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Anno XX n. 2/2018 Trimestrale € 10,00 20182 ISSN 1973-3658

POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1,COMMA 1 C1/FI/4010

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EDITORIALE

Arriva l'estate

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i è conclusa la settimana della moda a Firenze, Pitti Uomo chiude con ottimi risultati. In questo numero già in chiusura di Reality non abbiamo potuto dedicare spazio a immagini e tendenze, però nella rubrica "mode e tendenze" qualche novità della manifestazione l'abbiamo inserita. Come di consueto, in questo fresco numero estivo vi offriamo una ricchissima proposta di programmi e rappresentazioni culturali di varia natura e ottimo livello. Se ci leggerete e seguirete i nostri consigli, saprete come passare momenti di relax all'insegna dello spettacolo e del teatro. Quale che sia il vostro genere, troverete di che soddisfare i vostri gusti e desideri. Certo, vi faremo girare un po' per la Toscana, ma è tutto facilmente raggiungibile. Noi di Reality siamo fortunati: ci troviamo nel cuore della Toscana, culla della cultura, diceva un nostro avo. A proposito di ricordi, all'Expo di Milano, nel padiglione Italia era stata fatta la rappresentazione d'un mondo senza Italia e italiani. Riflettete! Pensiamo alla moda, alla cucina, ai vini, alla storia del nostro Paese, a tutto ciò in cui abbiamo creduto e che abbiamo fatto creando una tradizione che ha addirittura influenzato il mondo intero. Storie, appunto, da raccontare e da vivere. E perché non viverle insieme? Questo è il nostro scopo. Speriamo che per Reality lo sia sempre. Fortunatamente molti imprenditori hanno seguito il nostro consiglio sostenendo noi e altri a realizzare iniziative culturali di ottimo livello. Possiamo dire che oggi nel nostro comparto, oltre ad aver creato le condizioni perché il lavoro della pelle non si considerasse più inquinante e la conceria luogo di sfruttamento operaio, sono stati fatti grandi investimenti per la tutela dell'ambiente e l'acquisizione di un'etica professionale da rispettare. Si investe in promozione culturale: rappresentazioni teatrali, spettacoli, mostre e tanto altro, grazie al sostegno dei nostri industriali. Tutto ciò è giusto: una parte del raccolto va seminato nel terreno, se si vuol continuare a raccogliere ottimi frutti. E naturalmente a voi imprenditori, nostri amici, auguriamo nuove seminagioni e sempre più soddisfacenti raccolti.

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Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

In copertina: Riccardo Ruberti, Illustrazione per una fiaba di mare 2016, tempera e olio su tela cm 45x40

Reality numero 88 - giugno 2018 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 Reg. ROC numero 30365

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© La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2016 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.


SOMMARIO

ARTE MOSTRE letteratura territorio storia 10 20 22 24 26 28 29 30

In viaggio con Ruberti Armando Spadini La Biennale di Shanghai John Singer Sargent Per Grazia Ricevuta Alba Gonzales Riccardo Luchini a Casaconcia Solaris

Somnium 32 Presenze nell'arte contemporanea 33 L’arte in Italia 35 Il Pantheon di Pisa 38 3 nudi per 4 leoni 40 41 Lo sbarco dei Lumière a Livorno Piccoli mondi fluttuanti 42 La duchessa Eleonora 44 Il corpo e l’anima di Frida 46

La trota rapita 48 Borghi toscani 49 Bonus “verde” 50 Voci 52 Craft The Leather 2018 54 Neri Torrigiani 56 Giornalisti a fumetti 58 60 BPLaj: la nuova filiale di Sovigliana

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SOMMARIO

spettacolo EVENTI economia società COSTUME Fotografia di Leonardo Baldini ©Archivio Fotografico Fondazione Peccioliper

Rispetto… a colori Assemblea Assoconciatori Paolo Mieli Nuovo Astro L’altra metà del cielo Ferruccio Busoni LXXII Festa del Teatro 11 Lune a Peccioli

solisti del teatro alla scala di milano e del teatro

domenica dell’opera di roma

Gala Repertorio Classico e Neoclassico a cura di Alessandro Bigonzetti in

La mietitura Coreografia di Kristian Cellini con i ballerini dell’Het Nationale Ballet e del Balletto di Siena

in Recital

lirico-sinfonico

Legoli, Triangolo Verde

18 shade 20

in

Brividi immorali

pierfrancesco

favino

g i o v e d ì orchestra da camera del

maggio musicale FIORENTINO e Corale valdera in Requiem KV 626

BATTISTON

Giuseppe Battiston legge Simenon

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bohemians arte e musical

m a r t e d ì in

Moulin Rouge UNTOLD

07

19,00 22,00

nicola

sabato

di W. A. Mozart

GIUSEPPE

v e n e r d ì in

martedì

fabbrica

piovani

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morante

m a r t e d ì musiche di

mercoledì in concerto

Peccioli, museo archeologico

Le notti

dell’archeologia MEANDRO METASTORICO POP Una COLLezione di gioielli di antOnio cagianelli

art&food

Rino Gaetano Band

il giardino sonoro di ghizzano

la verde armonia duo jazz

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19,30

maggio musicale FIORENTINO

grease

Spettacolo a pagamento

21,30

sabato

Zotto Tango Zotto

compagnia della rancia

laura

domenica in

sabato

19,30

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Orchestra e coro del

21,30

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in concerto Spettacolo a pagamento

21,30

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Il rigore che non c’era

TANGOX2

v e n e r d ì in

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mercoledì

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buffa

mercoledì in

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federico

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Spettacolo a pagamento

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tosca

domenica Opera di Giacomo puccini

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sabato

Duke Hellington’s sound of love

in

le dimore del quartetto

Quartetto Sincronie

INFO e BIGLIETTI Fondazione Peccioliper Piazza del Popolo 5, Peccioli (PI) tel. 0587 672158 - 0587 936423 info@fondarte.peccioli.net 11Lune a Peccioli @peccioliper

w w w . f o n d a r t e . p e c c i o l i . n e t

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XXIII Giochi olimpici invernali Tessuti. Battistrada della moda Milano. Salone del Mobile Tutti i modi di moda Packaging première Curiosità e tendenza estate 2018 Che confusione! Pillole d’estate

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The New Generation Festival 64° Festival Puccini 2018 100 anni. Puccini un-due-trè Forte dei Marmi Estate 2018 Concerti sotto le stelle 39° Festival La Versiliana La sottile linea rossa Cannes

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artista

InnerPlace 2, 2016 tempera e olio su tela cm 100x75

in

viaggio con

Ruberti

Nicola Micieli

Ho sempre pensato al mio lavoro come ad un viaggio sospeso, alla ricerca tra l’esterno e l’interno. Considero l’esterno un pretesto, un punto di partenza segnato sulla mappa… Proseguiremo nella speranza di scoprire un luogo interiore (innerplace), dove sia possibile avvertire le pulsioni e le energie più profonde di ogni cosa. Al medium della pittura affido il compito di percepirle e rappresentarle. Inizia così un processo di immersione per arrivare il più possibile in profondità, che si tratti del mondo della natura o di un volto umano. Emergerà piano piano una geografia segreta, in cui sia possibile leggere una verità, non certo ultima o definitiva, ma nostra.

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iccardo Ruberti approdava nella primavera dello scorso anno alla Biblioteca Guerrazzi di Villa Fabbricotti, a Livorno, con un “diario di bordo” sui generis, composto da due serie di dipinti concettualmente e stilisticamente correlate dalla presenza dominante, in entrambe, di cieli straordinariamente ampi e nuvolosi, non immemori, per quanto di altra temperatura espressiva, degli analoghi di Turner e Constable. Cieli che nei “paesaggi” visionari tendono a invadere le sottostanti strisce di mare e di terra, o di terramare, sulle quali essi incombono, a farsi campo totale dell’immagine, quando non siano inquadrati a tutto campo, appunto. Ruberti usa spesso operare, difatti, una sorta di compenetrazione osmotica tra cielo e terra o mare, ai margini inferiori del dipinto sulla linea dell’orizzonte, e addirittura scioglierne in colature di colore la base. L’insieme assume quindi una globularità ottica come di un mondo disancorato, sospeso o se vogliamo in navigazione non percepibile nello spazio/tempo, che è poi il reale viaggio dell’astronave terra intorno al sole e con il sole nella galassia, e con la galassia nell’universo. I cieli della prima serie, avviata nel 2012 e in pochi anni sviluppata in numerose variazioni poi raccolte all’insegna della Navigazione celeste, sono abitati da macchine volanti d’ogni genere, alle quali corrispondono, sulla terra o nel mare, navigli, osservatori, isolotti rocciosi, figure che inviano messaggi, che tentano collegamenti empatici con le presenze celesti visibili e le remote oscure regioni dello spazio, e i mondi da scoprire che là navigano silenziosi. Ruberti mette in scena come apparizioni o annunci in questi “paesaggi” visionari, un campionario di macchine volanti e di marchingegni, attingendo sia al registro dei mezzi omologati della storia aeronautica, sia ai modelli fantascientifici usciti dal laboratorio dell’immaginazione. Segnatamente quella tendenzialmente mitografica degli scrittori, molti dei cui libri avven-

Riccardo Ruberti 10


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Casa sicura, 2012 tempera e olio su tela cm 125x125

turosi che spaziano in altre dimensioni, dagli scaffali della biblioteca che oggi accoglie questi cieli, invitano l’osservatore ad escursioni parallele ai dipinti. E all’osservatore consiglierei la guida di Luigi Bernardi, che nel catalogo della mostra personale Navigazione celeste di Ruberti alla Galleria Mercurio di Viareggio, scriveva un esemplare ed esaustivo saggio intorno alle fonti e implicazioni artistiche, filosofiche e letterarie, alla fenomenologia e all’immaginario del viaggio, che per Ruberti è tensione del pensiero verso l’infinito, alla ricerca di mondi possibili, con gli strumenti e, osservava Bernardi, “all’interno di un mondo, quello che

è originato dalla pratica pittorica”. I cieli della seconda serie, avviata allo scorcio del 2015 e ancora in corso, della quale Ruberti presentava i primi undici dipinti inediti sotto il titolo Inner Place (Luogo Interiore), sono invece abitati da icastiche teste d’uomo o di donna che paiono come assimilate, per la loro rugosità, a scorze arboree, e sono aborigeni australiani dai volti che vorrei dire orografici, come scavati dagli elementi, partecipi dunque sin nel soma del “paesaggio” natura. Per questa loro manifesta primordialità creaturale allusa anche nel nome ab origine, non già per una qualche ragione etnografica, credo che Ruberti abbia prescelto questi

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volti così intensi a testimoniare un mondo ancora lontano, ancora sconosciuto, come è nel profondo l’uomo. E un globulare mondo sospeso nello spazio effettivamente si determina dalla compenetrazione dei cieli e dei volti, cieli che per l’ambiguità percettiva dell’immagine, sembrano a loro volta abitare quelle presenze umane, se non addirittura irradiare dalla loro mente come un’esplosione di energia luminosa. Si verificano quindi le condizioni visive, squisitamente derivate dalle “ragioni della pittura” avanzate da Bernardi, di un viaggio e di un collegamento duplice nella complessità di un mondo in navigazione nello spazio: dell’osservatore catturato dallo


sguardo magnetico dell’aborigeno nel suo “luogo interiore”, nel quale si espande l’universo della persona, portatrice di un insieme di bisogni e valori individuali e collettivi che si rinnovano sin dai primordi della specie; e dell’osservato che espande, esternandolo in onde energetiche, il proprio “mondo interiore”. Ma come e in quale ambiente sono nate e hanno preso corpo queste serie che, con Soffici, chiamo “diario di bordo”? È necessaria una considerazione circa l’appartenenza livornese dell’artista, senza per questo voler risolvere/ridurre intra moenia l’ascendenza e la portata del suo figurar visionario. Vero è che nei dipinti della prima serie si possono riconoscere elementi del paesaggio litoraneo livornese, dove non mancano i cieli striati di nuvole e virati di colore, che si ammirano alti sull’orizzonte marino. Tuttavia non c’è in Ruberti alcuna corrispondenza con le correnti restituzioni locali del soggetto paesistico. I referenti storici e di contiguità stilistica delle sue immagi-

ni appartengono a un altro versante della ricerca figurativa italiana di un buon mezzo secolo, a Livorno interpretata soprattutto da Maurizio Bini. Certo, in una città nella quale l’esercizio e la circolazione della pittura sono un fenomeno secolare di portata addirittura sociologica, a Ruberti non sono mancati gli stimoli ad avvertire precocemente la propria vocazione artistica e ad avviare sin dal liceo, allievo appunto di Bini suo primo e non scolastico referente, un provveduto percorso formativo poi compiuto all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Conosco abbastanza bene il panorama attuale dell’arte a Livorno, ma non conoscevo il lavoro di Ruberti, se non per quel che me ne diceva Bini e qualche riproduzione delle opere. Incrociato de visu, il “diario di bordo” di Ruberti mi si è rivelato una bella apertura figurativa, oggi non scontata, nel novero delle arti che Ragghianti diceva “della visione”, estese dalla pittura alla fotografia al cinema, dei cui linguaggi, peraltro,

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Ruberti fa un sapiente uso integrato. Trovo che la puntualità dello sguardo analitico e insieme la leggerezza soffusa e la trasparenza della materia pittorica di cui si nutrono le immagini del diario di Ruberti, non siano moneta corrente nelle declinazioni attuali della pittura. In aggiunta di interesse, mi par giusto rilevare come il diario di Ruberti smentisce un inveterato luogo comune, che vuole il laboratorio pittorico livornese una cucina capace di sfornare solo più o meno appetibili piatti, riciclando ingredienti di tardo Ottocento e primo Novecento. Non è così. Nel corso del Novecento Livorno ha espresso personalità di rilievo in linea con molteplici aspetti della ricerca italiana. Molti artisti, questo sì, hanno operato nella diaspora, a Milano e altrove in Italia, altre in loco senza frustrazioni provinciali, da Cappiello a Peruzzi, Fontani e il movimento Eaista, il gruppo Atoma, Nigro, Chevrier, Barucchello, Marchegiani, Martini, Lombardi, Bobò, Madiai, De Rosa (...). E oggi Ruberti.

Memorie della navigazione celeste 2013, tempera e olio su tela cm 93x110


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My dream of flying #2, 2012 tempera e olio su tela cm 150x180

Cito a parte Gianfranco Ferroni, uno dei capiscuola di quel dipingere figurativo da Franco Solmi detto di “immagine”, per distinguerlo da altri aspetti e accezioni della Nuova Figurazione. Sull’onda lunga di questo movimento, che ha avuto corso in Italia dallo scorcio degli anni Cinquanta, naviga il Ruberti del “diario di bordo”. Con Ferroni, altri artisti livornesi hanno dato il loro contributo alla Nuova Figurazione, da Bini a Diara, Gigli, Pogni, variamente attestati tra realismo esistenziale, immagine critica e neo-metafisica, questa soprattutto considerevole, in Toscana, nell’accezione della “Metacosa” teorizzata da Roberto Tassi, che ribadiva il principio della forma pittorica come assorbimento e durata dello sguardo oltre l’effimero climatico del suo manifestarsi alla luce. E d’una metafisica della durata possono dirsi partecipi i “paesaggi” del “diario di bordo”, con i loro cieli sommossi e mutati d’assetto ed aspetto da un turbine silenzioso, sui quali Ruberti sembra operare un fermo immagine che sospende senza congelarla una forma la cui esecuzione puntuale e non iperrealista, è rara avis nella profusione attuale delle immagini di consumo ad alta definizione fotografica e videografica. Il “diario di bordo” è una sorta di reportage composto in teatro di visioni per siparietti pittorici, e implicite ipotesi di racconto delegate alla mente dello spettatore. A lui spetta il compito di usare in autonomia la scena e dipanare il filo d’una storia. Salvo sporadici casi d’esplicito riferimento a noti titoli e vicende della letteratura di viaggio, esplorazione, avventura, Ruberti ha sempre e solo collocato sulla scena minimi indizi iconici, segnaletici, climatici e semantici utili a innescare una storia originale o a suscitare la memoria di una storia nota. Per lui, ripeto, lo sviluppo del possibile racconto si dà in termini di funzionalità del meccanismo scenico, dunque della pittura. Credo proprio che Ruberti pensasse a uno spettatore complice, quando dipingeva il suo primo “paesaggio” visionario e in seguito i numerosi luoghi fisici e umani del suo extravagare immaginoso, sulle rotte di cieli e terre coinvolti, mirabolanti, per la loro bellezza grandiosa, che turba al pari della manifestazione,

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InnerPlace 4, 2016 tempera e olio su tela cm 120x100 Un messaggio per l'universo, 2012 tempera e olio su tela cm 100x125 Volo a Ramatuelle, 2015 tempera e olio su tela cm 90x100

in chiave panica, del fulgore divino. Cieli, dunque, di ascendenza romantica; cosmorami di nuova generazione felicemente traslitterati dal simbolismo della scena travolgente di Friedrich al nitido landscape ad alta definizione visiva confacente allo sguardo contemporaneo. Cieli tuttavia egualmente ispirati al sublime della natura, nel senso proprio dello sguardo obliquo che mira il “cielo stellato” sopra il capo di Kant. Cieli, infine, sprofondanti per l’animazione della cortina non occludente di nubi vaporose e sfrangiate, che paiono ravvicinati ammassi di stelle e galassie e che al pari della siepe leopardiana, distraggono lo sguardo dal contingente consentendo al poeta di fingere, nel pensiero, “interminati spazi e sovrumani silenzi” e, al sovvenire del pensiero dell’eterno, di abbandonarsi alla deriva nel mare dell’essere. E se evoco il solitario cantore di Recanati de “L’infinito” e dei dialoghi con gli esseri e gli elementi della natura, è perché c’è un fondamento filosofico nel viaggiatore Ruberti teso alla scoperta di possibili mondi immaginari. Quali quelli prefigurati nelle pagine dei libri, dai Viaggi straordinari di Giulio Verne a Le città invisibili di Italo Calvino, che Ruberti sicuramente predilige al pari dell’originaria letteratura fantasy ancora mitografica, sovrannaturale, surreale, rispetto a quella sofisticata della fiction attuale zeppa di effetti speciali. Il “diario di bordo”, un tempo libro mastro di avventurati capitani veleggianti sui mobili oceani, è nel nostro caso la puntuale registrazione visiva, o se vogliamo l’atlante pittorico, la cartografia poetica d’un esploratore di luoghi e situazioni terrestri che si relazionano con il sistema cosmico al quale appartengono. Sono vasti cieli, orizzonti marini, lembi di coste o spiagge o scorci di brulle campagne e paesaggi collinari, in primo piano. E poi, a terra, figure che diresti lillipuziane, rispetto alla vastità dell’ambiente nel quale agiscono, interrogate da un esploratore le cui soste, le cui provvisorie postazioni sono osservatori, o per meglio dire specole sul mistero e l’infinitudine dell’universo, cui corrisponde lo spirito umano che in esso si riflette. Lo sguardo è sempre virtualmente proiettato verso luoghi

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e mondi sospesi nello sconfinato spazio cosmico, oppure sommersi nella profondità dello spazio interiore, del primo altrettanto esteso, e speculare. Che incroci velivoli in ricognizione aerea o in planata, mongolfiere e alianti trasportati dal vento e altri ingegni e congegni di imbarcazioni e navigli bordeggianti lungocosta, Ruberti sempre presuppone un veicolo, un

mezzo, un canale di comunicazione nello spazio, fissando situazioni e figure del volo celeste e terrestre e marino, che è comunque navigazione e sfida di conoscenza. Non a caso Dante chiama “folle volo” l’ardimento di Ulisse oltre le Colonne d’Ercole. Del resto, dalla tipologia dei velivoli messi in scena, si capisce che Ruberti compie a ritroso il percorso della loro

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evoluzione tecnica. Egli risale a Leonardo che studiava le ali degli uccelli e implicitamente evoca l’archetipo del volo umano liberatorio: quelle ali di piume e cera grazie alle quali Icaro evade la “prigione” terrena, e ardisce volare verso il sole, punito con la morte per quel prometeico, “folle volo” di conoscenza. Compaiono dunque aeromobili, messaggeri alati


sotto specie di bandierine multicolori mosse dal vento o sciami di lamelle luminose, sguardi e pensieri mirati all’infinitudine dello spazio celeste, e nella seconda sezione del diario, calati nell’infinitudine della mente e dello spirito umano, la cui esplorazione è ancora a uno stadio iniziale. Ruberti “fotografa” situazioni e figure del volo, ma meglio direi che traduce, nel senso che lo formula come tensione utopica addirittura ancestrale, consegnata all’eloquenza arcana del mito prima che la scienza se ne facesse carico, il desiderio umano di valicare la soglia del visibile, del noto, del verificato. Soglia che fatalmente si sposta, risucchiata dall’ignoto, a ogni progresso della conoscenza, talché si rinfocola il desiderio di conquistare la nuova frontiera; si rilancia la sfida di gettare lo sguardo su quel mobile “oltre”: lo sconfinato dominio del mistero nel quale da millenni si sono spinti, variamente ipotizzando o fingendo percorsi, il pensiero speculativo e immaginativo dell’uomo in viaggio sull’astronave terra. Riccardo Ruberti è nato nel 1981 a Livorno dove vive e lavora. Nel 2006 si laurea in Discipline Pittoriche con il massimo dei voti presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Dal 2007 al 2011 ha insegnato Disegno, Pittura e Tecniche dell’Incisione alla Libera Accademia Trossi Uberti di Livorno. Dal 2015 è Presidente e fondatore dell’Associazione Culturale De Pictura a Livorno, in cui si occupa di Corsi di Disegno e Pittura. Attualmente è docente di Discipline Pittoriche all’Indirizzo Artistico del Liceo Sperimentale "Cecioni" di Livorno. Le sue opere sono esposte in importanti collezioni pubbliche e private: si segnalano quella del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di Roma, la collezione Suwaidi di Abu Dhabi, la collezione English di Londra e la collezione Heineken di Amsterdam.

Giochi di volo, 2015 tempera e olio su tela cm 100x100 InnerPlace 13, 2017 tempera e olio su tela cm 110x100 InnerPlace 14, 2017-18 tempera e olio su tela cm 80x80

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Armando

Spadini l'inquietudine e la grazia dell'artista fiorentino Marco Moretti

Mille lire, verso Autoritratto, 1925 Galleria degli Uffizi olio su tela cm 54x45 Bambini che studiano, 1918 Coll.Banca d’Italia, Roma olio su tela cm 61x82

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'osservazione in una raccolta privata d'un paesaggio giovanile di Armando Spadini che precede quelli romani di Villa Borghese e del Pincio, fornisce il pretesto per ricordare questo sfortunato artista fiorentino morto a soli quarantuno anni a Roma dove risiedeva dal 1910, ma che volle essere sepolto nel piccolo cimitero di Poggio a Caiano paese natale della madre nonché luogo elettivo dell'amico Ardengo Soffici che così ebbe a ricordarne la memoria: «Dalla finestra di questa mia casa di campagna, e persino da questo tavolino dove scrivo vedo l'umile ma poetico cimitero nel quale Armando Spadini ha voluto esser sepolto […] la mattina, la sera, a tutte le ore, guardando da lungi I due cipressi che vigilano la sua tomba, errando per i campi fioriti che la circondano (questi campi che lo videro bambino, ch'egli amava, e che si prometteva ancora anno di venire a dipingere) posso illudermi di essere ancora un poco in sua compagnia; certo che il suo spirito mi è più prossimo, suscitando instancabilmente nel mio le rimembranze, i sensi e la simpatia del nostro lungo commercio». L'artista era nato a Firenze in via della Chiesa il 29 luglio 1883. Una data destinata a rimanere nella storia per

almeno due altri motivi: la nascita di Benito Mussolini e il terremoto che rase al suolo Casamicciola. Una data indubbiamente tellurica, considerando come anche il carattere del giovane Armando non fosse dei più miti, al punto che più volte agenti della municipale attirati dalle sue grida, avevano chiesto chi abitasse in quella casa. Un ragazzo dal carattere turbolento, incline alle malinconie come agli scatti di furore, focoso e testardo. Incurante dei consigli paterni di continuare le scuole tecniche, il ragazzo aveva voluto imboccare la via della pittura. Dopo quattro anni di apprendistato nella ceramica di Jafet Torelli si era iscritto alla scuola professionale di Santa Croce, sezione Decorazione, dov'era rimasto tre anni. Non ascoltando i consigli dei professori che lo avrebbero voluto cesellatore, il giovane era passato alla

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Scuola Libera del Nudo presso l'Accademia di Belle Arti, dove tra altri giovani di talento avrebbe conosciuto Soffici, maggiore di lui quattro anni. Una scuola che frequentò saltuariamente ma che fornirà al giovane elementi necessari per avviarsi verso quella pittura ammirata agli Uffizi e nelle opere dei grandi maestri conosciuti attraverso le stampe: I fiamminghi, la pittura spagnola di Velazques e di Goya, l'attenzione per l'opera di Carpaccio. Proprio alla maniera antica, prima che pittore Spadini sarà un ottimo e raffinato disegnatore, le cui prove frutteranno il secondo premio al concorso bandito da Alinari per illustrare la Divina Commedia. La conoscenza di Adolfo De Carolis titolare della cattedra di ornato all'Accademia di Belle Arti lo introdurrà nel 1903 nell'ambiente culturale di Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini,


Emilio Cecchi, e quindi alla collaborazione come illustratore della rivista "Leonardo". Tornato a Firenze dopo la parentesi del servizio militare svolto a Napoli, nel 1906 aveva conosciuto in Accademia un'allieva di Giovanni Fattori, Pasqualina Cervone, figlia del medico condotto di San Piero in Bagno che sposerà il 29 ottobre 1908. Dopo un primo tentativo per l'aggiudicazione del Pensionato Artistico Nazionale, la cui vincita comportava un alloggiostudio a Roma e uno stipendio seppur modesto di 200 lire al mese per due anni, previa riconferma, Spadini dovrà aspettare il 1910 per vedere coronato quel sogno e stabilirsi a Roma con la moglie e la figlia Anna, nata in quell'anno dopo il primogenito Mario morto dopo a mesi di vita nel 1909. È in questo torno di tempo che Spadini dipinse il Paese qui riprodotto per la prima volta a colori, il quale figura come il primo pubblicato, con data dubitativa1908, nella monografia mondadoriana sull'artista edita nel 1927 a cura di Emilio Cecchi con uno studio critico di Adolfo Venturi. Si tratta di una veduta collinare nei pressi di San Piero in Bagno, rappresentata in una gamma di toni verdi e violacei dai quali occhieggiano le note viola più acute dei cardi e il giallo cromo delle ginestre. Così Corrado Pavolini descriverà questo dipinto nel suo saggio Spadini paesista pubblicato sul catalogo della mostra postuma Omaggio a Spadini, con la quale venne inaugurata nel 1930 la Galleria di Roma: «Paese co' suoi lenti colli sotto al limpido cielo di seta, [dove] ovvia è l'imposizione di erboline e fogliuzze come trepidi incidenti vegetali su quella pace solatia». Il dipinto, come molti altri che seguirono, venne acquistato dal dottor Angelo Signorelli che Spadini aveva conosciuto tramite Felice Carena; il quale, oltre a divenire suo medico personale, sarà il primo e affezionato mecenate. La famiglia Spadini, nel frattempo cresciuta di numero (dopo Anna, nel '12 era nato Andrea, poi Maria nel '14

e Lillo nel '20), rimarrà per sempre a Roma, malgrado l'artista si fosse lamentato nei primi anni di permanenza con l'amico Cecchi rimasto a Firenze: «Mi manca il mio bell'Arno con quella bell'acqua chiara, con i barcaioli al sole e le barche, col timone rosso. Qua niente. Un fiume infamissimo con acqua sempre torba. Mi è toccato nuovamente, se volevo far qualcosa, far posare il mio modello di moglie». La sua pittura, fortemente dominata dal senso del colore, con la scoperta degli impressionisti avvenuta nel 1913 si era orientata verso citazioni luministiche secondo i modelli del tardo Renoir. Amante del vero, l'artista dipinse sul motivo scorci del Pincio e di Villa Borghese ma soprattutto scene d'intimismo familiare aventi al centro la sua modella per antonomasia, l'amata Pasqualina, e quindi I quattro figli veduti crescere nelle sue tele. Pittura bella per eccellenza, l'opera spadiniana veniva accusata dall'ambiente romano dei Valori Plastici di soggiacere a contaminazioni francesi, impressioniste. Mario Broglio, scrivendo sull'opera dell'artista alla Secessione del 1916, ebbe a dire che «Spadini espone una produzione disordinata, frammentaria, incidentale perché tormentata da tentazioni-aspirazioni, non possiamo dirlo, impressionistiche, le quali non riescono a conciliarsi con il substrato virtualmente tradizionalista del pittore». 'Substrato' che l'artista farà affiorare di lì a poco conferendo più corpo alle forme e ai volumi: « Sono in un'età in cui basta con gli abbozzi e gli impressionismi, non penso che a lavori tirati tutti a pulimento». Determinazione che già affiora in dipinti del 1918 come Il mattino, oggi al museo Civico di Mantova, Lettura (ritratto della figlia Anna); Bambini che studiano (che la Banca d'Italia proprietaria dell'opera riprodusse al verso delle mille lire dedicate a Maria Montessori); il magistrale Bambino con la corazza del 1920, Anna e Lillo dell'anno seguente, Gruppo di bagnanti del 1923, dove Pasqualina presterà, lei e sempre lei atteggiata in varie pose, la sua giunonica figura. Grazie a quella profonda revisione che Venturi indicherà come «rinuncia alle piacevolezze decorative per costruire masse in profondità», Spadini potrà esporre alla Fiorentina Primaverile del 1922 nel gruppo di Valori Plastici, presentato in catalogo da Alberto Savinio che ne chiariva la nuova impostazione. Nel 1924, alla XIV Biennale di Venezia, verrà riservata all'artista un'intera sala: occasione tanto attesa quanto allo stesso tempo amara, poiché tra le quarantanove opere esposte «non ce n'era una che fosse di sua proprietà e potesse procurargli, con la vendita, un po' di danaro», come ricordava l'amica Leonetta Pieraccini, moglie di Emilio

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Cecchi, che prestò ai coniugi Spadini i soldi per il viaggio ed il soggiorno nella città lagunare. Comunque l'artista era ormai una realtà artistica nazionale, ma purtroppo la sua esistenza terrena stava volgendo alla fine per l'incrudelirsi di una nefrite che in pochi mesi lo porterà alla tomba. Ultimo sorso di relativa tranquillità gli venne offerto, nell'estate del '24 dai principi Torlonia, i quali avevano messo a sua disposizione la dépendance della loro villa a Poli, nella campagna romana. Aveva comprato un ciuchino, che chiamava col suo cognome, e cavalcandolo, seguito da un altro ciuco con calesse su cui stavano i ragazzi, arrivava 'sul motivo' senza affaticarsi, con in mano la tavolozza già apparecchiata dei colori. «Ho iniziato molti quadri; ma li potrò finire?» Un interrogativo che pare formulato dall'immagine disfatta del suo ultimo Autoritratto, ora in Galleria degli Uffizi, accomunato giustamente a quello che l'amato Goya aveva dipinto pochi mesi prima della morte. Spirò il 31 marzo 1925, di martedì, giorno da lui sempre temuto, a quarantadue anni non ancora compiuti. La sua salma, dopo il funerale romano a cui presero parte tutti gli artisti, venne tumulata nel cimitero di Poggio a Caiano dove nel 1964 lo raggiungerà, seppellito a suo fianco, l'amico Soffici.

Lettura, 1918 olio su tela cm 97x78 Anna e Lillo, 1921 olio su tela cm 90x66 Paese, 1908 olio su cartone cm. 41,5x58?


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LA BIENNALE DI

SHANGHAI dal 1996 importante osservatorio sull'arte contemporanea Riccardo De Angelis Tommasi

Shanghai, Pudong: i grattacieli del centro finanziario

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egli anni Novanta del Novecento le Biennali d’arte si sono moltiplicate con successo a livello internazionale. Da questa “febbre” è risultato un solido ponte fra l’Occidente e l’Asia Orientale. Si è creato così un forte legame fra due universi culturali destinati col tempo a essere sempre più uniti. La Biennale di Shanghai, inaugurata nel 1996, ha segnato la nascita di un importante osservatorio sull’arte contemporanea. Dopo le prime due edizioni, ancora in “fase di rodaggio”, la terza edizione, nel 2000, per la prima volta ha incluso curatori e artisti internazionali, superando alcune barriere diventate una rampa di lancio tale da richiamare l’attenzione degli addetti ai lavori. Questa Biennale si è dimostrata così pronta per accogliere gli stili più vari ed emergenti in area internazionale. La manifestazione si pose come l’evento di più alto profilo presente nella metropoli e uno fra quelli più in vista nel panorama mondiale. Durante gli ultimi ventuno anni i curatori cercarono di verificare la connessione esistente fra espressioni artistiche at-

tuali, vita urbana e pubblico, avendo come obiettivo la diffusione dell’arte contemporanea cinese sullo sfondo di una realtà in continua evoluzione. Con questa impostazione Shanghai dette ulteriore prova di apertura presentandosi come palcoscenico ideale delle creazioni che oggi costituiscono un fondamentale strumento di dialogo fra est e ovest grazie all’organizzazione di eventi di qualità che, oltre a interessare la sede principale della Biennale, sono stati allestiti in altri musei e aree comprese nel vasto tessuto urbano della città. Il “quartier generale” della Biennale è stato per otto edizioni lo Shanghai Art Museum lasciando poi il suo posto alla Power Station of Art (PSA) dalla nona edizione del 2012 all’undicesima del 2016. La Power Station of Art, inaugurata il 1° ottobre 2012, è il primo museo statale dedicato all’Arte Contemporanea nella Cina continentale e ospita mostre tutto l’anno. Con una superficie di ben 42mila metri quadrati e un’altezza interna di 27, l’edificio si erge sulla riva dello Huanpu River distinguendosi, con la sua ciminiera alta 165 metri, fra uno degli skyline più famosi al mondo. La costruzione risale al 1897 quando fu progettata come la centrale elettrica di Nanshi: un ruolo di fondamentale importanza poiché fornì, per la prima volta, luce elettrica ai cinesi. Nel 2010 fu scelta come “Padiglione del Futuro” durante la Shanghai World Expo, a testimonianza di una nuova era di progresso per la città e Cina intera. La nascita della Power Station of Art, creò una piattaforma in grado di infrangere le barriere fra arte e vita urbana. Appare quindi evidente la precisa intenzione del Go-

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verno di concepire un centro capace di vantare una rilevanza artistica internazionale, in grado di competere con Londra o New York. Fra le edizioni di maggior prestigio ricordiamo quella del 2000: 300 opere di 67 artisti provenienti da 18 nazioni. Per la prima volta, l’équipe dei curatori includeva personalità di nazionalità non cinese. Hou Hanrou, curatore principale, contribuì a espandere la cultura artistica cinese contemporanea con la massima professionalità, fornendo un esempio per il futuro. L’operazione da compiere era quella di mostrare un’arte non necessariamente di opposizione che poteva essere considerata “pericolosa”. Proprio perché la mostra non era sufficientemente politicizzata, sempre nel 2000 alcuni artisti di fama mondiale come Ai Weiwei organizzarono una contro-mostra nella Eastline Gallery di Shanghai, famosa con il titolo in inglese Fuck Off. Essi volevano dimostrare la loro condizione di estrema libertà in una situazione conflittuale. L’intento era quello di coinvolgere la responsabilità personale dell’artista, sollevando domande cruciali sulle problematiche dell’arte contemporanea. L’Ufficio di Ispezione Culturale Cinese impose la chiusura dell’evento poiché ritenuto sovversivo. Tornando alle Biennali “ufficiali”, riteniamo che le manifestazioni cercarono il più possibile di eliminare l’antagonismo fra i vari aspetti che contraddistinguono il mondo contemporaneo, ovviamente con efficacia diversa a seconda dell’edizione. Fra le ultime, citiamo quelle del 2010, del 2014 e del 2016, poiché hanno rispecchiato le intenzioni vincenti, basate sulla volontà di creare una sutura


fra i vari aspetti della contemporaneità cinese in nome di una sempre più estesa internazionalità. L’edizione del 2010 fu caratterizzata da luci e ombre. Le difficoltà organizzative non mancarono, nonostante ciò, si ebbero anche èsiti positivi: la forza consistette nell’afflusso crescente di spettatori che condividessero questa finalità di rinnovamento visivo e come palcoscenico creativo in continua evoluzione. Venne quindi raggiunto l’intento di incoraggiare la partecipazione pubblica proponendo figure di artisti considerati parte integrante della società grazie alla precisa scelta stilistica di farli lavorare in loco contemporaneamente per accentuare la loro energia e la loro dimensione umana vera e propria. La compresenza della Shanghai World Expo 2010, con il tema legato all’urbanizzazione, creò un binomio di grande carica innovatrice capace di mobilitare più di 70 milioni di persone. Nel 2014 la Biennale si interrogò sui temi della produzione culturale e sociale in un momento in cui la Cina stava investendo molto sulla valorizzazione della propria cultura contemporanea. La scelta fu quella di compiere un’operazione promozionale ai massimi livelli: intento raggiunto grazie all’allestimento di padiglioni in vari luoghi della città per fornire un efficace servizio culturale ai visitatori. In questo modo la Biennale poté calarsi nella vita urbana consolidando la sua influenza nella società. Anselm Franke fu posto alla guida di questa Biennale. Si tratta del più giovane curatore nella storia delle manifestazioni e il primo straniero a occupare la posizione di chief curator. L’undicesima Biennale è stata la terza a essere organizzata nella Power Station of Art; la sua durata si estese dal 12 novembre 2016 al 12 marzo 2017. In modo molto incisivo il titolo richiamò l’attenzione degli spettatori

ponendo in primo luogo una domanda: Why Not Ask Again: Arguments, Counter-arguments and Stories (Perché non chiedere ancora: Dibattiti, Contro-dibattiti e Storie). I nomi scelti per la curatèla di questa edizione furono gli artisti Raqs Media Collective composti da Jeebesh Bagchi, Monica Narula e Shuddhabrata Sengupta, tutti di New Delhi. La compattezza dello spazio espositivo della Power Station of Art soddisfece le loro esigenze poiché non lasciava margine a dispersioni: lo spettatore si trovò coinvolto in un’unica esperienza artistica che lo travolse. Le opere non venivano fruite isolatamente. L’intento era di realizzare un unico ambiente di riflessione globale superando la divisione in Paesi. Per rafforzare il rapporto fra la Biennale e la dimensione urbana della città, sono stati organizzati innumerevoli eventi di diversa natura che hanno trovato terreno fertile in vari luoghi, intensificando la partecipazione collettiva. Mostre, riunioni, visite guidate, incontri, conferenze, performance hanno tappezzato Shanghai suscitando un continuo fermento di idee. Le innumerevoli Biennali che si sono svolte in tutto il mondo fra il 2016 e il 2017, hanno costituito una base per un esteso numero di curatori e artisti internazionali. In armonia con le altre, la Biennale del 2016/17 ha contribuito a generare un fenomeno che non ha precedenti e riflette le attuali esigenze storico-artistiche. Partendo da un accurato studio di molte espressioni delle attività umane odierne, sono riusciti a fondare un centro che ricava energia creativa dalla collaborazione e dallo scambio intellettuale che avviene fra i numeorsi attori coinvolti. Spesso la fonte di ispirazione proviene dalla natura e dal suo rapporto con l’uomo: tema che ha sempre generato una conflittualità reciproca. La Cina, paese in piena evoluzione,

rappresenta la piattaforma ideale per un’indagine così profonda e per mettere in discussione tutta la nostra contemporaneità, dove niente deve essere dato per scontato e già appreso. In questo senso, a nostro parere, l’ultima edizione della Biennale rappresenta il punto di arrivo di un percorso che ha conquistato un ruolo guida nella realtà sociale di Shanghai. Essendo una delle capitali dello sperimentalismo, potrà ispirare il mondo intero. Se questa manifestazione vuole essere considerata in un contesto di più ampio respiro, l’evento sembra dimostrare che la Cina sta conquistando una posizione primaria in due momenti: quello creativo e quello produttivo, entrando perfettamente nelle logiche contemporanee. Shanghai, in testa a questo processo in atto, appare sempre più in grado di accogliere personalità da ogni parte del mondo capaci di sviluppare un interessante laboratorio di pensiero. Questa Biennale ha avuto il merito di espandersi armoniosamente in modo sempre più incisivo, incrementando il settore artistico della Nazione.

Ingresso principale della Power Station of Art nella ricorrenza del Primo Maggio Sala centrale della Power Station of Art

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John Singer

Sargent

l'impressionista americano nato a Firenze Massimo De Francesco

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ohn Singer Sargent nasce a Firenze, in via Guicciardini, il 12 gennaio 1856, figlio del dottor Fitzwilliam Sargent, nato a Gloucester, nel Massachusetts. Sua moglie Mary Newbold Singer è figlia di un ricco mercante della Pennsylvania. I Sargent si trasferiscono in Europa nel 1854, dopo un anno dalla tragica morte della loro prima figlia, Mary. A causa dell’indomabile pulsione agli spostamenti dei genitori, John cresce fra l’Italia, la Germania, la Francia, la Spagna e la Svizzera, divenendo fluente in quattro lingue. Sin dall’infanzia coltiva la passione per la pittura, incoraggiato dalla madre. Ama trascorrere il proprio tempo all’aria aperta (è un «accorto osservatore della Natura» dice suo padre) e durante un inverno passato fra Firenze, Roma e Nizza (1866-1867) conosce Vernon Lee, pseudonimo della scrittrice Violet Paget, essa stessa figlia di espatriati inglesi, con la quale stabilisce una duratura amicizia. (Nel 1881 dipingerà il suo ritratto).

John non viene educato formalmente ma secondo l’Educazione Baedeker, ovvero l’erudizione resa possibile dal continuo viaggiare visitando musei, gallerie d’arte e chiese. Ormai famoso per le sue notevoli doti artistiche, frequenta i salotti intellettuali degli espatriati. Continua a dipingere magnifici acquerelli e dopo essere stato allievo del pittore tedesco-americano Carl Welsch a Roma, si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, dove durante l’inverno 1873-1874 perfeziona le sue qualità pittoriche. Nel frattempo studia il pianoforte e le opere dei grandi artisti veneziani: Tintoretto, Tiziano, Veronese. Nello stesso anno, parte con il padre alla volta di Parigi, l’indiscussa capitale europea dell’arte, affinché il giovane artista possa approfondire i suoi studi nell’atelier di Carolus-Duran, amico di Eduard Manet e di Claude Monet. Con quest’ultimo Sargent stringe una forte amicizia maturata durante la frequenza all’École des Beaux-Arts. Il metodo di Carolus-Duran

Villa di Marlia, Lucca, 1910 ca. Giardino di Boboli, Firenze, 1907 ca. John Singer Sargent, Autoritratto, Galleria degli Uffizi, Firenze.

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prevede il diretto intervento del pennello sulla tela saltando lo schizzo iniziale come rigidamente insegnavano i maestri del passato. John frequenta assiduamente il Louvre; studia Hals e Velasquez acquisendo le nozioni tecniche che costituiscono la base delle sue opere. Nel 1876 compie il primo viaggio negli Stati Uniti. Importante, per la sua evoluzione stilistica, è il viaggio compiuto nel 1878 a Napoli e poi la visita alla solare bellezza di Capri, dove “scopre” la pittura di Antonio Mancini e di Francesco Paolo Michetti. Con Mancini stabilisce un proficuo rapporto di amicizia. In Italia le mète e i soggiorni di Sargent sono Venezia, Firenze dove gli capita di soggiornare nell'albergo Helvetia & Bristol in piazza Strozzi. Raggiunge Carrara per dipingere le cave di marmo delle Apuane, in Lucchesia il giardino della villa reale di Marlia e, a Firenze, il Giardino di Boboli. Il 1879 è per Sargent un anno fecondo. Esegue diversi ammirati dipinti


(fra cui Tra gli ulivi, Capri, Bambini napoletani al mare, Ragazze di Capri su un tetto). Soggiorna a lungo in Marocco e in Spagna dove rimane colpito dai dipinti di Velazquez. Un viaggio in Olanda (1880) gli permette di studiare le pitture di Franz Hals, dalle quali rimane affascinato. Le qualità di ritrattista, oltre che di paesaggista, gli sono nuovamente riconosciute quando espone il ritratto di Carolus-Duran al Salone di Parigi. Nel 1884, ormai richiesto da ricchi e influenti committenti, espone il Ritratto di Madame X (o M.me Virginie Amélie Avegno Gautreau, nativa di New Orleans e moglie del banchiere parigino Pierre Gautreau). Il quadro suscita scandalo per via dell’abbigliamento della signora, ritenuto troppo “lascivo” dalla società dell’epoca. Nel 1885 raggiunge Monet a Giverny, dove il maestro impressionista francese si è trasferito nel 1883 con

la futura moglie Alice. In questa località Sargent approfondisce la tecnica francese en plen air e realizza una pittura famosa: Monet dipinge alle soglie del bosco, ma le virulente critiche seguìte alla presentazione del Ritratto di Madame X, lo costringono a lasciare Parigi per trasferirsi a Londra nel 1886, dove viene accolto dall’amico scrittore americano Henry James, il quale introduce Sargent negli esclusivi salotti della Londra vittoriana e della successiva epoca edoardiana. Risale a questo periodo il suo notevole successo commerciale e la sua affermazione professionale, soprattutto come ritrattista. Nel 1886, raggiunto il villaggio di Broadway (Worcestershire), nelle Cotswolds, dipinge il magnifico Garofano, giglio, giglio, rosa: opera che ritrae due bambine, Dolly e Polly Barnard, mentre accendono lanterne cinesi in un giardino. Il quadro vie-

ne acquistato per la Tate Gallery nel 1887 su insistenza del pittore e scultore inglese Sir Frederic Leighton, presidente della Royal Academy. L’aristocratico pubblico inglese, riconoscendo la bellezza del dipinto nel quale si distinguono temi vittoriani influenzati dalla pittura degli impressionisti, garantisce all’artista nuovi e facoltosi committenti. In questa “patria” elettiva si lega in amicizia con lo scrittore Robert Louis Stevenson, autore del celebre romanzo Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde, pubblicato nel 1886. Nel 1887 torna per la seconda volta negli Stati Uniti dove dipinge ritratti e cicli di pitture murali per la Boston Public Library (1890), cui dà il nome di Triumph of Religion. Si tratta di un ciclo di raffigurazioni dedicato alla storia della religione, dal paganesimo all’ebraismo fino al sorgere del cristianesimo. (Con altre pitture murali decorerà il Museo d’Arte della stessa città e della Widener Library di Cambridge). Dal settembre del 1905 al gennaio 1906 visita ciò che allora è conosciuto come il Levante Ottomano, da cui trae ulteriore ispirazione per l’impresa pittorica in corso. Viaggia in Norvegia, Palestina e Spagna; torna in Italia, il cui impatto lo orienta verso la produzione paesaggistica, frequentemente ricorrendo alla tecnica dell’acquerello. Per i suoi meriti il Governo francese lo nomina cavaliere della Legion d’Onore e nel 1894 viene associato alla Royal Academy di Londra. Negli anni successivi continua a viaggiare e dipingere esponendo nelle sedi più prestigiose: in Francia, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Dal 1904 le opere di Sargent sono esposte alla Royal Water Colour Society di Londra. I suoi acquerelli sono acquistati dal Brooklyn Museum, dal Museum of Fine Arts di Boston e dal Metropolitan Museum of Art di New York. Consegue lauree ad honorem e dal Governo francese è nominato cavaliere della Legion d’Onore. Durante i soggiorni a Boston accetta di ritrarre due personaggi importanti: John D. Rockefeller e il Presidente Woodrow Wilson (1917). Sargent si spegne nella sua casa di Tite Street a Londra nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1925 a causa di un infarto. Il Museum of Fine Arts di Boston gli dedica la prima retrospettiva il 3 novembre dello stesso anno. È sepolto nel Brookwood Cemetery a Woking, nel Surrey.

Carrara. Cava II, 1911 A Torre Galli: donne in giardino, 1910.

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per grazia ricevuta Roberto Giovannelli

In linea puramente estetica, l’arte popolare può avere, ha, lo stesso valore assoluto della grande arte: raggiunge, sia pure attraverso scorciatoie e sentieri nascosti, cime d’eguale altezza. P. Toschi, Arte popolare italiana, Roma 1960

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Roberto Giovannelli, Favoletta (P.G.R., dolce melodia per scampato terremoto), 1986, olio su tela, cm 50x195 Giuseppe Bertini da un disegno di Francesco Boggi, 1845, Fisionomie di sette inquisiti, litografia (1, Fabiano Bartolomei; 2, Francesco Prosperi; 3, Natale Giusti; 4, Demetrio Prosperi; 5, Giuseppe Alessandri; 6, Pietro Giuliani; 7, Giovanni Nardi). Roberto Giovannelli, 2018, Scampati a una pioggia di stelle, Ex voto P.G.R. una notte di agosto del 2017, pittura a buon fresco, su cimasa in terra cotta, cm 43x34, Firenze, collezione privata. Roberto Giovannelli, 1992, Italia Italia (sfuggito a fulmini e saette), Ex voto, olio su tela e lamina oro, cm 71x51 Eusebio Puccioni, 1833, Ex voto P.G.R. il 23 dicembre 1833, olio su tavola, Vorno, Pieve di San Pietro e Santa Maria Stefano Tofanelli, 1795, Madonna Assunta fra i santi Pietro e Paolo, Vorno, Pieve di San Pietro e Santa Maria Ringrazio Francesco Bertini per la collaborazione concernente le immagini fotografiche

lla fine d’agosto del 1842 cadde in mano ai birri una banda di sette malfattori che da almeno cinque anni infestava nottetempo le campagne e i villaggi del Ducato di Lucca, aggredendo a mano armata parroci e famigliole di agricoltori, non senza compiere talvolta atti di brutale lussuria. Come alcuni di loro avevano fatto anche la notte tra il 23 e il 24 di quello stesso mese, quando presero di mira Marco Mennaccini di Vorno, derubandolo con ferocia e riversando poi atti di sfrenato libertinaggio su una sua sventurata nipote quindicenne che si trovò casualmente a passare in quella casa. Tra i membri della banda spiccava per prontezza d’ingegno Giuseppe Alessandri, girovago contrabbandiere di generi coloniali, detto Carameo, ma denominato anche Cabala, per i metodi subdoli e cavillosi del suo comportamento. Uomo di piccola statura, sui quarant’anni, egli era astuto e abilissimo nel contraffare la propria fisionomia con diverse singolarissime parrucche. Coetaneo di Cabala, faceva parte della combriccola anche il finto mugnaio Fabiano Bartolomei, detto il figlio di Meo cattivo o la Faina e, dopo il suo ritorno da un viaggio in America, l’Americano. Questi, originario di Villa sopra il Bagno di Corsena, era partito giovanissimo per la Spagna con una «compagnia di figuristi in gesso»; ma si diceva che dallo smercio delle figurine fosse passato ben presto a fare razzie nei mari di Levante, che avesse vogato alla trireme, e ancora in una barca destinata all’infame traffico della carne

umana, e che in Corsica si fosse macchiato di altri terribili delitti. Fra i restanti gregari si contavano Natale Giusti, imbianchino e doratore; il possidente agricoltore Francesco Prosperi dei Monti di Villa a Riolo e suo figlio Demetrio, trentacinquenne dall’irriverente riso sardonico, detto il Rosso o il Rossino; Pietro Giuliani, quarantaseienne dai modi rozzi e volgari, detto Buero; Giovanni Nardi, trentaquattrenne di bell’aspetto, fanatico simulatore di fede cristiana, detto l’Abataccio di Cocilia perché in anni giovanili si era un po’ infarinato di seminario e di “belle lettere”; e, in fine, l’astuto Vecchio della Montagna, il contumace Tommaso Bartolomei dei Monti di Villa, settuagenario detto anche Barbanera, eccellente maestro nell’arte del furto. Al terrore e alla violenza che essi spargevano per quelle contrade, contrastava alle volte l’esiguità del bottino arraffato: qual-

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che scudo, qualche orologio d’oro o d’argento, tabacco, mezzi sigari, ceri da chiesa, fibbie da scarpe, matasse di seta, cioccolata, formaggio pecorino, camicie da donna, lenzuola, tovaglie, salviette… La vicenda narrata è una delle più dolorose e controverse nella storia della Giustizia lucchese: le anime malnate, eccetto Francesco Prosperi poi assolto e Natale Giusti (il doratore), graziato in virtù di una «monomania chimerica orgogliosa», che ne ridusse il castigo alla gogna e poi al bagno di Viareggio, furono condannate alla pena capitale sotto una mannaia inviata nell’occasione ad affilare a Pisa e quindi affidata a un carnefice proveniente da Parma.1 Un foglio con le Fisionomie di sette inquisiti, finemente disegnate da Francesco Boggi e rappresentate in una successione di mezzibusti disposti su un palchetto a due piani, come fos-


sero maschere di un dramma teatrale, fu stampato in litografia per i torchi del pittore lucchese Giuseppe Bertini, autore in quegli anni di volti di soavi Madonne. Un contemporaneo ricorda come la pronunciata sentenza procurasse grande agitazione in tanti cuori pietosi, propensi a considerarla decisione più crudele che giusta, tanto che: «in tutta Lucca non fu possibile trovare chi aiutasse il boia nella montatura della ghigliottina. Furon fatte pratiche a Pescia presso un certo Tuci, capo-birro del bargello, il quale capitanò alcuni disgraziati colla lusinga di una larga ricompensa». Tra quanti la mattina del 28 luglio 1845 si trovarono a migliaia sul prato della Porta in San Donato ad assistere all’esecuzione vi furono anche diversi pesciatini, i quali riconobbero i compaesani che si erano prestati a quell’indegno lavoro, e fu tutt’una: il giorno appresso «furon poste le loro abitazioni a sacco e fuoco; una vera e propria rivoluzione! Quel Tuci architetto di tanta vergogna cittadina, scampò la vita per miracolo». 2 A Vorno, paese addossato su uno sprone settentrionale del Monte Pisano, scenario della vile impresa ricordata all’inizio, vivevano pure Francesco e Filippo Francesconi, due fratelli di

gentile aspetto quanto ladri scellerati, complici se non addirittura ispiratori dei misfatti dei sette inquisiti, i quali in quella circostanza sfuggirono alla mannaia in virtù della segreta delazione da essi compiuta a danno dei loro compari. Ancora a Vorno, nell’antica pieve paesana, appeso lungo la parete della navata sinistra, quasi ad accompagnare le stazioni della Via Crucis, dipinte da Jacopo Antonio Citti (cugino e allievo dell’eccellente Bernardino Nocchi), si trova un ex voto, ove credo si rappresenti uno fra i primi crimini compiuti dai sette malviventi, o almeno da alcuni di loro e da altri simili bricconi. Quel lavoro, realizzato a vivaci colori e con appassionata minuzia di particolari dal poco noto Eusebio Puccioni,3 ci appare come un minuscolo e desolato palco di pupi in confronto alla solennità dell’Assunta dipinta nel 1795 dal suo primo maestro Stefano Tofanelli, campeggiante a poca distanza al centro della parete absidale della stessa chiesa.4 Nella fascia in alto di quel prospettico «bozzo» (come, semplicemente lo definisce il Puccioni, apponendovi la firma), sovrammessa a una precedente iscrizione – che ci lascia sospesi sull’esistenza di qualche pentimento o segreto particolare negatoci alla vista – si trova memoria di una grazia ricevuta il 23 dicembre 1833, quando, alla vigilia di Natale, otto banditi violarono sul far della notte il domicilio di una pacifica famigliola di quei luoghi montani. Nelle fisionomie dei banditi rappresentati nella scena concitata del nostro ex voto credo di riconoscere i tratti di alcuni volti di coloro che troveremo fra i sette inquisiti (come quelli di Cabala, dell’Abataccio o di Buero), riprodotti nella ricordata litografia del Bertini e in una simile, coeva stampa calcografica. Ma forse sarà una mia fantasiosa suggestione che lascio semplicemente stimare all’occhio e alla curiosità del gentile lettore. Ecco che nell’umile, linda cucina due ceffi barbuti minacciano con schioppo e pugnale una mamma seduta con i suoi due bambini presso un sonnolento camino. La povera donna, con il piccolino al seno e la fanciullina a fianco è sbiancata in volto e non sa proferir parola, certo si vuol saper da lei dove son nascosti gioielli e denari. Intanto gli altri manigoldi, dopo aver malmenato e steso a terra i tre uomini di casa legando loro mani e piedi, rovistano a lume di candela in un baule, e ancora abbrancano qualcosa fra i piani di una dispensa. In alto, sul bordo della medesima dispensa, oltre a un vaso di coccio e a un paniere, vedi un’agile figurina di gesso, che diresti della progenie di

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quelle formate da Giocondo Molinari e dagli altri maestri figurinai di Coreglia Antelminelli. Questa pare avanzare in equilibrio lungo l’aggettante cornice. Forse rappresenta un apotropaico viandante, o forse incarna san Pellegrino, oppure san Giacomo Maggiore, antico testimone della Trasfigurazione del Signore, ora in perpetuo cammino da Vorno sulla via di Compostela. Rischiarati dalla tremolante fiammella di un lucernino, sono assieme a quel misterioso viandante, quali silenti spettatori, il Crocifisso e un quadretto con la Madonna e Gesù Bambino, appesi nella parete di fondo della cucina messa a soqquadro. Non sappiamo quali altre violenze si perpetrassero sotto gli occhi di codeste sacre icone, e l’ingenuo ex voto del Puccioni certo non può dircelo, però s’intuisce che, se non la roba, nel corso di quella terribile notte in attesa della nascita del Salvatore furono risparmiate per miracolo almeno le vite di quel domestico focolare.

(Endnotes) 1 Vedi Cenni storici, biografici e giudiziarj intorno una banda di malfattori tradotti innanzi la Regia Ruota Criminale di Lucca all’udienza del 22 aprile 1845, condannata alla pena di morte…, Bastia, dalla tipografia di G. Fabiani, 1845. 2 S. Ricciarelli, Storia artistica della Valdinievole e note umoristiche, I, Pescia, Cipriani, 1911, p. 305. Vedi anche C. Sardi, Lucca e il suo Ducato dal 1814 al 1859, Firenze, Ufficio della «Rassegna Nazionale», 1912, pp. 157, 193-201. 3 Nato nel quartiere di Sant’Anna nel suburbio di Lucca nel 1792, pare che studiasse la pittura alla scuola di Stefano Tofanelli, poi sotto Pietro Nocchi e Raffaele Giovannetti. Ricorda N. Cerù che «meglio che per cose originali si distinse nel restaurare molti quadri con maniera, e molto rispettoso per gli autori. In questo ramo d’arte ebbe per maestro il prof. Nardi [Luigi] fiorentino, che stette molto a Lucca per restauro di diversi quadri», cfr. Archivio di Stato di Lucca, Belle Arti in Lucca dal 753 al presente. Compendio Biografico dei pittori e scultori lucchesi compilato dal Dott. Nicolao Cerù e terminato il 1893, ms., Legato Cerù, 193, ad vocem. 4 G. Lera, L’“Assunta” di Stefano Tofanelli ed altri pregevoli dipinti della pieve di Vorno (Lucca), in «Arte Cristiana», LXVII, 67, 1979, pp. 139-144.


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ALBA GONZALES MITI MEDITERRANEI

Ada Neri

Palermo, Fondazione Giuseppe Whitaker 25 maggio 2018 30 settembre 2018

Due sculture di Alba Gonzales nel parco di Villa Malfitano Whiteker a Palermo Sotto il suo manto La Centaura di Ares

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omana di nascita, fra genitori e nonni la nota scultrice raduna in sé origini siciliane, greche, spagnole e francesi, con un cosmopolitismo mediterraneo che spiega per alcuni aspetti il patrimonio mitico e mitologico che dà linfa alle sue opere, sotto il segno di un culto sensuale della forma e del corpo umano. Proprio per queste radici così legate al Mare nostrum, l’approdo delle sculture di Alba Gonzales a Palermo, città “meticcia” per eccellenza, moltiplica gli echi epici ed evocativi delle sue opere, ulteriormente arricchiti dalla sede scelta per la mostra, quella Villa Malfitano Whitaker nata per volontà di un illustre esponente (Giuseppe Whitaker) della comunità anglopalermitana di fine ‘800 e ricca di tesori giunti dalle culture più diverse e lontane. «Alba Gonzales appartiene alla schiera sempre più ristretta di scultori nell’autentico senso del termine e in particolare spicca per l’aspirazione a dire tutto, interamente e senza filtri intellettualistici, attraverso la forma che è per lei, essenzialmente, forma del corpo

umano inteso come tempio dell’anima, nei suoi aspetti negativi e positivi, destinati a convivere indissolubilmente. Di fronte ad una società votata alla ricerca dello stordimento ed anestetizzata dai social network, la Gonzales, manifestando un intenso impegno etico, forza volutamente i toni delle tematiche scelte (l’avidità, l’ossessione per il sesso e il potere, la vanità, il

“Amori e Miti”, tutt’ora in divenire, con l’emersione progressiva di una figurazione più chiaramente articolata e riconoscibile, di natura metamorfica, a sua volta riconducibile ad una rinnovata riflessione sulla cultura e sulle civiltà mediterranee. Contemporaneamente, un altro tema sollecita la ricerca scultorea di Alba Gonzales nella sua aspirazione ad affrontare la condizione esistenziale

dominio del narcisismo e dell’apparire, la furia bellicista, ecc.), li rende icastici, teatrali e quasi iperbolici, portando al tempo stesso avanti la necessità di non cancellare la memoria e i mille fili che ci legano al focolare del passato, da tenere sempre acceso.» Così la definisce il curatore della mostra. Superata la fase prettamente formativa, il percorso creativo di Alba Gonzales si è articolato, sostanzialmente, in due grandi fasi. Fino al 1986 l’artista ha privilegiato la dialettica della struttura con figurazioni antropomorfiche che sondano in modo originale il senso del mito arcaico e del meccanicismo moderno. Successivamente, nelle sue opere, si afferma con forza il tema

dell’uomo: “Sfingi e Chimere”, ovvero la componente bestiale dell’animo umano, in un’evidente drammatizzazione e teatralizzazione della sua figurazione fantastica con forti componenti erotico-oniriche. Nel 1989 Alba e suo marito fondano il Museo Pianeta Azzurro, aprendo la loro villa sul Lungomare di Ponente a Fregene e trasformandola, in parte, in un museo di scultura contemporanea con opere disseminate all’interno della costruzione e nell’ampio giardino. Per l’occasione verrà realizzato da Raffaele Simongini un documentario dedicato all’artista che sarà proiettato in mostra la sera dell’inaugurazione e durante tutta la durata dell’esposizione.

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Riccardo Luchini a casaconcia

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anneries, dell’artista versiliese Riccardo Luchini, è una narrazione artistica del mondo della conceria. Un mondo sconosciuto per l’artista, ma che ha saputo raccontare con maestria e naturalezza, grazie alla sua capacità di entrare immediatamente in contatto ed in empatia con la realtà e gli spazi che lo circondano. Una serata inaugurale, quella del 5 maggio scorso, che ha visto la presenza di un pubblico numeroso, tra cui il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini e l’assessore al Bilancio Gianluca Bertini. Un segnale evidente di come le attività culturali e gli eventi organizzati all’interno degli spazi del Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale stiano suscitando interesse anche nelle istituzioni pubbliche locali. La mostra Tanneries. E la pittura di Luchini. Un’immersione nel mondo delle concerie, una trasposizione su tela di

sensazioni, emozioni, ma anche di una solitudine che emerge con forza dirompente. Dipinti che sembrano rappresentare e raccontare spazi abbandonati e dismessi ma che in realtà sono reali e vissuti anche se l’uomo non viene mai rappresentato, nonostante ne sia parte integrante in quanto artefice della concia delle pelli. Un’esposizione realizzata dunque in modo site specific, ovvero addentrandosi nei luoghi, vivendoli in prima persona e cogliendone persino gli aspetti emotivi più nascosti e segreti. Al centro delle sue opere, stavolta, non ci sono treni, scali ferroviari o porti, come nel recente passato, ma bottali e interni di concerie con i loro macchinari, fermi o in movimento: «Atmosfere evanescenti, dalle morbide vaporosità e dalle vibrazioni fumose che rendono suggestive le sue rappresentazioni pittoriche con un inconfondibile tratto

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dalla pennellata veloce, incisiva, sicura. A far da sfondo quegli angoli particolari che sono prima scrutati e indagati dall’artista e successivamente intensamente tratteggiati attraverso svariate tonalità di grigio e marrone, per dar vita a quei toni freddi che lasciano spazio a pochi ma determinanti innesti di colore: un quasi vivido di azzurro, di blu o di rosso, per arrivare a tocchi di luce utilizzando il bianco», secondo le parole di Filippo Lotti, curatore della mostra. Le altre mostre in programma. Il progetto culturale di casaconcia prosegue nella sua missione di creazione di un contesto strutturale in cui la cultura ed il saper fare toscano possano essere rappresentati e veicolati nel mondo. Per quest’anno sono in programma altre due mostre: a Settembre sarà ospite Antonio Bobò, pittore e incisore che reinterpreterà in chiave contemporanea alcuni schemi dell’arte classica e tradizionale. A chiudere l’anno ci sarà la mostra di Cesare Borsacchi, artista conosciuto a livello internazionale per la tecnica dell’acquaforte e della litografia, oltre che per la sua attività pittorica.

Alessandro Bruschi

Il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini insieme all’artista e a Filippo Lotti

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Solaris

un nuovo volo alla Fondazione Franco Zeffirelli Giampaolo Russo

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i inaugura a Firenze nella suggestiva Sala della Musica del Complesso di San Firenze la mostra Un nuovo volo su Solaris, promossa dal Museo Anatolij Zverev di Mosca (Museo AZ) e dalla Fondazione Franco Zeffirelli e ispirata al film del regista Andrej Tarkovskit dei primi anni Settanta del Novecento. L’esposizione propone un grande connubio tra il capolavoro del grande regista russo e alcune opere pittoriche, grafiche e scultoree degli artisti anticonformisti russi provenienti dalla collezione del Museo AZ e dalla collezione privata di Natalia Opaleva, direttore generale del museo moscovita nonché produttrice della mostra. Un nuovo volo su Solaris costituisce il finale della trilogia di esposizioni le cui

prime due parti, ispirate rispettivamente ai film di Tarkovskij Stalker e Andrej Rublev, sono state presentate nel Museo AZ di Mosca nel 2016 e nel 2017. Nel film Solaris (1972) di Andrej Tarkovskij erano stati messi insieme una serie di modelli esemplari dell’arte mondiale, di oggetti creati sulla Terra e selezionati dal regista per rivivere su un altro pianeta. Il progetto espositivo propone una selezione di opere d’arte afferenti a un patrimonio congeniale a Andrej Tarkovskij: si tratta infatti di lavori dei suoi contemporanei, i maestri dell’underground sovietico attivi tra gli anni ’60 e gli anni ’80 del Novecento. Avvalendosi dell’idea del regista come procedimento formale foriero di significati profondi, la curatrice del progetto Polina

Complesso di San Firenze, allestimento nella Sala della Musica

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Lobačevskaja sceglie di collocare nelle sale del complesso barocco di Palazzo San Firenze un’installazione futuristica che ricorda una stazione spaziale, dotata di 22 schermi per la proiezione di video che saranno composti da materiali fotografici e cinematografici unici legati all’opera di Andrej Tarkovskij. Nella stessa sala sono collocate ben 32 opere di artisti russi della seconda metà del Novecento: Anatolij Zverev, Francisco Infante, Dmitrij Plavinskij, Dmitrij Krasnopevcev, Vladimir Jankilevskij, Vladimir Jakovlev, Lidija Masterkova, Petr Belenok, Ulo Sooster, Vladimir Nemuchin, Ernst Neizvestnyj, e due sculture. Il ventennio 1960-1980, periodo in cui Tarkovskij ha girato i suoi film, la Russia è stata segnata anche dalla nascita dell’arte non


ufficiale. Senza dubbio si è trattato di una sorta di “Rinascimento sovietico”, di una nuova fioritura della pittura, della grafica, della scultura d’avanguardia. Gli artisti attivi negli anni ’60 non erano uniti tra loro, o con i rappresentanti di altre forme creative, tramite manifesti comuni: ognuno di loro creava a modo proprio, in maniera originale ed irripetibile. «La scelta della Fondazione Zeffirelli come partner del Museo AZ per la realizzazione del progetto Un nuovo volo su Solaris non è casuale - dice Natalia Opaleva – poiché Franco Zeffirelli, una vera e propria leggenda dell’arte mondiale, è nato a Firenze; Andrej Tarkovskij, regista russo noto in tutto il mondo, è vissuto a Firenze dopo aver lasciato l’Unione Sovietica. E l’Italia è collegata a momenti cruciali della biografia di Tarkovskij, come il conferimento del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia per L’infanzia di Ivan, o la sceneggiatura e le riprese del film Nostalghia portate avanti insieme a Tonino Guerra.» «L’amore di Franco Zeffirelli per la cultura russa è da sempre molto profondo – aggiunge Pippo Zeffirelli,vicepresidente dell’omonima Fondazione –. Uno dei suoi primi lavori fu realizzare le scene delle Tre Sorelle di Cechov nel 1952. Più tardi ha portato diverse delle sue produzioni in tournée in Russia, dalla Lupa con Anna Magnani alla sua spettacolare messa in scena del Romeo e Giulietta con Giancarlo Giannini e Annamaria Guarnieri, riscuotendo un enorme

successo di pubblico. Nel 1968 la distribuzione del film Romeo e Giulietta, come nel resto del mondo, toccò il cuore di tutti i giovani russi. I suoi film sono sempre stati apprezzati dal pubblico russo e la mostra dei suoi lavori scenografici esposti al Museo Pushkin di Mosca riscosse un enorme successo. Quindi è con grande piacere che la Fondazione Zeffirelli accoglie nei suoi spazi una così prestigiosa istallazione ispirata al film di Andrej Tarkovskij Solaris, prodotta e patrocinata dalla direttrice del museo moscovita. Ci auguriamo – conclude - che tutto questo possa dare adito a un sodalizio di interscambio artistico e culturale tra la

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Fondazione Zeffirelli e il Museo AZ di Mosca». All’inaugurazione, oltre a una numerosa delegazione proveniente dalla Russia, erano presenti l'attore Massimo Ghini, Ermanno Daelli e Toni Scervino, Cecilie Hollberg, Simonetta Brandolini d'Adda, il marchese Bernardo Gondi, Presidente dell'Associazione dimore storiche italiane.

Staff Pippo Zeffirelli, Natalia Opaleva e Massimo Ghini Ermanno Daelli, Toni Scervino e Pippo Zeffirelli Polina Lobačevskaja, Natalia Opaleva


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Somnium

il libro del viaggio di Tonelli nel sonno-sogno del vino Alex Paladini

Il cancello armonico, all’entrata della Cantina La Regola, è l’ultima opera in esterno realizzata da Stefano Tonelli (maggio 2018)

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el 2016 Stefano Tonelli realizzava l’opera sua murale sinora di maggior estensione: 46 metri lineari per 4 di altezza di pittura aerea e sognante, eseguita sulle pareti della “barricaia” della Cantina La Regola, a Riparbella nel Pisano, la terra dal cuore etrusco dove sono le vigne della casa vinicola e nelle cui prossimità, a Montescudaio, l’artista stesso è nato e vive. La barricaia è l’ampio salone immerso nella semioscurità, dove accolto nelle botticelle, il vino compie il suo viaggio di metamorfosi e maturazione delle sue più sottese qualità. Tonelli ha chiamato “Somnium” il suo viaggio visionario nel viaggio sommerso del vino. L’idea è nata dunque dal “sogno del vino”, dalla sua “gestazione”. Lo suggerisce egli stesso, precisando di aver lavorato «con colla, cenere e colori acrilici mischiati con leganti per garantire una maggior resistenza sulle superfici» alle immaginifiche figure e pittogrammi e segni della sua «danza cosmica, viva, vibrante, allegra, fecondatrice.» Ancora le sue parole: «È un omaggio, antico e contemporaneo, agli Etruschi che hanno abitato questi luoghi, questa valle, questa pace del paesaggio. Come loro ci hanno raccontato molto della loro idea della morte, io ho disegnato la mia idea dell’altrove in un fluire continuo di figure che, pur attraversando stadi di vite diverse, continuano la vita negando il finito. Nell’infinito. Il lavoro è iniziato a maggio quando la vite si manifestava nella sua verde bellezza e si è concluso a settembre, con la vendemmia, dove la vite, donando il suo frutto, si trasforma in mosto prima e nettare di vino dopo. In un ciclo e in un tempo mai casuale.» Il “Somnium” di Stefano Tonelli è

ora diventato un libro appena uscito presso Bandecchi & Vivaldi, a cura dello storico dell’arte Luca Nannipieri, prefazione di Flavio e Luca Nuti titolari de La Regola, introduzione del critico Fabio Canessa, foto di Bernardeschi, Bondani, D’Angiolo, Gamberucci, Marinari, Mollo, E.F. Mulas, M. Mulas, Pagliuca, Parrini, Rossini e Toscani. Con il suo ampio e penetrante saggio e la meritoria documentazione visiva, nella prima parte del volume Luca Nannipieri introduce naturalmente alle suggestioni e ai misteri di “Somnium”, analizzando il carattere di fondo dell’arte di Tonelli e cogliendo i sensi dell’atmosfera sommersa e silente nella quale si manifestano, e paiono fluttuare nello spazio più che sulla superficie delle pareti, le favoleggiate figure in viaggio cosmico. Nella seconda parte, cui non a caso fa da raccordo con la prima il suo saggio, appunto, Nannipieri ripercorre storiograficamente un aspetto, sinora mai rappresentato nella sua comples-

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sità e compiutezza, della ricerca ormai quarantennale di Tonelli: quella relativa alle « ... opere, performance, installazioni pensate per occupare spazi pubblici o privati in sede permanente o transitoria». Così scrive il critico, che conclude: «fin dagli anni Settanta, infatti, Tonelli si è caratterizzato non come un pittore da cavalletto, ma come un trasformatore assolutamente versatile di oggetti e spazi pubblici. Le sue opere non arredano un ambiente: lo trasformano, lo ricreano, lo rigenerano.» Il bel volume è stato presentato il 16 giugno presso la casa vinicola, presenti l’autore, i prefatori e l’artista. Nell’occasione, si è potuto ammirare la seconda ampia sua opera appena terminata, questa volta in esterno: il “Cancello armonico” – cancello e pareti laterali – di accesso alla Cantina La Regola, musicale “partitura” di segni e note nella quale l’equilibrio è dato da una sottilissima armonia tra il bianco delle pareti, le forme circolari e le loro cromie.


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presenze nell’arte contemporanea emergenti del XXI secolo e maestri del XX secolo

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en 130 opere d'arte contemporanea, tra dipinti e sculture, sono state raccolte e proposte dalla NAG Art Gallery di Pietrasanta nel Salone Donatello della Basilica di San Lorenzo, a Firenze. Si tratta di una rassegna di respiro realmente internazionale, con artisti che provenendo da Brasile, Francia, Inghilterra, Italia, Messico, Romania, Serbia, Siria, Turchia, Ucraina e Usa, hanno esposto dal 2 al 24 giugno nei luoghi che un tempo diedero sepoltura a grandi personaggi della Firenze rinascimentale. Fra i tanti, lo scultore Donatello e Cosimo de’ Medici, ricordato come pater patriae, che lo volle sepolto accanto a sé. Anche in considerazione del valore storico del luogo espositivo, agli artisti del XXI secolo in questa esposizione internazionale è stato richiesto di mostrare con una o più opere la propria concezione dell’arte, una selezione hic et nunc della propria poetica artistica sapendo che sarebbero stati accostati nella cripta della Basilica di San Lorenzo, ad alcuni dei maestri del XX secolo: Annigoni, Carrà, Guttuso, Rosai, Sironi. Scrive Adolfo Lippi, curatore della rassegna: «Si ha un esaustivo catalogo di diversità a far vedere quanti e quali siano i richiami che ispirano gli artisti di oggi. Si va dalle solite figure, uomini, paesaggi, nature morte, disegnati, scolpiti, in varie maniere, alle schizzate fantasie dell’astratto. Merita richiamare personalità quali Sauro Cavallini, Raffaella Robustelli, Lorenzo D’Andrea, Roberto Bricalli, Sylvia Loew, Cecilia Birsa, dai quali la figura, o con sculture o disegni e pitture, esce determinata, forte, museale, riconoscibile, più che progetto vero e proprio oggetto fruibile e

narrante l’uomo nelle sue vicende materiali o spirituali. «Poi, con altri, si accede semmai ad una produzione sperimentale, a tentativi di ricerca. Si espongono opere di Yasmina Barbet, Ana Farid, Anca Stefanescu, Sebnem Akyldiz, Esin Cakir, Ozlem Baser, Dulce Luna, Luisella Traversi Guerra, Enrico Mantovani, Sarah Danays, Alessandra Binini, John Shelton, It Mondo, Natalia Ohar, Helen Abbas dove gli autori tentano varie imprese, dal collage alla grafica, dalla terracotta al filo di ferro, mostrando quanto sia stata e sia vivacissima la creatività ed il divertissement, la provocazione e la voglia al proprio gusto privato. Facendo arte senza fare filosofia o religione, come, servilmente, l’arte per tante epoche fece. «Per ciò che riguarda l’astratto, cioè l’uso del colore per il colore, meritano attenzione i lavori di Caterina Ruggeri che usa gesso e pigmenti

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su tela, Arnaldo Marini, paesaggista incantato e sognante, Lorenzo D’Angiolo, sensibilissimo ai giochi di luce, Mladen Karan, espressionista magico, Federico Montaresi, che coniuga arte a scoperte della fisica. Di fronte alle più spericolate esibizioni dell’arte contemporanea, che oramai sconfina nel teatro, nella danza, nel cinema, gli autori che qui mostrano le loro fruttate esperienze, si mantengono, castamente, al di qua dell’evento scandaloso. «Seguono i maestri che nel Novecento resistettero alla distruzione dell’arte figurativa. E allora sono tutti pertinenti al richiamo di Carrà, Sironi, Rosai, Guttuso, Annigoni, che mai abbandonarono le gloriose testimonianze del genio rinascimentale, toscano e umbro, geni che si mantennero tutti, anche per ragioni di committenza, dentro schemi del finito. Cioè dell’utile ai bisogni della civiltà umana.»

Margherita Casazza

La sala dedicata a Lorenzo D'Angiolo

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L’arte in italia

COLLEZIONE ROBERTO CASAMONTI

JOSEF AND ANNI ALBERS

CONVITI E BANCHETTI

25 marzo 2018 10 MARZO 2019

6 aprile 2018 4 luglio 2018

30 marzo 2018 6 gennaio 2019

FIRENZE

SIENA

FIRENZE

Palazzo Bartolini Salimbeni

Santa Maria della Scala

Museo Stibbert

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0 anni di ricerca nel museo ospitato a Palazzo Bartolini Salimbeni, storico scrigno custodente arte moderna-contemporanea da oscar, omaggio di Roberto Casamonti ai fiorentini ed estimatori. Assolutamente gratuita, la visita permette una strepitosa carrellata tra pregevoli dipinti e sculture a partire dal XIX secolo: Fattori, Boldini, Balla, Sironi, Morandi, De Chirico, Savinio, Casorati, Picasso, Klee, Chagall, Ernst, Kandinsky, Burri, Klein, Fontana, Lo Savio rappresentano alcuni nomi stellati custoditi nei magnifici saloni rinascimentali. Insomma, un mecenate lungimirante si erge a sensibile magister dell’arte odierna, veicolo educativo per animo, intelletto, modus vivendi. Diretto da Sonia Zampini, il nuovo museo ospiterà mostre ed eventi multidisciplinari, finalizzati al dialogo tra diverse sfaccettature caratterizzanti la variegata cultura odierna.

ntegrazione per non vedenti è il messaggio culturale della nuova mostra senese, che annovera un percorso tattile rispettabilissimo grazie a creazioni supportate da tecnologie capaci di trasmettere suggestioni palpabili ma anche uditive per i normovedenti. Chiamato Voyage Inside a Blind Experience, il progetto amplifica abilità percettive e sensibilità partecipativa verso le opere esposte. Artisti squisiti formatisi alla Bauhaus, Anni Albers plasma di astrattismo artistico stoffe ideate su telaio, mentre Josef Albers esterna le potenzialità dei materiali adoperati. Entrambi condividono il linguaggio universale insito nel piacere visivo e tattile di un’opera, così riproduzioni in resina degli originali, tutti presenti in Santa Maria della Scala, ed una interessante sperimentazione del colore descritta dagli Albers fanno da testimoni all’encomiabile iniziativa.

’arte della tavola imbandita ha nomea secolare e rappresenta spesso una manifestazione celebrativa di festosità. Tra Rinascimento e Ottocento, il banchetto rafforza il suo carattere socio-culturale, ostentato attraverso impianti creativi sinonimo di gusto, stile, status symbol. La mostra fiorentina vanta ricostruzioni sceniche abbellite da oggettistica squisita, disposte secondo il rigido cerimoniale nobiliare, ripercorrenti l’evoluzione del design e decorazioni, dalle credenze rinascimentali ospitanti preziose ceramiche alle barocche sculture in zucchero, dagli apparati francesi settecenteschi agli argenti, cristalli, porcellane del XIX secolo, tra cui spiccano raffinati piatti ordinati dai Savoia alla Manifattura Ginori e i servizi usati da Federico Stibbert. Decorazioni floreali lavorate a mo’ di ghirlande impreziosiscono tovaglie cucite a mano.

Natura in Valdinievole: le gemme del Padule di Fucecchio e del Montalbano 24 marzo - 9 settembre Monsummano Terme (Pistoia)

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a mostra è costituita da trenta immagini di grande formato di Gino Santini e Paolo Caciagli che mostrano le “gemme” del Padule di Fucecchio e del Montalbano: gli uccelli della palude ed i fiori più caratteristici delle colline. Le fotografie saranno accompagnate da un breve testo divulgativo che ne consentirà la fruizione da parte delle classi scolastiche, oltre che dei numerosi turisti attesi per la terza edizione dell’Open Week della Valdinievole. La mostra, ad ingresso gratuito, è realizzata nell’ambito del progetto “Natura & Cultura – Ambiente, storia e tradizioni del Padule di Fucecchio e dintorni” finanziato dalla Fondazione CARIPT sul bando 2017 “Eventi e attività culturali” con il cofinanziamento del Comune di Monsummano Terme.

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Museo della Città e del Territorio

Carmelo De Luca

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STEVE McCURRY ICONS 13 giugno 2018 settembre 2018 FIRENZE Villa Bardini

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© Steve McCurry

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iuscito omaggio al grande fotografo contemporaneo, la mostra rappresenta un variopinto panorama sul mondo immortalato attraverso artistici scatti di sofferenza, guerra, gioia, meraviglia,

poesia, humour. Cento opere raccontano una produzione artistica decisamente suggestiva, itinerario allegorico tra suggestioni ed esperienze acquisite negli innumerevoli viaggi di McCurry. Curiosità innata e meraviglia sul creato intero animano scatti plasmati da linguaggi culturali bypassanti confini convenzionali, attraverso i quali l’artista cattura storie dell’esperienza umana. Come non rimanere basiti dinnanzi agli arcinoti reportage fotografici sulla guerra, mostrandone conseguenze sul paesaggio e sulle persone, dei quali McCurry coglie la disarmante dimensione umana. In effetti, le sue originali creazioni discernono anima ed esperienza individuale impresse nei volti delle persone incontrate durante le innumerevoli peregrinazioni, trasmettendone bellezza, sentimento, sorpresa, pathos, testimoniati dall’arcinota Ragazza Afgana dalla struggente carica emotiva. L’artista americano sa come guardare il nostro tempo e le opere presenti presso Villa Bardini testimoniano un mondo vocato al cambiamento tra dignitosa fierezza umana e sentimenti universali.

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innovatore degli schemi compositivi tradizionali, Pontormo rappresenta per l’epoca uno sperimentatore rivoluzionario e anticlassicista. Pittore controcorrente, abbandona il fulcro centrale della tradizione italiana, prediligendo composizioni dagli inusuali colori accesi, affollando la scena di gruppi compositivi aventi pari dignità grazie alle particolarità posturali dei suoi personaggi, come dimostrano celebri cartoni preparatori. In mostra disegni relativi alla maturità del pittore ed i corrispondenti dipinti. Ospite d’onore, l’Alabardiere rivaleggia insieme al bozzetto degli Uffizi. Una inquadratura stretta rende il ragazzo statuario, elegantissimo nell’abbigliamento ingentilito da camicia a sbuffo, collana, cappello con piuma impreziosita da gemma, la cui perizia pittorica ne esalta i particolari. In esposizione anche il Ritratto di Carlo Neroni e la Visitazione carmignanese, nota per gli sguardi intensi delle sante donne e da spettatrici senza slancio emotivo, quasi ad ossequiare l’emotività partecipativa della Madonna e Santa Elisabetta.


ARTE E MAGIA 29 Settembre 2018 27 Gennaio 2019 Rovigo Palazzo Revorella

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a mostra rodigina ripercorre magistralmente rapporti tra esoterismo, in voga a fine ottocento, e arti figurative internazionali che spaziano dal Simbolismo alle

LIVORNO Museo della Città

di Silvia Pierini

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i è inaugurato a Livorno il Museo della Città, un ampio percorso espositivo che, attraverso opere d’arte, fotografie ma anche cimeli e reperti archeologici selezionati dalla collezioni cittadine, racconta l’evoluzione storica e culturale della città. Si tratta infatti di un vero e propio "museo nel museo" perché il nuovo percorso espositivo trova spazio nell’antico edificio dei Bottini dell’Olio nel cuore del quartiere storico de La Venezia; un grande deposito oleario del ‘700 voluto da

avanguardie post primo conflitto mondiale. Immagini, miti, allegorie plasmano una Europa in pieno fermento simbolista, condizionata da dottrine esoteriche influenzanti la stessa letteratura, mentre Ermetismo, ottica, studio del colore ne amplificano i contenuti con le successive evoluzioni artistiche del Bauhaus e Astrattismo, spesso, impregnate da venature occulte. Le sale espositive ripercorrono questi straordinari movimenti attraverso nomi rispettabili della pittura, ne sono testimoni Odilon Redon, Wassily Kandinsky, Auguste Rodin, Edvard Munch, Fidus, Ernesto Basile, Paul Klee, Gaetano Previati, Giacomo Balla, Frantisek Kupka. Religioni orientali e scritti ermetici creano un binario parallelo alla cultura ufficiale cristiana, nel quale si rispecchiano letterati, giornalisti, pittori, che la mostra racconta egregiamente attraverso 7 sezioni iconografiche spazianti dal diavolo agli animali notturni. Volumi e incisioni specialistiche, annoveranti un prezioso incunabolo rinascimentale, completano il riuscito panorama espositivo dedicato ad un prolifico periodo nella cultura tra XIX e XX secolo. Cosimo III con ampi ambienti e volte a crociera, un tempo adibiti alla conservazione dell’olio. È qui che attraverso oggetti, immagini, installazioni e supporti multimediali si può ripercorrere la storia di Livorno in un suggestivo viaggio nel tempo per recuperarne la memoria antica. Ma non è tutto. Il Museo delle Collezioni Cittadine, al piano terra del complesso dei Bottini dell’Olio, contiene una scelta di opere d’arte, fotografie, cimeli che fanno parte delle collezioni cittadine livornesi. Attraverso oggetti, immagini, supporti multimediali, viene raccontata la storia urbanistica, sociale, religiosa, culturale, artistica e di costume, della città dai suoi albori fino all’epoca attuale. Il visitatore troverà inoltre una sezione di arte contemporanea in quanto gli interni barocchi della chiesa sconsacrata del Luogo Pio ospitano una selezione di opere tra le più significative della collezione civica di Livorno. Fra queste il Grande Rettile di Pino Pascali, La corsa di Alma di Emilio Isgrò e opere di altri nomi importanti del Novecento quali Nigro, Manzoni, Tancredi Parmeggiani, Trafeli, Uncini, Castellani e altri.

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Pisa

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visita al Camposanto Monumentale di Piazza dei Miracoli Paola Ircani Menichini

La sepoltura e il busto di Antonio Felice Mattei dei Minori Conventuali.

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ntrando nel Camposanto monumentale di Pisa, il visitatore ammira fin da subito l’imponenza dell’edificio e ha la sensazione di esser come sospeso in un ambiente “strano”, per nulla familiare, quasi fosse capitato nell’universo parallelo di cui narrano oggi i film di fantascienza, metafora per eccellenza di ciò che non si comprende e ci affascina. La seconda cosa che il visitatore avverte è la polvere e recepisce l’impressione che tutto quello che è rimasto nel presente ceda facilmente ad una specie di abbandono, o meglio, negligenza. È una sensazione fuori luogo? Probabilmente no. Il visitatore infatti pensa: sono caratteristiche volute, anzi certamente studiate, perché un camposanto (e in più monumentale) è un edificio “serio” e, come tale, deve costituire un monito a comprendere come l’ultimo importante passaggio sia insindacabile e avulso dalle espe-

rienze del mondo. Concorrono alla “dimostrazione” le pitture di Buonamico Buffalmacco del Trionfo della Morte e del Giudizio, che impauriscono i forti guerrieri e le nobildonne ben agghindate lì rappresentati, ma li attirano senza scampo. I visitatori più anziani poi collegano la sensazione al «Memento, homo, quia pulvis es … Ricorda uomo, tu sei polvere …», con cui la Chiesa cattolica il mercoledì delle Ceneri invitava i fedeli a riflettere sulla brevità della vita. Nel Terzo Millennio questo ammonimento sembra essere di poca presa, tanto che si potrebbe pensare in parallelo che pure gli evoluti anni Dieci abbiano i loro guerrieri e nobildonne riluttanti a cedere all’inflessibilità del tempo … Finite le considerazioni, inizia la visita. Il camposanto monumentale è un parallelepipedo diviso in quattro ali che ne sono i lati. I sarcofagi antichi sono disposti lungo le pareti e mostrano rilievi con scene di pastori, ninfe, mostri, onde del mare, coppie di sposi o soldati. I pisani vi depositarono i corpi dei cittadini illustri, come in un pantheon. Beatrice di Canossa, marchesa di Toscana, nel 1076 fu tumulata nell’arca più importante, quella del mito di Fedra e Ippolito, con l’iscrizione umile “Quamvis peccatrix sum domna vocata Beatrix” (Anche se peccatrice sono la signora chiamata Beatrice). Poi ci sono i busti-sepolcro dei professori, dei pii ed eruditi sacerdoti, degli artisti. Il pavimento è cosparso di tombe “terragne”, le cui date arrivano fino ai nostri tempi. In queste “camere” mortuarie che sprofondano nel sottosuolo, nei monumenti che vorrebbero toccare il soffitto, nei busti seicenteschi dai capelli ricci e nelle iscrizioni-benemerenze,

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c‘è sempre un qualcosa di dejavu e insieme di sorprendente. Forse perché osservandoli si attraversa la storia d’Italia studiata a scuola. O meglio la si sfiora e si scopre fin da subito che ne sappiamo poco. Chi conosce, per esempio, la biografia di Felice Antonio Mattei dei Minori Conventuali di San Francesco, morto nel 1794, illustre per dottrina e erudizione, professore di teologia scolastica nell’accademia pisana per 35 anni? Sfogliando un testo dei Frati Minori, si apprende che nacque nel 1725 a Fossato di Pistoia e fu affiliato al convento di Pisa. Nel 1760 scrisse De Antonio Massano, opera su un confratello di Massa Marittima amico di letterati e provinciale dell’Ordine; come anonimo fece un commento su una Vita di frate Elia (uno dei primi compagni del Poverello) 1. Tutto qui. Il libro francescano ne traccia in breve la vita e la circoscrive in un ambito che resta un poco stretto per una persona che è onorata di un bel busto nel Camposanto e che, come tante, dovette avere sulla terra una lunga parte di letizia e di affanni, nonché d’infiniti pensieri sul futuro suo e del mondo. Dobbiamo però passare oltre. La visita prosegue. Tra le molte lapidi, ci incuriosisce quella di Elio Diogene della famiglia Sergia, romano liberto (schiavo affrancato), il quale vi fece incidere la memoria sua, della moglie Attia Ionica, della figlia Attia Moschide, e dei liberti suoi discendenti. Proviene da San Piero a Grado (la basilica tra Pisa e il mare), ed è datata forse I sec. d.C. L’Antichità ci sorprende in misura maggiore nell’angolo a destra in fondo per chi entra. Vi sono collocate due lunghe iscrizioni latine conosciute tradizionalmente come i Cenotaphia Pisana, ma in effetti sono decreti approvati dall’or-


Note 1 N. Papini, Etruria Francescana, Siena, 1797, vol. I. p. 16; Miscellanea francescana, vol. 54, pp. 607-608. 2 AAVV, Camposanto Monumentale di Pisa. Le Antichità, Pisa 1977, pp. 76, 84 e ss.

dine dei decurioni (il Senato locale) della colonia di Pisa e per onorare i figli adottivi dell’imperatore Augusto: Lucio e Gaio Cesari. Le tavole furono ritrovate in due luoghi e tempi diversi – quella di Lucio tra il 1603 e 1604 di fronte alla facciata del Duomo in occasione di lavori e l’altra di Gaio nel 1609 nella chiesa della Spina dove, rovesciata, serviva come mensa d’altare. Il testo è lunghissimo. Alcune notizie sono curiose, se non illuminanti sull’epoca. I nipoti di Augusto, figli di Giulia e di Marco Vipsanio Agrippa, nominati Principi della Gioventù, erano morti durante le guerre dello stato. Lucio, nato il 17 a.C., era deceduto a Marsiglia durante il viaggio verso la Spagna. Gaio, nato il 20 a.C., era morto a Limyra in Licia (Turchia meridionale), mentre tentava di tornare a Roma, a seguito di una ferita a tradimento datagli in Armenia durante l’assedio di Artagira (Ingila-Egil). Per Roma e per l’Italia erano stati più che due principi: due speranze deluse nel lutto. Meritavano ogni onore. Quindi, nel foro e nell’augusteo, rispettivamente l’anno 2 d.C., e l’anno 4 d.C. mentre Tito Sta-

tuleno Iunco era primo cittadino della colonia Pisae, si stabilirono i decreti oggi presenti nel Camposanto. Trattavano di sacrifici di animali e di doni pubblici da compiersi agli dei Mani di Lucio il 20 agosto e agli dei Mani di Gaio il 21 febbraio. Quei giorni tutti dovevano indossare gli abiti scuri del lutto, chiudere i templi degli dei immortali, i bagni pubblici, non celebrare pubblici conviti, matrimoni, spettacoli scenici o giochi del circo e per Gaio doveva essere eretto un arco trionfale, ornato con le spoglie dei popoli da lui vinti o ricevuti in sottomissione, con in cima una statua e ai lati due statue equestri dorate di entrambi i fratelli. Forse quest’ultima bella struttura fu usata per il “lusus troiae”, il gioco per la gioventù nobile consistente nell’esibizione di tre truppe di 12 cavalieri, di un condottiero e di due armigeri in parate ed esercizi complicati sul dorso dei cavalli 2. Volentieri immaginiamo i giovani dell’aristocrazia cavalcare sui destrieri e dare dimostrazione di bravura ed eleganza. Presto però anche l’evocazione dai Cenotaphia si attenua. Resta

qualche considerazione sulle poche cose rimaste a noi dell’antica Roma, delle sue tragedie di stato e dei suoi modi di vivere che hanno riecheggiato a lungo e che sono ora solo voci di memoria coperte da altre non sempre gloriose. La visita al Camposanto prosegue. Le quattro ali riservano ancora tante ricchezze da scoprire, ma a lungo andare l’entusiasmo si smorza, non potendo la mente comprendere in poche ore la storia di Pisa – e d’Italia – legata ai sepolcri. Si osservano comunque con interesse le reliquie di santi nella cappella, si sfiorano con gli occhi ancora una volta i “Trionfi” in perenne restauro e, per altri monumenti, ci si ripromette di ripassare, di sostare più a lungo, di informarsi meglio. Si scattano delle fotografie e un giorno si aprono i files nel computer, rinverdendo la memoria e cercandone il senso ...

Il Camposanto Monumentale, interno. Buonamico Buffalmacco, Il Giudizio Universale, 1336 ca. La lapide contenente il decreto di Gaio, 4. d.C.

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le Naiadi del Pampaloni nella fontana di Empoli Fernando Prattichizzo

Empoli, Piazza degli Uberti

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ll’incrocio tra via Taddea e via de’ Ginori, al numero civico 26 di quest’ultima, una lapide sopra il portale d’ingresso ricorda che lì visse tra il 1791 e il 1847 il noto scultore fiorentino Luigi Pampaloni, che aveva lo studio in Piazza San Marco. Molto apprezzato dalle Corti europee, egli realizzò importanti monumenti neoclassici per il centro di Empoli e di San Miniato. I Marchesi Ginori, che abitavano nel palazzo al numero 11 dell’omonima via, sono conosciuti perché fondatori della famosa fabbrica di ceramiche. A pochi metri dalla casa del Pampaloni , cioè in via Taddea 21, nacque nel 1826 Carlo Lorenzini, detto Collodi, che abitò lungamente e morì nel palazzo Ginori, dopo aver dato al mondo intero l’idea per la realizzazione plastica del suo Pinocchio. Peraltro, il Lorenzini crebbe tra le mura del borgo medievale di Collodi, trascorrendo le giornate tra i viali e le fontane del giardino delle Naiadi sito a Villa Garzoni. È quindi nell’area ristrettissima di queste vie che vissero grandi protagonisti, diretti o indiretti, delle arti plastiche nella Firenze dell’ ‘800. Ci troviamo nella parrocchia di San Lorenzo e, per quello che dirò in seguito, ricordo il curioso particolare

che tale parrocchia fu unita alla prioria di Sammontana, nel Comune di Montelupo Fiorentino, dal Papa Pio II con una bolla del 14 gennaio 1460, a seguito di pressioni della famiglia Frescobaldi, che deteneva il patronato sulla chiesa. Nel 1826 il Pampaloni raggiunse la notorietà per una esposizione nelle sale dell’Accademia ed ottenne l’incarico di eseguire tre Naiadi per la fontana di piazza Farinata degli Uberti a Empoli, disegnata dall’ingegnere Giuseppe Martelli, la cui lavorazione, che vide coinvolti per i quattro leoni gli empolesi Luigi e Ottavio Giovannozzi, si protrasse fino all’estate del 1828. In quel periodo era gonfaloniere a Empoli Mariano Bini (1771-1855), conosciuto come il “Mariambini”, sempre attivo in ogni iniziativa pubblica. Le Creniadi o ninfe delle fontane erano ritenute possedere capacità curative e il loro culto si era diffuso tra i contadini nell’antichità. La borghesia empolese voleva modernizzare la piazza centrale e sostituire l’originaria colonna recante il simbolo del Marzocco, abbattuto dalle truppe francesi. Il progetto fu avviato nel 1824 e finanziato per 120.000 lire dal Monte di Pietà. Dopo lunghe ricerche, l’acqua per la fontana fu scelta tra le migliori della zona, cioè fu presa alle sorgenti del rio Sammontana, che distavano oltre quattro chilometri dal centro. Il Capitolo della Basilica di San Lorenzo, proprietario del terreno per la predetta unificazione con la prioria di Sammontana, concesse gratuitamente l’acqua e in cambio il magistrato del Comune garantì un’offerta di 2 libbre di cera bianca lavorata da presentarsi ogni 10 agosto, ricorrenza di San Lorenzo. Nonostante la morte nel 1824 del Granduca Ferdinando III e del primo ingegnere incaricato Neri Zocchi, l’ingegnere Antonio Moggi,

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in qualità di Provveditore della Camera di Soprintendenza Comunitaria di Firenze, garantì agli Empolesi la prosecuzione dell’opera. Il nuovo incarico di realizzare la fontana fu conferito, su segnalazione di Luigi De Cambray Digny, all’ingegnere fiorentino Giuseppe Martelli, grande amico dell’avvocato empolese Vincenzo Salvagnoli. All’epoca il Pampaloni era ritenuto un artista di grido e probabilmente fu segnalato anche dal Capitolo della parrocchia di San Lorenzo, cui apparteneva. I blocchi di marmo di Carrara furono forniti da Carlo Rocchi, mentre la pietra serena delle scalinate arrivò dalle cave fiesolane. Nel contratto stipulato per le tre Naiadi, si conveniva che queste dovessero essere parcamente aggiustate di panneggiamenti, onde evitare un pubblico scandalo sulla piazza principale, proprio davanti la Collegiata. Il tema delle divinità greche aveva frequentemente ispirato il Pampaloni, che realizzò magistralmente le tre Naiadi sedute, similmente atteggiate a sostenere la tazza superiore, ma completamente nude per espressa opinione del Moggi, secondo il quale molte statue in luoghi pubblici erano nude e la loro posizione alta non permetteva facilmente di vedere “l’estremità del basso ventre”. Le lunghe sottostanti iscrizioni in latino, che ricordano ampiamente i personaggi coinvolti nell’opera, furono dettate dall’abate Giovan Battista Zannoni, illustre scrittore e antiquario regio, con l’approvazione diretta del Granduca Leopoldo II. Ricercando la fusione tra innovazione e tradizione, il Pampaloni non realizzò soltanto un’analisi realistica dei dati naturali, ma mirò anche a infondere nell’opera uno spirito cristiano. Alla fontana attinsero l’acqua diverse successive generazioni.


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lo sbarco 1896

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la prima proiezione cinematografica in Toscana

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a sera del 30 giugno 1896, il cinematografo fece la sua prima comparsa in Toscana. Dopo la prima assoluta a Parigi del 28 dicembre 1895, la nuova invenzione dei fratelli Lumière venne fatta conoscere in tutta Europa, approdando a Livorno, dopo che già aveva visitato altre quattro città italiane. Questa scelta, che oggi ci potrebbe sembrare un po’ strana, appariva all’ora come necessaria. Anzitutto bisogna considerare che alla fine dell’Ottocento Livorno, più che per il cacciucco e per il porto, era nota per i suoi bagni e la sua spiaggia, costituendo, al pari dell’odierna Versilia o della Sardegna, una delle mète estive più ricercate e visitate da personalità dell’aristocrazia e dell’alta borghesia italiane e straniere. Mentre al Palace Hotel, sostavano d’abitudine il principe Amedeo di Savoia, il Re Umberto e tutta la sua corte, il settimanale estivo «La sentinella dei bagni» dell’estate 1896, registrava l’enorme afflusso di villeggianti stranieri e l’esigenza di intrattenerli. Fra i bagni più in voga, dopo lo Scoglio della Regina, i Bagni Rombolini (oggi Tirreno) e la «Spianata dei Cavalleggieri» (l’attuale Terrazza Mascagni), che ospitava un grande parco di baracconi da fiera chiamato Eden, si ergevano le strutture dei Bagni Pancaldi, secondo Aldo Palazzeschi «il luogo di tutte le primizie mondane» durante l’estate. Ma Livorno non era soltanto un'attrattiva mondana: era anche uno dei centri culturali più importanti di tutta Italia. A tal proposito, ne scrisse Giovanni Papini nel suo libro Gli operai della vigna del 1929: «... c'è stato un momento anni fa […] che

Parigi poteva sembrare un mezzo feudo artistico dei livornesi. E quando a Livorno [...] si radunavano il Carducci e il Chiarini e Giovanni Marradi cantava le sue belle strade soleggiate e il Pascoli insegnava in una delle sue scuole e l’editore Vigo pubblicava i volumi del Carducci e l’editore Giusti le Myricae, si poteva ben dire che la città dei Quattro Mori gareggiava, come centro spirituale, con la città che l’aveva creata». Il potenziale culturale della città toscana era tanto più forte se consideriamo anche la sua apertura alle novità europee di fine secolo: dalle notizie sulla stampa locale relative alla scoperta dei raggi Roentgen, agli spettacoli all’Eden del Panorama automatico internazionale e del Kinetoscopio. Livorno, insomma, era, al termine dell’Ottocento, una città moderna e cosmopolita, luogo di incontro per diversi e importanti intellettuali e già sensibile alle invenzioni relative alla fotografia animata d’Oltralpe. Se poi a queste ragioni, ci aggiungiamo che il cinematografo, dopo la prima parigina del 1895, non poteva arrivare in Italia prima dell'estate, e che i Lumière possedevano ancora un numero molto limitato di apparecchiature, allora si capisce come non poteva non essere scelta la città labronica come prioritaria per far conoscere la nuova tecnica cinematografica. Né l'accoglienza tradì l’aspettativa: dal giorno del debutto presso il solito Eden del 30 giugno 1896, all’ultima proiezione del 12 settembre, la stampa locale registrò il successo fra cronaca, pubblicità e ironia. Soltanto il giorno dopo il primo

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spettacolo (solo pochi minuti di Tommaso Pagni Fedi proiezione di vari contenuti) sulla seconda pagina del "Telegrafo" si incitava: «Mammine belle, andate al Cinematografo, e portateci i vostri bambini!». Sempre "Il Telegrafo" riferisce di una saletta piena fra «leggiadre signore e signorine e gentiluomini, che si accalcavano nel locale dove era stata messa la macchina meravigliosa». Il successo, continuato per tutta l'eL'autore è cultore di cinematografia; appena state, venne riportato dai giornali di diciannovenne realizzò tutti i tipi: da quello letterario come nel 2011 un “corto” di 8 la "Cronachetta livornese", a quelminuti e mezzo che gli fece vincere, nel 2012, il lo più politico come "La sentinella primo premio "Giovani ai bagni", fino a "Mari... e Monti", Registi" del Festival "Versi "quotidiano di bagni e villeggiatudi Luce" a Modica (RG). Questo cortometraggio re". Anche in altre città giunse la arrivò nel 2012 anche notizia: a Firenze fu riferita da "La alle finali del Festival Intercomunale di Cinema Nazione" e dal "Fieramosca", a Amatoriale a Collebeato Roma dai manifestini per pubbliciz(BR). Fu interpretato da zare i nuovi spettacoli. attori amatoriali di teatro, usando un’attrezzatura di In questo modo la scoperta dei framodesta qualità. Si deve a telli Lumière seppe unire intorno a lui la sceneggiatura di un sé l’intera comunità livornese dulavoro su Ugo Foscolo per rante l'estate del 1896, creando un la quale prese spunto dalla composizione poetica I vero e proprio spazio di incontro e sepolcri e il romanzo Ultime di passione. lettere di Jacopo Ortis.

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picco li mon d i u fl ttuanti il “giapponismo” fra Oriente e Occidente

Cristina Giorgetti

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uando nel 1867 decadde l’ultimo shogunato di Tokugawa Yoshinobu (Sciogun, “Comandanti Supremi”: la potente linea dinastica dei Marescialli di Palazzo) e al trono del Giappone salì l’imperatore Mutsuhito che dette vita al Meiji jidai, cioè “periodo del regno illuminato”, nessuno poteva immaginare la portata mondiale di questo evento, occorso allora in un paese lontano, volutamente isolato dal resto del globo e quindi chiuso ad ogni influenza e scambio fin dal 1638/1641. In quel lasso di tempo lo Shogun Tokugawa Iemitsu varò un decreto, che sarebbe divenuto noto come sakoku, ovvero paese blindato, con il quale escluse ogni forma di contatto tra la popolazione giapponese e gli stranieri che furono cacciati. I porti furono chiusi. D’altra parte l’isolazionismo poteva dirsi già iniziato nel 1597 quando a Nagasaki 26 cattolici vennero crocefissi a esempio di quanti si fossero fatti evangelizzare. L’originaria

missione del gesuita Francesco Saverio pareva così fallire nella più truce repressione che nel 1632 aggiunse altri 55 martiri sempre a Nagasaki. Da quel momento vivere in clandestinità fu la regola per tutti coloro che avessero volto lo sguardo a Occidente, e soprattutto commerciato con qualunque popolo che non fosse quello giapponese. L’isolamento creò nell’arcipelago del Sol Levante una sorta di limbo artistico ed emotivo, puro e primigenio, originale e sconosciuto. Se riflettiamo, oggi a posteriori, ciò sarebbe stato meglio d’un’eclatante scoperta archeologica, considerato che quel mondo viveva una vita propria secondo regole millenarie. Il colpo di spugna di Mutsuhito, nel 1868 causò all’interno ciò che succede sempre dopo una forte e insensata repressione, ovvero un’esplosione d’interesse verso l’Occidente, e in Occidente ciò che succede dopo una favolosa scoperta: il Giappone diventò

Donna del popolo che cuce (da un fumetto giapponese dipinto a mano, primi del '900) Maiko nella tipica veste a più strati (da un fumetto giapponese dipinto a mano, primi del '900) Figura di guerriero in un fumetto giapponese dipinto a mano, inizi del XX secolo Figurino di Regina Schrecker per i costumi della Butterfly, rappresentata al Festival Pucciniano a Torre del Lago

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“territorio del mondo”, il mondo volle sapere, conoscere, vedere il Giappone, e scoprì un universo ufficiale fatto di asprezze adamantine e un piccolo cosmo fatto per converso di intonse tradizioni di sottilissima sensibilità. Philippe Burty, critico d’arte, disegnatore, litografo, e collezionista francese, in una serie di articoli pubblicati nel 1872 sulla rivista «Renaissance littéraire et artistique», dette un nome a questa vera fluente rivoluzione: “le japonisme”. I grandi mercanti internazionali, compresane la potenziale novità, cominciarono a importare e a esportare, e il mercato fece il resto. In breve ogni sorta di piccolo oggetto d’arte divenne indispensabile nelle case danarose occidentali, mentre le donne giapponesi si fidarono di ciò che da sempre dà fiducia ai semiologi e alle donne: i giornali di moda. Le signore giapponesi cominciarono ad adottare le fogge occidentali realizzate in tessuti giapponesi e le signore occidentali,


complici i più grandi couturier, chiesero déshabillé ispirati ai kimono, l’abito nipponico per eccellenza. Abito non costume, perché un kimono si “abita”, quale custodia preziosa destinata a occultare le emozioni del corpo. La fortuna di questo indumento fu enorme, come d’altronde enorme fu la portata dell’influenza che il Giappone ebbe sulle arti occidentali. Ciò che spopolò letteralmente fu il nuovo modo di concepire il colore, puro, a campitura piena senza sfumature, col segno grafico teso a rendere uno scenario in un colpo d’inchiostro, e poi i soggetti. L’arrivo di numerose stampe ritoccate a mano giapponesi e l’evidenziarsi del fenomeno di accoglienza e diffusione del gusto nipponico influenzarono potentemente la pittura occidentale, decretando ad esempio la nascita del nuovo concetto di cartellone pubblicitario a stampa, ma in particolare influenzarono l’Ecole de Pont-Aven che contava Camille Pissarro, Paul Cezanne, Emile Bernard e quindi Paul Gauguin e gli Impressionisti. Potremo chiederci “perché Parigi?”, e la domanda non sarebbe oziosa, poiché molti artisti italiani furono influenzati da queste novità, ma fatto è che le vissero attraverso la Francia, che comprese e assimilò il piccolo mondo sommerso dell’ ukiyo-e, o «image du monde flottant» (rappresentato per mezzo di xilografie), popolato da ammirate e ambiziose maiko (apprendiste geishe), da cortigiane arrampicatrici, piccoli profittatori, prosseneti, creature fantastiche, scenette erotiche e sensuali, e immagini spettacolari di paesaggi naturali di luoghi celebri. Insomma, un piccolo mondo che a Parigi trovava certo terreno fertile. Gli artisti e i musicisti, parte di quel piccolo mondo fluttuante antecedente la conquista della celebrità, s’immersero in pieno nel collezionismo allora meno costoso, quello ad esempio delle stampe in particolare di Utamaro (1753-1806), uno dei maggiori artisti dell’ukiyo-e) e

Hokusai. Fra gli estimatori ci fu il celebre pittore Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec, mentre Edmond de Goncourt per l’Esposizione Universale del 1878 s’ispirava alla traduzione dell’enunciato principale dell’ukiyoe, ovvero l’Ukiyo monogatari, opera di Asai Ryoi, che nel 1665 descriveva così il “piccolo mondo” nella Prefazione: “ne pas se laisser abattre / par la pauvreté et ne pas la laisser transparaître / sur son visage (…)”. Il ritratto della Parigi del demi-monde. Tornando a fatti intrinseci alla moda il primo impulso fu certo quello rivolto al tessile, prima col ricamo come per il celebre abito bianco e oro di Charles Frederick Worth del 1894 circa, ma in questo campo l’ispirazione al Giappone da cui giungevano splendidi tan di kimono, o kimono già confezionati, fu quello di imitarli a mezzo stampa, e in questo certamente di rilievo fu l’opera di Mariano Fortuny, seguìto dall’epìgone Sonia Gallenga, ma non sarebbe corretto non enumerare fra le influenze quelle subìte nel giro di due decenni nel campo dei figurini, per primi quelli di Iribe, Lepape e Barbier per Paul Poiret (1911-12), e poi quelli per varie case di moda di Umberto Brunelleschi, tutte per la maggior parte in tecnica ispirata all’Estremo Oriente, il pouchoir: la coloritura manuale di materiali cartacei. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX i grandi couturier proporranno specie per l’estate i tagli di manica a kimono, aprendo la strada a una modellistica in realtà assai diversa dal kimono originale, ma a esso ispirata, rinfocolata fra il 1904 e il 1905 dall’interesse suscitato dalla guerra russo-giapponese. La moda si nutre di tutto, da sempre onnivora. Intanto le modiste proponevano decorazioni per le acconciature simili al kanzashi hana delle maiko nipponiche, cioè a lungo fiore pendente e ondeggiante al lato della testa, mentre l’acconciatura femminile stessa a cavallo dei due secoli s’ispirò alle enfie e cerate pettinature proprie delle appren-

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diste geishe, ovvero al nihongami, una pettinatura raccolta che poteva variare nei nodi sulla sommità del capo o dietro la nuca. Le couturier Madame Paquin, Jeanne Lanvin, Madeleine Vionnet s’ispirarono a questo stile nei diversi decenni, mentre dal Giappone nuovi modelli di vestaglie dipinte a mano accompagnavano i momenti d’intimità delle signore. Nel frattempo i più raffinati fra i signori cedevano nell’intimità alla parte superiore dell’hitatare, indumento militare d’onore, corto, vestito dalle élite nipponiche, adornato sulla schiena dal misterioso kamon, l’emblema di famiglia concettualmente diverso dal nostro stemma. In ogni angolo poteva spuntare il Giappone: ora su un tea gown, abito ispirato alla cerimonia del tè, ora su un pettine da testa o sopra un gioiello di Lalique, infine su un opalescente vetro di Gallé. Solo la sconvolgente scoperta dell’aureo corredo della tomba di Tutankhamon nel 1922 avrebbe fatto tramontare in Europa lo splendore del Sol Levante.

Zuccheriera in porcellana in stile giapponesizzante con decorazioni dipinte a mano con fronde di ciliegio e oro zecchino. Anni '20, marchio Johann Haviland Bavaria. Collezione Giorgetti Borsellino in porcellana giapponese dono di Regina Schrecker. Collezione Giorgetti Minaudiere in bakelite traforata che rispecchia l'influenza del giapponismo negli anni '20. Su una faccia è rappresentata una peonia e sull'altra una gheisha con il ventaglio Mis.: cm 27x11,50. All'interno presenta una fodera in seta gialla con taschina e specchio. Non presenta alcun marchio. Collezione Clerici Foto di Moreno Vassallo


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la duchessa

Eleonora «Cum pudore laeta foecunditas» Costanza Contu

Agnolo Tori, detto il Bronzino (1503-1572) Cosimo dei Medici, 1545 ca. Firenze, Galleria degli Uffizi Agnolo Tori, detto il Bronzino (1503-1572) Eleonora di Toledo, particolare

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leonora di Toledo (15191562), secondogenita di don Pedro Alvárez di Toledo vicerè di Napoli, sposò per procura il duca Cosimo dei Medici il 29 marzo 1539 sancendo l’alleanza politica fra Spagna e Toscana e riguardo il sentimento l’avvio di una lunga unione matrimoniale. Fu sposa affettuosa ma anche presente e attiva nella gestione dello stato insieme a Cosimo o in sua assenza, quando egli si allontanava per lunghi periodi lasciando la giovane sposa alle redini della fami-

glia. Dall’unione coniugale erano nati undici figli che Eleonora seppe istruire con determinazione e rigore, condizionata probabilmente dalla rigida educazione ricevuta in Spagna; le sue attitudini caratteriali e la sua predisposizione alla cura dei figli avevano portato Cosimo a scegliere per lei il motto “Cum pudore laeta foecunditas” e come emblema una pavoncella con i piccoli. Nelle carte dell’epoca e nei documenti d’archivio Eleonora è descritta frequentemente come donna dall’aspetto piacevole: “Ebbe questa serenissima signora l’andar grave, lo star riverendo, il parlar dolce, pieno di sapore, la faccia chiara e la vista angelica, e tutte le altre bellezze che si leggono essere celebrate nelle più celebrate donne”. Anche Gaetano Pieraccini afferma che “la MediciToledo fu un esemplare di stupenda conformazione fisica: slanciata e ancata, normalmente nutrita”, “bella fresca e colorita come una rosa”, con fisonomia regolarissima e delicata chiusa in ovale, fronte alta, capelli biondi e occhi celesti e qualcosa nell’espressione di patetico e di sussiegoso, ma non di sprezzante”. Così Eleonora è descritta nelle fonti d’archivio e così ci appare ritratta dal pennello di Agnolo Bronzino che di lei fece diversi ritratti tutt’oggi visibili e conservati nei più importanti musei del mondo. Oltre che madre affettuosa il Pieraccini la descrive come una compagna fedele e amorosa ricambiata nei sentimenti dal marito: “Innamorata del marito reagì con riflessi vivacissimi ogni volta che la stimolava una qualche tenue amarezza coniugale, tenue sotto ogni suo aspetto. Quello stimolo che in un sistema nervoso normalmente

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equilibrato avrebbe provocata una reazione fisiologica, in lei si rifletteva in eccesso,evidentemente per una debolezza irritabile, forse congenita. Così, ogni qual volta che Cosimo si assentò dalla Corte ella ne fu esageratamente afflitta, inquieta, ansiosa di notizie”1 Da sempre amante dell’arte e delle cose belle, a Firenze Eleonora si era circondata di artisti e letterati di altissimo livello quali Agnolo Bronzino, pittore di corte, Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati, Benvenuto Cellini uno dei protagonisti più eccentrici della vita della Duchessa, che con lui costruì un rapporto di amicizia commissionandogli e splendidi oggetti di oreficeria. Abili sarti gravitavano intorno alla famiglia e per i signori Medici venivano realizzati tessuti straordinari. Gli artigiani vivevano a stretto contatto con Eleonora e producevano per lei stoffe pregiate: nelle officine granducali si tessevano drappi, si cucivano e si ricamavano tessuti preziosissimi. Nella Guardaroba di Eleonora sono descritti tessuti magnifici e tinte straordinarie che caratterizzavano il suo stile: vi erano i damaschi, i velluti, i rasi e i taffettas e lo splendido velluto bianco “operato con ricci d’oro e d’argento della sottana usata il 30 ottobre 1560 per l’entrata trionfale a Siena2”. Fra i colori che dominavano per i suoi abiti troviamo il rosso, il pagonazzo (viola purpureo) e il bianco, colore che allude probabilmente a quel pudore e alla castità che Cosimo aveva voluto come motto per Eleonora. L’unione d’amore e di rispetto che legava i due sposi è testimoniato fino alla morte; Eleonora fu infatti trovata nel suo sepolcro con alcuni


gioielli simboli d’amore e fedeltà coniugale e vestita con gli abiti che oggi possiamo ammirare a Palazzo Pitti dove furono collocati dopo un lungo e difficoltoso restauro. “Alcune trecce di capelli color biondo tendente al rosso, attorte da una cordicella d’oro... ne porsero certezza per stabilire l’identità del cadavere...la veste che lo ricopre, non poco lacera, è di raso bianco, lunga fino a terra e riccamente ricamata a gallone nel busto, lungo la sottana e nella balza da piè; e sotto questo primo vestito ne è un altro di velluto color chermisi...”3; così venne rinvenuto il corpo della Granduchessa quando, in occasione delle ricognizioni effettuate in San Lorenzo, nelle Cappelle medicee, venne aperto il suo loculo. L’apertura della tomba di Eleonora aveva permesso anche il ritrovamento di alcuni piccoli gioielli di sua proprietà quali un anello con pietra incisa romana e uno d’oro con la rappresentazione delle mani in fede oggi conservati al Museo degli Argenti in Palazzo Pitti. I due

anelli, piccoli di dimensioni, risultano di straordinario interesse perché testimoniano con le loro particolari caratteristiche il legame affettivo e d’amore della Granduchessa con il suo sposo; il primo anellino è realizzato in oro finemente cesellato e smaltato di blu con un rubino, gemma rossa simbolo di amore coniugale, inserito in un castone a "falcatura singola" e due piccoli smeraldi; il

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gioiello chiude sul gambo con due mani congiunte simboli di legame affettivo già utilizzate dall’epoca romana e di gran moda nel XVI e XVII secolo. Il secondo anello risulta ancora più interessante: la pietra incisa ritenuta di epoca romana, è montata su un castone d’oro scanalato e decorato al centro con un piccolo fiore. Nella parte superiore della pietra si riconosce la sagoma di un uccello caratterizzato da gambe lunghe e filiformi che poggiano su un vasetto inciso al centro della pietra fra due cornucopie da sempre simboli di abbondanza e fertilità. Nella parte inferiore della pietra si riconoscono due mani in fede simboli di patto matrimoniale. La cosa straordinaria è che la Granduchessa di Toscana sfoggia questo piccolo anello in uno dei suoi più importanti ritratti realizzati dal Bronzino. L’opera conservata a Praga risulta di straordinario interesse: Eleonora sfoggia uno splendido abito “pagonazzo”, i capelli raccolti come suo consueto in una rete d’oro, la mano destra piegata sotto al seno a simboleggiare la fedeltà coniugale impreziosita dal grande diamante tagliato a tavola e posto sul dito indice, probabilmente l’anello matrimoniale, e al mignolo è raffigurato con minuzia di dettagli il prezioso anellino con pietra incisa rinvenuto nella sua tomba e prima descritto. Un avvenimento straordinario poter vedere un prezioso gioiello conservato ancora oggi che intorno al 1543, anno di realizzazione del ritratto, era indossato dalla Granduchessa di Toscana4. L’iconografia di questa pietra è un chiaro riferimento all’abbondanza, alla fertilità e alla fedeltà di chi indossava l’anello ed è stata sicuramente di buon auspicio per questa coppia che ha vissuto insieme un lungo e fecondo matrimonio.

Agnolo Tori, detto il Bronzino (1503-1572) Eleonora di Toledo, 1543, particolare, Praha, Národni Galerie Agnolo Tori, detto il Bronzino (1503-1572) Eleonora di Toledo, 1543 Praha, Národni Galerie,

Note 1 G. Pieraccini, La stirpe dei Medici di Cafaggiolo, 1986, vol.II, pp.55-70 2 R.Orsi Landini - B. Niccoli, Moda a Firenze, 1540-1580, Lo stile di Eleonora di Toledo e la sua influenza, Firenze, 2005 3 C. Di Domenico - D. Lippi I, Medici una dinastia a raggi X, Poggibonsi, Siena 2005 4 I gioielli dei Medici dal vero e in ritratto, a cura di M. Sframeli, Livorno, 2003,


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Frida

il corpo e l’anima di

in fuga dalla Russia, con amore

Vania Di Stefano

1. Edward Neuscheler e Anna Zilliacus von Weissenfeld con Frida (Mosca 1892) 2. I Neuscheler: Vera, Edward, Frida, Nadine (c. 1920) 3. Frida Neuscheler (passaporto, 1922) 4. I capelli di Frida, un suo ricamo, il samovar 5. Un saluto evocativo di Mirco (1979)

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i quella ciocca dei capelli materni Mirco, il minore dei figli di Titomanlio Manzella e di Elfride Neuscheler, protagonisti dell’atroce novella Tre bambini sotto una palma (1935), chiese spesso, in mia presenza, alla sorella Myriam, che rispondeva di non saperne nulla. Conoscendo la generosità di mia madre, sono certo che non mentiva. Casualmente l’ho scoperta io, combattendo quell’affascinante, invincibile disordine, chiamato vita, che dal 1960 fa da titolo ai primi volumi del mio zibaldone, abbracciando il panorama del tempo, del mondo riflesso dalla quotidianità e dall’archivio di famiglia. Fra il 1917 e il 1920 (anno in cui iniziò un appassionato carteggio con Titomanlio) Frida, scampata col padre Edward (Uzwil 1861 - Catania 1926) e le sorelle Nadine e Vera alle fiamme della rivoluzione bolscevica (fuggirono separatamente per un freddo calcolo di

probabilità di sopravvivenza), cercava in Italia lavoro e un luogo dal clima giovevole alla salute del genitore. Lasciata la Svizzera scelsero Catania dove Titom e Frida si sposarono l’11 maggio 1922; in ottobre nacque Igor. Il vulcanico figlio di Giuseppa Frontini, dopo la grande guerra trascorsa in

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prigionia trovò una compagna straordinaria, ma l’alterna felicità durò sino al 16 luglio 1932. In quell’arco di tempo maturò un’intensa, frenetica attività letteraria dedicata ai giovani; basterà citare il romanzo Naticchia: storia di un ragazzo qualunque (1921), Farfalle: rivista mensile per ragazzi e


giovinette (1923-1924), cui collaborarono anche "Frida Eduardowna" (racconti) e l’ingegnere "nonno Eduardo" (botanica, astronomia, tecnica),

infine la commedia Pierrot sui tetti messa in scena a Roma il 18 febbraio 1929 da Anton Giulio Bragaglia per il Teatro degli Indipendenti.

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Con impegno e talento Frida si divise tra la famiglia e l’insegnamento al Regio Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali, riuscendo a rifarsi una vita senza rimpiangere la bella casa di Mosca, già abitata dal commediografo Andreieff, e la dacia di Butovo. Molto della sua vita resta da scoprire nelle lettere e nei diari scritti in russo, tedesco, italiano, nei ricami. La dolcezza del carattere, il profondo senso di umanità, la pazienza e la disponibilità generosa verso il prossimo le conquistarono l’affetto di cognati, amici, vicini. Dalle loro malinconiche parole, scaldate dal conforto di bei ricordi, udii bambino rievocare consuetudini della vita quotidiana come l’accoglienza russa dell’ospite con pane e sale, il rito del tè prelevato da una scatola speciale e preparato con l’acqua del samovar che Titomanlio usò finché visse. Che l’anima sia immortale ce lo dice la ragione meglio della fede, a patto che sappia quantificare la propria inadeguatezza come unità di misura dell’universo e riconoscere che, dopo millenni di sforzi speculativi, il pensiero immaginario non può generare alcuna sensazione o visione capace di rappresentare l’infinito. All’immortalità della propria anima Elfride credette fermamente e poco prima di morire lo disse al marito: "sarò sempre con te”. Nacque allora un evocativo saluto consolatore che accreditava la reale onnipresenza del suo spirito accanto a Titom, Igor, Myriam, Mirco, oggi riuniti in un abbraccio. Questo saluto, "con te”, verbale e scritto, entrò nel lessico familiare ed anch’io lo udii e ne fui partecipe.


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trota

la

rapita

storia o leggenda? La domanda attende una risposta Pier Tommaso Messeri

Pozzo e cortile della villa medìcea di Seravezza, 1555. (Foto di Sailko) Il "monumento" dedicato alla trota Lo stemma di Casa Medici

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iamo abituati, in epoca di selfie, a vedere un po’ di tutto. Gli immaginari quindici minuti di gloria per ciascuno, si sono democratizzati e basta perdersi nella “rete” per imbattersi nella miriade delle testimonianze dell’umano e illusorio desiderio di una terrena eternità. Fra le varie curiosità, visibili nella nostra variegata Toscana, una meno nota è la statua di un salmonide, nello specifico una trota, protagonista, suo malgrado, di una prodigiosa, quanto inaspettata - considerati gli effetti battuta di pesca. Andiamo con ordine. A Seravezza,

amena località della Versilia, nella seconda metà del ’500 Cosimo de’ Medici, per scopi commerciali oltre che strategici, ordinò la costruzione di un signorile palagio, utile ai suoi espansionistici fini, e agli eventuali periodi di svago per la sua famiglia e la corte. La paternità architettonica della costruzione è incerta: Ammannati o Buontalenti? L’elegante complesso è circondato da boschi lussureggianti, ricchi di cacciagione e di scroscianti corsi d’acqua. I nobili rampolli di casa Medici, per sfuggire la canicola fiorentina, frequentavano il luogo per periodi più o meno lunghi, fra cavalcate, battute di caccia e altri passatempi. Addirittura, alcune consorti granducali preferirono proprio Seravezza, per le loro villeggiature. Cristina di Lorena (1565-1637), ormai vedova di Ferdinando I de’ Medici (1549-1609), nell’ozio forzato, si rallegrava di trascorrere in quei paesaggi diversi giorni dell’anno. Giusto in una di queste stagioni (nel 1603, per la precisione), dilettandosi con la pesca in località Rousina, non lungi dalla celebre Villa granducale, sulle rive del torrente Vezza abboccò al suo amo – è discusso se il merito sia propriamente attribuibile alla granducale abilità o a quella di un cortigiano – un esemplare di trota di ben 13 libbre. Fatto eccezionale in tempi dove non esistevano manipolazioni genetiche e le prede erano qualitativamente miserrime. L’evento così inaspettato fece meritare al malcapitato pesce l’onore di ben due memorie scultoree che tramandassero ai posteri il ricordo della propria e imponente silhouette: una eretta sul luogo stesso “dell’abboccamento”, la seconda, ancor più prestigiosa, costruita in bel-

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la vista al vertice del pozzo, proprio nel centro del cortile principale della residenza medìcea di Seravezza. Alla trota di pietra, nei secoli divenuta un simpatico simbolo di quel paese, è stato dedicato un libro: Nel nome della rosa: storia arte cultura economia di Seravezza e delle sue Comunità, edito dal Comune di Seravezza nel 2016. Anni orsono, il “monumento” alla trota fu oggetto di una burla campanilistica degna delle più belle storie da “strapaese”, quando, con abilità, la trota venne “rapita” da alcuni goliardi di Querceta. I quali, dopo averla smurata dal piedistallo, la trafugarono. L’oggetto del furto venne restituito dopo pochi giorni ai seravezzini ma, in seguito, quest’ultimi “vendicarono” l’oltraggio subìto sottraendo i batacchi alle campane della chiesa del paese dei rivali… Non sappiamo se questo aneddoto campanilistico sia vero, merita però di essere ricordato e raccontato.


Andar per

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borghi toscani di Lucard

CASTELLO DI FIGHINE

Strategico maniero medievale, la dimora ha forma quadrangolare munita di tre torri poligonali, da cui parte la cinta muraria con tracce di beccatelli circondanti l’incantevole borgo. Tre stradine caratteristiche si ricongiungono davanti la chiesa di San Michele, il cui interno conserva pregevoli tele di scuola orvietana e fiorentina.

Castello di Fighine

WINE&FOOD: Pasta fresca e tipicità territoriali rappresentano i pezzi forti del ristorante Castello di Fighine, diretto dallo chef stellato Antonio Strammiello. Nettari locali e Grandi Super Tuscan costellano una lusinghiera carta dei vini. PERNOTTAMENTO: Immerse tra profumati sentieri costeggiati da lavanda e arredate con mobilio di antiquariato toscano, 5 case ristrutturate del borgo renderanno il vostro soggiorno indimenticabile. Castello di Fighine 53040, Localita Fighine San Casciano dei Bagni (SI)

CASTEL PORRONA

Castel Porrona

Austera fortificazione medievale, il castello fu costruito contemporaneamente alle mura cittadine, presto divenuto luogo prediletto di nobili famiglie senesi. Il suo corpo principale ospita una torre sporgente, provvista di monofore e merlatura cordonata, caratteristica che l’accomuna al contiguo fabbricato minore. WINE&FOOD: Il maniero ospita Il Chiostro, raffinato ristorante legato alla tradizione locale ed italica, sapori autentici che trovano supporto nella molteplicità di verdure e pane prodotti in loco. La carta dei vini, intimamente legata al territorio, completa un autentico pasto coi fiocchi. PERNOTTAMENTO: Trasformato in raffinato Relais, il castello possiede appartamenti, camere, suite dai colori intensi, arredate con letti tardo-medievali e mobilio moderno di design. A proposito, da non perdere una capatina al centro benessere Agua SPA. Castel Porrona Via della Fiera, Porrona 58044 Cinigliano (GR)

Castello di San Fabiano

CASTELLO DI SAN FABIANO

Antico borgo dominato dalla massiccia torre risalente all’XI secolo. Quasi ad ossequiarla, edifici rustici, villa padronale e la chiesa altomedievale dedicata a San Fabiano Papa completano una cartolina decisamente onirica. Trasformato in fattoria fortificata nel quattrocento, l’intero agglomerato ha subito un perfetto restyling dai Conti Fiorentini. WINE&FOOD: Degustazioni di prelibatezze prodotte in tenuta, cene, pranzi preparati dalla padrona di casa e fedeli alla ricca tradizione familiare, allietano palati esigenti, naturalmente bagnati dal blasonato Brunello. PERNOTTAMENTO: Ospitato nel borgo, il B&B vanta camere arredate con letti creati da artigiani locali, mobilio d’antiquariato, tessuti raffinati, soffitti in legno. Castello di S. Fabiano Via di S. Martino 1000A 53014 Monteroni D'arbia (SI)

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bonus “verde” come beneficiare delle agevolazioni fiscali

Saverio Lastrucci

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a Primavera e l’Estate sono le stagioni che risvegliano l’interesse per il verde intorno a noi e per riprendere le attività di giardinaggio, in piena terra e sui terrazzi. Dopo una lunga azione promotrice svolta dalle organizzazioni professionali, associazioni tecniche e floro-vivaistiche, nella Legge di Bilancio 2018 è stata introdotta una nuova opportunità denominata “Bonus verde”, che si basa parzialmente sui già conosciuti bonus fiscali sull’edilizia. Si tratta di una detrazione fiscale, oggi limitata al 36% della spesa totale, ma che in futuro potrebbe essere aumentata, per chi sistema un’area pertinenziale all’aperto realizzando un nuovo giardino o terrazzo o ne trasforma uno già esistente. Tale detrazione, il cui recupero avviene in dieci rate annuali, per il momento riguarda una spesa massima di 5mila euro per unità abitativa, il cui bonifico a pagamento avvenga entro il 31 dicembre 2018 e, per le unità a uso promiscuo, il bonus è dimezzato. La detrazione spetta esclusivamente ai soggetti che abbiano effettivamente sostenuto le spese nella misura in cui le stesse siano rimaste a loro carico. Per ogni utente è comunque molto interessante la possibilità di raddoppia-

re questo Bonus utilizzandolo sia per interventi sul giardino condominiale, sia su quello privato, anche se pènsile, degli appartamenti. Tale opportunità vale anche se i due giardini sono nello stesso edificio. Questo significa che nei condomìni il Bonus può ampliarsi moltiplicandosi in base al numero di unità presenti. Destinatari della detrazione La detrazione è riconosciuta a coloro che possiedono l’unità immobiliare “abitativa” sulla quale sono eseguiti gl’interventi in qualità di proprietario o “nudo proprietario” o titolare di altri diritti reali ovvero uso, usufrutto, abitazione o diritto di superficie. Possono altresì beneficiarne i soggetti che detengono l’immobile in forza di un contratto locazione o di comodato da parte dell’inquilino e/o del comodatario. La tipologia dell’immobile che può beneficiare del “Bonus verde” deve rientrare nelle unità immobiliari a destinazione abitativa classificate nel Gruppo “A” della Agenzia delle Entrate-Territorio (ex Catasto), ad esclusione della categoria “A10-uffici” o parti “a comune” esterne degli edifici condominiali come indicate negli articoli 1117 e 1117-bis del Codice civile. Anche i terreni adiacenti possono essere considerati “giardino” purché dimostrabili come “pertinenze” dell’unità abitativa. Gli interventi agevolati Scendiamo nel dettaglio di alcuni interventi legati alle “sistemazioni a verde” di aree scoperte private di edifici esistenti e di giardini pensili, definiti anche dall’Agenza delle Entrate. Progettazione e manutenzione Le spese di progettazione rientrano nell’agevolazione purché legate ai lavori di sistemazione. In tale spesa si potrà aggiungere anche una relazione esplicativa dell’intervento realizzato, che at-

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testi la sua detraibilità. Stesso destino per la manutenzione straordinaria connessa all’opera progettata/realizzata come di séguito elencata. Sistemazione a verde di aree Sono comprese le aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari comprese le loro pertinenze, le parti “a comune” esterne degli edifici condominiali, la realizzazione di recinzioni, di impianti di irrigazione e la realizzazione pozzi. Realizzazioni di coperture a verde Fra le coperture a verde e giardini pensili possono rientrare nell’applicazione del “Bonus verde” anche gazebo, pergolati e arredi purché compresi nel progetto di sistemazione complessiva e finalizzati al supporto delle piante, quindi lasciati “aperti” nella parte superiore in modo che vengano rivestiti dalla vegetazione. Attenzione però a ciò che è effettivamente detraibile: la detrazione spetta esclusivamente ai soggetti che abbiano realmente sostenuto la spesa! Un primo dubbio riguarda il semplice acquisto di piante come possibile concetto di “sistemazione a verde”, comprese le piante in vaso, o l’introduzione di nuove piante in un giardino, in terra o pènsile. Dalla Agenzia delle Entrate, sebbene la norma non specifichi come debbano essere eseguiti gli interventi, sono comunque giunte precisazioni di interventi relativi all’intero giardino o area interessata, consistente nella sistemazione ex-novo o nel suo radicale cambiamento. Pertanto, anche la collocazione di piante o vegetali in vaso è agevolabile a condizione che faccia parte di un più ampio intervento di sistemazione a verde degli immobili residenziali ma non eseguito “in economia”. Per superare meglio questo dubbio interpretativo torna utile considerare quanto precisato nella Relazione tecni-


ca della Legge di bilancio 2018 (comma 12, art. 1 Legge 2015/2017), secondo cui il “Bonus verde” si rivolge esclusivamente a «interventi straordinari» di sistemazione a verde, con la conseguenza che l’opera, per essere agevolabile, deve comportare la realizzazione di un intero giardino oppure un rifacimento importante dello stesso, come precisato dalla Agenzia delle Entrate nell’ambito degli incontri con la stampa specializzata. Precisazioni per impianti, pozzi e recinzioni L’acquisto e posa in opera di una cisterna prefabbricata e i pozzi possono essere agevolati se fanno parte di un impianto di irrigazione di nuova esecuzione o di totale rifacimento. Per quanto riguarda la realizzazione di un giardino pensile, per essere detratto dovrà essere un intervento ben strutturato. Sono agevolate col “Bonus verde” anche le recinzioni purché siano di nuova realizzazione o di rifacimento complessivo ma, chi è intenzionato a installarne una, deve ricordare che può avere anche la detrazione del 50% quale agevolazione fiscale sulla ristrutturazione edilizia solo se la recinzione può essere considerata un’opera di sicurezza per prevenire i furti. La spesa per la recinzione dovrà essere fatturata e pagata a parte: per usufruire del 50% si deve fare un bonifico tracciabile, per il 36% del “Bonus verde” serve un bonifico – bancario o postale, carte di credito o bancomat – purché tracciabile. Gli assegni, bancari o circolari, hanno invece modalità di tracciabilità incerte e sono quindi sconsigliabili. Interventi esclusi A maggiore chiarimento è bene precisare quali siano gli interventi specificatamente esclusi dal nuovo “Bonus verde”. Sono esclusi i lavori eseguiti in economia, quando il privato acquista direttamente i materiali ed è necessario che sia un professionista a progettare l’intervento e una Ditta a eseguire il lavoro, comprensivo dell’acquisto di tutti i materiali necessari a realizzarlo. Anche l’acquisto di macchinari, compresi i tagliaerba, rimane respinto dalla agevolazione per il motivo di cui sopra, perché tali acquisti si indirizzerebbero a lavori eseguiti in economia. Inoltre, il solo acquisto di alcuni vasi o di fioriture stagionali per il balcone è escluso dall’applicazione del “Bonus verde” a meno che rientri in un rifacimento totale dello stesso. Anche le aree verdi di edifici non abitativi rimangono fuori dall’applicabilità del “Bonus verde”. Per quanto riguarda il taglio degli alberi ad alto fusto o la potatura delle siepi perché rientrino nel concetto della “sistemazione a verde” è necessario che siano correlabili a un lavoro di rifacimento ex-novo o nel radicale cambiamento dell’intero giardino o area interessata. L’esclusione riguarda anche la manutenzione ordinaria. Come documentare gli interventi

Per documentare la detraibilità del 36% prevista dal “Bonus verde”, i bonifici devono essere tracciabili; si consiglia perciò di conservare le ricevute dei bonifici o quelle della transazione per i pagamenti con carte di credito o bancomat insieme con le fatture di acquisto che documentino specificamente la natura dell’acquisto, qualità e quantità dei beni e dei servizi. Per i chiarimenti rilasciati dalla Agenzia delle Entrate risulta fortemente consigliato, per evitare possibili contenziosi futuri sull’ammissibilità dell’intervento realizzato, detenere un progetto o almeno una sintetica relazione tecnica redatta da professionista abilitato. Limiti e ripartizione delle spese Il limite di spesa ammissibile per beneficiare della detrazione fiscale rimane fissato in 5mila Euro. Esistono però casi particolari com’è quello di unità abitative in condomini. Laddove un Condominio esegua lavori di “sistemazione a verde” sulle parti a comune – come indicate negli articoli 1117 e 1117-bis del Codice civile – entro il limite di spesa ammissibile di 5mila Euro per unità abitativa, la detrazione spetta al singolo condomino nel limite della quota a lui imputabile e a condizione che la stessa sia stata versata effettivamente al Condominio entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi.

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Nel corso di chiarimenti successivi l’Agenzia delle Entrate ha precisato che nel caso di interventi per “sistemazione a verde” eseguiti sia sulla singola unità immobiliare che sulle parti a comune di edifici condominiali, il diritto alla detrazione spetta su due distinti limiti di spesa di 5mila Euro ciascuno. Ciò significa che un Condominio potrà eseguire lavori sulle parti comuni a concorrenza di limiti di spesa in funzione del numero di unità abitative presenti e che ogni singolo condòmino potrà aggiungere a tali detrazioni eventuali spese per interventi di “sistemazione a verde” sulla sua singola proprietà, applicando un’ulteriore detrazione. Per effetto di un preciso rinvio alle disposizioni contenute nei commi 5, 6 e 8 dell’articolo 16-bis del D.P.R. 917/1986 (T.U.I.R.) la detrazione prevista dal nuovo “Bonus verde” subisce delle variazioni nei seguenti casi: a) Riduzione della detrazione al 50% per immobili residenziali adibiti a uso promiscuo dai professionisti o per l’esercizio di attività commerciali; b) Il cumulo della detrazione è ridotto del 50% con le agevolazioni per gli immobili vincolati; c) Il trasferimento della detrazione non fruita in capo all’acquirente dell’unità abitativa, se persona fisica, o all’erede che conserva la detenzione materiale e diretta del bene.


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Voci vedere la bellezza ascoltando emozioni Irene Barbensi

Peccioli, Campanile, racconto di Romano De Marco Ghizzano, Oratorio della Santissima Annunziata, racconto di Ferruccio Parazzoli Fabbrica, Cappella dei Santi Rocco e Sebastiano, racconto di Laura Pugno

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OCI è un nuovo progetto, inaugurato sabato 21 aprile, del Comune di Peccioli in collaborazione con la Fondazione Peccioliper, nato dalla volontà di creare all’interno del territorio del Comune di Peccioli un percorso artistico-letterario che accompagni alla scoperta di luoghi nuovi e inesplorati. Un cantiere in cui sperimentare un nuovo rapporto tra arte e progetto urbano, in cui le opere

convivono con le tradizioni più antiche e le abitudini quotidiane dei cittadini. I racconti inediti di sei tra i più noti scrittori italiani contemporanei - Laura Bosio, Mauro Covacich, Maurizio de Giovanni, Romano De Marco, Ferruccio Parazzoli, Laura Pugno - e la pratica artistica di Vittorio Corsini danno letteralmente voce e forma a sei installazioni permanenti che, a partire dalla cittadina di Peccioli, si snodano tra i

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borghi circostanti creando percorsi inattesi. A ciascuno di loro è stato chiesto di costituire un tassello di questo percorso, scrivendo un racconto a partire dalle suggestioni nate dall’incontro con alcuni edifici religiosi del territorio, per lo più costruiti in prossimità di piccoli borghi, ognuno con una propria storia e identità. Trasposte in forma audio dagli stessi autori, in collaborazione


con EMONS Libri&Audiolibri, queste storie tornano al luogo che le ha generate e trovano modalità di ascolto attraverso sei nuove opere concepite appositamente da Vittorio Corsini e installate all’interno del Campanile della Chiesa di San Verano, della Chiesa della Madonna del Carmine e della Chiesa delle Serre a Peccioli, nella Chiesa di San Giorgio a Cedri, nella Cappella dei Santi Rocco e Sebastiano a Fabbrica, nell’Oratorio della Santissima Annunziata a Ghizzano. Voci si colloca perfettamente nel percorso di riqualificazione del centro storico e delle frazioni del Comune, con un salto di qualità, perché all’arte contemporanea si affianca l’arte letteraria, attraverso i racconti di nomi importanti della letteratura italiana attuale.

Peccioli, Chiesa delle Serre, racconto di Mauro Covacich Peccioli, Chiesa del Carmine, racconto di Laura Bosio Cedri, Chiesa di San Giorgio, racconto di Maurizio de Giovanni

Per informazioni: Fondazione Peccioliper, tel 0587 672158, da lunedì a venerdì 9-13/15-17; info@fondarte.peccioli.net www.fondarte.peccioli.net Ufficio informazioni e accoglienza turistica del Comune di Peccioli, tel. 0587 936423 martedì, giovedì, venerdì 10-13 e mercoledì, sabato, domenica 10-13 /15-17

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Craft The Leather 2018

settima edizione del concorso creativo per giovani designer Alesandro Bruschi

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i è recentemente conclusa la settimana di workshop formativo che dà il via alla settima edizione di “Craft The Leather”, il progetto di formazione rivolto a giovani aspiranti designer delle più prestigiose scuole di moda e design internazionali organizzato dal Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale. Gli studenti, accompagnati dai docenti, e provenienti da Giappone, Regno Unito, Cina, Spagna, Stati Uniti e Svezia, hanno potuto conoscere ogni aspetto della concia al vegetale nel distretto conciario toscano. Le scuole partecipanti. Alla settima edizione hanno partecipato scuole

di moda e design tra le più importanti a livello internazionale. Partendo dall’Europa, si è riconfermata la presenza dell’istituto Central Saint Martins, facente parte della University of the Arts London (UAL) e riconosciuto a livello globale per la particolare creatività dei suoi studenti soprattutto nel campo della gioielleria e dell’arredamento. Proprio dal Central Saint Martins arrivava la vincitrice dello scorso anno, Heleen Sintobin. Sempre dal Regno Unito si è registrata la presenza del Royal College of Art, istituto specializzato nella formazione post-laurea nel settore del design. Dalla Spagna è giunta la delegazione

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dell’istituto ELISAVA che promuove da oltre cinquant’anni la conoscenza, lo sviluppo e la ricerca nel campo del design, della comunicazione e dell’ingegneria. Infine ha partecipato a Craft The Leather la Swedish School of Textiles, rinomato istituto dell’area scandinava che si concentra su design, management e engineering. Da oltreoceano, precisamente da Tokyo sono arrivati il Bunka Fashion College, precursore dell’istruzione nel settore moda in Giappone, e Hiko Mizuno, il primo college tecnico riconosciuto come istituto educativo nell’ambito della gioielleria. Dagli Stati Uniti sono arrivati i designer del


Fashion Institute of Technology di New York, uno dei college più rinomati a livello globale per quanto riguarda la fashion industry, del Rhode Islands School of Design, il college più importante di belle arti nell’intero territorio statunitense, e del Pratt Institute – Brooklyn Accelerator, un centro per la moda e il design etico con uno sguardo al futuro della produzione, dell'imprenditorialità, della sostenibilità e della tecnologia. Infine da Hangzhou è arrivata la China Academy of Art, la prima accademia d’arte con programmi accademici completi all’interno del territorio cinese. Il workshop. La settimana di immersione totale nel distretto conciario toscano è iniziata con la visita ad una delle concerie dove si produce la Pelle Conciata al Vegetale in Toscana per scoprire nel dettaglio il processo produttivo, dalle pelli grezze alle varie fasi della concia, per poi affrontare l’argomento della sostenibilità ambientale del comparto visitando Cuoiodepur, l’impianto consortile di depurazione delle acque. Nei giorni successivi il gruppo ha fatto tappa a PO.TE.CO., il Polo Tecnologico Conciario, dove studenti e docenti hanno potuto conoscere le metodologie operative utilizzate all’interno dei laboratori di analisi e ricerca e affrontare il tema della formazione visitando la conceria sperimentale, dove vengono riprodotte tutte le fasi del processo conciario. È stata poi la volta del Consorzio Toscana Manifatture e di alcune aziende manifatturiere ed artigiani locali che producono calzature e pelletteria, per completare la visione panoramica di un distretto che è in grado

di offrire competenza e qualità lungo tutta la filiera della pelle. La settimana si è conclusa con un laboratorio sperimentale negli accoglienti spazi di CasaConcia, in cui i partecipanti hanno scoperto le peculiarità della pelle al vegetale e i metodi di lavorazione manuale grazie alla presenza di un artigiano esperto, Giorgio Testi, che ha spiegato i pregi della pelle naturale e ha mostrato le tecniche di lavorazione tradizionali toscane assistendo poi gli studenti nelle loro sperimentazioni. Un modo per approcciarsi al materiale e poter dare ampio sfogo alla creatività in vista del concorso finale. La seconda fase. Le concerie del Consorzio doneranno ai giovani de-

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signer una fornitura di pelle conciata al vegetale naturale. I partecipanti, grazie alle nozioni e alle conoscenze acquisite durante la settimana vissuta in Toscana e alla combinazione con la loro creatività, dovranno elaborare un tema intorno al quale creare una linea di accessori realizzati in Pelle Conciata al Vegetale in Toscana. I designer sono chiamati a realizzare personalmente i prototipi per dimostrare la loro capacità manuale. Le collezioni inedite verranno esposte in uno stand dedicato al concorso Craft The Leather a Lineapelle nell’edizione di febbraio 2019. Tre giorni in cui i visitatori e gli esperti con i loro voti decreteranno il vincitore del concorso.


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NERI

TORRIGIANI al nonno Arturo, laringoiatra, si rivolse Giacomo Puccini Domenico Savini

Neri Torrigiani Il professor Camillo Arturo Torrigiani (familiarmente chiamato soltanto Arturo)

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n una nota biografica di Neri Torrigiani si legge: «Lo Studio Torrigiani inizia l’attività nel 1992 e negli anni si concentra nella grafica e nel packaging (dalla moda alle case d’asta, ai produttori di vino), nella comunicazione (dagli allestimenti alle inaugurazioni dei migliori negozi del centro storico di Firenze, dalla realizzazione di guide specialistiche ai tanti siti Internet), nell’organizzazione di eventi (dalle mostre d’arte a quelle dell’artigianato e della moda) fino alla progettazione d’interni». Compiuta la lettura, ascoltiamo il protagonista. Cominciamo dai primi passi. «Ho avuto una educazione semplice, molto fiorentina, piena di contrasti. Partiamo dall’asilo delle suore di Nevers in piazza Savonarola, poi le elementari con i “contestatori” della Enriquez-Capponi sul viale Matteotti, infine le scuole medie alla borghesissima Masaccio. Mi sono impegnato per frequentare il ginnasio nel prestigioso liceo Michelangelo – per tradizione famigliare! – ma dopo una sonora bocciatura sono stato “pregato di non ripresentarmi” per cattiva condotta e dopo una parentesi

al liceo Galileo ho terminato gli studi all’Istituto d’Arte di Porta Romana dove ho iniziato un nuovo percorso che mi ha portato a laurearmi con il massimo dei voti in disegno industriale nell’Istituto Superiore Industrie Artistiche (ISIA) di Firenze». Quando hai iniziato a svolgere questa tua attività e come? «Ancora studente mi sono inventato con Marco Querci di Prato – e un gruppo di amici cari e affiatati – un marchio di moda di super nicchia con il quale abbiamo sfilato a Firenze, Milano, Vienna e Barcellona… Si chiamava “Che fine ha fatto Baby Jane?”. Recentemente è uscito anche un libro su quella nostra esperienza intitolato “Felici e Maledetti” (ed. ZONA), scritto da Bruno Casini. Grazie all’intervento di Fiamma Ferragamo – amica di famiglia che ancora ricordo con affetto per aver avuto fiducia in me – ho fatto il “garzone di bottega” dall’architetto Roberto Monsani che realizzava i negozi della maison; successivamente ho trascorso un periodo molto piacevole nello studio dall’architetto Fabrizia Scassellati Sforzolini. Ma è stato quando ho terminato di studiare all’ISIA che con Alberto Grassi, mio compagno di corso, abbiamo preso una stanza in un seminterrato di viale Milton e iniziato a fare allestimenti per aziende espositrici a Pitti Uomo per le quali suo fratello Alessandro curava le pubbliche relazioni». Ricordi il nome del primo committente? «Il Gruppo Finanziario Tessile della torinese famiglia Rivetti. Subito dopo, caparbiamente e con una buona dose di sfacciataggine, siamo riusciti a contattare il nuovo management di Gucci, appena acquistata dalla società Investcorp e affidata a Domenico De Sole e Tom Ford».

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Cosa hai realizzato per Gucci? «Il lavoro è cominciato dalla ridefinizione del marchio. Partendo dall’archivio storico della maison siamo arrivati a “prosciugarlo” ed il marchio usato attualmente è ancora quello. Successivamente siamo passati alla definizione del packaging per i negozi di tutto il mondo e l’incarico ci è stato rinnovato due volte a distanza di qualche anno.» Neri Torrigiani ha collaborato e tuttora collabora con molte realtà legate al mondo del contemporaneo a Firenze come il Museo Marino Marini e i Cantieri Goldonetta di Virgilio Sieni. Dell’associazione Fabbrica Europa è socio fondatore e collabora per realizzare l’omonimo Festival interdisciplinare, che si svolge ogni anno nella Stazione Leopolda. Quali altri progetti hai realizzato? «Nel 1995 sono stato l’ideatore e ancora organizzo la mostra “Artigianato e Palazzo” voluta da Giorgiana Corsini. Come socio fondatore dell’associazione “Corri la Vita Onlus” e coordinatore del relativo Comitato Organizzatore sono responsabile della comunicazione e della grafica: questo importante progetto benefico presieduto da Bona Frescobaldi, nel 2012 ha ricevuto il Fiorino d’Oro della Città di Firenze». «Come membro del Comitato Promotore del Festival degli Scrittori e del Premio Gregor von Rezzori - Città di Firenze mi occupo della comunicazione. Inoltre sono socio fondatore degli “Amici della Galleria dell’Accademia” di Firenze voluta dalla direttrice Cecilie Hollberg il cui presidente è Fausto Calderai». Quali gli impegni attuali e quelli futuri? «Quattro importanti progetti si sono appena conclusi con grande soddisfazione: l’inaugurazione della nuova Collezione Roberto Casamonti allestita al piano nobile di palazzo Bartolini Salim-


beni nella fiorentina piazza Santa Trinita. Nel maggio scorso abbiamo inaugurata la XXIV edizione di “Artigianato e Palazzo” allestita nel Giardino Corsini e a giugno “L’Italia a Hollywood”, allestita nel Museo Ferragamo, dedicata agli attori cinematografici italiani che negli anni Venti raggiunsero il successo in California, a cominciare da Rodolfo Valentino. Devo aggiungere la promozione del bando annuale della Fondazione Carlo Marchi e poi, con appuntamento a settembre, si svolgerà la XVI edizione della corsa benefica “Corri la Vita”. Infine progetto il lancio di una nuova residenza per turisti “esigenti” in via dei Serragli». Tutt’occhi e tutt’orecchi, Neri Torrigiani è un osservatore capace di intuire prontamente ciò che serve, proponendo con sagacia le soluzioni. «In questi ultimi tempi però sono stato impegnatissimo con il “grand opening” dello Student Hotel di Firenze come curatore del progetto “BedTalks Florence”: una formula molto innovativa per la quale ho selezionato cento personaggi fiorentini – dai venti agli ottanta anni – invitandoli a confrontarsi su una molteplicità di temi attuali, facendoli sistemare, a coppie, sopra i letti dell’albergo, davanti a una “platea” di spettatori distribuiti tutt’intorno. La finalità, prima che commerciale, è stata quella di mettere in circolazione idee e messaggi positivi, magari anche impegni concreti da promuovere, secondo quanto è scaturito dalle conversazioni». Il primo Student Hotel italiano, dell’omonimo gruppo finanziario olandese Student Hotel è stato così mostrato in anteprima il 7 giugno, mentre l’inaugurazione ufficiale dell’intero complesso avverrà nel prossimo ottobre. Dalla ristrutturazione dell’ex Palazzo delle Ferrovie, che si distende per un lungo tratto del viale Lavagnini fino ad affacciarsi davanti ai giardini della Fortezza da Basso, sono risultate circa 300 camere, delle quali oltre 200 saranno riservate ai soggiorni degli studenti, le altre ai turisti. Il progetto ha previsto la realizzazione di una caffetteria al piano terra e spazi per il co-working. L’accesso a questi ambienti è libero. Anche per chi non è cliente e non dorme nello studentato. L’ultimo piano sarà dotato di una piscina

all’aperto, con una terrazza che si affaccia sul panorama di Firenze. Come si svolge la tua giornata professionale? Vista dall’esterno sembra frenetica. «Può esserlo, non lo nascondo. Ma tutte le mattine mi impongo di leggere i giornali a casa sorseggiando una tisana e solo dopo sono pronto per andare in Studio dove ho la fortuna di lavorare con persone molto affiatate e professionali che mi supportano e stimolano. E poi non c’è solo il lavoro, ci sono gli affetti, le amicizie, una mamma con cui amo trascorrere il mio tempo e poi le mille cose da fare che offre Firenze!». Consideri Firenze un valido “osservatorio”? «A mio avviso Firenze non è mai stata un “osservatorio” ma una fucina di idee e di progetti. E se per “valido” intendiamo quanto riesce a portare a termine ciò che elabora… posso azzardare a rispondere che solo un dieci per cento di quanto qui si progetta poi vede la luce, perché è insito nel carattere dei fiorentini perdersi in un continuo confronto/ scontro. Firenze non è una città che incoraggia. È l’approccio al “nuovo” che spesso penalizza i migliori propositi». Vuoi accennare ai tuoi legami familiari? «Posso ricordare la mia parentela con Renato Fucini, il Neri Tanfucio ricordato ancora come l’autore dei racconti Le veglie di Neri e i Cento sonetti in vernacolo pisano. È stata un’esperienza davvero interessante, pochi anni fa, aiutare la dottoressa Giovanna Lazzi, direttrice della Biblioteca RIccardiana, a organizzare una mostra dei manoscritti di Fucini, donati dalla mia famiglia alla Biblioteca. «Oltre a questi cimeli, abbiamo esposto alcuni “memorabìlia” legati alla sua vita spensierata in compagnia di Giacomo Puccini, amico del cuore, che mise in musica tanti suoi componimenti. Fra questi la lirica Avanti Urania, musicata da Puccini nel 1896 che molti cantanti hanno interpretato: fra i molti Placido Domingo e José Carreras. “Urania” era il nome della barca a vela del marchese Ginori con la quale, più volte, Puccini e Fucini, appassionati cacciatori, raggiun-

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gevano l’isola di Montecristo. Desidero ricordare anche mia zia Mippia Fucini, nipote di Renato, abile pittrice e autrice di fulminanti caricature. Invece, mio nonno Arturo Torrigiani, nato nel 1885, fu un otorino-laringoiatra di fama mondiale, cui anche Giacomo Puccini, nel 1924, si rivolse per una diagnosi che fu infausta. Come sappiamo, Puccini sarebbe poi morto per un tumore alla gola. A nonno Arturo capitò anche di togliere le tonsille alla giovanissima principessa Maria Pia di Savoia, nel 1940, così come al re di Thailandia e ai tanti sportivi – principalmente pugili – che si rivolgevano a lui per farsi “sturare il naso”». Un “public relations man” come trascorre il suo tempo libero? «Al mare, prevalentemente. Mi piace quello di scoglio forse perché ho trascorso tutta l’infanzia nella bella casa dei nonni nella zona di Roma Imperiale a Forte dei Marmi… quindi all’Elba, alle Eolie, o nelle isole greche dove qualche amico mi porta in barca a vela. Ma da qualche anno amo molto la mia casa ini campagna, il Lonchino, sulle colline che dominano il Chianti, sotto il bosco di Fontesanta: è un semplice podere che afferiva alla grande fattoria di Belmonte dei marchesi Ginori Venturi, a mezz’ora d’automobile da Firenze, ma è come essere su un altro pianeta!». Ti piace viaggiare? «Ho viaggiato moltissimo da ragazzo e da solo, forse per darmi un tono e poterlo raccontare. Adesso però preferisco farlo in compagnia. Ho girato l’Europa ma ho avuto contatti frequenti con gli Stati Uniti e il Nord Africa. Ho visitato l’Argentina, l’India, la Cina, il Giappone, il Laos e la Thailandia». Un tuo pregio e un tuo difetto? «Chiedo moltissimo e sono capace di dare altrettanto». Sei competitivo? «Non verso gli altri ma verso me stesso». Ti riposi leggendo un libro o ascoltando musica? «Mi piace moltissimo leggere. Seguo la narrativa italiana. Ho molti cari amici che scrivono: Elena Stancanelli, Enzo Fileno Carabba, Marco Vichi. Adoro andare al cinema. Vedo tutti i film prodotti in Italia».

Autocaricatura di Mippia Fucini. (Collezione privata) Dedica di Giacomo Puccini a Renato Fucini Foto di Maria Pia di Savoia con dedica della madre Maria José di Savoia al professor Torrigiani


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iornalisti

Giorgio Banchi

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a fumetti

umetti, come diceva il fumettista statunitense Scott McCloud, sono immagini e figure una accanto all’altra in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare informazioni. La caratteristica più importante del fumetto è il gap: il passaggio da una vignetta all’altra dove il lettore riempie lo spazio temporale e narrativo con la propria esperienza ed immaginazione diventando così complice dell’autore. Il fumetto ha subìto una importante evoluzione da quando, nato come fenomeno culturale del tutto marginale, si è via via nel corso dei secoli ritagliato uno spazio sempre più importante all’interno della società. Durante questo percorso, segnato da varie tappe fondamentali, il fumetto ha assunto un proprio linguaggio e dei propri mezzi espressivi, sviluppando vari stili, gusti e tradizioni; tutti elementi necessari per affermarsi nel secolo scorso come fenomeno artistico secondo a nessun altro. Se è vero che l’uomo ha sempre mescolato il disegno grafico con il

quando la matita diventa reporter linguaggio verbale, da un certo punto in poi della nostra storia, l’incontro tra immagine e parola ha generato un fenomeno chiamato appunto “fumetto”. La data di nascita ufficiale è il 5 maggio 1895, quando, sulle pagine del primo supplemento a colori del New York World di proprietà di Joseph Pulizer, apparvero le vignette del disegnatore R.C. Outcalt intitolate Down Hogan’s Alley: si trattava di un’unica grande vignetta che dava modo all’autore di rappresentare una originale cronaca degli avvenimenti dei quartieri più malfamati con l’innovativa caratteristica di riportare i dialoghi dei personaggi racchiusi in una nuvoletta di “fumo”. Il personaggio protagonista di queste vignette era Yellow Kid, un grottesco ragazzino, completamente calvo e con le orecchie a sventola, vestito con un camicione giallo lungo fino ai piedi in cui erano inserite le sue battute. Da quel momento il fumetto conobbe negli Stati Uniti una larghissima diffusione, divenendo una delle

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più potenti attrattive per i lettori dei giornali quotidiani. Possedeva un potere persuasivo superiore a quello del romanzo di appendice, del quale in un certo senso aveva preso il posto, inoltre i disegni accanto agli articoli erano molto efficaci per le persone immigrate che non ancora possedevano un lessico adeguato per leggere un’intera pagina di giornale. Contribuì in maniera rilevante al successo immediato del fumetto anche il consolidarsi negli U.S.A. del potere della stampa: alla fine del 1890 si contavano più di ventimila pubblicazioni periodiche. Il secondo conflitto mondiale fece scattare l’arruolamento anche dei personaggi dei fumetti: primo fra tutti il protagonista della striscia Terry and the Pirates di Milton Caniff, che racconta le gesta di un aviatore americano impegnato nel Pacifico. I fumetti, con personaggi come Captain America, furono uno straordinario mezzo di propaganda bellica e di promozione


dell’eroismo dei soldati americani. La vera e più efficace incarnazione del sogno americano è però senza dubbio Mickey Mouse, conosciuto come Topolino, apparso per la prima volta il 18 novembre del 1928 nella storica prima del cortometraggio Steamboat Willie e approdato nella carta stampata nel 1930. Come tutti sanno Topolino è un eroe sempre positivo, onesto e laborioso, vera incarnazione dell’ideale americano dell’uomo che si è fatta da solo. Gli anni Trenta sono considerati l’età dell’oro del fumetto statunitense sia per la quantità che per la qualità di autori e personaggi comparsi in questo periodo. L’espressione graphic journalism è diffusa solo da qualche anno. La prima opera a trasmettere questa idea fu Maus di Art Spiegelman, uscito a puntate negli Stati Uniti tra il 1980 e il 1991. Racconta la storia di una famiglia ebrea tra la Polonia degli anni Trenta, il campo di concentramento di Auschwitz e la New York degli anni Ottanta. Una storia autobiografica, frutto di ricordi e documenti, di un realismo

inquietante. L’autore riuscì a vincere il premio Pulitzer, nel 1992: diffondendo così, nell’opinione comune, che il fumetto può essere un linguaggio adulto. Un linguaggio, quindi, non solo destinato a storie per adolescenti, supereroi o intrattenimento. Spiegelman fa un uso sovversivo dei codici del fumetto. I personaggi di Maus sono animali antropomorfizzati e parlanti (gli ebrei sono raffigurati come topi; i nazisti come gatti; i polacchi come maiali), nella più pura tradizione dei funny animals delle strip umoristiche americane (Mickey Mouse). Ma la storia narrata non è per nulla umoristica. Un’altra importante svolta del linguaggio giornalistico a fumetti si ha con Joe Sacco, un inviato di guerra. Realizza dei veri e propri reportage a fumetti. Palestina e Gorazde area protetta sono le sue opere principali. Con lui prende veramente forma il graphich journalism. La forma del reportage cambia, diventa un racconto a fumetti. Il reporter entra nell’inquadratura, Joe Sacco racconta e si disegna in prima persona. Viviamo con lui la difficoltà di fare il suo lavoro

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avendo così un impatto su lettore più forte. Cerca di tirare fuori l’umanità delle persone. Il reporter non può essere un conduttore neutro di notizie, ma una persona come noi. Cosi può stimolare nel lettore un pensiero critico. Lettore che, grazie alle immagini, viene portato molto vicino ai fatti. Fare un reportage a fumetti richiede tempo, non è immediato come la cronaca. Non stai sull’attualità dell’evento, ma il disegnare è un secondo modo per riflettere sull’evento e sui fatti narrati. Il giornalismo è destinato a cambiare ancora nei prossimi vent’anni. E il linguaggio dei fumetti con lui. La sua composizione è l’unica cosa certa: testi più immagini. Immagini che raccontano, dove la parola non basta, e che ci portano lei luoghi dove il report è stato. Un po’ come, se per un attimo, i report, fossimo noi.


BPLaj: la nuova filiale di Sovigliana Inaugurata lo scorso maggio in Viale Palmiro Togliatti 104 a Vinci Paolo Giannoni architetto

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na nuova filiale della Banca Popolare di Lajatico, una nuova occasione per tentare di unire la Banca al territorio in cui ha sede. Onoriamo il Vetro, quello lavorato all'antica maniera, materiale straordinario, capace di indurre suggestioni ed emozioni. Lo vedrete, appena entrati, lungo il bancone, in più colori, quasi sospeso, in giochi di trasparenza e di cromia che richiamano, senza presunzione, le antiche vetrate delle chiese medievali e rinascimentali. I colori sono ispirati a " La Visitazione", capolavoro manierista del Pontormo, grande maestro del Cinquecento. L'opera, meravigliosa, è conservata nella Pieve dei Santi Michele Arcangelo e Francesco di Carmignano.

Al Pontormo, maestro di dipinti di opere sacre, pittore di ritratti e grande innovatore dello stile pittorico, sono dedicati alcuni lavori che l'amico Fulvio Leoncini si è pregiato di realizzare per la Filiale. Li potrete apprezzare sulle pareti delle armadiature, unici e assoluti protagonisti dell'arredo. Ma a Sovigliana non si poteva dimenticare Leonardo di Ser Piero Da Vinci, uomo di ingegno e talento universale del Rinascimento, che ha incarnato lo spirito del suo tempo nei più disparati campi dell'arte e della conoscenza. Fu architetto, scultore, disegnatore, trattatista, scenografo, anatomista, musicista, progettista e inventore. Come inventore gli vengono dedicate due citazioni, elaborate dall'artista

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Fulvio Leoncini e tratte la prima dal Codice sul volo degli Uccelli, La Macchina Volante, la seconda dai disegni e appunti del Codice Atlantico, La Bicicletta. Sempre a proposito dell'uomo e del suo lavoro, vedrete immagini di particolari architettonici rapite dal Duomo di Empoli, che si intrecciano con viste di luoghi noti e personaggi, come se fossimo in sella alla "Macchina volante" di Leonardo. Ecco, il Vetro, i Pittori illustri, i luoghi e i frammenti del territorio sono così raccontati e presi in prestito per arricchire e rendere piacevoli gli ambienti di questa Filiale della Banca Popolare di Lajatico, che oggi come ieri, vuol essere protagonista con la gente del destino di questa terra.


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na banca non deve essere per forza grigia, o insulsa o noiosa: nella nuova filiale della Banca Popolare di Lajatico risplende il colore celebrandosi il genio di Leonardo e di Pontormo e con loro quello della terra che li ha generati. Il legame col territorio è qui artisticamente incarnato nella originale rivisitazione di alcune delle opere più significative dei due maestri, e riflette quello, più concreto, che la Banca da sempre promuove e rafforza coi propri clienti e coi propri soci, coerentemente con le ragioni della sua fondazione nel lontano 1884: favorire l’accesso al credito delle imprese, dei lavoratori e delle famiglie per elevarne le condizioni economiche e sociali e per affrancarli dalla minaccia della precarietà. Tutte le filiali della Banca Popolare di Lajatico presentano caratteristiche speciali, e così sono rese uniche, si distinguono le une dalle altre. Come i suoi clienti.

dal 1884, solida, locale, indipendente www.bplajatico.it

Banca Popolare di Lajatico Avv. Nicola Luigi Giorgi Presidente

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Rispetto… a colori il progetto passa il testimone a “Fabbriche Aperte”

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o scorso 15 maggio, Francesco Lapi, Presidente dell’Area Chimica del Gruppo Lapi, ha premiato le due classi vincitrici del Progetto Rispetto… a colori. Pitturiamo la vita: la classe 1F dell’Istituto Comprensivo Franco Sacchetti di San Miniato e la classe 1C dell’Istituto Comprensivo Montanelli-Petrarca di Fucecchio sono riuscite ad aggiudicarsi la vittoria incantando i numerosi visitatori presenti alla mostra conclusiva. L’entusiasmo dei vincitori ma anche il coinvolgimento nel progetto da parte degli altri partecipanti che sono stati il vero e proprio carburante che ha mosso nuovamente il Gruppo Lapi verso un altro fronte, quello di Fabbriche Aperte. A partire dal 2011, indicato dall’ONU come “Anno Internazionale della Chimica”, le aziende del Gruppo hanno deciso di aprire – nel vero senso della parola – le loro porte ai ragazzi delle scuole superiori.

FUCECCHIO: La bambina strabica SAN MINIATO: San Miniato

Lo scorso maggio le classi quarte dell’Istituto F. Brunelleschi di Empoli hanno visitato Lapi Gelatine, mentre le classi terze dell’Istituto C. Cattaneo di San Miniato hanno visitato la Conceria Gi-Elle-Emme e le quattro aziende chimiche: Figli di Guido Lapi, FGL International, Toscolapi e Finikem. Attraverso una visita guidata condotta dai responsabili dei vari stabilimenti, gli studenti hanno avuto l’occasione di vedere con i propri occhi una grande realtà aziendale, conoscerne il ciclo produttivo e vedere applicati nella realtà quotidiana i concetti che fino a quel momento avevano letto solo sui libri di scuola. A conclusione di questo percorso che si presenta come una sorta di alternanza scuola-lavoro, il prossimo settembre, per il quinto anno consecutivo, una delle aziende del Gruppo omaggerà con un camice da laboratorio i nuovi iscritti all’Istituto C. Catteneo di San Miniato che hanno scelto l’indiriz-

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zo chimico-conciario. Quest’anno sarà la Conceria Gi-Elle-Emme ad augurare alle nuove leve una carriera scolastica ricca di soddisfazioni.

Per seguire le iniziative del Gruppo Lapi su: www.facebook.com/progettogiovanilapigroup


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ssemblea

ssoconciatori

tra risultati raggiunti e nuovi obiettivi

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uove sfide, importanti risultati raggiunti e prossimi obiettivi da realizzare, nell’interesse non solo delle aziende conciarie, ma di un intero distretto, che in quelle aziende trova uno degli attori più rappresentativi per le sorti del territorio, e nell’Assoconciatori, 150 concerie dislocate sul territorio, ha uno dei suoi player di riferimento. L’assemblea annuale Assoconciatori, martedì 29 maggio, è stata anche occasione per evidenziare il dialogo tra i diversi rappresentanti del tessuto socio-economico locale presenti all’evento: con gli imprenditori conciari, tra gli altri, istituzioni, mondo del credito, della formazione e rappresentanze sindacali. Sullo sfondo, la sintesi di un anno che ha visto l’Associazione Conciatori impegnata su più fronti a supporto delle aziende associate, come ricordato dal presidente Alessandro Francioni nella relazione dell’Associazione: dai passi in avanti nei nuovi investimenti industriali, come gli ampliamenti in corso nel Depuratore Aquarno, cuore potente del progetto “Tubone”, all’impegno per la ricerca, con i nuovi progetti sviluppati nel Polo Tecnologico, sottolineando la necessità di interventi a favore delle aziende conciarie, spesso stressate da politiche miopi e penalizzanti, e non potendo prescindere da un’attenzione costante all’andamento dei mercati, sulla scia di uno scenario politico delicato sia a livello internazionale che locale. Sta tutto in quel «Che ci si lasci lavorare in pace» pronunciato dal presidente Francioni nel corso dell’assemblea, quello che l’Associazione chiede, dando voce ad un

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intero comparto che si conferma da anni tra le realtà industriali più floride della Regione, e che chiede semplicemente maggiori e più efficaci garanzie per consentire agli imprenditori conciari di poter continuare ad operare al meglio. Nel corso dell’assemblea spazio anche al tema della comunicazione, con l’anteprima del nuovo progetto promosso dall’Associazione Conciatori, ulteriore strumento per valorizzare e veicolare l’identità del distretto conciario toscano accrescendo intorno ad esso curiosità e interesse di addetti ai lavori e non. A questo scopo l’Assoconciatori ha registrato un nuovo marchio, “Distretto Santa Croce”, presentato nel corso dell’assemblea, che proverà a sintetizzare e “raccontare” tutte le risorse e le eccellenze della concia toscana, e quella sua concreta capacità di rappresentare temi rispetto ai quali oggi il sistema mediatico è particolarmente sensibile, dalle pratiche improntate ad

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economia circolare all’impegno per la ricerca, dai segreti dell’artigianalità alla capacità di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

I vicepresidenti Assoconciatori Roberto Giannoni e Maila Famiglietti, il presidente Assoconcia Alessandro Francioni, il direttore Piero Maccanti, il vicepresidente Roberto Lupi, la giornalista Rai2 Angelica Fiore, che ha coordinato i lavori

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Paolo Mieli semplicità e trasparenza ...anche quando mise la minigonna al quotidiano! Carla Cavicchini

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ncontro Paolo Mieli nella splendida cornice di Castiglioncello dove il vento soffia e "lima" asciugando rocce e pietraglie. Sul calar della sera, nel verdeggiante Castello Pasquini, gli chiedo del suo programma televisivo, giornaliero, centrato principalmente sulla grande storia, cercando di capire il segreto di questo gran successo. «Non esistono segreti, basta raccontare cose complicate in maniera estremamente semplice. Questa è la ricetta di ogni informazione culturale come del resto fanno Alberto e Piero Angela; così si conquista il grande pubblico. Non è facile, bisogna conoscere molto bene la materia, chi usa

un linguaggio contorto, macchinoso, non ha buon sapere in merito.» Prosegue poi con grande pacatezza alle mie numerose domande, affermando che il protagonismo giornalistico, è più maschile che femminile e che oggigiorno nella vendita dei volumi - è stato anche presidente della RCS libri - viene venduta più l’immagine del contenuto a discapito dello scritto. Alla mia osservazione che Dacia Maraini è della sua stessa opinione, risponde che anch’ella ha detto cose molto sensate facendone appunto una critica intelligente. La colpa? «Degli editori e dei lettori, metà e metà... personalmente, quando pubblico io non ci sono cose spettacolari, solamente l’essenzialità del titolo, colore e firma dell’autore.» Vero, gli faccio però osservare che Paolo Mieli è una figura molto conosciuta e stimata senza bisogno del gran “can can” e quindi... quindi si limita a sorridere. In realtà sorride poco, ha molta autorevolezza nella sua altezza e... parla quasi con lo sguardo. Sì, con quegli occhi che ruota come una salamandra (oddio, spero nella sua bontà quando mi leggerà) che racconta molto e la suadente voce che invita all’ascolto. È il momento del fucecchiese Montanelli. «Lo conoscevo benissimo e mi è stato molto caro. Da direttore lo riportai a scrivere sul "Corriere della Sera", poteva tornare prima, solo che, a torto, era stato licenziato nel ‘70 e si era risentito molto, tuttavia la cosa venne poi superata. Indro scriveva come un Dio... a distanza di 16 anni viene ricordato da tutti come se fosse vivo, quanto ai difetti... mah, orgoglioso, anche l’alterigia, sentirsi separato da-

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gli altri giornalisti, anche se poi... no, non era così.» La minigonna messa al quotidiano ed ancora il termine "mielismo" che a me non piace. «Nemmeno a me piaceva tale declinazione, faceva ridere, inoltre si presentò con aspetti degenerativi sulla stampa che disconobbi letteralmente. Quanto alla gonna corta, trent’anni fa, prima dell’arrivo di internet e social network, notai un bel cambiamento italiano: la tivù proponeva cose attraenti in forma seria abbinata al divertimento riuscendo a conquistare un’enorme vastità di pubblico e, proprio questo, operò in me quella forma di restyling che portai nel quotidiano.» Conosce Firenze? La sua cucina? «Firenze la conosco benissimo, la sua storia viene raccontata attraverso i vari monumenti della città, quanto ai piatti adoro il cacciucco senza però l’aglio a cui sono allergico e la squisita pappa al pomodoro.» Che rapporto ha con i motti, barzellette, detti popolari? «Non mi piacciono, l’ironia si può trovare altrove.» Vizi, peccati, virtù. I suoi. Prima di rispondere mi fissa nella consueta raffinatezza nonché semi–immobilità e... «Virtù non ne ho, peccati non ricordo, vizi... amo molto far tardi la sera, troppo! la mattina dopo me ne pento, tuttavia dormo poco e leggo molto. Giorno e notte, per la lettura ogni momento è buono.» È una persona morigerata? «Si, assolutamente, non ho nessun vizio.» Però ha avuto tre mogli... «Fosse stato per me ne avrei avute di più... se non è morigeratezza questa...»


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NUOVO ASTRO i quaranta anni del gruppo carnevalesco

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utto incominciò nel 1978 grazie al coraggio ed alla follia di alcune persone: Anna Boinistalli, Nicla Dini, Lindos Gufoni, Giuliana Melai, Anna Riccioni che dettero vita ad un nuovo gruppo carnevalesco, in un negozio di parrucchiera. Molte persone sono passate dal nostro gruppo: alcuni sono rimasti per poco, altri hanno cominciato da bambini e ora si mascherano insieme ai nipoti. Qualcuno si è mascherato una sola volta e c’è chi, invece, non se n’è più andato e ha passato nottate ad incartare, attaccare paillettes, macchinare. Alcuni purtroppo non ci sono più, ma il loro ricordo è rimasto in maniera indelebile in tutti noi che ne abbiamo raccolto l’eredità. Negli anni sono cambiate anche le stanze e dagli umidi e gelidi locali

Ada Neri

siamo finalmente arrivati nella nostra Stanza in largo Bonetti (sì, anche lui carnevalaio) dove continuiamo a macchinare chilometri di stoffa, mescolare chili e chili di colla per realizzare le nostre mascherate, d’altra parte è cambiato anche il modo di fare carnevale, oggi si sbrilluccica di più e i nostri vestiti non hanno niente da invidiare ai costumi teatrali riccamente decorati: ma il nostro è il Carnevale d’autore! La passione e la creatività sono, però, rimaste immutate ed è proprio questo che, da sempre, ci caratterizza e che è un segno distintivo delle nostre maschere fatte di innovazione, estro e capacità di sperimentare. Tutte caratteristiche che negli anni ci hanno permesso di realizzare bellissime mascherate e di raggiungere importanti traguardi. «La nostra stanza è molto frequentata – sottolinea la Presidente Federica Fiori – e non nel periodo in cui tutti insieme lavoriamo per il Carnevale, la stanza è un luogo dove nascono relazioni, amori, legami forti tra persone ed amicizie, insomma è una bella realtà nella quale condividiamo tanti momenti dell’anno, e di questo sono

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veramente orgogliosa, e voglio ringraziare tutte le persone che hanno partecipato alla nostra festa, anche quelle che non sono potute venire, ma con il cuore erano con noi. Un grazie particolare ai rappresentanti degli altri Gruppi che hanno voluto condividere con noi una serata di festa.» In occasione della cena è stato devoluto una parte dell'incasso alla Pubblica Assistenza di Santa Croce sull'Arno.

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TOSCA Una produzione di

Opera in tre atti di

GIACOMO PUCCINI

Progetto grafico Fondazione Peccioliper - Foto di Luca Passerotti Per gentile concessione del Polo Museale del Lazio - Archivio Fotografico

su libretto di GIUSEPPE GIACOSA e LUIGI ILLICA

ORCHESTRA LIRICO-SINFONICA del TEATRO DELL’OPERA DI VOLTERRA CORALE VALDERA CORO DI VOCI BIANCHE AMAV Costumi Waste Recycling by SCART Maestro di palcoscenico LUCIANO NESI Maestro alle luci ANDREA LUCCHESI Maestro collaboratore ANDREA TOBIA Maestro del coro SIMONE VALERI

Floria Tosca JOANNA PARISI Mario Cavaradossi DAVID BAÑOS Il Barone Scarpia KRUM GALABOV Cesare Angelotti ROMANO MARTINUZZI Il Sagrestano FRANCESCO BAIOCCHI Spoletta MARCO MUSTARO Sciarrone ROBERTO ROSSI Un Carceriere FABIO PICCHETTI Un Pastorello AGNESE ALDICCIONI

Scene e regia GIANMARIA ROMAGNOLI Direttore ospite DIAN TCHOBANOV (Bulgaria)

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DOMENICA 1 LUGLIO ore 21

PECCIOLI - ANFITEATRO FONTE MAZZOLA Per info e acquisto biglietti:

www.fondarte.peccioli.net 66


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'altra metà del cielo Antonella Boralevi ci aiuta a scoprire le donne

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onoscere il cuore umano indagando nel buio. Non conosciamo tutto di noi, anche se c’è chi esplora e chi invece non lo fa. E nel secondo caso può scaturire una malattia. Non è un trattato di psicanalisi quello che state leggendo, bensì l’ultimo romanzo di Antonella Boralevi, il primo trhiller italiano al femminile La bambina nel buio, scritto da questa fiorentina appena in un mese e mezzo. Presentato alla “Red-Feltrinelli” di Firenze in piazza della Repubblica, l’autrice racconta della sofferenza delle donne talmente grande che, per amore, sacrificano tutto. O quasi. Nel frattempo lei sorride - e filma col telefonino - davanti al folto pubblico, osservando che è la cosa più bella che ha scritto in un mese e mezzo mangiando cioccolata, noci e bevendo nescafè per mancanza di tempo. Lei è così, solare, radiosa, presentandosi vestita di buon gusto, con “un filo di trucco e un filo di tacco“ mentre racconta della “forza“ posta in questa sua ultima opera, definendosi persona strutturalista. Già, proprio come un albero; quando sai cosa vuoi dire è tutto delineato, il resto viene da solo. I classici? Li adoro e vado rileggendoli in continuazione. La scrittrice prima di sedersi aveva salutato la zia, felicissima d’averla vista all’incontro, nonché Cesare Badoglio, grande cartomante fiorentino presente anch’egli per la sua “Antonellina“, più tardi quest’ultimo affermava: «leggo in questo bel volume la data del 7 novembre 2017, in questo momento c’è la luna nuova, lo leggerò in due notti e questo porterà fortuna all’autrice, nonché a tutti i presenti di questa sala.» Mi preparo all’intervista mentre lei saluta amici e conoscenti tra un drink e

l’altro e squisiti stuzzichini - chissà... la storia si ripete in questo bellissimo locale di via Dei Conti visto che lei di “salotti e società“ ne aveva parlato per La bambina nel buio … quindi le chiedo della differenza tra Firenze e Milano - città dove abita e lavora -, dei suoi vizi e virtù, del rapporto con la fede, di Donna Moderna, della solidarietà femminile e basta perché lei: «Mamma mia, quante domande! Beh, iniziamo dalla prima: senza dubbio Firenze è una città magnifica, però a mia avviso conclusa. Perché ha tanto, tantissimo, e tanto ha dato. Il mondo non sarebbe così com’è senza Dante, il Rinascimento, Michelozzo, San Miniato al Monte, Benozzo Gozzoli, e ancora Giotto, il Ghirlandaio, Leonardo, il Beato Angelico, Michelangelo... tuttavia tendiamo a rimanere fermi dove siamo pertanto...Milano invece è vibrante, energica, ci sono sempre, di continuo, concerti, opere teatrali... hanno appena finito la costruzione di quattro grattacieli, insomma viene vissuta la vera cultura milanese, come del resto quei piano-city

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dislocati nella città - free - dove grandissimi artisti suonano coinvolgendo il pubblico.» Proseguo facendo domande sul suo privato: «guardi, il mio privato non interessa a nessuno, tuttavia non ho mai usato scorciatoie, né piegato la testa e la schiena, pagando prezzi non indifferenti per la mia sincerità. Però sono perseverante, molto. Insisti, insisti, prima o poi la porta si apre.» Lo dice guardandomi fissa negli occhi: del resto il lineare anello portato con gran disinvoltura all’indice, indica una grande tenacia e personalità. «Donna moderna...» - termina - una rivista che leggevano tutte, ricordo quei due milioni e mezzo di copie! Per circa vent’anni ho tenuto “La posta dei sentimenti“ e, prima ancora, ricevevo duetremila lettere al mese di donne (anche uomini) che si confidavano con me. Ne sceglievo poi una alla settimana trasformandola sotto forma di racconto. Sì, una grande esperienza emotiva e di scrittrice. Quanto al coinvolgimento, alla partecipazione femminile anche se le nostre antenate femministe parlavano di “sorellanza“ - scuote la testa - guardi, le donne sono programmate dalla specie per concorrere tra loro.» Niente di più vero!

Carla Cavicchini

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B usoni ferruccio

la musica del maestro "neoclassico" da Empoli nel mondo Roberto Lasciarrea

Ferruccio Busoni al pianoforte Ferruccio Busoni nel 1890

B

erlino, 1920. La cattedra di composizione all’Accademia di questa città è diretta da un toscano dal carattere molto riservato, con alle spalle una folgorante carriera di pianista. Sarà sua per quattro anni, fino al 1924. Viene poi abbandonata a favore dell’insegnamento e dell’elaborazione tecnica di quello che fu chiamato il Nuovo Classicismo: il nostro corregionale si chiamava Dante Michelangelo Benvenuto Ferruccio Busoni. A dire il vero, il giovane Busoni, ricorse all’aggettivo “giovane” per definire questa tendenza, della quale fissò il programma: «assunzione di tutte le conquiste degli esperimenti precedenti, per includerli in forme forti e belle». Non ci si può quindi meravigliare se l’idolo di Ferruccio Busoni fosse Johann Sebastian Bach. La sua costante attenzione verso la multiforme realtà musicale degli anni e pre e post Prima Guerra Mondiale gli impedisce, fortunatamente, di assumere «quell’atteggiamento puramente

nostalgico verso la vecchia tradizione polifonica». Ecco l’“equazione” delle pagine musicali busoniane, «tutte tese a conciliare quel senso di forma con una sensibilità moderna». Altra caratteristica del giovane Ferruccio è l’aver teorizzato, con i suoi scritti, una musica realmente più audace di quella da lui effettivamente composta, come scritto nel suo saggio L’abbozzo di una nuova estetica musicale del 1906. Busoni fu dunque una miniera di idee non sempre messe in pratica, perché sparse qua e là nella sua vasta produzione. Nato a Empoli, il’1 aprile 1866, era figlio d’arte. Suo padre, Ferdinando, empolese, fu un eccellente clarinettista, mentre sua madre, Anna Weiss, triestina e per metà bavarese, fu una valente pianista di professione. Ferruccio, figlio unico, fu spesso al seguito dei genitori nei loro viaggi. Evidentemente “respirò” un ambiente dove le “sette note” la facevano da padrone, tanto che il piccolo iniziò a studiare musica sin da bambino. Crebbe a Trieste dove debuttò come pianista a sette anni per diventare, pochi anni dopo, compositore e improvvisatore nella capitale austriaca. Nel 1878, a soli dodici anni, scrive un concerto per pianoforte e archi. Dopo aver frequentato composizione a Graz per quindici mesi, si diploma nel 1882. A vent’anni si trasferisce a Lipsia; vi risiederà fino al 1886; in quell’epoca si trasferirà ad Helsinki, per rimanervi fino al 1888. In quella città “tiene” la classe di pianoforte e il finlandese Jean Sibelius è fra i suoi allievi diventando, più tardi, quel valente compositore conosciuto in tutto il mondo. Per Busoni seguiranno ancora attività didattiche a Mosca e

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Boston. Nel 1894, si stabilisce definitivamente a Berlino. All’inizio della prima guerra mondiale era direttore del Conservatorio Giovanni Battista Martini (fino al 1945 Liceo musicale), istituto superiore di studi musicali fondato a Bologna nel 1804, ma per la disorganizzazione totale che constatava, per l’arretratezza culturale del clima, scelse di trasferirsi a Zurigo, scelta fatta anche per non inimicarsi il mercato tedesco dopo la guerra. Fu questo un periodo proficuo, in cui fece amicizia con importanti personalità. Al termine del conflitto Busoni fu a lungo incerto sul suo rientro a Berlino, anche per la situazione politica che andava delineandosi. A spingerlo al rientro furono l’offerta di una classe di composizione da parte di un suo ex allievo, Leo Kestenberg e l’esigenza di ritornare nella sua casa. Decise, vista la situazione, di rientrarvi. Nel settembre del 1920 riprese a comporre: la toccata, il valzer danzato, le scene per il Doktor Faust. Intraprese delle tournée all’estero: Londra e Roma. Terminate queste, rientrò a Berlino dove, purtroppo, in conseguenza di una malattia renale, morì nella sua residenza in Viktoria-LuisePlatz 11, il 27 luglio 1924. Una targa commemorativa lo ricorda come Musiker, Denker, Lehrer (musicista, pensatore, insegnante). 1924. La sua tomba si trova nel Cimitero di Friednau a Berlino. Doverosa una puntualizzazione su Busoni pianista. Lo studio assiduo, continuo e metodico del pianoforte lo portò ad essere uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi. Nel suo “pianismo” furono essenziali due elementi: lo studio approfondito di Bach e la tecnica trascendentale di


Liszt (chi non ricorda i Dodici studi di esecuzione trascendentale - Études d’exécution transcendante - sono composizioni pianistiche composte tra il 1826 e il 1851). Nel campo della tecnica pianistica fu senz’altro un innovatore e, pur manifestando insofferenza nei confronti dei “metodi”, che con il loro angusto e intollerante precettismo tendevano ad ignorare le diversità individuali e a mortificare la personalità degli allievi, ebbe parole di elogio nei confronti del “metodo naturale” proposto dal pianista e didatta Rudolf Maria Breithaupt, uno dei più significativi teorici mostrando di condividerne i fondamenti. La recensione di Busoni al libro di Breithaupt comparve nel 1905 sulla rivista berlinese Die Musik (IV, n. 22) (ed è ora inclusa nella raccolta degli scritti di Busoni Lo sguardo lieto, Milano). Le sue trascrizioni per pianoforte e le composizioni per clavicembalo ed organo di Bach si distinguono da quelle dei suoi predecessori: Busoni è il primo che interpreta la trascrizione come una traduzione. Inoltre scrisse anche altre

varie composizioni per pianoforte. Nelle opere dell’empolese viene riportata spesso la lettera “K”, come si ricorda in tutte le opere di Mozart. La produzione musicale di Busoni si svolse contemporaneamente alla sua attività di concertista e agli impegni contratti nei vari conservatori in cui era chiamato, ed è tutt’altro che ridotta per quanto, naturalmente, non vasta come quella di altri musicisti a lui contemporanei. Quando all’età di diciassette anni giunse a Vienna (autunno del 1884) con l’intenzione di iniziare a dare forma concreta al suo futuro artistico (sia come pianista ma soprattutto come compositore), Busoni aveva già scritto una quarantina di composizioni di vario genere: opere per pianoforte, per orchestra, per pianoforte e orchestra, cantate, e un requiem. Fra queste composizioni un cenno particolare meritano i 24 preludi op. 37 (1880) che risentono sia dei preludi chopiniani che del clavicembalo ben temperato, la cantata Il sabato del villaggio su testo di Leopardi, un Requiem e altre composizioni, fra cui una suite sinfonica. Biso-

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gnoso di affermarsi sia come pianista sia come insegnante, soprattutto per guadagnarsi da vivere, intensificò ancora lo studio del pianoforte. Stabilì la propria dimora dapprima a Lipsia, quindi ad Helsinki, quindi a Mosca. Di questo periodo è il Konzertstück con il quale vinse a Mosca il premio Rubinstein. Il concerto reca ancora l’influsso di Brahms, un compositore di cui Busoni sentì notevolmente l’autorità e il peso nella prima sua fase formativa. Degno di nota in questo periodo è il concerto per violino op. 35. Ma la svolta significativa della sua evoluzione musicale, in cui per la prima volta Busoni riuscì concretamente a realizzare il suo intento, fu la Sonata per violino e pianoforte del 1896. L’influsso di Brahms è ancora presente, ma a mano a mano che la sonata si evolve mostra sempre più una via autonoma e termina con una variazione sul corale bachiano Wie wohl ist mir. Busoni aveva trent’anni e affermò che questa era la sua prima opera veramente riuscita, considerandola una svolta nella propria evoluzione musicale.

Tomba di Busoni a Berlino, Cimitero di Friedenau


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LXXII Festa del Teatro San Miniato I

l Dramma popolare propone per l’anno 2018 il complesso problema dei conflitti in atto nel mondo, destinati a provocare, nel passato e nel presente, persecuzioni di tipo religioso, perché se ne prenda maggiore coscienza e si lavori per promuovere la tolleranza, la conoscenza vicendevole, ma anche e soprattutto la disponibilità ad accettarsi reciprocamente e a riconoscersi nel comune denominatore di valori e norme condivise, quali la dignità della vita umana, le regole della democrazia e dello Stato di diritto. Da qui il filo conduttore dei diversi spettacoli proposti: “I linguaggi dell’arte a servizio della pace: dal conflitto al dialogo interreligioso”.

1 - Accademia Perduta - Romagna Teatri Abu sotto il mare Anteprima di e con Pietro Piva musiche Paolo Falasca Menzione Premio Scenario per Ustica 2017 San Miniato, Giardino della Cisterna della Misericordia, 19 giugno 2018, ore 21,30 2 - Teatro Belli Il sogno di Ipazia di Massimo Vincenzi con Francesca Bianco Regia Carlo Emilio Lerici voce fuori campo Stefano Molinari, musiche Francesco Verdinelli San Miniato, Giardino della Cisterna della Misericordia, 25 giugno 2018,ore 21,30 3 – Versiliadanza - Small Theater/National Centre of Aesthetics – in coproduzione con Fondazione Istituto Dramma Popolare Narek – un poema armeno Regia Vahan Badalyan, Coreografia Angela Torriani Evangelisti Video, riprese e montaggio Leonardo Filastò Interpretazione Leonardo Diana, Arsen Khachatryan, Ashot Marabyan, Angela Torriani Evangelisti e la collaborazione delle danzatrici del progetto R.O.S./ researchopenspace diretto da Samuele Cardini Opus Ballet Centro Coreografico, Testi Gregorio di Narek Traduzione italiana P. Levon Boghos Zekiyan, Testo italiano fuoricampo letto da Gianluigi Tosto e Angela Torriani Evangelisti, Leonardo Filastò, Leonardo Diana, Produzione Versiliadanza/ Small Theatre NCA/ Fondazione Istituto del Dramma Popolare di San Miniato - LXXII Festa del Teatro con il sostegno di MiBACT – Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, Regione Toscana, Comune di Firenze San Miniato, Giardino della Cisterna della Misericordia, 4-5 luglio 2018, 2 repliche ore 21.15 e ore 22.15 PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA 4 - Matteo Corradini Tue Anne – parole e voci di Annelies Marie Frank A cura di Matteo Corradini con Pavel Zalud Trio: Matteo Corradini, voce - Marcella Carboni, arpa - Enrico Fink, flauto traverso, voce San Miniato Basso, Anfiteatro della Misericordia, 9 luglio 2018, ore 21.30

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5 – Associazione Suonamidite – in collaborazione con Fondazione Istituto Dramma Popolare La sposa e il suo Dio – Storia di una terra e delle sue radici di e con Mario Costanzi e il gruppo corale polifonico georgiano Nanila. Montopoli in Val d’Arno, Santuario della Madonna di San Romano, 12 luglio 2018, ore 21.30 6 - Associazione K / Dramma Italiano di Fiume – Teatro Croato Ivan De Zajc (Rijeka/Fiume – Croazia) La Confraternita del Chianti Esodo pentateuco # 2 di Diego Runko, Chiara Boscaro, Marco Di Stefano con Diego Runko drammaturgia Chiara Boscaro, regia Marco di Stefano musiche Lorenzo Brufatto, eseguite e registrate dall’ensamble da camera il canto sospeso traduzioni Craig Allen, Ester Barlessi, Brigita Lorger, Tamara Turšič, progetto grafico Mara Boscaro assostente alla regia Cristina Campochiaro San Miniato, Giardino della Cisterna della Misericordia, 16 luglio 2018, ore 21.30 7 - Elsinor Centro di Produzione Teatrale - Arca Azzurra Teatro – Fondazione Istituto Dramma Popolare La masseria delle allodole dall’ononimo romanzo di Antonia Arslan elaborazione drammaturgica Francesco M. Asselta e Michele Sinisi scene Federico Biancalani, costumi Elisa Zammarchi, luci Federcio Biancalani e Michele Sinisi aiuto regia Nicolò Valandro, regia Michele Sinisi con (in o.a.) Stefano Braschi, Marco Cacciola, Gianni D’Addario, Michela De Rossi, Giulia Eugeni, Arsen Khachatryan, Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster, Roberta Rosignoli, Michele Sinisi, Adele Tirante San Miniato Piazza Duomo dal 19 al 25 luglio 2018 ore 21.15


Fotografia di Leonardo Baldini ©Archivio Fotografico Fondazione Peccioliper

Zotto Tango Zotto

21,30

solisti del teatro alla scala di milano e del teatro domenica dell’opera di roma

Gala Repertorio Classico e Neoclassico a cura di Alessandro Bigonzetti in

La mietitura

Coreografia di Kristian Cellini con i ballerini dell’Het Nationale Ballet e del Balletto di Siena

in Recital

laura

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nicola

sabato

Brividi immorali

pierfrancesco

favino

21,30

maggio musicale FIORENTINO e Corale valdera in Requiem KV 626

mercoledì in concerto

di W. A. Mozart

GIUSEPPE

BATTISTON

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v e n e r d ì in

Giuseppe Battiston legge Simenon

bohemians arte e musical

m a r t e d ì in

Moulin Rouge UNTOLD

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Le notti

dell’archeologia MEANDRO METASTORICO POP Una COLLezione di gioielli di antOnio cagianelli

art&food

Rino Gaetano Band

il giardino sonoro di ghizzano

la verde armonia duo jazz

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sabato

sabato

Duke Hellington’s sound of love

in

le dimore del quartetto

Quartetto Sincronie

INFO e BIGLIETTI Fondazione Peccioliper Piazza del Popolo 5, Peccioli (PI) tel. 0587 672158 - 0587 936423 info@fondarte.peccioli.net 11Lune a Peccioli @peccioliper

w w w . f o n d a r t e . p e c c i o l i . n e t

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19,00

fabbrica

g i o v e d ì orchestra da camera del

18 shade

martedì

morante in

lirico-sinfonico

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22,00

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m a r t e d ì musiche di

piovani

Legoli, Triangolo Verde

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grease

Spettacolo a pagamento

Peccioli, museo archeologico

19,30

sabato

maggio musicale FIORENTINO

domenica in

21,30

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Orchestra e coro del

compagnia della rancia

19,30

21,30

TANGOX2

v e n e r d ì in

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Il rigore che non c’era

in concerto Spettacolo a pagamento

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21,30

buffa

21,30

federico

mercoledì in

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mercoledì

21,30

21,30

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Spettacolo a pagamento

11 francesco de gregori

21,30

domenica Opera di Giacomo puccini

21,30

tosca

21,30

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21,00

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THE NEW GENERATION FESTIVAL

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re giovani artisti inglesi – Maximilian Fane direttore d’orchestra; Roger Granville, produttore, regista, scrittore; Frankie Parham, produttore cinema, teatro, commedia - hanno scelto l’Italia come palcoscenico del festival internazionale The New Generation. Un progetto nato con l’obiettivo di abbattere le barriere tra generazioni e generi musicali, rivolto ai migliori talenti musicali (under 30), selezionati tra i conservatori internazionali di alta formazione artistica. Giunto alla seconda edizione, il Festival si tiene nel Giardino di Palazzo Corsini a Firenze, un capolavoro del Rinascimento che appartiene a una delle più antiche famiglie fiorentine (29 agosto – 1 settembre 2018). «Volevamo dare un’opportunità a giovani promesse musicali provenienti da tutto il mondo. Ma soprattutto creare una piattaforma che, mettendo in scena in un unico luogo i più alti livelli di opera, teatro e generi musicali (classica, jazz, pop), rompesse le barriere fra generazioni», spiegano Maximilian Fane, Roger Granville, Frankie Parham. «Un un’epoca di incertezze, la musica e’ l’unico linguaggio universale in grado di trasmettere un messaggio positivo ai giovani».

Durante il weekend gli spettatori del New Generation Festival potranno ascoltare rappresentazioni musicali all’aria aperta ed assistere a performances drammatiche, nell’atmosfera rinascimentale del Giardino di Palazzo Corsini. E dopo le 23 “Altra musica” curata dal DJ Harold Van Lennep o un concerto notturno nella Chiesa di Ognissanti. L’appuntamento musicale si apre con il Don Giovanni di W. A. Mozart, con Simon Schnorr, Anush Hovhannisyan, Rachel Kelly, Roman Lyulkin, Juan de Dios Mateos, Louise Kemeny e Vazgen Gazaryan (29 agosto). Segue il Concerto per violino e orchestra in re maggiore e Sinfonia n. 5 di Tchaikosky con il solista Charlie Siem (30 agosto). Quest’anno il New Generation Festival presenterà anche l’intero Enrico V di Shakespeare con Jack Gordon e Alice St. Claire (31 agosto). Per la prima volta l’opera verrà rappresentata con l’accompagnamento orchestrale dal vivo della colonna sonora composta da Sir

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William Walton, reso famoso dal film Lawrence Olivier del 1942. Jonathan Santagada, un giovane conduttore italiano che ha lavorato con Antonio Pappano per diversi anni al Royal Opera House Covent Garden, condurrà la serata di Shakespeare. Completano il Festival, un programma di performances non classiche, curato da DJ Harold Van Lennep, con l’arrivo di Dj e band internazionali; e ogni giorno una visita con pranzo nei Palazzi Storici di Firenze e dintorni. Ma il New Generation Festival è anche formazione. Il Festival organizza un corso intensivo di 10 giorni per aspiranti cantanti, con la presenza di insegnanti professionisti provenienti dai migliori conservatori UK e dalle scuole londinesi Il National Opera Studio e il ROH Jette Parker Young Artists Programme. La scuola estiva permetterà agli studenti di seguire le lezioni e partecipare a laboratori psicologici. Per maggiori informazioni e iscrizione: www.newgenerationfestival.org



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Puccini

100 anni

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la “prima” al Metropolitan di New York nel 1918 Roberto Mascagni

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l 1900, anno della “prima” di Tosca -- Verdi è ancora in vita -segna lo spartiacque per molti aspetti decisivo riguardo alla produzione di Giacomo Puccini, ma era in buona compagnia: Catalani (La Wally), Giordano (Andrea Chénier), Mascagni (Iris), Cilea (Adriana Lecouvreur), Respighi con l’esotica Semirama e Montemezzi (L’amore dei tre re). Lo sguardo di Puccini, ora, si rivolge oltre Atlantico. Intanto, nel 1904, dall’omonimo racconto in lingua inglese di David Belasco, Giuseppe Adami trae il libretto di Butterfly, data a La Scala nel febbraio con non poche disavventure di stesura. Fra le maggiori critiche, le “debolezze” del primo atto, giudicato prolisso e descrittivo. «Rinnegata ma felice», scrive Puccini in una lettera per difendere la sua giovane creatura Cio Cio San. Dopo le perplessità sollevate nel corso della “prima” italiana a La Scala,

nel maggio successivo, il Teatro Grande di Brescia rende finalmente giustizia -- con i tagli dovuti -- a questo indubbio capolavoro. Con La Fanciulla del West, nel 1910, il dado è tratto e l’oltre Oceano conquistato. Puccini lo ribadisce con la presentazione del Trittico al Metropolitan di New York il 14 dicembre 1918: quest’anno cade il centenario del felice debutto. Malgrado la diversità dei tre soggetti -- Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi -- il Trittico si configura come un melodramma in altrettanti atti. È una concezione originale quella di aver combinato questi argomenti così diversi fra loro. Puccini non cambia il proprio stile, anche se alcuni musicologi, per la crudezza dei contenuti, forzano un po’ troppo la mano accostandolo al clima innovativo più radicale delle avanguardie “storiche” che in quel momento si sviluppano in Europa: ov-

Il Tabarro Suor Angelica Gianni Schicchi

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vero l’ “espressionismo” tedesco. E fu azzardato un parallelo fra Il Tabarro e le posizioni teorizzate nel 1912 a Monaco con la pubblicazione del pamphlet «Der Blaue Reiter» (Il cavaliere azzurro). I collaboratori non erano solo i musicisti “di rottura”. Troviamo infatti, fra i più noti, i pittori Wasilij Kandinskij, Oskar Kokoschka, Paul Klee, e fra i letterati Stephan Zweig. L’eccessivo “sconfinamento” non trova d’accordo nemmeno lo storico della musica Marcello de Angelis, che non considera Il Tabarro un fiume deviato: «Puccini rimane fedele a sé stesso pur esasperando i contorni drammaturgici». La Scuola di Vienna del primo Novecento, Arnold Schönberg, Alban Berg e Anton Webern in testa (in grande amicizia con Kandinskij e Kokoschka), guarda con ammirazione e interesse questo “strappo” con il passato avvenuto nel 1911.


L’accostamento con il mondo espressionista solleva dunque molte perplessità. In fondo, il dramma che si svolge nel primo titolo del Trittico (Il Tabarro) più che un episodio di gelosia e miseria fra i protagonisti, è riconducibile alla letteratura “verista” di Luigi Capuana, Federico De Roberto, Camillo Boito, Giovanni Verga. La tragedia si nutre di sospetti e di angoscia. Il compositore li descrive magistralmente con la concisione e la potenza di un fraseggio, per molti versi inedito, dei personaggi, impegnati a svolgere la loro quotidiana fatica di battellieri lungo la Senna. Lo spazio dell’azione è tutto lì. Sembra che manchi il respiro. L’ingegno drammaturgico di Puccini non viene meno. La ristrettezza dell’ambiente in cui si svolgono i fatti, produce la voluta cornice di violenza. Segue la struggente e melanconica Suor Angelica. L’inizio appare descritto con particolari per la verità piuttosto accentuati della vita conventuale dove la religiosa è stata costretta a rinchiudersi per aver commesso la grave colpa di un parto illegittimo. La dolorosa situazione si svolge sotto gli occhi della severa Principessa, zia della suora. Al suo improvviso apparire l’atmosfera musicale subisce un brusco cambiamento e si fa più torbida. Ancora una volta Puccini non si smentisce e dalla piacevolezza di un verde giardino dove le sorelle coltivano piante e fiori, si passa bruscamente all’esplosione dell’angoscia vissuta dalla protagonista. La quale riceve dalla Principessa la tremenda notizia della morte, per malattia, del figlio mai conosciuto, ma sempre desiderato. Suor Angelica passa perciò all’estrema decisione di raggiungerlo in Cielo, scegliendo l’arma del veleno, estratto da alcune piante da lei coltivate. A un primo ascolto può sembrare quasi un “santino” per l’apparizione della Madonna, simbolo del perdono.

Il canto diventa straziante, voluto da Puccini per ottenere la massima commozione. L’effetto è stato raggiunto. Dietro la figura di Suor Angelica potrebbe nascondersi quella della vita monacale di Iginia (suor Giulia Enrichetta), sorella di Giacomo, che vive da circa quarant’anni in un convento di clausura delle agostiniane, periodicamente raggiunta dal fratello con la massima riservatezza. Il convento si trova a Vicopelago, posto a cinque chilometri a sud di Lucca. Ed ecco, per finire, Gianni Schicchi, di cui senza dubbio il soggetto è debitore del Falstaff di Verdi (1893) per la scintillante strumentazione e vocalità. «Tutto nel mondo è burla» fa esclamare Arrigo Boito (il brillante librettista) a Sir John Falstaff, e parimenti il fiorentino Gianni (che Dante ha condannato all’Inferno) fa salti di gioia dopo aver beffato l’avido parentado di Buoso Donati, riuscendo, in buona fede (secondo lui…), a realizzare il matrimonio della figlia Lauretta con Rinuccio, legato ai numerosi familiari di Buoso. Trittico: Il Tabarro, libretto di Giuseppe Adami, da La houppelande di Didier Gold; Suor Angelica, libretto di

Giovacchino Forzano; Gianni Schicchi, libretto di Giovacchino Forzano. Le opere furono rappresentate in prima mondiale al Metropolitan di New York il 14 dicembre 1918. Nel gennaio del 1922, Puccini giunge da Viareggio a Milano per assistere alla messa in scena del Trittico alla Scala. La prima rappresentazione in Italia è eseguita la sera dell’11 gennaio 1919 al Teatro Costanzi di Roma, presente la Famiglia Reale. Sul podio Gino Marinuzzi. Al termine un’ovazione consacra il lavoro e Puccini è chiamato alla ribalta sei volte con gli interpreti, poi da solo. Sette volte per Suor Angelica, insieme con i cantanti e il librettista Giovacchino Forzano. Poi gli applausi sono tutti per il compositore. Il maggior successo lo ottiene Gianni Schicchi. I libretti di Suor Angelica e di Gianni Schicchi sono da considerare teatralmente funzionali alla forza del linguaggio musicale di Puccini e alla sua efficace resa drammaturgica. Giovacchino Forzano sarebbe da rivalutare. Non solo Puccini, ma altri musicisti furono da lui beneficiati dalla sua fervida penna: Leoncavallo e Mascagni.

Scenografie di Suor Angelica (regìa di Franco Piavoli) e de Il Tabarro (regìa di Ermanno Olmi), dirige Bruno Bartoletti. Maggio Musicale, 1983). (New Press Photo Firenze) Scenografia del Gianni Schicchi, regìa di Mario Monicelli; sul podio Bruno Bartoletti. Maggio Musicale, 1983. (New Press Photo Firenze)

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Pietrasanta. Festival-gioiello di musica da camera

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n cartellone, quello del Festival Pietrasanta in Concerto, creato e diretto dal violinista e direttore d’orchestra Michael Guttman che giunge alla sua XII edizione annunciandosi ancora una volta, grazie alla presenza dei più famosi musicisti del mondo, come una vera e propria perla del panorama della musica classica. Dal 20 al 29 luglio avranno luogo 10 grandi serate di concerto sotto le stelle con i più grandi solisti di caratura mondiale tra attesi ritorni e assolute novità. Nigel Kennedy fuoriclasse del violino, star impetuosa e dissacrante dal talento senza confronti nel mondo della classica, Guinnes dei primati per la sua rivisitazione delle “Quattro Stagioni”, opera classica più venduta di tutti i tempi, che ritorna dopo 6 anni per il suo unico concerto in Italia. Vadim Repin, zar russo dell’archetto, e il grande pianista Boris Berezovsky che tornano entrambi acclamati dall’affezionato pubblico del festival. Per la prima volta saranno invece presenti Pavel Vernikov e Svetlana Makarova, violinisti di fama internazionale, coppia nella vita e sul palcoscenico e Lera Auerbach compositrice e pianista russa. Il finalista del Premio Paganini Fedor Rudin e altri solisti di fama tra cui il violista Marc Tooten, i violoncellisti Jing Zhao e Luc Tooten, i violinisti Anton Martynov, March Bouchov e i pianisti Vassilis Varvaresos, Katia Skanavi e Olga Domnina. Il Festival si avvarrà anche della partecipazione dell’Orchestra da Camera di Bruxelles, dell’Orchestra da Camera Georgiana di Ingolstadt, dei Russian Folklore Ensembles e di una speciale esibizione dello “Janoska Ensemble”, gruppo che si distingue per il suo stile unico al mondo, bril-

lante combinazione di note tzigane e pop. Per la prima volta il festival farà anche un’incursione nel mondo della lirica con il concerto dedicato all’opera e ai celebri componimenti di Verdi e Puccini con la partecipazione del Coro dell’Opera di Parma e dei Musici di Parma con la direzione di Enrico Fagone. I Concerti del Festival toccheranno anche, oltre al Chiostro di Sant’Agostino dotato di un’acustica perfetta, luogo simbolo del Festival, anche il teatro della Versiliana per la speciale serata con Nigel Kennedy e i giardini della Rocca di Pietrasanta per il concerto dello Janoska Ensemble. Il Festival Pietrasanta in Concerto è promosso e organizzato dall’Associazione Musica Viva, sostenuto dal Comune di Pietrasanta, con il patrocinio della Regione Toscana e si avvale della collaborazione organizzativa della Fondazione Versiliana. A sostegno del Festival è inoltre nata l’Associazione Amici di Pietrasanta in Concerto che vanta un prestigioso Comitato d’Onore composto da Andrea Bocelli, Martha Argerich, Vadim Repin, Salvatore Accardo e Fernando Botero. I VIOLINI REALIZZATI DA GIANSANTI E MAESTRELLI A SOSTEGNO DEL FESTIVAL Grazie alla collaborazione con gli scultori Roberto Giansanti e Fabio Maestrelli che hanno realizzato appositamente per il Festival opere in bronzo e in marmo ispirate al violino e a tiratura limitata, l’Associazione Amici di Pietrasanta in Concerto ha dato il via ad una campagna attraverso la quale le opere potranno essere acquistate ed il ricavato sarà destinato al sostegno del Festival.

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PIETRASANTA IN CONCERTO XII EDIZIONE CHIOSTRO DI SANT’AGOSTINO, LA ROCCA, TEATRO LA VERSILIANA programma completo su www.pietrasantainconcerto. VENERDÌ 20 LUGLIO La leggenda russa del violino VADIM REPIN SABATO 21 LUGLIO Giya Kancheli (prima mondiale) e Lera Auerbach, insieme a … Mozart! DOMENICA 22 LUGLIO “La Folia” and Piazzolla LUNEDÌ 23 LUGLIO JANOSKA ENSEMBLE, gli incredibili 4! MARTEDÌ 24 LUGLIO Musica d’una notte di mezza estate con Mendelssohn MERCOLEDÌ 25 LUGLIO Lo spirito italiano, Verdi, Rossini, Puccini GIOVEDÌ 26 LUGLIO FEDOR RUDIN, OLGA DOMNINA VENERDÌ 27 LUGLIO “Da Bach a Gershwin” NIGEL KENNEDY SABATO 28 LUGLIO Boris Berezovsky ed i suoi più cari amici DOMENICA 29 LUGLIO Boris Berezovsky con I Russian Folkore Ensembles Biglietteria Teatro La Versiliana tel 0584 265757; Biglietteria del Festival sere di spettacolo tel. 0584 795511 Circuito Ticketone

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PROGRAMMA

39° Festival La Versiliana Fondazione Versiliana www.versilianafestival.it Direzione artistica Massimiliano Simoni

Info 0584 265757 Biglietteria Teatro La Versiliana Viale Morin, 16 Marina di Pietrasanta tel. 0584 265757 www.versilianafestival.it Ticketoffice: on-line su www.ticketone.it e in tutti i punti vendita Ticketone

14 luglio FEDERICO BUFFA in IL RIGORE CHE NON C’ERA 21 luglio Ballet Flamenco Espanol – Bolero De Ravel Zapateado De Mozart – Flamenco Live 22 luglio Alessandro Haber in PARTONO I BASTIMENTI (Fondazione Sipario Toscana Onlus) spazio Caffè della Versiliana

23 luglio Nicola Losito piano solo Live in FANTASIE NOTTURNE (spazio Caffè della Versiliana) 24 luglio Mariangela D’Abbraccio in NAPULE E’ …N’ATA STORIA 25 luglio Andrea Buscemi in MEMORIE DI UN PAZZO (Fondazione Sipario Toscana Onlus) spazio Caffè della Versiliana 26 luglio PETER CINCOTTI Live 27 luglio Nigel Kennedy! Live nell’ambito del Festival Pietrasanta in Concerto direzione artistica Michael Guttman 28 luglio FORZA, VENITE GENTE! commedia musicale regia Michele Paulicell coreografie Evelyn Hanak organizzazione Club Teatro Musica 29 luglio Antonio Salines e Francesca Bianco in COPPIA APERTA, QUASI SPALANCATA di Dario Fo e Franca Rame regia Carlo Emilio Lerici 31 luglio Keos Dance Project con Emanuele Giannelli ACHILLES DYSTOPIA


1 agosto Concerto lirico sinfonico Orchestra State Opera House of Georgia, Tblisi partecipazione straordinaria di Gennaro Cosmo Parlato in collaborazione con Città di Viareggio e Fondazione Festival Pucciniano 2 agosto VITTORIO SGARBI in LEONARDO DA VINCI 3 agosto FRANCESCO TESEI il Mentalista in THE GAME 6 agosto IL LAGO DEI CIGNI Balletto di San Pietroburgo 7 agosto EDITH PIAF: TRA STORIA E MITO regia e drammaturgia di Monica Menchi (spazio Caffè della Versiliana) 8 agosto JESUS CHRIST SUPERSTAR con Teed Neeley regia Massimo Romeo Piparo 10 agosto EDOARDO BENNATO in Concerto 11 agosto ENRICO LO VERSO in METAMORFOSI altre storie oltre il Mito, dall’opera di Ovidio 12 agosto LOREDANA BERTÈ in AMICHE Sì Summerm tour 2018

13 agosto FABRIZIO MORO tour 2018 14 agosto PUCCINI, LA PASSIONE TRA POESIA E DANZA con Giancarlo Giannini e Emox Balletto 16 agosto MOGOL RACCONTA MOGOL Canzoni, racconti ed emozioni da Lucio Battisti a oggi 18 e 19 agosto MOMIX alla Versiliana 20 agosto BENJI E FEDE in SIAMO SOLO NOISE TOUR 21 agosto MAURIZIO BATTISTA in SCEGLI UNA CARTA 22 agosto VOCI DAL CORTILE di Edna Mazya, regia di Enrico Maria La Manna (spazio Caffè della Versiliana) 23 agosto BEPPE GRILLO in INSOMNIA 24 agosto PAOLO RUFFINI in PINOCCHIO di Carlo Collodi (Fondazione Sipario Toscana Onlus) 25 agosto ANDREA BUSCEMI in IL MERCANTE DI VENEZIA di William Shakespeare (Fondazione Sipario Toscana Onlus)


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LA SOTTILE LINEA ROSSA EUROVISION SONG CONTEST 2018

Leonardo Taddei

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a 63esima edizione dell’Eurovision Song Contest si è svolta, dall’8 al 12 maggio 2018, presso l’Altice Arena di Lisbona. Per la prima volta in assoluto nella storia del concorso, la manifestazione ha avuto luogo in Portogallo, grazie alla vittoria dell’anno scorso di Salvador Sobral con il brano Amar pelos dois, ed è stata condotta interamente da ben quattro presentatrici, Filomena Cautela, Sílvia Alberto, Daniela Ruah e Catarina Furtado. Il 17 settembre 2017, Gonçalo Reis, presidente della RTP, il servizio pubblico di diffusione radiotelevisiva portoghese, aveva inoltre annunciato un ulteriore primato, dato che questa sarebbe dovuta essere l’edizione più economica ed ecologica di sempre. A manifestazione terminata, Jon Ola Sand, presidente dell’EBU, l’European Broadcasting Union, ha comunque difeso questa scelta dichiarando l’evento “un’organizzazione low cost che non ha però rinunciato alla qualità”, nonostante la maggior parte della stampa internazionale sia stata di altro avviso. A conti fatti, oltretutto, il budget di quest’edizione definita “al rispar-

mio”, seppur basso, è stato comunque di 23 milioni di euro, non proprio ridotto fino all’osso, apparendo in linea con i 28 milioni di Vienna 2015 e addirittura più alto dei 17 milioni di Malmö 2013, edizioni entrambe distintesi per una qualità molto alta. Eppure, nonostante la spesa, è stato impossibile non notare nella manifestazione portoghese i numerosi disservizi e le molte falle organizzative.

tilizzo degli inserti grafici visibili dai telespettatori sugli schermi tv. Il concorso è stato vinto, grazie soprattutto al televoto, da Israele con il brano femminista Toy (Giocattolo), interpretato in chiave scanzonata dalla cantante Netta Barzilai, la quale, rispettando le attese della vigilia, ha prevalso su Eleni Foureira e la sua Fuego (Fuoco), artista albanese naturalizzata greca, ma in prestito a

Per usare un altro anglismo, molto meno eufemico, la manifestazione è apparsa più cheap che low cost, attraversando quella sottile linea rossa che l’ha trasformata in un evento molto lacunoso nella parte logistica e piuttosto deficitario dal punto di vista delle informazioni fornite, per non parlare del palco, apparso del tutto inadeguato tecnicamente a causa della mancanza del led wall, presente, invece, nelle ultime edizioni, benché l’inconveniente sia stato risolto, anche se solo in parte, grazie all’u-

Cipro per la gara, favorita secondo i bookmakers e comunque premiata con il Marcel Bezençon Award per la miglior performance artistica. Terzo l’austriaco Cesár Sampson, il più apprezzato dalle giurie tecniche, che, con la canzone Nobody but you (Nessuno tranne te), è riuscito a superare per soli due punti You let me walk alone (Mi hai lasciato camminare da solo) del tedesco Michael Schulte. Il Marcel Bezençon Award per la migliore composizione è stato invece assegnato al brano Bones (Ossa) del

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gruppo bulgaro Equinox, mentre il Barbara Dex Award, l’irriverente premio per il più brutto outfit della manifestazione, intitolato all’omonima cantante belga che nell’edizione del 1993 si presentò sul palco con un abito confezionato da lei stessa e che attirò l’attenzione negativa dei media e del pubblico, è stato appannaggio del gruppo macedone degli Eye Cue, in gara con il brano Lost and found (Persi e ritrovati). Soltanto un ottavo posto per il brano estone La forza, cantato dalla splendida voce lirica di Elina Netšajeva, e deludente anche la tredicesima piazza per il duo francese Madame Monsieur, che, con il brano Mercy (Pietà) sui flussi dei migranti verso l’Europa, hanno però vinto il Marcel Bezençon Award della sala stampa. Nonostante il basso punteggio ricevuto dai giurati, ottima, invece, la rimonta al televoto dell’Italia, quinta nella classifica finale con Non mi avete fatto niente, magistralmente interpretato dai vincitori di Sanremo Ermal Meta e Fabrizio Moro, che si lasciano così definitivamente alle spalle le polemiche per l’accusa di plagio emerse durante la kermesse ligure. Non riesce a ripetere il successo dello scorso anno il Portogallo con O

jardim (Il giardino), cantato da Claudia Pascoal, ultimo dietro alla finlandese Sara Aalto con Monsters (Mostri) e a Storm (Tempesta) della britannica SuRie, protagonista, suo malgrado, di un’invasione di palco da parte del disturbatore, rapper e attivista politico Dr. A.C., il quale, interrompendo temporaneramente la performance, le ha strappato di mano il microfono pronunciando le parole “For the Nazis of the UK media, we demand freedom” Fresco di intervento chirurgico al cuore, che sembra aver risolto, almeno per il momento, i suoi problemi cardiaci, Salvador Sobral si è esibito, durante la serata finale, nell’interpretazione del nuovo singolo Mano a mano, ed in un interessante duetto con Caetano Veloso sulle note di Amar pelos dois, canzone vincitrice dell’Eurovision 2017. In un clima di generale scetticismo, sfociato addirittura in pubbliche accuse di “falsità” e “piccolezza” da parte del rappresentante croato del 2017, Jacques Houdek, è apparsa magistralmente elegante la risposta diretta dell’artista israeliana: “solo amore a Salvador, e a tutti gli artisti di tutti i generi”, ha augurato Netta, che si è poi aggiudicata il concorso proprio con la

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canzone Toy, oggetto del contendere, uno schiaffo morale che ha messo a tacere una volta per tutte la presunzione dell’interprete portoghese. Intanto sale la curiosità per l’organizzazione della prossima edizione, con particolare attenzione alla decisione della location. Sembra che la delegazione e la tv israeliane siano più propense a far ricadere la scelta su Gerusalemme, proprio come nel 1998, città al centro dell’attenzione mediatica in quanto, dal 14 maggio, giorno delle celebrazioni del 70° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, nuova sede dell’ambasciata statunitense nella nazione. I fans e la maggioranza dei membri della stampa internazionale preferirebbero, invece, una manifestazione nella più movimentata, festaiola e tollerante Tel Aviv, obiettivamente la sede più pratica e naturale per il concorso, ma c’è anche, addirittura, chi sospetta, per motivi di sicurezza legati al precario equilibrio di tutta l’area mediorientale, una possibile ricollocazione fuori dal paese, per esempio in Germania, stato che si è già offerto di ospitare l’evento in caso di vittoria della lontana Australia e dei relativi problemi di fuso orario.

Foto di Andres Putting, EBU, RTE, Daily Express, Paola Rita Ledda


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Cannes l’Italia trionfa con Matteo Garrone Andrea Cianferoni

Charlotte Casiraghi Un momento della premiazione di Hirokazu Koreeda Spike Lee

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ilancio più che positivo per i film italiani presenti al festival di Cannes 2018. Il premio per il miglior attore va a Marcello Fonte per Dogman di Matteo Garrone. Quello per la migliore sceneggiatura a Alice Rohrwacher e il suo Lazzaro felice, ex aequo con Nader Saeivar per Three Faces di Jafar Panahi. La Palma d’Oro dell’edizione 2018 va al giapponese Un affare di famiglia di Hirozaku Koreeda. Choc in sala durante la premiazione: Asia Argento ha ammesso «Nel ’97 sono stata violentata da Weinstein qui a Cannes, avevo 22 anni e ebbi una premonizione che mai un Weinstein avrebbe avuto futuro. Non sarà mai più il benvenuto qui», ha detto in modo incendiario l’attrice rivolgendosi alla platea. «Dobbiamo aiutarci perché non accada mai più un tale comportamento indegno, sappiamo chi sei, non ti permetteremo di vivere impunemente». Roberto Benigni, che accompagnava la moglie Nicoletta Braschi tra le attrici protagoniste di Lazzaro Felice, dopo aver saltellato da folletto come d’abitudine, «ho voglia di abbracciare tutto il mondo, ho il cuore in tempesta», ha chiama-

to sul palco aprendo la busta con il premio per la migliore interpretazione maschile, Marcello Fonte di Dogman. «Marcellooo», ha detto Benigni rievocando Anita Ekberg nel film La Dolce Vita. Fonte per l’emozione è rimasto senza parole, chiedendo a Matteo Garrone se veramente non si fossero sbagliati nel chiamarlo sul palco. Piccolo, con la sua vocina, ha ricordato come «da piccolo quando ero a casa mia e pioveva sulle lamiere, chiudevo gli occhi e mi sembrava di sentire gli applausi. Adesso è vero, ed è come essere in famiglia. Siete la mia famiglia, mi date calore, qui mi sento a casa, questa sabbia di Cannes è importante per me. Grazie - ha detto rivolgendosi a Matteo Garrone che dalla sala applaudiva felice il suo protagonista - che ha avuto coraggio e si è fidato di me». Marcello Fonte è l’attore «per caso» scelto da Matteo Garrone per il suo ultimo film Dogman (in sala dal 17 maggio), e che, con la sua tenera e umanissima interpretazione e semplicità, ha con-

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quistato la giuria di Cannes vincendo la Palma 2018 come migliore attore. Nel film, Fonte è il famoso «canaro della Magliana», che trent’anni fa sconvolse la capitale con un truce fatto di sangue. Pietro De Negri (il Marcello del film), mite proprietario di una toelettatura per cani di periferia, nel febbraio del 1988 torturò e uccise un pugile che teneva sotto scacco un intero quartiere a suon di pugni (un uomo grande grosso e prepotente, interpretato da Edoardo Pesce). Il protagonista del film lo considerava un amico, ma poi quello lo ha costretto al carcere con l’inganno, tradendo la sua fiducia e macchiando indelebilmente la sua reputazione agli occhi della gente. Vittima della prepotenza altrui, il buon Marcello cerca così di farsi giustizia da solo e riscattare la sua dignità, diventando suo malgrado l’artefice di una vendetta feroce, che nel film Garrone ha preferito epurare della sua parte più truce (vedi la tortura) senza per questo risparmiarsi la potente escalation del male. «Que-


sta è una storia che poteva succedere a chiunque di noi, e per questo non volevamo cadere nel cliché del personaggio trasformato in un mostro», ha dichiarato il regista. Raccontando come sia stato proprio l’incontro con Marcello Fonte la chiave di svolta di un progetto che era in cantiere da tempo. «L’incontro con lui ci ha allontanato in maniera naturale dal fatto di cronaca e ci ha portato in una dimensione più umana. La sua forza è di riuscire a trasmettere comunque umanità e dolcezza, e a non trasformarsi mai in mostro». Continuerò a sognare, spero solo di non finire come Gesù Cristo: prima acclamato, poi crocifisso, afferma Fonte davanti alla platea di giornalisti che lo vogliono intervistare dopo il suo trionfo. Marcello Fonte è cresciuto nella baraccopoli dell›Archi, quartiere della periferia nord di Reggio Calabria che si affaccia sullo Stretto di Messina. Anni dopo, nel 2015, rievocherà la sua infanzia nel suo unico film da regista, Asino vola, nel quale il piccolo protagonista parla con gli animali e sogna di entrare a far parte della banda musicale del quartiere. Nel 1999 si trasferisce a Roma e grazie agli incoraggiamenti di suo fratello, che è

scenografo, si appassiona alla recitazione. Appare in qualche serie TV, come Don Matteo e il più recente La mafia uccide solo d’estate, in film come Concorrenza sleale, La setta dei dannati e Corpo celeste di Alice Rohrwacher, che per ironia della sorte condividerà con lui il prestigio di essere premiata a Cannes nella stessa edizione.

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Marion Cotillard Jane Fonda Benicio Del Toro Hellen Mirren Salma Hayek e Cate Blanchett

Alice Rohrwacher François-Henri Pinault, Patty Jenkins, Carla Simón, Pierre Lescure and Thierry Frémaux Roberto Benigni con Marcello Forte


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GIOCHI OLIMPICI INVERNALI D Leonardo Taddei

Giochi di fuoco durante la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici 2018 Yuzuru Hanyu, medaglio d'oro nel pattinaggio maschile Foto di Giovanni Auletta, Chang W. Lee, Martin Bernetti, Franck Fife, François Xavier Marit, Matthias Hangst, Patrick Semansky, Jonathan Nackstrand, LaPresse, Getty, ANSA, RAI, Paola Rita Ledda

al 9 al 25 febbraio 2018 si è svolta, in Repubblica di Corea, meglio nota come Corea del Sud, la XXIII edizione dei Giochi Olimpici Invernali, ospitati nella città di PyeongChang, con ben 2920 atleti partecipanti in rappresentanza di 92 nazioni. Nella stessa località si è tenuta anche la XII edizione dei Giochi Paralimpici invernali, dal 9 al 18 marzo 2018. Il medagliere olimpico ha visto primeggiare la sorprendente Norvegia, con ben 39 medaglie totali, di cui 14 d’oro, 14 d’argento ed 11 di bronzo, davanti alla Germania con 31 ed al Canada con 29. Per l’Italia, la prima medaglia è arrivata da Dominik Windisch, col il bronzo nella 10 km sprint maschile di biathlon. Per il nostro paese, però, quest’edizione dell’Olimpiade si è declinata principalmente al femminile, grazie alle tre medaglie d’oro conquistate dalle nostre atlete. La prima è stata quella di Arianna Fontana nei 500 metri dello short track, vincitrice anche di un argento nella staffetta 3000 metri insieme a Cecilia Maffei, Lucia Peretti e Martina Valcepina, in una gara caratterizzata da molte cadute e squalifiche, e di un bronzo nei 1000 metri. Il secondo alloro olimpico è giunto invece dalla gara di snowboard cross, nella quale

Michela Moioli ha potuto riscattare l’infortunio patito nella stessa gara alle Olimpiadi del 2014, dove partiva da favorita. Infine, la terza medaglia d’oro è stata appannaggio dell’attesissima Sofia Goggia, prima vincitrice in discesa della storia dello sci alpino italiano. Peccato per Lisa Vittozzi e Dorothea Wierer nella 12,5 kilometri mass start del biathlon, relegate, rispettivamente, al quarto e sesto posto, entrambe a causa di un errore di troppo all’ultimo poligono, ma che si sono riscattate con il bronzo della staffetta mista insieme a Lukas Hofer e Dominik Windisch, protagonista, quest’ultimo, di un entusiasmante sprint finale con cambio di corsia al limite, che stava per costare alla nostra squadra una squalifica, ma che dopo un’attesa di oltre mezz’ora, per dirimere la controversia relativa al reclamo del team tedesco contro la presunta scorrettezza dell’azzurro, ci ha regalato la gioia del podio. Le altre medaglie conquistate durante la manifestazione sono arrivate grazie alle prove di Federico Pellegrino, argento nella gara sprint di sci nordico, Federica Brignone, bronzo nello slalom gigante di sci alpino, e Nicola Tumolero, bronzo sui 10.000 metri nel pattinaggio di velocità. Da segnalare

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anche i risultati nel pattinaggio di figura, con il quarto posto per la squadra italiana nel team event, ed il sesto posto della coppia composta da Valentina Marchei e Ondřej Hotárek, che ha stabilito il nuovo record italiano, con 216.59 punti, nella gara in cui Aljona Savchenko, in coppia con Bruno Massot, è riuscita finalmente a vincere la medaglia d’oro, l’unico alloro sportivo che ancora mancava nel suo carniere, seppur per soli 43 centesimi di punto davanti alla coppia cinese formata da Sui Wenjing e Han Cong. Sempre nel pattinaggio artistico, storica conferma, con un altro oro olimpico, dopo quello già conquistato a Sochi 2014, per il giapponese Yuzuro Hanyu, primo davanti al connazionale Shoma Uno ed allo spagnolo Javier Fernandez, che ottiene la prima medaglia olimpica della storia dei Giochi invernali per la sua nazione. Da sottolineare anche il quinto posto dell’inossidabile Carolina Kostner nella gara femminile, dominata dalle russe Alina Zagitova e Evgenija Medvedeva, prima e seconda, rispettivamente, davanti alla canadese Osmond. Sorprendente, e sicuramente rocambolesca, la vittoria dell’outsider ceca Ester Ledecká, incredula sul traguardo del super gigante dello sci alpino, per lei che si presentava come campionessa mondiale di snowboard parallelo, ma che nello sci non aveva mai ottenuto nessun risultato di rilievo. Quando, grazie ad una manche magistrale, in testa alla classifica si trovava l’austriaca Anna Veith, oro a Sochi in supergigante e veterana del circo bianco al femminile, ed il team austriaco si stava preparando a stappare lo spumante, tanto che la rete televisiva NBC le aveva già attribuito la vittoria, ecco scendere a tutta velocità, con il pettorale 26, pro-


prio Ledecká, addirittura con sci presi in prestito dalla collega statunitense Mikaela Shiffrin. «Quando ho visto il mio tempo sul tabellone al traguardo ho pensato che si trattasse di un errore, e che avrebbero modificato il risultato poco dopo. Non pensavo di aver fatto una bella gara ed ero convinta di aver commesso molti errori», ha raccontato la ceca in conferenza stampa, dove si è presentata con gli occhiali da sci. «Non credevo finisse così, non mi sono nemmeno truccata». Nella manifestazione paralimpica, invece, dominata dagli Stati Uniti con 13 ori, 15 argenti e 8 bronzi, l’Italia ha addirittura in copertina, oppure in un paragrafo defilato, bisognerà però attendere ancora: lasciar sedimentare la situazione venutasi a creare sarà fondamentale per determinare la condizione di stabilità di quella parte di mondo. Rifacendosi all’ode Il cinque maggio di Manzoni, questa edizione delle Olimpiadi Invernali potrebbe essere riassunta, pertanto, con la citazione: “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza…”.

riscattato l’assenza di medaglie dell’edizione di Sochi 2014, conquistandone cinque in totale, di cui quattro grazie a Giacomo Bertagnolli, in coppia con la guida Fabrizio Casal, rispettivamente due ori, un argento ed un bronzo nello slalom gigante, nello slalom speciale, nel super gigante e nella discesa, ed un ulteriore argento con Manuel Pozzerle nello snowboard cross. Degno di nota, inoltre, il buon quarto posto della squadra azzurra di Hockey su slittino. Molto bella la cerimonia di apertura dei Giochi, sobria e mai eccessiva, molto scorrevole nonostante la lunga durata, con buona musica, dalla lirica a quella dei Beatles, ad accompagnare la storia narrata, ovvero lo sviluppo temporale delle vite di 5 bambini coreani, dai sogni infantili fino alla realizzazione della loro vita professionale e alla senilità. Emozionante il momento in cui al centro dello stadio si è formata la sagoma di una colomba della pace, via via riempita da tante torce elettriche portate dai preziosi volontari, ben 17.300, che hanno sicuramente dato un contributo fondamentale alla realizzazione dell’evento. Sul versante relazioni politiche internazionali, invece, le Olimpiadi di PyeongChang sono state soprannominate le Olimpiadi del disgelo, nonostante le rigide temperature, per lo storico riavvicinamento tra le due Coree, il risultato di anni ed anni di incessante lavoro diplomatico che sembrava non portasse ad alcun risultato tangibile, e che, invece, si è improvvisamente realizzato,

soprattutto grazie all’accorato appello della coppia di pattinaggio sul ghiaccio della Corea del Nord, composta da Ryom Tae-ok e Kim Ju-sik, desiderosi di poter partecipare ai Giochi, anche a seguito dell’eccezionale record personale e medaglia di bronzo ai Four Continents 2018, l’equivalente dei campionati europei per il resto del mondo. PyeongChang è apparsa, effettivamente, come la location ideale per un riavvicinamento tra le parti avverse, trovandosi, infatti, a soli 80 kilometri dal confine tra le due Coree, quel 38° parallelo che vede schierati faccia a faccia i due eserciti l’uno di fronte all’altro, residui di una guerra civile che ha insanguinato il paese dal 1950 al 1953 e che, di fatto, non è mai terminata con un trattato di pace ma con un armistizio, ed è stata ribadita nel 2013 come ancora in corso con la dichiarazione di guerra di Kim Jong-un, il leader della parte Nord. Ed in effetti, nel freddo glaciale della cerimonia di apertura, è avvenuto uno dei gesti più semplici ed allo stesso tempo incredibili della storia d’Oriente: mentre il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in faceva il suo ingresso in tribuna d’onore, sia lui che la moglie hanno stretto la mano alla sorella minore del leader Kim Jong-un, Kim Yo-jong, presente con la delegazione nordcoreana alle loro spalle. Grazie ad una manifestazione sportiva è stata scritta, dunque, una di quelle pagine di storia che finirà con tutta probabilità sui libri di testo. Per scoprire se

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Sofia Goggia durante la gara di discesa dello sci alpino La pattinatrice coreana Yuna Kim durante la cerimonia di apertura dei Giochi Carolina Kostner durante la sua performance L'urlo liberatorio di Sofia Goggia dopo la vittoria nella discesa dello sci alpino La ceca Ester Ledecká durante la gara di snowboard


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TESSUTI BATTISTRADA DELLA MODA sulla pedana della Sala Bianca nell’estate 1957 Roberto Mascagni

La calura del luglio fiorentino non toglie grazia e sorriso alla disinvolta indossatrice, nonostante l'abbigliamento invernale: paltò in lana taglio raglan chiuso a vestaglia con collo e risvolti delle maniche in maglia a coste. (New Press Photo - Firenze)

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a forza motrice della nostra Moda, nel luglio del 1957, sono i tessuti, utilizzati non solo dai disegnatori. Un’altra apripista sono le confezioni in serie. Questo utilizzo porta al pieno sviluppo delle aziende attrezzate per “l’abito fatto” e alla conseguente soluzione della crisi che minaccia l’industria tessile. I compratori apprezzano soprattutto le stoffe, specialmente quelle tessute a mano. Si tratta di grosse lane, compiute con trame diverse e disegni geometrici, a righe multicolori e a balze. I colori sono sempre molto brillanti. Dunque, il prossimo inverno sarà colorato. Se a Firenze spetta il merito di aver presentato, per prima, le collezioni di Alta Moda, a Milano si riconosce quello di aver realizzato il grande progetto del Primo Mercato Internazionale del Tessile per l’Abbigliamento, vale a dire il MITAM aperto ai visi-

tatori qualificati, fra i quali un migliaio provenienti dall’estero. L’organizzazione del MITAM discende da una precisa necessità. Nonostante il successo internazionale del Made in Italy, l’antagonismo di Roma verso Firenze continua, e Giovanni Battista Giorgini compie miracoli per riportare a Firenze alcune Case di Moda romane, decise a presentare in anteprima nelle loro città i propri modelli nei giorni più o meno coincidenti con le sfilate nella Sala Bianca. Il MITAM, il cui segretario è Vladimiro Rossini, direttore dell’Ente Italiano Moda, viene costituito nel 1956 e apre ai visitatori nel 1957 in uno dei padiglioni della Campionaria di Milano. E i fatti dimostrano, da questa prima edizione, quanto sia efficace per la promozione dei tessuti Made in Italy e per la qualità delle materie prime che li caratterizzano, sia per la creatività nell’ideazione dei patterns decorativi e per la raffinatezza delle scelte cromatiche. Un’altra iniziativa vincente è il SAMIA (Salone mercato internazionale dell’abbigliamento), inaugurato a Torino il 24 novembre 1955. Scrive Silvia Mira: «Sembrerebbe che l’idea di istituire a Torino il SAMIA, la si debba a Vladimiro Rossini, direttore dell’Ente Italiano della Moda, il quale, durante una delle mitiche sfilate fiorentine di alta moda organizzate da Giovanni Battista Giorgini, trasse spunto dall’affermazione pronunciata ad alta voce dalla giornalista Mildred Kador: “L’alta moda ci interessa molto ma noi americani vorremmo vedere abiti per tutte le donne!” «Se infatti Giorgini – continua Silvia Mira con una geniale intuizione aveva aperto le porte dell’alta moda e dell’artigianato di lusso italiano al mercato americano,

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fu l’iniziativa torinese del SAMIA a favorire lo sviluppo della moda pronta in Italia rivolta sia al mercato interno che a quello estero» (Silvia Mira, Samia - Un abito per tutte le donne, DeBalena Editore). «L’abito fatto [pronto] non è più soltanto un portato della civiltà americana: è ormai anche una conquista del progresso sociale europeo, alla quale non s’è sottratto neppure il mondo femminile. (…). Nel 1954 tale industria aveva utilizzato 30 milioni di metri di seterie e di tessili sintetici e 19 milioni di metri di tessuto di cotone. Durante lo stesso periodo erano stati confezionati 8,5 milioni di soprabiti, giacche e tailleurs, 3,5 milioni di gonne, 4,2 milioni di camicette, 5,9 milioni di vestiti, 11 milioni di vestaglie. (…). Uno dei principali fattori dell’abito fatto femminile consiste nella sua stretta parentela con le creazioni dell’alta moda». (In: Catalogo Ufficiale del IV Salone Mercato Internazionale dell’Abbigliamento, Torino, 27 aprile - 3 maggio 1957). E veniamo alle sfilate fiorentine. Nel prossimo autunno-inverno 1957/58 niente rivoluzioni: la vita rimane al solito punto, le gonne (a eccezione di quelle di Simonetta che scopre le gambe fino al ginocchio), hanno una lunghezza ragionevole, i mantelli un’ampiezza moderata ma leggera: sono rotondi, le maniche comode, da giro largo, ristrette al polso. Le “boutiques” sono divertenti e coloratissime; e sono proprio questi modelli a essere preferiti dai compratori esteri. La quattordicesima sfilata dell’Alta Moda Italiana è stata inaugurata il 22 luglio, presente James D. Zellerbach, ambasciatore degli Stati Uniti d’America, giunto insieme con l’ambasciatore del Venezuela. Entrambi hanno


espresso soddisfazione nel vedere riuniti a Palazzo Pitti i maggiori rappresentanti del commercio e della stampa specializzata americana: «The New York Times», «Women’s Wear Daily», «Vogue», «Harpers’s Baazar», «Life», «Look». L’attesa dei buyers e dei giornalisti è puntualmente soddisfatta dalla presentazione dei cappelli per signora patrocinata dal cappellificio La Familiare di Montevarchi. I suoi feltri sono ritenuti di una «bellezza incomparabile». Sono copricapo portabilissimi, sotto i quali, riferiscono le cronache giornalistiche, «la fisionomia femminile acquista un fascino nuovo, una linea di classe e di eleganza». I modisti che hanno utilizzato i feltri della Familiare sono il fiorentino Biancalani, Cerrato, Veneziani, Leonella, Export Zacco, Marucelli e Schuberth. La modisterìa è firmata anche da Adria, Avagolf, Baldini, Giara d’Arno, Glans, Myricae, Valditevere, Vito, Mirsa, Avolio, Bertoli, Emilio, Falconetto. Chi desidera esaminare gli accessori, li trova esposti nei saloni del Grand Hotel (l’odierno The St. Regis Florence) in piazza Ognissanti. Essi comprendono borse, cinture, calzature, biancheria, ricami e bigiotterie, dimostrano come i nostri artigiani sanno rinnovarsi a ogni stagione con una impressionante varietà di forme e di colori. Una parola a parte meritano le bigiotterie di Sandra Bartolomei, che realizza i suoi gioielli con pietre dure, coralli, cristalli sfaccettati. Le “parures” da sera comprendono orecchini, bracciali di perle e di metallo sbalzato, le “trousses” (borse/astuccio) sono di argento sabbiato o cesellato. In un tempo non proprio lontano, per gli accessori bisognava rivolgersi a Parigi. Ora non più. Oggi i compratori esteri ammirano attentamente ogni singolo oggetto esposto. Ad esem-

pio, le paglie del fiorentino Paoli (un maestro!) si prestano a tante sofisticate combinazioni: anche per realizzare un mantello, trinato di azzurro, foderato in tinta lucidissima. Questi capolavori di paglia nascono nei sobborghi di Firenze: le donne dell’Impruneta, quelle di Fiesole, del Galluzzo e delle Signe sono maestre in quest’arte: alacri artigiane che intrecciano i fili della paglia stando sedute a circolo sull’uscio di casa. Trasformano i grossi mazzi di fili di paglia in trecce, in ricami, sottovasi per le tavole, canestri, sandali, cappelloni per la spiaggia. (Di quest’arte “nativa”, tramandata da una generazione alla successiva, è rimasto ormai solo uno sbiadito ricordo). Sempre nel giorno inaugurale sono presentate le collezioni “boutique” e gli abiti sportivi. Questi, per mare o per montagna, sono delle Case di moda Glans, Myricae, Falconetto, Valditevere, Avagolf, Vito, Adria, Baldini. La sera concludono le presentazioni “boutique” Mirsa, Avolio, Bertoli ed Emilio di Firenze. Mentre le sue creazioni sono accolte da applausi scroscianti, al Golf dell’Ugolino e nelle quattro stazioni invernali di Abetone, Cervinia e Sestriere, anticipando il 1958 Emilio ha proposto la linea “a goccia”, rappresentata da abiti attillati fino alla vita, svasati alla gonna e rientranti verso l’orlo (bellissime le stoffe, i motivi geometrici, le tinte pastello). Il 23 luglio ecco in passerella l’Alta Moda presentata da Carosa, Capucci, Antonelli, Veneziani. Il 24 sono seguìte le collezioni di Fabiani, Simonetta, Marucelli e Schuberth. La curiosità degli ospiti è nuovamente soddisfatta il 25, quando è il turno del fiorentino Cesare Guidi (riconosciuto come il “maestro sartore” per il taglio sapiente e il perfetto gioco

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delle pinces) e di Gregoriana (Roma). Infine, la sera dello stesso giorno si avvicendano tre giovani firme: Centinaro (Roma), Sarli (Napoli) ed Enzo (Milano). Appagano la curiosità (e il desiderio) dei compratori e dei rappresentanti della stampa specializzata i modelli per il cocktail, mentre per la sera regna lo chiffon variamente drappeggiato. La stessa stoffa è stata utilizzata per realizzare dei mantelli “invernali” che sembrano un controsenso, poi ci si accorge che sono foderati di pelliccia. E la Moda maschile? Ovviamente, non è mancata. Comprensibile curiosità hanno suscitato nel pubblico alcune creazioni di Brioni (di Roma), che ha proposto abiti da passeggio, da sera e da matrimonio. Un vestito da sera rosso e nero è stato però quello che ha provocato i commenti più diversi. Tuttavia, il taglio perfetto degli abiti di Brioni è stato generalmente apprezzato. Il 26 luglio, come tutte le mattinate precedenti, è stato dedicato alle contrattazioni in Palazzo Strozzi, che interessano oltre 100 complessi commerciali stranieri, 96 corrispondenti della stampa estera e 64 di quella italiana, compresa la RAI. Un successo, insomma. L’incoraggiamento a proseguire viene appunto da questa numerosa presenza di compratori. Fra questi due nomi “storici”: Hannah Troy di New York, e quello di Russell Carpenter della California, che con la loro continua presenza, ma soprattutto dei loro acquisti, hanno insegnato molto a chi deve vendere. Russell Carpenter rappresenta la famosa catena dei “magazzini” Magnin-California, un complesso di prima grandezza e fra i più eleganti degli Stati Uniti. Uno dei primi a “scoprire” la Moda Italiana e uno dei più fedeli amici.

Tailleur in lana tweed con collo a sciarpa. Cloque e guanti assortiti. (New Press Photo, Firenze) Completo in giacca di lana: abito e giacca con maniche 3/4 e collo sciallato con motivo riportato sui due mezzi davanti. Cappello a turbante. (New Press Photo, Firenze) Tailleur con giacca con maniche 3/4, collo a giro e gonna a tubo. Cappello a toque in feltro. (New Press Photo, Firenze)


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Federica Farini

MILANO salone del mobile


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dall’estate all’autunno 2018, la moda lui e lei Federica Farini

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a donna dell’estate 2018 incede sicura di sé, divertente, leggiadra: le trasparenze e i tessuti delicati color pastello imperano come diktat chic e mai volgare. Il total white o tinta unita tenue spunta nei completi giacca/pantalone, ma, per rottura, vince anche il suo contrario: mix arcobaleno (quasi Arlecchino), di Missoni in primis. Il floreale (Max Mara) torna di gran moda, insieme agli “slogan”: t-shirt che raccontano modi di vivere attraverso parole e frasi contemporanee (Louis Vuitton). Scanzonati i pantaloncini, che da shorts-culotte si trasformano in più morbidi e larghi, dalla lunghezza appena sopra il ginocchio, più maschili (Miu Miu, Louis Vuitton). Micro top con pancia a vista, come bikini da strada (Tom Ford). La stagione più cal-

da dell’anno non può certo privarsi del pizzo bianco, fresco, di classe e fine negli abiti di Puglisi, Moncler ed Etro. Le paillettes e il laminato servono per brillare da protagoniste (Louis Vuitton e Paco Rabanne). Il costume da bagno è intero: anni ’80 (sgambato), ma anche ’50 con cintura in vita (Versace, Gucci, Bottega Veneta). Gli accessori si mostrano sempre più spiazzanti, divertenti ed eccentrici, come un quadro futurista sul resto dell’outfit: borse etniche cariche di applicazioni (Dior, Etro e Stella McCartney), scarpe barocche, frangiate, tempestate di piume, perline, cristalli e orecchini XXL, mono e non (Anabela Chan, Sachi & Babi, Swarovski, De La Renta). Da Londra a Parigi, da Firenze a Milano, l’uomo dell’estate 2018 abbraccia il gusto che mixa il retrò a un abbigliamen-

to più “cargo”, dove formale e informale convivono. Il pastello (lilla, giallo e azzurro) vince sui total look di capispalla, maglie e pantaloni, la cui vita si fa alta e con pinces, con alternanza di pezzi svasati a morbidi. Il guardaroba mischia capi e stili come se non esistesse stagione: visiere, sandali, ciabatte, felpe e piumini, ad assecondare le previsioni meteorologiche spesso altalenanti e improvvise. Gli scenari sono molteplici: dall’uomo tradizionale a quello più festaiolo dei coloratissimi parties di Los Angeles. Gli abiti parlano attraverso stampe e slogan: nuove identità per declinare i loghi dei brands (Valentino, Dior, Burberry).

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Aspettando l’autunno - inverno 2018/2019 - se il passato della donna autunno 2018 suona sempre rassicurante rispetto a un futuro meno prevedibile, la giacca e il blazer si trasformano in mini abiti per Emporio Armani e Philosophy di Lorenzo Serafini, mentre Versace propone mini tailleur anni ’90. Il pied de poule ritorna e i quadri vincono, dal principe di Galles al plaid - con un tripudio di quadri sovrapposti a diverse misure (Missoni e Trussardi) e completi maschili marroni (Bottega Veneta). Le gonne sono maxi e le t-shirts stampate, gli abiti fluttuanti; di moda anche il tessuto di lana black & white (Calvin Klein e Louis Vuitton). Gli urlanti anni ’80 dominano con i volumi esagerati XXL: volants, ruches, spalline (Laura Biagiotti), fiori, bomber, cappelli (Marc Jacobs, Alberta Ferretti e Saint Laurent) e con l’icona di Topolino. La vita è alta, sia per pantaloni con le pinces, sia per i leggings. Gli spacchi di gonne e abiti sono profondi e laterali (Chloé e Dior). La pelle da capo a piedi piace (Ferragamo e Tod’s). E siccome oggi si corre sempre, lo stile sporty non passa mai di moda e si eleva al lusso, con i suoi completi da sci raffinati, le tute e i piumini decorati (Sportmax, Marni e Wang). Marrone, senape e ocra come gamme cromatiche insieme al rosa: il fluo non perde terreno, il verde e giallo acceso sono presenti (Moschino e Prada). Glitter, laminati, muccati e animalier (per gli accessori Max Mara). Si gioca

con tutto: western-cowboy (Versace e Hermés), calze di pizzo, stivali impermeabili, maxi borse maschili di pelle ed ancora il marsupio. L’uomo autunno 2018, già protagonista di Pitti 93, vive dell’importanza degli anni ’60, che caratterizzano Paltò Coat (Lucca), brand ispirato dall’intramontabile eleganza di trench e cappotto: doppiopetti in velluto effetto vintage, tessuto tweed rivisitato nella resa sartoriale, monopetti in principe di Galles. Cappelli e coppole per tutti (un modello tradizionale Doria 1905?). Montagna e trekking per Zegna e Diesel, e per un tocco di energia, sì ai colori forti oltre ai classici marroni, blu e nero. Valentino propone un maschio che veste sportivo e grintoso, senza mai perdere il fascino del “sopra le

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righe”: tute, bomber, cappelli e calze sportive, teli da bagno e accessori da gioco griffati dall’immancabile firmalogo come impronta digitale. A volte eccentrico senza inibizioni - come negli abiti stampati e fiorati di Gucci, privi di genere maschile o femminile, nel broccato e stampe “angeliche” di Dolce & Gabbana - oltre il tutto, per una moda senza confini e pronta a conquistare il futuro.


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PACKAGING PREMIÈRE Angela Colombini

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a seconda edizione dell’esposizione dedicata al packaging di lusso ha chiuso con 4800 visitatori provenienti da 30 paesi diversi nei tre giorni di manifestazione, un +60% di presenze per l’evento che si è svolto al MiCo Milano Congressi dal 15 al 17 maggio 2018, a dimostrazione dell’importanza del packaging quale elemento imprescindibile e fondamentale in tutti i settori. Oltre 200 espositori provenienti da 12 paesi hanno confermato Packaging Première quale piattaforma ideale dei brand del lusso dove i produttori possono dialogare e creare nuovi business: un’esposizione selettiva che si impegna a valorizzare l’innovazione formale e sostanziale delle aziende che operano nella filiera del packaging e legate ai settori di moda e accessori, di orologi e gioielli, di cosmetica e profumeria, di vini e distillati di pregio, di eccellenze alimentari. La pelle ovviamente domina in questo settore, sia come oggetto interno e quindi come prodotto di qualità da confezionare, sia come materiale utilizzato per realizzare l’involucro, il packaging di lusso.

Molte le aziende presenti che hanno esposto i loro prodotti nel segno dell’ecosostenibilità, ad esempio con confezioni riutilizzabili, convertibili in oggetti d’arredo; il packaging è già predisposto per essere riutilizzato, ad esempio sul fondo della confezione di un vasetto di miele DOP sono stampati i numeri dell’orologio e all’interno l’acquirente troverà un kit per la trasformazione, oppure l’idea di G. F. Smith che produce carte partendo dalle tazze utilizzate dagli inglesi nelle pause d’ufficio. Ma la novità più entusiasmante è senz’altro l’utilizzo di luci a led alimentate con batterie ultrasottili che possono essere applicate tra i cartoncini che compongono la confezione. Non solo business, ma anche formazione durante l’evento, ben 17 i convegni organizzati per approfondire le diverse aree tematiche e che hanno visto avvicendarsi importanti rappresentanti dei vari settori. Una grande novità di questa seconda edizione è stata la Packaging Première Paper Art Gallery: un esclusivo spazio dedicato all’arte della carta. 5 artisti di fama mondiale hanno condiviso lo spazio di ingresso alla manife-

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stazione: Elena Borghi che disegna su muri, carta e ogni superficie dove possa scorrere il suo caratteristico tratto nero. Caterina Crepax che scolpisce con la carta abiti sontuosi dai dettagli sorprendenti, raffinati oggetti del desiderio. Elisabetta Bonuccelli che realizza attraverso la tecnica dell’origami progetti di carta per eventi, installazioni ed allestimenti, packaging, comunicazione. Lorenzo Petrantoni che realizza incisioni tratte da vecchi manuali e dizionari d’epoca, illustrazioni inconfondibili con le quali restituisce vita a parole, avvenimenti e personaggi altrimenti dimenticati. Patricia Sartori che crea su tela composizioni equilibrate ed eleganti dai colori rosso, nero e bianco, cari ai maestri del design italiano. Appuntamento dunque alla prossima edizione di Packaging Première, l’unico evento in Italia che si pone come punto d’incontro privilegiato tra designer, produttori del settore luxury e brand internazionali che riconoscono nel packaging le potenzialità di una comunicazione esclusiva e attenta ai cambiamenti in atto nel panorama dei prodotti d’alta gamma.


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curiosità e tendenza estate 2018 I

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l pantaloncino velato antisfregamento. Le irritazioni dovute allo sfregamento dell'interno coscia non sono più un problema. Tutte le donne possono riscoprire il piacere di camminare sentendosi femminili e a proprio agio e indossando abiti e gonne. Disponibile in due colori, discreto sotto i vestiti e con un raffinato decoro in pizzo, grazie al corpino velato è perfetto con qualsiasi outfit sparendo completamente sotto abiti e gonne. www.personalizesize.it

’estate 2018 vede le borse di paglia come l’accessorio più amato e ricercato. Un grande ritorno sulle spiagge, ma soprattutto un’idea vincente e alla moda da sfoggiare in città. La vera tendenza del 2018, è proprio questa: usarle come borsetta da abbinare per tutti i look da giorno, non solo al mare ma anche in città. Oggi in commercio se ne trovano davvero di tutti i tipi, a cestino o tracolla, da quelle con i manici bordati da foulard a quelle con divertenti o preziosi dettagli applicati; e perché no? Crearsela da sole utilizzando, per essere in tema di riciclo, quello che abbiamo in casa: nastri, bottoni, spille e vecchie collane e tanta tanta fantasia.

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cappelli di paglia sono uno degli accessori più chic che si vedono sulle spiagge di tutto il mondo. Yosuzi (tradotto significa fiore di cactus) è il nome di un brand e della sua fondatrice, una ragazza di origine venezuelana che nel 2014 ha dato vita ad una linea di cappelli di paglia luxury. La collezione di Yosuzi esplora la spiritualità e il simbolismo delle stagioni, dell’acqua, delle piante, della terra, degli animali e del cielo. Per contrapporsi alla tavolozza neutra di un paesaggio polveroso ed arido del deserto, la collezione è caratterizzata dalla scelta di colori vivaci realizzati manualmente per rendere omggio all’amore ed al rispetto che i Guaijro hanno per la natura. I cappelli sono realizzati al 100% con la paglia di palma che viene raccolta e intrecciata usando una tecnica di tessitura diagonale unica al mondo e tramandata da generazioni tra le donne della tribù Guajiro del Venezuela. Per realizzare un cappello sono necessarie dalle 8 alle 12 ore di lavoro, oltre all’intreccio della paglia vengono usate passamanerie ed un nastro di grosgrain nell’interno che rende il cappello di paglia più confortevole. www.yosuzi.com

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che confusione!

un po' di chiarezza sulle allergie e intolleranze alimentari Paola Baggiani

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i parla spesso di allergie e intolleranze alimentari, ma le idee su questo argomento sono ancora confuse. L’erronea attribuzione di numerosi sintomi ad allergie alimentari rappresenta ad oggi un problema; negli ultimi anni si è assistito ad un'enorme diffusione di regimi alimentari restrittivi basati su test diagnostici di “intolleranza alimentare” quali soluzioni a diversi disturbi e patologie. L’allergia è una reazione avversa ed esagerata del sistema immunitario che si scatena in risposta ad un antigene o allergene; è spesso ereditaria e si rivela nei primi anni di vita. A seconda del meccanismo patogenetico, si distinguono allergie alimentari IgE mediate e non IgE mediate. La prima, che avviene in soggetti geneticamente predisposti all’atopia, è dovuta a formazione di anticorpi specifici della classe IgE; mentre le reazioni non IgE mediate sono determinate da immunoglobuline della classe IgG; non si manifestano immediatamente dopo l’assunzione di cibo, ma fino a 72 ore dopo. Il sistema immunitario produce anticorpi contro le proteine dell’alimento e la reazione è dose indipendente,

cioè per esempio il sistema immunitario di un soggetto allergico alle fragole reagisce in modo esagerato anche se la persona consuma un solo frutto; cioè anche una dose minima è percepita come pericolosa per l’organismo, che viene difeso. I cibi causa di allergie alimentari nell’adulto, sono in circa il 90% dei casi le arachidi, le noci, il pesce (fra i quali il più allergizzante è il merluzzo), e i crostacei; e nel bambino l’uovo, il latte, il pesce, il grano, le arachidi e la soia. I sintomi delle allergie alimentari sono i più vari potendo colpire quasi tutti gli organi e apparati, con rinocongiuntivite, asma, vomito, diarrea, eczema e orticaria, fino a reazioni estremamente gravi come edema della glottide e reazioni anafilattiche gravi. È importante segnalare il fenomeno della “cross reattività”: molti alimenti hanno allergeni in comune, oppure la sensibilizzazione ad alcuni frutti e vegetali è associata alla sensibilizzazione ad altri alimenti appartenenti alla stessa famiglia botanica. Ad esempio, chi è allergico alle arachidi può sviluppare reazioni allergiche ad altri legumi come fagioli, piselli lenticchie. Ricordiamo infine la possibilità di una anafilassi indotta da esercizio fisico che segue l’ingestione di un alimento a cui il paziente risulta poi allergico; tali episodi non sono prevedibili e si verificano se l’attività è svolta entro due ore dall’assunzione di alimenti. La diagnosi di allergia viene effetuata dal medico specialista, attraverso test cutanei come Skin Prick test: si utilizzano estratti fluidi commerciali di vari alimenti, oppure alimenti freschi (Prick by prick), pungendo la cute in corrispondenza di una goccia di esso. La lettura avviene dopo 20 minuti e il risultato è positivo se c’è arrossamen-

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to e gonfiore lieve. Test sierologici di laboratorio con dosaggio delle IgE. Diete di eliminazione che consistono nell’eliminazione dell’alimento/i per due settimane, verificando l’assenza o riduzione dei sintomi; Test di provocazione orale (TPO). L’intolleranza alimentare è una reazione tossica dell’organismo, dove non viene coinvolto il sistema immunitario; le reazioni che scatena sono dose dipendenti, talvolta possono ritardare di ore o giorni rendendo difficile l’identificazione eziologica. Le intolleranze alimentari possono essere di tipo enzimatico o di tipo farmacologico. Le prime sono determinate dalla carenza o assenza di determinati enzimi come l’intolleranza al lattosio dove esiste un deficit di lattasi. Il deficit può essere congenito, presente alla nascita, oppure deficit ad esordio tardivo, il più diffuso, presente nel 65% della popolazione adulta, dovuto al decadimento dell’attività lattasica che si verifica sopratutto nelle popolazioni mediterranee; oppure dovuto ad un danno intestinale come nelle gastroenteriti, nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, nella celiachia, o semplicemente per cambiamento delle abitudini alimentari. Le intolleranze farmacologiche, sono reazioni determinate da sostanze, le amine vasoattive, come l’istamina, la tiramina, presenti in alimenti in scatola, vino, birra, formaggi stagionati, pomodori; la feniletilamina presente nel cioccolato. Risultano implicate anche caffeina, teobromina (thè e cioccolato). Infine intolleranze alimentari da meccanismi non definiti: legate all’assunzione di additivi utilizzati nell’industria alimentare come coloranti, addensanti e conservanti, che con-


tengono nitriti, solfiti, nitrati, benzoati. La malattia celiaca è una patologia cronica, geneticamente determinata ed immuno-mediata dovuta ad intolleranza al glutine proteina presente in molti cereali come frumento avena, farro, orzo, segale; è caratterizzata da enteropatia di grado variabile, con manifestazioni come diarrea, meteorismo, stipsi e dimagrimento. Si associa spesso con altre malattie autoimmuni come ipotiroidismo, psoriasi, ecc. Per la diagnosi esistono specifici test diagnostici: dosaggio degli anticorpi antigliadina, antitransglutaminasi, antiendomisio. Le intolleranze alimentari si manifestano con sintomi prevalentemente localizzati all’apparato gastroenterico, con gonfiore addominale, alterazione dell’alvo, dolori addominali, vomito. Meno di frequente è presente emicrania, stanchezza, orticaria, asma. Le manifestazioni cliniche sono meno gravi rispetto a quelle tipiche dell’allergia alimentare. L’eliminazione dell’alimento incriminato non è tassativa, basterà limitarne il consumo; a volte si può suggerire l’astensione totale per brevi periodi di un determinato alimento, per ricreare il patrimonio enzimatico necessario alla digestione. La diagnosi di intolleranza è una diagnosi per esclusione, è possibile dopo

aver escluso un’allergia alimentare ; in caso di sospetto di intolleranza al lattosio il test di diagnosi utilizzato è il Breath test, che valuta la presenza di H2 nell’aria espirata. Nel caso di intolleranze da meccanismi non definiti è possibile effetuare il test di provocazione con la somministrazione dell’additivo sospettato. L’erronea attribuzione di numerosi sintomi e disturbi a determinati alimenti e alle intolleranze alimentari, e il grande interessamento da parte dei media nei confronti di allergia/intolleranza, ha determinato la nascita di numerosi test diagnostici fantasiosi e inappropriati, privi di attendibilità scientifica. Sono metodiche molto richieste e praticate, perchè non invasive e che offrono una diagnosi “immediata e certa”; propongono regimi dietetici che dovrebbero far scomparire i sintomi allergici in tempi brevi, ma che spesso sono regimi restrittivi e carenti da un punto di vista nutrizionale che possono indurre deficit e ritardare la corretta diagnosi. Il test citotossico, i test kinesiologici, il vega test, l’analisi del capello, l’iridologia, il pulse test, la biorisonanza, in studi clinici controllati non hanno dimostrato alcuna evidenza scientifi-

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ca e nessuna affidabilità diagnostica e pertanto non devono essere prescritti. La terapia delle allergie e intolleranze alimentari consiste nell’esclusione dalla dieta degli alimenti in causa, essa rappresenta il cardine della gestione di tutte le reazioni avverse e riveste un’importanza fondamentale anche in fase di diagnosi. È necessario escludere dalla dieta gli alimenti responsabili, una volta individuati con l’aiuto di un allergologo, mentre il dietologo deve formulare una dieta che supplisca ad eventuali carenze, varia e sostenibile. Diete di esclusione autosomministrate, oppure basate su un semplice elenco di alimenti da eliminare, come risultante dei test diagnostici privi di validità scientifica suindicati, possono comportare rischi nutrizionali nella popolazione adulta e sopratutto pediatrica.


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Pillole d’estate F

inalmente eccoci al periodo più frizzante dell’anno. l’estate. Anche se ancora, singhiozzano sprazzi di primavera e piogge residue, ormai iniziamo sempre di più ad entrare in mentalità summer time: piedi nudi, colori sgargianti, aperitivi lungo mare. Ecco perché siamo qui a darvi i 5 must dell’estate: • Gonfiabili XXL e mini bar: si chiamano Party Bird Island: colorati unicorni, pavoni, fenicotteri in dimensioni gigante. Il trend dell’estate all’ora dell’aperitivo sembra questo e siamo certi che Instagram ce ne darà dimostrazione. Cercali su www.samsclub. com • Wedding Party: dopo il Royal Wedding tra Harry e Megan, che ha tenuto il mondo incollato alla Tv, dando di nuovo la speranza che tutte possiamo diventare principesse, sarà l’estate del matrimonio più social d'Italia. Ad agosto Chiara Ferragni la web business più potente d'Italia e del mondo, sposerà Fedez. Dopo averci aggiornato giorno per giorno sulla vita del loro piccolo Leone, sarà il momento di aggiornarci sui dettagli di nozze. Stay tuned! • Punta tutto sul Giallo: Sole, Limone, Luce, Calore. Il vero colore dell’estate è il giallo! Dopo che Amal Clooney lo ha celebrato al Royal Wedding, è stato consacrato come il vero colore dell’estate, ma indossatelo con misura: sì al giallo zafferano, no all’ocra! Il top è la stampa floreale o tropicale su abito vintage. • Leggi che ti passa: consiglio per la lettura estiva è assolutamente l’ebook. Anche noi preferiamo l’odore della carta e il calore del libro, ma in estate bisogna essere pratici. Via al riflesso sullo schermo, porta quanti

doro a una buona amatriciana anche in estate. La tendenza dell’estate è per la frutta secca, gustosa in insalata magari accompagnata da fiori. Bevande detox, centrifughe e frullati, ovviamente di stagione.

libri vuoi in valigia e approfitta degli sconti on line.Consigli? Wonder di R.J. Palacio per imparare il meglio della vita da un bambino meraviglioso. Dentro l’acqua di Paula Hawkins per vivere una storia di adrenalina indimenticabile. L’arte di ascoltare i battiti del cuore di J.P.Sendeker per una storia di amore puro. • Food trend: il vero cibo parla italiano dal classico spaghetto al pomo-

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Eleonora Garufi


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

Via Brunelli 13/17 56029 Santa Croce sull’Arno (Pisa) Tel. uff. 0571 366072 - 360787 Fax 0571 384291

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Conceria San Lorenzo Spa Via Provinciale Francesca Nord, 191-193 56022 Castelfranco di Sotto (PI) - Italy Tel. +39 0571478985-6 Fax +39 0571489661 www.sanlorenzospa.it - info@sanlorenzospa.it


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771973 365809

Anno XX n. 2/2018 Trimestrale € 10,00 20182 ISSN 1973-3658

POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1,COMMA 1 C1/FI/4010

Centro Toscano Edizioni

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