutti, senza eccezioni, possediamo dei talenti: anche quelle persone che non riescono ad accorgersene o che, peggio, passano il tempo ad invidiare i talenti degli altri, nascondendo il proprio sottoterra. È difficile accorgersi dei propri talenti, perché troppo spesso siamo capaci a sottolineare solo il peggio e i nostri difetti; facciamo fatica a guardare con obiettività alle nostre qualità. Possediamo tutti dei talenti, ma troppo spesso confondiamo l’umiltà con la rassegnazione, nella falsa modestia di non aver ricevuto nulla da Dio.

Ogni comunità è bella perché c’è un sacerdote, dei catechisti, le donne che puliscono la chiesa e quelle che mettono i fiori sull’altare: la comunità è bella grazie al lavoro fraterno di tutti. La comunità ha bisogno dei “talenti” di tutti. Il Signore ci chiede di prendere coscienza delle nostre qualità per metterle a servizio del Suo Regno che si realizza nella nostra Chiesa locale. Il Signore crede in noi… noi crediamo in Lui! Pace e tanto bene. Vostro fra Alberto.

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