La via francescana

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Dal Santuario di La Verna all'eremo di Cerbaiolo

Lunghezza

27 Chilometri

Tempo di percorrenza

8 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa molto impegnativa

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Il cammino inizia nel luogo simbolo del percorso spirituale di San Francesco, che assieme ad Assisi, è stato ed è il luogo in cui la sua presenza è quasi palpabile. La prima salita di Francesco a La Verna è ricca di episodi bellissimi, e così significativi della vita del Santo, che Giotto a pochi anni dalla sua morte li volle dipingere sulle pareti della basilica superiore di Assisi. Il percorso si svolge pressochè tutto su un sentiero. Lasciato il Santuario di La Verna si procede sul sentiero 50 Anello Basso e si entra nel bosco. Si tratta della vecchia strada che costeggia il Monte Penna. Si continua verso Tre Vescovi salendo fino alla sommità del Monte Calvano. Da questo monte i pellegrini possono ammirare tutta la vallata di Pieve Santo Stefano. Si procede verso il passo delle Pratelle quindi si passa sul sentiero 066 e al sentiero 075. Il sentiero inizia a scendere diventanto una carareccia che conduce alle porte di Pieve Santo Stefano. Per arrivare a Cerbaiolo si può prendere un sentiero o in alternativa la strada.

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Cosa vedranno i pellegrini

La Verna (tratto da wikipedia) Il Santuario francescano della Verna, situato a pochi chilometri da Chiusi della Verna (provincia di Arezzo), è famoso per essere il luogo in cui San Francesco d'Assisi ricevette le stigmate il 17 settembre 1224. Costruito nella parte meridionale del monte Penna a 1128 metri di altezza, il Santuario – destinazione di numerosi pellegrini – ospita numerose cappelle e luoghi di preghiera e raccoglimento, oltre a diversi punti di notevole importanza religiosa. La fondazione di un primo nucleo eremitico risale alla presenza sul luogo di San Francesco, che nella primavera del 1213 incontrò il Conte Orlando di Chiusi della Verna, il quale volle fargli dono del monte della Verna che successivamente divenne luogo di numerosi e prolungati periodi di ritiro. Negli anni successivi sorsero alcune piccole celle e la chiesetta di Santa Maria degli Angeli (1216-18). L’impulso decisivo allo sviluppo di un grande convento fu dato dall’episodio delle stimmate (1224), avvenuto su questo monte, prediletto dal santo come luogo ideale per dedicarsi alla meditazione. L'ultima visita di Francesco al monte avvenne nell'estate del 1224. Vi si ritirò nel mese di agosto, per un digiuno di 40 giorni in preparazione per la festa di s. Michele, e mentre era assorto in preghiera vi ricevette le stimmate.Da allora la Verna divenne un suolo sacro. Papa Alessandro IV la prese sotto la protezione papale, nel 1260 vi fu eretta e consacrata una chiesa, alla presenza di San Bonaventura e di numerosi vescovi. Pochi anni dopo venne eretta la Cappella delle Stimmate, finanziata dal conte Simone di Battifolle, vicino al luogo ove era avvenuto il miracolo. Una cappella più antica, S. Maria degli Angeli, costruita nel 1218 per S. Francesco da Orlando, è raggiungibile dalla sacrestia della chiesa maggiore, iniziata nel 1348 ma rimasta incompiuta fino al 1459.

Eremo di Cerbaiolo (tratto da wikipedia e da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) L'eremo di Cerbaiolo è un edificio sacro che si trova nella località omonima a Pieve Santo Stefano. L'eremo è un esempio notevole di insediamento religioso in ambiente impervio. Sorse come monastero benedettino nell'VIII secolo, dal 1216 al 1783 fu abitato dai Francescani, divenendo poi parrocchia col titolo di Sant'Antonio. Dalle origini al 1520 ha fatto parte della Diocesi di Città di Castello, nel 1520 è entrato a far parte della Diocesi di Sansepolcro. Dopo i pesanti danni subiti durante la Seconda guerra mondiale (l'eremo fu teatro di ripetuti scontri a fuoco tra partigiani locali e le truppe naziste che tentarono di impadronirsene per usarlo come base di operazioni subendo ripetute sconfitte), è stato totalmente restaurato e ospita, dal 1967, un Istituto Secolare Francescano, cui l'eremo è stato ceduto dal vescovo di Sansepolcro mons. Abele Conigli. L'eremita che ora gestisce il luogo, che è divenuto punto di accoglienza per pellegrini, è Chiara, una laica consacrata di 80 anni forti come le mura di Cerbaiolo. Il complesso si articola attorno ad un chiostro seicentesco a grossi pilastri ed archi depressi con isolati corpi di fabbrica (chiesa,

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sacrestia, refettorio, cappella, celle). La chiesa, con portali settecenteschi ed abside poligonale, conserva tre altari rinascimentali in pietra. Rilevante è la cappella di Sant'Antonio, edificio a torre del 1716 con il fianco occidentale poggiante sulla nuda roccia. Il ritrovamento lungo un sentiero nel bosco di una medaglia coniata appositamente per celebrare l'anno santo 1625 dimostra come qui transitassero i pellegrini diretti a Roma. Ora, come tanti secoli fa, Cerbaiolo ci appare aggrappato alla rupe, immerso nel bosco di cerr, querce, e noccioli.

Pieve Santo Stefano (tratto da wikipedia) Pieve Santo Stefano è un comune di 3.279 abitanti della provincia di Arezzo ed è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stato insignito della Croce di Guerra al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale. È il luogo di nascita del celebre uomo politico democristiano e storico dell'economia Amintore Fanfani. È sede dell' Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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Dall'eremo di Cerbaiolo a Sansepolcro

Lunghezza

29 Chilometri

Tempo di percorrenza

8 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa molto impegnativa

Il cammino

(tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Usciti dall'eremo si riprende il cammino seguendo il sentiero che porta sulla cresta della collina a cui è aggrappato Cerbaiolo. Si prosegue verso il passo di Viamaggio. Passando per i prati e seguendo la carrareccia, si arriva al sentiero 00 (in salita). La prima parte del sentiero è nel bosco, che si apre in piccole radure da cui si può ammirare il panorama dell'ampia vallata verso San Sepolcro. Dopo il primo tratto, il sentiero scende decisamente nel bosco fino a raggiungere una strada bianca. Si passa per la collina dell'Alpe della Luna. Si può proseguire per il sentiero oppure per la strada che conduce al rifiugio della forestale a Pian della Capanne. Nel secondo caso si cammina sino alla località Spinella per poi girare verso la località Montagna. Qui si prosegue sul sentiero 6 attraversando una piccola valle risalendo poi un crinale dopo aver guadato un piccolo torrente. Dopo essere rientrati nel bosco e aver camminato 1 ora si giunge in discesa alla strada bianca attraverso cui si giunge all'eremo di Montecasale. Appena dietro l'eremo inizia il sentiero 4 che conduce a Sansepolcro. Il sentiero passa per una fitta vegetazione tra cui si nasconde il Sasso Spicco, una larga cengia sormontata da suggestivi massi che, come quello più noto di La Verna, ha visto Francesco in preghiera. Si continua a scendere fino a raggiungere San Martino per poi proseguire sulla strada asfaltata che conduce a Sansepolcro, a 5 Km dal convento.

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Cosa vedranno i pellegrini

Eremo di Montecasale (tratto da http://web.tiscali.it/eremomontecasale/) Un paio di secoli prima dell’anno 1000, fu eretta una fortificazione in Montecasale vicino San Sepolcro (AR) Italia. Essa servì a controllare il passaggio tra l’alta Val Tiberina e le Marche. In seguito il sito fu affidato ai Frati Camaldolesi che lo adibirono ad ospizio dei pellegrini e successivamente a centro di assistenza per malati. Nel 1212 circa il luogo fu donato a San Francesco e da allora abitato dai Francescani. In particolare, dal 1537 con la bolla di Papa Paolo III “Exponi-vobis”, fu affidato definitivamente ai frati Francescani Cappuccini i quali, da allora, lo custodiscono ininterrottamente. L’eremo di Montecasale è uno dei luoghi prediletti da S. Francesco. In esso infatti il santo risiedette più volte. E’ ancora visibile il letto di pietra ove egli si rannicchiava a riposare. Sono numerosi i fatti miracolosi accaduti in questo luogo (vedi fioretti di S. Francesco), quali: • la vocazione del beato Angelo Torlati • la conversione dei ladroni • l’episodio dell’orto ed i cavoli piantati all’insù • la traslazione delle reliquie • il miracolo del pane L’ultimo soggiorno di S. Francesco presso il convento di Montecasale è segnalato verso la fine di settembre del 1224, al ritorno dalla Verna, ove aveva ricevuto le stimmate. In quell’occasione operò un miracolo a favore di un frate, malato di epilessia, che, dopo aver mangiato una fetta di pane benedetta dal santo, istantaneamente guarì. Due anni dopo circa, nel 1226, S. Francesco morì ad Assisi. Presso l’eremo, tra gli altri, trovarono ospitalità anche S. Antonio e San Bonaventura dei quali si conservano le celle e gli abiti. Architettonicamente, l’eremo di Montecasale ha subito nei secoli vari rimaneggiamenti, restauri ed ampliamenti. Oggi si presenta come un articolato, piccolo e racchiuso complesso costituito da refettorio e cucina insieme alla sala del pellegrino a piano terra e da celle, biblioteca, chiostro, chiesa, coro e sagrestia al piano superiore. Nella chiesa, nel bel dorsale dell’Altare maggiore, di noce, scolpito da un frate nel XVII secolo, è posta una statua di Madonna col Bambino datata come epoca al XIII secolo. Nel piccolo e raccolto coro si trovano quadretti di ceramica del 1600 che raffigurano episodi di vita di S. Francesco e fatti riguardanti Montecasale e una tela del 1500 raffigurante S. Francesco che si disseta al Costato di Cristo. Nel corridoio che collega la chiesa al chiostro, si trova la Cappella del Crocifisso; in essa, sull’altare, è posto un bel crocifisso del 400 e nel reliquiario si trovano i resti dei ladroni convertiti, la tonaca del beato Ranieri della Montagna ed ancora, sulla destra, in una nicchia una Pietà di creta che ricorda la Pietà di Michelangelo modellata probabilmente tra il XVII e il XVIII secolo.

Sansepolcro (tratto da wikipedia) Sansepolcro (anticamente Borgo del Santo Sepolcro, da cui la forma vernacolare "el Borgo"; erroneamente San Sepolcro o S. Sepolcro) è un comune di oltre 16.300 abitanti della provincia di Arezzo. Si trova in Toscana, ai confini con Umbria e Marche. È il centro più popoloso della parte toscana dell'Alta Valle del Tevere.

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La fondazione del centro abitato viene fatta risalire al X secolo; secondo la tradizione locale fu opera di Arcano ed Egidio, due pellegrini di ritorno dalla terra santa che vi fondarono una comunità monastica. L'abbazia, dedicata al Santo Sepolcro e ai Santi Quattro Evangelisti, è documentata a partire dall'anno 1012, ed è detta sorgere in località Noceati. Le prime fonti storiche parlano di una abbazia benedettina, poi passata - tra 1137 e 1187 - alla congregazione camaldolese, nel territorio della Diocesi di Città di Castello. Attorno al monastero si sviluppò, successivamente, il nucleo del centro cittadino che raggiunse la fisionomia attuale agli inizi del XIV secolo. Un elemento propulsore dello sviluppo del centro abitato fu il privilegio di organizzare il mercato settimanale nel giorno di sabato e una fiera annuale all'inizio di settembre, concesso all'abate dall'imperatore Corrado II nel 1038. Sulla fondazione esistono comunque ipotesi alternative, fra cui quella del dott. Vincenzo Benini ove si sostiene che il centro si sviluppi sulle ceneri di un solitario accampamento romano abbandonato a se stesso dopo la crisi dell'impero. A sostegno mancano prove documentali, ma lo studioso mette in relazione a questa tesi un monumento funebre romano (oggi al Museo Civico), la pianta della parte antica della città, che pare ricalcare quella di un castrum romanum. Dopo la pubblicazione di questa ipotesi (1978), l'arch. Giovanni Cecconi, in due studi apparsi nel 1992 e nel 1994, ha proposto la tesi dell'origine del Borgo, poi Sansepolcro, dal vicus romano di Voconianus (località Boccognano)

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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Da Sansepolcro a Città di Castello

Lunghezza

27 Chilometri

Tempo di percorrenza

8 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa molto impegnativa

Il cammino

(tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) E' una tappa piacevole, anche se lunga. Si snoda attraverso la pianura per poi seguire in dolci saliscendi i crinali delle colline a destra dalla Valtiberina. Si inizia percorrendo le mura di Sansepolcro per proseguire fino a Porta Fiorentina. Si procede quindi sulla strada statale che porta ad Arezzo. Arrivati a Palazzesca si prende una stradina sterrata che porta a Griciniano, Bastia e Mancino. Si prosegue per Santa Maria in Petriolo. A questo punto si è attraversata tutta la pianura dell'alta valle del Tevere. Dopo qualche incrocio e qualche salita, si prende la strada per Citerna che, dopo un pezzo in pianura sale nel bosco, arrivando al monastero delle benedettine. Da Citerna si può scendere a Monterchi per riprendere poi il cammino seguendo la strada provinciale verso Città di Castello. Arrivati a Patrignone si prende la stradina che sale fino alla carrareccia che entra nel castagneto. Si prosegue sino alla sommità e si continua sul crinale, quindi si continua verso Caldese. Fatta la discesa si passa per dei campi. Si giunge al paese di Lerchi, quindi si imbocca la strada statale e dopo 300 metri si passa davanti ad una chiesa. Una salita di 2 Km si arriva all'eremo di Buon Riposo. Da qui si prosegue verso Villa la Montesca, quindi verso Città di Castello, passando sul Tevere.

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Cosa vedranno i pellegrini

Citerna (tratto da wikipedia) Conosciuta in epoca romana come Civitas Sobariae, subì ripetuti saccheggi durante le invasioni barbariche. In età medievale appartenne ai Malatesta per essere successivamente incorporata nello Stato della Chiesa (XV secolo). Agli inizi del XVI secolo il Papa concesse in vicariato Citerna ai Vitelli che la governeranno fino alla fine del Seicento. Il 23-26 luglio 1849 diede asilo a Garibaldi ed alla sua colonna di circa 2.000 volontari, rimasti dai circa 4.000 usciti da Roma al termine dell'assedio ed in marcia verso l'Adriatico. Nel corso della seconda guerra mondiale, subì gravi ed irreparabili danni ad opera dell'esercito tedesco: la già celebre rocca venne quasi completamente rasa al suolo.

Eremo del Buon Riposo (tratto da http://www.camminodiassisi.it) L’eremo di Buonriposo, a pochi chilometri da Città di Castello, si nasconde dietro il colle di Sant’Angiolino, alla destra del Tevere, tra folti boschi di castagneti. Si tramanda che nel 1213, peregrinando per quelle contrade - tappa obbligata per chiunque si fosse recato da Assisi alla Verna -, Francesco ottenne dal devotissimo Cristiano Guelfucci una cappellina con circostante “orto”, ove si stabilirono i frati Minori. E’ tuttora indicata la stanza dove, nello stesso 1213, dimorò il Santo assisiate. Più famosa essere l'ultima sosta, qui addotta da Francesco nel 1224: «udendo la gente della contrada ch'egli passava, tutti traevano a vederlo e uomini e femmine e piccoli e grandi, i quali tutti con grande devozione e desiderio s'ingegnavano di toccarlo e baciargli la mano. E non potendole egli negare alla devozione delle genti, bench'egli avesse fasciate le palme, niente di meno per occultare più le stimmate si le fasciava ancora e copriva colle maniche, e solamente le dita scoperte porgea loro a baciare. Ma con tutto ch'egli studiasse di celare e nascondere il sacramento delle gloriose stimmate, per fuggire ogni occasione di gloria mondana, a Dio piacque per gloria sua mostrare molti miracoli per risulta virtù delle dette stimmate, singularmente in quel viaggio dalla Verna a Santa Maria degli Angeli» (Della quarta considerazioni delle sacre sante istimmate). All’interno dell’eremo appaiono qua e là i nomi di Francesco, di Antonio da Padova, di Bonaventura da Bagnoregio e di Bernardino di Siena; questi, certamente verso il 1425 o 1426 (sotto il dominio della Casa di Braccio da Forteraccio di Città di Castello) predicò in città un suo indimenticabile Quaresimale;). Nel 1864 il complesso venne demanializzato e la piccola famiglia francescana concentrata nel luogo di Citerna. Convento e chiesa vennero chiusi e successivamente venduti a privati, che tuttora lo abitano.

Città di Castello (tratto da wikipedia) Città di Castello è una città di oltre 40.000 abitanti dell'Umbria in provincia di Perugia, principale centro dell'alta valle del Tevere. Molteplici fattori tra i quali la struttura architettonica di spiccato carattere rinascimentale, il numero di abitanti e la densità di popolazione, oltreché la posizione geografica e la parlata dialettale contribuiscono a definire il peculiare carattere della città, culturalmente assai legata alle vicine Toscana e Marche.

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L'insediamento originario fu fondato dagli Umbri sulla riva sinistra del Tevere in prossimità del territorio assoggettato al controllo degli Etruschi; a partire dal III secolo a.C., a causa dell'espansione romana, la città fu federata di Roma e, successivamente, fu inserita nella Regio VI Umbria. Dal I secolo a.C. divenne municipio romano, di cui patrono più illustre fu Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane, il quale, secondo quanto affermato in una sua lettera, fece erigere un tempio, ultimato nel 103 a.C. o 104 a.C., di cui non si conosce la collocazione. Certamente, la gens Plinia possedeva vasti latifondi nelle vicinanze della città ed una villa è più volte ricordata dallo stesso Plinio il Giovane, nelle sue lettere; gli scavi operati dall'Università degli studi di Perugia in collaborazione con l'Università di Alicante, in località Colle Plinio nel comune di San Giustino, hanno permesso di individuare la collocazione della villa di Plinio il Giovane. La città fu chiamata Tifernum Tiberinum dai Romani, al fine di distinguerla dall'omonimo insediamento posto sul Metauro, Tifernum Metaurense, e sembra che assunse una discreta rilevanza visto che è citata anche da Plinio il Vecchio. Intorno al 1100 si organizzò in Comune e fu minacciata dalle pretese dell'Impero, dello Stato della Chiesa, di Firenze e di Perugia. Nella prima metà del 1200 fu denominata Civitas Castelli e, nonostante che le rivalità tra Guelfi e Ghibellini ne misero spesso in pericolo la libertà, poté ugualmente godere di prosperità. In questo periodo acquista indipendenza il borgo di Sansepolcro, sorto agli inizi dell'XI secolo attorno all'omonimo monastero nel contado di Città di Castello, e sviluppatosi in comune autonomo tra i secoli XII e XIII. Nel 1306 si iniziò a costruire la chiesa dei Servi di Maria, poi chiamata di Santa Maria delle Grazie, divenuta nel tempo santuario mariano cittadino. Nella seconda metà del XIV secolo divenne maggiore l'influenza esercitata da Perugia, finché nel 1367 fu ricondotta sotto lo Stato della Chiesa dal cardinale Albornoz. Nel successivo anno 1368, Brancaleone Guelfucci sollevò la cittadinanza ed insorse; tuttavia, il popolo tifernate riacquistò la libertà solo nel 1375, grazie all'intervento dei fiorentini. Nel 1422 papa Martino V affidò la città al condottiero Braccio Fortebraccio da Montone, la cui famiglia detenne il dominio fino al 1440, anno in cui iniziarono le lotte per la conquista del potere tra varie famiglie, tra le quali i Vitelli, i Fucci e i Tartarini. Il 12 gennaio 1798 fecero il loro ingresso in città i soldati della Repubblica Cisalpina, che proclamarono la repubblica, ma solo il 5 maggio successivo le truppe francesi non furono in grado di sedare una rivolta partita dalle campagne e di spiccata tendenza antirepubblicana. L'ordine fu riportato il 18 giugno 1799, quando la città fu occupata dagli austriaci per volere del Papa. La città riottenne nuovamente la libertà la sera dell'11 febbraio 1849 e l'11 settembre 1860 entrò nello Stato Italiano, seguendone da questo momento le vicende storiche. Durante la seconda guerra mondiale, nel periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, il rettore del locale Seminario, don Beniamino Schivo, si segnalò per la sua coraggiosa opera umanitaria a favore dei civili, dei profughi e dei perseguitati. A lui deve la vita anche una famiglia di ebrei tedeschi che fu accolta, nascosta e protetta dalla deportazione fino alla Liberazione. Per questo suo impegno di solidarietà, l'8 giugno 1986, l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito a don Schivo l'alta onorificenza dei "Giusti tra le nazioni".

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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Da Città di Castello a Pietralunga

Lunghezza

29 Chilometri

Tempo di percorrenza

9 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa molto impegnativa

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Usciti da Città di Castello di prende la strada per Perugia, quindi si prosegue sulla strada per Ronchi che procede parallela al torrente Soaria. Il paesaggio è dolce e la strada sale leggermente lungo un valloncello che si restringe presso la località il Sasso dove si possono vedere anche delle piccole cascate. Dopo un paio di chilometri si prende la strada per Pieve de Saddi che sale su rigogliose e silenziose colline e si dipana in un susseguirsi di curve che offrono sempre nuovi scorci. La Pieve de Saddi si trova in mezzo ad un prato. Dalla Pieve la discesa diventa più ripida. Si arriva fino alla strada asfaltata poco trafficata. Dopo un susseguirsi di salite e discese di arriva al bivio di Candeleto. Da qui mancano ancora 2 Km per giungere a Pietralunga

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Cosa vedranno i pellegrini

Pieve di Saddi (tratto da wikipedia) Pieve de' Saddi è una frazione del comune di Pietralunga. Il borgo è costituito da alcune case e da una chiesa coi suoi annessi ricostruita sul luogo ove si trovava una basilica paleocristiana, risalente all'VII secolo. La chiesa è a pianta rettangolare a tre navate, con colonne squadrate. Il soffitto è a capriate, con un abside semicircolare ed un nartece sul fronte; sulle pareti si trovano tracce di affreschi del XV secolo. Al di sotto dell'edificio è ubicata la cripta, luogo che in origine ospitava le spoglie di san Crescenziano (patrono di Urbino): soldato romano del IV secolo, martirizzato sotto Diocleziano il 1º giugno 303, proprio in questa località. Il corpo del santo venne poi traslato ad Urbino nel 1068, come dono del vescovo tifernate Tebaldo al vescovo urbinate Mainardo. Un bassorilievo dell'VIII secolo mostra il santo intento ad uccidere un drago. La pieve originale venne costruita molti secoli prima, dato che intorno all'anno 600 vi morì san Florido vescovo. Una torre del IX secolo senza merlatura, ospitante un vestibolo quattrocentesco e con una finestra in stile guelfo sulla facciata principale, chiude sul davanti la costruzione. L'edificio appartenne nel XVI secolo alla famiglia Vitelli, mentre ora è un bene di proprietà della curia vescovile di Città di Castello. Nelle vicinanze si trova la Fonte del Drago, una sorgente d'acqua solforosa collegata con la leggenda del santo ed un vasto bosco di querce secolari.

Pietralunga (tratto da wikipedia) Pietralunga è un comune dell'Umbria, in provincia di Perugia, il cui territorio, che ha un'estensione di 140, 24 km², conta 2.324 abitanti. È situato nella parte nord-orientale dell'Alta Valle del Tevere, a 566 metri di altitudine sul livello del mare. L'insediamento urbano occupa la parte terminale di un crinale collinare degradante verso la valle del torrente Carpinella, a ridosso dell'Appennino umbro-marchigiano. Il centro murato giace sul versante meridionale del colle coprendo un dislivello di 40-50 metri tra il lato nord e quello sud delle mura urbane. Pietralunga ha origini preistoriche ed il flauto su tibia umana conservato presso il Museo archeologico di Perugia, i vari castellieri sparsi nel territorio ed i ritrovamenti di materiale litico ne sono la tangibile testimonianza. La fondazione del centro urbano col nome di Tufi(ernu), tuttavia la si fa risalire al popolo Umbro. Durante il periodo romano - il più florido - è conosciuta col nome di Forum Julii Cocupiensium. L'oppidum dei foroiulienses cognomine concupienses, elevato a Municipium nell'età augustea, è citato anche da Plinio il Vecchio nella "Naturalis historia (III, 14, 112-113)". Di questo periodo restano significative testimonianze, come ville, acquedotti, fistulae aquariae, monete e importanti strade (diverticula) con tratti interamente basolati. Dell'affermazione del Cristianesimo nel territorio pietralunghese ci è pervenuta notizia attraverso il martirologio di san Crescenziano, un legionario romano al quale la leggenda sacra attribuisce l'uccisione di un drago alle porte di Tiferno (Città di Castello). Crescenziano, messaggero della nuova dottrina, venne decapitato e sepolto a Pieve de' Saddi dove, a ricordo, sopra le vestigia di un preesistente tempio pagano, venne edificata una chiesa, la più antica della diocesi tifernate, per accogliere le spoglie del martire. Distrutta durante le invasioni barbariche, Pietralunga venne riedificata tra il VI secolo e l'VIII secolo d.C. sull'odierno colle assumendo il nome di Plebs Tuphiae. A questo periodo risalgono la costruzione della Pieve di Santa Maria e l'edificazione

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della Rocca longobarda pentagonale. Con l'andare del tempo il territorio pietralunghese divenne una terra popolata e florida ed il nome della città venne mutato in Pratalonga (Leonardo in volgare la chiamava PRATOMAGNO) dai pingui ed estesi pascoli che la circondavano. Libero comune dall'XI secolo al XIV secolo, Pratalonga venne dotata degli strumenti del Catasto e degli Statuti. A questo periodo (11 settembre 1334) risale il miracolo della mannaja, strumento di morte conservato presso la Cattedrale di Lucca. Allo scadere del XIV secolo, per garantirsi incolumità e sicurezza, Pratalonga si sottomise a Città di Castello, divenendone parte integrante del territorio. La città maggiore vi inviava, semestralmente, un Capitano giusdicente con pieni poteri nell'amministrazione della cosa pubblica e della giustizia. Questo status politico-amministrativo perdurò sino al 1817, anno in cui Pratalonga, ormai italianizzata in Pietralunga, venne elevata al grado di Comune. Durante la prima guerra mondiale (1915-1918) oltre cento cittadini pietralunghesi perirono per il bene e la difesa della patria. A ricordo la popolazione ed il Comune eressero un monumento al centro dei giardini nella piazza principale. Pietralunga è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, perché è stata insignita della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per i sacrifici della sua popolazione e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale ed è sede del Monumento regionale al partigiano umbro.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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La via francescana -­‐ Tappa 5 Da... A...

Da Pietralunga a Gubbio

Lunghezza

27 Chilometri

Tempo di percorrenza

8 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa molto impegnativa

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Lasciato Candeleto si scende sino alla statale, si supera il Santuario Maria dei rimedi e si prosegue per la strada di sinistra del bivio per Gubbio. Si sale sulla collina dove si incontra la strada per San Benedetto, quindi si prosegue fino ad un bivio e si gira a destra. Si procede verso l'abbazia di San Benedetto (l'abbazia contiene una lapida che conferma la credenza popolare che vuole che Francesco si sia fermato qui andando a La Verna). Si scende fino ad un ponticello e si prosegue sulla strada bianca che sale ombreggiata sui colli. Si superano piccole valli, un laghetto artificiale, e si sale ancora. Si passa per una pineta. Ad un certo punto la carrareccia si congiunge con una strada bianca e si prosegue su quest'ultima. Dopo la chiesetta di Montecchi si svalica e il panorama si apre sulla grande pianuta egubina. Arrivati a Palazzo Valle si si passa sulla strada asfaltata. Poco dopo, su una curva, si incontra la chiesa di Loreto. Si prosegue per 1 Km e si prende la strada provinciale quindi si gira in direzione Monteleto. La strada è ombreggiata da querce e scende sulla statale, si oltrepassa e si prende una piccola stradina. Al primo bivio di sigira a sinistra e si prosegue per Gubbio.

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Cosa vedranno i pellegrini

Gubbio (tratto da wikipedia) Le prime forme di insediamento nel territorio eugubino sono da collocarsi già nel paleolitico. Resti di un villaggio di età neolitica sono stati investigati in località San Marco. Nell'età del bronzo un abitato si sviluppò per più secoli sul soprastante Monte Ingino; le relative tombe, scoperte limitatamente all'età del bronzo finale, si trovavano nell'area successivamente occupata dal centro storico (urne cinerarie di Via dei Consoli). Gubbio fu una città umbra con il nome di Ikuvium o Iguvium posta sulle vie di comunicazione tra il Tirreno e l'Adriatico. Testimonianze del periodo umbro sono le importanti Tavole eugubine, scoperte intorno metà del XV secolo ed acquistate dal comune nel 1456, costituite da sette tavole in bronzo, in parte redatte in alfabeto umbro ed in parte in alfabeto latino, ma sempre in lingua umbra. Alleatasi con Roma nel 295 a.C., ottenne nell'89 a.C. la cittadinanza romana: fu eretta a municipium ed ascritta alla tribù Clustumina. Invasa dagli Eruli fu nel 552 distrutta dai Goti di Totila, ma venne ricostruita con due potenti torri difensive dai Bizantini di Narsete, generale di Giustiniano, non più in pianura, ma sulle pendici del monte Ingino. Nel 772, Gubbio fu occupata dai longobardi Liutprando, Astolfo e Desiderio. La città di Gubbio è strettamente legata alla storia di San Francesco, in particolar modo ad un evento della sua vita citato nel XXI capitolo dei Fioretti di San Francesco, cioè l'incontro con il lupo. A Gubbio Francesco si rifugiò dopo essersi allontanato da Assisi, trovando asilo presso la famiglia degli Spadalonga. Per questo Gubbio è considerata la seconda capitale francescana. Ceduta alla Chiesa con le donazioni di Pipino il Breve e Carlo Magno, la città, pur assoggettata ai vescovi, si costituì in Libero comune di fazione ghibellina e, nell'XI secolo, iniziò una politica espansionistica. Distrutta Luceoli, posta sulla via Flaminia nei pressi dell'odierna Cantiano, il suo vasto territorio fu inglobato in quello eugubino e in posizione più strategica, fu fondata Pergola (poi città autonoma dal 1752). La creazione di Pergola fu considerata pericolosa dalla vicina città di Cagli, che già si sentiva minacciata da Gubbio in quanto gli Eugubini avevano ottenuto la concessione imperiale sullo strategico Castello di Cantiano, controllando di fatto, agevolmente, i collegamenti sulla via Flaminia; ne nacquero una serie di scontri che coinvolsero, in forza delle alleanze promosse dai cagliesi, anche Perugia. Le continue guerre di confine portarono Gubbio ad avere più di cento castelli sotto il suo dominio, ma, nello stesso tempo, ad entrare in forte conflitto con Perugia, allarmata dal suo espansionismo. Nel 1151 undici città confederate, capeggiate da Perugia, attaccarono Gubbio con l'intento di spazzarla via. La città resse all'urto ed il seguente contrattacco portò ad una schiacciante vittoria degli assediati. L'evento fu attribuito all'intervento ritenuto miracoloso di Sant'Ubaldo (1080-1160), allora vescovo della città. La potenza militare e commerciale che Gubbio andava sempre più ostentando portò ad altri scontri con Perugia, finché nel 1257 i perugini occuparono parte dei territori eugubini, che furono poi restituiti con il trattato di pace del 1273. Nel XIII secolo Gubbio prosperò in pace, crescendo dal punto di vista sia urbanistico, sia economico, sia demografico. Nel 1263, i guelfi presero il potere che detennero fino al 1350, tranne brevi parentesi, come quando, nel 1300, Gubbio fu occupata dalle truppe ghibelline del conte di Ghiacciolo (Uberto Malatesta) e di Uguccione della Faggiuola. Infine, caduta sotto la signoria di Giovanni Gabrielli, nel 1354 fu assediata ed espugnata dal cardinale Albornoz, legato pontificio, che l'assoggettò alla Chiesa concedendo, però, alla città gli antichi privilegi e statuti propri. La pace fu di breve durata poiché il governo pontificio non mantenne le promesse fatte dal cardinale Albornoz: gli eugubini nel 1376 insorsero e instaurarono un autogoverno. Pochi anni dopo, nel 1381, il vescovo Gabriello Gabrielli, appoggiato dal papa, si autoproclamò signore di Agobbio, nome medioevale di Gubbio, provocando la ribellione dei cittadini che, ridotti alla fame, nel 1384 si levarono in armi contro il vescovo. Impossibilitati a resistere al battagliero vescovo, che non voleva perdere il dominio sulla città, gli eugubini si "consegnarono" spontaneamente ai Montefeltro, duchi di Urbino, perdendo così il titolo di libero comune, ma ottenendo un lungo periodo di tranquillità. I Montefeltro, signori amanti dell'arte, restituirono a Gubbio i privilegi e gli ordinamenti civili, la città tornò così a fiorire culturalmente e artisticamente; in quel periodo fu ricostruito il Palazzo dei Consoli. Nel 1508 subentrarono, nel dominio della città, i Della Rovere, che lo tennero fino al 1624 quando, con la morte di Francesco Maria II Della Rovere, ultimo erede della casata, tutti i beni passarono, come da volontà testamentaria, allo stato pontificio.

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Nel 1860 Gubbio fu annessa al Regno d'Italia e per effetto del decreto Minghetti il 22 dicembre 1860 fu distaccata dalle Marche e aggregata all'Umbria distaccandola dalla Delegazione apostolica di Urbino e Pesaro e aggregandola alla neocostituita Provincia di Perugia. A seguito della depressione economica del 1873-1895, conseguente alla crisi agraria che si ebbe in Italia verso il 1880, numerosi abitanti emigrarono alla ricerca di lavoro e migliori condizioni di vita. Tale fenomeno è continuato per circa un secolo, in varie ondate condizionate dalla prima e dalla seconda guerra mondiale, per esaurirsi negli anni settanta. Le mete furono essenzialmente i paesi europei e in ordine di preferenza: Lussemburgo, Francia, Belgio, Svizzera, Germania; quindi i paesi dell'America del Nord (Canada e USA) e dell'America del Sud (Argentina e Brasile), ma anche Sud Africa e Australia. Durane la seconda guerra mondiale, il 22 giugno 1944, a seguito da un'operazione effettuata da un gruppo di partigiani, i tedeschi attuarono una feroce rappresaglia, trucidando, a colpi di mitragliatrice, 40 cittadini innocenti, nei pressi della chiesa della Madonna del Prato, dove oggi un mausoleo ricorda i "40 martiri". Inoltre, per circa trenta giorni, fino al 25 luglio 1944, giorno della liberazione, la città fu duramente bombardata dalle artiglierie tedesche che, dai monti circostanti, battevano la vallata per contrastare l'avanzata delle truppe di liberazione.

Chiesa di San Francesco (Gubbio) (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Costruita sul fondaco degli Spadalunga fu conscrata trent'anni dopo la morte di Francesco nel 1256. L'abside e il chiostro spiccano per la loro imponente semplicità. All'interno begli affreschi del 1400. L'attiguo convento ospita una bella raccolta di opere d'arte francescane.

Fondaco degli Spadalonga (Gubbio) (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) La prima parte dell'esodo di Francesco da Assisi si concluse a Gubbio, nelle vicinanze del fondaco della famiglia Spada, con l'incontro tra Francesco e Giacomello Spadalonga, del quale rimane testimonanza nelle copie di due affreschi trecenteschi. In essi, la casa, riconoscibile dallo stemma gentilizio, è situata fuori dalle mura urbiche, in un'area ancora identificata. Tracce da attribuirsi all'antica costruzione sono emerse sotto il piano di calpestio della chiesa attuale, costruita a ridosso dello stesso fondaco. Tra gli altri reperti, una vasca quadrata, con pavimenti inclinanto e pareti levigate, verosimilmente riconducibile all'attività e ai commerci della famiglia Spada.

Chiesa di Santa Maria Vittoria (Gubbio) (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) La piccola chiesa della Vittoria, alle porte di Gubbio, è la prima sede minoritica in città, essa è in relazione a una fase ancora itinerante dei frati, che la scelgono lungo il percorso nella direzione di Assisi. La costruzione originaria si fa risalire al secolo IX, a opera del vescovo Erfo, che la eresse in memoria di una vittoria sui barbari. Francesco, nel 1213, la ottenne in affidamento dai benedettini di San Pietro, e i francescani continuarono ad abitarla fino al 1240, anno in cui si trasferirono nel nuovo convento.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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La via francescana -­‐ Tappa 6 Da... A...

Da Gubbio a Biscina

Lunghezza

22 Chilometri

Tempo di percorrenza

6/7 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa impegnativa

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Dalla piazza di San Francesco si segue per il viale alberato che segue le mura cittadine e si prosegue per La Vittorina (dove si dice sia accaduto l'episodio di Francesco e il lupo). Da qui inizia il percorso del "sentiero francescano della pace", cioè l'altro cammino che ripercorre le tappe principali della vita di Francesco creato in occasione del Giubileo del 2000. Il primo tratto della tappa si svolge sulla strada che porta a Ponte d'Assisi. Arrivati alla fine del rettilineo si prosegue sulla statale. Si supera un ponte, si ignorano le indicazioni del "sentiero francescano della pace", si svolta per San Vittorino e si prende la carrareccia che inizia a salire. Dopo aver scollinato si trova l'indicazione per l'abbazia di Vallingegno, dove San Francesco fu ospite, non troppo gradito, dei benedettini, nei giorni della sua "fuga" da Assisi e dove soggiornò in tempi successivi. Si prosegue scendendo fino ad arrivare ad una chiesetta (Santa Maria delle Ripe). Dopo una breve salita si scende lungo la strada bianca fino al cancello dell'eremo di San Pietro in Vigneto dove è presente un eremita che non vuole essere disturbato. Si procede oltre, passando il torrente, e si entra nel bosco. Si prosegue lungo il sentiero che con sali e scendi, porta alla chiesa di Caprignone. Sempre salendo si arriva in vista del castello di Biscina.

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Cosa vedranno i pellegrini

Abbazia e castello di Vallingegno (tratto da http://www.bellaumbria.net) La chiesa abbaziale di Vallingegno potrebbe avere origini pagane, si parla di un tempietto dedicato al dio Genio, al quale è possibile riferire alcuni frammenti lapidei, riutilizzati come arredi dell'abbazia. L’abbazia, una delle maggiori della zona, è costituita da un'aula rettangolare e da strutture preesistenti come la cripta a pianta quadrata con pilastro centrale. Le case coloniche, nate posteriormente intorno alla corte, hanno occupato i grandi ambienti che originariamente ospitavano le officine del monastero. Documentato dagli inizi del XIV secolo, ma presumibilmente ancor più antico, sorge, a poca distanza, il castello di Vallingegno; la posizione arroccata e l'estensione della vista sulla vallata, fino alla strada, agevolano la sua funzione di tutela della zona. Tuttora sono in buono stato di conservazione sia la cinta muraria a merli guelfi sia la torre maestra.

Eremo di San Pietro in Vigneto (tratto da http://www.bellaumbria.net) Il convento, dopo il 1336, a seguito dell’erezione di una torre e di un palazzo fortificato, poteva apparire più una roccaforte che un insediamento religioso. Nello stesso periodo alla chiesa si aggiunge, prima l’ospedale per pellegrini, poi le strutture residenziali appartenenti a monaci benedettini. C’è una particolare continuità costruttiva con l’edificio originario tanto che è difficile distinguere e identificare i singoli edifici. Solo il campanile a vela e una minuscola monofora a sesto fanno intuire la presenza della cappella nell'angolo nord-est del complesso. Per il resto, la chiesa, che all'interno conserva affreschi del XV secolo, si confonde totalmente con le altre strutture. Non lontano dalla chiesa, sono stati rinvenuti frammenti di manufatti lapidei antichi, scoperti nel XVIII secolo, che testimoniano la preesistenza di un tempietto pagano.

Chiesa di Caprignone (tratto da http://www.bellaumbria.net) Dai ruderi di una chiesa risalente alla fine dell'XI secolo e di un tempietto pagano i francescani ricostruiscono un piccolo convento ed il loro tempio. Oggi rimane in piedi la chiesa, mentre dai pochi resti del monastero è possibile solo intuire le dimensioni e lo stile architettonico. L'interno dell'oratorio è un unico ambiente, a sviluppo longitudinale allungato e tetto a capriate. Caprignone, risponde totalmente ai canoni stilistici francescani, l'assenza di decorazioni, lo spazio delimitato da superfici nude, l'impiego di materiali locali rivelano la totale adesione dell'edificio sia agli ideali di essenzialità propri dell'Ordine, sia alle tradizionali tecniche di costruzione del luogo.

Biscina (tratto da wikipedia) A Biscina, frazione di Gubbio, sorge l'omonimo castello la cui fondazione sembra risalire al X secolo. Le mura racchiudono la corte interna ma si aprono ad est sulla chiesa e sulla pianura sottostante, in cui scorre il fiume Chiascio. Sul lato nord si può osservare una delle due torri del castello, quella che proteggeva l'ingresso. Il castello è in corso di ristrutturazione da parte dei privati proprietari e ne è previsto l'inserimento in un futuro "Percorso francescano". Da Biscina passava un'importante strada municipale che collegava Gubbio ad Assisi.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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La via francescana -­‐ Tappa 7 Da... A...

Da Biscina ad Assisi

Lunghezza

27 Chilometri

Tempo di percorrenza

8 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa impegnativa

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Percorso il viale che porta al castello di Biscina si prosegue lungo la strada bianca. Lungo questo tratto di strada che si snoda con lievi saliscendi, si trova una fonte di acqua sorgiva. La strada corre alta e parallela a quella asfaltata più bassa, divenendo poi sentieri ripido e in discesa, che si incunea in un bosco per superare in una forra un torrentello e risalire sull'altro versante. Giunti a una stradina asfaltata si prosegue poi su quella principale fino a superare la Barcaccia, seguendo quindi il "Sentiero della pace". Si va avanti su una strada che passa, parallela al fiume, per boschi e prati. Si arriva quindi a a Valfabbrica. Si sale verso la parte più alta del paese. Si prosegue per Pieve San Nicolò. Poi ci si immette in un sentiero che corre lungo il "Fosso delle lupe". Il sentiero sale ripido in una fitta boscaglia per poi giungere in salita alla carrareccia che corre lungo la cresta della collina. Da questa posizione è possibile vedere il monte Subasio che sovrasta Assisi. Si procede in discesa, si passa per piccole valli ombrose, arrivando a Torre Zampa. Da qui si vede il campanile della Basilica superiore. Si scende la collina e si prende il Ponte dei Galli. Ora si sale per una strada molto ripida che conduce alla Porta di San Giacomo dei Galli. Finalmente si entra in Assisi. L'ultimo chilometro di ripida salita è ripagato dalla discesa che porta direttamenta alla spianata della basilica.

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Cosa vedranno i pellegrini

Valfabbrica (tratto da wikipedia) Di origine medievale, sorge in bella posizione su un colle sovrastante la vallata del Fiume Chiascio. La fondazione e lo sviluppo del nucleo originario della cittadina sono connessi alle vicende dell’Abbazia Benedettina di S. Maria in Vado Fabricae, citata dalle cronache dall’anno 820. Fu l’Imperatore Ludovico il Pio, da Aquisgrana, a concedere l’autonomia all’Abbazia ed al castello “in Vallis Fabricae”, edificato a difesa del monastero dagli attacchi dei feudi vicini. Nel 1177 Federico Barbarossa pose la “ecclesia de Valle Fabricae, in comitatu Asisii” sotto la propria protezione. Nel 1202, monaci e castellani si schierarono con la guelfa Assisi nella Battaglia di Collestrada, persa contro la rivale Perugia, e nel 1205 Valfabbrica giurò la sottomissione ad Assisi, divenuta nel frattempo ghibellina. Nell’anno 1209 il castello di Valfabbrica fu distrutto da Perugia, per ritorsione contro il tentativo di sottomettere i vicini castelli perugini. La conseguente decadenza del territorio portò l’Abbazia a passare sotto la Regola del Monastero di Nonantola. Nelle ulteriori battaglie tra Perugia e Assisi (1319), il castello fu nuovamente saccheggiato. In seguito, il territorio fu conteso da Perugia e dal Duca del Montefeltro Guidobaldo I, Signore di Gubbio, al quale Valfabbrica chiese protezione. A partire dal 1497, salvo un breve ritorno sotto il dominio di Assisi (1515-1521), Valfabbrica entrò a far parte dei domini del Ducato di Urbino, e nel 1632 fu annessa allo Stato Pontificio. Nell’anno 1815, durante l’impero napoleonico, Valfabbrica fu eretta a Comune ed assorbì il territorio del soppresso comune di Casacastalda. Del periodo medievale è il centro storico, denominato Pedicino, che conserva due alte torri e cospicue parti delle mura di cinta. Da visitare la Pieve in stile romanico, con all'interno pregevoli affreschi (prima metà del XIV secolo). Di particolare interesse è un dipinto di scuola del Cimabue, raffigurante il compianto sul Cristo morto.

San Damiano (tratto da wikipedia) Nel 1205 san Francesco d'Assisi pregando davanti al crocifisso presente all'interno della Chiesa lo sente parlare e chiedergli di riparare la sua casa. Questo evento inciderà profondamente nella vita del santo che proprio qui, negli ultimi anni della sua vita, compose il Cantico delle Creature. Il crocifisso ha un aspetto molto particolare: Cristo in croce non mostra sofferenza, ma sembra quasi ergersi per comunicare a braccia aperte un messaggio di speranza. Tra il 1211 e il 1212 Santa Chiara, a seguito di una profezia di San Francesco, vi fondò un ordine di claustrali che ivi risiedette fino al 1260. La stessa chiesa, secondo la storiografia cattolica, fu protagonista dei principali miracoli della santa: la moltiplicazione del pane, il dono dell'olio, la fuga dei saraceni dal chiostro, alcuni esorcismi e guarigioni, l'apparizione della croce sul pane davanti al Papa.

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Santa Maria degli Angeli (tratto da wikipedia) Il paese prende il nome dall'omonima basilica cinquecentesca, che domina l'intera pianura ai piedi di Assisi. Nel 576, in zona venne edificata una piccola cappella dai benedettini del Monastero di San Benedetto del Monte Subasio. Intorno al 1000, la zona era nota con il nome di Cerreto di Porziuncle, per via della presenza di una vasta zona boschiva. La cappella venne restaurata da San Francesco nel XII secolo, che vi morì nel 1226: da allora è identificata con il nome di Cappella della Porziuncola. Alla chiesetta si aggiunsero poi un convento e alcuni piccoli oratori. Nel 1216, san Francesco ricevette una visione nella quale Gesù gli comunicava che chiunque avesse visitato la chiesetta, debitamente confessato e comunicato, avrebbe ricevuto il perdono dei peccati. Onorio III approvò tale indulgenza, e fissò nella data del 1 e 2 agosto di ogni anno la festa del Perdono, che continua a richiamare anche ai giorni nostri un gran numero di turisti religiosi. Nella seconda metà del XVI secolo, il papa Pio V fece innalzare una possente basilica, progettata da Galeazzo Alessi, a mo' di riparo per la piccola Porziuncola, oramai divenuta una affollata meta di pellegrinaggio. La tradizione fa risalire l'edificazione della Porziuncola al IV secolo, ad opera di eremiti provenienti dalla Palestina. Nel 576 ne avrebbe preso possesso san Benedetto stesso, per i suoi monaci. La Porziuncola fu la terza chiesa riparata da san Francesco dopo la sua vocazione. Tale chiamata avvenne mentre egli pregava di fronte al crocifisso di San Damiano quando sentì una voce che diceva: "va' e ripara la mia chiesa". L'edificio all'epoca dipendeva dal monastero di San Benedetto al Subasio. La Porziuncola divenne per Francesco luogo particolare e qui sostava spesso in preghiera; qui capì che doveva vivere "secondo il santo Vangelo". Sempre dalla Porziuncola Francesco invia i primi frati ad annunciare la pace. Il 2 agosto del 1216 con la presenza di sette vescovi umbri fu consacrato il piccolo edificio e vi fu proclamato il così detto "Perdono d'Assisi". Nella Porziuncola inoltre, Santa Chiara rinunciò al mondo e abbracciò sorella povertà. Qui infine, Francesco morì la sera del 3 ottobre 1226. La chiesa è costruita con pietra cavata dal monte Subasio.

Basilica di San Francesco (tratto da wikipedia) Il 16 luglio del 1228, a soli due anni dalla morte, Francesco venne proclamato santo da papa Gregorio IX; il giorno dopo, 17 luglio, lo stesso Papa e il generale dell'Ordine minoritico, frate Elia da Cortona, posero le prime pietre per la costruzione di quella imponente basilica, futuro scrigno dei resti mortali di Francesco e anche sede dell'Ordine appena nato. Secondo la tradizione fu lo stesso Francesco ad indicare il luogo in cui voleva essere sepolto. Si tratta della collina inferiore della città dove, abitualmente, venivano sepolti i "senza legge", i condannati dalla giustizia (forse anche per questo era chiamata Collis inferni). Su quel colle, che poi venne chiamato Collis paradisi fu edificata la basilica che porta il nome del santo. La chiesa, che fu uno dei capisaldi della diffusione del gotico in Italia aveva molteplici finalità. Prima di tutto era il luogo di sepoltura del fondatore dell'ordine, che già dopo due anni dalla sua morte veniva considerato una delle figure più significative della storia del Cristianesimo: per questo si predispose una dimensione adeguata ad una meta di pellegrinaggio e devozione popolare. Le reliquie dei santi erano di solito collocate in una cripta, ma nel caso di san Francesco si fece in modo che la struttura inferiore fosse ampia quanto un'intera chiesa, tanto da parlare di una vera e propria basilica inferiore. Un secondo ordine di interessi era più strettamente legato al papato, che vedeva ormai nei francescani, dopo la diffidenza iniziale, gli alleati per rinsaldare i legami con i ceti più umili e popolari. Per questo nella basilica si fusero esigenze legate ai flussi di pellegrini (ampiezza, corredo di rappresentazioni didascaliche) con lo schema di una cappella palatina (la basilica era infatti Cappella pontificia) secondo i più aggiornati influssi gotici, come la Sainte-Chapelle di Parigi, dove sono presenti due chiese sovrapposte ad aula unica.

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La Costruzione della basilica venne avviata nel 1228 da Gregorio IX e conclusa nel 1253 da Innocenzo IV. Per completare la basilica arrivarono offerte da ogni parte del mondo e vennero chiamati maestri architetti, decoratori e pittori tra i migliori dell'epoca. Nel 1230 la salma di Francesco venne trasferita dalla chiesa di San Giorgio (la futura basilica di Santa Chiara) per essere tumulata nella nuova basilica costruita in suo onore. Assisi divenne così, per tutti i pellegrini, una tappa fondamentale lungo il viaggio per Roma. Essendo il santo sepolto sotto l'altare maggiore in un luogo inaccessibile nei secoli, si perse memoria del punto preciso dove si trovava il suo corpo, che fu ritrovato nel XIX secolo, quando venne scavata una cripta. La struttura abbastanza semplice che si intendeva dare all'inizio viene quasi subito modificata secondo linee più maestose, ispirandosi in parte all'architettura romanica lombarda, con nuove suggestioni gotiche legate agli edifici costruiti dall'ordine cistercense. Entrambe le due chiese sovrapposte, nel progetto iniziale, avevano navata unica con transetto sporgente e abside, poi in seguito quella inferiore venne arricchita di cappelle laterali. A ridosso del fianco absidale si alza l'altissima torre campanaria, con un gioco di cornici e archetti pensili che ne spezzano la corsa verso l'alto. Di fronte all'atrio che precede l'ingresso della basilica inferiore si trova l'ex Oratorio di San Bernardino, costruito per il Terz'Ordine francescano da maestranze lombarde intorno alla metà del XV secolo. Dietro il portale si entra nel Sacro Convento che, oltre alla comunità dei frati minori conventuali, attualmente ospita l'Istituto Teologico, un Centro di documentazione ed un importante fondo archivistico e bibliotecario, specializzato in cose francescane.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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La via francescana -­‐ Tappa 8 Da... A...

Da Assisi a Spello

Lunghezza

24 Chilometri

Tempo di percorrenza

7 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa media

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Si lascia Assisi passando per la porta più alta (quella dei cappuccini). Si prende il sentiero 50 immergendoci nel verde del monte Subasio. Arrivati alla strada asfaltata si scende verso l'eremo delle carceri. Dopo aver fatto sosta all'eremo, si prosegue sulla strada che porta al convento di San Benedetto e che passa proprio sopra l'eremo. Si passa poi sul sentiero 60, ben segnalato, ma molto ripido che sbuca direttamente sulla sommità del monte Subasio. Da qui si può godere un panorama davvero unico: Assisi e la valle spoletana in basso, e Trevi e Spoleto. Spello rimane dietro una collinetta che al divide dal Subasio. Il sentiero costeggia la prateria e una staccionata. Il sentiero che si percorrse si congiunge con il sentiero 50, che scende a Fonte Bagno. Si prosegue fino ad entrare nel bosco, quindi si passa per una valle che congiunge il Subasio con il monte Pietrolungo appena sopra a Spello. Si procede per Spello passando per gli ulivi.

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Cosa vedranno i pellegrini

Eremo delle Carceri (tratto da wikipedia) Donato dal Comune di Assisi ai benedettini, questi ultimi lo cedettero poi a san Francesco, affinché si potesse "carcerare" nella meditazione. Ampliato nel 1400 da san Bernardino da Siena con la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Carceri, che ha inglobato una primitiva cappella, preesistente a san Francesco, e di un piccolo convento, l'eremo è posto in un bosco di lecci secolari circondato da grotte e da piccole cappelle dove i pellegrini si ritirano ancora oggi in contemplazione. Provenendo dalla strada che risale il monte Subasio, si prosegue per un acciottolato fino ad una volta in muratura, oltrepassata la quale si trova il Chiostrino dei frati, una terrazza triangolare che si affaccia a strapiombo sul fosso delle carceri. Alle estremità del chiostro vi sono le porte che conducono al refettorio dei frati e alla chiesa di Santa Maria delle Carceri. Al piano superiore del refettorio sono situate le celle dei frati. Scendendo una ripida scalinata, dal convento si arriva ad un bosco di faggi e alla grotta di san Francesco. Dal sentiero antistante a questa si dipartono le altre grotte dei primi compagni di Francesco: Leone, Antonio da Stroncone, Bernardo di Quintavalle, Egidio, Silvestro e Andrea da Spello. Sono molti i racconti di miracoli che si associano a questo sito: • tradizione vuole che il

burrone che si trova nei pressi del monastero sia in realtà il letto di un fiume, oggi in secca, le cui acque furono prosciugate da san Francesco poiché disturbavano la sua meditazione e quella dei suoi discepoli; nella grotta di san Francesco è presente un buco nel terreno dal quale si può intravedere il fondo del burrone. Si racconta che questo è stato provocato dal demonio, sprofondato nell'abisso quando fu scacciato da san Rufino; nel mezzo del chiostro è presente un pozzo nel punto in cui, secondo una leggenda, san Francesco, tramite un miracolo, fece sgorgare dell'acqua.

Spello (tratto da wikipedia) Si colloca ai piedi del monte Subasio e dista all'incirca 5 km da Foligno e 35 da Perugia. La superficie del comune si estende in montagna, collina e pianura. Il suo terreno, molto fertile, è coltivato a cereali, viti ed olivi. È da quest'ultima pianta che Spello trae il suo più prezioso prodotto gastronomico: l'olio extravergine d'oliva. Non a caso la città, oltre ad essere annoverata tra i borghi più belli d'Italia, fa parte dell'Associazione Nazionale Città dell'Olio. Vi si tengono mercati settimanali e fiorenti manifestazioni folcloristiche, tra le quali si ricorda l'Infiorata del Corpus Domini e la festa dell'olio, che si tengono rispettivamente nei periodi di maggio-giugno e dicembre-gennaio. Nella cittadina

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si trovano numerose opere di epoca romana e rinascimentale, in effetti la chiesa di Santa Maria Maggiore, la più grande di Spello, vanta splendidi affreschi del Pinturicchio, conservati nell'interna Cappella Baglioni. Spello fu fondata dagli umbri per poi essere denominata Hispellum in epoca romana. Fu dichiarata da Cesare "Splendidissima Colonia Julia". I resti della cinta muraria, molto più grande in passato di quanto possiamo ammirare oggi, attestano la grandezza che ebbe la città, così come i resti archeologici che la circondano. La discesa dei Barbari in Italia fu devastante per Spello, che la ridussero in una povera borgata. Nell'epoca dei ducati venne inglobata nel Ducato di Spoleto, per poi essere trascinata insieme ad esso nella mani del Papato. La cittadina, tuttavia, rimpiangeva l'autonomia donatale in parte dall'Impero Romano, e non tardò a divenire Comune autonomo con proprie leggi. Il periodo comunale perdurò sino a che la famiglia perugina dei Baglioni prese il controllo dell'ormai ex-comune. Nel secolo IV Spello fu sede vescovile e nell'Alto Medioevocon altre diocesi vicine ora soppresse- fece parte per moltissimo tempo della vastissima diocesi di Spoleto. Attualmente Spello è invece integrata nella diocesi di Foligno.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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La via francescana -­‐ Tappa 9 Da... A...

Da Spello a Trevi

Lunghezza

14 Chilometri

Tempo di percorrenza

4/5 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa facile

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Si lascia Spello passando dalla porta della città e si seguono le indicazioni per Foligno. La strada costeggia la superstrada. Si prosegue per Sant'Eraclito. Si passa per il paese e si va verso Pozzo Secco e ci si immette sulla strada bianca. Si passa vicino ad una ex cava. Superato un impianto per la produzione di sabbia si prosegue sulla strada bianca costeggiata da querce e per poi immettersi in uliveti. Mantenendo la direzione per Trevi, si passa su strade asfaltate e sterrate. Se si vuole si può si può visitare la chiesa di Santa Maria do Pietrarossa. In questo caso, arrivati in vista di Trevi, si prende la vecchia Flaminia, e si prosegue per un pezzo. Per Trevi, si ripercorre l'ultimo tratto di strada fino ad un incrocio. La casa privata che si incrocia è il vecchio lebbrosario di San Lazzaro e Tommaso dove si svolse l'episodio di Francesco e il lebbroso dai Fioretti. Proseguendo si può visitare la piccola chiesa di San Pietro al Pettine. Si prosegue sulla strada in discesa per poi risalire sulla strada asfaltata che porta direttamente a Trevi.

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Foligno (tratto da wikipedia) Foligno (Fulginia, Fulginium o Fulginiae in latino,) è la terza città dell'Umbria, si trova al centro della Valle Umbra ed è attraversata dal fiume Topino. Foligno è il centro commerciale ed industriale più ricco ed importante della Valle Umbra ed il principale centro di comunicazioni dell'intera regione. L'origine protostorica di Foligno risale all'epoca umbra preromana, essendo stata la città fondata dagli "Umbri Fulginates". La Fulginia umbra (città preromana la cui fondazione risalirebbe al X secolo a.C. e di cui si hanno memorie precedenti al 500 a.C.), poi Fulginium romana, situata alla biforcazione (diverticulum) dell'antica via Flamina (che qui si divideva in due rami) e allo sbocco del fiume Topino (l'antico Supunna umbro o Timea romano) a fondovalle, ha lasciato alla città moderna l'impianto di strade rettilinee che si incrociano perpendicolarmente. Le strade sono in rapporto con quattro ponti romani tuttora esistenti sull'antico corso del fiume Topino. Dal 258 a.C. fu prefettura e municipio, dal 254 a.C., iscritto alla tribù Cornelia ed ebbe notevole importanza durante l'epoca imperiale. Nel 476 fu assoggettata da Odoacre e poi dai Goti dal 493 al 550. Successivamente appartenne ai Longobardi che la annessero al Ducato di Spoleto e poi ai Franchi. Appartenne al Ducato di Spoleto fino al 1198, quando fu annessa allo Stato Pontificio, per poi divenire importante comune ghibellino. Sempre unico baluardo ghibellino in Umbria (escluso il periodo dei Trinci), nel XIII secolo si scontrò in quattro cruente guerre con la vicina guelfa Perugia. La prima fu combattuta tra il 1248 e il 1251, la seconda nel 1254, la terza tra il 1282 e il 1283 e la quarta tra il 1288 e il 1289. Le prime tre furono vinte dai folignati, nell'ultima ebbe invece la meglio Perugia che estese la propria sfera di influenza a Foligno. Secondo lo storico Jean-Claude Maire Vigueur, «Grundman sostiene addirittura che una vittoria di Foligno avrebbe aperto la strada in Umbria per un tipo di sviluppo economico, politico e culturale tutto diverso, mentre la dominazione di Perugia ha fatto di essa il Mezzogiorno dell'Italia centrale, dedito principalmente alle attività agricole e subordinato, dal punto di vista commerciale e finanziario, agli uomini d'affari toscani...». Nel Trecento e nei primi decenni del Quattrocento, sotto la signoria guelfa dei Trinci (alleatati di Perugia), Foligno estese i propri confini fino all'Abruzzo. Fu questa un'epoca di notevole sviluppo economico per la città, con l'affermazione di manifatture legate alla lavorazione del legno, della carta, dei filati, della ceramica e di alcuni metalli (fra cui oro e argento). Foligno era stata annessa allo Stato Pontificio nel 1198 da papa Innocenzo III, nel 1255 iniziò il periodo comunale e fu assoggettata prima all'Impero e poi ai Trinci fino al 1439, quando tornò allo Stato Pontificio, condividendone le sorti fino alla sua incorporazione nel Regno d'Italia. Durante la seconda guerra mondiale fu sede di un importante aeroporto, di caserme, di scuole militari e di industrie belliche (in particolare aeronautiche). Subì numerosissimi bombardamenti angloamericani che la distrussero all'80%, per questo fu insignita di medaglia d'argento. Nella storia della città si sono susseguiti numerosi terremoti catastrofici, il più recente risale al 26 settembre 1997 che causò gravissimi danni alla città e alle frazioni montane, alcune delle quali quasi totalmente distrutte.La scossa più conosciuta che riguardò Foligno fu quella delle 17:24 del 14 ottobre 1997,quando cadde la lanterna del Palazzo Comunale,chiamata erroneamente "torrino":la scossa si scatenò durante un sopralluogo dei pompieri che cercavano di salvare gli ultimi resti e molta gente assisteva da Piazza della Repubblica e fortunatamente nessuno rimase ferito.

Trevi (tratto da wikipedia) Plinio il Vecchio la classifica come una città degli Umbri, e il nome latino Trebia potrebbe derivare dalla radice umbra treb-, componente delle parole che in quella antica lingua indicavano casa, costruzione, costruire. La sua esistenza, prima della dominazione romana, è testimoniata anche dalla "stele di Bovara", con iscrizione arcaica, rinvenuta di recente, ma nel suo territorio stanziarono civiltà preistoriche, come attestano ritrovamenti del paleolitico. Acquistò grande rilevanza quando, in età imperiale, fu ripristinato l'antico corso della Flaminia e si sviluppò in pianura, in località Pietrarossa, una vera civitas con edifici monumentali di cui rimangono numerosi resti, mentre sul colle seguitò a sussistere l'arce fortificata con robuste mura del I secolo a.C., tuttora visibili. In antico aveva giurisdizione anche su "ville" di montagna a est e su gran parte della valle sottostante, attraversata dalla Flaminia e solcata dal Clitunno, allora navigabile. Fu sede vescovile fino all'XI secolo. Con il dominio dei Longobardi, che istituirono il potente ducato di Spoleto, Trevi fu assegnata a un gastaldo. Agli inizi del XIII

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secolo si costituì in libero comune, che alleatasi con Perugia per difendersi da Spoleto fu, con alterne vicende, in lotta con i comuni vicini, ottenendo il libero governo soltanto nel 1389. Subì il dominio di vari capitani e, segnatamente, il funesto vicariato dei Trinci di Foligno fino al 1438 quando, tornata al diretto dominio della Chiesa sotto la legazione di Perugia, seguì le sorti dello Stato Pontificio fino all'unificazione. Nel 1784, da Pio VI, fu reintegrata al titolo di città. Non meno interessanti sono la storia e le tradizioni legate alla cultura religiosa. Documenti antichissimi attestano che sant'Emiliano, il primo vescovo della città, martirizzato sotto Diocleziano, fu legato ad una giovane pianta di olivo per essere decapitato. L'olivo ultramillenario, il più vecchio dell'Umbria, si può ancora ammirare, vegeto, a trecento metri dalla gloriosa abbazia benedettina di Bovara. La devozione verso S. Emiliano ha influenzato la cultura e la storia di Trevi. Lungo un percorso inalterato da secoli si svolge ancora, la sera del 27 gennaio, vigilia della festa del Santo, la straordinaria processione notturna detta dell'Illuminata, che è sicuramente la manifestazione più antica della regione. Attraverso vari secoli, molti trevani si sono distinti nei più alti gradi della gerarchia ecclesiastica e vari altri hanno acquistato fama di santità per le loro opere. Tra i più recenti: il beato Placido Riccardi (1844-1915), abate benedettino di Farfa, sant'Antonino Fantosati (1842–1900) missionario francescano, vescovo e martire in Cina e il beato Pietro Bonilli (1841-1935), umile parroco di campagna, fondatore della congregazione delle suore della Sacra Famiglia, per l'assistenza alle cieche e sordomute, tuttora operanti in vari continenti. Tra le varie case religiose hanno acquisito benemerenza particolare i benedettini dell'abbazia di Bovara, che dettero un forte impulso all'agricoltura, bonificando vaste zone della valle e sviluppando in collina la coltura dell'olivo, che con alterne fortune è coltivato in queste zone da tempi antichissimi e fornisce un olio tra i più apprezzati.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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Tappa 10 Da... A...

Da Trevi a Spoleto

Lunghezza

18 Chilometri

Tempo di percorrenza

5 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa Media

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) La tappa inizia dalla piazza di Trevi. Si prosegue sulla statale. Si passa vicino alla Chiesa della Madonna delle Lacrime. Dopo 1 Km ci si immette su una strada bianca, per poi passare sulla strada provinciale Trevi-Pigge-Matigge per giungere (in salita) al valico. Si continua a seguire la strada provinciale in discesa fino a predendere un'altra strada asfalta che conduce alla chiesa di San Pietro in Bovara. Si ritorna sulla strada provinciale. Si passa per un gruppo di case, quindi si svolta verso la fonte dell'acquedotto di Campello. La via diventa più stretta e in salita, e termina come sentiero che passa per gli ulivi. Si passa vicino alla Chiesa di Sant'Arcangelo, quindi si prende un sentiero e poi una strada bianca che passa per gli ultiveti. Si giunge al castello di Pissignano. Continuando il percorso si passa vicino ad una pieve. Si passa per il centro del paese, si supera la Flaminia e si arriva alle fonti del Clitunno. Lasciate le fonti si segue la Flaminia in direzione Spoleto. Poco prima del viadotto della Flaminia nuova, si gira a destra e si passa su un ponticello sul fiume Maroggia. Si costeggia un canale: Spoleto appare su una collina di fronte. Proseguendo si incontra la chiesa di San Sabino, quindi si giunge a Spoleto.

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Bovara (tratto da wikipedia) La frazione consta di più centri abitativi dislocati tra la zona collinare e la zona in pianura. Importante è la Chiesa Di San Pietro, già abbazia benedettina, del XII secolo in stile Romanico. Si dice che, durante il suo viaggio per Roma, vi si sia fermato in preghiera san Francesco. La tradizione popolare vuole che un frate che accompagnava Francesco abbia avuto una visione dell'Inferno e del Paradiso mentre era in preghiera davanti ad un Crocifisso. All'interno della chiesa c'è una cappella in stile baroccheggiante che ospita un Crocifisso in dimensioni reali a cui la popolazione attribuisce diversi miracoli, uno su tutti quello di aver fatto piovere dopo più di un anno in cui non si erano verificate precipitazioni. In ricordo di ciò il Cristo del crocifisso viene calato dalla croce, adagiato in una sorta di lettino e portato in processione ogni 5 anni, nel mese di maggio. Ogni 25 anni poi si percorre un lungo tragitto, sempre con la statua del Cristo, sino al capoluogo comunale. Nella frazione è sata rinvenuta una stele con un'iscrizione in umbro antico ed è possibile ammirare un ulivo millenario (di 1700 anni all'incirca) al quale fu legato sant'Emiliano, patrono della città e del comune di Trevi, per essere martirizzato dai romani. Tale ulivo, il più vecchio in Umbria, è l'unico ad essere sopravvissuto alle varie galaverne, o gelate, che si sono succedute negli anni (l'ultima negli anni '50 del '900) e che hanno ucciso tutte le piante d'ulivo della zona.

Pissignano (tratto da wikipedia) Il nome deriva dall'antico Pissinianum, ossia piscina di Giano, una costruzione che si trovava in prossimità dell'attuale Tempietto del Clitunno. Il primo nucleo si sviluppò in epoca romana lungo la Flaminia, e solo alcuni secoli più tardi si sviluppò l'altro nucleo, quello collinare, per via della costituzione di una piccola comunità benedettina. Conteso tra Trevi e Spoleto, passò a quest'ultima nel 1213 come promessa del duca Diepoldo, e venne confermato da Federico II, nel 1241. Vi venne costruito un castello, feudo della famiglia Sansi (fondata dal barone tedesco Francesco Sancio, venuto in Italia al seguito di Corrado II), che venne disertato a causa delle continue molestie trevane. Nel 1250 vi nacque il beato Ventura da Pissignano, un santo romito molto polopare tra gli abitanti del luogo, che ora riposa nella chiesa di san Francesco a Trevi. Riabitato in seguito ai privilegi concessi da Spoleto, il borgo venne nuovamente saccheggiato nel 1395 dai trevani guidati da Biordo Michelotti. Nel 1455, gli abitanti ottennero l'autorizzazione per riattare le torri e le mura. Nel 1520, alcuni ribelli capeggiati da Girolamo detto Picozzo presero dimora nel castello, e vennero sconfitti dal papalino Annibale Baglioni. Altre rivolte ed episodi simili si verificarono nel 1522 e nel 1580, ma furono sempre fronteggiati con estrema forza dagli spoletini. Fino alla fine del XVIII secolo rimase sotto Spoleto, per poi passare definitivamente al comune di Campello.

Fonti del Clitunno (tratto da wikipedia) Nasce presso il percorso della via Flaminia, tra Trevi e Spoleto, e scorre per 60 km passando per Pissignano, Cannaiola, Trevi e Bevagna, per gettarsi infine presso Cannara nel fiume Topino, affluente a sua volta del Tevere. Conosciuto già nell'antichità (Clitumnus), aveva come nume tutelare il dio Giove Clitunno. Viene citato da Virgilio nelle "Georgiche", che attribuisce alle sue acque poteri miracolosi (i buoi destinati al sacrificio diventavano candidi se si bagnavano nelle sue acque), mentre il paesaggio circostante viene descritto in una lettera di Plinio il Giovane. All'epoca il fiume sembra fosse navigabile e che avesse dunque una portata maggiore: il cambiamento fu dovuto secondo alcuni studiosi settecenteschi (abate Venuti e G. Baglivi) alle conseguenze del grande terremoto di Costantinopoli del 447, che sarebbe stato avvertito fino in Umbria. Le sorgenti del fiume, già cantate nel "Child Harold's pilgrimage" (canto IV) di George Byron, sgorgano attualmente in un piccolo lago creato nel 1852 da Paolo Campello della Spina, che vi sistemò intorno un parco. Poco dopo il parco fu reso celebre dall'ode di Giosuè Carducci "Alle Fonti del Clitunno" (inserita nella raccolta "Odi barbare"). Dal lago le acque scorrono nella "Forma nuova", un canale artificiale che era in origine stato costruito a servizio dei mulini. Altre sorgenti sono a circa 1 km a valle ("Vene del Tempio"), nei pressi del Tempietto del Clitunno.

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Spoleto (tratto da wikipedia) Spoleto è un antichissimo centro abitato fin dalla preistoria. Le prime testimonianze indicano che Spoleto fu abitata almeno dal VII secolo a.C. dagli Umbri, come attestano antiche tombe risalenti all'età del ferro. Le mura poligonali del V-IV secolo a.C., dette mura ciclopiche, costituite da enormi massi di pietra calcarea in forma poligonale, dimostrano che si trattava di una città ben fortificata e munita, in posizione dominante sulla valle Umbra. Diventata colonia romana nel 241 a.C., Spoleto (Spoletium) si fece ben presto fiorente e ricca di monumenti. Spoleto si mantenne sempre fedele a Roma, in special modo durante le guerre puniche, non soltanto respingendo Annibale dopo la sua vittoria al Trasimeno (217 a.C.), ma soprattutto nel periodo critico successivo a quel lungo conflitto. Nel 43 a.C. vi sostò Ottaviano, prima della battaglia di Modena, officiando un sacrificio rituale presso uno dei templi della città. Agli inizi del V secolo si sa che risiedeva a Spoleto il senatore romano Giulio Naucellio. Abbellita da Teodorico, che fra il 507 e il 511 pose mano al restauro della città e alla bonifica della valle in larga parte impaludata, e da Belisario (536), Spoleto fu espugnata da Totila (545) e restaurata da Narsete che, dopo il 553, intraprese il ripristino delle mura. Invasa l'Italia, i Longobardi scelsero Spoleto come capitale di uno dei più grandi Ducati, proiettando l'influenza politica della città su un vasto territorio dell'Italia centromeridionale, fino al Ducato di Benevento. Caduti i Longobardi, il Ducato passò ai Franchi. Quando l'impero carolingio fu smembrato, i duchi di Spoleto, Guido III e suo figlio Lamberto, si spinsero alla conquista della corona imperiale (889). Nel 1155 Spoleto, "munitissima città, difesa da cento torri" fu, secondo la tradizione, distrutta da Federico Barbarossa e, se le varie dominazioni subite portarono morte e distruzione da un lato, dall'altro hanno arricchito Spoleto di monumenti insigni. Contesa poi tra l'Impero e la Chiesa, fu a questa aggregata da Innocenzo III nel 1198 e, definitivamente, nel 1247. Funestata da conflitti tra Guelfi e Ghibellini, fu riappacificata dal cardinale Egidio Albornoz (egli, nel 1359, diede inizio ai lavori di costruzione della Rocca come sede dei governatori della città); fu assicurata alla Chiesa e fatta centro importante dello Stato Pontificio, che le mandò autorevoli governatori, tra cui anche Lucrezia Borgia (1499). Dal Rinascimento in poi, Spoleto si trasformò progressivamente da centro prevalentemente strategico a centro culturale, con la fondazione dell'Accademia degli Ottusi (oggi Accademia Spoletina). Seguirono periodi di splendore e di decadenza, rimanendo però sempre sede di una certa importanza nell'ambito dello Stato Pontificio: ne è testimonianza il fatto che in epoche diverse due celebri papi, Urbano VIII e Pio IX, erano stati in precedenza arcivescovi di Spoleto. Durante l'occupazione francese nel periodo napoleonico, Spoleto fu capoluogo prima del Dipartimento del Clitunno e poi di quello del Trasimeno, non tanto in omaggio al retaggio storico dell'antica Caput Umbriae quanto, più pragmaticamente, per la

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sua prossimità ai territori montani confinanti con il Regno di Napoli, e perciò esposti alla penetrazione del brigantaggio, che consentiva un più agevole controllo territoriale. La Restaurazione (1814) la fece sede di una Delegazione pontificia sino alla Unità d'Italia. Il 17 settembre 1860, le truppe del generale piemontese Filippo Brignone entrarono a Spoleto, sottraendo la città allo Stato Pontificio. Successivamente, con il plebiscito del 4 novembre 1860, che coinvolse Marche e Umbria, Spoleto fu annessa al Regno d'Italia. Dopo l'Unità d'Italia, il nuovo Stato italiano privilegiò Perugia come capoluogo di una vastissima provincia, che inglobava anche il territorio spoletino e si estendeva fino alla Sabina, relegando quindi Spoleto ad un ruolo di secondo piano. Infine, con la successiva promozione di Terni a capoluogo di provincia, nel 1927, Spoleto ha finito per perdere definitivamente il suo antico ruolo di centro politico-amministrativo dell'Umbria meridionale.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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Tappa 11 Da... A...

Da Spoleto alla Romita di Cesi

Lunghezza

28 Chilometri

Tempo di percorrenza

9 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa molto impegnativa

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) La tappa è per buona parte immersa nel verde. Si esce da Spoleto e ci si dirige verso San Giovanni in Baiano. Il paesaggio è molto dolce. A Crocemaroggia si procede per Fogliano. Si passa per Mogliano fino ad un'antica casa-torre, un ex mulino. Si continua per Rappicciano. Da qui si entra nelle "Terre arnolfe" cioè l'antico feudo di prima l'anno mille e oggetti do contese fra la Chiesa, Todi e Spoleto. La strada procede in salita e dopo 1 Km diventa pianeggiante. Si prosegue per Macerino e Terni. A questo punto si prende la strada di montagna. Si oltrepassa Poggio Mezzanelli e Monte Vagliamenti. La strada è tutta in salita e termina in un prato dal quale è possibile godere di una vista meravigliosa. Si scende per una valle e si risale per il sentiero ancora per diverse volte. Quindi ci si immete sulla strada bianca che viene da Carsulae e che va alla Romita di Cesio. Si prosegue per 2 Km. L'eremo apparirà con al centro il sui maestoso cedro del libano.

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La Romita di Cesi (tratto da www.montimartani.it; www.umbriaonline.com) La Romita di Cesi è un Eremo situato a 800 metri di altezza sul Monte di Torre Maggiore, nel comune di Terni. L’Eremo è immerso nel silenzio e nel verde dei boschi, lontano dalle vie di comunicazione, in un paesaggio incontaminato. E’ un luogo francescano che accoglie persone di ogni credo. In questo luogo Frate Francesco, che lo aveva fondato, aveva cominciato a scrivere il Cantico delle Creature. Oggi il convento è completamente ristrutturato e merita una visita approfondita che non vi lascerà delusi: la chiesa della Santissima Annunziata, la cappella di San Bernardino, il piccolo chiostro, la sala del noviziato, le celle dei frati ed uno splendido cedro del Libano che svetta in mezzo agli edifici. Poco distante la suggestiva grotta, una fenditura della roccia, dove Francesco si ritirava, in comunione con la Terra. Alla Romita non c'è energia elettrica, non c'è acqua corrente, se non quella del pozzo con la pompa da azionare a mano, non c'è tv, né radio, non c'è una strada per le auto. Ma c'è lo spirito francescano che richiama qui centinaia di ragazzi che si guadagnano l'ospitalità di frate Bernardino (lui è l'unico che ci vive sempre, facendo anche il parroco di Portaria e Macerino…) aiutandolo a risistemare tutto, pietra dopo pietra, coltivando gli orti, badando alle caprette e mangiando su un grande tavolone di legno alla maniera di San Francesco. Non dovrete insistere molto perché si aggiungano dei posti a tavola

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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Tappa 12 Da... A...

Dalla Romita di Cesi a Collescipoli

Lunghezza

15 Chilometri

Tempo di percorrenza

4 ore (circa)

Difficoltà della tappa

Tappa Facile

Il cammino (tratto da "Di qui passo Francesco" di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori) Si inizia la tappa cammiando con alle spalle la Romita. Si passa per il bosco vicino a dei ruderi di fortificazione preromana. Si prosegue sul sentiero passando vicino alla chiesa romanica (quello che rimane) di Santa Caterina. Si passa per una trincea tra le rocce in costante discesa fino ad incontrare un sentiero. Dopo l'attraversamento di un pendio si prosegue sul sentiero che porta a Poggio Azzuano. Proseguendo la discesa ci arriva alla strada provinciale Carsulana e di procede per Cesi. Si passa per Cesi, si oltrepassa l'attraversamento ferroviario. Si prosegue lungo la via del Centenario. Dopo un bel tratto, ci si immette su uno sterrato e poi sulla strada di Maratta alta, quindi si passa sulla Maratta bassa. Si procede per Terni. Si supera il canale Recentino e si prosegue per la strada di Sabbione. Si imbocca poi la strada di Morgnano che porta direttamente a Collescipoli.

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Cosa vedranno i pellegrini

Terni (tratto da wikipedia) Le fonti classiche non citano quando Terni entrò a far parte delle strutture amministrative romane. Nel 290 a.C., o poco dopo, Manio Curio Dentato promosse la costruzione della Via Curia, collegando Terni a Rieti e, nel 271 a.C., realizzò il taglio del costone delle Marmore, per facilitare il deflusso delle acque del Velino nel Nera; è, quindi, probabile che già all'epoca Interamna fosse romanizzata. Durante la seconda guerra punica, nel 214 a.C., Interamna, insieme ad altre undici colonie latine, non si trovò nelle condizioni di fornire il suo contingente di armati per formare le due legioni urbane che i consoli di quell'anno, Quinto Fabio Massimo Verrucoso e Marco Claudio Marcello, ebbero intenzione di arruolare; quest'azione, giudicata dal Senato di Roma come tradimento, fu severamente punita qualche anno dopo con l'emanazione di una legge apposita, che nella giurisdizione delle colonie latine si chiamò ius XII coloniarum. Tra l'altro, a questo periodo risalgono le mura che circondarono il perimetro dell'abitato romano. Alla fine del secondo secolo a.C. sono databili alcuni lavori di riassetto del ramo orientale della via Flaminia, che collegava (e collega) Narni a Spoleto, per riallacciarsi all'originario tracciato della consolare all'altezza di Forum Flaminii, poco a nord di Foligno. Dopo la Guerra sociale Interamna divenne municipium, non si sa se con le caratteristiche della piena cittadinanza o come civitas sine suffragio. Nel 1174 le soldataglie del vescovo Cristiano di Magonza la presero e la distrussero con l'accusa di non pagare le gabelle dovute. Nonostante i Diplomi imperiali dei secoli precedenti, la cessione del territorio e della diocesi ternani al potere temporale dei Papi non si realizzò, probabilmente per le resistenze dei duchi e dei vescovi di Spoleto, e soltanto la decisa opera di annessione dell'intero Ducato di Spoleto da parte di Innocenzo III, nel 1198, riuscì a fare di Terni un pezzo del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia. Nel 1218, Onorio III ricostituì il Capitolo Cattedrale nella chiesa di S. Maria Assunta, ma dotandola di una competenza territoriale molto esigua, esposta alle rivendicazioni di Narni, da una parte, e di Spoleto, dall'altra. Quando Terni entrò a far parte del potere temporale dei Papi era già un Comune, con la magistratura dei due consoli e il Parlamento, ma con una storia di lotte per la stessa sopravvivenza. Al momento in cui gli fu restituita la diocesi, Terni ebbe anche il Podestà e il Capitano del Popolo, apparentemente in anticipo di qualche decennio rispetto ad altri comuni umbri. Nel giugno del 1241 Terni si sottomise spontaneamente a Federico II, che la individuò, forse per le sue vie di comunicazione con Roma, come base della sua presenza nell'Italia Centrale durante il conflitto che lo oppose, nel 1244, al papa Innocenzo IV e, come sede, nel 1247, della dieta che avrebbe dovuto ridisegnare l'assetto amministrativo e politico dell'Italia. Ma con la morte del sovrano, Terni tornò all'obbedienza papale, anche se lo fece molto tardivamente, nel 1252. Nel 1294 il Comune si dotò di una nuova carica, i 'quattro di credenza' o difensori del Popolo e, nel 1307, dei Priori. Durante la Cattività avignonese continuò la resistenza al potere papale e, schiacciata fra due fortissimi Comuni, come Spoleto e Narni, fu costretta ad allearsi con Todi, che nominò fra il 1338 e il 1354 sette Podestà su dieci. Nel 1354 si sottomise al legato Papale, il cardinale Egidio Albornoz. Nel 1416 fu soggetta alla signoria di Braccio da Montone, ma nel 1420 i mercenari al soldo di Martino V la ricondussero sotto il potere papale. Fra il 1444 e il 1448, prima Eugenio IV e poi Niccolò V, modificarono gli statuti comunali ed introdussero a Terni, come in altre parti del Patrimonio, il Governatorato, dando così un'impronta accentratrice all'amministrazione pontificia. Dopo il Concilio di Trento iniziò un'epoca, di circa due secoli, in cui Terni, avendo perduto una sua precisa identità, trovò in Roma un punto di riferimento. Gli Aldobrandini e i Barberini furono per molti anni, nel corso del XVII secolo, patroni della città: ternani, come Francesco Angeloni, si recarono a Roma e si legarono a queste due famiglie. Viceversa, importanti personaggi dell'arte e della cultura approdarono, da Roma, a Terni: Antonio da Sangallo il Giovane per dirigere i lavori della cava paolina alla cascata delle Marmore (proprio a Terni trovò la morte); Jacopo Barozzi da Vignola e Carlo Fontana per la riedificazione del Ponte Romano, Carlo Maderno per la cava clementina e Girolamo Troppa come decoratore di ville e palazzi cittadini. Nel febbraio del 1831 Terni accolse le avanguardie dell'esercito del generale Sercognani, che scendeva dalle Legazioni e dalla Marca, deciso a dirigersi su Roma ed entrò a far parte del territorio delle 'Province Unite', formalmente distaccatosi dal resto dello Stato Pontificio. Per circa un mese le truppe raccogliticce dei rivoltosi usarono Terni come base per le imprese contro Rieti e Civita Castellana, ma la resistenza papalina, il mancato aiuto della Francia e la reazione dell'Austria, che nel frattempo aveva ripreso le Legazioni, indussero Sercognani ad abbandonare l'impresa.

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Il ritorno di Terni al Papa fu immediato e ne seguì un periodo di relativo benessere: nel 1842 fu ammodernata la ferriera, nel 1846 fu inaugurato un moderno cotonificio, arrivò la ferrovia che la collegava a Roma e ad Ancona. L'esperienza della Repubblica Romana, del 1848, segnò l'inizio di una svolta politica: al contrario dei moti del 1831, l'adesione popolare fu piuttosto consistente, tanto che Terni divenne sede del 'Corpo di osservazione degli Appennini'. Nel luglio di quell'anno, però, anche questa breve fase di liberazione dal giogo pontificio si esaurì. Alcuni ternani seguirono Giuseppe Garibaldi che scappava verso la Romagna; uno di essi, Giovanni Froscianti, diventerà uno dei suoi più fidati collaboratori. Durante la Prima guerra mondiale la 'Società degli Alti Forni e Fonderie di Terni' aumentò notevolmente la produzione, oltre che delle corazze per le navi da battaglia, anche di componenti dei cannoni e dei proiettili, almeno fino all'apertura degli stabilimenti Ansaldo di Genova. La 'Fabbrica d'Armi' produceva armi di vario tipo, fra le quali il fucile Carcano Mod. 91 che equipaggiò l'esercito italiano per molti anni: durante il primo conflitto mondiale raggiunse la produzione di duemila fucili al giorno. La 'Bosco' si affermò nelle costruzioni per i rimessaggi aeronautici e, nel 1924, iniziò la costruzione di manufatti metallici, come idroestrattori, autoclavi e bollitori. Nel 1927 il 'Lanificio e Jutificio Centurini' era, per dipendenti e produzione, il secondo opificio italiano del settore; nel 1910 il 'Tipografico Alterocca' immetteva sul mercato il 30% delle cartoline illustrate che si stampavano in Italia. Sotto la spinta politica del PNF la 'Terni', come era più brevemente chiamata, finanziò, soprattutto negli anni trenta, la costruzione di alloggi per gli operai, fino ad interi quartieri. La concessione dello sfruttamento dell'intero sistema idrico Nera-Velino e le notevoli commesse militari spinsero la 'Terni' ad essere uno dei maggiori gruppi industriali italiani: entrata nell'IRI nel 1933, oltre a sfornare acciaio, produceva in un anno circa un miliardo di kilowattora di energia elettrica dalle centrali del sistema dei fiumi Salto e Turano nel Lazio, e del Vomano in Abruzzo; produceva in esclusiva, negli stabilimenti chimici di Nera Montoro, l'ammoniaca secondo il processo Casale, carburo di calcio e composti azotati nel nuovo stabilimento di Papigno. Nel 1927 la 'Società Umbra Prodotti chimici', modificatasi poi in 'Viscosa Umbra', iniziò la produzione di solfuro di carbonio. Nel 1939 fu costruito lo stabilimento della 'Società Anonima Industria Gomma Sintetica' (SAIGS), su iniziativa dell'IRI e della Pirelli, per la sintesi del butadiene dal carburo di calcio. Le dismissioni belliche risultarono deleterie per l'acciaio ternano: fra il 1947 e il 1952 furono licenziati quattromila e settecento lavoratori. Tuttavia, la capacità produttiva e le competenze delle maestranze sopravvissute alla guerra permisero di recuperare tutto il sistema idroelettrico e di installare una linea diretta con Genova per l'alimentazione del nuovo stabilimento siderurgico dell'Ilva di Cornigliano. Ma nel 1962, con l'istituzione dell'ENEL, tutte le fonti energetiche della società ternana furono nazionalizzate. Seguì, a breve, lo scorporo delle altre attività: l'elettrochimico di Nera Montoro fu ceduto all'Anic, nel 1967 lo stabilimento di Papigno passò all'ENI; le attività siderurgiche furono incorporate nella Finsider. Negli anni cinquanta fu chiuso lo stabilimento della Viscosa, nel 1970 cessò l'attività il 'Lanificio e Jutificio Centurini' e nel giugno del 1985 chiuse i battenti la SIRI, nonostante i grandi successi industriali degli anni cinquanta. Nel 1949 la SAIGS fu ceduta alla Montecatini, che ricovertì gli impianti per la produzione dei polimeri sintetici. Nel 1960 iniziò la produzione del 'Meraklon', seguita dal 'Montivel'e dal 'Moplefan', suddivisi, agli inizi degli anni settanta, in varie sub-unità, imperniate sul polipropilene in granuli, fiocco, film, filo. La 'Fabbrica d'Armi', pur subendo un inevitabile ridimensionamento dopo il secondo conflitto mondiale, con la denominazione di 'Stabilimento Militare Armamento Leggero', ha continuato ad essere uno dei siti nazionali per la manutenzione delle armi dell'esercito italiano e della NATO. La riconversione di alcuni impianti industriali, dopo gli anni ottanta, non è stata meno importante: la vecchia società 'Terni', sotto la denominazione di 'Acciai Speciali Terni', un insieme di attività siderurgiche ad alta specializzazione, è stata acquistata nel 1994 dalla multinazionale tedesca ThyssenKrupp, l'area della 'Bosco' ospita il 'Centro Multimediale', lo stabilimento di Papigno è stato riconvertito a studi cinematografici e museo, l'ex-SIRI è stata destinata al terziario. Negli ultimi quindici anni, Terni è diventata una città-cantiere: dai primi anni novanta non si sono fermati i lavori che via via stanno portando ad un radicale cambiamento del centro cittadino, imperniato sui "tre centri storici" del Quartiere Clai come centro della città romana, del Quartiere Duomo come centro della città medioevale e dell'asse Piazza Europa-Piazza della Repubblica-Corso Tacito come centro della città moderna.

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Collescipoli (tratto da wikipedia) Con il nome di Turocelo o Netriolum, il paese veniva nominato nella Naturalis Historia di Plinio. Il pagano Sabino, unito da san Valentino in matrimonio alla cristiana Serapia, era originario del luogo. Nel Medioevo è conosciuto con il nome di Turritulum, circondato da possenti mura, un fossato e un ponte levatoio: al suo interno svettavano diverse torri. Nell'XI secolo era feudo di Rapizzone degli Arnolfi, mentre nel XII secolo era dominato da Transarico di Miranda. Nel 1453 diventa libero Comune con il nome di Collis Scipionis, il colle di Scipione, tanto che sulla sommità della Porta Ternana si trova un busto di tale personaggio storico. Collescipoli ha dato i natali a Giovanni Froscianti (1811-1885), che fu con Garibaldi in tutte le battaglie e ne fu anche il segretario a Caprera. Il patrono è san Nicola, festeggiato il 9 maggio: la leggenda tramanda che il santo avrebbe difeso Collescipoli dalle orde longobarde (569), tanto che egli fu inserito nello stemma comunale. Fino agli anni '80, per commemorare il santo, si usava accendere i focaracci in piazza, tradizionali falò che venivano attraversati in salto dai giovani a simbolo di purificazione e rinascita. Comune autonomo facente parte fino al 1927 della provincia di Perugia, fu accorpato nello stesso anno dall'attuale comune.

Le descrizioni dei percorsi che i pellegrini faranno (riportati in ogni scheda) sono tratte dalla guida “Di qui passo Francesco” di Angela Maria Serracchioli. Ed. Terredimezzo editori, II edizione. Evidenziamo che quello che abbiamo descritto SI TRATTA DI UNA ESTREMA SINTESI di quello che compare nella guida. Invitiamo pertanto i pellegrini che intendono intraprendere il cammino ad acquistare la guida (arrivata alla III edizione) e a consultare il sito web www.diquipassofrancesco.it in cui ci sono ulteriori informazioni e servizi

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