Centro Toscano Edizioni POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1,COMMA 1 C1/FI/4010
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Anno XXI n. 2/2019 Trimestrale € 10,00
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EDITORIALE
Un pianeta da amare U
n lungo inverno quest’anno, fatto di molti impegni e situazioni, non tutte positive. Un inverno così lungo tanto da inglobare anche la primavera, come si dice da anni, non ci sono più le mezze stagioni. Purtroppo è così, a partire dal clima, comprese molte situazioni ambientali, sono certamente peggiorate. Queste variazioni vengono subite a causa dei comportamenti passati e attuali e di come noi interpretiamo e viviamo la nostra quotidianità. Quello che noi consideriamo progresso, evoluzione e ricchezza in molti casi indebolisce il pianeta e impoverisce le sue risorse. Sapevate che uno degli indici di ricchezza di una comunità, é legato a quanti rifiuti produce? Più produci rifiuti, più consumi, più ricchezza hai! Ciò, non considera invece, un altro aspetto interessante: la qualità di vita di una comunità, se si vive bene in un paese, in una città o in una nazione. Adoperiamoci per non compromettere ulteriormente il nostro globo-terracqueo. Occorre ogni impegno per non trovarsi al punto di non ritorno. Argomenti da affrontare non solo ai “grandi tavoli” ma anche per noi quotidianamente. Stiamo facendo molti rifiuti, si trova plastica dappertutto, nei mari si sono formate vere e proprie isole, non solo dobbiamo produrre meno rifiuti, ma anche fare attenzione nello smaltire. Nella provincia di Pisa troviamo realtà di grande eccellenza nell’industria dello smaltimento, ma tutto deve partire da noi e dalle nostre attività, dobbiamo usare bene i materiali e riutilizzare scarti per produrre materiali o prodotti per nuovi utilizzi. Avrei potuto semplicemente dire: riciclare, ma sembrava molto riduttivo; Se mi permettete, nella zona del comprensorio del cuoio, tutti giorni le aziende sono orientate verso questa direzione, rendendo una lavorazione, la concia della pelle, che veniva giudicata da terzo mondo, una vera e propria attività di produzione di un materiale di grande pregio, strettamente legato alla moda, all’industria, al design; il tutto in un’etica di rispetto delle persone e dell’ambiente. Ininterrottamente vengono fatte ricerche per riuscire a ottenere il minimo impatto ambientale applicando nella ricerca e nella sperimentazione grandi risorse umane ed economiche investendo milioni di euro. Certo, l’assoluto non esiste, in nessuna situazione e realtà, ma tutto viene eseguito ad altissimi livelli. Alcuni si domanderanno che nesso c’è, fra questo argomento e il rispetto del pianeta? Alla sostenibilità, al riciclo o addirittura all’economia circolare? Ricordiamo, che bovini e ovini vengono allevati per produrre prodotti alimentari, maggiormente nel caso degli ovini, e poi macellati insieme ad altre specie animali per l’alimentazione. Questa è una realtà mondiale anche se oggi in molti non si cibano più di carne, addirittura c’è chi ne disdegna anche i derivati, la produzione di carne e sottoprodotti è sempre notevole, lo “scarto“, necessità di smaltimento, tra questi, anche la sua pelle. Questa viene acquistata dall’industria conciaria, lavorata e messa in commercio sotto forma di nuovo materiale, “pelle finita“, il tutto creando un indotto di notevole valore economico. Capirete bene a questo punto che il concetto, che si deve trasformare in un messaggio forte, chiaro e preciso è: la pelle dell'animale abilmente trasformata, diventa uno dei prodotti trainanti del Made in Italy, altrimenti sarebbe solo “scarto alimentare“. Segueteci nella lettura dei nostri articoli, in questo numero avrete ulteriori chiarimenti, o forse come piace pensare a me, vi farete altre domande.
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Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658
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In copertina: Giovanni Maranghi, Fleur, Kristal morbido, 35x35 cm
Reality numero 92 - Giugno 2019 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 Reg. ROC numero 30365 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2016 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.
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SOMMARIO Reality
ARTE MOSTRE letteratura territorio storia 10 20 22 24 26 28 30
Un viaggio con Maranghi Alle origini del genio Edicole della Memoria Appunti d'arte Un viaggio laico verso il sacro Newton. What else? Kwade, Tremlett, Tuttofuoco
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Dall’italico stivale alla Svizzera Donatella Lippi Craft The Leather State of the Union Una filosofia di vita Harry gioca la partita del cuore Grandi traguardi
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Pittori resistenti insieme Un borgo per l’arte Spigolature L’arte in Italia Urania a Pisa Lo zoo di Firenze Lizzatori apuani
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SOMMARIO Reality
spettacolo EVENTI economia società COSTUME 65 66 68 70 72 73 74
Yogurt Gentilezza e umorismo Incontri ravvicinati del terzo… Arte & Bioetica Nude beach Novità editoriali Cannes, Palma d’oro al coreano
Elisabetta de Vito Pierrot sui tetti La saga di Nane Oca Leonardo musico Paolo Migone Villa Bellosguardo Sotto questo sole
76 78 80 82 83 84 86
pagliacci OPERA IN DUE ATTI DI RUGGIERO LEONCAVALLO
Un tuffo nel Medioevo LXXIII Festa del teatro Villa Bertelli 11 Lune a Peccioli Pietrasanta in concerto La Versiliana 65° Festival Puccini
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artista
un
viaggio con
Maranghi
C’è una voce fuoricampo, all’inizio di un film dedicato alla vita di Jean-Michel Basquiat, che recita: “Quale artista non vorrebbe saltare sulla barca di Van Gogh? Per quanto terribile il viaggio possa essere, nessuno rinuncerebbe ad intraprenderlo.” Mi piace. Giovanni Maranghi
L’inganno figurativo di un astrattista
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di Angelo Crespi
l disegno è un’ossessione. Svela le remote vie dell’inconscio che si appalesano attraverso gli archetipi sognati e rammemorati, così ha spiegato Jung. Più ancora della scrittura che ha una parte razionale, il disegno emerge dal profondo del nostro essere come una pulsione non controllata. In esso risiede una potenza divinatoria, la capacità cioè di predire cose. Eraclito l’oscuro, il primo tra i filosofi antichi, in suo frammento ammonisce: “Il signore che ha oracolo in Delfi non dice, né cela, fa segni”. Appunto, Apollo che è il dio delle arti, non parla apertamente e neppure nasconde, ma disegna e pre-dice, proprio perché nel di-segno resiste il mistero dell’io che l’ha modulato, il segno che è simbolo ed è in grado di significare oltre quello che appare e mostra. Il disegno è però anche un atto di amore: secondo la leggenda tramandata da Plinio il vecchio, la pittura sarebbe nata per incantamento, quando la figlia del vasaio Butade, seguendo l’ombra proiettata dalla luce di una lanterna, tracciò sul muro il profilo del volto dell’innamorato in procinto di partire. Il disegno è un’ossessione. Ed è il primo aspetto che si coglie nel lavoro di Giovanni Maranghi, pittore di raffinata tecnica, la cui espressione più naturale è però quella del tratto semplice, sia quando viene utilizzato per raffigurare le sue tipiche donne, bellissime, conturbanti, in primi piani ammiccanti oppure quando sedute, le gambe accavallate, i seni prosperosi, assumono pose da dive del passato; sia quando il disegno diventa una controscrittura rispetto al primo piano del dipinto, un sottotesto che racconta altro, quasi fosse
Wasabi, olio su policarbonato cm 40x30 Foto di Gugielmo Meucci
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una seconda narrazione. L’ossessione si appalesa nello studio dell’artista a Lastra Signa, nei pressi di Firenze, dove gli scarabocchi che seguono una sorta di stream of consciousness saturano gli spazi, dove il ritaglio e la reliquia casuale diventano opere autosufficienti, o ancora nelle plastiche soprapposte che da anni utilizza e nelle quali urne e brocche disegnate contengono, a loro volta, compresse nell’ovale della forma, sottotraccia altri infiniti ricordi di un immaginario diario di vita in bianco e nero, ancora donne e architetture e nature morte, in un gioco surreale di affastellamento e riempimento dei vuoti. Poi, credo ci sia l’amore che spesso coincide nei grandi artisti con l’ossessione. Le donne raffigurate da Maranghi non sono reali (quand’anche lo siano), bensì somigliano a idealtipi, paradossalmente più forme che corpi perfino quando l’artista tende a sovraesporne la corporeità esse - a ben guardare - si mostrano allo sguardo dello spettatore solo nel profilo; come nel racconto di Plinio, è il contorno che le definisce e ci permette di appuntarle al muro e mandarle a futura memoria, non hanno carne né pelle, sono incorporee, fantasmi, esi-
ste solo l’involucro esterno, memoria del dentro, stampiglio che permette di riprodurne all’infinito una serie, in un delirio d’amorosi sensi tra creatore e creatura. Ci preme però individuare l’essenza profonda del lavoro di Maranghi che, solo a uno sguardo superficiale, appare essere il disegno, così come si sono limitati a notare precedenti critiche e come lui stesso vuole farci credere. Se non disegnasse per ossessione e amore, in verità sarebbe un astrattista. I tagli geometrici e di colore, le linee dritte quasi fluorescenti, i quadrati o i rettangoli in tinta piatta che evidenziano parti del quadro o le nascondono, o gli fanno da sfondo, non sono maquillage, sovrapposizioni posticce, semmai i punti nodali della composizione, perfino se sono interventi minuscoli lì va a finire lo sguardo e, a maggior ragione e con più forza, quando definiscono la tela in macro campi di colore, assumendo forma autonoma di quadri nel quadro. A riflettere bene, sembra che a Maranghi interessi più il colore della figura e in questa predilezione sta il suo essere eminentemente, seppur nascostamente, un pittore astratto che utilizza le forme base e i pigmenti
Pink flamingos, kristal morbido cm 30x36
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per trasferire sentimenti, oltre la congerie di cose reali con cui ci illude. Longhi definirebbe il suo uno “stile coloristico puro” e solo mistificando lo potremmo definire uno “stile lineare”, perché la redenzione della realtà visiva sotto specie di linea e di contorno è l’inganno con cui l’artista toscano ci svia per poi dare l’affondo che è di altro tipo. Se non disegnasse per ossessione e amore, e potessimo levare quello che giustamente Ivan Quaroni ha definito il “rumore di fondo”, Maranghi sarebbe un pittore aniconico, arriverebbe a proporre monocromi rossi o arancio nella perfetta levigatezza vellutata dell’encausto, che tra tutte le tecniche utilizzate - la resina, il plexiglass, il crystal, (una pellicola trasparente in PVC) - è quella più antica e convincente. Depurati della loro finzione narrativa, di una superfetazione debordante, appunto del brusio di fondo, i suoi lavori appaiono per quello che sono, stupendi quadri astratti in cui domina il colore e la superficie, veri e propri color field in cui l’algida e scostante raffinatezza minimalista del suprematismo vira al pop e al barocco dei rossi, dei porpora, dei viola, degli arancio, dei blu quasi elettrici.
Penny Lane, tavola cm 125x110
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Pensiero squisito, tavola cm 120x110
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Ordine a caos (Per una nuova cosmesi universale)
di Ivan Quaronii
“Piena di te è la curva del silenzio…” (Pablo Neruda, Il grande oceano, da Canto general, 1950)
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a ricerca di Giovanni Maranghi esemplifica tutti gli elementi costituitivi della grammatica pittorica, dal disegno al colore, dal supporto ai materiali, senza tralasciare alcun aspetto di una prassi che, nel suo caso, percorre il duplice binario dell’indagine squisitamente formale e, al contempo, della continuazione di una tradizione figurativa che affonda le radici nella potenza icastica e narrativa delle immagini. Se si volesse fare un’analisi dettagliata del suo vocabolario pittorico, bisognerebbe cominciare con la constatazione del ruolo fondante della pratica disegnativa. Il disegno, considerato a ragione lo strumento più prossimo al pensiero e dunque alla sorgente delle idee, è, infatti, per Maranghi una pratica consueta, un esercizio quasi diaristico attraverso cui annotare eventi, situazioni, intuizioni e spunti progettuali che, insieme, formano una sorta d’immaginifico archivio del suo vissuto quotidiano. Questo è, diciamo così, l’aspetto più prosaico di tale attività, la necessaria palestra del pensiero visivo dell’artista fiorentino. Tuttavia, il disegno costituisce soprattutto la struttura portante delle sue opere, l’impalcatura che sorregge l’impianto stesso delle immagini, permettendo al colore e ai particolari materiali di supporto utilizzati dall’artista di sprigionare tutto il loro potenziale espressivo. Quello di Maranghi è un disegno sintetico, quasi inciso, che abolisce il tratteggio chiaroscurale delle volumetrie per affidare alla linea di contorno, allo stesso tempo morbida e precisa, il compito di scandire le figure con un ductus sinuoso e serpeggiante, che molto deve alla tradizione barocca e liberty. Su questo scheletro lineare, l’artista costruisce una partitura cromatica complessa, dominata da un registro di toni vividi e brillanti stesi su tela, tavola o pvc con una tecnica articolata, che include l’encausto, la serigrafia, l’incisione e la stampa digitale. Ed è, forse, per tale ragione che la dimensione del colore nella pittura di Maranghi assume una pletora di declinazioni stilistiche, che spaziano dall’approccio gestuale dell’Informale a quello lirico e astratto della color field painting, dall’irruenza drammatica dell’Espressionismo alla flatness della Pop art, arrivando a includere perfino tracce delle esatte partizioni ortogonali del De Stijl e dell’arte Neo Geo. Sembra quasi che l’artista metta in pratica il dettato postmoderno del repechage con la stessa noncuranza per le gerarchie stilistiche che aveva caratterizzato i pittori della Transavanguardia. Con la differenza, però, che rispetto alla compagine guidata da Bonito Oliva, il prelievo strumentale dei modi del passato (più o meno recente) in Maranghi procede di pari passo con la tensione sperimentale, riconoscibile tanto nella diversificazione delle tecniche pittoriche, quanto nel curioso impiego di materiali plastici d’origine industriale come, ad esempio, il perspex o il kristall (una pellicola flessibile di pvc). Attraverso disegno, il colore e la qualità testurale di materiali anticonvenzionali, Maranghi dispiega una pittura che difficilmente può dirsi solo figurativa. È vero, infatti, che a dominare il campo dell’immagine sono figure di donne, principalmente sedute in poltrona oppure ritratte in primissimo piano, come icone ironicamente ieratiche, che fissano in poche linee le rotondità di una sensualità piena, ideale estetico contrapposto a quello filiforme proposto dai media. Molto, però, di quel che è raffigurato nei dipinti di Maranghi affiora in controluce, come una filigrana, dallo sfondo, spesso nella forma di una micro-narrazione che è quasi un racconto
Che bell'inganno sei, resina cm 124x102 Lode ai fiori, tappeto in resina morbida cm 168x158
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Anima di seta, resina cm 135x110
secondario, insomma una specie di rumore di fondo visivo, come avevo già avuto occasione di spiegare nel catalogo della sua mostra presso la Cà dei Carraresi di Treviso. Ciò non significa che le immagini femminili in primo piano, immediatamente leggibili e facilmente decrittabili, siano meno importanti. Esse rappresentano, senza dubbio, il tema principale dell’indagine iconografica di Maranghi, tutta improntata - per rubare un fortunato neologismo al compianto Alessandro Mendini – a un’idea di cosmesi universale che riguarda marginalmente la definizione di un’ideale di donna florida e prosperosa, con fianchi e cosce plasticamente tornite, e più profondamente l’accettazione della vocazione esornativa della pittura. La cosmesi universale di Maranghi passa attraverso l’introduzione di ele-
menti esplicitamente decorativi, come le storie arabescate sul fondo che in lontananza ricordano i motivi moreschi, oppure come l’inclusione d’inserti geometrici, talvolta stesi a encausto, che richiamano le partizioni ornamentali di Peter Halley o Sean Scully. Cosmetica è anche la scelta delle sedute su cui posano, seducenti, le sue Sitting Ladies (fra le quali figura spesso la celebre Poltrona Proust di Mendini), come pure l’attenzione che l’artista riserva agli abiti femminili, sovente intessuti di eleganti motivi damascati. In verità, tutta la superficie delle opere di Maranghi è articolata secondo schemi compositivi ornamentali. Basti osservare lavori come Nuvole uno e Nuvole due, in cui i ritratti femminili sono inquadrati in un perimetro pittorico formato da tessere quadrangolari di diversi colori e dimensioni, oppure alle
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due brocche gemelle di Piazza Navona e Via vai, istoriate, forse pensando al modello della tradizione vascolare greca, con una pletora di personaggi quasi satirici, che paiono usciti da una pagina dei suoi carnet de dessin. Nei ritratti in primo piano, dominati da una linearità ancora più evidente, alle micro-storie disegnate sul fondo, memoria delle comiche notazioni dell’artista sul piccolo mondo della provincia italiana, si aggiungono i pattern delle carte prestampate (Pink Flamingos), tracce di motivi ornamentali classici (Sintonie riflesse) e macchie casuali, sporcature e annotazioni, integrate nel tessuto materico e gestuale del fondo (Anima di seta). Più minimale è, invece, la struttura delle resine, dove i volti femminili si stagliano su superfici di colore piatto, virato su tonalità fluorescenti, anche grazie all’uso di una linea
di contorno pluricromatica, come nel caso di Silver Tatoo. Eppure… Eppure viene il sospetto che questa idea postmoderna di cosmesi, antitetica a quella espressa dal dettato modernista di Mies van der Rohe (Lessi s more), adombri, piuttosto, il carattere fondamentalmente malinconico (e lirico) dell’armamentario iconografico di Maranghi. Quello, cioè, di una pittura iperdensa, stratificata e stracarica di tracce, segni, memorie del contemporaneo, nelle cui pieghe si
nasconde il presentimento, se non addirittura la certezza, dell’assoluta vanità esistenziale. Lo si capisce non solo osservando il carattere iconoclastico delle memorie disegnate in filigrana, di quel “rumore di fondo” affollato di tipi bislacchi e personaggi ipertrofici, che in fondo rispecchiano il pensiero dell’artista sulle miserie di quella variegata umanità, ma anche considerando l’urgenza ornamentale di Maranghi, quella tenace necessità di reintrodurre il decoro nel corpo dell’opera, come
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ultima reazione alle correnti brutture di questa nostra società liquida. Nei suoi dipinti, infatti, la linea disegnativa sembra affermarsi come un principio ordinatore, un imperativo visivo capace di zittire il clamore pittorico del fondo - quella sorta di babele di lingue e stili che del mondo riflettono l’anima più caotica, e allo stesso tempo un modo per riportare alla luce un ideale di bellezza armonica. Ideale che solo nel volto muliebre può trova- Fuga notturna, kristal re il più alto valore consolatorio. cm 160x115
Pandoro, ritagli su tavola
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Giovanni Maranghi nasce nel 1955 a Lastra a Signa (FI), diplomato al Liceo Artistico, si iscrive alla Facoltà di Architettura. Alterna gli studi da universitario con frequentazioni presso l’Accademia delle Belle Arti. Frequenta in quegli anni artisti del calibro di Primo Conti, Lucio Venna e Paulo Ghiglia. Comincia ad esporre dalla metà degli anni ’70, con personali a Milano e negli Stati Uniti, alla Medici Gallery di Carmel in California, allo Studio 205 di Chicago e a New Orleans. Dal duemila è impegnato a più riprese in esposizioni a Parigi, poi Firenze, Siena, Pietrasanta, Matera, e Forte dei Marmi. Contemporaneamente espone in Olanda, Francia, Russia e Stati Uniti. In quegli anni, oltre all’encausto, sperimenta soluzioni, che vanno dal “collage”, alle più attuali “resine”. Per un ciclo di mostre dedicate alla donna, inizierà esponendo all’interno della Basilica della SS. Vergine del Carmelo a Piacenza, per terminare con Colazione da Maranghi, all’interno dell’Antico Spedale degli Innocenti a Firenze, presentando il calendario “Mukki Latte” per l’anno 2009. Anno che lo vedrà esporre a Palm Beach, New York, Goteborg e Parigi. Nel 2010 Maranghi è protagonista nel Principato di Monaco, ospite del 69° Gran Premio di Formula 1. In Giugno, viene invitato ad allestire una mostra a Lajatico in occasione del “Teatro del Silenzio” del tenore Andrea Bocelli. Nel 2014, presentata da Antonio Natali e con un saggio critico di Ivan Quaroni, espone nelle Sale Museali di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, “Una storia in bianco” a cura di Filippo Lotti e Roberto Milani in collaborazione con Casa d’Arte San Lorenzo. Nel 2015 realizza il calendario per Toscana Energia 2015 e inaugura lo Spazio Italia per “Milano EXPO 2015” a Pechino con la mostra collettiva “Capriccio Italiano”. Nel 2016, è con una personale a Schwabisch Gmund, nel Museo Villa Seiz, insieme allo sculture tedesco Max Seiz. Da gennaio a marzo 2017, supportato da Casa d’Arte San Lorenzo, Maranghi è presente con “Rumore di fondo”, curata da Ivan Quaroni, presentata nella splendida cornice di Ca’ dei Carraresi a Treviso. Di seguito, è a Stoccarda con Kunstgalerie Bech, all’interno del prestigioso Wow, tavola cm 120x110 Schloss Solitude. Sotto: Fondazione Maimeri Il 2018 si apre con “Immersione”, all’interno del Lu.C.C.A. Lucca Center Of Contemporary Art, curata dal critico Maurizio Vanni. A Berlino per “One Night Only” dove presenta la collezione d’alta moda dello stilista Justin Reddig, derivata dai propri dipinti. In novembre, “Ama solo me”, a cura di Angelo Crespi, trenta lavori selezionati da, Fondazione Maimeri e Casa d’Arte S.Lorenzo per il M.A.C. (Musica Arte Contemporanea) di Milano. Nell’Aprile di quest’anno, per le celebrazioni di, “Matera Capitale Europea della Cultura” ha esposto, “Piena di te è la curva del silenzio”, nell’Ipogeo S.Agostino della città Lucana, a cura di Ivan Quaroni, per l’Atelier dell’Arte. Hanno scritto di lui, tra gli altri: Cristina Acidini, Romano Battaglia, Giuseppe Bilotta, Fabrizio Borghini, Luciano Caprile, Roberto Ciabani, Alessandro Coppellotti, Maria Vittoria Corti, Angelo Crespi, Francoise de Céligny, Giovanni Faccenda, Alessandra Gaeta, Silvano Granchi, Thibaud Josset, Filippo Lotti, Ilario Luperini, Albert Manstembrock, Fosco Maraini, Alessandro Marini, Nicola Micieli, Roberto Milani, Antonio Natali, Nicola Nuti, Tommaso Paloscia, Patrice de la Perrierè, Giulio Pisani, Stéphanie Portal, Daniela Pronestì, Ivan Quaroni, Leonardo Romanelli, Gregorio Rossi, Alessandro Sarti, Maurizio Vanni.
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mostra
ALLE ORIGINI DEL GENIO al Museo Leonardiano con il celebre «Paesaggio» Luca Fabiani
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on l’inaugurazione della mostra Leonardo a Vinci. Alle origini del genio, avvenuta il 15 aprile al Museo Leonardiano alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sono entrate nel vivo a Vinci le celebrazioni dedicate al cinquecentenario dalla morte di Leonardo. Il presidente è stato accolto da una folla in festa, a 67 anni di distanza dall’ultima visita compiuta da un Capo dello stato a Vinci e in quell’occasione, nel 1952, fu Luigi Einaudi che, accompagnato dal presidente del Consiglio dei ministri Alcide de Gasperi, partecipò alle celebrazioni per i 500 anni dalla nascita di Leonardo. Dopo il consueto rituale dei saluti da parte del sindaco di Vinci Giuseppe Torchia, del presidente della Regione Enrico Rossi, del ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli, del presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni Paolo Galluzzi, c’è stato l’atteso intervento del Presidente della Repubblica, che ha seguito quello de-
gli studenti Alice Nencioni ed Edoardo Cioli. Al termine della cerimonia, in cui Mattarella ha definito Leonardo «un grande toscano e un grande italiano, protagonista assoluto della scena europea nel suo tempo», l’esposizione è stata finalmente aperta al pubblico. La mostra organizzata con le Gallerie degli Uffizi è stata curata da Roberta Barsanti, direttrice del Museo Leonardiano e della Biblioteca Leonardiana di Vinci, ha ottenuto il prestigioso riconoscimento dell’alto patronato del Presidente della Repubblica ed è visitabile fino al 15 ottobre. La rassegna ruota attorno al celebre disegno Paesaggio (esposto fino al 26 maggio) ed è incentrata sul legame biografico di Leonardo con la sua città natale e sulle suggestioni che la terra d’origine offrì al suo percorso di artista, scienziato e tecnologo. In quest’ottica sono presentati i documenti in prestito dall’Archivio di Stato di Firenze, che ricostruiscono in maniera inequivocabile le primissime vi-
Disegno Paesaggio Leonardo da Vinci
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cende della vita del genio, e il primo disegno conosciuto da lui realizzato: «Paesaggio 8P» (nome d’inventario), datato 5 agosto 1473 e conservato presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi. Tra i documenti esposti, all’interno della sezione biografica, anche il registro notarile del bisnonno di Leonardo sul quale, all’ultima pagina, il nonno Antonio da Vinci annotò la nascita, dopo quella dei suoi figli, del primo nipote Leonardo, e le portate catastali della famiglia da Vinci relative all’infanzia e prima giovinezza dell’artista. Il percorso comprende, inoltre, realizzazioni multimediali e ricostruzioni di progetti leonardiani relativi al territorio vinciano e del Valdarno inferiore. Di particolare interesse è la riproduzione digitale del Paesaggio, in cui viene definita attendibile la tesi della veduta della Valdinievole “ripresa” da Montevettolini, antico borgo medievale del Montalbano nel comune di Monsummano Terme (Pistoia). Negli ultimi tempi si sono alternati pareri di diversi studiosi, che hanno cercato di decifrare il luogo dal quale Leonardo possa avere realizzato il disegno, considerato la prima opera di paesaggio dell’arte occidentale. Gli studiosi Filippo Lorenzi e Giovanni Malanima, da alcuni anni impegnati nello studio dell’opera, hanno prodotto recentemente ulteriori prove, con un affascinante viaggio indietro nel tempo, a sostegno della tesi di Leonardo a Montevettolini. Già nel 2006, con un loro libro (L’oratorio di Leonardo da Vinci. La Madonna della Neve a Montevettolini, Pagnini editore), i due studiosi avevano avanzato l’ipotesi che l’opera rappresentasse il borgo di Montevettolini sulla sinistra e che Leonardo potesse averla realizza-
ta proprio in occasione della festa della Madonna della Neve a Montevettolini, il 5 agosto 1473. Per onor di cronaca il primo ad accostare il disegno all’antico borgo medievale fu nel 1952 il giornalista de La Nazione Alberto Fortuna; in seguito altri studiosi, tra cui anche l’ex direttore degli Uffizi Antonio Natali, avevano ritenuto valida l’ipotesi-Montevettolini. Questa intuizione è stata poi ripresa da Lorenzi e Malanima, che hanno approfondito il tema. «Il 5 agosto si celebra oggi come allora a Montevettolini – spiegano Filippo Lorenzi e Giovanni Malanima – la festa della Madonna della Neve. Non a caso qui è presente una piccola chiesa (all’epoca di Leonardo era una margine) dedicata proprio alla Madonna della Neve, dove ancora oggi si svolge una cerimonia religiosa in suo onore. Tale festa-continuano gli autori- non era nel calendario universale della Chiesa, ma nel calendario locale del luogo, dove veniva celebrato il culto della Madonna della Neve, appunto Montevettolini». In questo senso Lorenzi e Malanima mettono in relazione in modo efficace la scritta presente sul disegno (datato di proprio pugno dal genio Dì di Santa Maria della Neve, addì 5 daghosto 1473) con la possibilità che Leonardo possa essere venuto a Montevettolini, proprio in occasione della festa dedicata alla Madonna. «L’oratorio della Madonna della Neve, affermano gli studiosi, era allora un importante punto di passaggio per i pellegrini diretti nel loro percorso religioso verso Pistoia (dove si recavano per venerare San Jacopo) e questo è testimoniato dai segni di devozione che hanno lasciato sull’affresco della Madonna con bambino e santi all’interno della chiesa. Così anche il genio di Vinci può aver lasciato traccia del proprio passaggio a suo modo». E se a luglio 2018 in Umbria (nel 2016 gli studi dello storico dell’arte Luca Tomìo avevano riconosciuto in quel disegno la cascata delle Marmore e la valle di Terni e non la Toscana) si è fatto
Veduta Montevettolini come da foto scattata con il drone (per gentile concessione di Filippo Lorenzi e Giovanni Malanima) Il Presidente della Repubblica, accompagnato dalla direttrice Roberta Barsanti, visita la mostra (per gentile concessione del comune di Vinci)
ricorso all’utilizzo di droni per effettuare riprese del territorio, anche a Montevettolini Filippo Lorenzi e Giovanni Malanima hanno deciso di adottare la stessa soluzione: «Il 22 agosto dello scorso anno abbiamo effettuato, con l’ausilio di un drone pilotato dall’operatore Alessandro Armento, alcune riprese dall’alto del territorio – spiegano i due studiosi – e finalmente abbiamo trovato dopo al-
cuni tentativi, a nostro parere, il luogo ideale da dove Leonardo possa aver ‘ripreso’ la Valdinievole e cioè a 100 metri di altezza dal punto di decollo sul piazzale della facciata della piccola chiesa e a 30 metri circa di distanza dalla facciata stessa». «Lo scopo – continuano gli studiosi – è quello di scattare immagini, mettendole a confronto con il disegno ed il risultato conferma che il luogo sia proprio la Valdinievole ‘ripresa’ da Montevettolini». Adesso Lorenzi e Malanima attendono il frutto del proprio lavoro: «Nei prossimi mesi abbiamo in programma la pubblicazione di un nuovo libro sulla questione con i risultati della nuova ricerca». NOTE 1 L’opera, (196x287 mm), realizzata a soli ventuno anni da Leonardo con penna ed inchiostro ferrogallico su carta, rappresenta verosimilmente il paesaggio della Valdinievole verso la Lucchesia e le prime propaggini del monte Pisano. Sulla sinistra è presente un borgo, che sembra da identificare con Montevettolini. Si notano infatti l’abitato turrito con parte del circuito murario, la torre Del Cantone e la Rocca, la chiesa dei Santi Michele arcangelo e Lorenzo martire con il campanile, la torre di ingresso al castello (attuale campanile della chiesa) e il Palazzo comunale con la sua torre. A destra è presente un costone roccioso, che può reinterpretare le pendici del colle del Belvedere e sullo sfondo vi è una vallata da identificare con la Valdinievole. Sempre sullo sfondo a destra è presente un colle conico, che potrebbe ragionevolmente rappresentare Monsummano Alto. Da sottolineare che la realizzazione di questo disegno doveva rientrare nell’ambito degli studi sul territorio del genio di Vinci, in quanto il suo più grande progetto era la deviazione del fiume Arno.
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mostra
Edicole della
Memoria
personale di Cesare Borsacchi alle Officine Garibaldi Giuseppe Cordoni
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avvero singolare come, nel suo ventaglio di significati, l’etimologia d’ogni parola ripercorra millenni di memoria collettiva stratificata. Ed è innegabile la suggestione dei significati che il termine ‘edicola’ in sé conserva e nasconde. Da quello originario di casa per eccellenza in quanto dimora della divinità sino a quello, forse a noi più vicino, di tabernacolo: luogo comunque in cui si preserva l’idea di qualcosa di sacro. E mai tale termine è stato così pregnante e appropriato come nel titolo scelto per questa mostra. Allestita nella suggestiva cornice d’ingresso delle Officine Garibaldi di Pisa, organizzata dalla Fondazione Arpa del prof. Franco Mosca e curata dal critico d’arte Nicola Micieli, oltre alla ben nota cifra della sua pittura, qui, per la prima volta, l’eclettico artista pisano, ha
voluto soprattutto raccogliere una nutrita silloge di sculture, altro e non ultimo approdo di un’infaticabile ed inesauribile sperimentazione linguistico - espressiva. Tutte di grandi dimensioni e frutto di un’incredibile varietà di materiali poveri o di scarto (legno, resine, carta, stoffe e colori acrilici) combinati, modulati, combinati e accesi da squillanti cromatismi, queste sue Edicole della memoria s’ergono come stele-tabernacoli custodi d’una laica e arcana sacralità e innalzati nel deserto di questo nostro presente sempre più stordito e dimentico d’ogni nostra originaria radice. Vale così la pena di chiederci da quale effettiva memoria esse traggano la loro ragione d’essere; da quale vissuta profondità - nello spazio e nel tempo - scaturisca la loro energia; da quale smarrita saggezza ricavino il
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senso prezioso che riescono ad evocarci. Una memoria prismatica, le cui facce irradiano emozioni e i ricordi, figure e culture di molteplici mondi attraversati. Dalla sua prima infanzia nell’eden ancora incontaminato della pisana Tenuta di San Rossore all’incontro con il dolore africano di chi ha sofferto tutti i disastri del colonialismo occidentale, al mistero che avvolge ciò che resta nel Centro e nel Sud America delle civiltà precolombiane. Per decenni viaggiatore instancabile attraverso l’intero Pianeta, Borsacchi artista sembra averne auscultato la febbre e contemplato l’immane ferita aperta. Com’egli stesso ci rammenta: «I miei occhi hanno scrutato e letto in altri occhi indescrivibili sofferenze, che fortunatamente sono filtrate anche nella mia anima, obbligandomi,
qualora ce ne fosse bisogno a non dimenticare». Da questo filtro d’una coscienza allertata, proiettata in un tempo sospeso, sono così fluite le sue visioni pittoriche e plastiche. V’è che per accorgersi di ciò che esiste non disponiamo altro che sia più efficace dell’amore, se è sicuro che soltanto l’amore ci consente d’andare incontro a come sono davvero gli uomini e le cose: con uno sguardo vergine e non distorto da pregiudizi. Soltanto quest’attenzione è in grado di trasmutarsi in ricordi indelebili dentro di noi. E, per Borsacchi in quanto artista, proprio un tale sguardo della memoria s’è tradotto in efficace strumento di lettura della sorte attuale di questo nostro mondo. Non è un caso che proprio l’‘occhio’ e il ‘pianeta’ rappresentino la cifra decisiva d’una delle sue opere pittoriche più rappresentative, posta in apertura d’una sua grande antologica: Dai Cuori del Pianeta - Viaggio nell’immaginario pittorico di Cesare Borsacchi, a Palazzo Mediceo di Seravezza (Lucca), una decina di anni fa. Il Pianeta e l’occhio stupe-
fatto del pittore che lo abita. Colori che scoperti nella meraviglia di una festa della Natura, fissati dalla memoria selettiva delle emozioni, sempre finiranno per risalire dal fondo dell’inconscio accesi dall’urgenza di non dimenticare: di cantare l’amore e lo sgomento di quanto s’è visto e vissuto. Nondimeno anche i motivi e le forme che alimentano queste così singolari Edicole della memoria scolpite sembrano rifarsi alla sorte del Vivente quale fu sentita da remote civiltà Maya, Inca, Tiahuanaco o Azteca. Forme rituali allora cariche di un’arcana valenza magica ed oggi invece così straniate in questo nostro presente deprivato d’ogni altra dimensione che non sia la sua perdita di senso. E come nelle sculture monumentali riportare in sequenza qui in basso, basta ripercorrerne i toli: La pietra dei sacrifici - Perù, Horror al vacio - Perù, Le due lune - Cultura Maya, Messico, Mama Quilla (Luna) - Pacha Mana (Terra) - Inti (Sole) - Perù, per renderci conto di quale radiante energia esse siano portatrici. Anche qui siamo di fronte a forme archetipiche che sembrano competere per la persistenza della vita o esorcizzare il buio della morte. Lune, grembi, uova e nidi di luce. Sessi aperti e ferite senza fine. A forza di dipingerli, si direbbe che siano balzati fuori dalla tela, reclamando la terza dimensione per offrirsi così all’artista smanioso di toccarli.
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A mostre
ppunti d'arte all'ombra delle
Gionata Geremia Long
Vittorio Guidi e la scultrice Clara Mallegni con l’opera di quest’ultima Pirati metropolitani (ferro e acciaio inox) 2019 Marcello Scarselli, Verso Leonardo 2, t. mista su carta Magnani cm 70x50, 2018
N
puane
quando un Comitato semina cultura...
el mondo artistico che pulsa in continuità dando evidenza sia al trascorso sia al presente, il Comitato Archivio artistico-documentario Gierut sorto a Pietrasanta nel 2006 per onorare e ricordare la figura della scultrice e poetessa Marta Gierut (1977 – 2005), va ormai documentando ormai a livello nazionale, ma non solo, il volto creativo di un grande numero di nomi. Alcuni sono famosi, altri meno: la scelta è oculata e seria e costante, positivamente aperta anche verso i giovani. Lo guida, in piena sintonia con finalità anche di natura socio-umanitaria, il
critico d ‘arte e giornalista Lodovico Gierut, che ci piace definire ‘storico’ anche per certe sue pubblicazioni specifiche: tra le più note, del 1984, “Una strage nel tempo”, legata ai tragici e ben noti accadimenti del 12 agosto 1944, contenente riproduzioni dei vari Antonio e Vinicio Berti, Amedeo Lanci, Ernesto Treccani e altri, ma tra le recenti non è davvero da mettere in secondo piano, firmata assieme a Marilena Cheli Tomei, “Omaggio a Giacomo Puccini. Vissi d’Arte, vissi d’Amore” (Editoriale Giorgio Mondadori, 2017) per cui la storia del celebre compositore lucchese è stata accostata a lavori di Igor Mitoraj, Kan Yasuda, Anna Chromy, Paolo Grigò, Giuseppe Carta, Lido Contemori, Silvano Campeggi e altri. Non meno interessante, del 2018, “Nel segno di Michelangelo. Attualità di un Genio”. Il Comitato, apertissimo alle collaborazioni, anche in questi primi mesi partecipa alle iniziative del Museo “Ugo Guidi”, sito a Forte dei Marmi, ormai noto ben oltre i confini italiani, presieduto da Vittorio Guidi, figlio del noto scultore scomparso nel 1977: per la 150.ma mostra lì organizzata ha scelto una figura tra le più emergenti, Clara Mallegni, scultrice e pittrice la quale, dopo una personale tenutasi nel Parco di Pinocchio, a Collodi, dove ha stabilmente posizionate ben due sculture, vi ha presentato “Corsari”, alla presenza di un pubblico foltissimo, interessato pure alla produzione più recente costituita soprattutto da opere monumentali di acciaio e di corten. Se nel cinquecentesimo anniversario della scomparsa di Leonardo da Vinci, anche la zona apuo-versiliese non lo poteva non celebrare tale Genio – veramente esaustiva la Col-
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lettiva tenutasi a fine primavera dalla Fondazione Versiliana, a Marina di Pietrasanta, fatta concerto col Comitato e con presenze di Sergio Staino, Raffaele De Rosa, Marcello Scarselli, Andrea Prandi, Marco De Angelis, Roberto Altmann, Massimo Cantini, Milko Dalla Battista, Angelo Vadalà, Alessandro Reggioli, Mauro Pispoli, Dino Aloi... – i riflettori del grande pubblico, pur nella vastità delle iniziative che da Carrara sono state e si stanno tenendo sino alle propaggini di Viareggio, si sono accentrate nell’anima delle Apuane e nel cuore della stagione estiva. Ci riferiamo in particolare, sempre presente come curatore Lodovico Gierut, a “Michelangelo Buonarroti e Leonardo da Vinci. Un anniversario per due” e “Michelangelo a Fantiscritti. Omaggio al Genio”, consistenti in una vera e propria continuità d’arte per cui, se da un lato la sede della prima mostra di gruppo è sita presso il Palazzo della Cultura a Car-
De Luca, Giuseppe Bartolozzi e Clara Tesi, Marco Bianchi, Giacomo Mozzi, Bruna Nizzola, Annamaria Maremmi, Franco Del Sarto, Alberto Bongini, Marzio Cialdi, Clara Mallegni, Sigifredo Camacho, Lalla Lippi, Monica Michelotti, Cobàs, Agostino Cancogni, Antonio Sassu, Roberto Braida, Marcello Scarselli, Paolo Grigò, Rosanna Costa, Feofeo, Riccardo Luchini, Giuseppe Lippi, Pietro Del Corto, Giovanni Masuno, Vidà, Alain Bonnefoit, Fabio Calvetti, Elio De Luca, Massimo Facheris, Danilo Fusi, Yoshin Ogata, Marcello Podestà, Francesco Nesi, Kan Yasuda, Stefano Paolicchi, Nico Paladini, Lisandro Ramacciotti, Andrea Granchi, Andrea Roggi, Gadoso (collaborazione del Comune di Stazzema), la seconda è nella storica cava di Fantiscritti, a Miseglia di Carrara (collaborazione di Marmotour). Nelle due sedi degli altrettanti “nuclei della creatività”, come qualcuno li ha definiti, sono presentate non pochi lavori fatti espressamente nel corso degli anni ed eseguiti sia sulla preziosa carta Magnani, sia su tela e su tavola lignea. “Sembrano molti, ma in verità non lo sono, poiché mi bastava mandare un fischio e di pittori e di disegnatori e di fotografi ne sarebbero venuti tantissimi”, ha detto Gierut. “Ho così creato un gruppo volutamente non omogeneo, questa è un’occasione come altre che ho voluto concretizzare in passato, dove però (mi ripeto, mi sarebbe piaciuto invitare le migliaia di artisti che conosco e stimo), ognuno ha avuto ed ha un particolare “feeling” con
Michelangelo Buonarroti o con Leonardo da Vinci. Sono così venute fuori opere che hanno illustrato o interpretato i lavori di ambedue, persino le caratteristiche fisiche, gli scritti lasciati e via dicendo. Le ho proposte, assieme a varie documentazioni, in una maniera volutamente non omogenea, ma l’insieme può dare una positiva risposta sulla cosiddetta modernità e attualità di due grandi dell’Umanità, per cui in questo bellissimo ma purtroppo complesso e talvolta caotico ambiente dell’arte dove sostano molte luci e tante ombre, Michelangelo e Leonardo (il primo ha soggiornato nelle terre apuo-versiliesi, l’altro ci è solo passato) sono per ognuno di noi un esempio per la serietà professionale e per la passione, per il sentimento che hanno profuso nell’arco di un’esistenza che va sempre guardata e ammirata”. Impossibile un esaustivo elenco dei creativi partecipanti, chi in un luogo, chi in un altro, o in ambedue le sedi, ma cominciamo a farlo disordinatamente, pur sapendo che questa è solo una parte: Giovanni Maranghi, Paolo Staccioli, Renzo Maggi, Elio
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briele Vicari, Luciano Cantoni, Lorenzo Cinquini, Paolo Gubinelli, Paolo Lazzerini, Mario Madiai, Tano Pisano, Fabrizio Giorgi, Gianni Dorigo, Isidoro Raciti, Tito Mucci, Grazia Leoncini, Marta Gierut, Franco Miozzo, Romano Cosci, Marco Dolfi...
Giuseppe Lippi, La Montagna di Michelangelo, t. mista su carta Magnani cm 70x50, 2018 Franco Miozzo, Nudo maschile, inchiostro su carta cm 14,3x7,3, inizio anni ‘30 Danilo Fusi, Il tormento e l’estasi, acquerello e pastelli su carta Magnani cm 76x56, 2017 Renzo Maggi, Monna Lisa 2019, carboncino e pastelli su carta Magnani cm 45x45, 2019
Vittorio Guidi, Giacomo Bugliani, Clara Mallegni, Cosimo Ferri, Lodovico Gierut, Gianni Lorenzetti. (foto Ivano Colombo, aprile 2019)
20° Reality
mostra
un viaggio laico verso il sacro
Andrea Granchi al Museo d'Arte Sacra dell'Abbazia San Salvatore Paolo Castrini
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l 25 maggio 2019 si è inaugurata la prima esposizione Il Sacro nell’Arte Contemporanea presso il Museo d’Arte Sacra Don Roberto Corvini dell’Abbazia San Salvatore al Monte Amiata, definitivamente riaperto nel 2017 dopo una lunga, efficace e articolata ristrutturazione. Uno degli scopi di questo ciclo è il tentativo di riannodare il rapporto, ai massimi livelli, tra i luoghi sacri e l’eccellenza del contemporaneo nel difficile e problematico contesto dell’arte sacra. La prima mostra è dedicata ad Andrea Granchi, artista e docente fiorentino noto per una lunga e qualificata carriera artistica e accademica, il quale ha progettato uno specifico itinerario espositivo con le proprie opere creando momenti di efficace dialogo con i tesori conservati nel Museo. L’attività di Andrea Granchi si è sempre caratterizzata nella ricerca di un confronto tra antico e moderno e ha avuto modo di realizzare, negli anni, anche significativi interventi nel cam-
po dell’arte sacra. Alcuni di questi lavori, tra cui il modello per la vetrata absidale della Basilica di Santa Croce a Firenze ed una delle vetrate originali per la Chiesa della Maddalena di Saturnia, sono qui esposti. Per l’occasione Andrea Granchi, sull’onda di suggestioni percepite nell’incontro con le opere presenti nelle varie sale, ha inoltre realizzato ex-novo alcuni dipinti che saranno qui mostrati per la prima volta, tra cui si evidenziano l’affresco con il San Sebastiano Novecentesco e la tempera a uovo su tavola Tempus Fugit. Giovane che cerca di fermare il tempo. Non mancano opere di grandi dimensioni già esposte in varie mostre nazionali, come il Pianto della Maddalena accolta dalla Quadriennale di Roma del 1986 e il San Michele Arcangelo. Vincitore della notte del 1983 esposto nell’86 alla Galleria d’Arte Moderna di Paternò (CT). Scrive in proposito l’architetto e storico Don Carlo Prezzolini: «….Il pianto della Maddalena è particolarmente
San Sebastiano novecentesco, affresco 60x50, 2016 (Foto Archivio Studio Granchi) San Michele Arcangelo vincitore della notte, tecnica mista su tela 200x300, 1983 (foto Antonio Quattrone)
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ricco di simboli: la figura piangente della discepola del Cristo è al centro di una strettissima valle di rocce, formate da teste colossali e da pietre acuminate, che secondo l’Autore simboleggiano i dolori, le tentazioni, gli incubi, i peccati e le allucinazioni: cioè le problematiche che da sempre appesantiscono l’esistenza umana e possono distruggerla, renderla insignificante. Ma la speranza di andare oltre i nostri limiti e le nostre povertà è raffigurata proprio dal pianto della Maddalena, che si fonde con i suoi lunghi capelli e crea fiumi di acqua feconda e salvatrice. Il pianto di Maria di Magdala per la morte del suo amato Maestro diventa fecondo per la risurrezione del Cristo. Mi viene in mente la stupenda Maddalena penitente di Donatello…» Sui due grandi lavori si sofferma anche la storica dell’arte Cristina Acidini che, nel suo approfondito testo in catalogo, scrive: «…..A questa medesima linea appartengono le due grandi tele con San Michele Arcangelo (1983) e Il pianto della Maddalena (1986). In entrambe la posizione centrale è assegnata al santo protagonista, ma con effetti diametralmente opposti. Tanto la Maddalena è statica, quanto San Michele è dinamico. La peccatrice s’immedesima e quasi si mimetizza, nella sua redenta nudità, con un paesaggio dai medesimi toni ambrati e riarsi: un paesaggio che si anima di facce inquiete e inquietanti, anche sfiorate da bagliori rossastri, cui il segno mobile, insistente e nervoso del pittore conferisce una contenuta vibrazione vitale. Il pianto di Maddalena si espande a dimensione territoriale fino a diventare una cascata dall’inesorabile e placido andamento a balzi verticali: e come un balsamo, sembra lenire i tormenti di un passato che riaffiora attraverso volti non
dimenticati. Quanto a San Michele, il suo fulgore d’energia fiammeggiante si fa spazio, con la violenza d’un’esplosione, al centro di torbidi vortici di tenebra ospitanti oscuri spiriti. E qua un profilo, là un viso, qua un cavallo, là una figura intera gradualmente si lasciano distinguere in quel subbuglio di materia palpitante in gorghi primordiali, che sembra serbare memoria dei visionari studi di Leonardo da Vinci sui “diluvi”: apocalittici scrosci d’acqua e sommovimenti di terra, resi da grovigli di segni arruffati e febbrili…» Il complesso itinerario espositivo, ideato da Andrea Granchi appositamente per questa mostra, oltre alle opere di grandi dimensioni precedentemente descritte, presenta vari libri d’artista di “forma variabile” - appassionato omaggio alla Bibbia Amiatina, una delle presenze più significative all’interno del museo - alcune piccole sculture ed un’accurata selezione di studi e bozzetti per soggetti di carattere sacro. Non mancano infine opere legate al “viaggio terreno dell’uomo” e ad una tematica cara all’autore: quella dello scorrere inesorabile del tempo. Sottolinea ancora assai acutamente Cristina Acidini: «…A questo appuntamento nell’Abbazia di San Salvatore, che è un caposaldo religioso e storico nello splendido scenario amiatino, dunque Granchi si presenta col bagaglio della propria arte, forgiata e messa alla prova nei decenni, progettata e praticata con onestà di pensiero e rigore di forma. A partire dagli anni Sessanta del Novecento, l’artista ha mantenuto e mantiene la sua posizione culturale e personale profondamente nutrita di Umanesimo cristiano, un retaggio toscano e fiorentino per eccellenza, e la manifesta ponendo l’uomo al centro, attraverso l‘icona umana stabilizzata nella pittura, nella scultura e nella grafica. Granchi riconosce all’uomo - anzi, alla mera sagoma umana - la piena cen-
tralità in una dimensione senza tempo che è, per definizione, quella della contemporaneità, carica però del non misurabile trascorso delle ere geologiche, autrici della sigla apocalittica impressa nel paesaggio vivente. Ed è in questo paesaggio simbolico che Granchi assegna all’uomo anche uno spazio, nel quale egli domina ed è dominato. Uno spazio a volte bidimensionale e virtuale, come i piatti meandri su una pagina cartacea; a volte invece, grazie alle illusioni della prospettiva, uno scenario dilatato in cui una trama di sentieri, che serpeggiano o s’incrociano, conduce a orizzonti così lontani da non potersi raggiungere. L’artista si ispira a se stesso, certo, ma sublimando l’identità personale in una icona trasversale all’intera società del Novecento, e attribuendo ad essa un ruolo significativo e di responsabilità. Anche questa volta infatti, il viaggiatore col cappello è un ambasciatore. Egli rappresenta l’intera umanità pellegrina, con i suoi slanci e i suoi limiti, in cammino verso i misteri della trascendenza….» L’esposizione è accompagnata dalla pubblicazione di un ampio catalogo con testimonianze e note critiche di Cristina Acidini Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno, la più antica accademia del mondo occidentale, Don Carlo Prezzolini architetto ed esperto di storia locale, Paolo Tiezzi Maestri Presidente dell’Istituto per la Valorizzazione delle Abbazie Storiche della Toscana, un testo dello stesso Andrea Granchi e dello scrivente. L’esposizione è stata inaugurata il 25 maggio alle ore 18 e rimarrà aperta per tutto il periodo estivo fino al 15 settembre, prevedendo al suo interno eventi collaterali, concerti e conferenze. L’iniziativa gode del patrocinio del comune di Abbadia San Salvatore, dell’Istituto Valorizzazione delle Abbazie Storiche della Toscana e dell’Accademia delle Arti del Disegno.
Manuale per viaggi immobili, libro d'artista di forma variabile, 2018 Il pianto della Maddalena, carbone, tempera e olio su carta riportata su tela centinata, 240x125, 1986 Il lungo viaggio dell'Opera, tecnica mista su tela, 150x150, 1994, modello per la vetrata absidale della Basilica di S. Croce, proprietà Opera di Santa Croce Firenze (foto Archivio Studio Granchi)
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mostra
Newton
what else?
Carla Cavicchini
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lack-white è il motivo condutture dell’opera del celebre fotografo Helmut Newton. Nel suo gioco fantastico, immaginifico, trasudante di bellezza e stravaganza, opulenza, lusso, e poi erotismo, fashion, arte culinaria, condito da buone fette di eccentricità dove il buon gusto regna sempre in prima linea. Come un fil-rouge che si dipana nei luminosi spazi della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di San Gimignano (Siena) si osservano piacevolmente gli oltre 60 scatti – sino al 1 settembre –- di questo artista. Ironia, satira, sarcasmo, si contrappongono in un altalenarsi di nudo
estremamente elegante e raffinato, vestito spesso da tailleur rigorosissimi dai quali talvolta sbuca un bellissimo seno a “coppa di champagne”, e ancora una sensuale giarrettiera nera, complice del sofisticato spacco della gonna-tubino. E ancora quel fumo avvolgente e sinuoso regalato dalle sue creature di cui la moglie ne è degno esempio, grazie al carisma che trasuda appieno nello splendido ritratto con decolletè assolutamente superbo. Immagini oniriche con una buona dose di suspense susseguono tra vigore, comando e forte attrazione, con corruzione che fa capolino, mescolata
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alla tentazione e all’incanto. La retrospettiva promossa dai Musei Civici del Comune di San Gimignano, e prodotta da Opera-Civita con collaborazione della Fondazione Helmut Newton di Berlino, è ampiamente riconoscibile per quest’uomo semplice, dotato di profondo “sense of humor” per sdrammatizzare la vita - parliamo di un ebreo la cui esistenza non è stata certamente facile - quale uno dei fotografi più importanti del panorama mondiale. Già, poiché fu corteggiato e non poco dai ‘tipi’ dell’editoria, per la particolarità dei suoi ritratti esposti su giornali internazionali. Non a caso parliamo del progetto
espositivo di gran pregio di Matthias Harder, affascinante signore curatore della Helmut Newton Foundation, capace di permettere questa bella panoramica che ne racconta la lunga carriera. Accanto a lui Roberto Balzano coordinatore di Opera Civita estremamente soddisfatto per le nutrite presenze, straniere ed italiane, nei locali della Galleria. «È piacevole constatare l’alta affluenza in questi locali - racconta -, molti oltre ad ammirare le bellezze di San Gimignano vengono poi direttamente qui a vedere la mostra di Newton, uscendone poi estremamente compiaciuti.» Parlano i video posti nelle ampie stanze della mostra, offrendo immagini ora caste e normali come lui (Newton) in accappatoio bianco che gira nelle sue stanze, fa colazione, ora con modelle altissime e disinibite coi loro tacchi kilometrici, che lo seguono impellicciate, nude, in vestaglie di raso, alla ricerca della foto d’autore. Non pochi i personaggi che posano per Newton, ci soffermiamo volentieri sul bellissimo corpo di Gianni Versace ‘rifinito’ dalla sorella Donatella, mentre lo stilista
si muove impercettibilmente sul divano leopardato qual goccia di sapiente allure. Nel frattempo le modelle, nei quadri appesi, si cercano, corrono, sprofondano sulle poltrone colle loro calze a rete tramite anche sofisticati sguardi, in mezzo a maggiordomi, argenterie, lussuose automobili, spiagge, panorami mozzafiato. Splendida la coniglietta Playboy altera e tiratissima, che incendia letteralmente con lo sguardo. Ed ancora altamente carismatici i ritratti con l’avvolgente Paloma Picasso dalle spalle nude, col mono – occhialino. L’imponenza di Gianfranco Ferrè, il ‘rouge’ pazzesco di Claudia Shiffer, l’aspetto rugoso del mitico Gianni Agnelli, la superbia di Anita Ekberg, l’estrema sensualità di Catherine Denevue. E ancora Leni Riefenstahl e Andy Warhol dall’inconfondibile caschetto argenteo. Curioso conoscere quando il maestro, intensificando la collaborazione con le edizioni italiane, russe, francesi, americane, tedesche per Vogue, ambientò i set fotografici a Monte Carlo, ospitando le divine a Monaco per set fotografici fastosissimi tra auto di gran lusso. E questo nel suo garage creando quel suggestivo dialogo eccentrico e piacevole nell’ambiente domestico. Memorabili le campagne satinate per Villeroy § Boch, le donne in bikini fotografate volutamente nel deserto, l’altera Monica Bellucci dalle labbra fuoco per Blumarine. Newton era un uomo che viaggiava molto e che molto si soffermava anche nella nostra Italia da lui amatissima, dove proprio a Poggibonsi realizzò quella fotografia esposta poi a Palazzo Reale, ammirandone il contrasto non certamente sacrilego del sacro-profano. Strano ma vero, perché della Madonna parliamo e non della cantante americana.
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arte
Alicja Kwade David Tremlett Patrick Tuttofuoco tre progetti per Ghizzano a cura di Antonella Soldaini Irene Barbensi
David Tremlett, Via di Mezzo Foto Andrea Testi
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l 23 maggio sono stati inaugurate le opere permanenti realizzate da Alicja Kwade, David Tremlett e Patrick Tuttofuoco per Ghizzano, frazione di Peccioli (Pisa) che si inseriscono nell’ambito di una strategia culturale che ha preso avvio alla fine degli anni Novanta ed è a tutt’oggi in pieno sviluppo. L’evento, a cura di Antonella Soldaini, è frutto della collaborazione tra Comune di Peccioli, Fondazione Peccioliper l'Arte e Belvedere SPA. Motore e anima del progetto è il Sindaco di Peccioli, Renzo Macelloni, iniziatore, insieme alla comunità che rappresenta, di una tenace attività incentrata sull'arte contemporanea che ha aperto il territorio a interventi
specifici coinvolgendo artisti e curatori. In continuità con questo percorso, sono stati interpellati Alicja Kwade (nata in Polonia nel 1979, vive e lavora a Berlino), David Tremlett (nato in Inghilterra nel 1945, vive e lavora a Londra) e Patrick Tuttofuoco (nato in Italia nel 1974, vive e lavora a Milano) per concepire dei lavori specifici per Ghizzano. La selezione degli artisti è stata determinata da una precisa metodologia curatoriale. Si tratta di tre personalità diverse tra loro per generazione e per la modalità di intervento, accomunate però da una particolare sensibilità e attenzione verso il delicato tema dell’opera pubblica.
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Alicja Kwade, SolidSky Quando Alicja Kwade arriva a Ghizzano, il suo desiderio è di segnare il territorio in maniera incisiva rispettando al tempo stesso chi ci vive. L’artista ha la possibilità di realizzare il primo lavoro permanente in Italia dove è conosciuta grazie ad alcune mostre e per la sua presenza alla Biennale di Venezia nel 2017. L’opera prescelta è la scultura SolidSky realizzata con una pietra (Azul Macaubas) proveniente dal Sud America e che si caratterizza per delle venature azzurre che virano in alcuni punti al blu. L’opera è composta da due elementi: un grande blocco cubico scavato al suo interno e una sfera dalla superficie perfettamente liscia. Il blocco di pietra mostra i segni dell’imperfezione della materia, volutamente lasciati visibili dall’artista. Il grande vuoto al centro permette di intuire l'origine da cui ha preso vita la sfera che, per la sua perfezione di forma e di compiutezza, si contrappone visivamente all'aspetto non finito del blocco. Dislocate a distanza una dall’altra, queste due presenze scultoree sono idealmente legate tra loro e acquistano pieno significato solo quando le si mette in relazione. I lavori di Alicja Kwade, di cui il più recente è ParaPivot, una grande scultura sulla terrazza del Metropolitan Museum of Art di New York, giocano spesso con la nostra percezione e con la nostra immaginazione, invitandoci a ripensare il nostro modo di guardare la realtà. SolidSky, così come suggerisce il titolo della scultura, rimanda al cielo, all’universo e alle sfere celesti. Quasi come se una mano invisibile avesse scagliato dall'alto un pianeta, casualmente finito sulla Terra, il lavoro costitui-
sce una presenza misteriosa e nello stesso tempo accattivante. Si tratta di un’opera che, sebbene presenti misure e pesi ragguardevoli, rimane profondamente anti-monumentale in quanto non intimorisce ma anzi attrae e invita al contatto. David Tremlett, Via di Mezzo L’intervento di David Tremlett per Ghizzano è nato durante una pas-
seggiata che l’artista ha effettuato per le vie del paese. Una di queste in particolare, la Via di Mezzo, per il carattere anonimo che la contraddistingue rispetto alla bellezza del paesaggio da cui è circondata, attira la sua attenzione. È una prima sensazione ma facendo leva su quella, l’artista, che ha già realizzato un imponente lavoro in zona (presso la discarica di Legoli, 2018), sviluppa un progetto che prevede una serie
di wall drawings da effettuare sulle facciate delle case. Dall'osservazione delle morbide colline che circondano il paese si determina la scelta dei colori, marrone e verde. Una strategia che renderà il passaggio dalla dimensione naturale a quella urbana meno netto e che legherà maggiormente Ghizzano al territorio circostante. Così come è successo in passato per altri lavori all’aperto anche a
Alicja Kwade, SolidSky Alicja Kwade, SolidSky
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Ghizzano l’artista inglese (che ha portato a termine alcuni importanti interventi a Londra presso la Tate Britain nel 2011 e al Bloomberg London Building nel 2017) ha utilizzato per i wall drawings (realizzati insieme ad un team coordinato da Ferruccio Dotta) dei colori acrilici destinati a resistere nel tempo. Sullo sfondo monocromatico di ogni singola facciata, ogni serramento è stato evidenziato da brevi linee verticali e orizzontali che creano dei
contrappunti visivi e che sorreggono la struttura compositiva. Partito negli anni Settanta da un lessico minimal, nel corso della sua carriera, Tremlett ha rafforzato il suo interesse per il colore fino a farlo diventare essenziale, anche grazie alla conoscenza dei grandi maestri italiani, come Giotto, Piero della Francesca e Mantegna. Grazie a loro percepisce la potenzialità espressiva del mezzo pittorico applicato sulla parete e la sua forte ca-
David Tremlett, Via di Mezzo Alicja Kwade, SolidSky
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rica seduttiva. L'“apertura” di Tremlett verso questa direzione diventa ancora più sorprendente e frutto di un bisogno profondo e vitale. I suoi interventi sono caratterizzati da una vera esplosione di superfici colorate, strutture policromatiche che modulano in maniera dinamica lo spazio. Patrick Tuttofuoco, Elevatio corpus Come a puntellare con la sua pre-
senza il paese, Tuttofuoco ha realizzato per Ghizzano tre lavori con un unico titolo, Elevatio corpus, disposti in alcuni punti nevralgici. Le sculture si riferiscono a un ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli che in queste zone è stato attivo in un momento particolare della sua vita. I fatti risalgono al 1479 quando la peste costrinse l’artista che stava lavorando a Pisa, a trasferirsi con tutta la famiglia a Legoli, a pochi chilo-
metri da Ghizzano, dove esegue la decorazione di un tabernacolo. Da alcuni dettagli dei personaggi raffigurati da Benozzo - San Sebastiano, San Michele e San Giovanni - Tuttofuoco trae spunto per le sue sculture realizzate con materiali diversi come marmo, neon e ferro. L’operazione di Tuttofuoco, è incentrata sulla rilettura dell'opera pittorica di un grande artista rinascimentale il cui codice linguistico
viene stravolto e rimaneggiato in ottica postmodern così da arrivare a una nuova realtà scultorea che si nutre della dimensione del passato. Usufruendo della citazione e creando un dialogo serrato con gli affreschi di Legoli, l’artista è arrivato a elaborare una serie di sorprendenti e articolate soluzioni formali dalla presenza imponente e frutto di una ricerca artistica dinamica e profondamente contemporanea.
Patrick Tuttofuoco, Elevatio corpus Patrick Tuttofuoco, Elevatio corpus Patrick Tuttofuoco, Elevatio corpus
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MOSTRA Reality
pittori
resistenti
insieme un manifesto per l’A.N.P.I.
I
l 25 Aprile scorso alle ore 9,30 in Piazza Garibaldi a Santa Croce sull’Arno si è svolta l’inaugurazione della mostra “Pittori Resistenti - Un manifesto per l’Anpi” conclusasi il 27 Maggio. Alla cerimonia d’inaugurazione erano presenti, tra gli altri, la Sindaco Giulia Deidda e Osvaldo Ciaponi Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani. “Pittori Resistenti - Un manifesto per l’Anpi” è stata una mostra particolare, fatta di parole e d’immagini, con testi scritti o scelti dagli stessi pittori. Prima che una mostra di manifesti la potremo definire una mostra di dichiarazioni e di testimonianze, talvolta anche personali e intime, dove era affermato, e si afferma attraverso le pagine del bel catalogo stampato a corredo dell’esposizione, la determinazione da parte dei pittori di attuare un risveglio delle coscienze rispetto alla situazione attuale e a portare avanti il sogno mai interrotto dell’Arte. Diciannove artisti hanno raccolto l’invito di Romano Masoni e Fulvio Leoncini a realizzare un’opera che fosse composta da un’immagine e da un testo che ne rendesse comprensibile il senso. I testi sono stati scritti dagli stessi artisti oppure scelti tra brani di scrittori e poeti. Ogni opera è divenuta una dichiarazione d’appartenenza, un docu-
mento rappresentativo dell’essere un artista “resistente“. Nel vocabolario della lingua italiana alla voce resistente troviamo: “Resistènte (agg. e s. m. e f.) cioè capace di opporsi efficacemente agli effetti di un’azione contraria, conservando le proprie caratteristiche”. Pittori resistenti alle tentazioni del mercato, resistenti nonostante le avversità della vita, resistenti per continuare a essere fedeli a un ideale quindi coerenti, resistenti al momento sociale e culturale e a questa collettiva perdita della memoria e, non certo ultimo resistenti conserva una vicinanza con “partigiani” per essere questi manifesti dedicati all’A.N.P.I. “È il momento di uscire allo scoperto e metterci la faccia per confrontarci e interrogarci sui tempi disumani che stiamo vivendo.” Un richiamo. Un invito. Uno stimolo ad agire. In quest’appiattimento silenzioso è stato come udire il corno di Orlando a Roncisvalle. Siamo stati in diciannove a rispondere all’invito: Antonio Bobò, Cesare Borsacchi, Samuel Bozzi, Valerio Comparini, Lorenzo D’Angiolo, Orso Frongia, Giorgio Giolli, Stefano Ghezzani, Fulvio Leoncini, Luca Macchi, Gianfalco Masini, Romano Masoni, Gianfranco Pacini, Alberto Rocco, Elena Salvadorini, Paolo Tesi, Gianfranco Tognarelli, Massimo Villani,
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Vinicio Zapparoli / Milena Barbarossa. Come può un pittore opporsi efficacemente agli effetti di un’azione contraria e cioè, in questo caso, al vuoto culturale? Con un’arma micidiale: la creatività. Ognuno di noi ha realizzato il proprio manifesto composto di un’immagine e un testo. L’immagine creata e il testo di ognuno sono stati stampati su Forex di 0,5 mm della grandezza di cm. 100x70 perché la mostra si è tenuta all’aperto, nella piazza centrale di Santa Croce sull’Arno dove ha la sede l’A.N.P.I. e dunque le opere dovevano “resistere” all’aperto. Le opere sono diventate emblemi di testimonianza e di denuncia, le singole storie personali, le difficoltà affrontate nella vita hanno assunto un significato universale. Talvolta è stata proprio l’Arte a fornire punto fermo per resistere e superare le difficoltà. Il suono magico del violino del M° Roberto Cecchetti ha fermato il vento e la pioggia, cantato il dolore del mondo e degli artisti, permettendo così alle tante persone di partecipare all’inaugurazione.
Luca Macchi
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mostre Reality
un borgo per l’
arte
otto artisti espongono a Forno
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orno, Massa Carrara, dal 13 giugno al 18 settembre 2019 esposizioni personali degli artisti: Achille, Debora Balloni, Gilberta Dal Porto, Pier Paolo Fruzzetti, Aldo Giusti, Fabio Grassi, Remo Lorenzetti, Daniele Terzoni. A Forno, frazione montana di Massa meglio conosciuta, un tempo, per la Filanda dove nel 1800 vi era una fiorente industria tessile, ora patrimonio dell’archeologia industriale, otto pittori si alternano ogni quindici giorni con mostre d’arte personali nello spazio messo a loro disposizione dall’Associazione locale La Sorgente che cura le attività culturali e ricreative nel piccolo borgo, che costeggia il fiume Frigido. Gli artisti che hanno aderito all’iniziativa vivono nel territorio apuano ma per alcuni di loro l’attività espositiva si spinge oltre i confini nazionali raggiungendo notorietà e apprezzamenti in diversi paesi esteri. Apre il ciclo espositivo Daniele Terzoni che con la tecnica della pixel art, si affida stilisticamente alla narrazione linguistica della Pop Art americana, stabilendo una corrispondenza tra realtà e arte con l’obiettivo di cogliere il messaggio positivo della società contemporanea tralasciando la connotazione kitch del movimento. La rappresentazione naturalistica di Fabio Grassi trae origine dalla poetica del sublime per il sentimento di solitudine che pervade la scena. Cipressi e faggi si stagliano solitari o in coppia disposti in desolate, brulle campagne. Il suo ultimo ciclo pittorico lo vede impegnato nella tecnica dell’acquerello realizzato su antichi manoscritti. L’albero è ancora protagonista. È spoglio. La rappresentazione è drammatica. Il tronco solido e massiccio presenta segni e asperità di un lungo trascorso, la chioma è mozzata, tagliata fuori dalla visuale…
l’inverno della vita è arrivato. Solo la poesia di un’armoniosa scrittura fa da sfondo allo scarno albero riuscendo a mitigare l’angosciosa sensazione di solitudine immanente. Gilberta Dal Porto opta per un linguaggio informale della rappresentazione e affida alle figure geometriche del cerchio, quadrati e rettangoli la struttura spaziale della composizione. Elemento essenziale è la matericità e la sua strutturazione che, nel gioco di rilievi accentuati e sfumate sgranature, cromatismi ora impalpabili, ora decisi, conferiscono un senso mistico e spirituale alla scena. Remo Lorenzetti con i suoi viaggi onirici conduce lo spettatore in un mondo incantato che appartiene al linguaggio fiabesco e irreale in cui piccoli oggetti di affezione quotidiana assumono grandi significati: semplicità, candore e amore. Dove piccole case arroccate sulla cima di monti minuscoli paiono stringersi in un abbraccio ideale mentre animali idilliaci popolano scenari fantastici da cui scaturisce un messaggio simbolico di pace ed estasiata serenità. Le opere di Aldo Giusti si fanno pagine ideali di un in quaderno di viaggio scritto con le emozioni e le esperienze vissute durante le sue permanenze all’estero. Con rispettosa devozione ha conservato nel cuore ricordi e culture dei paesi visitati assimilando l’essenza e lo spirito di tradizioni e usi diversi che, al ritorno nel proprio paese, trasporta sulle sue tele operando una sorta di ricongiungimento delle diverse culture. Ecco che elefantini indiani bardati a festa, sete preziose, vecchi manoscritti si uniscono alla cultura occidentale tramite piccoli Pinocchi-giocattoli, fiori e frutta di stagione o semplicemente conchiglie marine. Pier Paolo Fruzzetti è grafico, pittore,
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fotografo, realizzatore di grandi murales d’interno. Artista legato alla Pop Art americana, porta in esposizione dipinti di oggetti d’uso comune appartenenti alla società consumistica contemporanea e oggetti d’affezione trasformandoli in icone di profondo valore simbolico. Sensibile osservatore, coglie il senso ironico della rappresentazione che, nell’iperrealista tratto pittorico riesce a mettere a nudo verità altre. Per Achille Pardini, in arte semplicemente Achille, la figura femminile rappresenta la centralità e il motivo ispiratore della sua creazione artistica affidando alla pittura tutta la poetica del proprio mondo sensibile orientato a sublimare la donna nell’interezza della sua femminilità. Sensualità e velato erotismo dominano la produzione pittorica di nudi muliebri realizzati nelle varie tecniche: olio, acquarello, carboncino e incisione, dove l’artista utilizza tonalità calde e morbide appartenenti alla gamma cromatica dei rossi e delle terre accentuando il messaggio sensuale della rappresentazione. Debora Balloni realizza installazioni esprimendosi attraverso l’uso di materiali di recupero e vegetali.
Enrica Frediani
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visibile Reality parlare
spigolature
ritratti e autoritratti con Nocchi e Tofanelli Roberto Giovannelli
C
hi mai potrebbe rubare le immagini allo specchio?... Il diavolo forse?...1
Ed è forse diabolica la mano con cui, guardandomi allo specchio, mi raffiguro su questo foglio di carta azzurrina? O forse – caro amico – è diabolico quel medesimo foglio dove, con i segni tracciati dalla mia stessa mano, si rispecchiano i tuoi sembianti filtrati dal mio occhio? Ecco, su questo doppio registro, nell’ambiguo alternarsi e fondersi d’immagini illusorie e realtà, si avverano la magia dello specchio e quella dello specchio della commedia del mondo, in tutte le loro possibili metamorfosi e combinazioni. In questo molteplice inganno degli occhi prende corpo il gioco delle fantasmatiche rappresentazioni dei volti. Un giuoco condotto da quel gran maestro di alchimie che è il Disegno, per il quale, come nota acutamente il Magalotti:
Roberto Giovannelli, Labirinto, 1996, olio su tela e lamina oro, cm 50x35 Bernardino Nocchi, La Pittura sulla rupe Tarpea che consegna ad una Fama il ritratto di Pio VI, modelletto (particolare), 1783 ca., olio su tela, collezione privata. Nel particolare, oltre allo Strange e al Nocchi, vi si riconoscono Luca da Leida (in alto), Parmigianino, Rembrandt, Agostino Carracci (con il portafogli) e il Grechetto
la gagliarda immaginativa del Pittore finisca di cavar fuori sulla tela certi lineamenti solamente abbozzati in un viso, e finisca di spiegare certe fattezze, dirò rannicchiate, che non si lasciano raffigurare così da tutti gli occhi...2 Sul filo di questo pensiero avvio un breve racconto, sfilato dal mulinello di ritratti e autoritratti che, come argento vivo, affollano il labirinto della storia della pittura. Sul retro di una tela, un’antica, incognita mano, aveva lasciato con sottile scrittura vergata su un cartellino, breve memoria del personaggio raffigurato nella superficie frontale di quella stessa tela: «Questo giovane pittore Bernardino Nocchi partì da Lucca a’2 di marzo 1769 per Roma per perfezionarsi nella Pittura – Partì con lui quel giovine Pittore contadino dal Ponte San Pieri»; un’altra mano, qualche tempo dopo si aggiungeva alla prima rivelandoci l’identità di quel giovane contadino: «di nome Stefano Tofanelli, celebre Pittore»3. In quella tela Bernardino aveva messo mano a un Autoritratto4, effigiandosi in elegante veste da camera di raso rigato cremisi, con tavolozza e pennelli freschi di colore, a indicare con eloquente gesto della mano un dipinto sul cavalletto, ove, nella metà sinistra, si vedono un fauno e un putto ritagliati sull’orizzonte di una vegetazione lacustre: forse protagonisti di un Educazione di Bacco o di una scena con Giove bambino? La vibrante stesura pittorica dell’Autoritratto, ci suggerisce la qualità del precoce, dirompente talento di quel ventiduenne, dallo sguardo penetrante, che vi appone la firma nel 1763. Emblematica raffigurazione che egli lascerà in ricordo all’amico Bartolomeo Talenti
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prima di partire da Lucca. Quel volto, maturato nel segno di un fervido lavoro, ritroveremo venti anni dopo nell’Autoritratto dipinto dal Nocchi nel modelletto raffigurante La Pittura sulla rupe Tarpea che consegna ad una Fama il ritratto di Pio VI, viatico alla rappresentazione nella volta della distrutta Stanza delle stampe, che egli dipinse a tempera nella Biblioteca Vaticana tra il 1784 e il 1785. Nell’allegorica coreografia Bernardino si unisce, quale umile convitato, allo stuolo dei maestri delle Arti del Disegno che affollano la scena, e ne vediamo la nobile figura mentre mostra una stampa, forse tratta da una sua opera, all’incisore Robert Strange, il cui nome è scritto sul piatto della cartella che l’artista tiene in scorcio. Animata da un simile fervore ritroviamo la sua immagine nel dipinto ove, più o meno negli stessi giorni, Stefano Tofanelli rappresenta sé stesso davanti al ritratto dell’amico e maestro Bernardino. Con tale composizione egli coronava una richiesta del
nobile lucchese Paolino Santini, da tempo desideroso di avere in effigie i due pittori riuniti in un’unica tela. Finalmente, a conclusione di quel suo lavoro, l’artista, da Roma nello studio in Campitelli il 23 luglio 1783, così lo descrive al raffinato committente: il mio ritratto sta in atto di dipingere Nocchi, voltato però come per sentire il parere di chi lo guarda. È Nocchi dipinto in una tela sopra del cavalletto colla cartella sotto il braccio per distinguerlo Pittore, e questi due son quelli, che V.S. Ill.ma si degnò ordinarmi. Per mio piacere poi vi ho fatto mio fratello Agostino appoggiato alla sedia, dove io sedo, e per mio capriccio (non credendo che le potesse dispiacere) più addietro ci ho dipinto mio Padre, giacché s’è data l’incontranza di essere in Roma, mentre facevo questo quadro...
bellissimo studio «alli Greci», quando un giorno verso la fine di giugno, tornando da Lucca si trovò a osservare mestamente: mi sono rallegrato nel vedere questa città dalle alture dei monti; ma quando poi sono entrato in casa m’è venuta la malinconia, perché nissuno m’è venuto incontro. Guardava le statue, che sono intorno allo studio, e quelle mi riguardavano senza batter occhio, chi con ciglio severo, chi malinconico, e chi con molta indifferenza. Alcune in atteggiamento, e aria ridente, ma senza respirare, senza moto e senza amore, ed affetto per me, a segno che nessuna s’è mossa dal suo luogo, e neppure una ha voltato il ciglio per riguardarmi, talmenteché mi son trovato come solo e abbandonato… Né ad alcuna di quelle algide figure, seppur cercata tra le più ridenti, credo (correndo per un momento al tema fantastico e antichissimo dell’amore per le statue) egli avrebbe osato chiedere, come chiederà in tempi più recenti Antonio Baldini alla marmorea figura di Paolina Borghese, di farsi un po’ più in là, per accoglierlo lietamente nel suo «fresco giaciglio»5. In preparazione dell’Autoritratto, Stefano aveva tracciato un paio di pensierini in carta tinta, brulicanti di teneri segni tracciati sulla ruvida grana del foglio. Alle sue spalle, appoggiato al pomello della sedia, ha in questi di-
L’Autoritratto tofanelliano rimanda al genere della conversation piece, meglio si direbbe pittorica, vibrante di sguardi, ma soprattutto di silenti pensieri, di fantasmagoriche immagini germinate nella mente di chi, come Stefano artefice laborioso, è «cresciuto sempre nella solitudine degli studj di pittura». Una solitudine che si protrarrà nel tempo, e che egli vedrà dilatata dieci anni dopo nel suo
ali osservatori oltre il suo specchio, o, così come lo è il fratellino, rispecchiati alle sue spalle, dal medesimo specchio. Nell’uno o nell’altro modo, come per incantata sospensione, egli ci osserva con lieto sorriso, mentre, seguito dallo sguardo curioso di «Agostinetto», punta con la destra il pennello su un velo di biacca steso sul piano trasverso del suo tavolino, accarezzando nel contempo, con la sinistra armata di tavolozza, il dorso di un micio: il tigrato gatto di casa che, in movimento su quello stesso piano, protende la testolina ronfante verso di lui, quasi volesse distrarlo dalla nostra presenza e dalla sua narcisistica contemplazione. Incrociando gli occhi del pittore non posso tenermi dal concentrare lo sguardo nel bagliore magico del suo specchio, e, come la mosca presa nella tela del ragno, di unirmi a lui, entrando anch’io narcisisticamente in scena con il mio Autoritratto. RINGRAZIAMENTI Si ringrazia Francesco Bertini per la collaborazione concernente le immagini fotografiche.
segnato però solo il fratello «Agostinetto», perché, come abbiamo visto, il padre Andrea in quel tempo non era ancora giunto a Roma. Fra i due, il disegno ove il Nocchi è raffigurato in campo ovale nello sfondo è il pensiero più vicino al terminato Autoritratto di Stefano. Invece l’altro disegno, per la più fresca e spontanea ambientazione, parrebbe il frutto di una prima idea, che probabilmente non vide mai la luce. In quest’ ultimo foglio, Stefano, lasciando per un momento il ritratto dell’amico e maestro, qui raffigurato in una tela quadrotta, volge lo sguardo verso di noi: non sappiamo se ide-
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Bernardino Nocchi, Autoritratto giovanile, 1763, olio su tela, collezione privata Stefano Tofanelli, disegno per Autoritratto con Bernardino Nocchi, 1783, Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi Stefano Tofanelli, Autoritratto col padre e con il fratello Agostino, 1783, olio su tela, Roma, Museo di Roma Roberto Giovannelli, Finestra nel mio studio, 1986, olio su tela, cm 145x165 Roberto Giovannelli, Cara Luisa, Autoritratto, 1986, grafite lumeggiata su carta tinta, cm 43x29
NOTE 1 E. T. A. Hoffmann, Le avventure della notte di San Silvestro, in Il vaso d’oro. Pezzi di fantasia alla maniera di Callot, Torino, 1995 (racconti editi dal 1809), p. 247. 2 Lorenzo Magalotti, Sopra gli odori, in Lettere scientifiche, ed erudite, II, IX, Venezia, Appresso Domenico Occhi all’Unione, 1740, p. 99. 3 Nato nel settembre 1750 a Ponte San Pietro sul Serchio, Comunità di Nave nelle vicinanze di Lucca. 4 Olio su tela, cm 58x45, collezione privata. Vedi per l’Autoritratto e per le notizie concernenti gli argomenti che seguono, R. Giovannelli, Nuovi contributi per Bernardino Nocchi, in «Labyrinthos», IV, 7/8, 1985, pp. 119-199; idem, Spigolature al seguito di Bernardino Nocchi, 1, XI-XII, 21/24,1992-1993, pp. 253-304. 5 Vedi Paolina fatti in là, ne La dolce calamita, Palermo, 1992 (I° ed. Bologna, 1929), pp. 169-179.
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L'arte Reality in Italia
Carmelo De Luca
Marmo, bronzo e argento per Alessandro VII
IL RINASCIMENTO PARLA EBRAICO
I PORTALI DI SANDRA MUSS
12 aprile 3 novembre 2019
12 aprile 15 settembrew 2019
fino al 31 ottobre 2019
SIENa Cripta del Duomo
Ferrara
FIESOLE Belmond Villa S. Michele
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culatamente restaurati, marmi, bronzi, argenti alessandrini raccontano in mostra quel magnifico patrimonio artistico senese creato durante il pontificato di Fabio Chigi, opere eccelse appartenenti all’arcinoto Duomo senese. Ben sei reliquiari in argenteo materiale ostentano fasti barocchi voluti dal papa per l’omonima cappella, contendendo bellezza alle opere custodenti resti dei protettori cittadini. Tali meraviglie trovano supporto nei capolavori provenienti da istituzioni ecclesiastici locali, basti segnalare quel suadente Crocifisso conservato all’Annunziata, sfoggiante visione realizzativa del Bernini, qui, omaggiato con un busto marmoreo policromo ritraente Alessandro VII, dirimpettaio del drammatico busto bronzeo fuso dal maltese Melchiorre Caffà. La mostra vanta altre creazioni religiose custodite in sacrestie o altri luoghi, spesso, inaccessibili.
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a mostra affronta quel fecondo periodo artistico, chiamato Rinascimento, studiandone l’originale partecipazione ebraica in dialogo culturale col mondo cristiano. Nelle sale espositive, Sacra Famiglia di Andrea Mantegna, Elia e Eliseo dipinto dal Sassetta, Vittore Carpaccio con Nascita della Vergine ostentano scritte giudaiche, testimonianti un intreccio artistico tra due mondi che riscoprono la centralità umana. Nelle sale espositive trovano dimora una secolare Arca Santa italica in legno, l’antica Torah biellese, preziosi manoscritti miniati, la trecentesca Guida dei Perplessi scritta da Maimonide. Attivissimi nelle principali città peninsulari, il progetto espositivo decanta intraprendenza, fiuto per affari, professionalità medica, ma ne sottolinea la difficile accettazione degli ebrei, da sempre orgogliosi nel difendere una millenaria identità.
Daze “Seasons”
13 giugno – 31 ottobre 2019 firenze Palazzo Coveri Un progetto affascinante e in qualche modo rivoluzionario, in quanto per la prima volta la Street Art fa irruzione in un palazzo mediceo, emblema del più puro Rinascimento, quale è casa Coveri in Lungarno Guicciardini a Firenze. Per la Maison Enrico Coveri, Daze ha progettato un’opera monumentale, piena di allegria, movimento e colore, da cui verranno tratti i tessuti stampati per la collezione uomo donna primavera estate 2020. In contemporanea la Galleria del Palazzo rende omaggio all’artista con un’importante personale. Daze (vero nome Chris Ellis, New York, 1962) inizia la sua carriera come writer nella New York degli anni Settanta, lasciando il suo segno inconfondibile su tutto il territorio urbano: muri, treni, vagoni delle metropolitane.
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S
andra Muss omaggia Leonardo con una installazione site-specific sotto quel Monte Cicero dove il genio studia uccelli, così tre sinuose colonne metalliche avvolte da cicalesche ali rimembrano sperimentazioni vinciane bramanti l’uomo in volo. Disposte a mo’ di portali, le creazioni trovano dimora nel giardino antistante l’ex complesso conventuale progettato da Michelangelo, divenuto rinomato albergo. Per non essere da meno, il leggiadro volatile si posa sulle coloratissime secolari porte degli interni, suggestivo impianto scenico nel quale luce e riflessi convivono in armonia, misteriosa magia riecheggiante luoghi reconditi in evoluzione temporale, passaggio tra nuove dimensioni in continua evoluzione. Cosi, ali leggiadre trasportano l’essere umano là dove sceglie di maturare, trasformarsi, migliorare. L’esposizione porta la firma del patinato Studio Abba.
INFORMALE 6 aprile 14 luglio 2019 San Secondo di Pinerolo Castello di Miradolo
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’informale artistico internazionale omaggiato a Miradolo con settanta opere tra dipinti, disegni, sculture. Generate nel secondo dopoguerra, nuove avanguardie
DIOR A VENEZIA 12 APRILE 3 NOVEMBRE 2019 Stra Villa Pisani
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ior a Venezia, un idillio nato tra scorci mozzafiato nel lontano 1951, set scenografico per la celebre campagna pubblicitaria internazionale della sua haute cou-
fanno assurgere materia e gestualità a protagonisti nella nuova visione artistica mondiale. Dodici sale espositive raccontano ricerca nel Vecchio Continente, espressionismo americano, Gruppo Gutai giapponese, dominata dal negazionismo figurativo, avveniristica concezione artistica ribelle operante sulla materia quale elemento espressivo. Dubuffet, De Staël, Van Velde, Jorn, Appel, Alechinsky, Fontana, Burri, Vedova rappresentano alcune illustri firme europee presenti in mostra a supporto del nutrito gruppo torinese spaziante da Spazzapan a Carol Rama. Il nuovo continente ostenta importanti dipinti di Gorky, Hofmann, Tobey, Bluhm, Sam Francis, mentre il Sol Levante si fa onore grazie a Motonaga, Domoto, Onishi. Una installazione sonora trova ispirazione nella letteratura dell’Informale riproponendone nel percorso espositivo suoni rumori, armonie e la didattica artistica si avvale dell’allestimento Da un metro in giù, intriganti spunti ludici-riflessivi sull’arte stuzzicanti curiosità, voglia di conoscenza, i cinque sensi. Bel catalogo, realizzato da Gliori Editori, ne decanta i fasti. ture. Nello stesso anno, Palazzo Labia ospita il Bal Oriental voluto da Don Carlos de Beistegui y de Yturbe, sontuosa festa in maschera dedicata al settecento veneziano, i cui costumi vantano firme illustre chiamate Dalì, Cardin, Nina Ricci e, naturalmente, Dior con uno stuolo di giovani sarti, interessanti persino vanitosi cani a seguito dei Polignac, Duchi di Windsor, Aga Kahn III, Re Faruq, Leonor Fini, Balenciaga, Rothschild, Cecil Beaton, immortalati negli scatti presenti in mostra. In versione Re Sole Don Carlos accoglie ospiti estasiati da cotanto glamour. Ad immortalare in sordina quei due mondanissimi eventi c’è Cameraphoto, agenzia fotografica lagunare, i cui artistici scatti dimorano presso Villa Pisani per la mostra dedicata al couturier. 40 immagini raccontano una collezione creata da colui che detta tendenze nel dopoguerra così, in quell’anno, lancia l’ovale presente nelle spalle arrotondate, maniche a raglan, cappellino alla cinese. Intorno, Venezia con la sua monumentale architettura rivaleggia in bellezza con modelle agghindate di tutto punto, creando una simbiosi perfetta.
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GEA 1 giugno 2019 6 gennaio 2020 CASTELFALFI
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e strade del Borgo, di Castelfalfi le terrazze del Castello, il Parco Mediceo, il giardino dell’Hotel Il Castelfalfi e soprattutto le Cantine del Castello, riaperte al pubblico dopo decenni di chiusura e abbandono e tornate all’antico splendore, accolgono l’esposizione d’arte GEA, dello scultore Franco Mauro Franchi, un inno alla vita e alla rinascita attraverso le forme femminili create dall’artista, mostra progettata dall’estro
creativo di Alberto Bartalini e curata da Filippo Lotti. Nell’opera scultorea e pittorica di Franchi GEA non è bellezza o perfezione estetica: l’universo interessato è piuttosto quello del mito, del simbolo, come veicolo di emozioni, portatore del tempo e della storia. Nelle loro grandi proporzioni, nelle loro intrecciate posture, nelle loro misteriose e avvolgenti deformazioni anatomiche, queste opere celebrano la rigenerazione e la vita: come quella che oggi torna a Castelfalfi, che abbandonata per decenni ha rischiato di rimanere lontana dalla vista e dalla memoria. A completare l’esposizione anche TIME, un’installazione multimediale di Irene Franchi, che attraverso un’affascinante opera audiovisiva celebra l’inesorabile scorrere del tempo e il cambiamento inarrestabile della forma.
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OMAGGIO A COSIMO I 6 GIUGNO 29 settembre 2019 FIRENZE Uffizi e Palazzo Pitti
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500 anni dalla nascita, tre importanti mostre celebrano Cosimo I tra Palazzo Pitti ed Uffizi. Una biografia tessuta ne racconta il saggio governo attraverso otto
Burri Morandi e altri amici. La passione per l’arte di Leone Piccioni 15 GIUGNO 2019 15 gennaio 2020 Forte dei Marmi Villa Bertelli
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rte e letteratura, unite in magistrale armonia, nella mostra Burri Morandi e altri amici. La passione per l’arte di Leone Piccioni, curata da Piero Pananti e Gloria Piccioni. La mostra viene presentata per la prima volta in Italia negli
artistici arazzi, dalla salita al trono all’incoronazione dell’austriaca Giovanna, pregevoli manufatti intessuti nelle manifatture medicee e destinati alla Sala di Saturno, in Palazzo Pitti, ghiotta occasione per l’ingegno talentuoso raggiunto da Firenze in questo settore artistico. I cento Lanzi del Principe raccontano la storica guardia granducale sino all’estinzione nel diciottesimo secolo. Presenti nel percorso espositivo degli Uffizi, dipinti, disegni, incisioni, armi, armature svelano sfaccettature socio-culturali e militari del corpo soldatesco che ha dato nomea alla Loggia in Piazza Signoria, spesso, ritratti con la celebre alabarda nei dipinti glorificanti il sovrano. Baccio Bandinelli e Giovanni di Paolo Fancelli sono, rispettivamente, ideatore e scultore del Villano con la Botticella, opera marmorea acquistata dalla toledana Eleonora per Boboli. Sapientemente restaurata, l’intervento rende omaggio alla coppia granducale che inaugura la tradizione delle statue popolari abbellenti il regale giardino pittiano, invidiato e imitato dalle corti europee per molti secoli.
spazi espositivi della Villa, ma offre anche l’opportunità di promuovere sul territorio la cultura del Novecento e ricorda quanto sia stato importante e versatile il contributo ad essa di Leone Piccioni. Villa Bertelli, dunque, rende omaggio a uno dei più importanti critici letterari italiani, scomparso un anno fa, ma offre anche un’esclusiva a Forte dei Marmi. Per la prima volta, infatti, viene presentata al pubblico una raccolta di 108 opere, realizzate dai più noti artisti italiani e internazionali, che accoglie anche ricordi della prestigiosa carriera di Piccioni e del legame che lo ha unito a ogni singolo autore in esposizione. Evento, promosso dalla Fondazione Villa Bertelli, con il patrocinio di Regione Toscana, Provincia di Lucca, Comune di Forte dei Marmi, Comune di Pistoia, Comune di Pienza, Premio Letterario Internazionale Ceppo Pistoia. La mostra è corredata da due eventi collaterali, da realizzarsi nel periodo estivo: il primo, dedicato al Quarto Platano, di cui Piccioni è stato uno degli ultimi rappresentanti. Il secondo, presenta il carteggio Lungara 29. Il caso Montesi nelle lettere a Piero.
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STORIA
Urania a Pisa
Il sepolcro Mossotti e lo scultore Giovanni Dupré Paola Ircani Menichini
Busto di Giovanni Dupré, collocato a Siena nella sede museale della Contrada Capitana dell’Onda, da https://www. contradacapitanadellonda. com/giovanni-dupre/
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el Camposanto Monumentale di Pisa si ammira ancora oggi il sepolcro in marmo di Ottaviano Fabrizio Mossotti, che fu un celebre professore di astronomia nell’Università cittadina. La scultura riporta inciso sul davanti il suo ritratto di profilo e lo mostra allo spettatore in avanzata maturità, con i capelli un po’ lunghi, i baffi, i basettoni, la giacca dal bavero a revers e un accenno di ampia cravatta. Ha lo stile consueto dell’uomo dell’Ottocento, che fu uno dei due secoli in cui visse e operò. Nacque infatti nel 1791 a Novara, figlio di un ingegnere. Si laureò nel 1811 alla facoltà di FisicaMatematica dell’Università di Pavia e negli anni successivi si distinse per lo studio di un tipo di apprezzata pompa idraulica che sfruttava la forza cinetica dei liquidi e non necessitava di alcuna forza esterna. Nel 1813 fu assunto all’Osservatorio astronomico di Brera a Milano e da allora si occupò del cal-
colo delle orbite dei corpi celesti. Sperimentò per la prima volta un metodo innovativo di quattro osservazioni vicine, che gli permisero di calcolare equazioni di primo grado e di avere dati più precisi. Nel 1822 gli venne riconosciuto il valore degli studi dall’Accademia delle Scienze di Modena. Mossotti ebbe anche vivace dinamismo politico. Fu in contatto con gli ambienti liberali e anti-austriaci milanesi e forse con la società segreta dei Filadelfi, tanto da essere prima sorvegliato dalla polizia e poi nel 1823 costretto a fuggire in Svizzera e a Londra. Nel 1826 rassegnò le dimissioni dall’Osservatorio di Brera. Nel 1827 s’imbarcò da Falmouth verso l’Argentina, paese nel quale restò sette anni in qualità di ingegnere astronomo, di primo consigliere al Dipartimento Topografico e, dal 1834, di professore di Fisica Sperimentale all’Università di Buenos Aires. Ritornato in Europa, nel 1836 si stabilì a Corfù dove fu professore all’Ateneo inglese. Nel 1840 divenne socio dell’Accademia delle Scienze di Torino. Fu chiamato poi alla cattedra di Fisica, Matematica e Meccanica celeste dell’Università di Pisa e qui insegnò dal 1841 al 1860. A Curtatone, nel 1848, comandò il battaglione universitario toscano. Ormai a riposo, nel 1861 venne nominato senatore del Regno d’Italia, come riconoscimento della sua attività politica e di scienziato. Mossotti morì a Pisa il 20 marzo 1863. Per onorarne la memoria, venne commissionato il suo sepolcro in marmo a Giovanni Dupré, un artista tra i migliori della sua epoca. Dupré era nato a Siena nel 1817, da padre falegname, e ancora ragazzo, per estremo bisogno, si era trasferito con la famiglia a Firenze. Qui aveva lavorato nella bottega dell’intagliatore Pietro Sani, compien-
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do pregevoli opere in legno. Presto, però, per l’ammirazione provata verso i contemporanei e Lorenzo Bartolini, aveva preferito all’intaglio la scultura del marmo, nella quale aveva mostrato in pieno il suo valore. Era stato di sua mano un “Abele morente” (1842, oggi all’Hermitage di San Pietroburgo) che fin da subito gli aveva procurato fama e commissioni. Dopo di che aveva viaggiato in Italia, in Francia e in Inghilterra ricevendo sempre importanti riconoscimenti. Nel 1867 la sua “Pietà” ottenne la gran medaglia d’onore all’Esposizione Universale di Parigi. Dupré ebbe anche uno stile di scultura caratteristico, contraddistinto da un canone di bellezza dolce e sensuale. La sua sensibilità artistica poggiò sulle percezioni personali e sull’affetto verso la sua famiglia. Provò un immenso dolore dopo il decesso della figlia Luisa (1872) e della consorte Maria Mecocci (1875) che ricordò nel monumento funebre come “moglie e madre buona”. Non molto tempo dopo, il 10 gennaio 1882, morì anch’egli a Firenze, lasciando all’altra figlia Amalia l’eredità della
scultura. Nel sepolcro scolpito per il Camposanto di Pisa espresse al meglio i canoni artistici che gli furono propri. Volle rendere veritiero il ritratto dello scienziato nel medaglione centrale, come lo abbiamo descritto. Ai lati incise l’epigrafe: Alla memoria / di Ottaviano Fabrizio Mossotti / nato in Novara il XVIII aprile MDCCXCI / e morto in Pisa il XX marzo MDCCCLXIII / Qui rende onore la Italia. La scienza da lui professata / ne attesta i meriti eminenti / e la perennità della gloria. / Artefice del monumento / fu Giovanni Dupre’. Sul corpo centrale del sepolcro, che ha
linee semplici ed eleganti, volle collocare l’imponente statua della musa Urania, protettrice dell’astronomia e della geometria. Sulla fronte della fanciulla, nel punto più alto dell’opera, scolpì la stella che la caratterizza. Le conferì anche una posa signorile e gran magnetismo fisico. La musa sta semisdraiata, avvolta dalla vita in giù da un ampio panneggio, il braccio e la mano destra incrociano il busto e si posano dietro su dei libri mentre il braccio e la mano sinistra sorreggono delicatamente la testa. In verità, la mano destra ha due dita rotte, un piede è tronco, entrambi gli arti superiori mostrano segni di fratture e di incollature dovute a eventi di-
sastrosi e a riparazioni. Tuttavia, a ben guardare, i segni di troncatura quasi assomigliano a degli ornamenti e nulla tolgono all’impressione che si riceve dall’insieme. La stessa Urania sembra non curarsene: tenendo testa e busto eretti guarda a un orizzonte lontano con un sorriso. Così si rimane fermi ad ammirarla e volentieri si associa la sua figura seduttiva anche alla simile (nel nome) “Afrodite Urania”, patrona della fecondità dello spirito umano, ovvero del pensiero, della virtù e dell’inventiva. Era questa dea dell’Antichità la figlia del Cielo e della Luce e grazie a lei si animava tutta la natura.
Sepolcro Mossotti del Camposanto Monumentale Pisa, foto di P. I. M. (2019)
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intervista
lo
di
zoo Firenze una visita guidata da Luciano Artusi
Alfredo Scanzani Davantl alle Logge del Mercato Nuovo si incontra il cosiddetto "Porcellino", in realtà un cinghiale, bronzo di Pietro Tacca (1633). Copia romana da un marmo ellenistico In via Calimaruzza si ammira lo stemma dell'Arte Maggiore dei Mercanti di Calimala con l'Aquila che artiglia il "torsello": imballaggio usato per spedire le varie pezze dei tessuti
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el salotto di Luciano Artusi una breve scala di legno mi conduce nel suo “sancta sanctorum”: studio ricavato, anzi “inventato” per uso esclusivo, dove c’è tutto il necessario per uno scrittore: la scrivania, il computer, due moderne poltrone. Si tratta di un sottotetto comunque bene illuminato da una luce opalescente che invade ogni angolo della stanza, tralucendo dai vetri del lucernaio.
Intorno a noi, sparsamente disposti, fanno bella figura di sé gli oggettiricordo dei suoi cinquantacinque anni trascorsi come Direttore del Calcio Storico Fiorentino: fotografie, targhe, medaglie, diplomi. Infine i libri: almeno due migliaia, bene ordinati sopra semplici scaffali commisurati a ogni residuo spazio libero e perciò utilizzabile. Novanta di questi volumi portano la sua firma: il primo della serie fu una guida di Palazzo Vecchio, cui seguì quella dedicata alla chiesa di Orsanmichele. Il penultimo è l’autobiografia (Mi ricordo che…) dato alle stampe l’anno scorso; infine l’ultimo, scritto a “quattro mani” con suo figlio Ricciardo: Gli animali nella storia di Firenze. Aneddoti, storia, cronaca, ricordi, miti e leggende, èdito da Sarnus. La celebre giornalista Elsa Maxwell intitolò l’autobiografia Ho sposato il mondo. C’è una tua personale affinità con questo titolo? Direi proprio di sì. Piuttosto mi considero bigamo per aver sposato Lilla e nel contempo essere fidanzato con Firenze. Quando e come sono nati questi amori? Sono nato fiorentino nel 1932, al Canto alle Rondini, in via Verdi. Allora il “canto” era l’angolo di via Pietrapiana con via Giuseppe Verdi. Ma nel 1936 l’edificio dove nacqui fu demolito per iniziare il “risanamento” del popolare e storico quartiere di Santa Croce. Tuttavia le demolizioni dei vecchi edifici furono solo parzialmente realizzate. Il progetto sembrò piuttosto uno “sventramento”. Perché era denominato “Canto alle Rondini”? Prendeva il nome da un tabernacolo murato proprio sull’angolo delle due strade: un tempietto falso gotico scol-
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pito in pietra serena. La nicchia interna ospitava una Madonna col Bambino, opera lignea dello scultore Umberto Bartoli. L’antico palazzo decorato con il tabernacolo appartenne alla famiglia Uccellini, il cui stemma mostrava tre rondini argentate in campo nero. Quando hai cominciato a scrivere la Storia e le storie di Firenze? Molto prima della scrittura venne la passione per la scherma con il fioretto, e dopo questa, intanto erano trascorsi alcuni anni, mi dedicai alle corse con la bicicletta. Infine il calcio, giocato nella squadra di Gavinana: colori bianco e azzurro, campo sportivo assegnato - quasi sempre - quello degli Assi Giglio Rosso nel viale Michelangelo. Era l’aprile del 1950. Quando conoscesti la tua futura moglie Lilla? La conobbi durante una festa, alla fine del Carnevale 1950: era appena diciassettenne. Trascorsi tre anni dall’incontro ci sposammo. Giovanissimo, fui assunto dal Comune di Firenze, Ufficio Tributi. Al Calcio Storico mi avvicinai già da allora, e per conoscere la storia di questo gioco, terminato l’orario di lavoro alle 14, per diversi mesi cominciai a documentarmi frequentando la Biblioteca Nazionale Centrale, vicina alla mia sede di lavoro. Era il 1951 e nel 1960 fui nominato dall’Amministrazione Comunale Direttore del Calcio Storico, incarico che ho svolto per 55 anni. Ti sentivi gratificato da questa impegnativa ricerca? Certamente, ma non mi bastava. Mi appassionai anche al paracadutismo e il 26 agosto del 1956 conseguii il brevetto di paracadutista civile. Dopo quasi un anno di preparazione e i lanci a Guidonia nel 1955, a Peretola e ad Arezzo nel 1956, ottenni quella desi-
derata abilitazione. Come è nato il progetto di passare in rassegna le immagini degli animali simbolici di Firenze? I simboli individuati sono numerosi e sparsi ovunque. La loro stessa varietà suscita una giustificata attenzione. Immagino queste “esplorazioni” molto impegnative. Questa ricerca ci ha impegnato per circa tre anni. Io e mio figlio Ricciardo abbiamo passato in rassegna tutti i simboli che ci erano noti, in gran parte scolpiti. Anche la toponomastica ci ha riservato delle sorprese: ricordiamo, per esempio, via delle Oche, prossima a piazza del Duomo, via del Leone, in Oltrarno, il viale delle Cornacchie, all’interno del parco delle Cascine, via della Torre del Gallo, al Pian dei Giullari, via del Granchio vicina a via Pistoiese, via del Pesciolino (dall’Arno a via Pistoiese). Quali sono gli animali più rappresentativi di Firenze? La parte del leone la fa proprio il leone, perché la Repubblica Fiorentina, oltre al Giglio, aveva un altro antichissimo simbolo: il Marzocco, cioè un leone accosciato, apparentemente quieto, ma vigilante e protettivo, che
sorregge con la zampa destra lo scudo inciso col Giglio fiorentino. È una importante scultura realizzata in pietra di macigno da Donatello nel 1419, il cui originale è oggi conservato nel Museo Nazionale del Bargello. Il Marzocco che vediamo oggi in piazza della Signoria è una copia realizzata nel 1847 da Clemente Papi, per sostituire, nel 1885, l’originale di Donatello. Quali gli altri animali simbolici di Firenze? Non sono pochi. Per esempio, l’agnello diventò il simbolo della potente corporazione dell’Arte della Lana, la cui attività manufatturiera e mercantile, a cominciare dal XIV secolo, rese Firenze ricca e potente. Il suo primo Statuto risale al 1371. L’Aquila era l’insegna della Parte Guelfa. Fin dai tempi più remoti, la città era suddivisa, nel suo interno, in quattro zone, ciascuna divisa in quattro parti detti Gonfaloni. Quasi tutti erano denominati con nomi di animali: Gonfalone del Lion d’Oro, del Drago, del Bue, del Lion Nero, dell’Unicorno, del Lion Bianco, del Lion Rosso, della Vipera, del Drago Verde. Per esempio, il quartiere di Santo Spirito ha come simbolo una colomba bianca in campo azzurro.
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Non meno numerosi erano i simboli araldici composti con figure di animali. Vuoi ricordarcene qualcuno? Cito i più noti: l’Aquila nera dei Barbolani da Montauto, il Grifo d’oro dei Martelli, le sei rondini nere dei Rondinelli, l’Aquila d’oro degli Agolanti, il grifone nero dei Grifoni. Un altro Leone nero lo troviamo nello stemma dei Tosinghi, e un’Aquila in quello dei della Gherardesca. Aggiungo anche il Pavone dei Monaldi, il Leone dorato dei Passavanti, l’Aquila d’argento dei Quaratesi e il Lupo degli Altoviti. In piazza Ognissanti, si ammira il dinamico e potente gruppo bronzeo di Romano Romanelli che rappresenta Ercole mentre abbatte il leone. Quale è il vostro metodo di lavoro? Per quanto possibile l’accurata documentazione e la scrupolosa ricerca compiuta in ogni angolo della città. Malgrado la certezza di aver compiuto una minuziosa esplorazione, chissà quanti altri particolari di questo bestiario saranno sfuggiti alla nostra attenzione. Questo vostro entusiasmo mi fa pensare a un ulteriore arricchimento dell’edizione… Perché no? La curiosità e l’entusiasmo non ci mancano.
Le teste dei leoni con la corona granducale di Toscana, decorano le basi delle finestre al piano terreno di Palazzo Pitti Loggia dei Lanzi: Ercole abbatte il Centauro Nesso (Giambologna, 1598) Il donatelliano Marzocco, simbolo di Firenze insieme con il Giglio, dòmina piazza della Signoria L'Agnus Dei, emblema dell'Arte della Lana, è murato sulla facciata dell'antica residenza di questa Arte, in via Calimala La colomba dello Spirito Santo è l'emblema araldico del quartiere di Santo Spirito
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storia
lizzatori apuani
una straordinaria epopea
Gianluca Briccolani
L'ultima carica di estratto "dimenticata" per sempre a Cava Bagnoli Il famigerato binario unico sopra cui transitava la "macchinetta" Denham con il suo prezioso carico
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ualche volta, nella mia veste di assiduo apuanista, mi capita di intrattenermi con i bambini o i giovani nelle loro classi, ponendo dei quiz su come ci si deve comportare in contatto con la natura montana. Mi diverte, soprattutto con gli studenti della regione in questione, scoprire che nessuno di loro sa rispondere a quesiti del tipo: come scendeva il marmo dalle montagne fino a 50 anni fa? Silenzio tombale anche da parte di quanti – e sono numerosi sulla costa toscana – hanno avuto in famiglia almeno una generazione che svolgeva questa attività. Si pensa che il marmo apuano sia stato estratto fin dai tempi dei romani o addirittura in epoche precedenti. Uno dei primissimi problemi da risolvere fu quello del trasporto a valle dei blocchi estratti. Ottenute le concessioni necessarie, si pensò subito a un adeguato percorso. Le maestranze impegnate in questo faticoso lavoro, acuendo l’ingegno, iniziarono a far scivolare i pesantissimi blocchi lungo le vertiginose pendenze delle Alpi Apuane. Fu allora che nacque la figura del lizzatore, mestiere ormai consegnato alle moderne tecnologie di trasporto. La radice del sostantivo che contraddistingueva questa figura professionale, ha origine dall’ingegnosa slitta di legno – la lizza appunto – costruita da artigiani con i migliori tronchi di cerro o di faggio, che serviva per spostare i blocchi dalla cava al piano caricatore, dove possenti coppie di buoi trainavano i carri con varie tonnellate di estratto fino ai pontili della costa. Fin qui sembrerebbe comunque un’operazione fattibile, se non fosse che per lizzare una carica di marmo si dovevano precedentemente costruire le vie sul cui tracciato questo carico
doveva scorrere. Per realizzare le strade necessarie allo scivolamento del marmo, almeno per quello non molto distante dalla cava al poggio di caricamento, non si partì propriamente da zero, perché la discesa utilizzava i vecchi sentieri percorsi giornalmente dai pastori, oppure si sfruttavano i ravaneti della stessa cava: cioè le enormi colate di inerti che ancora oggi vediamo “piangere” dall’alto dei fronti di cava. Ripulito il tragitto dai detriti più grossi, con i restanti massi debitamente assestati si creava – con paziente maestrìa – un percorso che avrebbe costituito quel metodo economico, funzionale e relativamente veloce da approntare per far scendere il marmo a valle. Ma le vere e proprie vie di lizza entrate oggi nell’immaginario di chi conosce e frequenta queste bellissime montagne, provenivano da cave aperte a quote altissime e lontane dalle carrarecce dove l’estratto prodotto sarebbe stato caricato. Esse venivano tracciate
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lungo le valli con ragionata accortezza per eseguire il minor numero possibile di curve e per mantenersi sopra itinerari a pendenza costante, agevolati dalla forza di gravità. La maggior parte delle vie di lizza veniva sviluppata a mezza costa realizzando dei muri a secco – larghi dai due ai quattro metri – costruiti direttamente sui fianchi della montagna. Come si può intuire, questa tecnica era molto più lenta e difficoltosa, perché spesso si doveva livellare la roccia per creare un basamento stabile di sostegno alla strada, composto da singoli massi che bisognava incastrare perfettamente gli uni con gli altri. Purtroppo, l’estrema esposizione agli agenti atmosferici e i pesanti carichi trasportati, furono la causa di non pochi crolli – anche durante la lizzatura stessa – causando feriti e incidenti talvolta fatali. Per scongiurare queste problematiche, talvolta il percorso su cui si facevano scorrere i blocchi era costituito
dal letto di un piccolo torrente in secca: in questo caso lo slittone con le tonnellate di “oro bianco” passava proprio sopra la viva roccia scavata dall’acqua. Alcune vie di lizza del passato si tuffavano letteralmente dall’alto di qualche canale, affrontando pendenze totalmente verticali, come nel caso della via di lizza che si snodava nel canale della Buchetta. Una volta approntata la strada laddove sarebbero discesi i materiali, la giornata tipo del lizzatore risultava quanto di più aspro e stoico poteva riferirsi a una giornata di lavoro. Per raggiungere le cave più in quota si partiva a notte fonda, con almeno cinquanta o sessanta chili a testa di materiali necessari per preparare la lizzatura dell’estratto. Appena divelto dalla montagna, il prezioso carico veniva prima riquadrato sul posto per agevolarne il trasporto; poi, una volta imbragato con robusti cavi d’acciaio, fatto rollare sopra cilindri lignei posti trasversalmente – i parati –, regolarmente alternati per raggiungere la valle. La pericolosità di questo calare stava nel malaugurato caso di un cedimento di qualsiasi componente la catena di “sicurezza”, perché la perdita della carica risultava quasi sempre fatale per i lizzatori. Il lento incedere di questa ventina di tonnellate veniva trattenuto – almeno fino agli anni Venti – da grosse funi di canapa (sostituite poi da enormi cavi d’acciaio dello spessore di 3 centimetri) avvolte a spirale intorno ai cosiddetti piri: dei bassi e robusti cilindri di legno o di marmo che venivano impiantati nel terreno roccioso. Alcuni giri passati attorno al piro bastavano a sostenere la pesante lizza, ma solo raramente erano sufficienti due cavi per trattenere l’intero peso, minaccioso per l’incolumità dei lavoratori. All’interno della compagnia dei lizzatori vi erano diverse figure professionali specializzate: il capolizza che disponeva i parati innanzi alla lizza
guidando la traiettoria di marcia e i legnaroli che recuperavano i parati liberi dal peso per passarli all’ungino che rapidamente li insaponava porgendoli velocemente al capolizza. A questo punto qualcuno potrà domandarsi: ma a quale velocità procedeva l’intera combriccola con il pesante fardello? Normalmente in un’ora venivano discesi dai 100 ai 200 metri, a seconda della tortuosità del percorso e della bravura dei lizzatori, anche perché – è bene ricordarlo – i lizzatori lavoravano a cottimo. Nel corso degli anni, si è cercato di velocizzare i tempi di discesa del cavato, diminuire i costi di usura dei materiali e nello stesso tempo rendere più sicuro il lavoro. Si iniziò così a progettare e successivamente a realizzare dei sistemi meccanici alternativi alla lizzatura manuale. Dai primi rudimentali esempi su binari di legno alla costruzione di vere e proprie ferrovie a binario unico, si poté subito apprezzare una moltitudine di vantaggi: minore tempo di discesa dei blocchi dalla cava, minori spese di manutenzione, minori costi di manodopera, ma soprattutto una maggiore sicurezza per gli addetti al carico. Tra i tanti sistemi di lizzatura meccanica, il più rinomato e insieme il più longevo, fu la cosiddetta “monorotaia”: un ingegnoso meccanismo autofrenante che scendeva e risaliva – grazie a un potente motore a nafta – le vertiginose pendenze del Fosso del Chiasso, per fare arrivare la materia prima dalla cava di Piastreta al poggio caricatore sito a Renara. L’arditissimo manufatto, opera dell’ingegnere inglese Denham, al tempo proprietario di queste altissime cave sul Monte Sella, si snodava per quasi quattro chilometri con pendenze che a tratti toccavano l’80%. Tra le vie di lizza meglio conservate di tutti i comprensori apuani ricordiamo: la lizza di cave Gruzze, del Puntello e del Padulello nel Massese, quella dei
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Tavolini, della Tacca Bianca e delle Voltoline in Versilia e l’incredibile lizza del Balzone in Lunigiana. Quest’ultima, dopo una prima fase di lizzatura lungo un sentiero scavato in parete, fu ricordata per la lunghissima teleferica che, attraversando tutto il selvaggio vallone della Canalonga, riusciva addirittura a trasportare in sospensione per settecento metri, al disopra del sottostante abisso, i camion carichi di marmo che dalle cave del Monte Sagro erano diretti verso le segherie Ma oggi, quello che fa più male oltre all’estinzione di molti picchi apuani conseguente alla decuplicata velocità dell’estrazione, sono le moderne strade d’arroccamento tranciare di netto molti di questi esempi di archeologia industriale costruiti con il sudore e con il sangue da intere generazioni di apuani. Da un po’ di anni – grazie all’immediato scambio telematico delle informazioni – vi è stata una vigorosa riscoperta di questi arditi percorsi in chiave escursionistica. Alcuni sono stati riadattati – grazie all’opera dei volontari del Club Alpino Italiano – a veri e propri sentieri segnati che, ricalcando fedelmente i “ricciati” delle più significative vie di lizza, traversano i più impervi pendii di queste affascinanti formazioni rocciose. Alcuni amanti del genere si sono così appassionati al ritrovamento di queste strade dimenticate da volerle addirittura censire in libri, opuscoli e pubblicazioni sui social network.
Un bellissimo "piro" di marmo perfettamente conservato si trova sulla parete sud del Monte Altissimo L'incredibile pendenza della lizza delle Voltoline: cicatrice che incide i fianchi sud-orientali del Monte Corchia Foto di Gianluca Briccolani
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CARTOLINA
dall’italico stivale alla Carmelo De Luca e Carlo Ciappina
Rhaetische Bahn By-line swiss-image.ch-Max Galli Santa Vittoria d'Alba Copiright Archivio Ecomuseo delle Rocche del Roero
Svizzera
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viluppatasi nella cerchia muraria, vecchi bastioni raccontano la guelfa Montalparo rispettabile per nobili famiglie, uomini d’arte e dottrina, pii cenobi. Trionfo rococò, S. Agostino custodisce sette altari e una sinuosa cantoria decorata, contendendosi cotanta bellezza con San Michele, la cui romanica cripta vanta affreschi quattrocenteschi. Dietro ogni curva, viuzze tortuose celano altri edifici sacri, antiche casine restaurate, dimore signorili trovanti nomea nel cardinalizio Palazzo Petrocchini. Rilevanza rinascimentale, Hotel Leone ben si presta al pernottamento. Restaurato, l’albergo vanta camere dove antiquariato e
design contemporaneo si completano, comprendenti matrimoniali deluxe, la lussuosa suite impreziosita da idromassaggio e grande letto con biancheria di morbida seta, un confortevole appartamento. Il secolare ristorante in mattoni delizia palati esigenti che, tra tante ricette stagionali, sforna stracci con cinghiale brasato al vino rosso, salmone grigliato e couscous di pomodori essiccati, panna cotta ai mirtilli, raffinati vini custoditi nella annessa cantina in pietra. Spaparanzati su confortevoli divani, sarà piacevole digerire davanti al camino del salone, altrimenti sostate sulla panoramica terrazza. Dulcis in fundo, abbellita dalla
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lounge area tra sdraio e ondeggianti amache, una invitante piscina a sfioro allevia la calura estiva. Intorno, arriva eco di predizioni attraverso oscuri oracoli ostentati dalla Sibilla, sovrana negli omonimi monti. Valli e vette maestose racchiudono torrenti assordanti, raggiungibili attraverso sentieri dove è facile incontrare gatti selvatici, aquile reali, caprioli. In tarda primavera, i Sibillini regalano quell’arcinota fioritura costellante Castelluccio di Norcia, profumato dipinto impressionista. Su, Monte Vettore protegge l’occhialuto lago glaciale, che si vuole custodisca il corpo di Ponzio Pilato. Dinnanzi cotante meraviglie, diavoletti pindarici tentano per un prolungamento vacanziero nelle Langhe e Roero, magiche terre da scoprire praticando sport tra vigneti, noccioleti, sentieri montani, qui dove tradizioni e paesaggio sono tutt’uno. Così il passato avvolto in castelli, borghi, colline, Alba Pompenia rivive nel presente profumato di funghi, castagne, vino, sensazioni accomunanti il cuneese che del passato isolamento geografico trae, ora, profitto sbandierando una variegata bellezza ed ottima gastronomia locale. In questi luoghi, camminate, trekking, running, mountain bike, bike trovano sprono grazie a sentieri, selciati, alture, dove ci si sente spiritualmente liberi. Tra poggi argillosi e montagne granitiche, Km asfaltati o sterrati riservano un onirico paesaggio anche ai centauri, accarezzati dal gradevole venticello rigenerante. In tal senso, Wonderful Outdoor Week ha ideato numerose iniziative culturali, sportive, gastronomiche per l’intera bella stagione. Ritemprati, si punta verso Domodossola per prendere al volo
l’arcinoto Trenino Verde alpino e scoprire scenari notoriamente affascinanti. Attraverso finestrini panoramici, l’animo proverà commozione costeggiando Valle del Rodano, lago di Thun protetto dallo Junfrau, la teutonica Berna. In alternativa, Capolago funge da partenza per raggiungere Monte Generoso, attraversando il pittoresco parco omonimo sullo storico trenino a cremagliera dal design Belle Époque. Ideale per quanti amino natura o trekking impegnativo, questa montagna offre un panorama strepitoso spaziante dai sottostanti laghi alla aristocratica Lugano, dagli italici Appennini alle maestose Alpi, magari ammirandoli
dal Fiore di Pietra di Mario Botta, i cui interni ospitano un rinomato ristorante, self-service, sala conferenze. Ultima dritta, l’adrenalinica ferrovia retica, i cui binari rasentano il cielo, teatro paesaggistico unico dove natura e opere ingegneristiche Unesco vanno a braccetto. Viadotti, binari, gallerie elicoidali con pendenze esagerate fungono da percorso per l’arcinoto Bernina Express, trova come punto di partenza Tirano col suo monumentale santuario. Ghiacciai, laghi, percorsi tortuosi si susseguono lungo una tratta che si inerpica sino al Passo del Bernina, per poi scendere dolcemente, giù, verso la mondana St. Mortitz.
Domodossola - Switzerland Tourism Mototurismo Alpi di CuneoArchivio fotografico ATL del Cuneese Hotel Leone
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intervista
Donatella Lippi dal 2013 è presidente del Lyceum di Firenze Domenico Savini
Contessa Beatrice Pandolfini Corsini, primo presidente del Lyceum di Firenze Donatella Lippi, presidente del Lyceum Club Internazionale di Firenze
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onatella Lippi. È lei che presiede il Lyceum Club Internazionale di Firenze, dal 2013, e ancora svolge il suo compito con energica dedizione, coadiuvata da 20 Consigliere. Il Lyceum fu istituito a Londra nel 1904, ideato e fondato da Miss Constance Smedley: un circolo femminile che fosse aperto a tutte le donne di ogni ceto sociale e nel contempo accogliente luogo di ritrovo, di assistenza reciproca, di manifestazioni culturali, per sviluppare la conoscenza fra le donne promotrici di letteratura, arte, musica, scienze, per mezzo di attività sociali e scambi internazionali. Dopo la fondazione del Lyceum a Parigi e a Berlino, Miss Smedley scelse Firenze come nuova sede del suo circolo. Era l’autunno del 1908. Da allora molti nomi illustri di donne presero parte alle iniziative del Lyceum fiorentino. In primis, Beatrice Pandolfini dei Principi Corsini, che ne fu la prima Presidente. Vuole ricordarci qualche nome?
«Maria di Savoia principessa di Piemonte, le scrittrici Sibilla Aleramo, Amelia Rosselli e Laura Orvieto, l’attrice e regista teatrale Tatiana Pavlova, le attrici Laura Adani e Marta Abba, le pianiste Maria Tipo e Maureen Jones. In anni recenti, Simonetta Agnello Hornby, ad esempio». E fra gli uomini? «Guglielmo Marconi, Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Papini, Mario Castelnuovo-Tedesco, Luigi Dallapiccola, Wilhelm Kempff, Claudio Arrau, Lorin Maazel, il Trio di Trieste, Uto Ughi. Recentemente, sono stati nostri ospiti Mauro Ferrari, Lamberto Maffei, Clive Britton e Alain Meunier». Chi è la Presidente? Donatella Lippi è laureata in Lettere Classiche, con specializzazione in Archeologia, Bioetica, Archivistica e Storia della Medicina, della quale è professore nella Scuola di Scienze della Salute Umana (ex Facoltà di Medicina) dell’Università di Firenze. Dietro un sorriso che trasmette allegria Donatella Lippi è cordiale, senza un’ombra di sussiego. A domanda risponde: «Ho fondato il Centro di Medical Humanities dell’Ateneo fiorentino, di cui sono stata direttore fino al 2016, con lo scopo di realizzare percorsi formativi e occasioni educative per recuperare la dimensione umana e umanistica della Medicina e potenziare il rapporto medico-malato». Non lo dice ma lo sappiano. È autrice di oltre trecento pubblicazioni scientifiche, e fra queste molte monografie: dai manuali di Storia della Medicina per i diversi Corsi di laurea, che lei considera un servizio per gli studenti che non possono frequentare, altrimenti costretti ad affidarsi
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a informazioni dal web, non sempre validate, a volumi, che ripercorrono la storia di alcune condizioni patologiche, sempre ricostruite in maniera interdisciplinare, con l’ausilio di fonti letterarie e iconografiche, fino al volume che ha fissato la storia delle sepolture di Casa Medici. Illacrimate sepolture: perché questo titolo? «La scelta del titolo è tutta foscoliana, in quanto è ispirata da un verso del sonetto “A Zacinto” e richiama un tema caro a Ugo Foscolo, quello della vita che vince la morte attraverso la memoria. Nel libro, ripercorro la storia delle sepolture dei membri della dinastia, che riposano nel complesso della Basilica di San Lorenzo: anni fa, ho condotto, per l’Università di Firenze, il Progetto Medici, finalizzato alla ricognizione delle loro sepolture, e mi sono resa conto di come fossero davvero “illacrimate”. I turisti entrano nelle Cappelle Medicee e nella cripta, lo spazio a cui si accede da Piazza Madonna degli Aldobrandini, come entrano in “qualunque” museo: ammirano Michelangelo, accarezzano con lo sguardo il porfido della Cappella dei Principi, fanno qualche fotografia… Ma non sanno che sono in un luogo sacro, che conserva le spoglie della Famiglia, a cui il Mondo è profondamente debitore». E nel libro? «Nel libro, ho ricostruito la storia delle loro sepolture, la loro identificazione, le varie traslazioni. Potrei citare ancora il Foscolo dei Sepolcri…». Un’altra pubblicazione a cui è affezionata? «Medicina per animalia, senza dubbio. Su richiesta della Federazione nazionale degli Ordini dei medici veterinari, alcuni anni fa, mi sono cimen-
La scenografica visione dei palazzi fiorentini che si ammirano dal palazzo AdamiLami, sede del Lyceum Il Lyceum di Firenze risiede nello storico palazzo AdamiLami (al centro della foto), in lungarno Guicciardini 17
tata con la storia della figura del veterinario, che, da semplice maniscalco, diventa un professionista, a servizio degli animali non umani. Questa storia, ovviamente, viene ripercorsa attraverso la lettura del rapporto tra animali umani e non umani, dal mito, all’iconografia, alla letteratura, alle vicende esemplari, al dolore senza memoria, fino alla rivendicazione dei diritti degli animali non umani che, guarda caso, inizia insieme alla rivendicazione dei diritti delle donne…». Indulgente solo in apparenza ma in realtà esigente con se stessa, Donatella Lippi dedica il suo tempo anche alla presidenza del Lyceum. Viste le iniziative elencate nel folto programma del club, gli impegni e le scadenze le impongono di abbandonare, ogni tanto, le vesti di docente universitario e dimenticare che è la professoressa Lippi. È soltanto Donatella Lippi. Quali sono le sue principali responsabilità come presidente del Lyceum? «Il primo obiettivo del Club è il programma: il nostro calendario propone, ogni anno, circa 70 eventi, distribuiti tra le varie Sezioni ed io sono garante della qualità delle manifestazioni, che, conformemente allo stile e alle caratteristiche del Club, devono essere manifestazioni di eccellenza. Certo, ci sono anche momenti di socializzazione, ma concerti, conferenze e dibattiti devono configurarsi come un momento intellettuale e formativo alto. Il secondo obiettivo, strumentale al primo, è quello di far quadrare i conti. Il Club vive delle quote delle Socie e degli Amici del Lyceum, ma è indispensabile il supporto delle Istituzioni e degli Enti, che accompagnano la vita del Club, riconoscendo, nell’eccellenza delle sue manifestazioni, la ragione per sostenerlo. La fidelizzazione delle Socie, parte viva e vitale di ogni Associazione, è un altro obiettivo a cui tengo molto».
Ravvisa delle similitudini fra il suo ruolo di docente universitaria e quello di una istituzione prestigiosa come il Lyceum? «Sì, in realtà, l’abito mentale della professoressa non lo tolgo mai. Mi si è appiccicato addosso. Sicuramente, porto al Lyceum la mia formazione e la mia competenza. E l’esperienza gioca un ruolo fondamentale: riuscire a domare 200 Studenti e a tenere viva la loro attenzione aiuta nel coinvolgere l’uditorio del Lyceum. Probabilmente, porto anche l’atteggiamento dell’insegnante, che vorrebbe sempre risultati ottimi e performances elevate». Ha valide collaboratrici, una sede prestigiosa, un numeroso gruppo di sostenitori, un programma di attività vario e folto di appuntamenti. Di fronte a tanti impegni da gestire, l’intellettuale deve dimostrare doti manageriali. Come convivono queste due anime? «Si è già risposto da solo. Valide collaboratrici. Il Lyceum ha, in sé, numerose professioniste, non solo all’interno del Consiglio, che lo sostengono anche grazie alle loro competenze e volentieri si rendono disponibili per affrontare le questioni più specifiche, che richiedono una preparazione mirata». Quali sono le linee culturali del Lyceum? «Gli argomenti sono ripartiti in queste sezioni: Arte, Attività Sociali, Letteratura, Musica, Rapporti Internazionali, Scienze e Agricoltura. Il nostro anno sociale, il 112° dalla fondazione, è iniziato il 10 gennaio e terminerà il prossimo dicembre. Gli incontri sono settimanali. La pausa estiva comprende i mesi di luglio e agosto. Ogni anno, scegliamo un tema, che fa da filo conduttore a tutte le attività delle Sezioni ed a quello ci ispiriamo, coniugando il passato all’attualità». Quali rapporti ha il Lyceum di Firenze
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con le varie sedi dei Lyceum internazionali? «Ottimi. Ogni anno, partecipo (a mie spese) ai Congressi della Associazione Internazionale dei Lyceum di tutto il mondo, che è un momento di incontro e di scambio davvero costruttivo. In quelle occasioni, mi sento davvero fortunata, perché molti Club hanno difficoltà a organizzare eventi, a reperire relatori… da noi, succede il contrario!». E i rapporti con Firenze? «Il Lyceum è Firenze. È figlio di questa città, dove è nato, e vive della sua cultura, della sua storia, della sua luce e continua, da 111 anni, a richiamare l’attenzione sui temi dell’internazionalità e della contemporaneità nella sua vita culturale. Questo rende il Lyceum di Firenze unico ed eccezionale».
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progetto
Craft The Leather
una tradizione centenaria affidata ai designer del futuro Alessandro Bruschi
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ieci giovani talenti provenienti dalle più prestigiose scuole di moda e design internazionali interpretano la Pelle Conciata al Vegetale in Toscana attraverso la lente dell’arte contemporanea, della creatività, della manualità e dell’innovazione. Questo è Craft The Leather, il progetto organizzato dal Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale, che inaugura la sua ottava edizione e che ha visto la partecipazione, negli anni, di alcuni designer che oggi stanno riscuotendo grande successo nel mondo del fashion. Il progetto. Craft The Leather si divide in tre fasi ben distinte. La prima prevede un workshop formativo della durata di una settimana che si svolge nel mese di Maggio di ogni
anno nel cuore della Toscana, in una delle zone più famose per la sua lunga tradizione nella concia e nella manifattura della pelle, San Miniato. I designer, durante questa settimana, scoprono ogni aspetto della concia al vegetale e fanno esperienze con i vari tipi di pelle e le diverse tecniche di lavorazione. Nella seconda fase del progetto il Consorzio consegna ai giovani designer una fornitura di pelle conciata al vegetale naturale. I partecipanti, grazie alle conoscenze acquisite durante la settimana di workshop, dovranno sviluppare un tema intorno al quale creare una linea di accessori in Pelle Conciata al Vegetale in Toscana. I designer devono realizzare personalmente la collezione di prototipi per dimostrare anche le loro
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capacità manuali. Il progetto Craft The Leather si conclude ogni anno in concomitanza con l’edizione di Febbraio di Lineapelle, dove i prototipi creati vengono esposti in uno stand dedicato all’interno della fiera internazionale. Una cornice, dunque, di notevole importanza per dei giovani studenti alle loro prime armi nel mondo del design della moda. La settimana in Toscana. Una settimana molto intensa, piena di appuntamenti importanti per garantire agli studenti e ai loro professori accompagnatori un’ampia conoscenza del materiale ma anche del distretto conciario toscano. Il primo giorno, lunedì 5 maggio, è iniziato con una visita completa all’interno di una delle concerie associate al Consorzio in cui i partecipanti hanno potuto vedere dal vivo il lento processo produttivo che porta le pelli grezze a divenire Pelle Conciata al Vegetale in Toscana. La giornata successiva ha visto il gruppo fare visita prima a PO.TE. CO, laboratorio che opera nell’ambito della ricerca, formazione innovazione e trasferimento tecnologico nel settore conciario, poi a Toscana Manifatture, ente nato con lo scopo di promuovere nel mondo l’arte della calzatura pisana, e infine ad Ars Tinctoria, laboratorio specializzato in ricerca analitica, colore e luce. Nel terzo giorno di workshop il focus è stato quello di far conoscere ai partecipanti alcune importanti botteghe artigiane toscane e musei fiorentini del costume dedicati all’eccellenza della tradizione toscana della pelle. Le giornate di Giovedì e Venerdì hanno permesso ai ragazzi di fare esperienza con i vari tipi di pelle e le
diverse tecniche di lavorazione. Una due giorni full-immersion nella pelle al vegetale attraverso cui gli studenti hanno potuto conoscere in profondità il materiale e le sue caratteristiche intrinseche. Le scuole partecipanti. Da Tokyo sono arrivati Bunka Fashion College, precursore dell’istruzione nel settore moda in Giappone, e Hiko Mizuno, il primo college tecnico riconosciuto come istituto educativo anche nell’ambito della gioielleria. Dal Regno Unito invece sono giunte le delegazioni dell’istituto Capel Manor College, istituto riconosciuto a livello internazionale per quanto riguarda il settore dell’architettura, dell’arboricoltura e della selleria, e del London College of Fashion, facente parte della University of the Arts London (UAL) e riconosciuto come istituto all’avanguardia nell’ambito dell’ecologia della moda. Dagli Stati Uniti sono arrivati i designer del College for Creative Studies, uno dei college più rinomati nell’educazione nei settori dell’arte e del design, e del Fashion Institute of Technology, tra i college leader a livello globale per quanto riguarda la fashion industry. Tornando al territorio europeo hanno partecipato a Craft The Leather le delegazioni belghe provenienti dalla scuola SASK Sint-Niklaas, i cui corsi coprono tutte le discipline delle arti visive, dalle arti libere alle arti applicate agli oggetti d’arte, e dalla Royal Academy of Art di Anversa, istituto di alta formazione che opera nell’ambito delle Belle Arti, della fotografia e del graphic design, mentre da La Rioja, in Spagna, è giunta la delegazione della scuola ESDIR, istituto specializzato nell’insegnamento di Graphic Design, Fashion Design e Product Design. Dall’Italia è arrivata l’Accademia Costume & Moda, un istituto di eccellenza nella formazione della Moda e del Costume riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). Il progetto adesso può proseguire verso una nuova fase, quella in cui la creatività, l’ispirazione e la fantasia dei partecipanti permetterà loro di realizzare la collezione in pelle al vegetale da esporre nello stand di Craft The Leather durante l’edizione di Lineapelle, che si svolgerà nel mese di Febbraio del prossimo anno.
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DAL 1884 DAL SPECIALISTI DI1884 TERRITORIO SPECIALISTI DI1884 TERRITORIO DAL SPECIALISTI DI TERRITORIO
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ECONOMIA Reality
State of the Union invita l’Associazione Conciatori a parlare di economia circolare
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ttira ogni volta curiosità e consensi il modo in cui il distretto conciario di Santa Croce sull’Arno ha trasformato criticità in risorsa, diventando modello reale di quell’economia circolare oggi così presente nell’agenda politica dei Governi di tutta Europa, tema di un’apposita tavola rotonda presso la Regione Toscana nel corso di State of the Union dal 2 al 4 maggio a Firenze. L’evento è stato occasione per stimolare un confronto tra istituzioni comunitarie e imprenditori sulle migliori best practices realizzate in Toscana. All’Associazione Conciatori il compito di illustrare il più recente investimento, siglato proprio con la Regione Toscana per la valorizzazione di alcuni degli impianti più virtuosi del distretto, tra cui Aquarno ed Ecoespanso, ultimo tassello di un’evoluzione costante, che in circa 40 anni, ha reso il distretto conciario modello di riferimento mondiale per il comparto. «Un tema di grande attualità quello della circolarità dell’economia – dice il presidente Associazione Conciatori Alessandro Francioni – in cui i nostri conciatori sono stati precursori anche grazie ad un’attività di ricerca e studio a supporto dell’evoluzione responsabile del distretto». Come evidenziato dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, che proprio al distretto conciario, unico distretto industriale presente al tavolo sull’economia circolare, si è riferito come a un «modello da portare ad esempio anche per altri distretti e che trova oggi anche grazie al recente accordo con l’Associazione Conciatori un’esperienza unica di realizzazione di un’economia circolare, tra le maggiori in Europa». Erano presenti alla tavola rotonda anche
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l’europarlamentare Simona Bonafè, relatrice pacchetto UE sull’economia circolare, e Carlo Pettinelli, DG Grow Mercato interno PMI Commissione Europea, che hanno evidenziato l’importanza di incentivare le esperienze imprenditoriali più virtuose sul fronte
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della circolarità anche attraverso una mirata attività di sensibilizzazione. Il sindaco di Santa Croce sull’Arno Giulia Deidda, ha infine sottolineato come i migliori risultati del distretto conciario siano stati agevolati dal dialogo costante tra pubblico e privato.
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costume
una filosofia di vita DandyDays terza edizione del Raduno Nazionale ad Arezzo Margherita Casazza
Alessio Ginestrini e la moglie Stefania Severi organizzatori evento Foto Marianna Molinari
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andy, è con questo termine, fin dal 19°secolo, che venivano indicati a Londra gli uomini eleganti, il loro modello era G. B. Brummell, considerato arbitro dell’eleganza londinese, famoso per la raffinata sobrietà del vestire e la freddezza sprezzante dell’atteggiamento; la parola si è diffusa nell’uso comune col significato di uomo elegante, alla moda, che attribuisce grande importanza al proprio aspetto, dando valore soprattutto allo stile, al buon gusto, alle belle maniere, e ostentando fastidio per i modi e i costumi borghesi, ma è stata anche usata come riferimento a un tipo di intellettuale e ai suoi atteggiamenti. Ma chi è il dandy oggi? È una figura d’altri tempi o è ancora attuale? Oggi i valori dell’eleganza non sono più imposti né condivisi; e così si fanno gruppi, si organizzano ritrovi per poter condividere i propri ideali. Non è solo “apparenza”: per il Dandy l’eleganza è un’etica. E se molti
pensano che basti esibire completi sartoriali, calzature estrose e barba ben curata, per essere un Dandy, si sbaglia. È necessario essere eleganti dentro e fuori, in pubblico e in privato, vivere davanti a uno specchio significa ancora realizzare un’opera d’arte: sé stessi. Conquistare lo sguardo altrui è solo una conseguenza: il Dandy, facendo sempre ciò che vuole, stupisce. Essere eccentrici è facile scegliendo l’eccellenza della moda rétro, ma la stravaganza non è da perseguire. LUI vuole essere originale, non sopra le righe, e il saper vivere nel proprio tempo aiuta anche a evitare il rischio di essere scambiato per una “macchietta”. Il Dandy non è alla moda ma in alcuni casi oserei dire ne indicai i dettami. Ma Dandy si nasce o si diventa? I pareri sono discordi una cosa è certa, tutto ciò viene fatto per soddisfare se stessi e non per stupire gli altri, in realtà è uno stato d’animo che com-
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pie il suo cammino e raccoglie, nel corso della vita, tutte le espressioni del bello. Ogni forma d’arte, ogni lettura, ogni passeggiata all’aperto o in mezzo ai propri pensieri, contribuisce a formare l’anima di una persona, ad abbellire l’esistenza. DandyDays, il 4 e 5 maggio, una due giorni all’insegna del bello all’interno della splendida cornice del mercato dell’antiquariato di Arezzo. Questa manifestazione, nasce dalle vulcaniche menti dell’esperto barbiere Alessio Ginestrini e della moglie Stefania Severi grazie al sostegno di Marcello Comanducci, presidente della Fondazione Arezzo Intour, e alla collaborazione del Comune di Arezzo. Fra i protagonisti dell’evento, Niccolò Cesari brand ambassador e influencer di successo e Stefano Agnoloni, maestro di stile e buone maniere, volto noto della tv. I fondi raccolti durante la manifestazione sono stati devoluti all’istituto “Casa Thevenin” di Arezzo per i bimbi orfani e le ragazze madri in difficoltà. I partecipanti si sono ritrovati a pas-
Niccolò Cesari, la moglie Eva Berni con la figlia Ginevra, prima famiglia Dandy Mister JP, il baffo più famoso d’Italia (Jean-Pier Xausa) Danilo Verticelli ingegnere e artista Umberto Uliva, modello Stefano Agnoloni, maestro di stile e buone maniere da sinistra Antonio Andrea Raffaelli, web influencer del Blog del Marchese, Beppe Angiolini Sugar, buyer e presidente onorario Camera della Moda, Giovanni Raspini, design di gioielli ed esperto della contemporaneità, i modelli e attori Two Twins (Valerio e Fabrizio Salvadori), Francesco Maria Rossi, giornalista e scrittore Enrico Galantini, Gabriele Failli, Carlo Chiancone
seggio appunto per le vie del centro storico per apprezzare i vari articoli proposti in questo famoso mercato e naturalmente per passare delle ore insieme raccontandosi con un talk show Neo Dandy e mondo liquido. Raccontarsi fra eleganza e lifestyle, bellezza e anticonformismo condotto
dal giornalista ed esperto di costume Francesco Maria Rossi. Argomenti di discussione sono stati le nuove tendenze del dandismo internazionale e il racconto di cosa davvero voglia dire “vivere da Dandy”; tutto ciò in un momento storico che vede ormai il sopravvento della virtualità, dei social network e di una interconnessione sociale straordinaria. Il Dandy è sempre irripetibile, unico, ma non più solo, un dibattito fresco e autentico, dal quale sono scaturiti tanti spunti nuovi e interessanti. Gli eventi in questa edizione oltre al dibattito sono stati: - La cena di gala privata che si è svolta al ristorante Logge Vasari durante la serata sono intervenuti: Ais sommelier Arezzo, Cigar Club di San Sepolcro e il club del sigaro Il Maledetto Toscano con le loro degustazioni. - Il Dandy Riders Day primo motoraduno curato dai corkriders toscani Carlo Chiancone Carling, Enrico Galantini, Gabriele Failli, con gentlemen in doppio petto in sella alle loro moto Triumph, classiche, classic special e d’epoca.
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evento Reality
Harry d’Inghilterra gioca la partita del cuore
Il duca di Sussex a Roma per la raccolta fondi
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i è giocato a Roma, per la prima volta in assoluto, il torneo di Polo Sandabale ISPS Handa Polo Cup 2019 al Roma Polo Club dell’Acquacetosa in favore della salute dei giovani le cui vite sono state colpite dall'Hiv nell'Africa meridionale. A capeggiare la squadra Sentebale c’era ormai come da tradizione il Duca di Sussex, neo papà, accompagnato dal campione argentino Nacho Figueras, capitano della squadra St. Regis Team, che fronteggiavano insieme il team Royal Salute World Polo, capitanato da Malcolm Borwick. Anche quest’anno i molteplici sponsor della manifestazione, tra cui St. Regis Hotels & Resorts, U.S. Polo Assn., Royal Salute e Moët & Chandon, hanno potuto sostenere i molti giovani africani colpiti dall'epidemia di Hiv nell'Africa australe. Purtroppo, nonostante i grandi progressi compiuti a livello mondiale nella lotta all'epidemia di Aids, l'Hiv rimane una
delle principali cause di morte per gli adolescenti nell'Africa sub-sahariana, tre su quattro nuove infezioni da Hiv tra i 15-19 enni sono tra le giovani donne, e lo stigma è un fattore importante che impedisce ai giovani di conoscere il loro stato di Hiv e di accedere trattamento e cura salvavita. Negli ultimi dieci anni, Sentebale ha notevolmente ampliato il suo lavoro in Lesotho e si è espanso in Botswana, affrontando la salute mentale e il benessere dei bambini tra i 10 ei 19 anni che stanno lottando per venire a patti con la convivenza con l'Hiv. Nell'ultimo anno, 1.700 adolescenti hanno frequentato campus di una settimana dove, insieme ai loro coetanei, hanno uno spazio sicuro per affrontare le loro sfide. I fondi raccolti dalla Coppa di quest'anno consentiranno a Sentebale di continuare ad aiutare molti più giovani nell'Africa meridionale, offrendo loro speranza e opportunità per il futuro.
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Giampaolo Russo
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SPORT
grandi
traguardi Luca Federici
Francesco Casagrande seguito da Francesco Failli durante la Marathon ROC D'AZUR 2018 nel sud della Francia Francesco Failli durante il mondiale marathon 2018, con la maglia della Nazionale Italiana La consegna della bici personalizzata di Alexey Medvedev, neo Campione Europeo Marathon, presso Specialized, insieme agli altri nostri campioni Europei, Tommaso Vanni categoria M1 e Silvia Scipioni MW1
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’ASD CICLI TADDEI, diretta emanazione dell’attività commerciale TADDEI STORE E SERVICE Cicli e Motocicli, sita in Santa Croce sull’Arno dal lontano 1957, è una realtà ciclistica affermata nel panorama nazionale della Mountain-bike grazie ad una costante crescita, fatta di sacrifici ed esperienza, maturati nel tempo calcando in lungo e largo tutto il territorio nazionale e non solo. Con l’avvento in Italia della Mountain-bike nel 1985 cominciarono a nascere appassionati di questo sport, che univa divertimento e vita all’aria aperta. La squadra nacque subito a quei tempi, come esigenza di creare un gruppo, una maglia che li rappresentasse a colpo d’occhio.
Al gruppo di appassionati davanti al negozio si aggiunsero altri amici, da altri paesi, da altre province, da altre regioni, da altre nazioni. In più di 30 anni di attività agonistica sono aumentati da 5 ragazzi a ben 110 atleti tesserati nel 2019, provenienti da più regioni d’Italia. Nell’arco di questi anni, grazie all’imprenditorialità del comprensorio del Cuoio, sono state tante le realtà locali che hanno supportato il crescere di questa squadra, che esprime gratitudine a chi ha creduto e a chi lo sta ancora facendo, i loro nomi e loghi rimangono indelebili su quelle vecchie e nuove maglie, tra i colori e le macchie di fango. Anche l’evoluzione di una bicicletta come la Mountain-bike è stata esponenziale, la scelta di Taddei di affiancarsi ad un marchio molto dinamico ed innovativo in qui tempi, e ad oggi leader del settore, fu azzeccata. Con Specialized, leader mondiale Americano di biciclette, sono riusciti ad essere sempre avanti agli altri competitors a livello tecnico, potendo disporre di biciclette e componentistica annessa, sempre al passo con l’innovazione. Racconta Stefano Taddei: «Rimarcando il passato dobbiamo dire che siamo sempre riusciti a stimolare i nostri atleti a far bene in gara e fuori, con un rispetto reciproco di primo livello tra l’atleta e la società e verso gli avversari. Cosi, con il passare del tempo, anche l’aspetto organizzativo della ASD CICLI TADDEI è cresciuto, costruendo un organico direzionale e uno operativo, tipico delle squadre ad alto livello, ponendo le basi 10 anni fa, al passaggio
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da “una” squadra a “LA” squadra. Cambiamento iniziato inserendo in squadra un grande del ciclismo Italiano come Francesco Casagrande che, appena pochissimi anni dopo la cessazione dell’attività professionistica su strada, decide di cimentarsi nella nuova disciplina del Mountainbike, con un susseguirsi di vittorie che lo faranno diventare atleta Nazionale di riferimento». Si può dire che con l’entrata in squadra di Casagrande inizierà un nuovo corso della CICLI TADDEI, una squadra che si è fregiata negli anni di svariate vittorie nei campionati Toscani e Nazionali posizionandosi tra le prime squadre Nazionali professionistiche di Mountain-bike, continuando e accrescendo la struttura organizza-
tiva con mezzi e personale per dare supporto agli atleti, aggiungendo in squadra nuovi professionisti, in gergo ELITE: il Toscano Francesco Failli, attualmente uno dei 10 atleti della Nazionale Italiana guidata da Mirko Celestino, l’emiliana Elena Gaddoni che ha vinto nel 2017 la HERO, la gara più ambita e più dura del Mondo, e infine nel 2018, il nuovo entrato il Russo Aleksei Medvedev che ha vinto la maglia di Campione Europeo ELITE arrivando da solo sotto la linea del traguardo. Stesso traguardo attraversato per primi lo stesso giorno anche dai due atleti Tommaso Vanni e Silvia Scipioni, che vincevano anche loro la maglia di Campione Europeo nella rispettiva categoria MASTER. Maglie che il 6
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Luglio 2019 andranno a difendere in Norvegia. Parlando di aspetti tecnici, le gare principali sono le Marathon, disputate all’80% su sterrato, con distanze tra i 50 e i 120 km e con altimetrie da 1500 metri sino a 4000 di dislivello. La stagione iniziata nel mese di febbraio terminerà nel mese di novembre e ha portato e porterà la squadra a gareggiare in Spagna, Francia, Austria, Norvegia, Brasile e Sud Africa, transitando come sempre attraverso
Elena Gaddoni, vincitrice in solitaria della HERO 2017 La squadra corse 2019, durante la presentazione ufficiale alla stampa di marzo Stefano Taddei in mezzo a Francesco Casagrande e Francesco Failli, entrambi con la maglia della Nazionale, prima della partenza del Mondiale 2017
Una della prima uscite della squadra intorno al 1990 Aleksei Medvedev durante la premiazione per il titolo di Campione Europeo 2018 Aleksei Medvedev e Francesco Failli alla partenza della prima tappa della BRASIL RIDE
la nostra stupenda Italia, con spettacolari gare dalle fantastiche Dolomiti fino in Sicilia sul vulcano Etna. Ad ognuno degli atleti prima citati, vengono messe a disposizione due modelli di bici Mountain-bike, Front e full suspended, bici ufficiali Specialized che possono scegliere di utilizzare in base alla morfologia del percorso/terreno; hanno in piÚ un muletto per le emergenze e una bici da strada per allenarsi. Parallelamente, per sostenere il futuro dello sport del ciclismo giovanile, TADDEI supporta ben 4 squadre di giovani su strada ed 1 di donne: Donoratico, Empolese, Valdera, New Project e Vallerbike, per un totale di quasi 60 ragazzi. Concludendo, in questo 2019 ci sono 10 atleti di punta in varie discipline, tra Marathon, Cross Country, Ciclocross, Enduro e E-bike, costantemente tra i primi 5 in classifica. La squadra ad oggi ha atleti in Nazionale e molte riviste cartacee e on-line di settore, parlano di loro. Alcuni ambiscono a riprendere i propri titoli già conquistati e qualcuno sta lavorando sodo, per la maglia di Campione del Mondo. L’ultimo, grande tassello, che manca a questa grande squadra.
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alimentazione Reality
YOGURT ALIMENTO PREZIOSO
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li alimenti e le bevande fermentate hanno rappresentato una parte importante nella dieta umana fin dai tempi più antichi, e costituiscono ancora una risorsa importante in molte culture e tradizioni dei paesi in via di sviluppo. La fermentazione è uno dei metodi più antichi utilizzati per la preparazione e la conservazione dei cibi, in cui vengono sfruttate le capacità di crescita e metaboliche di alcuni microrganismi: questi determinano profondi cambiamenti, migliorando le proprietà organolettiche rispetto al prodotto iniziale. La digeribilità della parte proteica e glucidica produce sostanze antimicrobiche come le batteriocine che migliorano la sicurezza igienica dei cibi inibendo la crescita di microorganismi patogeni. I Persiani, gli antichi Egizi e le popolazioni asiatiche e dell'India preparavano i latti fermentati e trasmisero le loro conoscenze ai Greci e Romani; ma è soltanto agli inizi del Novecento che si comprese in modo scientifico il valore dei latti fermentati e la loro azione benefica sull'organismo e in particolare sulla flora batterica intestinale. I latti fermentati si ottengono inoculando nel latte sterilizzato particolari ceppi microbici, i lattobacilli,i quali provocano la trasformazione del lattosio in acido lattico che determina una diminuzione del pH,e la coagulazione delle caseine creando un coagulo soffice. In Italia si riserva la denominazione di yogurt solo a derivati del latte ottenuti mediante aggiunta di due organismi specifici: lo streptococcus thermophilus e il lactobacillus bulgaricus. I latti fermentati si distinguono in latti acidi, come lo yogurt, e in latti acido -alcolici come il Kefir che si differenziano sulla base dei ceppi microbici utilizzati. Nel primo caso i batteri operano una semplice fermentazione del lattosio con
produzione di acido lattico; nel kefir invece la fermentazione origina acido lattico e alcool etilico ed è prodotta da parte di una combinazione variegata di fermenti come lieviti, batteri acetici e lattici e microorganismi che si trovano nei grani di kefir. Gli effetti benefici del kefir sono da attribuire alla complessa comunità microbica, costituito da questi diversi microrganismi e dai metaboliti che si originano nel processo fermentativo. Tra tutti i latti fermentati lo yogurt è l'alimento più consumato in Italia; il latte più comunemente utilizzato per la sua produzione è quello vaccino : dopo aver subito un trattamento termico a 40-45°C, la fermentazione omolattica porta alla formazione di acido lattico e di altri prodottti (acetaldeide,acetilcarbinolo, ecc.) che conferiscono l'aroma tipico. In seguito al processo fermentativo, aumenta il livello di alcune vitamine(B2, B12, Folati e vit. K) che vengono sintetizzate da alcuni batteri. Viene inoltre sintetizzata melatonina e GABA importante neurotrasmettitore del SNC con proprietà sedative e ipotensive. Un altro gruppo di sostanze che si formano durante il processo fermentativo ad opera dei batteri lattici sono gli exopolisaccaridi polimeri naturali degli zuccheri che hanno un ruolo fondamentale nell'interazione fra cellule dell' organismo e quelle del microbiota intestinale, coinvolte nel processo di colonizzazione e immunomodulazione batterica. I latti fermentati hanno inoltre effetto ipocolesterolemizzante con un meccanismo d'azione simile alle fibre assunte con gli alimenti: si legano alla molecola del colesterolo “sequestrandolo” e riducendone così l'assorbimento. Grazie alla degradazione delle proteine del latte da parte dei lattobacilli si formano diversi composti proteici con spiccati effetti antiipertensivi poiché
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inibiscono l'enzima di conversione dell'angiotensina-1. Evidenze scientifiche riguardano l'effeto benefico del consumo di yogurt sul diabete di tipo 2; i meccanismi non ancora del tutto chiariti ipotizzano un aumento della biodisponibilità di aminoacidi insulinotropici. La ricetta dello yogurt è quella più antica e tradizionale, ma negli ultimi anni si sono diffusi anche i cosidetti Probiotici che sono latti fermentati con microrganismi tipo i bifidobatteri e lattobacilli acidofili,che sono in grado di “colonizzare”l'intestino. Devono sopravvivere al passaggio attraverso l'ambiente acido dello stomaco e arrivati nel colon regolano la flora batterica, aiutando a migliorare la resistenza alle infezioni e l'insorgenza di alcuni tumori; migliorano i sintomi addominali dei soggetti intolleranti al lattosio. Il lattosio contenuto nel latte di partenza viene non completamente idrolizzato durante la fermentazione, la quantità di lattosio che rimane viene tuttavia digerita grazie ai lattobacilli che contengono la lattasi. Per questo motivo i soggetti intolleranti al lattosio possono consumare tranquillamente yogurt e latte fermentato. I Prebiotici sempre a base di latte fermentati non sono digeribili dall'uomo ma hanno effetti sulla flora batterica intestinale; i prebiotici maggiormente utilizzati sono i fruttooligosaccaridi. Infine con il nome di Simbiotico si intende un prodotto costituito da entrambi: l'azione dei prebiotici può servire da supporto a quella dei probiotici. Ai latti fermentati, conosciuti da millenni, e importante risorsa alimentare per molte popolazioni del pianeta, vengono attribuiti dalla ricerca scientifica numerosi effetti benefici per la nostra salute; questi effetti sono il risultato dell'interazione tra microrganismi batterici ingeriti e le cellule del nostro organismo.
Paola Baggiani
www.baggianinutrizione.it
20° Reality
progetto
GENTILEZZA
&
UMORISMO I
l 3 e il 4 Maggio, a Casa Concia si è tenuta la mostra conclusiva del progetto “Rispetto a Colori… pitturiamo la vita”, che con la sorprendente presenza di ben 300 votanti ha visto come vincitori la 1A dell’Istituto Comprensivo di Castelfranco di Sotto, sede di Orentano e la 1B dell’Istituto Comprensivo di Santa Croce sull’Arno, sede di Staffoli. Questo progetto ci ha visti al fianco dei ragazzi del nostro comprensorio per tre anni e la sua conclusione porta con se innumerevoli ricordi ma primi fra tutti i sorrisi e la spensieratezza dei giovani che hanno lavorato al nostro progetto. Tutto questo rappresenta per noi il motore che ci spinge ad investire sui ragazzi e trasmettere loro valori importanti come il rispetto in ogni sua sfaccettatura, nei confronti di se stessi e degli altri, nei confronti dell’ambiente e di tutto ciò che li circonda. Ed è proprio grazie a questa energia che ci è stata trasmessa che il Comitato "Progetto Giovani" del Gruppo Lapi ha ideato nel corso delle ulti-
me settimane un nuovo progetto da presentare presso le scuole del comprensorio per i prossimi 3 anni. Ed è con immenso piacere che vi presentiamo Mr GU! Insieme al nostro nuovo partner Francesco Bianchi e a Mr GU ci muoveremo all’interno di un percorso che porterà a sperimentare la potenza della Gentilezza come pratica relazionale. Una strada giocosa e priva di preconcetti che vorremmo coinvolgesse i nostri ragazzi e tutti noi come una marea, portando ad immergerci nella relazione con l’altro come parte attiva di un gruppo, sia questo la scuola, gli amici, il lavoro ma anche, perché no, il vivere la nostra appartenenza a un territorio che è il nostro Comprensorio. Stay tuned Seguiteci su Facebook “Progetto Giovani”
La Dama con L'Ermellino, Leonardo da Vinci Beatrice d'Este, Leonardo da Vinci
Il Comitato "Progetto Giovani" Gruppo Lapi
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Regione Toscana
SOFTWARE - HARDWARE - SERVIZI in CLOUD
SUED S.R.L. Tel. 0571 38831 - Fax 0571 366202 - www.sued.it - info@sued.it - sued@postace.it Via marco Polo, 11 - 56029 SANTA CROCE SULL’ARNO (PI) - ARZIGNANO - SOLOFRA
La digitalizzazione della conceria in linea con Industria
4.0
La Sued srl, società informatica Toscana, da oltre 45 anni attiva nel settore conciario e calzaturiero, ha sviluppato varie soluzioni innovative che integrano hardware e software in conformità con la normativa Industria 4.0. Le soluzioni rispondono all’esigenza di ottimizzare il processo produttivo e commerciale, programmando al meglio gli ordini da produrre ed in seguito seguendone il ciclo di lavorazione interno od esterno allo stabilimento . Le procedure sono state pensate per essere adattate a tutte le aziende che hanno un ciclo di lavorazione da ottimizzare e da tenere sotto controllo, sia nell’avanzamento che nelle tempistiche con particolare riferimento alla gestione degli ordini che provengono dal settore moda.
Schedulatore Produzione Touch Screen Gestione della pianificazione dei lotti da produrre, colorati in base allo stato di lavorazione, tramite l’uso di un calendario interattivo Touch Screen. Visualizzazione di tutte le informazioni aggiornate del lotto: ordini collegati, grezzo, capitolati, test laboratorio, non conformità, etc Visualizzare grafici e tabelle sullo stato di occupazione delle macchine e dei terzisti esterni coinvolti nel ciclo di lavorazione
Production Box Rilevazione e controllo dei tempi e del piano di produzione con identificazione del lotto tramite tecnologia RFID HF o lettore di codice a barre Ricevere informazioni sul lotto da lavorare, su eventuali impostazioni da settare sulla macchina, sulle misure da verificare sul prodotto, note di lavorazione, osservazioni di qualità Selezionare il tipo di lavorazione e il ruolo degli operatori da effettuare sul lotto Può essere collegato al macchinario per ottenere i dati direttamente dai PLC
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design
incontri ravvicinati del terzo…Abitare Salone e Fuorisalone del Mobile 2019 connubio fashion-design Federica Farini
N
on solo percorsi ed esperienze in occasione della Milan Design Week 2019, ma anche dinamici progetti di abitare sempre più futuristici ed ecosostenibili, supportati dalle parole dello stesso Ministro della Cultura Bonisoli, il quale ha definito il design un vero e proprio patrimonio culturale. Manifesto della mostra l’intramontabile ingegno di Leonardo da Vinci, nel cinquecentenario della sua morte, sinonimo di progresso, creatività e imprenditorialità, nel suo legame di circa vent’anni con la città milanese, quando affiancò il duca Ludovico il Moro per regalare al capoluogo la sua inestimabile arte. Realizzata in collaborazione con il Museo della Battaglia e di Anghiari la mostra Ippodromo Leonardo Horse Project (Snaiteche con il patrocinio del Comune di Milano), dedicata al
celebre Cavallo di Leonardo, che con i suoi 7 metri di altezza e 10 tonnellate di peso, rappresenta una delle più grandi sculture equestri mai realizzate. Nel giardino della sede dell’Ippodromo milanese gli artisti Markus Benesch, Marcelo Burlon, Matteo Cibic, Serena Confalonieri, Simone Crestani, Roberto Fragata, Andrea Mancuso, Vito Nesta, Daniele Papuli, Elena Salmistraro, Mario Trimarchi e Marcel Wanders danno vita a varie statue di cavalli in versione design. Omaggio a Leonardo anche presso Fieramilano in DE-SIGNO: installazione-show di musica e immagini (con la collaborazione del Touring Club Italiano) a narrare l’industriosità delle botteghe e delle officine rinascimentali simbolo della stessa operosità del design contemporaneo. Gli studi sull’acqua di Leonardo si traducono in Aqua
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presso la Conca dell’Incoronata, fondendosi con la storia delle chiuse dei navigli milanesi, con un un’installazione al sapore di tradizione e architettura del futuro. Non manca traccia del genio leonardesco nemmeno nel Quartiere Bovisa, che con la Repubblica del Design ospita un nuovo distretto di eventi a misura di “socializzazione”: incontri e scambi (talks ospitati dalla Fondazione Riccardo Catella) e il percorso tra arte e paesaggio ne I Giardini di Leonardo, dove artisti e designer si cimentano in installazioni green con la presenza di laboratori didattici per famiglie. Da Fieramilano: Workplace 3.0 ed Euroluce propongono concetti di illuminazione sempre più scultorei in lampade simili a opere d’arte contemporanee. Nuovi quartieri milanesi avanzano, come Stazione Centrale con l’allestimento di design austriaco Pleasure & Treasure e in Ferrante Aporti con il Ventura Centrale, installazioni nei suggestivi spazi sotto gli archi della ferrovia: la grande bolla di vetro del designer giapponese Keita Suzukiper e le immagini delle rotazioni terrestri catturate dai satelliti NASA; vivo anche lo stile olandese di Maarten Baas, che presenta l’installazione I Think Therefore I Was, insieme di schermi che trasmettono ininterrottamente estratti di trasmissioni televisive, tg, soap, film dove viene pronunciata l’espressione I think. Citylife celebra i grattacieli (Torre Isozaki, Torre Liebeskind e Torre Hadid) con molti eventi trendy come l’installazione di Bosch ispirata ad un mega muffin profumato. Via Tortona/Savona District: dai classici Superstudio in scenari tecnologici (il primo televisore arrotolabile), all’ex fabbrica Ansaldo BASE per progetti che respirano
aria di internazionalizzazione con designers norvegesi (Norwegian presence), israeliani (The impossible story of Israeli design) e belgi (Belgium is Design) e la mostra griffata IED Milano. 5 Vie con i Sotterranei del Siam Human Code, mostra di Roberto Sironi in via Santa Marta 18, luogo suggestivo che accoglie la sperimentazione della contaminazione tra tecnologia e condizione umana. Il Montenapoleone District punta su luce e motori (Audi, Artemide, Alessi) e sul Giappone presso il Museo Poldi Pezzoli, mentre a Palazzo Reale si festeggiano i primi 70anni del brand Kartell. In Piazza Duomo è controversa l’installazione di Gaetano Pesce Maestà Sofferente, la poltrona che ricorda il corpo femminile trafitto. Porta Venezia vive presso l’Istituto dei Ciechi in Shape of gravity nella collaborazione tra Nendo ed il vetro di Wonderglass, collezione di mobili in vetro colato. Il palazzo di Louis Vuitton ospita i nuovi Objets Nomade in un tripudio di lanterne bianche: i “viaggi” dello stilista nella sua pelletteria (valigeria e og-
getti di varie forme e fogge per i trasporti del passato da Asia ad Africa, da Europa a scenari esotici per un’atmosfera onirica e suggestiva). Brera District riporta agli anni Novanta in un container di Corso Como con l’installazione ispirata a Miami The Pool Club, Eataly allestisce il Pratofiorito come giardino della biodiversità e non mancano iniziative collegate al cibo e alla beneficenza. La Triennale si focalizza sulla mostra ecologica Broken Nature - con un tema scottante quanto attualissimo dedicato alla difesa ambientale – e sul design puro nel suo Museo Permanente del Design diretto da Joseph Grima: una carrellata di pezzi storici dagli anni Cinquanta ad oggi. Ecologia e riciclo per il Sant’Ambrogio District, nell’indagine sulla plastica iniziata da Rossana Orlandi, premiata con il Ro Plastic Prize e la mostra Ro Plastic-Master’s Pieces al Museo della Scienza, nella scenografica sala treni. Il Castello Sforzesco ospita Inhabits: spazio allestito con corner green, vivaci feste ed effetti luce. L’elegante Palazzo Lit-
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ta con Litta Variations/Opus coniuga stucchi antichi e moderno arredare, mentre i designer olandesi MasterlyThe Dutch in Milano festeggiano l’anniversario della morte di Rembrandt a palazzo Turati. Lambrate sorprende con Officina Ventura e il suo concetto di hospitality legato a street food e attici. E è subito tramonto anche sull’eclettica, grintosa e mai stanca 58esima edizione della settimana milanese più intensa dell’anno.
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fumetti
Stefano Stacchini
Gloria Bardi - Luca Albanese Becco Giallo Ed.
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l lessico nella sua lenta evoluzione mai come oggi propone sfumature di significati sempre più ricchi e nuovi rispetto al passato per uno stesso termine. Spesso mettendone in discussione i significati originari stessi. È innegabile tra questi la definizione di Arte che attraverso la sua evoluzione è passata dal significato di documento a quello di monumento caricandosi via via di sentimento, di espressività, funzionalità e perfino di inutilità.
L’Arte non è mai stata aliena dalla tecnica e dalla tecnologia, ma in ogni sua fase non ha mai prescisso dalla poesia, dalla sensibilità e dall’apporto immaginifico del suo autore. Ritengo che anche l’Arte di sopravvivere possa ben fregiarsi della creatività e spesso della eleganza di animi sensibili ed estetizzanti. Ma oggi, forse come nemmeno un artista avrebbe mai potuto immaginare in passato, l’Arte, pur mantenendo ancora un suo corpo materiale di valore, è diventata Comunicazione, e per questo, la stessa comunicazione ben fatta va inserita a pieno titolo nel campo dell’Arte. Per i miei interessi di Bioetica sono venuto a conoscenza e ho potuto visionare in assoluta anteprima un gioiello editoriale di Becco Giallo. Una graphic novel densa di contenuto e di estetica. Si intitola EXIT e sarà nelle librerie il 27 di giugno 2019. Una pubblicazione che sotto le sembianze di libro mostra tutta la sua forza di opera d’Arte comunicativa. Nasce dalla mente fervida di Gloria Bardi, scrittrice e drammaturga, che ha affidato la sua sceneggiatura alle matite efficaci di Luca Albanese per concretizzare una ricostruzione rigorosamente storica di casi emblematici ai confini ultimi della vita. Siamo di fronte a due arti comunicative sinergiche, scrittura e disegno, che con la loro fusione offrono alla mente e allo sguardo facili indizi per dipanare difficili situazioni. Facili in quanto decodificabili immediatamente dalle immagini, difficili perché inquadrano e descrivono molti e spinosi fatti riguardanti il fine vita. “il brutto poter che, ascoso, a co-
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mun danno impera”, con questo verso nella poesia “a se stesso” Leopardi apre una finestra illuminante sulla potenza dell’estetica e sulla sua esplicita capacità di qualificazione dell’esistenza. Exit parla e descrive casi pieni di dolore con una estetica accattivante, semplice e di facile comprensione. Una carezza e un pugno contro i confini dell’eresia e del non dire, creati a danno collettivo. E questo intento sarebbe già Arte a prescindere. Il fine vita inquieta e forse per questo fino ad oggi è stato vissuto e accettato oltre che come ineluttabile, come estraneo alla vita stessa. In altri termini la morte è sempre stata collocata oltre il confine della vita, appartenente al dopo, sempre immateriale come una circonferenza geometrica e come tale adimensionale ed esterna al cerchio della vita. Oggi invece la tecnologia della sopravvivenza la colloca nel durante. Mai prima di adesso la morte reale era stata collocata nell’aldiqua. Exit nella sua delicata bellezza estetica, e nel suo garbato linguaggio ci pone davanti artisticamente ad un nuovo concetto di vita. Individua in quel termine la sfumatura contemporanea indiscutibile di “vita tecnologica”, aliena dalla vita stessa, mettendo in sequenza temporale fatti realmente e dolorosamente vissuti. Propone per il termine vita una più completa accezione che ricolloca la morte dove le compete, entro cioè e non oltre i confini della vita stessa. Terry Schiavo, Eluana Englaro, la ‘bella addormentata’ nella metafora poetica di Marco Bellocchio, Welby, DJ Fabo, Marina Ripa di Meana e altri sono i personaggi raccontati con rigore storico in Exit. Personaggi le
cui storie hanno suscitato forti interrogativi bioetici, fruibili, nel racconto fumettato, attraverso i colori, le forme e i dialoghi di un’Arte concettua-
le rispettosa e partecipe dei drammi descritti. Exit è il corpo di un’Arte transustaziale.
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racconto
nude beach Matthew Licht
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ritto avanti, lampeggiante nella luce spermatica dell’alba, era il faro di Playa Desnuda. Le due parole si fondevano per dare un significato a tutta la bellezza e la felicità della vita sulla terra. C’era un solo traghetto al giorno, partiva alle cinque e mezza del mattino e tornava alle cinque e un quarto della sera. Se lo perdevi restavi un cosmopolita frustrato o un naufrago nudo. A volte dormivo sulla panchina del molo. A parte la barca, non volevo perdermi una donna che non si pettinava mai. Era snella, tettuta. Sarebbe rimasta nuda sempre se la città fosse un posto più caloroso e i suoi abitanti meno puritani. Girava su una bicicletta tutta rotta. Avrei potuto comprarmi una bici anch’io, ma era troppa roba a cui pensare. Si chiamava Amanda. Secondo lei voleva dire, da amare. Le piacevano gli abbracci. Ci abbracciavamo mentre aspettavamo la nave. Il vento la spettinava ulteriormente. Non smetteva di parlare nemmeno un istante durante la crociera. Fingevo di ascoltarla mentre guardavo sparire la metropoli. Forse stava rivelando i segreti dell’eterna gioventù. Forse in
mezzo a tutto quel blaterare di astrologia voleva dirmi che si era innamorata di me. Il vento spingeva la sua voce dentro un orecchio e fuori dall’altro. Il vento mi portò via i suoi segreti, il suo amore. Quando rividi il faro di Playa Desnuda, sentii la sua mancanza. Avrei dovuto essere felice che riuscissi ancora a ricordarmi di lei, del suo odore. Prima di rivedere il faro non mi ricordavo nemmeno il suo nome. Il faro era come Amanda, da amare. Girava,
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lampeggiando, un segnale d’aiuto ai dispersi in mare. Mentre la guardavo, la luce si spense per la giornata. Amanda smetteva di parlare solo quando eravamo sulla sabbia. Ci allungavamo sul suo plaid che era anche il suo sellino e il suo poncho, le nostre pelli a contatto il più possibile, muovendoci appena, intenti a sorbire radiazioni, sale, vento. La fauna della spiaggia naturista era gente anziana. Solo vivendo a lungo capiamo che la nudità è normale. I vecchi ci guardavano, anche quando facevamo l’amore. Forza, sembravano dire, godetevi la vita finché potete. La vita scorre lenta e poi passa troppo velocemente. Vedrete. Estate d’amore con Amanda, anni fa. Lei partì per l’entroterra quando la licenziarono al bar spogliarello. Si sposò con un meccanico, trovò lavoro come cameriera d’albergo. Almeno così immagino che sia andata la sua storia. Non la accompagnai nemmeno alla stazione degli autobus. La brezza marina era gelida, dura. La spiaggia nuda era spoglia, a parte l’erba che frusciava sulle dune.
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novità editoriali Reality
I
ntrodotte da una frizzante prefazione di Cristiano Militello e arricchite con i disegni di Massimiliano Zatini, le 500 chicche possono essere lette tutte d’un fiato. Nella nuova pubblicazione di Alessandro Pagani, uscito il 16 Maggio per 96, Rue De La Fontaine, la ricercatezza delle battute, dei dialoghi e delle gag non si limita alla stesura della semplice freddura, ma cerca di andare oltre, tentando di far sorridere ma anche di far riflettere, in un contesto letterario complicato come quello dei nostri giorni. Ogni breve sketch presente nelle 500 frasi del libro ha una sua storia, che si apre e si chiude in poche battute e che richiama alla mente i tempi comici di un cabarettista, dove il termine cabaret è inteso per intrattenimento acuto e pungente.
500 chiche di risoi di Alessandro Pagani 96, Rue De La Fontaine
umorismo
C
ome si vive nel mondo della moda? Cosa nasconde l’abbagliante splendore dei lustrini? Mentre Ellis, redattrice di moda, cerca di smarcarsi da quell’ambiente fatuo facendo affidamento sulla sua vena creativa, dal suo passato affiorano fantasmi e paure sopite con le quali deve necessariamente fare i conti se vuole “ripartire”. L’azione liberatoria funzionerà e si concluderà con una rinascita al di là delle sue più rosee aspettative. Accanto a Ellis, una grande coprotagonista, la Milano di oggi, bottega d’arte, stile e cultura, che attira sempre più curiosi intelligenti da tutto il mondo. Scritto in un italiano moderno, svelto e scorrevole, necessariamente infarcito di parole straniere, ormai entrate nell’uso comune soprattutto in certi ambienti professionali, il racconto riserva al lettore guizzi d’ironia che si prendono gioco anche delle situazioni più drammatiche.
insegnami a essere felice di Rossana Prezioso Simonelli Editore
romanzo
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n volume per raccontare attraverso le foto, i luoghi e la storia di una Montopoli antica, una rassegna di immagini raccolte in questo catalogo accompagnatorio di una mostra come testimonianza di una preziosa memoria di storia e di vicende umane. Documenti e foto sono di Luigi Bimonte, che con la sua ape girava le vie del paese, fissando i luoghi, incontri, momenti e situazioni con la sua macchina fotografica. Un catalogo che offre l’opportunità di godere di una memoria del passato, che ha il significato della riflessione non tanto al ricordo ma anche al confronto del presente pensando al futuro. Le tradizioni, testimonianze e i modi di un tempo sono racchiusi in uno scatto o in un documento che trasportano l’osservatore a quell’epoca.
Io, Ape, tu Vola Ass. Cult. Arco di Castruccio
storia
U
n libro per ripercorrere i passaggi principali della vita di Un amministratore Moderno. Guelfo Guelfi e il periodo storico in cui ha vissuto. Medico Guelfo Guelfi e condotto, assessore comunale, sindaco, filantropo, fondatore e primo direttore di una banca popolare ancora oggi attiva e pro- l’etica mazziniana nell’Italia spera. Sorprende che una figura di grande interesse storico abbia monarchica deciso di stabilirsi in una piccola località remota della Toscana tra la fine dell’800 e i primi anni del 900 con i suoi 2.300 abitanti, a di Michele Finelli metà strada tra Volterra e Pontedera. Ed è proprio in quel paese che questa figura si è impegnata per soddisfare le esigenze primarie dei suoi abitanti, fondando una scuola e amministrando con saggezza il comune fino alla fondazione della Banca Popolare di Lajatico nel 1884. Egli si convinse che dovevano essere i contadini, gli operai e i piccoli possidenti a farsi carico dei propri problemi associandosi in una cooperativa di credito popolare e così facendosi essi stessi capitalisti, identificando nella cooperazione uno strumento di solidarietà sociale e di affrancamento dalla povertà.
storia
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Angelo Errera
20° Reality
cinema
Cannes
Palma d'oro al coreano Bong Joon-ho Andrea Cianferoni
S
ono tanti i film del festival di Cannes, appena concluso, che arriveranno in Italia fin da subito. Due sono già usciti in questi giorni: Il Traditore di Marco Bellocchio e Dolor y gloria di Pedro Almodovar (con Antonio Banderas migliore attore). Bisognerà invece aspettare il 16 settembre per vedere C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino con Brad Pitt e Leonardo Di Caprio, mentre dal 13 giugno usciranno in sala Bill Murray, Adam Driver e gli zombie di Jim Jarmusch I morti non muoiono che hanno aperto Cannes 72. Prossima stagione invece per tanti altri titoli a cominciare dal sudcoreano Parasite di Boon Joon Ho, vincitore della Palma d’oro, una storia di ricchi contro poveri, una lotta di classe ravvicinata dove a fare la differenza c’è anche l’olfatto. I poveri puzzano un po’ troppo per i ricchi, o almeno, è quello che capita tra le due famiglie protagoniste: i poverissimi Ki-taek e i ricchissimi Park. La lotta di classe nel
sottosuolo sarà distribuita dalla lungimirante Academy Two che ne ha preso i diritti italiani prima di sapere che sarebbe uscito vincente. E proprio alla vigilia del Palmares, dove ha ottenuto la menzione speciale oltre che il Fipresci della critica internazionale, anche It Must be Heaven di Elia Suleiman. È di Netflix, che ne ha preso i diritti nel mondo, Atlantique di Mati Diop che ha impressionato la giuria di Alejandro Narritu al punto di assegnare al film della regista franco senegalese alla sua opera prima il secondo premio del palmares per importanza ossia il Grand Prix. Netflix anche il film animato di Jérémy Clapin I lost my body, che ha vinto il premio independente International Critics Week. Ancora senza data i quattro film Lucky Red: Sorry we missed you di Ken Loach, Matthias et Maxime di Xavier Dolan e due titoli del Palmares: Portrait of a lady on fire di Celine Sciamma (premio migliore sceneggiatura), con
Vista di Cannes Bong Joon ho con Alejandro Gonzalez Inarritu Brad Pitt con Leonardo Di Caprio
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Adele Haenel, Noemie Merlant e la partecipazione di Valeria Golino e Les Miserables, opera prima di Ladj Ly che ha conquistato (e meritato) il premio della giuria (diviso con il brasiliano Bacurau). I Wonder Pictures ha chiuso molte acquisizioni e distribuirà Yves. Tutti pazzi per Yves di Benoît Forgeard, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs , l’ottimo La belle Epoque di Nicolas Bedos, con Daniele Auteuil, Fanny Ardant e Guillaume Canet, tra i film più applauditi a Cannes 2019, poi For Sama di Waad al-Kateab ed Edward Watts, un documentario sull’assedio di Aleppo presentato fuori concorso. Sarà invece Bim a portare al cinema La famosa invasione degli orsi in Sicilia di Lorenzo Mattotti, tratto dal romanzo di Dino Buzzati, passato a Un Certain Regard e Young Ahmed dei fratelli Dardenne, un potente film sulla fascinazione di un adolescente dell’islam più radicale, che ha avuto il premio alla regia. Movies Inspired ha acquistato, dal concorso, il film cinese The Wild Goose Lake di Diao Yinan e Little Joe di Jessica Hausner
con Emily Beecham migliore attrice di Cannes 2019. Teodora Film distribuirà in Italia Papicha di Mounia Meddour, presentato a Un Certain Regard, primo lungometraggio della giovane regista franco-algerina, già apprezzata documentarista, il film è ambientato nell’Algeria degli anni Novanta, all’arrivo dell’ondata di fondamentalismo religioso che precipiterà il paese nel caos. Antonio Banderas, per Dolor y gloria di Pedro Almodovar, e Emily Beecham, per Little Joe di Jessica Hausner, vincono i premi come migliori attore e attrice. Ai fratelli Jean Pierre e Luc Dardenne, per il film Young Ahmed, il premio per la miglior regia. L’Italia resta a bocca asciutta, nessun riconoscimento per Il Traditore di Marco Bellocchio con Pierfrancesco Favino, che era l’unico film italiano in concorso. Peccato che l’Italia torni a casa a mani vuote senza riconoscimenti, la speranza c’era, ma anche la consapevolezza della concorrenza, resta la soddisfazione delle decine di paesi che hanno comprato il film, tra cui la Sony per la distribuzione in America. Il premio per Dolor y Gloria come migliore attore ad Antonio
Banderas ricompenserà Pedro Almodovar che da tempo insegue invano il massimo premio di Cannes? «Non è un mistero che il mio personaggio, Salvador Mallo, sia Almodovar» dice applaudito il suo protagonista accettando il premio e dedicandolo a lui: «Lo rispetto, lo ammiro, lo amo, è il mio mentore. Come suggerisce il titolo del suo film c’è il sacrificio, il dolore dell’artista e la gloria come stasera. Ma penso che il meglio debba ancora venire». Per la prima volta è coreana la Palma d’oro di Cannes, con un film, Parasite, che ha fulminato la giuria presieduta dal messicano Alejandro Gonzalez Inarritu e con la nostra Alice Rohrwacher. La grandezza di Cannes è anche avere in sala Quentin Tarantino e non premiarlo: se abbia partecipato alla cerimonia di chiusura consapevole di questo o meno resterà un mistero. Ma quando è apparso sul red carpet tutti i rumors raccolti fino a quel momento, e che escludevano dal Palmares C’era una volta a Hollywood, sono sembrati fuori pista. Torna a casa con un premio su cui aveva ironizzato: la Palm dog al cane Brandy di Brad Pitt, miglior cane del festival.
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Rossy De Palma Quentin Tarantino Marion_Cotillard Natalia Vodianova Francois Civil Florence Pugh Zhang Ziyi Caroline Scheufele con Eva Herzigova Red on the red
20° Reality
intervista
Elisabetta de Vito una vita dedicata all’arte
Giorgio Banchi
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mmaginate una donna, un’attrice. Immaginatela a studiare recitazione con Gigi Proietti, senza distrazioni. Immaginatela ogni sera sopra le assi del palcoscenico, circondata dall’odore del legno e dal suo pubblico romano. Immaginatela per dieci anni di repliche dello stesso spettacolo, Benhur. Immaginatela a insegnare ai giovani attori tutto quello che in una vita ha imparato sul teatro, sull’amore per le parole, sulla poesia. E immaginate anche una canina vivace che la insegue sempre per qualche biscotto, Lola. Beh, allora state immaginando Elisabetta de Vito. È cambiato qualcosa nel modo di fare teatro da quando hai iniziato ad oggi? È cambiato tanto. Io vengo dagli ul-
tima anni di teatro sperimentale, gli anni 70, quando si facevano cose quasi incomprensibili. Avendolo fatto questo tipo di teatro certe cose erano giuste all’epoca, erano gli anni Settanta e bisognava scardinare qualsiasi tipo di regola, oggi non c’è più questo bisogno. Anzi, forse ci vorrebbero delle regole. Il teatro è cambiato molto anche da quando c’è stato un impoverimento culturale e tecnico degli attori, con il Grande Fratello e con i Reality: se un tronista può diventare un attore, se una chi ha fatto il Grande Fratello vince il David, per me c’è una povertà culturale nel paese. E anche dei messaggi che non andrebbero dati, soprattutto ai giovani attori. Come hai capito che la recitazione era la tua strada? C’è stata un’evoluzione in me, pro-
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prio in quegli anni Settanta. Ho iniziato a fare teatro con la danza in uno dei Teatri Off storici della Capitale, che era Spazio Zero, facevamo spettacoli per bambini. Erano fatti di pochissime parole, e nel momento in cui ho dovuto inserire la parola mi resi conto che dovevo studiare e che non ero in grado di farlo da sola. Avevo 22 anni, feci il provino al Centro Sperimentale di Cinematografia e al Laboratorio di Gigi Proietti. Fui presi da entrambi e non sapevo quale scegliere. Parlando con con Monica Vitti, un insegnante che conoscevo, le esposi la mia scelta e mi consigliò di andare da Proietti. Il mio cuore stava già nel teatro piuttosto che nel cinema. È stata proprio un’evoluzione, io ho studiato danza sicuramente perché mia madre voleva che facessi la ballerina, da lì ho continuato ed è nato tutto. Perché insegni al Cantiere Teatrale? Perché amo i miei studenti e i giovani attori. Fondamentalmente per amore e per il piacere di stare con i ragazzi. Mi piace farmi travolgere dalla loro energia. Il teatro comunque deve andare avanti e per questo metto a disposizione quello che ho imparato dopo una intera vita dedicata a questo mestiere. Cosa vuoi lasciare ai tuoi studenti? Questo mestiere è amore per il prossimo. Voglio che il pubblico capisca quello che sto dicendo attraverso un testo. Mi piacerebbe che i giovani che studiano recitazione amassero le parole, il mondo che ci può essere dentro una parola, le mille sfumature che può avere. Che amassero la letteratura. Che avessero la passione di approfondire il testo e, attraverso il testo, se stessi. Qual è il macro obiettivo dell’attore e quali i suoi micro obiettivi? È esattamente come nella vita. Anda-
re in palco è come vivere. Chi studia nella mia Accademia ha come macro obiettivo il diploma, e come micro obiettivi imparare la dizione, entrare nel sentimento ed essere vero in scena. Come studi un personaggio che devi interpretare ? Prima di tutto leggo molte volte il testo che devo studiare. Mi leggo e rileggo la parte che devo fare anche se già so le battute a memoria, perché io devo essere completamente quella persona. Poi lo contestualizzo studiandomi il periodo storico in cui si svolge la storia, il perché l’autore ha scritto quel testo. E poi cerco il sentimento soggiacente che muove il mio personaggio e che anima le sue battute. E, infine, la cosa più importante per me è inserire nel personaggio e nella storia la mia verità. La mia verità che è diversa da quella degli altri attori, altrimenti Amleto lo potrebbe fare una persona sola al mondo. Mi ispiro moltissimo a persone che conosco nella mia vita privata. Mi sono ispirata tantissime volte a mia madre, oppure a mia sorella. Questo è un mestiere dove è necessario studiare, vivere, e conoscere persone. Serve tutto. Come attrice di quanta solitudine hai bisogno? Quando studio sì, per me è necessaria. Ho bisogno di stare completamente da sola per introiettare il personaggio dentro di me, di farlo mio. Di avere a che fare con il mio interno, e di stare per, un momento di studio iniziale, a contatto solo con me stessa. Poi ho bisogno del confronto. Vivo con Ciro, mio marito che è attore e regista, e mi aiuta con un occhio esterno a perfezionare la mia recitazione. C’è differenza tra palcoscenico e vita reale? Sì, certamente. Il palcoscenico è la sintesi della vita reale, perché li vado a rappresentare un episodio della vita quotidiana. Però le emozioni che provo nella vita sono quelle che cerco di riprodurre in scena. Amplificati, ma la radice sta nella quotidianità. In teatro voglio portare la vita, altrimenti è noioso. Cosa hai perso e cosa hai ritrovato facendo l’attrice? Alla mia età questi piccoli bilanci si cominciano a fare. È un mestiere totalizzante. Qualsiasi cosa tu faccia se devi recitare la sera, il tuo cuore e il tuo cervello stanno già là. Anche se poi durante la giornata hai altre mille cose da fare, ma la tua concentrazione profonda è già su quello che reciterai la sera. Perdi sicuramente delle cose. Gli amici, un po’ la famiglia. Gli
attori o le attrici che hanno i figli per me sono eroi, è come fare tre lavori contemporaneamente. Il teatro lavora più negli attori o dentro il pubblico? Sicuramente di più nell’attore. Però lo scopo è che lavori anche dentro gli spettatori. Ho visto uno spettacolo al teatro Ghione di Roma, Que Sera, la storia di tre amici del Liceo che un sera si incontrano come di abitudine e uno dei tre rivela di avere un tumore incurabile, e dice, essendo medico, di volersi uccidere, e chiede agli amici di stargli vicino. Impegnativo come testo, e ho sentito nella platea un silenzio assoluto e la condivisione di questa scelta. Inizi a pensare alla morte e a chiederti cosa tu, nella stessa situazione, avresti fatto. Chiederei al mio più caro amico di starmi vicino mentre mi faccio l’eutanasia? Questo è un caso in cui il teatro lavora anche dentro gli spettatori in modo fortissimo, anche se sei giovane. Quando il pubblico si interroga vuol dire che lo spettacolo funziona. Dalla Dolce Vita a Suburra Roma come palcoscenico quanto è cambiata? È cambiata tantissimo. Oggi da romana mi ritrovo a dire le cose che diceva mia mamma: di non poter più passare da una strada perché non ci sono più le cose di quando ero ragazza. In realtà siamo noi che cambiamo non quello che è intorno a noi. Sento un linguaggio diverso nel raccontare la mia città forse perché io ora sono diversa. Penso che Suburra ci sia sempre stata anche se all’epoca la vivevo poco. Ho visto un’evoluzione pazzesca di Roma, di traffico, di macchine, e soprattutto nelle periferie. Benhur, dieci anni di repliche. È il successo teatrale della tua vita? Sì. Sicuramente lo spettacolo che ho
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fatto per più anni e più repliche. È molto difficile fare tante repliche di uno stesso lavoro, perché il rischio è che si entri in una ripetizione automatica. È un po’ il rischio del mestiere, che comunque auguro di correre a tutti i giovani attori. È un rischio che comunque va evitato, soprattutto per il rispetto verso il pubblico, che tutte le sere è diverso. Per me al giorno d’oggi chi esce di casa, parcheggia la macchina, e paga il biglietto per venire a teatro, già va rispettato profondamente per i suoi valori. Che sono vicinissimi ai miei. La candidatura ai David cosa ha significato per te? Ho avuto la nomination ai David, che è un premio cinematografico, da attrice che fa prevalentemente teatro. Per questo motivo per me è stato come un Oscar. E se l’avessi vinto l’avrei dedicato a tutti gli attori che purtroppo non si trovano al momento giusto al posto giusto. Com’è stato lavorare con Luca Marinelli? È stato molto professionale in questo caso. C’è stato pochissimo tempo per avere un rapporto umano, per provare le scene conoscendoci meglio. questa è una delle pecche del cinema per me. Quando fai teatro hai almeno un mese e mezzo di prove, ti conosci. E se ti conosci è più facile recitare insieme. In questo caso non ebbi proprio il tempo materiale. Hai ancora un sogno da realizzare? Il mio sogno è produrre gli spettacoli dei miei allievi. Far diventare Il Cantiere Teatrale, l’Accademia dove insegno, anche una produzione teatrale. Non ho più molta voglia di apparire, ma di far apparire sulle scene i miei allievi. Il mio vero sogno sarebbe avere i soldi per produrli.
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momorabilia
fra Manzella e i Bragaglia Vania Di Stefano
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ovanta anni fa, il 14 febbraio 1929 a Cibali di Catania, nel telegramma appena ricevuto Titomanlio Manzella lesse: «Confermo premiere domenica diciassette Bragaglia». Alla storia del Teatro degli indipendenti di Anton Giulio Bragaglia (1890-1960) in via degli Avignonesi 8 a Roma (dopo lo spettacolo, dalle 2 di notte all’alba diveniva un DancingClub-Restaurant) aggiungo un tassello inedito, che emerge dall’epistolario del mio avo materno riguardo la
sua commedia Pierrot sui tetti (titolo originario: Pierrot innamorato, scritta fra il 17 e il 31 agosto 1926) messa in scena da Carlo Ludovico Bragaglia (1894-1998), fratello di Anton Giulio che il 14 settembre 1928 aveva scritto all’autore: «Ho letto la sua commedia. A me sembra che il I° atto sia bellissimo e il 2° vada anche benissimo, mentre il 3° è senza confronti con i primi due, fiacco di costruzione, povero di materia e tutto scombinato». Dal testo (esistono diverse tormentate stesure compresa quella migliora-
ta e rappresentata) prendono vita 24 personaggi in una trama complicata, ma avvincente, ambientata dapprima in una piazzetta con una taverna, un bordello e l’abitazione della giovane e graziosa Colombina, poi in un parco, infine sul tetto domestico della fanciulla. Fra gli spasimanti che l’assediano - il figlio di buona famiglia, il nobile spiantato, il vedovo sessantenne, il giovane Scamurra - c’è anche un attore che nella vita non si toglie mai la maschera del personaggio assegnatogli da uno scettico impresario teatrale e teme il licenziamento perché accusato di non saper recitare la parte dell’innamorato. Inizia così un percorso di lotta e di conquista sia di Colombina sia del ruolo teatrale. Realtà e sogno convivono, dialogano e si confondono in un paesaggio che muta sul palcoscenico vero e su quello immaginario
Il rarissimo manifesto Anton Giulio Bragaglia
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Pierrot, Luigi Barberi Scena del terzo atto Interno del teatro
dove passano e confliggono anche un oste e gli avventori dell’osteria, due prostitute, una vergine bionda, uno scienziato, alcune guardie, gli infermieri d’un manicomio, un dottore, pazzi a passeggio, curiosi, e persino le ombre di Orlando, Angelica, Gano di Magonza, saraceni. Alla fine di un complicato intreccio di situazioni, accadimenti, colpi di scena l’amore vince e gli spasimanti restano gabbati. Pierrot, illeso dopo una pericolosa caduta, accarezza Colombina e la rassicura: «Sono sano e salvo... Ho avuto un terrore di morte: mi è parso di sprofondare nel baratro ma mi è parso ancora di vedere sfumare per sempre tutte le ombre che mi hanno tormentato per tanto tempo!». Chiede Colombina: «Dunque non mi parlerai più di sogni, di avventure...». Risponde Pierrot: «No cara! Mi risuonano ancora le tue parole di poco fa: godere la stupenda realtà... Rendere tutti becchi! Averti soltanto mia!».
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20° Reality
teatro
la saga di
Nane Oca Andrea Mancini
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iuliano Scabia, uno dei protagonisti del rinnovamento del teatro italiano, è anche un grande poeta e romanziere (i suoi moltissimi libri sono quasi sempre Einaudi), e ha dedicato ben quattro volumi alla saga di Nane Oca. L’ultimo è appena uscito, si intitola Il lato oscuro di Nane Oca. La vicenda, apparentemente mitica, con una serie di personaggi fantastici, è anche una riflessione sull’oggi. Si svolge intorno alla città di Pava (dietro alla quale si riconosce la città natale di Scabia, la sua amata Padova) e nel Pavano Antico Circondato dalle Foreste Sorelle. «Le Foreste Sorelle circondano il Pa-
vano Antico da ogni lato, oltre la Pavante Foresta, e sono infinite. Con Pava e i Ronchi Palù costituiscono il paesaggio di Nane Oca… in cui si svolgono, scritte dal fioricultore Guido il Puliero per far lieti gli amici del paese, Le straordinarie avventure di Giovanni Oca alle ricerca del momòn… e le fantastiche peripezie delle centinaia di personaggi in cerca del magico elisir che rende tutti immortali (forse anche i lettori)…» Così, lo stesso Scabia introduceva La sala delle foreste sorelle, una stanza dedicata a Nane Oca, al Castello Malaspina di Massa e poi nella mostra da me curata alla Casa dei Teatri di
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Roma, allora negli splendidi giardini di Villa Doria Pamphili. Scabia descriveva, metteva in mostra appunto, molto della sua officina, quel luogo un po’ vero, ma anche magico, misterioso, in cui un poeta dà vita all’universo tutto, in particolare al suo. Devo subito dire che quello di Scabia è un mondo fatto di immaginazione, ma anche di realtà. Chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo in conferenze e incontri, sa come lui sostenga di avere prove, documenti, foto e altro ancora, che descrivono eventi totalmente incredibili, come l’aver realizzato uno spettacolo per tutta Parigi, recitato dalla cima della Torre Eiffel, o in Si-
cilia, per tutta l’Italia, in cima all’Etna; o ancora nel Santuario della Verna, insieme al padre guardiano, o nei boschi dell’Appenino, su una roccia dove anche i Celti facevano i loro sacrifici, detta di Bismantova, di cui in molti dubitano addirittura dell’esistenza. Voglio dire che, probabilmente, il poeta ha un meccanismo di ravvedimento del mondo, nel senso che lo può “rivedere” con i suoi occhi: ma ogni volta la realtà supera la fantasia, quanto a potere immaginifico. Le prove che lui adduce sembrano solo inventate, e sono invece tutte reali, le sue performances hanno davvero girato il mondo, applaudite da pubblici festanti. La sua poesia e il suo teatro, sono sempre stati poesia civile, teatro civile, tali cioè che in una lettura meno superficiale, possono diventare denunce addirittura inquietanti, censurate, combattute, estromesse dai luoghi ufficiali, vedi l’esempio del Teatro alla Scala, del Piccolo Teatro di Milano, l’Ert Emilia Romagna, il Premio Italia e compagnia scrivendo, che hanno commissionato e poi non ammesso, per motivi ideologici, i testi di Scabia. Ma non vogliamo spaventare: la grande letteratura ha molti livelli di lettura, Guerra e Pace o I miserabili sono pubblicati anche in edizioni economicissime, per pubblici assolutamente popolari, al punto che questi romanzi possono piacere e neanche poco, anche ad un lettore qualsiasi, che deve semplicemente godere di una lettura semplice e a volte superficiale. Lo stesso appunto per Nane Oca, può esserci un primo livello di lettura che ne fa un romanzo comunque importante, da grande pubblico, un’opera godibilissima, altrimenti non si spiegherebbero le cinque edizioni del primo dei quattro libri (l’ultima – intitolata semplicemente Nane Oca - appena ripubblicata, sempre da Einaudi) e le
oltre ventimila copie vendute solo in Veneto, insieme a un quotidiano. Il viaggio di Scabia si svolge oltre la soglia della realtà, quella che ci conduce di là, verso un mondo altro. Un po’ come nel buco dell’Alice di Carroll o attraverso l’armadio nelle Cronache di Narnia di C.S. Lewis (ma ci sono decine di altri romanzi, racconti, film, che usano lo stesso espediente). Ambedue queste narrazioni rappresentano veri e propri cicli, saghe come Nane Oca, vengono proposti ai bambini, anche se restano rivolti agli adulti. Nane Oca non è considerato un libro per bambini, anche se io l’ho letto ai miei figli, quando erano piccoli. C’è comunque da notare almeno una differenza: se C.S. Lewis e Lewis Carrol raccontano uno scarto fantastico, e forse hanno bisogno di una sorta di giustificazione, Scabia compie un’operazione più complessa, nel senso che oltre la soglia c’è qualcosa di diverso dalla fantasia, quella lavora tranquillamente anche dalla parte “sana”, di là c’è un mondo mitico, il mondo degli dei e degli eroi, delle suore che volano e delle statue che parlano, ma non è necessario oltrepassare la soglia per incontrare questi personaggi, loro sono già nella vita dell’autore, che proprio per questo riesce a spiazzare i propri interlocutori. Scabia racconta e la sua narrazione è già letteratura, non ha bisogno di oltrepassare nessuna soglia, i suoi personaggi, come quelli di Pirandello, vivono insieme a lui, gli parlano e diventano anche reali, come è successo a Firenze, qualche tempo fa, quando ha dato vita a Nane Oca, grazie al coinvolgimento di un centinaio di persone, ai quali ha fatto assumere i volti dei propri personaggi, in un gioco di teatro nella vita, che riusciva a coinvolgere soprattutto le persone comuni.
Il lato oscuro di Nane Oca (Einaudi , Torino 2019, euro 22) di Giuliano Scabia chiude il ciclo di Nane Oca, ultimo dei quattro libri, pubblicati partire dal 1992. È un libro importante, al livello del primo della serie e descrive il viaggio che il protagonista fa nel mondo “oscuro” che tutti noi stiamo vivendo. Un libro dunque coraggioso, che pur non rinunciando agli elementi fantastici, arriva a descrivere una specie di Inferno contemporaneo, che assomiglia per struttura narrativa all’Inferno dantesco. Ci sono anche qui una serie di personaggi, solo in parte mascherati, come appunto i poeti Banighieri e Petrocco, con la scrittura di un vero Canzoniere, fatto di rose e di fiori, creato graficamente in meravigliosi intrecci di scrittura . Ma ci sono anche tanti altri che vanno da Alessandro Magno a Aquila Tremante, capo indiano e vero americano, e poi il Dio Denaro – incontrato appunto a New York - e la Grande Anima, che invece si trova in India e dietro alla quale si intuisce un Mahatma Gandhi, ucciso da un attentatore, ma fermo nel sostenere che “solo la non violenza può vincere la violenza”. Insomma un libro senz’altro da leggere, ma anche da applaudire, quest’estate infatti Scabia offrirà una rappresentazione agli spettatori di Armunia il festival che da anni allieta le serate di Castiglioncello, insieme ad una Fantastica Compagnia Dilettantesca Amatoriale, anche lei protagonista del libro. La compagnia sarà creata per l’occasione, a partire da una serie di veri e propri provini, e darà vita alla “Commedia della Fine del Mondo”, cioè l’intermezzo, parlato alla maniera dinica, con dinosauri , destino, uccello del malaugurio, meteorite e autore.
Giuliano Scabia protagonista in più di una edizione del Festival del pensiero popolare, organizzato ogni estate nel quartiere dello Scioa a San Miniato. Tra l’altro insieme a Marco Cavallo, il mitico animale azzurro costruito al tempo di Franco Basaglia, per abbattere le mura dell’Ospedale psichiatrico di Trieste. Fotografie di Aurelio Cupelli
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curiosità
Leonardo musico una passione fin dall’adolescenza
Roberto Mascagni
Ritratto di un suonatore di "viella", l'antenata del violino Studio per la costruzione di una viola meccanica. (Ms. H.) Martello meccanico per suonare le campane. (Cod. Forster II)
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onnivora curiosità di conoscenza che caratterizza il Rinascimento fiorentino raggiunge il punto più eclettico di osservazione da parte di Leonardo da Vinci. In coerenza con i princìpi dell’Umanesimo, la musica non poteva mancare per rendere “completo” il profilo armonico di quelle tensioni dell’intelletto, seppure a carattere sperimentale toccò quasi tutti i campi del sapere. Contemporaneo di Leonardo fu Franchino Gaffurio (Gafurius), autore della Practica Musicae, presente alla Corte di Milano, quando negli stessi anni dimorava Leonardo che collaborò alla Practica Musicae, perché in una edi-
zione di questo testo (1496) è inserito un disegno così ben definito da poterlo attribuire alla sua mano. Si racconta che fosse stato addirittura un rinomato “cantore”, tanto da partecipare alla esecuzione dell’Orfeo di Poliziano, alla corte dei Gonzaga, a Mantova, nel 1471. Sappiamo da Giorgio Vasari che il giovanetto Leonardo passava molte ore a suonare la “Lira” (strumento utilizzato pizzicando le corde come fosse una chitarra) «onde sopra questo cantò poi divinamente all’improvviso». Continua Vasari: «Leonardo superò tutti i musici che quivi erano concorsi a suonare». Tanta perizia discende dall’aver seguìto, da adolescente, le lezioni impartite dal celebre organista fiorentino Antonio Squarcialupi che aveva fissato le regole del comporre nel rinomato “Codice Squarcialupi”. Alla Corte di Milano partecipò alla rappresentazione del Paradiso di Bernardo Bellincioni, disegnando «tutti li sette pianeti e li pianeti erano rappresentati da uomini in forma e habito».Il Paradiso può essere considerato una delle tappe degli “intermedi” del futuro Melodramma, nel Seicento: cioè una sacra rappresentazione simbolica, simile a quelle allestite a Firenze. Tornando a Giorgio Vasari, Leonardo «molto si dilettava del suono de la lira» strumento da lui costruito per uso personale «fabbricato d’argento». Le sue riflessioni sulle potenzialità della musica vengono estese anche alla pittura. Leonardo cercava in tutti i modi di ottenere il massimo della bellezza in ogni sua creazione. Si ipotizza fosse stato anche compositore, come è avvalorato da alcune prove come il manoscritto che si trova al British Museum, comprendente molti tentativi di perfezionare il “mo-
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nocordo” attribuito a Pitagora. Per esempio è certo che avesse sostituito i tamburi con una serie di “timpani” o “bicchieri” che producevano suoni diversi accompagnati da un “cantore”. Ancora più sicura è la notizia che prima del 1542 accennasse alla costruzione di uno “strumento ad arco”: precisamente la “viola” (o “viella”), perfezionando la realizzazione tecnica del contemporaneo violino, gettando una luce nuova sul futuro della musica. Basterebbe questa sua citazione: «Si faccia dell’armonia con diversi getti d’acqua, come quelli della fontana a Rimini». Queste sperimentazioni ci fanno pensare al Novecento di Ravel (Geux d’eau) e di Ottorino Respighi (Fontane di Roma).
20°
INTERVISTA Reality
Paolo Migone nei teatri di tutta Italia col nuovo spettacolo
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resciuto a Livorno da madre piemontese e padre genovese, abbiamo incontrato Paolo Migone, propio per le vie della città labronica a bordo della sua moto Harley -Davidson ( da lui stesso personalizzata in stile raw): sua grande passione. Lo abbiamo incontrato precisamente a due passi dal mare, nella città’ dove vive con la moglie Bendi e il figlio Bernardo, vicino alla baracchina dove ogni giorno fa colazione e dove porta a spasso il cane Uranio.
Paolo Migone il comico e cabarettista toscano, ma anche regista e autore teatrale e televisivo, approdato a Zelig nel 2000, ha creato un personaggio dal tipico “occhio nero”e dalla visione pessimistica delle cose che vanno dalla vita di coppia alla frenetica vita della metropoli milanese, alle ingiustizie della società. Un grande cabarettista e comico e propio per questo nel 2012 al Festival Nazionale Adriatica Cabaret vince il Delfino D’oro alla carriera come mi-
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glior cabarettista dell’anno. L’esilarante comico e non solo, usa come filtro la sua comicità corrosiva, la sua inimitabile mordacità toscana che caratterizza uno stile inconfondibile. Argomento preferito? L’eterno gioco fra uomini e donne che, sembra, fornirgli spunti creativi inesauribili con un occhio sempre attento ai costumi contemporanei ma anche alla realtà del suo tempo. Forte di un’esperienza teatrale, sul palco ha la capacità di raccontare, attraverso una gestualità essenziale. Lo vedremo sul palcoscenico con il suo ultimo spettacolo Beethoven non è un cane con la regia di Daniela Scala in giro per i teatri di tutta Italia. Lo spettacolo manda in scena un Migone in nuove vesti, quelle di un deejay. «Da un anno ho lasciato l’argomento per me trito e ritrito dell’uomo e della donna - dice - per presentare soprattutto ai giovani un nuovo argomento». Dietro il polveroso sipario c’è infatti un deejay, sì, ma di musica classica. In scena un pazzo con cuffia alle orecchie e l’occhio spiritato che aggeggia a dei vecchi vinili. Si tratta di un pazzo incredulo davanti ad adolescenti che identificano Beethoven in un grosso e simpatico cane San Bernardo e che si è stufato di sentire in giro: bella quella musica è della pubblicità (…è Mozart!). Musica colta, musica sepolta? Paolo Migone il folle con le cuffie, a teatro con la pala e le maniche tirate tenterà di riesumare una musica classica ancora viva, con aneddoti e grandi storie, con il suo esilarante recitare, dallo stile inconfondibile. Lo spettacolo sarà’ presentato presto anche in Toscana.
Silvia Pierini
20° Reality
musica
Villa Bellosguardo casa museo di Enrico Caruso a Lastra a Signa Marco Moretti
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ulle armoniose colline di Lastra a Signa, in posizione dominante lo scenario della piana fiorentina spartita dal corso dell’Arno, sorge tra un parco di lecci e cipressi secolari la rinascimentale villa Pucci. Tra il 1585 e il ‘95 l’abate Alessandro aveva fatto trasformare dall’architetto Antonio Dosio la rustica casa padronale in luogo di delizie “per il ristoro dell’anima e del corpo”, strutturando i terreni adiacenti a grande parco adornato da statue e fontane. Sulla fine dell’Ottocento la Villa con l’annessa fattoria pervenne ai conti Campi di Bologna, i quali nel 1906 la venderono in stato di semi abbandono al tenore napoletano Enrico Caruso per la cifra di 205.000 lire. Nato nel 1873 nella Napoli popolare di San Giovanniello, il tenore ormai giunto al successo mondiale era rimasto affascinato dalla pace e dalla posizione incomparabile del luogo, ben degno d’essere chiamato Bellosguardo, nel quale trascorrere periodi di riposo e di studio dopo le sfiancanti recite di qua e di là dall’oceano. Così scriveva ad un amico: “Questo poggio non è terra, è un qualcosa d’irreale che, per
un miracolo, si è materializzato senza contrarre contagio delle cose terrene. Quando io vengo quassù ci vengo appunto perché ho bisogno di una ricreazione spirituale”. E di fatto Bellosguardo si confermò per tre lustri un’accogliente oasi. Caruso intervenne nella nuova proprietà con notevoli lavori strutturali. Partendo dai suoi desideri, sotto la direzione dell’architetto Rodolfo Sabatini la struttura cinquecentesca venne restaurata e in parte modificata; così l’adiacente edificio della fattoria, ampliato e reso simmetrico al corpo della villa, mentre una loggia formata da colonne sostenenti una terrazza riunì frontalmente i due corpi di fabbrica. Il parco, in origine aperto senza ostacoli su campi e boschi, venne circoscritto da un muro che lasciò fuori vasche e altre strutture architettoniche progettate dal Dosio. I lavori, piuttosto imponenti, occuparono negli anni attorno alla prima guerra muratori, scalpellini, falegnami e numerose maestranze rimaste disoccupate per il perdurare della crisi della locale industria della paglia. Alla morte di Caruso la tenuta fu venduta dagli eredi, e negli anni passò più volte di proprietà prima d’essere acquistata nel 1995 dal comune di Lastra a Signa con l’intento di valorizzarne il magnifico complesso e la memoria del suo leggendario abitatore. Nel bacino delle due Signe il ricordo della permanenza di Caruso non si era mai spento, ed il suo nome viene trasmesso alle giovani generazioni attraverso una manifestazione che da vari decenni si svolge nello scenario incomparabile della villa: il Premio Enrico Caruso, nel quale oltre alle esibizioni liriche di giovani talenti provenienti da varie parti del mondo,
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vengono insigniti i grandi nomi della lirica. Anima di tutto ciò è il presidente della Pro Lastra Mario Del Fante, il quale tanti anni fa trovò nella persona di Luciano Pituello, fondatore a Milano del ‘Centro studi carusiani e collezionista di cimeli del tenore, uno spirito affine se non un verro e proprio fratello spirituale. Milano era stata una città significativa per la carriera del tenore, motivo per il quale Pituello cercava di far nascere un museo carusiano con le centinaia di reperti costituiti da costumi di scena, fotografie, grammofoni d’epoca, dischi originali e oggetti di arredamento appartenuti al tenore e raccolti in anni di ricerche. L’allora sindaco Tognoli aveva promesso strutture adeguate e oltre ottocento milioni di lire; spazi e cifre drasticamente ridimensionati dalle successive amministrazioni, fino a scadere nelle perplessità di un nuovo assessore alla cultura,
Philippe Daverio, il quale definì “paccottiglia” il patrimonio di reperti acquisito, ma eppure stimato sui due milioni di euro. Così nel 2006 la decisione di Pituello e soci di concedere i cimeli carusiani al comune di Lastra a Signa, già da nove anni proprietario attraverso l’impegno della Regione Toscana, della residenza di Bellosguardo così amata dal tenore. Uno smacco per una città attenta alla cultura come Milano, nella quale tra il ‘97 e il ‘98 il giovane Caruso aveva consolidato la sua fama e dove, nel 1902, in una camera del Grand Hotel et de Milàn, aveva dato inizio alla storia dell’incisione discografica, registrando con l’accompagnamento di un pianista e l’assistenza di due tecnici della Grammophone Company di Londra, dieci pezzi senza mai ripetere un passaggio; uno ‘sperimento’ che in pochi mesi frutterà un guadagno allora stratosferico di 15.000 sterline. Contrariamente alle perplessità d’altri cantanti lirici per il “mezzo meccanico” del disco, Caruso ne aveva invece intuito l’enorme portata di diffusione, e convinto dal successo commerciale del 1902, firmerà due anni dopo un contratto con la Victor Talking Machine Company che frutterà milioni di dollari. L’apertura del museo carusiano a Bellosguardo avvenuta il 25 febbraio 2012, 139° anniversario della nascita del tenore, dimostrava come la volontà di un piccolo comune aveva avuto la meglio rispetto alle farraginose promesse e scetticismi della ricca amministrazione meneghina. Con i numerosi reperti appartenuti a Caruso, villa Bellosguardo tornava ad essere la sua casa, o per meglio dire la sua casa museo narrante nelle nove sale del primo piano le tappe più significative della sua breve ma intensa vita, lungo le quali un percorso interattivo fa riascoltare la sua voce e visualizzare i luoghi delle sue tournée. Tra i tanti cimeli, si possono ammirare ritratti come l’imponente busto in marmo del tenore scolpito da Filippo Cifa-
riello che accoglie il visitatore all’inizio del percorso museale, con a fianco il dipinto a figura intera di Ada Giachetti ritratta nel 1907 dal pittore Galli nel parco di Bellosguardo. Ogni sala evoca un tema: dalla camera da letto, ricomposta nei suoi pezzi originali, alla sala della famiglia e a quella grande della musica nella quale il tenore studiava e provava i pezzi d’opera, arricchita adesso da preziosi costumi come il kimono indossato nel 1907 nella parte di Osaka al Metropolitan di New York e quello di Canio con la grancassa usata in scena nell’opera deI Pagliacci. Un’altra sala ripercorre con rari grammofoni d’epoca la storia del diffusore sonoro: dal primitivo mezzo a tamburo rotante al disco 78 giri. Interessanti sono alcune posate d’argento facenti parte di un servito di 240 pezzi donato a Caruso dallo Zar Nicola II.Si dice che Caruso abbia scoperto Bellosguardo durante una passeggiata con l’ amore della sua vita, Ada Giachetti, con la quale nel ‘97 a Livorno, lui ventiquattrenne lei un anno di meno, aveva cantato in Bohème innamorandosene perdutamente. Affascinante e talentuosa soprano, Ada contribuirà alla perfezione scenica di Caruso; sposata e madre di un figlio, lascerà la famiglia per andare a vivere con lui. Un anno dopo nascerà Rodolfo, vezzeggiato con il diminutivo partenopeo di Fofò. Al colmo della felicità, Caruso acquistò nel 1902 un’antica villa, Le Panche, tra Castello e Sesto Fiorentino, dove due anni dopo nascerà Enrico Jr, detto Mimmi. In un breve giro di anni Ada ebbe quattro gravidanze, due delle quali portate a termine. Forzatamente assente dalle scene e lontana per mesi da Enrico, la cantante cadde in uno stato di frustrazione che la rese vulnerabile alle situazioni più assurde, come quella di divenire l’amante del suo autista. Informato di ciò, Caruso intercettò alcune lettere, ma gli amanti erano già fuggiti in Francia portandosi dietro Mimmi. Con la condanna della donna per abbandono del tetto coniugale, Enrico ottiene la custodia dei figli. Così Ada scomparve fisicamente ma non sentimentalmente dalla sua vita, e il traumatico vuoto che rimarrà, solo per titanica forza non si ripercuoterà sulla sua carriera.”La vita mi procura molte sofferenze -scriverà-. Quelli che non hanno mai provato niente, non possono cantare”.Troverà comprensione nella giovane sorella di Ada, Rina, anche lei ottimo soprano e si dice amata in precedenza da Enrico, la quale ora lo corrispondeva anche nella cura dei figli, suoi nipoti. Una convivenza che diverrà totale, sia nelle tournée all’estero come a Bellosguardo, tanto che Giachetti padre consigliò, per il bene dei
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nipoti, di regolarizzare l’unione in matrimonio. Nonostante la lontananza Ada si farà sentire, minacciando in tal caso di uccidere gli amanti. Numerose lettere diffuse nel 2008 da TG2 Dossier, testimoniano la tragicità di questi scontri. Nonostante ciò , la carriera del tenore proseguiva di successo in successo in Europa e nelle Americhe, epicentro operativo il Metropolitan Opera House di New York. La dichiarazione di guerra raggiunse il tenore nella pace di Bellosguardo; tornato negli States l’artista darà numerosi concerti per raccogliere fondi per le truppe, sottoscrivendo anche un prestito personale di 500.000 dollari. A New York, con l’incontro di Dorothy Park Benjamin di vent’anni più giovane di lui, inizierà un nuovo legame sentimentale che nonostante l’opposizione del padre si legalizzerà in matrimonio. L’anno seguente, 1919, nascerà la figlia Gloria, ultimo sorso di felicità di una vita tanto ricca di successi quanto di sofferenze morali, alle quali nel corso del ‘20 si aggiungeranno quelle fisiche. Fortissimo fumatore, nel dicembre di quell’anno il tenore venne operato al polmone sinistro. Continuerà a cantare, in apparenza non invalidato dall’intervento, ma la salute, alternando alti e bassi, inizierà a vacillare. Dopo aver sputato sangue nelle ultime recite newyorchesi, nel luglio 1921 Caruso con Doroty sbarca a Napoli, sperando di ristabilirsi con l’aria natia per poi proseguire la convalescenza nel “clima più secco” di Bellosguardo. Ma un consulto di professori non lascerà dubbi sull’imminente fine, dovuta ad ascesso subfrenico fra diaframma e reni, fenomeni peristostinici settici, uricemia e lesioni del miocardio. Così, in una camera dell’ Hotel Vesuvio, sul lungomare di fronte allo stabilimento balneare dove aveva cantato da ragazzo, il tenore più grande di tutti i tempi si spense alle ore 9 e 7 minuti di martedì 2 agosto, diciannove giorni prima del suo quarantottesimo compleanno.
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musica
SOTTO QUESTO SOLE EUROVISION SONG CONTEST 2019 Leonardo Taddei
L
a 64esima edizione dell'Eurovision Song Contest si è svolta in Israele, presso il centro congressi Expo di Tel Aviv, nei giorni 14, 16 e 18 Maggio 2019. Il concorso canoro, presentato da Erez Tal, Assi Azar, Lucy Ayoub e dalla supermodella Bar Refaeli, ha visto la partecipazione di 41 paesi in gara, a causa del ritiro della Bulgaria e dello scandalo relativo all'Ucraina. Quest'ultima, infatti, dopo la vittoria della cantante Maruv nella selezione nazionale, ha deciso di abbandonare la gara perché nessuno dei primi tre classificati, inclusa la vincitrice, avrebbero accettato di firmare un contratto che prevedeva il divieto di esibirsi in concerto in territorio russo e di rilasciare interviste alla stampa senza l'esplicito consenso dell'emittente televisiva di stato. I favoriti del pubblico sono stati i cantanti norvegesi del gruppo Keiino, in gara con la canzone Spirit in the sky (Sprito in cielo), che, però, sono stati relegati dalle giurie di esperti al diciottesimo posto, terminando al sesto complessivo, anche a causa della polemica relativa alla familiarità del loro ritornello, giudicato un po' troppo si-
mile a quello della rappresentante finlandese del 2018. Beffato nuovamente il russo Sergej Lazarev, che, con la canzone Scream (Urlano), ha terminato ancora una volta terzo, proprio come nel 2016. Il favorito della vigilia, l'italiano Mahmood con il brano sanremese Soldi, deve accontentarsi del secondo piazzamento dietro al cantante Duncan Laurence, che, con la sua Arcade (Sala giochi), è riuscito a riportare i Paesi Bassi alla vittoria dopo ben 44 anni. Entrambi i contendenti sono stati anche destinatari di due dei tre Marcel
Miki, rappresentante spagnolo, canta La venda Un sorridente Duncan Laurence alza il trofeo dopo la vittoria Leonora ed il suo team, ammessi in finale grazie ad un errore nel calcolo dei voti Immagini di Andres Putting,Thomas Hanses e Paola Rita Ledda
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Bezençon Awards, quello della sala stampa, andato all'olandese, e quello dei compositori, appannaggio dell'italiano, mentre all'australiana Kate Miller-Heidke con il brano Zero gravity (Gravità zero) è stato assegnato il premio dei commentatori tv. L'irriverente Barbara Dex Award, riservato al più brutto costume di scena, è stato vinto dal Potogallo, rappresentato da Conan Osíris con la canzone Telemóveis (Cellulari). Una grande impresa è stata compiuta dalla cantante Tamara Todeska della Macedonia del Nord, che, con il brano Proud (Orgoglio), è risultata la più apprezzata dalle giurie tecniche ed ha portato il suo paese al settimo posto complessivo, il più alto mai raggiunto nella storia del concorso, vendicando la mancata qualificazione in finale nella sua precedente partecipazione del 2008. Anche Serhat, artista turco al suo secondo Eurovision per San Marino, è riuscito a conquistare la prima personale ammissione in finale, e la seconda su dieci partecipazioni della Serenissima Repubblica, con un 19esimo piazzamento che risulta anche essere
il migliore di sempre per lo stato del Titano. Al quarto, quinto ed ottavo posto si sono classificati, invece, i tre sex symbols maschili di questa edizione, ovvero, rispettivamente, lo svizzero Luca Hänni con She got me (Mi ha preso), lo svedese John Lundvik con Too late for love (Troppo tardi per l'amore), anche autore del brano britannico Bigger than us (Più grande di noi), e l'azero Chingiz con Truth (Verità). Quest'ultimo è stato, però, tacciato di omofobia e body shaming. Poco prima dell'inizio della kermesse, infatti, il cantante aveva pubblicato delle foto osé sul proprio profilo Instagram, ma, a seguito di commenti di apprezzamento da parte di persone omosessuali e bisessuali, aveva affermato che lo scopo del servizio fotografico era di attirare l’attenzione delle persone “normali”, e giustificato l'esposizione del proprio torso nudo perché “se il corpo lo consente e non ci sono difetti su di esso, allora non c’è nulla di riprovevole in una sessione fotografica di questo tipo”. Non soddisfatto, Chingiz ha anche criticato la celeberrima Madonna, chiamata ad esibirsi come guest star durante la serata finale, sostenendo di aver abbandonato la sala in occasione della performance dell'artista americana per “non provare compassione per lei”. Come se non fosse stato abbastanza, l'azero non ha risparmiato parole dure neppure per il vincitore, reo di aver proposto una messa in scena debole, né per l'organizzazione del concorso, che lo avrebbe penalizzato per un errore di calcolo dei risultati. In effetti, molti sono stati gli errori nelle votazioni, probabilmente troppi per un evento che conta oltre 180 milioni di telespettatori. La giuria della Bielorussia, già squalificata per aver rivelato le proprie preferenze dopo la prima semifinale e sostituita dalla media delle classifiche di quattro paesi – Armenia, Azerbaigian, Russia e Georgia – che storicamente hanno una tendenza di voto simile, ha invertito la lettura della classifica della finale, attribuendo punti ai paesi ultimi classificati invece che ai primi dieci. Errore
simile per due giurati, una svedese ed uno russo, che hanno confuso l'ordine di votazione della seconda semifinale. Infine, il risultato del televoto italiano mostrato in diretta tv è apparso in maniera differente rispetto ai dati ufficiali pubblicati dalla RAI. Tali errori, se da un lato non hanno mutato i primi quattro posti della classifica, hanno però impedito alla Lituania, rappresentata da Jurij Veklenko con il brano Run with the lions (Corri con i leoni), di accedere alla finale al posto della Danimarca. Mentre LRT Televizija, la rete televisiva che trasmette l’Eurovision nel paese baltico, ha preteso spiegazioni ufficiali in merito, asserendo che gli autori del brano potrebbero richiedere un ingente indennizzo, il cantante lituano è stato più diplomatico e realista, preferendo concentrarsi sulla musica e sullo sviluppo della propria carriera, lasciando al manager la decisione di adire vie legali. Il provocatorio gruppo islandese degli Hatari, dopo aver impressionato l'Europa intera con la loro esibizione bondage sulle note di Hatrid mun sigra (L'odio prevarrà), una distopica visione sulla dissoluzione del capitalismo moderno, non è riuscito ad andare oltre la decima posizione, ma ha continuato a far parlare di sé, anche dopo la conclusione della manifestazione, per le bandiere palestinesi sventolate durante l'annuncio dei risultati, come forma di protesta contro la politica israeliana, che si sono aggiunte a quella già esibita dalla stessa Madonna durante la propria performance.
Il regolamento del concorso vieta, in effetti, ogni riferimento politico, mirando all'unione e alla pacificazione tra le nazioni, ma da sempre l'evento è oggetto di dimostrazioni, in maniera più o meno esplicita, in supporto di questa o di quell'altra causa. D'altronde, ci sarebbe stato da stupirsi se episodi di questa tipologia non fossero accaduti proprio in Israele. In più occasioni le forze armate sono dovute, di fatto, intervenire per controllare sospetti pacchi bomba, fortunatamente tutti risoltisi in falsi allarmi, nei pressi o all'interno dell'arena dove si è svolta la manifestazione. Inoltre, durante i primi giorni di prove, sono stati lanciati oltre 700 tra razzi e colpi di mortaio da parte di Hamas, provocando quattro vittime israeliane, con la conseguente controffensiva del premier, fresco di rielezione, Benjamin Netanyahu, che ha deciso di bombardare obiettivi militari nella striscia di Gaza, generando ventun morti tra i palestinesi. Insomma, sotto il sole di un'estate alle porte, tra bagnanti in vacanza sui litorali del Mediterraneo e del Mar Rosso, tra fedeli di varie confessioni in pellegrinaggio a Gerusalemme, e tra fans eurovisivi giunti a Tel Aviv per ascoltare i loro beniamini cantare in concorso, il clima in Israele si è fatto, sfortunatamente, ed anche tragicamente, più incandescente del solito. Israele ci ha abituati ad ospitare la gara musicale ogni venti anni esatti: è successo nel 1979, nel 1999 e, appunto, nel 2019, a seguito delle vittorie negli anni immediatamente precedenti e, non a caso, coincidenti con le celebrazioni, proprio in maggio, il giorno 14 per la precisione, del 30esimo, 50esimo e 70esimo anniversario, rispettivamente, dell'indipendeza dello Stato. In attesa di sapere se dovremo attendere un altro ventennio prima di poter rivedere la competizione in terra santa, è impossibile non chiedersi se alcuni territori, ancora pericolosi per posizione geopolitica, che vivono una situazione così delicata ed instabile come, di fatto, anche Israele, siano adatti o meno ad ospitare una manifestazione leggera e spensierata quale è, e dovrebbe rimanere, l'Eurovision Song Contest.
L'italiano Mahmood, durante la prova della sua canzone Soldi Il cantante israeliano Kobi Marimi
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teatro
un tuffo nel
Medioevo alla scoperta di una Fucecchio sconosciuta e misteriosa Angelo Errera
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icoli, corti, torri, palazzi, sotterranei, sono lo scenario ideale per un suggestivo salto nel medioevo. Le atmosfere, le luci e i profumi di quella che fu l’antica Fucecchio potranno essere vissuti il prossimo 7 e 8 settembre a Salamarzana, la festa medievale giunta quest’anno alla decima edizione (sabato 7 settembre dalle ore 18 alle 24 e domenica 8 settembre dalle ore 17 alle 22). Salamarzana è il nome latino dell’antico castello medievale, edificato sul “Poggio Salamartano”. La festa, nata per valorizzare il centro
storico di Fucecchio, si colloca tra le iniziative di rivisitazione storica rivolte ai luoghi che anticamente si trovavano sul cammino della via Francigena. Si tratta di un evento cresciuto tantissimo nel corso degli anni e che nella scorsa edizione ha avuto oltre 6 mila visitatori. Rievocazioni di antichi mestieri, accampamenti militari, musici, figuranti e numerosi artisti di strada animeranno il centro storico di Fucecchio, attraverso un percorso segnalato da torce e stendardi. Grandi spettacoli di forte impatto scenico realizzati da Compagnie di
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rinomata fama, trascineranno il visitatore nel fantastico mondo medievale. Sarà inoltre possibile visitare i principali palazzi e monumenti presenti nel centro storico di Fucecchio grazie alla presenza di vere e proprie guide in costume: Parco Corsini, Museo Civico, Torre Campanaria, Chiesa di San Giovanni Battista, Chiesa di San Salvatore, Fondazione Montanelli Bassi, Torre e Palazzo Della Volta (compresi gli antichi sotterranei) Nel corso degli anni un grandissimo successo lo ha sempre raccolto la parte gastronomica del-
la festa che viene valorizzata anche attraverso i piatti della tradizione medievale e rinascimentale. Ma Salamarzana non è soltanto uno spettacolo rivolto agli adulti, è anche intrattenimento, giochi e tante occasioni di divertimento dedicate ai bambini. Insomma un’occasione per scoprire la magia del medioevo, del centro di Fucecchio e del suo antico insediamento, dedicata a tutti, grandi e piccini. L’iniziativa è promossa dall’associazione Amici del Centro Storico e dal Comune di Fucecchio.
Per informazioni: www.salamarzana.it A Salamarzana l’ingresso è GRATUITO
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teatro
LXXIII FESTA DEL TEATRO il Dramma celebra Leonardo da Vinci con un inedito Ada Neri
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na personalità complessa attraverso i cui occhi leggere la grande storia. Dodici stazioni di un percorso attraverso le epoche lungo 500 anni: una via crucis compiuta attorno al dipinto più importante della storia dell’arte, vittima delle più grandi e documentate violenze che siano mai state perpetrate su un’opera. Cenacolo – 12+1. È l'opera con la quale in occasione delle celebrazioni per il cinquecentenario della morte di Leonardo Da Vinci, il Teatro del Cielo celebrerà il prossimo luglio, il Genio Universale. Elsinor Centro di Produzione Teatrale realizza per la Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato e in collaborazione con Teatro di Roma un racconto scenico attorno ad una delle più sfuggenti personalità della storia rinascimentale. Con un cast composto da cinque attori di Elsinor - Stefano Braschi, Giuditta Mingucci, Stefania Medri, Donato Paternoster
e Gianni D’Addario - e otto attori del corso di perfezionamento del Teatro di Roma, il regista Michele Sinisi crea uno spettacolo composto da dodici quadri più uno: dodici racconti legati ciascuno ad un aspetto storico, artistico o più semplicemente aneddotico riguardante il celebre Cenacolo leonardiano. Dalla prima cena dei frati in refettorio di fronte all’affresco appena ultimato, all’arrivo delle truppe napoleoniche che usano le facce degli apostoli come bersagli per ammazzare il tempo, per poi passare ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e ai successivi restauri, lo spettacolo ricrea un viaggio nella storia, facendo rivivere personaggi sia reali che immaginari. Sullo sfondo, protagonista assoluto, c’è il Cenacolo, dipinto su una parete non come un affresco ma come una pittura su tavola, impreparato quindi a far fronte alla rovina del tempo. Che fosse sua intenzione o no, Leonardo
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ha lavorato all’ultima cena a quattro mani con umidità, bombe e, non ultima, ignoranza umana. Per questo sulla scena compariranno anche quelle forze coautrici dell’opera come la vediamo oggi: pioggia, vento, frane, esplosioni, sfregi. San Miniato Piazza Duomo dal 18 al 24 luglio 2019 Leonardo da Vinci è il filo conduttore di tutta la Festa del Teatro che prenderà il via il 21 giugno, a Vinci, con una prima nazionale realizzata da: Da Vinci Art Project e Centro Cinema Taviani. In scena Nella mente del Genio spettacolo che unisce musica, cinema e recitazione. Sullo sfondo le immagini del grande sogno dell'uomo di volare e dei frammenti di pellicola che videro anche i Taviani confrontarsi con la figura del Genio: il pianoforte farà da trait-d’union con il monologo del 29enne Josè Dammert, uno dei volti più noti del teatro peruviano che interpreterà un testo inedito sul Leonardo di Humberto Robles. Il 27 e 28 giugno, nel giardino della Misericordia di San Miniato, ci sarà lo spettacolo Preghiera per Cernobyl per la regia di Massimo Luconi con Mascia Musy e Francesco Argirò. Anche questo spettacolo è in prima assoluta e coprodotto da Festival di Radicondoli e Dramma Popolare. Stessa location il 4 luglio per Effetto Farfalla di Chiara Boscaro e Marco Di Stefano. Raro cade chi ben cammina - In viaggio con Leonardo, andrà invece in scena l'8 luglio alle 21,30 nell'Anfiteatro della Misericordia di San Miniato Basso. Il funambolo della luce - (Nikola Tesla, ovvero l’uomo che illuminò il mondo) di e con Ciro Masella sarà il 12 luglio alle 21,30 nel giardino della Misericordia di San Miniato.
VILLA BERTELLI
FORTE DEI MARMI 6 LUGLIO
9/13 LUGLIO
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IL LIBRO DELLA GIUNGLA
FESTIVAL DELLA SATIRA 2019
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Il musical
47° edizione Premio Satira Politica
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22 LUGLIO
6 AGOSTO
8 AGOSTO
BANDA DELL’ ARMA DEI CARABINIERI
SIMONE CRISTICCHI
Il M° Bocelli canterà l’Inno d’Italia
Abbi cura di me
MARCO GOLDIN
La grande storia dell’ impressionismo
9 AGOSTO
10 AGOSTO
14 AGOSTO
ELISIR D’AMORE
NERI MARCORÈ & GNUQUARTET
NICOLA PIOVANI
Opera lirica
Come una specie di sorriso
La musica è pericolosa
16 AGOSTO
17 AGOSTO
19 AGOSTO
ROBERTO VECCHIONI
ENRICO MONTESANO
One man show
MAURIZIO BATTISTA
Papà perche lo hai fatto?
21 AGOSTO
22 AGOSTO
24 AGOSTO
MALIKA AYANE
IL PRINCIPE RANOCCHIO
FLAVIO INSINNA
In concerto
In concerto
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Via Mazzini, 200-Forte dei Marmi-Tel 0584 787251 INIZIO SPETTACOLI ORE 21.30
La macchina della felicità
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ORARI BIGLIETTERIA: Aprile, Maggio, Giugno: 16.00/19.00 – Luglio, Agosto: 10.00/13.00 – 17.00/23.00 UFFICIO INFORMAZIONI TURISTICHE: 0584 280292 - 0584 280253 Sponsor della manifestazione:
Partner della manifestazione:
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pagliacci OPERA IN DUE ATTI DI RUGGIERO LEONCAVALLO
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GIOVEDì 4
LUGLIO 2019
Progetto grafico Fondazione Peccioliper - Foto di Luca Passerotti
PECCIOLI - ANFITEATRO FONTE MAZZOLA
www.fondarte.peccioli.net
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21,30
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pagliacci opera in due atti di Ruggiero Leoncavallo Spettacolo a pagamento
in concerto Spettacolo a pagamento
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Lucia mascino e Filippo timi in Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery ,
21,30
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COME LE ROSE coreografia di Kristian Cellini
21,30
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Vanni de luca
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bohemians
domenica
arte e musical in Walt
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Sergio ASSISI e Enrico GUARNERI
mercoledì
compagnia Keyhole Dance Project, coreografia di Matteo zamperin
EMPATIA
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in PIAZZOLLA Las cuatro Estaciones Portenas BEETHOVEN Sinfonia n. 5 op. 67
21,30
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giovedì
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in Meraviglia Legoli, Triangolo Verde
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con Guillaume Coteé e la straordinaria partecipazione di aainjaa madrina della serata Lorella cuccarini direzione artistica e regia di Kristian Cellini
sonics
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GALA DI STELLE danzanti
Gianluca guidi e Giampiero ingrassia
in Liolà di Luigi pirandello
fabbrica
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sabato
art&food
ReQueen Queen Tribute show
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21,30
in Vorrei essere Enrico IV di Edoardo Erba
mercoledì
Patty pravo in concerto Spettacolo a pagamento
Fotografia di Leonardo Baldini ©Archivio Fotografico Fondazione Peccioliper
www.fondarte.peccioli.net
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musica
PIETRASANTA
IN CONCERTO
XIII edizione del Festival internazionale di musica da camera Ada Neri
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na vera e propria perla del panorama della musica classica, festival-gioiello tra i più prestigiosi d’Europa, “Pietrasanta in Concerto” è la rassegna internazionale di musica da camera che il celebre violinista e direttore d'orchestra Michael Guttman ha ideato e dirige da ben 13 edizioni e che torna dal 19 al 28 luglio nelle location più suggestive della città di Pietrasanta ospitando i più grandi solisti al mondo protagonisti di 10 concerti di grande musica sotto le stelle. Per la XIII edizione del Festival sono attese star mondiali del violino come Jean-Luc Ponty, Vadim Repin, Gilles Apap, Guy Braunstein, i migliori pianisti al mondo quali Boris Berezovsky, Denis Khozukhin, Konstantin Lifshitz, il fenomeno pianistico italiano Vanessa Benelli Mosell e tante altre star tra cui i violoncellisti Jing Zhao e Alexander Kniazev. Applaudito da un pubblico internazionale sofisticato ed esigente, apprezzato da artisti e dalla critica, il Festival si svolgerà come di consueto nel Chiostro di Sant'Agostino, luogo privilegiato per la sua straordinaria acustica, con incursioni anche alla Rocca e per la prima volta anche negli eleganti spazi del MuSA, il Museo Virtuale della Scultura e dell'Architettura di Pietrasanta.
Promosso e organizzato dall’Associazione Musica Viva, sostenuto dal Comune di Pietrasanta, e con il supporto organizzativo della Fondazione Versiliana, il Festival che ha saputo ritagliarsi anno dopo anno un ruolo da protagonista tra i più prestigiosi festival, promette anche quest'anno di conquistare appassionati e non solo. Il Festival si inaugurerà venerdì 19 luglio con Gilles Apap, violinista famoso in tutto il mondo per le sue seducenti interpretazioni dei classici e per il suo intenso modo di suonare, in grado di comunicare a chiunque lo ascolti la pura gioia del fare musica. Con il suo gruppo “The colors of Invention” proporrà a Pietrasanta anche i suoi eccezionali arrangiamenti delle Stagioni di Vivaldi e di altri popolari classici, intrecciati a musiche tradizionali dal mondo e la serata vedrà anche la partecipazione del pianista Eric Himy. Sabato 20 e domenica 21 luglio i concerti accoglieranno i migliori talenti della Berlino classica, con i più apprezzati musicisti a vario titolo legati alla prestigiosa Filarmonica di Berlino tra cui Guy Braunstein violino, Amihai Grosz prima viola della Filarmonica e Gili Shwarzman flauto oltre che Denis Kozhukin, straordinario talento russo del pianoforte di casa a Berlino. Lunedì 22 luglio il Chiostro vedrà l'attesissimo ritorno di Vadim Repin, zar russo del violino e beniamino del pubblico di “Pietrasanta in concerto” che si esibirà insieme a Michael Guttman, Amihai Grosz , Jing Zhao e Konstantin Lifshitz. Spicca poi nel cartellone 2019 il nome di Jean-Luc Ponty uno dei più significativi violinisti del nostro tempo, straordinario e instancabile innovatore e sperimentatore di questo strumento, protagonista del concerto del 23 luglio insieme a William Lecomte – vincitore di diversi concorsi in Francia come pianista jazz, tra cui una nomination per “Les Victoires
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de la Musique”, l’equivalente francese del Grammy Awards – e Jean-Marie Ecay, chitarrista versatile che partecipa a numerosi progetti jazz e pop, Guy Nsaguè Akwa e Damien Schmitt, in un concerto che ripercorrerà la musica dei suoi primi album prodotti per Atlantic Records e che hanno raggiunto la vetta delle classifiche musicali statunitensi. Il tango di Eduardo Rovira sarà al centro del concerto “Tango Nuevo de Buenos Aires” (in programma il 24 luglio) presentato dai SONICO, quintetto di stanza a Bruxelles, che onora il repertorio del musicista e compositore argentino, creatore di oltre 200 tanghi. Il concerto del 25 luglio “The Pietrasanta Virtuosi” vedrà protagonisti tre musicisti di levatura internazionale, ma profondamente legati alla città di Pietrasanta: i violinisti Michael Guttman, Ekaterina Astashova e la violoncellista Jing Zhao. Atteso ritorno al festival anche quello del grande pianista russo Boris Berezovsky che si esibirà in un programma con musiche di Scriabin, Rachmaninov e Chopin. Il 27 luglio sarà l'occasione per ascoltare uno dei più grandi clarinettisti del mondo, David Krakauer, solista e compositore nominato ai Grammy e ai Juno, elogiato internazionalmente come innovatore chiave del klezmer moderno in coppia con la pianista Kathleen Tagg capace di attraversare senza sforzo confini e generi. Il gran finale della rassegna il 28 luglio è invece affidato a un trio eccezionale composto da Alexander Kniazev, uno dei principali violisti russi contemporanei, considerato il successore di Mstislav Rostropovi, Michael Guttman e la diva italiana del pianoforte Vanessa Benelli Mosell, nome tra i più importanti della scena musicale internazionale dei nostri giorni per il suo virtuosismo tecnico, la sua profondità musicale ed intensità espressiva del suo pianismo e del suo stile direttoriale.
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Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario
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Anno XXI n. 2/2019 Trimestrale € 10,00
ISSN 1973-3658
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