POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1,COMMA 1 C1/FI/4010
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Anno XXI n. 3/2019 Trimestrale € 10,00 ISSN 1973-3658
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EDITORIALE
Punti di vista C
on questo numero concludiamo il ventennale di Reality, alcuni cambiamenti sono stati fatti, altri ne faremo nei prossimi numeri, riguarderanno principalmente la veste grafica, anche perché è giusto ogni tanto rinnovarsi e confrontarsi con nuove realtà. Naturalmente la linea editoriale rimarrà la medesima, anche perché noi l’abbiamo scelta, voluta e continueremo con convinzione e determinazione in quella direzione. In questa primavera-estate appena conclusa, oltre a essere stata occasione di vacanza, abbiamo avuto un periodo molto denso, piacevole e di ottimo livello culturale, molti incontri ben organizzati, anche in realtà nuove e dinamiche, che sicuramente oltre ai successi ottenuti faranno ancora parlare di se, promuovendo interessanti iniziative. Questo periodo del 2019, come dicevo, per noi è stato un anno di studio e apprendimento, mettendo attenzione principalmente a eventi dedicati all’editoria nazionale, partecipando a incontri e dibattiti di testate sia cartacee che on-line, di giornalisti e autori di libri. Un argomento in particolare mi ha colpito e a mio parere, è proprio la motivazione di molte scelte aziendali; non mi riferisco al solo ambito editoriale, ma lo si può riscontrare anche in molte altre realtà. A un incontro organizzato da Il fatto quotidiano alla Versiliana Piero Angela, in una parentesi, riferendosi a Leonardo, ha fatto come il suo Uomo Vitruviano spaziando e toccando molti argomenti in varie direzioni. In merito alla TV nazionale, a suo parere, ci sono non obblighi o vicoli, ma esigenze, sempre più necessarie, se non vogliamo ulteriormente impoverirci culturalmente, di proporre programmi e progetti, non solo legati a ciò che piace al fruitore, studiandone le scelte e le preferenze, quindi puntare all’audience, ma rischiare nel proporre programmi culturali e far buon giornalismo. Oltre a essere d’accordo mi permetto, nel modo di comunicare obbligatoriamente, andare incontro al mondo giovane e dinamico di oggi, ma solo per una migliore comprensione e apprendimento. Noi, anche se piccoli editori, ci sentiamo di seguire questa politica aziendale, nella certezza di trovare Partners sempre più sensibili e che con noi condivideranno questo progetto. Concludendo, mi ricordo di una serata di alcuni anni fa, una signora al termine di una bellissima pièce teatrale al chiar di luna, potendo incontrare la compagnia, si rivolse al protagonista principale, anche volto famoso del cinema, chiedendogli: «ma come mai lei che è così un bell’uomo e bravo attore teatrale, poi si mette a fare cinepanettoni» l’artista sorridendo le rispose: «la ringrazio per il complimento, però vede, con il teatro, ho soddisfazioni e mi appago professionalmente, mentre, con il cinema, guadagno bene e mi diverto.»
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20° Reality
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Centro Toscano Edizioni srl Sede legale Largo Pietro Lotti, 9/L 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Redazione via Pietro Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Cell. 338 4235017 - 338 2466271 info@ctedizioni.it - www.ctedizioni.it Direttore responsabile Margherita Casazza direzione@ctedizioni.it Redazione redazione@ctedizioni.it Abbonamenti abbonamenti@ctedizioni.it Text Paola Baggiani, Giorgio Banchi, Irene Barbensi, Stefano Barbolini, Gianluca Briccolani, Alessandro Bruschi, Margherita Casazza, Carla Cavicchini, Fabrizio Chiaramonte, Sabrina Chiellini, Carlo Ciappina, Andrea Cianferoni, Carmelo De Luca, Vania Di Stefano, Angelo Errera, Federica Farini, Riccardo Ferrucci, Enrica Frediani, Roberto Giovannelli, Paola Ircani Menichini, Alessio Musella, Roberto Lasciarrea, Matthew Licht, Andrea Mancini, Roberto Mascagni, Ada Neri, Costantino Paolicchi, Silvia Pierini, Luigi Puccini, Gianpaolo Russo, Domenico Savini, Leonardo Taddei
Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658
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In copertina: Mario Madiai, Rose con Giorgia, 2014, olio e acrilico su tela, 90x100 cm
Reality numero 93 - Settembre 2019 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 Reg. ROC numero 30365 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2016 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.
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SOMMARIO Reality
ARTE MOSTRE letteratura territorio storia 10 20 22 24 26 29
Un viaggio con Madiai Segni I Visionari Arte Parassita Pinocchio L’arte in Italia
La poesia di Shelley 34 La facciata astronomica 36 Müller in Toscana 38 Da Orbetello un ponte… 40 42 La biblioteca comunale di Peccioli Il giardino delle Apuane 44
46 49 50 52 55 56
Magica Italia Quando il rispetto… Concerie zero Gruppo Valiani By Ruffini Gioielleria Fassorra
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20°
SOMMARIO Reality
spettacolo EVENTI economia società COSTUME 58 60 61 62 64 66
Giovanni Ricasoli-Firidolfi Un bronzo tutto toscano Federica Pellegrini Pierre Cardin Moda delle meraviglie NOMA dentro le poesie
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La storia di Halloween 80 82 La sfida della medicina di genere 84 Uomo in bici, gorilla in carrozzella 57° Campiello 86 Novità editoriali 87
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Fryderyc Franciszek Chopin 1969 un Maggio memorabile Io non sono pazza Leone d’oro a Joker Mario Martone Quentin Tarantino
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artista
Madiai
un
viaggio con
La mia pittura, colloquio con Mario Madiai
Nel rumore del treno si possono trovare mille significati, ma è sempre il rumore del treno, sì è vero, non penso ad altro, la mia è quasi una ossessione. Sono sessant'anni, che cerco l’armonia, sì è l’armonia che cerco, il soggetto è solo un pretesto, non cerco di raccontare ma emozionare.
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di Riccardo Ferrucci
ella campagna pisana, in uno splendido casolare, abbiamo incontrato Mario Madiai, uno dei protagonisti della pittura italiana, per parlare della sua arte. Tra i temi privilegiati della tua pittura ci sono alcuni motivi ricorrenti: dall’immagine delle rose alle storie di Pinocchio. «Fin dagli anni settanta uno dei miei temi privilegiati della mia pittura era la vespa. Sono stato attratto dalla forma della vespa che mi ricorda il corpo di una donna, l’ho realizzata in modi diversi, coperta da un panno, vecchia e arrugginita, stilizzata. Per quanto riguarda la frequentazione delle rose, nei miei dipinti, diventa sempre un’avventura diversa, i fondi dei miei lavori cambiano continuamente e cerco d’inventare armonie e corrispondenze. La rosa mi permette di giocare con lo spazio, non è difficile disegnare una rosa, ma diventa interessante la sua disposizione scenica; poi naturalmente ci intervengo con dei segni, dei graffi, per cercare un equilibrio ed un armonia interna.» Come riesci dopo oltre cinquant’anni di lavoro a trovare nuovi stimoli per la tua arte ? «Il tema ed i soggetti della mia pittura si ripetono, ma cambia la mia interpretazione, lo stile e la tecnica. Ogni dipinto diventa una scoperta e un’avventura nuova. Per esempio ultimamente la mia pittura trova nuove emozioni, sembrano quasi rose che galleggiano su uno specchio d’acqua, sono sempre alla ricerca di nuove emozioni e di nuove cromie.» Sei un pittore nato a Livorno, dove domina la pittura post macchiaiola. Ma te
Mario Madai
Rose, olio e acrilico su tela, cm 120x100 Foto di Alessandro Paladini
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ti sei allontanato da questo stile ed hai preso una strada personale. «Ho iniziato a dipingere molto presto, ho frequentato l’Istituto d’Arte di Lucca, ma i miei primi lavori non erano figurativi, erano quasi astratti e informali. Poi ho cominciato a dipingere dei paRose gialle fondo azzurro, esaggi che erano la cosa che chiedeva olio e acrilico su tela, di più il pubblico.» cm 120x120
Come ti collochi nel panorama della pittura italiana. Ti senti isolato oppure hai dei rapporti con altri artisti? «Guardo il lavoro degli altri e cerco di prendere gli stimoli giusti per il mio lavoro. È un modo di confrontarsi e di cercare di rinnovare sempre il proprio linguaggio.» “Pinocchio” è un libro importante che
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trova nel tuo lavoro mille suggestioni diverse. «La mia pittura non è di tipo narrativo, invece accostandomi a Pinocchio mi trovo costretto a raccontare una storia. Il celebre burattino mi ha dato la possibilità di creare delle scene, delle situazioni narrative che portano al suo interno una serie di azioni. Tra i personaggi che rea-
lizzo più volentieri il giudice, lo scimmione, Geppetto, il gatto e la volpe che mi permettono di giocare con la fantasia e con i miei sogni.» Recentemente hai realizzato dei laboratori per gli studenti dove hai lasciato spazio ai ragazzi d intervenire su una tua opera. Cosa rappresenta questo modo di lavorare a più mani?
«È bello lavorare con i ragazzi che portano nei miei dipinti un senso di libertà e spontaneità. Credo che lavorare con altri, come accade più frequentemente nella musica, sia una maniera per trovare stimoli nuovi e anche suggestioni per lavori futuri. È difficile per un giovane artista entrare professionalmente in questo mondo, la cosa
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importante è trovare una persona che presenti a gallerie e mercanti i tuoi lavori, per non trattare direttamente il prezzo dei tuoi lavori. Poi esiste anche la fortuna: ho incontrato il gallerista Forni ed è nato un lungo rapporto di amicizia e collaborazione, che mi ha permesso di lavorare con più tranquillità.»
Non scordarti le rose gialle, olio e acrilico su tela, cm 130x110
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Girasoli d'agosto, olio e acrilico su tela, cm 120x100
Mario Madiai: un sogno italiano “Il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono” José Saramago
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l viaggio pittorico di Mario Madiai è una delle più significative avventure compiute negli ultimi anni da un’artista toscano che, attraverso forme e stili diversi, è sempre riuscito a dare continuità e poesia al suo lavoro. È uno dei protagonisti della pittura italiana contemporanea, sempre in bilico tra realismo e informale, tra riproduzione della realtà e fughe nel fantastico. La caratteristica profonda del suo fare artistico permette a Madiai di attraversare il mondo dell’infanzia e la favola senza perdere una profonda coerenza compositiva, una raffinata stesura pittorica. I paesaggi, le rose, le opere informali diventano le stazioni di un lungo percorso vissuto sulle corde dell’emozione e della liricità. Scrive Alessandro Baricco: «A volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni.» È in questa direzione che si muove la narrazione di Madiai che, nel suo studio, manipola tonalità, materiali, tessuti per dare vita ad una creazione originale e autentica. Il suo mondo esplode in una festa di colori, notturni, in una vibrazione profonda e ricca di echi. Madiai appartiene compiutamente alla storia toscana, il suo lavoro procede come quello di un artigiano, in una vecchia bottega trecentesca, che sperimenta, giorno dopo giorno, modelli e visioni diverse per raccontare il proprio tempo e illuminare storie e luoghi. Il rinascimento rivive per una partecipazione emotiva e profonda al suo lavoro, mai manierista; come in passato Leonardo da Vinci oggi il nostro Madiai non si stanca di sperimentare tecniche e soggetti differenti in una ricerca di verità che non ha mai fine. I dipinti dedicati alle città, i viaggi nel mondo di Pinocchio, i paesaggi, le rose, i girasoli, i limoni, le opere astratte diventano pretesti per dare voce alla poesia, per un racconto armonico che attraversa le inquietudini della nostra vita. È un’esperienza sensoriale, tattile, quella che proviamo di fronte ad alcune opere recenti di Madiai o di fronte alle sue stupende ed emozionali rose. Scrive cogliendo una verità poetica dell’artista Martina Corgnati: «Il quadro stesso, ormai, si presenta come piano totale, di vibrazione, di slabbrature e di corrugamenti, a volte approfonditi incollando sulla tela una carta spiegazzata, che intensifica l’effetto plastico e che traduce un puro effetto pittorico in materia fisica, una semplice rappresentazione in realtà tattile, da apprezzare non solo con gli occhi, ma con le dita.» È un viaggio lirico vissuto nella leggerezza, indicata da Italo Calvino tra i valori fondanti per questo millennio, che Madiai riesce a compiere senza mai ripetersi, opponendosi alla pesantezza del nostro tempo con la lievità e la luce della poesia. È un poeta autentico che inventa un proprio mondo, non
accontentandosi di riprodurre la realtà, ma costruendo, in modo mirabile, un proprio sogno ad occhi aperti. È questa leggerezza che permette a Madiai di rinnovare continuamente il suo stile, trovando una sua misura ed una propria voce per dare vita a nuove visioni, ricche di freschezza e di assoluta modernità. È la sorpresa e la magia quella che traspare da una lettura non frettolosa di questi dipinti che, in oltre cinquant’anni di lavoro, ci lasciano una grande testimonianza di vita e una partecipazione assoluta all’arte contemporanea. È una pittura essenziale e ricca, moderna ed antica, luminosa ed oscura, che riesce a penetrare dove l’ombra s’addensa, dove il mistero si dissolve e le opere si illuminano di verità.
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Girasoli d'agosto, olio e acrilico su tela, cm 120x100
Continua Mente Diversa, 2015, olio e acrilico con materiali vari, cm 40x30
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Nella sua vita Mario Madiai ha costruito sogni e mondi anche per noi spettatori, costruendo un futuro diverso, un domani che è già oggi. Vivendo e sperimentando linguaggi e tecniche, materiali e stili capaci di inventare sogni e luoghi visionari, immagini che non si dimenticano e fragili miraggi, ma in grado di opporsi al grigio del nostro mondo presente . Madiai nel ciclo di dipinti dedicato alle rose trova lo spazio congeniale per mettere in scena una sua visione del mondo originale, una tessitura materica tra le più innovative, quasi che il colore e le forme nascessero direttamente dalla natura, senza intervento umano. C’è una vera padronanza della tecnica in questi lavori, con rose che appaiono e scompaiono, in vibrazioni coloristiche diverse e, a volte, con inserimenti di figure di donna come nel quadro di copertina. Il tutto si ricompone magicamente nell’arte di Madiai che, da vero poeta, coglie la vita sotterranea, le vibrazioni profonde dell’uomo e l’emozione che non ha voce. Madiai nel suo cammino artistico ha attraversato nuclei tematici differenti: dai paesaggi toscani alle rose, dai girasoli alle nature morte, da visioni di città alle storie di Pinocchio, da stagioni figurative a opere più informali, ma il filo rosso che lega le sue opere e la creatività è
l’autenticità dell’uomo, vero sognatore a occhi aperti, sperimentatore di tecniche per arrivare a dare un’emozione autentica a noi spettatori. L’artista si colloca compiutamente nella stagione della pittura italiana più creativa, in una dimensione evocativa e poetica, non limitandosi a riprodurre la realtà, ma inventando forme e colori che guardano a sentimenti profondi ed eterni dell’uomo. Alla fine della sua ricerca l’artista approda a una dimensione di semplicità, dove ogni elemento si ricompone in una magica armonia, una sinfonia visiva che cerca un suono e un accordo inedito, per dare voce al profondo sentimento del suo tempo. Le rose in giallo, in bianco, in rosso sono lo spartito ideale su cui comporre un canto della natura e della vita, con la naturalezza e la spontaneità del vero poeta. Madiai nella sua stagione della maturità continua a sperimentare tecniche e forme diverse per descrivere un mondo complesso, ma che tende ad avere un aspetto quasi infantile. Al fondo del suo lavoro c’è un’idea di gioco che trasforma il visibile in un luogo incantato e produce in noi spettatori un senso del meraviglioso e del fantastico. È come se il viaggio nella memoria e nei ricordi dell’artista riuscisse a produrre un luogo magico, dove tutto può accadere e tutto diventa possibile.
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La profondità dei blu, i dettagli dei fiori, l’acqua, la scatola, la luce, le tonalità in scuro sono gli strumenti utilizzati da questo poeta che immagina un’isola che non c’è, che ci porta in un mondo labirintico in cui perdersi ed errare, con la segreta speranza di raggiungere una verità segreta e nascosta. L’invito è quello di tornare fanciulli: guardare il mondo con gli occhi felici e incontaminati di un bambino, che vede oltre la realtà, immagina un mondo ricco di vita e sogni. L’elemento del gioco è l’ultimo felice approdo di Madiai che torna bambino per inventare colori e immagini diverse, per opporsi al gelo del nostro tempo e immergersi nell’infinito gioco della creazione, dell’arte, della vita. Viene naturale pensare alle parole del grande scrittore portoghese José Saramago: «Il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono». Anche il viaggio di Madiai non avrà mai fine e l’artista continua a sorprenderci, a guardare le cose in modo diverso, a tornare sui suoi passi per osservare luoghi e oggetti in modo sorprendente, per scoprire l’infinita bellezza della vita. Raccontare frammenti di verità attraverso un percorso originale nella poesia; un’avventura che continua attraverso nuove visioni e immagini, con una storia ancora tutta da raccontare, da vivere, da dipingere.
Tutti a tavola con Pinocchio, olio e acrilico su tela, cm 110x200
Pinocchio e il giudice, olio e acrilico su tela, cm 120x100
Pinocchio legge la sentenza, olio e acrilico su tela, cm 40x30
Pinocchio e il giudice, olio e acrilico su tela, cm 40x30
Pinocchio al gambero rosso, olio e acrilico su tela, cm 40x30
Pinocchio al gambero rosso, olio e acrilico su tela, cm 40x30
Ragazzo che disegna Pinocchio, olio e acrilico su tela, cm 40x30
Pinocchio con il mangia fuoco, olio e acrilico su tela, cm 40x30
Pinocchio con il mangia fuoco, olio e acrilico su tela, cm 40x30
Geppetto che costruisce Pinocchio, olio e acrilico su tela, cm 40x30
Pinocchio lo voglio bello come David, olio e acrilico su tela, cm 120x100
Mario Madiai nasce a Siena nel 1944. Ancora giovane, si trasferisce nella città costiera di Livorno. Frequenta l’Istituto d’Arte Augusto Passaglia di Lucca e, sin da giovanissimo, si dedica alla pittura e, con il suo talento precoce, si distingue subito nelle manifestazioni artistiche nazionali più qualificate degli anni ‘60 e ‘70. Madiai è uno degli artisti più attenti e sensibili alle tematiche del reale: la critica più avveduta lo segnala, per le sue straordinarie doti creative, tra i pittori più preparati e accreditati. È uno dei protagonisti della pittura italiana contemporanea, con una serie di lavori che hanno come tema principale la natura, i fiori, il paesaggio, con una tecnica che si concentra nella ricerca dell’equilibrio della composizione, raggiunto attraverso l’accordo di linee e colori, quasi come in una pittura astratta. Come molti degli artisti informati alla pittura di area labronica Mario Madiai utilizza i temi tradizionali del paesaggio o della natura morta per approfondire un linguaggio individuale. Attraverso elementi noti, l’artista ha cercato la raffigurazione del meno noto. La pagina di Madiai, a volte nitida e squillante di luce, oppure ammantata di lievi umbratilità, rappresenta, in ogni caso, lo stesso soggetto: l’emozione dello sguardo di fronte alle immagini, o alla memoria delle immagini. Madiai è tra i
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nomi dell’arte italiana contemporanea più riconosciuti e premiati dalla critica. L’incontro tra Mario Madiai e Pinocchio è avvenuto nella maturità. Il muoversi poeticamente tra Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe, Geppetto e il giudice, diventano occasioni per scatenare una fantasia onirica e una maniera pittorica originale, ma ha saputo cogliere anche la tragicità del racconto. Viene ripubblicato il libro Le Avventure di Pinocchio di Carlo Collodi interamente illustrato dall’artista. Madiai è uno degli artisti protagonisti del libro di Luciano Zazzeri ed Elena Barsacchi intitolato Cibo Arte Vino Mare - Unicità Livornesi (2015). I quadri di Madiai sono stati recentemente inseriti nella collezione permanente del Museo d’Arte Moderna Mario Grimoldi, il museo Museo d’Arte dello Splendore e Il Ciocco a Barga (Lu) ha un’intera sala del suo residence dedicata all’artista con dipinti di grandi dimensioni. Il suo rapporto con la pittura, lungo oltre cinquant’anni, è fatto di affetto, di amore, ma anche di sfida nell’affrontare sempre nuove situazioni per risolvere nuovi problemi. Ha partecipato a innumerevoli mostre sia in Italia che all’estero. Attualmente vive e lavora a Lorenzana in Toscana.
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mostrA
SEGNI
Gianfranco Pacini a Casaconcia Alessandro Bruschi
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uando lo strumento con cui si fa pittura diventa protagonista. Segni, la mostra dell’incisore pisano Gianfranco Pacini, è una narrazione artistica che ribalta il paradigma tradizionale ed eleva a protagonisti i semplici strumenti con cui vengono realizzate le opere, ovvero gli stecchi utilizzati per mescolare, o “rumare” come direbbe l’artista, il colore. Una serata inaugurale, quella del 14 settembre scorso, che ha visto una
affluenza di pubblico, a dimostrazione di come le attività culturali e gli eventi organizzati all’interno del Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale stiano man mano suscitando interesse. La mostra Segni e l’arte di Pacini. Il momento più importante della formazione culturale dell’artista passa attraverso le sue esperienze con gli “ultimi”, ovvero i campesinos dell’America Latina, dove ha potuto alternare il lavoro della terra con la ricerca artistica. Un viaggio tra Venezuela, Brasile e Argentina in cui le
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sensazioni vissute in prima persona hanno modificato la visione artistica portando Pacini a mettere in risalto lo strumento stesso con cui iniziano le opere: i bastoncini con cui si mescolano i colori nei barattoli. Un elemento che immediatamente assurge a segno, poiché già esso è pittura. Lo stecco usato per rumare il colore è già pittura, è questo infatti il manifesto fondante dello stile incisorio dell’artista. Un’affermazione minimalista, semplice, ma che riconosce una funzione semantica inedita e un valore aggiunto ad un dato, insignifi-
cante per molti, della realtà. Un elemento “normale” nella concezione comune ma che trova una diversa chiave di lettura e diventa strumento di accesso a una conoscenza rinnovata del mondo, nonché la vera e propria meta del viaggio artistico. Prima l’artista utilizza gli stecchi materialmente, poi li ridipinge e infine ne fa il tema ricorrente delle sue incisioni dove paesaggi surreali fanno da sfondo all’opera ma in cui non si avverte l’assenza della figura umana. Pacini, nelle sue opere, «ha immaginato paesaggi lontani, distese marine osservate come a volo d’uccello, e cieli di confacente infinitudine: un luogo ideale, insomma, una dimensione dell’immaginario ove posizionare in sospensione i propri “stecchi”, le proprie minimali intenzioni di pittura, e nell’immensità intuitiva dello spazio essi assumono l’aspetto di filiformi astronavi che provengono da un oltremondo della rivelazione poetica. La vera collocazione di questi luoghi non è tuttavia fisica, ma interiore e memoriale: essi appartengono alla dimensione dell’a-
nimo perché sono stati visitati dallo sguardo immaginativo dell’incisore. E imprime loro un respiro delicato e sognante, da poeta che sa rappresentare l’ineffabile della natura», secondo le parole di Nicola Micieli, noto critico d’arte. Le altre mostre in programma. Il progetto culturale di casaconcia prosegue nella sua missione iniziale, ovvero quella di creare un contesto strutturale in cui la cultura ed il saper fare toscano possano essere rappresentati e veicolati nel mondo. Per quest’anno è in programma un’altra mostra: dal 9 novembre al 7 dicembre, sempre presso casaconcia, sarà ospite Fulvio Leoncini, pittore e incisore toscano le cui opere sono un racconto continuo, una narrazione che parte da un punto ben definito, l’io, per poi irradiarsi all’essere umano in generale, una linea che si dipana attraverso metafore diverse, dando vita ad un racconto unico, un’osservazione critica e attenta su di sé e sul nostro tempo.
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20° Reality
mostra
i Visionari
la magia di un incontro: Antonio Barberi e Tiziano Lera Enrica Frediani
Antonio Barberi, il vicesindaco Graziella Polacci e Tiziano Lera al taglio del nastro Antonio Barberi, Cavallo, 2019, acrilico su tavola
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l Fortino Leopoldo II a Forte dei Marmi ospita dal 21 settembre al 16 novembre 2019 una straordinaria mostra antologica d’arte contemporanea: due grandi artisti, Antonio Barberi e Tiziano Lera si ritrovano per svelare alla Versilia la loro creatività. Insieme nell’arte e nell’amicizia, colgono l’opportunità per un reciproco confronto nella città che amano e dove vivono da lungo tempo. L’esposizione voluta dal vice sindaco
di Forte dei Marmi, Graziella Polacci, promossa e sostenuta dall’Assessorato alla Cultura, curata da Anna Vittoria Laghi, esperta conoscitrice dell’arte versiliese del Novecento, offre un percorso espositivo emozionante attraverso interpretazioni personalissime che i due artisti fanno della visionarietà fantastica. Le Camere delle meraviglie, così appaiono le sale espositive, accolgono il visitatore con alternate emozioni sensoriali che vanno dalla forza prorompente delle sculture Tiziano Lera alla delicata e aerea risoluzione cromatica dei dipinti e delle ceramiche di Antonio Barberi. A ricevere i visitatori è una gigantesca salamandra di Tiziano Lera, simbolo iconico dell’artista, in acciaio cortain, bronzo e marmo, decorata a mosaico che, volgendo il muso all’ingresso della mostra pare indicarne l’entrata. Lera porta in esposizione opere di un coinvolgente surrealismo caratterizzato da eccentrici associazionismi materici, formali e naturalistici dove cromatismi di forte impatto e grandi composizioni scultoree sorprendono il visitatore avvolgendolo e trasportandolo in un mondo onirico e irreale, dove la bellezza supera la meraviglia mentre la natura sposa l’invenzione risolvendosi in stupefacenti esiti ironici e indagatori al tempo stesso sulle segrete peculiarità umane. All’interno del Fortino l’esposizione, allestita come un salotto, porta a vivere l’esperienza surrealista con totale implicazione emotiva e visionaria dove decisi rimandi cromatici conducono il fruitore verso lidi orientalizzanti. Le sue opere, sottolinea la curatrice, «confermano la visione rinascimentale tutta
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italiana dell’artista basata sul ‘fare’, mentre coniugano al forte legame con il pensiero orientale, la visione ironica e scanzonata dell’autore nei confronti del mondo […] pongono domande e sollevano interrogativi sul lato oscuro che è parte di ognuno di noi, sulle numerose contraddizioni dell’oggi, mentre invitano ad alzare gli occhi al cielo per intravedere una possibile e necessaria apertura». Nell’alternanza delle sale espositive l’allestimento contrappone all’orientalismo di Lera la visionarietà mediterranea di Antonio Barberi caratterizzata dai colori del sole e del mare versiliese, dalla leggerezza del tratto, dall’evanescenza materica delle forme fino alle stupefacenti ceramiche dipinte. L’alternanza e il susseguirsi di emozioni forti con altre, delicate e avvolgenti sono la forza straordinaria di questa imperdibile mostra. Anto-
Tiziano Lera, La grande salamandra, 2005, acciaio cortain, Nero del Belgio, Giallo di Siena, diaspro, Statuario, bronzo Antonio Barberi Ceramica Tiziano Lera, Tiziano vitruviano, 2010, acciaio cortain ,bronzo, vetro di fusione Antonio Barberi, La fanciulla che suona la chitarra e una giovane sposa, 2019, acrilico su tavola
nio Barberi, scrive Anna Vittoria Laghi «… nelle prime opere, con pennellata a tessera ricrea le suggestioni di un mosaico antico guardando anche alla pittura neo impressionista, dopo il fascino di una astrazione che indulge ad abbracciare un post-cubismo rivisitato, ecco che egli ritrova nella sua pennellata fresca e originale, fatta di velature dai colori tenui e accattivanti le ragioni del suo essere pittore. E tutto ciò mentre declina in scultura una visionarietà che descrive un quotidiano fatto di donne e di animali che si confondono e si intrecciano fino a creare un filo inestricabile dove realtà e illusione si confondono e si fondono lasciando emergere una precisa e originale cifra stilistica».
foto di zzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzz
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ARTE
ARTE PARASSITA la verità attraverso la frantumazione Costantino Paolicchi
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he cos’è un parassita? Che cos’è il parassitismo? Il dizionario è categorico, parola più, parola meno: i parassiti sono organismi che vivono a spese di altri esseri viventi loro ospiti, stabilendosi nell’interno o sulla superficie dei loro corpi. Resta inteso che non sempre l’ospitalità è spontaneamente concessa e anzi, assai spesso, i parassiti risultano – almeno in apparenza – dannosi per i loro ospiti. In molti casi, invece, l’ospitalità è motivo di reciproca soddisfazione. È stato l’uomo a individuare questo tipo di esistenza simbiotica come fatto negativo, soprattutto per sé, ed è l’unico ad aver introdotto efficaci strategie chimiche per combattere quei parassiti che giudica nocivi per sé o per tutto quanto gli appartiene, piante o animali che siano.
Il fatto è che l’uomo rifiuta la morte, la corruzione, la disgregazione che sono invece insiti nelle vicende naturali, e poiché il parassita può indurre tali stati dissolutivi, ecco che diviene un fattore negativo, da combattere e neutralizzare. È l’uomo, in definitiva, che inventa gli squilibri e non accetta ciò che invece è, a suo modo, perfettamente inserito nel delicato, complesso, straordinario organismo della creazione. Dopo aver definito questo concetto, fondato sull’osservazione e la personale esperienza, l’uomo ha assegnato al termine “parassita” ulteriori valenze, trasferendolo dai regni animale e vegetale al proprio circoscritto universo di sentimenti e di passioni. Così il parassita per estensione del primitivo concetto diviene l’uomo stesso, la sua azione, la sua volontà, un suo particolare rapporto con gli altri uomini. Mentre in natura il parassita non ha subito nel tempo modificazioni apprezzabili, il parassitismo umano si è andato trasformando seguendo i costumi, le mode, le consuetudini e le regole dei mercati finanziari. Il parassita uomo è quel soggetto umano che vive a spese della comunità: lo sappiamo tutti molto bene. Nella storia dei popoli antichi e fino ai giorni nostri troviamo ad ogni piè sospinto moltitudini d’uomini costretti a subire il parassitismo dei propri simili, a lavorare come schiavi la terra degli altri, a produrre ricchezza per gli altri senza ottenere niente in cambio. Lo sviluppo dell’economia ha determinato un’amplificazione estrema della condizione parassitaria e un sofisticato perfezionamento dei metodi con cui ottenere, in vari modi, rendite parassitarie apparentemente meno
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immorali di quelle un tempo derivanti dalla schiavitù. Ora, lo scopo di questo lungo preambolo era quello di stabilire che il concetto negativo di parassita non è insito in natura, ma piuttosto nell’educazione e nella cultura dell’uomo. Ci siamo chiesti allora perché il parassitismo non possa essere introdotto anche nell’arte che è frutto dell’ingegno e della sensibilità umana. L’arte è uno dei più formidabili strumenti di conoscenza che l’uomo possiede, ma che difficilmente sa usare in modo corretto per le frequenti e massicce deviazioni e mistificazioni prodotte dalle mode e dai tempi. Molto spesso, infatti, l’arte viene asservita agli interessi e agli indirizzi egemoni, perdendo la sua naturale vocazione per la ricerca e per la verità. Occorre in qualche modo rompere, in quei casi,
l’accerchiamento, creare una frattura nel pubblico sempre più svogliato e disattento, ormai disabituato a cogliere nell’arte i messaggi più autentici e innovativi. Si tende oggi a sottrarre all’arte quella sua antica ragion d’essere per assegnarle, con un processo di massificazione ormai collaudato dai moderni persuasori, il ruolo – avvilente ma pagante – di bene di consumo. Occorre, in sostanza, rimettere ogni volta tutto in discussione perché è nel dubbio, nella riflessione critica, nella consapevolezza che veramente poche sono le nostre certezze, che l’arte – e con essa gli uomini – imboccano la strada più difficile e più onesta in direzione della verità. Lido Marchetti s’arrovellava da tempo su questi temi, alla ricerca d’un grimaldello che gli consentisse di forzare in qualche modo l’ormai obsoleta consuetudine di osservare un quadro, una scultura, così come si osservano i prodotti nello scaffale di un supermercato: con indolente apatia, con disinteresse e con distacco. Oppure, peggio ancora, con falsa curiosità quasi obbedendo ai frusti rituali dei vernissage, delle visite guidate e a pagamento, con la patinata monografia sottobraccio e tanta voglia di guadagnare l’uscita. È allora che è nato il suo parassita, un qualcosa frutto della creatività ma destinato a frantumare la staticità delle manifestazioni dell’arte organizzata: quella, soprattutto, sulla quale gravitano interessi più economici che culturali, con finalità precostituite e programmate. Il parassita introdotto da Marchetti nelle sue operazioni di aggressione pacifica alle esposizioni d’arte e alle collezioni museali (è intervenuto anche in importanti gallerie e musei come il Guggenheim di Berlino e il Pecci di Prato), riesce ogni volta a calamitare su di sé l’attenzione del pubblico. Si tratta, in effetti, di una sorta di sabotaggio culturale con finalità terapeutiche, rompendo l’iter programmato dell’ospite e inserendosi come elemento di disturbo voluto appositamente per provocare una reazione ed una riflessione. L’intervento parassita, attuato con la semplice introduzione e apposizione controllata sulle opere altrui di piccole sculture parassite, riesce a rompere la sacralità e la memoria delle opere d’arte confezionate secondo la tradizione e la consuetudine, o viziate dai giudizi e dai pregiudizi. Riesce, insomma, a memorizzare l’emozione precostituita restituendo allo spettatore protagonista una consapevole nuova
disponibilità. Modifica anche per un momento, con la sua eccedente presenza, i le abitudini e le modalità con le quali si osserva un dipinto o una scultura; ricostituisce una verginità psicologica che consente un’oggettiva riappropriazione culturale dell’opera d’arte. Qual è la forma dei parassiti inventati da Lido Marchetti già alla metà degli anni Ottanta? Ciascuno di loro è la derivazione originale di una ricerca estetica: dunque hanno forme e colori che mutano incessantemente anche se, di fatto, sembrano tutti appartenere ad una stessa famiglia. Un po’ bizzarri, a volte hanno le sembianze di certi antichi totem che accoglievano gli spiriti delle divinità arcaiche della terra e del cielo; o delle statue stele dei riti agresti lunigianesi; altre volte invece richiamano alla mente i raffinati gioielli della più nobile tradizione orafa. Sono i prodotti di una gestualità manuale, in sé irripetibile dopo che si è espressa. Visti insieme, in gruppo, possono suggerirci l’allegra visione d’una festa di baffardelli, di folletti burloni e senza ritegno: perché in fondo i parassiti di Lido Marchetti hanno una forte componente umoristica, che attraverso la provocazione riesce tuttavia a sdrammatizzare la seriosità di certi incontri dove si mercifica l’arte fingendo di darle una grande importanza. Marchetti sostiene che in ogni suo intervento parassita è l’azione che prevale, anche se la forma degli oggetti parassiti rappresenta un’esca irresistibile. Sono di piccole dimensioni perché il parassitismo è subdolo, si insinua e si sottrae, cerca di non apparire subito, mostra un calcolato pudore: spesso è dal mimetismo che dipende la sua sopravvivenza. Le reazioni dei parassitati non sempre sono aperte
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all’accettazione di interventi del genere. Per questo il mimetismo consente in molti casi che si compia l’intervento all’insaputa dell’ospite. Come nella realtà quotidiana, il parassitismo nell’arte risulta alla fine inevitabile e ineliminabile: può essere respinto di fatto come elemento di rottura, ma nel momento stesso in cui viene respinto ha assolto in pieno il suo compito. Se si teme che un piccolo parassita, prodotto della creatività, spezzi da solo l’equilibrio di un’opera, forse vuol dire che quell’opera è fragile, è debole, e può essere facilmente “danneggiata” nei suoi contenuti estetici e storico-filosofici. L’artista che accetta l’azione del parassita dimostra d’aver compreso il messaggio fondamentale: nell’arte, come in tutte le cose di questo mondo, non esistono punti d’arrivo, non c’è immobilità, niente è definitivo, tutto quanto scorre. L’arte va intesa soprattutto come movimento, e come continua contaminazione di idee e di esperienze. Il parassita accelera, sovrapponendosi, questo movimento e diventa un catalizzatore della trasformazione.
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ovvero del color turchiniccio Roberto Giovannelli
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ra lontani ricordi infantili ritrovo una scena ambientata in una sera d’autunno, quando mia madre (una ragazzina poco più che ventenne), prima di cena e in attesa che il babbo tornasse dal lavoro, mi stava leggendo Le avventure di Pinocchio. Era seduta presso un angolo della tavola da pranzo, apparecchiata e illuminata da una giallognola luce che si spandeva nella stanza da una fioca lampadina elettrica sospesa col
suo candido piatto di porcellana al centro della mensa. Eravamo a pochi passi dalla cucina da cui provenivano il tepore dei fornelli e l’odorino delizioso di uno stufato di carote raccolte in una teglia, che immaginavo come un caldo sole arancione pigramente posato sui fornelli. Io, in piedi accanto alla gentile lettrice, appoggiato all’altro canto del tavolo ascoltavo quella storia e, pagina dopo pagina, osservavo le figure che ne illustravano i capitoli. A un certo punto i miei occhi si posarono su La bella Bambina dai capelli turchini… Ricordo che quella evanescente figura, non so bene perché, non mi piacque; forse perché la Bambina aveva una veste di un celestino insulso e sbiadito, forse a causa del suo volto imbambolato, d’insipida, noiosa espressione. Però la cosa che risuonò come un campanello nelle mie orecchie, nella cassa armonica dell’immaginazione, fu la parola turchino che designava il colore dei suoi capelli. Cosa fosse codesto colore il cui nome mi era penetrato in corpo come una specie di “pizzicorino”, non sapevo; ma certo non poteva essere quel vano, ambiguo celeste della figura illustrata. Quando si dice il potere delle parole! Avrò avuto sì e no quattro anni, ma nella circostanza il valore semantico di quel gruppetto di lettere, la sonorità del loro insieme evocante un misterioso significato, ebbe su di me un potere magico, quel turchino si caricò di una qualità trascendente che andava oltre la tonalità impigliata nei capelli turchini della bella Bambina… Forse in quell’infantile crocicchio ritrovo la prima radice per la quale ho
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finito poi col giocare con il teatrino delle parole, di giocare con le vocali e con le sillabe, dipingendole addirittura, e assegnando loro un colore, un profumo, un’immagine come elemento ora vagante e indipendente, ora di ipotetico supporto al loro convenzionale suono e significato. Forse per questo l’Abbecedario, la commistione fra parola e figurazione (oh l’Alfabeto in sogno, oh le famose Vocali!) ha rappresentato tanto nella mia vicenda di erratico viandante per i sentieri remoti, ripidi e tortuosi della pittura, forse nell’illusorio desiderio di batter percorsi lontani dall’affollato paese di Acchiappacitrulli. Cosa sia questo colore turchino, cosa sia questa musica oculare, ancora non so bene, ne intravedo i fantasmi in un misto di cobalto e di violetto, di porpora tinta d’azzurro, di ceruleo misto a berrettino; mi avvicino a un color indaco baccadeo, incertamente sospeso tra la caducità e la resurrezio-
ne del pensiero, cibo celeste: colore cupo degli abissi marini o feconda volta delle mappe del cielo? Colore delle sagome degradanti dei monti al crepuscolo o inchiostro spremuto da molli bacche di palustre uva turca, sparso sulle piccole mani? Colore turchino! Dal «pensier molto elevato», scrisse Fulvio Pellegrino Morato.1 Turchino, ogni volta che lo nomino o che penso a codesto colore è come se mi rituffassi nella fioca luce di quella mia antica stanza, intimorito dal buio caliginoso e amarognolo campeggiante oltre i vetri un poco appannati della porta d’ingresso del piano terreno della vecchia casa, antistante un’eclettica architettura classicheggiante, sede di un animato, sonoro, odoroso mercato ortofrutticolo edificato in un paese che mi sembra per sempre smarrito. Mi rivedo davanti alle pagine del libro della storia di un burattino, preso in una sorta di struggimento e da sussultanti palpitazioni del cuore: turchino, turchino, turchino. Mi avvicinò molto tempo dopo alla comprensione e al senso di quel turbamento fatto colore, o meglio tinta e tintura, il pittore Antonio Franchi detto “Il Lucchese”, nato il 14 luglio 1638 a Villa Basilica, “villaggio” sugli alti poggi da cui nasce l’acciottolata fiumara della Pescia di Collodi. Infatti, sfogliando la Teorica della pittura2 del nostro “Lucchese”, mi soffermai finalmente sul passo in cui egli si domanda quale sia il colore dell’aria quando il cielo è sereno «o con poche nuvole raccolte», rispondendosi dopo qualche rigo «che ella ha del turchiniccio». Quel turchiniccio mi condusse sensitivamente sulla strada che, come una figura schizzata al tratto, mi suggeriva quale fosse stata nella mia lontana percezione l’es-
senza e la sostanza della Bambina di Pinocchio: aria, più o meno turchina in proporzione alla vicinanza o lontananza tra noi e lei. Aria, così l’artista ne cercava il miscuglio gassoso in quel suo color turchiniccio: Vedo un monte boscoso da vicino tutto ammantato di una vaga e piena verdura, come si vede nel più bello e delizioso della primavera. Se io voglio imitare in pittura quel colore, mi convien valermi della terra verde più bella, mischiata con giallo santo, o con giallorino. M’allontano da questo vago monte un miglio, o due, lo vedo verde sì, ma di un verde un poco svanito, perché tendente un poco al turchino. M’allontano tre o quattro miglia di più, più turchino io lo veggo. M’allontano otto, o dieci miglia, lo veggo tanto inturchinito, che se voglio imitarlo, mi convien prendere e valermi degli azzurri, benché un poco mortificati con altri colori. M’allontano finalmente venti o venticinque miglia, il monte mi s’inturchinisce tanto, che a poco a poco lo perdo tra quel turchino, e mi si dilegua dagli occhi. Turchino, pittura pura, tavola di topazio ove i clangori e le cose del mondo, vaganti come nuvole in guisa di figure, nascono e mano a mano si illanguidiscono e disperdono stracciate dal vento. Un bel giorno, fra le tante immagini dileguate nel folto di quel lontanissimo paese ammantato di turchino, al quale, fra balze e colline, mi avvicinai a gran passi, ritrovai Pinocchio. Lo ritrovai burattino vivente nel mentre che, sognando, egli in cammino con quei suoi «piedini svelti, asciutti e nervosi» forgiati da un Geppetto – Dupré, si figurava di essere in mezzo a un campo e di veder
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grappoli di zecchini d’oro mossi dal vento: zin, zin, zin. Ringraziamenti Si ringrazia Francesco Bertini per la collaborazione concernente le immagini fotografiche NoTE 1 Del significato de colori e de mazzolli, edizione di Ferrara, per Giovanmaria di Micheli e Antonio Maria di Sivieri, 1545. 2 La teorica della pittura, ovvero Trattato delle materie più necessarie, per apprendere con fondamento quest’arte, composta da Antonio Franchi lucchese…, stampata in postuma edizione a Lucca nel 1739 per i tipi di Giovanni Rigacci per Salvatore e Giandomenico Marescandoli.
Roberto Giovannelli, 2005, Pinocchio pittore, studio per una decorazione murale, olio su tavola, cm 40 x 200, collezione Dino Bianchi, Pescia Roberto Giovannelli, 2002, Pinocchio sogna gli zecchini d’oro dondolanti al vento: zin, zin, zin, mezzo fresco, cm 370 x 280, opera selezionata nel concorso “Per Pinocchio: muri dipinti a Collodi”, collocata in Via delle Cartiere 179 Ritratto del pittore Antonio Franchi, incisione dall’autoritratto dell’artista, disegno di Giovan Domenico Campiglia, incisione di Silvester Pomarede, tratta da F. Moucke, Serie di ritratti degli eccellenti pittori dipinti di propria mano…, 4 voll., Firenze 1752-1762, III, 1756, p. 290 Roberto Giovannelli, 1999, Buonanotte, Pinocchio…, xilografia su legno di ciliegio, cm 18 x 22 Roberto Giovannelli, 2002, Pinocchio con Pinocchio, olio su carta da scena, insieme cm 150 x 400, particolare di uno studio per la decorazione murale della facciata di Villa Arcangeli, sede della Fondazione Nazionale Carlo Collodi, Collodi Roberto Giovannelli, 2001, Pinocchio sogna gli zecchini d’oro dondolanti al vento: zin, zin, zin, bozzetto per un’opera murale, olio su tela e lamina oro, cm 50x35, Fondazione Nazionale Carlo Collodi, Collodi
SE FOSSE UN ANGELO DI LEONARDO... 5 ottobre 2019 2 febbraio 2020 VINCI
OLIVIERO TOSCANI 16 novembre 2019 3 maggio 2020
Castello di Miradolo
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ttribuito da Carlo Ludovico Ragghianti alla scuola del Verrocchio e da Carlo Pedretti al giovane Leonardo da Vinci, l’Angelo Annunciante custodito nella Pieve di San Gennaro in Lucchesia è la più grande fra le sculture ascritte al genio del Rinascimento. L’opera, recentemente restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure, sarà al centro della mostra nel nuovo centro Leo-Lev, complesso culturale nato dall’imponente intervento di recupero architettonico e urbanistico dell’ex villa BellioBaronti-Pezzatini e piazza Pedretti nel centro storico di Vinci, su progetto dell’architetto Oreste Ruggiero e con opere artistiche dello stesso. Per far conoscere ai visitatori la pigmentazione originale sarà esposta anche una copia a grandezza naturale dell’Angelo realizzata dall’Opificio con i materiali e le tecniche pittoriche dell'epoca, oltre a diversi contributi multimediali dedicati alla scultura e al suo recupero.
13 luglio 3 novembre 2019
San Secondo di Pinerolo
Centro espositivo Leo-Lev
FILI D’ORO E DIPINTI DI SETA
Trento Castello del Buonconsiglio
ondazione Cosso nuovamente protagonista grazie alla bellissima mostra su Oliviero Toscani. Location scenografica, parco, serra e Castello di Miradolo si amalgamano col progetto espositivo, suscitando suggestioni artistiche decisamente uniche. Una mostra inedita, dagli esordi alle più famose campagne che hanno caratterizzato il suo stile, dalle immagini iconiche agli incontri della sua carriera, che lo collocano tra i grandi della fotografia mondiale. Un viaggio, in cui le immagini saranno ovunque: nelle sale espositive, ma anche lungo i sentieri del Parco, a dialogare con la natura e con le stagioni. Fotografie, manifesti, interviste, video installazioni creano un mosaico eterogeneo, completo, chiarificatore dell’occhio ma, soprattutto, dello sguardo con cui Oliviero Toscani ha osservato e raccontato il suo tempo, quale testimone capace di immaginare il futuro.
RAFFAELLO E GLI AMICI DI URBINO 3 ottobre 2019 - 19 gennaio 2020 Urbino Galleria Nazionale delle Marche Prolifica fucina culturale, Urbino rinascimentale forgia in cultura il grande Raffaello, che già nella bottega paterna fa sua quella nuova ventata artistica nata nel nostrano Stivale. L’intero ducato montefeltrino respira aria di cambiamento, tenacemente supportata dagli aristocratici governanti questo nobile territorio, rivoluzione interiorizzata dall’Urbinate e, non a caso, l’esposizione racconta relazioni, peculiarità, confronti coi pittori operanti nelle nobile Marche, in primis Perugino, Luca Signorelli, Girolamo Genga, Timoteo Viti, dal cui dialogo culturale nasce il trasporto raffaellita verso il moderno con tecnica e verve creativa personalissima. Sotto questa luce, la mostra evidenzia quanto importante sia stata l’influenza della città marchigiana nella nuova cultura figurativa italica, trovante compiuta apoteosi nel suo luminare figlio: Raffaello.
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reati da mani esperte tra XIV e XV secolo in Italia alpina ed Europa nordica, raffinati tessuti raccontano l’arte sacra nella riuscita mostra tridentina, così piviali di morbido velluto, dalmate ricamate in seta, pianete impreziosite da oro e argento, dipinti coevi rivaleggiano come prime donne, ostentando quella perfezione artigianale della produzione milanese, fiorentina, veneziana, d’oltralpe, in particolare reniania e fiandrese. Presenti in mostra, un cappuccio decorato con disegni botticelliani e conservato al Castello Sforzesco, il parato intessuto per papa Niccolò V del Bargello, capolavori dalle tradizioni tessili variegate evidenziano quanto florido fosse il settore manifatturiero religioso sino all’epoca rinascimentale, nel quale l’imprenditoria artigianale nostrana raggiunge livelli decisamente alti grazie ad avveniristiche tecniche imprenditoriali.
L'arte in Italia Carmelo De Luca
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FUTURISMO 11 ottobre 2019 9 febbraio 2020 PISA Palazzo Blu
Riceverei la rivista per un anno intero a casa tua! Siamo certi che non ti lascerai sfuggire questa opportunità! Compila il form sottostante e invialo per mail con i tuoi dati a : abbonamenti@ctedizioni.it abbonamento di sostegno € 100 abbonamento standard € 40 Nome Cognome ____________________________________ Indirizzo, cap, città ____________________________________ ____________________________________ e-mail _____________________________ scegli la modalità di pagamento che preferisci: BONIFICO BANCARIO: Banca Popolare di Lajatico IBAN: IT53 L052 3271 1600 0004 0079 204 Intestato a Centro Toscano Edizioni Srl 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) ASSEGNO BANCARIO INTESTATO A: Centro Toscano Edizioni Srl Da inviare in busta chiusa a: Centro Toscano Edizioni Srl Largo Pietro Lotti n.9/l 56029 Santa Croce sull’Arno (PI)
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aranno infatti i picchi più significativi di questo straordinario movimento artistico a ritrovarsi, peraltro eccezionalmente, l’uno accanto all’altro per un’importante esposizione organizzata da Fondazione Palazzo Blu insieme con MondoMostre. Curata da Ada Masoero, l’appuntamento artistico conta il patrocinio della Regione Toscana e del Comu-
ORAZIO GENTILESCHI 19 ottobre 2019 2 febbraio 2020 Cremona
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Pinacoteca Ala Ponzone
ne di Pisa. Ed è propio attraverso oltre cento opere dei maestri del futurismo, che propone in grande maggioranza, dipinti museali o d’importanti collezioni private, oltre ad alcuni disegni ma anche progetti e oggetti d’arte. Ogni opera è stata scelta, oltre che per la sua qualità anche per l’aderenza ai punti teorici fondativi del movimento. Il percorso? È aperto dagli esordi divisionisti comuni ai cinque futuri futuristi: Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini. Scandita in sezioni intitolate ognuna ad un manifesto, Futurismo, attraversa poi trent’anni di arte del futurista stesso. La mostra è stata infatti resa possibile dalla qualità ma anche dalla quantità dei prestatori, ben 29, tra i quali figurano la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, con nove opere; il Museo del Novecento e la GAM di Milano con 16 opere; il Castello Sforzesco di Milano (Civico Gabinetto dei Disegni e Collezione stampe Achille Bertarelli con dieci opere). E ancora, il Mart di Rovereto con ben 21 opere, il Museo Caproni di Trento, con due opere e altre importanti collezioni pubbliche e private. Ma non è tutto, brevi citazioni dai manifesti guideranno alla comprensione del significato di quelle che potrebbero apparire come invenzioni brillanti e curiose; ma che sono in realtà trascrizioni di un vero e propio sistema di pensiero.
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maggio alle due versioni del Riposo durante la fuga in Egitto, Cremona celebra Orazio Gentileschi attraverso questa tematica a carattere sacro, che tanto successo riscuote tra artisti coevi e committenti, non a caso la mostra ospita altre pregevoli opere dedicate all’arcinota Fuga citata nei Vangeli. Pittore caravaggesco dall’estro sfacciato, arguto, intelligente, il genio gentileschiano si espande in Europa, tant’è che la regina Maria de’ Medici e il primo duca di Buckingham lo reclamano. Prestate dal viennese Kunsthistorisches Museum e da un privato, le due tele rappresentano una pagina di letteratura artistica in epoca barocca, i cui studi messi in essere per l’esposizione assegnano la primogenitura all’opera del collezionista ma supportano, altresì, nuovi spunti per riflessioni teologiche ed iconografiche sull’infanzia di Cristo nell’arte seicentesca.
LA FIRENZE DI GIOVANNI E TELMACO SIGNORINI 19 settembre 10 novembre 2019 Firenze Palazzo Antinori
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alidissima in spessore storicocritico, Marchesi Antionori e Istituto Matteucci sostengono la
GIAPPONESISMO 28 settembre 2019 26 gennaio 2020 ROVIGO Palazzo Roverella
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ome un fulmine a ciel sereno, l’Europa ottocentesca scopre l’arte decorativa giapponese, orientandosi verso forme compositive dove essenzialità, sintesi, luminosità
bella mostra dedicata ai Signorini, che trova nel carteggio inedito tra Telemaco, Giovanni, Paolo espressa dichiarazione di fiorentinità plasmante le stesse sale espositive dello storico palazzo rinascimentale, dove il Granducato ha scritto pagine storiche insieme a quella viticola dei marchionali proprietari. Opere conosciutissime ed inediti raccontano in mostra una aurea Firenze impressa nelle tele realizzate dai celebri Signorini durante un’epoca culturalmente feconda per l’urbe medicea, che vede protagonisti indiscussi Niccolò Tommaseo, Pietro Giordani, Pietro Vieusseux, Carlo Lorenzini, Diego Martelli. Dalle opere esposte si evince l’influenza artistica che Giovanni ha sul figlio Telemaco e l’evoluzione paesaggistica toscana dal tardo romanticismo al nascente movimento macchiaiolo, tutto toscano. Otto sezioni raccontano la monumentalità fiorentina imprigionata nella sua maestosa architettura plasmata di una calorosità domestica ma, anche, quella degli Antinori mecenati affidanti all’arte la personale storia secolare.
regnano sovrane. La moda di arredare alla Sol Levante fa conoscere una preziosa carta da impacchettamento chiamata manga di Hokussai ma anche stampe by Utamaro e Hiroshige, raffinati fogli che influenzano profondamente Impressionisti, i Nabis, Secessionisti, tanto che la nuova cultura modernista trova ispirazione nel rigore essenziale della millenaria tradizione nipponica, ospitata presso Palazzo Revorella nelle varianti pittura, grafica, architettura, arti applicate, arredi, illustrazioni, supportate dal Liberty attentissimo al minimalismo decorativo sol levantino. In quattro eleganti sezioni, originali ed interpretazioni in chiave europea costellano sale espositive, esternanti peculiarità attrattive di quella prolifica produzione artistica orientale che nelle esposizioni universali ottocentesche parigine e londinesi vanta un ruolo predominante. Così, opere autoctone di eccezionale fattura rivaleggiano per bellezza con nomi altisonanti dell’arte europea, basti menzionare Gaugin, Van Gogh, Klimt, Albert Moore, Giuseppe De Nittis, Giacomo Balla, Paola Michetti, Pierre Bonnard, Fernad Khnopff.
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Pubbliche Assistenze Riunite Via XX Settembre, 17 – Empoli (FI) Telefono: 0571 725156 SPORTELLO DI ASCOLTO APERTO AL PUBBLICO SANTA CROCE SULL’ARNO Pubblica Assistenza Largo U. Bonetti, 5 (zona Coop) Santa Croce sull'Arno (PI) Lunedì 10:00-12:00 Telefono: 348 1327106
Uscire dalla violenza si può Le attività sono svolte da volontarie e consulenti, quali psicologhe e psicoterapeute, avvocate, educatrici, counselor, provviste di specifica formazione sulla violenza e sui suoi effetti traumatici, le quali mettono a disposizione il proprio tempo e la propria professionalità per ascoltare e e aiutare le donne oggetto di maltrattamenti e violenze. Ci occupiamo - di donne vittime di violenza fisica, psicologica, sessuale, economica in famiglia e fuori, di persecuzioni quali stalking e mobbing; - di Formazione e sensibilizzazione: interventi formativi e attività di prevenzione nelle scuole e iniziative di sensibilizzazione. Attività di ricerca e studio. Per poter affrontare un percorso di uscita dalla violenza è fondamentale offrire una prima accoglienza sul territorio da cui proviene la richiesta di aiuto e strutturare interventi di rete. Gli sportelli sono tenuti da personale volontario, adeguatamente formato, che opera in raccordo e in collaborazione con le operatrici del Centro Lilith, con le Forze dell’Ordine, con i Servizi Sociali e le Istituzioni locali.
X PREMIO UGO GUIDI 2019 20 ottobre 7 novembre 2019 Forte dei marmi Museo Ugo Guidi
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na rassegna riservata a giovani studenti delle accademie d’arte, stabilendo. Il Premio Ugo Guidi si tiene dal 2010 e per le sue caratteristiche innovative, gli è stato riconosciuto il Premio di Rappresentanza del Presidente della Repubblica Italiana e Premio di Rappresentanza del Presidente della Camera dei Deputati, il patrocinio del Presidente del Consiglio dei Ministri, del MIBAC, del MIUR, della Regione Toscana, dell’Ambasciata di Russia, delle varie Accademie d’Arte e Amministrazioni comunali e provinciali coinvolte. Nel corso delle passate edizioni vi hanno partecipato centinaia di studenti esponendo le loro opere. Elemento centrale, di unione, per partire dal territorio di Forte dei Marmi per collegarsi all’arte contemporanea, è la figura di Ugo Guidi che tanto amò questi luoghi e che è l’unico artista ad aver lasciato a Forte dei Marmi un’eredità tangibile con la Casa Museo e il Premio a lui dedicato. Alla presenza degli studenti si è riunita la Giuria del premio Ugo Guidi composta da Franca Severini, Bruto Pomodoro, Giovanna Uzzani, Nicola Santini, Giuseppe Bartolozzi e Vittorio Guidi. La premiazione è avvenuta presso il CAV di Pietrasanta da parte del Sindaco di Pietrasanta alla vincitrice la giovane artista Anastasia Bodiakova è stato assegnato il “X Premio Ugo Guidi 2019” consistente in una riproduzione in bronzo di un’opera del Maestro Guidi eseguita per l’occasione dalla Fonderia Artistica Mariani di Pietrasanta. Tutte le opere rimarranno fruibili presso gli spazi del Museo Ugo Guidi di Forte dei Marmi dal 20 ottobre al 7 novembre 2019.
PIERO CRIVELLARI Personalità 9 novembre – 5 dicembre 2019
FORTE DEI MARMI Museo Ugo Guidi
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ostra dedicata agli aspetti creativi del pittore, originario di Pietrasanta, i quali rifletteranno l'approfondimento di un'esistenza artistica coltivata fin dagli anni di studio all'Istituto d'arte Stagio Stagi. Nelle “personalità” di Crivellari, classe 1951, l'espressività figurativa è dettata da un dialogo con la tela, afferma Piero Garibaldi curatore dell'iniziativa, capace di decidere con il segno del pennarello, mosso in uno spazio movimentato tra giornale, colla, carta ed acrilico, l'identità alla condotta della rappresentazione.
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I CIELI IN UNA STANZA VS PLASMATO DAL FUOCO 30 agosto 1 dicembre 2019 Firenze Uffizi 18 settembre 2019 12 gennaio 2020 Firenze Palazzo Pitti
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li Uffizi accolgono preziosi disegni sulla magnifica innovazione architettonica dei soffitti a cassetto-
NATALIA GONCHAROVA 28 settembre 2019 12 gennaio 2020 Firenze Palazzo Pitti
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nticonformista e controcorrente, Natalia Goncharova personifica quel genio creativo by-passante schemi costrittivi, maniere, etichettature e la sostanziosa produzione
ni, rivoluzione architettonica, tecnica, simbolica imperante tra Firenze e Roma sin dal Rinascimento. Richiamo alla cultura classica, i cosiddetti “cieli” costellano palazzi, edifici sacri, strutture pubbliche di quel nuovo edilizio squisitamente nostrano, così arcinoti prototipi imperiali interessanti Tempio di Bacco e Domus Aurea rivaleggiano in bellezza con progetti creati da Sangallo, Vasari, Michelangelo, Zucchi, Maderno. In mostra, dipinti, modelli, lacunari, dispositivi interattivi inerenti importanti strutture storiche supportano il percorso espositivo. A pochi passi, bronzee sculture commissionate dagli ultimi granduchi medicei costellano il Museo degli Argenti. Creazioni seicentesche del Giambologna e bottega evidenziano il gran gusto mediceo verso quest’arte che, grazie a Foggini e Soldani Benzi, trova nella Tuscia Felix quell’arcinoto rinnovamento, la cui migliore produzione costella le sale espositive. A supporto, Palazzo Pitti ospita opere eccelse che evidenziano l'evoluzione artistica fiorentina tra XVII e XVIII secolo di altri illustri maestri, come Giovacchino Fortini, Lorenzo Merlini, Pietro Cipriani.
esposta a Palazzo Strozzi conferma il suo estroso spirito indipendente. Paul Gauguin, Henri Matisse, Pablo Picasso, Umberto Boccioni rappresentano per l’artista rifermento musivo, così le sale espositive custodiscono opere significative nella crescita culturale di Natalia, che tuttavia crea uno stile personale: Autoritratto con gigli gialli ne rappresenta meritata espressione. Oriente, occidente, innovazione, tradizione vivono simbioticamente nei suoi dipinti, sperimentazioni originali di generi e stili diversificati spazianti dal teatro alla grafica, dal Primitivismo al Raggismo, interpretati con sensibilità decisamente nuova rispetto alle correnti artistiche del suo tempo. Ideata insieme alla londinese Tate Modern, la mostra propone oltre 150 opere, riuscito racconto della poliedrica artista russa, vivace avanguardista di inizio 900, sostenitrice del ruolo femminile in ambito socio-artistico, estrosa inventiva delle fusioni in chiave individualista tra primitivismo presente in Gauguin, cromatismi matissinani, dimensioni onoriche di Chagall, dinamismo proprio del maestro Boccioni.
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storia
la poesia di
Shelley
Roma 8 settembre 1943 Vania Di Stefano
Busto di Shelley a Viareggio Quotidiano 9 settembre 1943 Certificato di sfollamento Calendario 1943 copertina
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a storia del 1943 l’ho tutta in casa, persino dentro un minuscolo calendario tedesco alto 45 mm, privo d’annotazioni manoscritte. Sulla copertina c’è il disegno di un bimbo innocente; nelle pagine interne oltre alle ricorrenze speciali, compreso il compleanno di Hitler, c’è un elenco delle campagne militari in Europa: l’occupazione della Danimarca e della Norvegia, la capitolazione del Belgio e dell’Olanda, l’inizio della spedizione in Russia; si menziona anche il patto d’alleanza con Italia e Giappone. Il 14 maggio di quell’anno, due mesi prima dello sbarco in Sicilia degli alleati, il mio avo materno Titomanlio Manzella, causa i bombardamenti, sfollava in treno a Roma col figlio minore sedicenne Vladimiro “dopo un viaggio davvero avventuroso iniziatosi con un allarme dato da tre cannonate sparate proprio a pochi metri di distanza dal treno” nella stazione di Catania (cito dal suo diario inedito). L’8 settembre era alloggiato nella pensione Trento in via Panisperna 95
(qui lo raggiungeranno il 18 gli altri due figli Manlio Gor e Myriam). A questa data risale l’acquisto o il dono di un libro salvifico di Percy Bysshe Shelley (1792-1822): La difesa della poesia, tradotto da Emilio Cecchi edito a Lanciano nel 1920. Il 9 settembre, mentre la prima pagina del Popolo di Roma descriveva la vendemmia di morte appena iniziata e destinata a proseguire dopo l’annuncio del maresciallo Pietro Badoglio (1871-1956), la terza pagina ospitava, misteriosa coincidenza, un denso articolo di Enrico Falqui (19011974) dal titolo Difesa della poesia. A suo modo la difese in quell’anno anche Veturio Paolini che salvò dalla distruzione il busto bronzeo di Shelley realizzato da Urbano Lucchesi (1844-1906), ammirabile ancòra oggi a Viareggio, posto nel 1894 in ricordo di quella sua tragica morte in mare (l’ho evocata nel 1997 in un articolo
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Avidum mare nautis: antiche epigrafi sul naufragio). Difendere la poesia è come difendere la vita: sono ambedue figlie della metamorfosi dell’universo e si dispiegano nella quotidiana realtà materiale e nella Storia in circostanze talvolta paradisiache, più spesso crudeli, mortali. Shelley, immune da invidia o paura, indaga e trasfigura l’immaginazione creatrice con un’analisi densa, profonda. Falqui, amico di famiglia, stigmatizza certa critica demolitrice che proclamava la “decadenza e la morte della moderna poesia”. Manifestare in versi il proprio sentimento di gratitudine davanti alla bellezza visibile e invisibile appaga, consola, vivifica e dunque mi appaga, mi consola, mi fa sentire vivo.
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storia
LA FACCIATA
ASTRONOMICA
I quadranti solari di Egnazio Danti Stefano Barbolini
I
motivi per i quali la facciata della chiesa fiorentina di Santa Maria Novella, nell’omonima piazza, fu scelta per l’installazione di alcuni strumenti astronomici, che ancora oggi possiamo ammirare, sono almeno due: 1) l’allineamento della facciata lungo la direzione EstOvest, per cui essa è rivolta quasi esattamente a Sud, permettendo così l’osservazione del moto apparente del Sole la mattina e nel pomeriggio; inoltre l’osservazione del Mezzogiorno vero locale (la posizione dell’osservatore) e la misura della massima altezza del Sole nella gior-
nata; 2) la provata stabilità dell’edificio, garanzia di durata nel tempo e di assoluta precisione per le lunghe e difficili osservazioni astronomiche. Questi strumenti astronomici furono realizzati dal frate domenicano Egnazio Danti tra il 1572 e il 1575, quando era il cosmografo medìceo, carica conferitagli dal Granduca Cosimo I. Lui stesso, con la passione per le scienze, incaricò il Danti di riformare l’allora vigente Calendario Giuliano, perché aveva accumulato un errore di dieci giorni rispetto agli eventi astronomici, compreso l’inizio e la fine delle stagioni, determinan-
Il rosone della facciata visto dall’interno mostra il foro della meridiana a camera oscura attraversato dalla luce solare. La basilica di Santa Maria Novella. Il Plinto di Tolomeo indica l’altezza del Sole dal punto di osservazione. La Sfera Armillare indica il mezzogiorno locale e i due equinozi.
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do così una serie di ripercussioni nella vita civile e nella precisazione del calendario liturgico. Cosimo I favorì queste ricerche anche per consacrare alla storia il proprio nome e quello della sua dinastia. Ritornava così di attualità la plurisecolare tradizione fiorentina, iniziata con la meridiana del Battistero alcuni secoli prima e proseguita con quella del Duomo realizzata nel 1475, per correggere il calendario ed altre ricerche scientifiche. Gli strumenti progettati dal Danti, collocati sulla facciata di Santa Maria Novella, pervenuti fino a noi sono i seguenti: 1) il “Plinto di Tolomeo”, che avrebbe permesso di individuare esattamente l’altezza del Sole a mezzogiorno; 2) la “Sfera Armillare”, che precisava l’istante degli equinozi (di primavera 21 marzo, d’autunno 23 settembre); 3) la “Meridiana a camera oscura”, che avrebbe dovuto integrare e completare le misurazioni dei due precedenti strumenti. I dati raccolti, dovevano fornire la misura esatta dell’anno tropico: cioè il tempo intercorrente fra l’equinozio di Primavera (21 marzo) e il successivo alla stessa data. Il “Plinto di Tolomeo” (così chiamato dal nome del famoso astronomo alessandrino del II secolo d.C.), costruito nel 1572, fu collocato sul lato destro della facciata della chiesa, a circa sette metri dal suolo. È costituito da una lastra di marmo spessa 8 cm di forma quasi quadrata (cm 146,5 x 154). Un lato è appoggiato sopra tre mensole via via più corte e ortogonali alla facciata; i due
lati della lastra guardano rispettivamente a Est e a Ovest, perché la facciata è esposta a Sud. Lo strumento, sulle cui facce contrapposte figurano incisi due “Quadranti Goniometrici”, era già completo e sufficiente per gli scopi che Danti si prefiggeva, ma lo studioso volle dotarlo di una serie di orologi solari: un “Orologio a Ore Italiche”, un “Orologio a Ore Babiloniche” e un “Orologio a “Ore Astronomiche”. Inoltre, dove il “Plinto di Tolomeo” si appoggia alla facciata, sia a destra che a sinistra, sono tracciati gli orologi a “Ore Planetarie” e “Ore Canoniche”. Un altro orologio, detto degli “Oltramontani”, è individuabile sulla mensola centrale di sostegno, sia a Est che a Ovest. La “Sfera Armillare” (dal latino “armilla” che significa anello o bracciale) del 1574, fu posta a sinistra della porta e, come il “Plinto di Tolomeo”, a sette metri dal suolo. È composta da due cerchi metallici fissati perpendicolari l’uno all’altro. Il cerchio verticale era destinato a indicare, con la sua ombra, il momento del “Mezzogiorno Locale Vero”. L’altro cerchio invece permetteva la determinazione esatta dell’equinozio, per calcolare la durata dell’anno. L’anello verticale fissato al muro è situato nel piano del meridiano locale; in questo modo, quando l’ombra del semicerchio anteriore (o esterno) si sovrappone al semicerchio posteriore (o interno) lo strumento indica il “Mezzogiorno Locale Vero”. Se assistiamo all’evento, non preoccupiamoci se il nostro l’orologio non va d’accordo con l’antico strumento. L’orologio indica il “Mezzogiorno Civile”, cioè un tempo medio che scorre uniformemente al contrario di quello vero, basato sulla posizione del Sole, e che conosce lievi accelerazioni e ritardi causati dalla geometria dell’orbita terrestre, inclinata di 23 gradi sul piano di rotazione e di forma ellittica. L’ora civile inoltre è un’ora convenzionale, uguale in tutta Italia, che non tiene conto della sfericità della Terra in senso Est-Ovest. L’altro cerchio, perpendicolare al primo, è situato su un piano parallelo all’Equatore terrestre. Questo fa sì che l’ombra del semicerchio anteriore (o esterno) si sovrapponga al semicerchio posteriore (o interno) soltanto nei giorni dell’equinozio, quando il Sole passa dall’emisfero Sud a quello Nord o viceversa. Con
la sovrapposizione l’ombra del cerchio sulla facciata, che è solitamente un’ellisse, si riduce a un segmento e identifica con esattezza i momenti di passaggio dall’inverno alla primavera e dall’estate all’autunno. Per controllare l’avvicinarsi dell’equinozio ci sono due riscontri: uno sulla facciata, costituito da una linea incisa sul marmo, toccata dall’ombra del cerchio equatoriale al momento del passaggio del Sole all’equatore, l’altro consiste in una fessura praticata sul semicerchio esterno, che proietta un segmento luminoso sulla mezzeria della superficie interna del semicerchio opposto. Solo l’astronomo, arrampicandosi con una scala poteva fare questa osservazione; dal basso il visitatore poteva e può ancora oggi osservare sulla facciata il segmento dell’ombra del cerchio equatoriale e al momento del “Mezzogiorno Vero” la caratteristica ombra a croce dei due segmenti. Non è raro in questi giorni vedere gruppi di persone che osservano meravigliati questo fenomeno. Si tratta in genere di appassionati di orologi solari, gruppi di studenti accompagnati dai loro insegnanti o semplici turisti. Nel 1575 il Danti intraprese la costruzione del terzo strumento astronomico, la “Meridiana a camera oscura”, costituita da un foro praticato sulla facciata a un’altezza di 20,45 m., che proietta l’immagine solare sul pavimento interno della chiesa. L’improvvisa morte di Cosimo I nel 1574 pose fine a questo grande progetto e il Danti fu costretto ad abbandonare Firenze nel settembre del 1575, lasciando incompiuta quest’ultima sua opera fiorentina che non presentava sul pavimento la linea meridiana. Non conosciamo i motivi per i quali il Danti fu costretto a lasciare Firenze. Il Danti, trasferitosi a Bologna e in seguito a Roma, continuò i suoi studi astronomici e realizzò diversi altri strumenti fra i quali la prima meridiana in San Petronio a Bologna, ricostruita poi dal Cassini, la Torre dei Venti in Vaticano e altre meridiane. Nel 2016, dopo oltre tre secoli, il lavoro di Egnazio Danti può dirsi finalmente concluso, infatti la “Meridiana a camera oscura” è stata tracciata sul pavimento della basilica da Simone Bartolini, cartografo del Istituto Geografico Militare.
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foto di zzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzz
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storia
Müller in Toscana Ricordi di viaggio di un colto musicista di Brema (1821) Paola Ircani Menichini
Cartina dell’Italia del tempo Ritratto di Wilhelm Christian Müller
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iù ci si avvicina a Firenze, migliori diventano le persone, la lingua, la cultura del paese. Si vede gente vestita con garbo e non si è circondati da mendicanti e ragazzi furfanti. L’ospitalità è più conveniente. Le acque di montagna sono regolate e condotte tramite canali per l’utile irrigazione; vengono aperte nuove ingegnose strade e ponti; il cibo è ricco, lo aumenta il buon vino che è portato a Firen-
ze con dovizia; pesche e altri frutti nobili sono coltivati artificialmente e spesso ho notato alberi di melo, che ho visto poco nell’Italia meridionale […]”. Così annotò su Firenze e il suo distretto il musicista viaggiatore Wilhelm Christian Müller (+ 1831) in una delle Lettere agli amici tedeschi”, pubblicate ad Altona nel 18241. Di lui sappiamo che era nato a Wasungen in Turingia nel 1752 ed era stato direttore musicale e cantore della scuola della cattedrale di Brema dal 1784. L’aveva lasciata nel 1817 per intraprendere il viaggio in Europa e in Italia con la figlia Elise, pianista. Era stato soprattutto a Roma, e da qui era partito per visitare i dintorni e spingersi fino a Napoli e a Paestum. Aveva scritto agli amici un centinaio di lettere per un totale di più di mille pagine stampate. I suoi sono resoconti di itinerari particolari, di luoghi incantevoli e di visite – immancabili per un turista della cultura – a chiese, a monumenti e a ville patrizie colme di capolavori. Oltre a ciò descrive personaggi e artisti di ogni tipo, italiani e stranieri. Ma non teme di dire che apprezza la giovialità della gente di campagna e che si meraviglia del gran numero di canaglie e di mendicanti che corrono dietro alle carrozze dei ricchi e altezzosi viaggiatori. Ovvero, di pari passo, illustra un’Italia povera e disperata, aggiungendo alcune sue opinioni che oggi possono sembrare ingenerose. Attribuisce le colpe della siuazione ai cattivi preti, alla mancanza di educazione e pure al fatto che Penisola sia così tanto percorsa
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dai viaggiatori. Di mentalità “positiva”, cioè razionale come poteva essere un erudito dell’Ottocento, non può (o non vuole, tutto preso dal suo viaggio culturale) conoscere nel profondo la storia di quella nazione che allora era definita solo una “espressione geografica”. Ma è ugualmente testimone di guerre risorgimentali. Nei giorni 7-9 marzo 1821, ad esempio, mentre l’esercito degli insorti napoletani è sconfitto da quello austriaco ad Antrodoco (Rieti), registra, un poco insofferente, i passaggi delle truppe che ostacolano i viaggi e aumentano l’insicurezza sulle strade. Müller attraversò anche la Toscana, come dicevamo. Nel giugno 1821 partì da Perugia e giunse nel granducato costeggiando il lago Trasimeno. Nella prima nota descrisse il mercato della seta a Montevarchi, la locanda con l’incantevole Palmezia, giovane
sposa, che preparò per lui e i compagni pane burro e caffè a colazione. Pernottò la seconda notte a San Donato in Collina a causa della pioggia e quindi scese a Firenze, dove secondo il solito, visitò chiese e musei. Ammirò i monumenti dei grandi uomini a Santa Croce e li paragonò a quelli sempre splendidi nelle chiese di Roma di Salerno dedicati a persone miserabili e vergognose. Non gli piacquero le celebrazioni del Corpus Domini (“senza edificazione”) e neppure una corsa di bighe in stile antico nella piazza di Maria Novella fatta la vigilia di San Giovanni (23 giugno). Apprezzò invece il viaggio verso Livorno intrapreso con i compagni il 25 giugno lungo la “bellissima” strada sulla riva sinistra dell’Arno. Ricordò un’ industria locale dei cappelli di paglia, fatti con gli steli di grano, raschiati, sbiancati, divisi e intrecciati; e anche di quella delle ceramiche, modellate con l’argilla depositata dal fiume. Passò accanto a vasti campi coltivati a grano e orzo. Considerò il fatto che quasi tutta la terra appartenesse ai proprietari delle ville situate sulle alture e come tuttavia gli affittuarilavoratori fossero contenti, operosi e puliti; abitavano in belle case coloniche e non c’erano tra loro mendicanti. Poiché era un sostenitore del progresso sociale, approvò che fossero state istituite scuole nelle campagne e opinò che, in generale, la cultura più antica del paese si combinava bene al nuovo umanitarismo. Una strada a saliscendi lo sorprese dopo Empoli: segnalò nella lettera l’antico San Miniato e il “greco” Montopoli, le viti e gli oliveti, l’intera fertile valle dell’Arno con le case coloniche, ancora tanti campi di grano e prati. Scrisse di un magnifico nuovo ponte sull'Era, iniziato dai francesi e portato avanti dall'attuale granduca. Soggiornò con i compagni a Pontedera dove trovò un buon ostello. Il giorno seguente prese la strada a meridione verso Livorno: notò che passava su una diga e delle paludi prosciugate di recente e con sopra nuove costruzioni. Desideroso di apprendere e di comunicare cose sempre nuove, annotò la sorpresa sul modo di fare la mietitura: “Qui le persone hanno il curioso uso di tagliare prima le spighe di grano con una cannuccia lunga, quindi falciare la stoppia lunga 2-3 piedi (6090 cm circa) con l'erba alta come mangime per animali. Questo grano è magnifico, ma nella vicina Maremma, il granaio di Toscana, si dice che
sia ancora più bello”. Giunse quindi a Livorno dove dimorò diversi giorni. Come un turista dei nostri giorni, si arrampicò fino Montenero, la cui chiesa allora era “rivestita in marmo di tutti i possibili colori” e descrisse la piacevole pace e frescura del luogo. Assisté in città alla ripetizione della festa del Corpus Domini, facendo le dovute critiche all’ignoranza cattolica (“le cui origini, significato e scopo un italiano conosce a malapena”); comunque, per lui, a Livorno, la processione si svolse con più dignità di quella di Firenze. Un altro giorno con i compagni andò a vedere il fanale sulla scogliera e ammirò l'audacia e la robustezza della torre. Contò 230 gradini che portavano alla lanterna, illuminata con 12 doppie lampade antiche e con specchi cavi così grandi, che si vedeva la luce lontano 8-10 miglia. Osservò un temporale scuro a meridione, e trovò mirabile il contrasto con il sole al tramonto sulla superficie del mare verde acqua. A settentrione dal fanale poté scorgere tre torri di marmo del vecchio porto di Pisa. Nel porto attuale di Livorno invece contò navi inglesi, greche e americane. Müller appare, descrizione dopo descrizione, un viaggiatore lieto di aver trovato una città corrispondente al suo ideale di mondo e di modernità. Né si poteva dargli torto: Livorno allora si presentava civilissima, piena di splendide dimore, fiorente e cosmopolita. Il nostro musicista ebbe ancor maggior soddisfazione quando incontrò un giovane ebreo americano figlio di
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un mercante “di vecchia credenza”, già conosciuto a Firenze: si chiamava Abram Philipson, era nato ad Amsterdam, aveva studiato a Filadelfia e viaggiava in Europa per curiosità. Provò soprattutto il grande piacere della conversazione. Ascoltò con interesse la vita avventurosa del giovane trascorsa tra i due continenti; discusse di religione, di cristianesimo, della Bibbia commentata dai rabbini, dell’eretico Spinoza (per gli ebrei) e anche sul commercio. Si interessò in particolare a quello dei libri, genere nel quale – scrisse – Livorno era inferiore solo a Vienna. NOTE 1 Wilhelm Christian Müller, Briefe an deutsche Freunde von einer Reise durch Italien, über Sachsen, Böhmen und Oestreich 1820 und 1821 geschrieben und als Skizzen zum Gemälde unserer Zeit, Altona 1824 (mia traduzione dei brani citati).
Bartolomeo Pinelli (+ 1835), Incisione di una scena d vita quotidiana con i costumi del tempo Livorno vista da Montenero in una acquaforte del 1847
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storia
da Orbetello
un ponte sull’Atlantico
Con le onde radio, sopra le onde del mare Fabrizio Chiaramonte
Copertina del libro rievocativo.
O
rbetello, in provincia di Grosseto, può vantare di essere stato il luogo di partenza o di arrivo di quattro imprese aeree di massa degli anni Venti e Trenta dello scorso secolo: le due crociere del Mediterraneo di Francesco De Pinedo; quella Occidentale nel 1928 e l’Orientale nel 1929; inoltre le due Atlantiche: del Sud nel 1930 e del Nord nel 1933. Quest’ultima conosciuta come
Crociera Aerea del Decennale, in occasione della ricorrenza dei dieci anni dalla nascita della nostra Aeronautica militare, si svolse dal 1° luglio al 12 agosto 1933 con 24 grossi idrovolanti Savoia Marchetti S.55 X, i quali volarono a tappe da Orbetello a Chicago, con rientro a Ostia. Queste le cifre: 100 uomini di equipaggio, 13 tappe, 19.900 km percorsi, 97 ore complessive di volo. Nell’ampio panorama della letteratura sull’argomento, un recente libro illustra approfonditamente, come mai prima d’ora, le strumentazioni e le infrastrutture indispensabili a quella celebre trasvolata (Le comunicazioni radio nella Crociera Aerea del Decennale, LoGisma editore). È interessante ricordare che per la preparazione di tale impresa, all’interno dell’idroscalo “A. Brunetta” di Orbetello, era stata costituita il 25 maggio 1931 la scuola N.A.D.A.M. (Navigazione Aerea D’Alto Mare), comandata dal generale di brigata Aldo Pellegrini, che effettuò per più di due anni le attività addestrative e organizzative del personale. La preparazione degli equipaggi, che giornalmente praticavano molto sport, venne svolta con lezioni teoriche in aula e con numerose esercitazioni di volo. Ad esempio, nel solo 1932 furono effettuati a giugno i voli Orbetello - Pola - Brindisi - Augusta - Orbetello; a luglio, due voli: Orbetello - Elmas - Taranto - Orbetello; altri due voli a dicembre: Orbetello Taranto - Lero - Taranto – Orbetello. Venne anche utilizzata la nave “Alice” dell’Aeronautica: dapprima a Porto Santo Stefano per esercitazioni radiogoniometriche, poi spostandosi
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nell’arcipelago toscano per dialogare con gli apparecchi, in seguito per la pratica di attività marinaresche da parte degli equipaggi degli idrovolanti. Una delle sfide dell’impresa fu riuscire a condurre in formazione gli idrovolanti attraverso tratte dense di nebbie persistenti, in particolare la traversata dell’Atlantico da Reykjavik (Islanda) a Cartwright (Canada). Lo strumento chiave per superare la grande sfida del volo senza visibilità fu la radio, che venne utilizzata come collegamento tra gli aerei in volo, come bussola verso quelli che erano chiamati “radiofari”, cioè sorgenti emittenti di onde radio poste durante il percorso di ogni tappa, infine come servizio di divulgazione delle condizioni meteo attuali e previsionali lungo il percorso, con eventuale fornitura di percorsi alternativi in caso di pericolo. Per permettere alla radio di adempiere al suo compito, la scuola N.A.D.A.M. di Orbetello costituì, anche per mezzo di accordi con tutte le Nazioni coinvolte, l’infrastruttura della rete di telecomunicazioni e ne regolò i servizi, perché all’epoca la radioassistenza era assente nelle tratte Atlantiche. La complessa preparazione portò all’allestimento di 16 basi terrestri e 16 basi navali. Le prime furono comandate ciascuna da un ufficiale dell’Aeronautica; per le seconde fu chiesta la partecipazione della Marina, che mise a disposizione quattro unità (due sommergibili e i “drifters” Matteucci e Biglieri). La stessa Aeronautica giocò un ruolo attivo per la prima volta nella storia: fornì la sua
nave Alice, mise i suoi ufficiali al comando delle 6 baleniere noleggiate a Fleetwood nel mare d’Irlanda (Daily Chronicle, Somersby, Wellvale, Authorpe, Malaga, San Sebastiano) e i suoi avieri all’interno degli equipaggi; inoltre venne noleggiato un rompighiaccio russo (Ungava) e messe a disposizione quattro navi dal Governo danese per supporto meteorologico (Maagen, Fylla, Hvidbjorner, Island Falk). In merito ai servizi, furono normate le frequenze di utilizzo della radio a uso esclusivo della crociera e tutti i protocolli di comunicazione; furono profuse grandi energie nell’organizzazione del servizio meteorologico, basato sui servizi meteo esistenti, inoltre su tre nuovi centri meteo (Londonderry/ Valentia, Julianehaab/Shoal Harbour, New York) che si aggiunsero a quello di Roma, sugli osservatori già presenti e quelli di nuova installazione all’interno delle basi terrestri e delle unità navali. Furono ideate norme per la raccolta, l’analisi e la distribuzione delle informazioni meteo all’interno di una organizzazione gerarchica (centri meteo, stazioni principali, stazioni secondarie) e la frequenza di invio di bollettini e previsioni all’interno di tre fasi temporali distinte per ogni tappa (di attesa, di veglia, di volo). Il servizio di radiofaro venne utilizzato in maniera innovativa in quanto la presenza del radiogoniometro all’interno di ogni singolo idrovolante permise un rilevamento diretto della posizione, per cui il singolo equipaggio era autonomo nel capire la direzione e il verso delle onde della sorgente emittente. Grazie a ciò avvenne il primo
volo di massa strumentale nella storia, con una radiovia da Reykjavik a Cartwright di 2.400 Km. Dalle radio di bordo vennero scambiati molti messaggi durante il volo, con varie finalità: mantenere il volo in formazione corretta, accertarsi del corretto funzionamento dei servizi e della salute degli altri equipaggi, gratificare e incitare, segnalare pericoli meteorologici e suggerire il cambio della rotta, chiedere autorizzazione in caso di avarìa per l’ammaraggio, segnalare difficoltà e indicare le soluzioni. Orbetello non fu solamente il punto di partenza o di arrivo delle citate imprese aeree di massa, ma anche il centro nevralgico in cui venne svolta un’organizzazione minuziosa nella preparazione di infrastrutture, servizi,
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uomini e mezzi che portò l’Aeronautica italiana dell’epoca ad avere una vasta eco a livello mondiale e a tracciare, per prima, le rotte commerciali ancora oggi largamente utilizzate.
Corso di inglese. Un gruppo di futuri trasvolatori durante la lezione di inglese all'interno della Scuola N.A.D.A.M. di Orbetello, febbraio 1933 Una formazione di S.55 sorvola l'idroscalo di Orbetello nell'ottobre 1932 durante una esercitazione in preparazione della Crociera Aerea del Decennale del 1933 Il 1° aviere Francesco Chiaramonte, marconista dell'idrovolante I-RECA, durante un'esercitazione a Orbetello, nel 1932
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libri
Biblioteca
la Comunale di Peccioli Irene Barbensi
foto Archivio Fotografico Fondazione Peccioliper
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a Mediateca Comunale è stata fondata nel 2000 nel centro storico di Peccioli in Via Matteotti, in un locale di circa settanta m2, ed è nata con l’intento di favorire nel territorio le migliori condizioni per garantire il servizio di pubblica lettura e di accesso all’informazione attraverso servizi di prestito di libri, iniziative di animazione, contatti con le istituzioni scolastiche, attivazione di percorsi alternativi alla lettura e sette postazioni informatiche gratuite. Dal 2007, grazie alla gestione della Fondazione Peccioli per l’Arte, l’attività della Mediateca è cresciuta moltissimo, radicandosi in maniera sempre maggiore nella comunità favorendo lo sviluppo della lettura per tutte le fasce di età e stringendo stretti rapporti di collaborazione con le istituzioni scolastiche locali.
Il patrimonio librario è arrivato a contare quasi settemila volumi, sono stati ampliati i prestiti, grazie all’adesione alla Rete Bibliolandia e al prestito interbibliotecario, le attività e i servizi e costituite nuove sezioni: musicale grazie alla collaborazione con l’Accademia Musicale Alta Valdera, scientifico-astronomica grazie alla collaborazione con l’Associazione Astrofili Alta Valdera, di consultazione tattile di Opere in chiaroscuro (bassorilievi che riproducono fedelmente in tre dimensioni le più famose opere d’arte) e di audiolibri per utenti con difficoltà di lettura (anziani, dislessici, ipovedenti, non vedenti...). Un’attenzione costante è stata riservata all’attività di promozione alla lettura con il Bibliogioco, il Bookcrossing e gli Incontri con autore all’interno del polo scolastico pecciolese.
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Grazie a questo grandissimo sviluppo si è reso necessario destinare al luogo della cultura, della formazione e dello studio per eccellenza uno spazio più ampio e adeguato, non solo per dimensioni ma anche per la sua splendida collocazione. Nel mese di gennaio, infatti, è stata inaugurata la Biblioteca Comunale e Archivio Fonte Mazzola, Donazione Arnaldo Nesti che con i suoi quattrocento m2 ospita non solo il patrimonio librario della Mediateca ma anche la preziosa collezione del prof. Arnaldo Nesti di oltre novemila volumi, di cui seicento dedicati alla toscanità. La nuova Biblioteca ha ampliato i servizi offerti con un’estensione dell’orario di apertura, che comprende il martedì pomeriggio e il sabato mattina, con un’aula studio che si affaccia sullo splendido panorama colli-
nare che accoglie l’Anfiteatro Fonte Mazzola, con una sezione dedicata a quotidiani e riviste tutti disponibili on line, grazie all'accesso gratuito ad una speciale piattaforma di consultazione, con animazioni di lettura, laboratori e giochi per i più piccoli e i loro genitori, con corsi di scrittura per ragazzi e adulti, con le attività del Circolo dei Lettori, con un ricco programma di incontri con autori, conferenze, seminari e convegni. Inoltre, per i maggiorenni, dal mese di giugno alla Biblioteca Comunale di Peccioli è possibile registrarsi al servizio di ingresso senza operatore. Gli utenti abilitati possono accedere alla Biblioteca e frequentare la sala lettura e studio tutti i giorni, compresi i festivi, dalle 8 alle 24. La Biblioteca Comunale di Peccioli è la prima in tutta la Valdera ad aver attivato tale servizio assicurando un’offerta più ampia ed equilibrata sul territorio comunale e non solo, per andare sempre più incontro alle richieste dei cittadini e incentivare la lettura e le occasioni di socializzazione intorno al libro. Gli utenti devono fornire il proprio codice fiscale, il documento di identità e i dati anagrafici; viene assegnato loro un codice di quattro cifre da digitare nella tastierina di fianco all’ingresso. L’utente può usufruire della
struttura per studi, per navigazione internet con proprie strumentazioni e con il tablet in dotazione sulla scrivania, non è attivo il servizio di prestito di libri. Sono, inoltre, attive le telecamere di sorveglianza a circuito chiuso e le immagini registrate vengono cancellate dopo sette giorni. “Dedicare uno spazio e un tempo
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alla lettura, allo studio e alla socialità è promuovere un’idea di comunità fondata sulla cultura e l’incontro”, commenta entusiasta il Sindaco di Peccioli Renzo Macelloni, che ha fortemente voluto e sostenuto una Biblioteca libera e accessibile per tutti.
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flora
Il giardino delle Apuane
sopra queste rocce fioriscono 1784 piante diverse Gianluca Briccolani
il Monte Borla fa da sfondo a numerosi esemplari di Aquilegia Bertolonii Tra il macigno apuano vegetava una volta l’ormai quasi del tutto estinta Athamanta Cortiana
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alla pietra nasce la vita su queste bellissime rocce, sorte dal mare milioni di anni fa. In questi circa 1000 chilometri quadrati i fiori sembrano sorriderci. Il professor Elia Pegollo, impegnato per la liberazione di queste montagne dal giogo delle escavazioni lapidee, ha giustamente definito questo territorio “il giardino più rigoglioso d’Europa”. Nella catena montuosa prospicente il Tirreno si possono distinguere 1784 specie di piante diverse: il 30,1% della flora italiana (5929 specie). L’ingente patrimonio di biodiversità è prima di tutto un valore culturale. La rigogliosa fioritura è dovuta essenzialmente al clima che vi dimora, all’ampia diversificazione delle rocce che costituiscono l’anima di queste alture (calcaree e silicee) e – non meno importante – al loro posizionamento geografico: isolato e vicino alla costa. Le Alpi Apuane sono situate in una zona di transizione fra la zona mediterranea e la continentale: nei loro pendii si incontrano piante di regioni biogeografiche differenti. Basti pen-
sare che nello stesso dente roccioso è possibile trovare due specie che solitamente vivono in zone completamente diverse. Dal mare fino ai 1946 metri della vetta più alta – il Monte Pisanino – la varietà è così numerosa da avere richiamato alcuni tra i più importanti botanici del passato, giunti in questa enclave di biodiversità per studiarne il ricchissimo patrimonio floreale. Fra aprile e settembre gli interstizi dei calcari e degli scisti apuani presentano la loro accesissima “palette” di colori, così, quando anche l’ultima lingua di neve lascia il posto – anche nei pendii più a nord – al verdissimo paleo, i camminatori e gli escursionisti possono osservare la strepitosa bellezza di giunchiglie, asfodeli, gigli, genziane e rododendri; oltre a una settantina di diversi tipi di orchidee spontanee: circa un terzo di quelle italiane. Otre alla flora nostrana, nel forziere apuano troviamo specie di valore inestimabile che, adattandosi alle particolari condizioni climatiche dovute a una incredibile gamma di situazioni estreme a cui sono sottoposte, vègetano esclusivamente in questa ristretta e fragile area: sono gli “endemismi”, cioè la presenza esclusiva e caratteristica di piante che vegetano soltanto in questa piccolissima parte di mondo. Quelle classificate fino a oggi sono circa una trentina: l’ultima arrivata in ordine temporale è l’Orobanche Apuana, pianta parassita di un altro più caratteristico endemismo la Santolina Leucantha. Le specie endemiche, comunque soggette sempre ad una forte discontinuità data dalla presenza di aree di
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cava intercluse nei confini del Parco, sono presenti in maggior numero alle quote più elevate potendo beneficiare di un sicuro isolamento ecologico e di una minore antropizzazione. È il caso della “esclusività” floristica Centaurea Montis-Borlae. Questo meraviglioso fiordaliso di color rosa vivo tendente al violaceo, può essere considerato il re di tutti gli endemismi apuani in quanto il suo areale vegetativo è limitato a due ristrette porzioni di territorio alle pendici del Monte Borla e sullo spigolo est del Monte Sagro. Queste rarità dovrebbero essere protette – perché molte rientrano nella lista rossa delle specie minacciate – ma di fatto le pendici delle sopracitate vette, vengono giornalmente erose dall’estrazione del marmo. Stesse criticità le troviamo al Passo della Focolaccia, un ex importante valico ora declassato al rango di cava e abbassato di ben 85 metri rispetto a come Madre Natura l’aveva creato. Qui l’impatto antropico è stato talmente insistente da stravolgere l’intero habitat di alcune popolazioni vegetali, tra cui la più famosa era l’Athamanta Cortiana, un endemismo che un tempo viveva soltanto in questo ristrettissimo areale. A riprova del fatto che l’escavazione all’interno di un Parco Naturale è in antitesi con stessa filosofia di protezione che lo ha istituito, sono stati condotti studi scientifici mirati a evidenziare quelle aree dove si hanno le maggiori biodiversità. Manco a dirlo è risultata essere la zona nella Pania della Croce – dove sono stati avvistati addirittura ben 20 endemismi diversi – ad un’alti-
Fiore e frutto della meravigliosa Biscutella Apuana Ha la somiglianza di un calice di buon vino il fiore della Silene Pichiana È la Centaurea MontisBorlae l’endemismo con l’areale più ristretto di tutte le Alpi Apuane
tudine media di 1432 metri sul livello del mare, ma soprattutto in un perimetro non interessato da aree di cava. Un altro gioiello apuano, che con più fortuna resiste, è la meravigliosa Silene Pichiana, una erbacea perenne che fiorisce in giugno e luglio formando cespugli alti fino a 15 centimetri. Sua peculiarità sono i fiori con un calice tubulare molto allungato e nervature rubizze. Le specie saxifraghe invece sono piante molto tenaci che vivono nelle fessure delle rocce talvolta spaccandole. In Apuania ne vivono circa una dozzina di cui la più caratteristica è la Saxifraga Aizoides che nella variante Atrorubens vegeta soltanto sulle Alpi Apuane. È una pianta perenne ma difficile da individuare; il fusto non supera mai i 20 centimetri di altezza, con numerose foglie carnose. Da giugno a ottobre sbocciano i fiori, i cui petali variano dall'arancio fino al rosso purpureo.
L’Aquilegia Bertolonii invece – della famiglia delle ranuncolaceae – non passa inosservata, sia per il colore azzurro-violaceo del suo fiore a cinque petali che per la particolarissima coda dotata di altrettanti speroni che ricordano il rostro dell’aquila. L’impatto visivo è talmente sublime da aver ispirato il poeta J.W. Goethe che gli dedicò i seguenti versi: Bella si erge l’aquilegia e china il suo capo. È emozione? O è spavalderia? Voi non lo indovinate Pochi sanno che esistono ben due piante carnivore esclusive di questa magica catena montuosa, che rispondono al nome di Pinguicula Apuana e Pinguicula Mariae: vegetano sulla roccia di calcare dove c’è acqua che sgocciola e dalla pagina delle proprie foglie riescono a nutrirsi di piccoli insetti. Quando vi si posa un inset-
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to, questo resta “incollato” da una sostanza prodotta dalle ghiandole della pianta, che, successivamente, le digerisce. Si scambia facilmente per una semplice viola, in quanto, da maggio a luglio, porta in alto un solo fiore di color viola scuro. La Biscutella Apuana è un’erba perenne, il cui fusto, lungo dai 20 ai 40 centimetri, si ramifica in alto in numerosi fiorellini gialli e frutti dalla forma a doppio scudo (da qui il nome generico). Fiorisce tra maggio e giugno negli erbosi rocciosi tra i 200 e i 1300 metri di quota e, in quanto ad alto rischio d’estinzione, è una specie a protezione totale. Purtroppo anche gli alberi non sono esenti da questa consapevole distruzione: la bellissima faggeta che adorna il fianco est del Pizzo d’Uccello viene giornalmente diminuita a causa dell’estrazione dell’“oro bianco” nella verdeggiante Val Serenaia, di origine glaciale. Per fortuna, in questa piccola catena montuosa possiamo trovare eccellenze che, pur tra mille problemi, offrono anche a quanti non possono avventurarsi oltre una certa quota, la loro proposta didattica. Una di queste è l’Orto Botanico “Pellegrini-Ansaldi” che da oltre cinquant’anni valorizza le specie vegetali più rappresentative di queste montagne: esso si trova su di un dente roccioso – attrezzato con percorsi guidati – a 900 metri d’altitudine in località Pian della Fioba nel Comune di Massa. Nella natura siamo solo ospiti ed è un vero delitto privarla di un seppur minimo esemplare soltanto per soddisfare il nostro egoismo. Ricordiamoci che nella selvaggia bellezza delle Alpi Apuane è importantissimo non lasciare nostre tracce.
Una comune formica si arrampica sulla Saxifraga Aizoides Particolare dei piccoli insetti di cui si nutre la Pinguicula Apuana Foto di Gianluca Briccolani
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cartolina
MAGICA ITALIA Carmelo De Luca Carlo Ciappina
Villa Olivo © copyright Villa Olivo Cuneo © copyright Archivio fotografico ATL del Cuneese" Sagra a Cuneo © copyright Archivio fotografico ATL del Cuneese"
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ra cheto Adriatico e vetusti monti, le Marche proteggono quel patrimonio culturale conosciuto dal turismo per borghi racchiusi tra sorprendenti bellezze naturali, dove la quotidianità si nutre di tradizioni leggibili nella preservata architettura antica. Così, bella come non mai, Ascoli Piceno rifulge nelle sue rilevanze trovanti apogeo in Piazza del Popolo, groviglio monumentale dominato dalla romanica cattedrale. Anche altrove, il cuore non si duole perché palpita per Gradara. Borgo fortificato dominato dalla Rocca, le sue intatte vestigia raccontano intrighi passionali dei nobili Malatesta, dove Paolo e Francesca consumano quel tragico amore immortalato dal sommo Dante. Papalina per antonomasia, Loreto ammalia per essere edificio sacro fortificato, custode delle Santa Casa Mariana costellata da rilievi sansoviniani. Sulla costa, il candido Conero si riflette nell’acqua cristallina, creando un riverbero dai mille luccichii. Questa terra ospita anche
San Marino, nobile stato sovrano arroccato sul Monte Titano tra mura merlate, paradiso di bellezze artistiche, musei, lusso per modaioli. Altre mete blasonate riecheggiano nella mente, richiedenti meritato soggiorno, magari in una dimora con servizi esclusivi: Villa Olivo splende in luce passante da grandi vetrate incastrate tra bianche mura mediterranee. Sei camere luxury si affacciano su quel nobile paesaggio dominato dalla medievale Civitanova Alta. L’illuminazione naturale risalta arredi magnifici con tanto di letto artigianale king-size, tessuti ricamati, pavimento in legno. Bagni in pietra naturale e cemento lucido vantano accessori in acciaio spazzolato, ma l’elemento acqua sovviene una magnifica piscina del rigoglioso giardino e la Spa, rilassante paradiso trovante supporto nella vasca Jacuzzi, sauna svedese, doccia emo-
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zionale di acqua profumata, bagno turco. Rituale sofisticato, desinare in villa è una goduria per palati esigenti, che vanta tre sale da pranzo e bel terrazzo dove gustare raffinate ricette preparate nell’accessoriata cucina artigianale con isola autoportante ma, qualora amiate l’ozio vacanziero, uno chef privato sopperirà alla lezioni gastronomiche tenute nella dimora! A nord ovest, Langhe Monferrato Roero ammaliano per essere affascinante paesaggio viticolo UNESCO, la cui storia è gelosamente custodita al museo WIMu ospitato nel sontuoso Castello Falletti. Qui, onirici abitati profumano di Barolo, Barbaresco, Barbera, Spumante e Moscato d’Asti, nettari generati negli scenografici vigneti collinari sfoggianti in autunno accese tonalità impressioniste, inebrianti ravioli, agnolotti, carne cruda, formaggi DOP, Tartufo Bianco d’Alba,
pomposamente celebrato durante due celebri Fiere, ed invitanti dolci con Nocciola Piemonte IGP. A supportare tanta bontà, un patrimonio culturale ragguardevole racconta luoghi francigeni trovanti nell’Abbazia di Vezzolano apoteosi romanica, contendendo primato ai favolosi castelli, tra cui Grinzane Cavour ne rappresenta un’icona, vanitoso nella possente pianta quadrata con mastio, sei torri minori, museo etnografico ma, nel cospicuo elenco, Serralunga d’Alba ostenta il donjonese castello medievale, mentre Govone rimembra trionfi barocchi plasmanti decorazione, affreschi, stanze cinesi, peculiarità condivise con Guarene, ora diventato lussuoso hotel a cinque stelle. La vicina Cuneo, incastonata tra due fiumi, risplende in scenografia alpina. Angioina, sabauda, francese, la città racchiude armoniosamente tutte queste anime nella opulenta architettura storica. Piazza Grande coi suoi portici medievali è il cuore pulsante cittadino, sede di uno storico mercato, originante Via Roma abbellita dal Duomo, più volte rimaneggiato nei secoli. L’impianto prevalentemente barocco con cupola trova supporto nella imponente facciata neoclassica sorretta da slanciate colonne corinzie, ma la strada è un susseguirsi di rilevanze archi-
tettoniche chiamate Chiesa di San Ambrogio, Santa Croce, Palazzo Comunale ricco in saloni affrescati ed un imponente lampadario di cristallo, la trecentesca Torre Civica. Agli amanti del bel gotico si consiglia Piazza Virginio col monumentale complesso di San Francesco,
gioiello architettonico ospitante collezioni archeologiche e etnografiche, ma la suggestione emanata da Contrada Mondovì sbalordisce per essere ricca in botteghe artigianali e luogo caro agli ebrei grazie alla splendida sinagoga che svetta su altre rilevanze artistiche.
Langhe - Monferrato - Roero © copyright Davide Dutto, Archivio Ente Turismo Langhe Monferrato Roero
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progetto Reality
QUANDO IL RISPETTO PER GLI ALTRI NASCE DA UN SORRISO
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empre più spesso gli individui tentano di difendere il proprio ruolo cercando faticosamente di essere quello che faticosamente hanno costruito fino a quel momento, tralasciando tutto ciò che li circonda e lasciando spazio ad arroganza, maleducazione, rancore, rabbia. In un mondo sempre più aggressivo, arrogante e insensibile la gentilezza si rivela una risorsa vincente, una forza rivoluzionaria in grado di cambiare il mondo, capace di tenere unite le persone imparando a rispettare e a vivere meglio con se stessi e con gli altri. Lapi Group per il prossimo triennio porterà nelle scuole medie del comprensorio “Mr GU” acronimo di Gentilezza e Umorismo. Obiettivo del progetto è far riflettere i ragazzi sul potere della gentilezza per rafforzare i legami, far sfumare le tensioni, rendere felici chi li riceve. Insomma la gentilezza trasmette amore!!! La gentilezza sarà veicolata attraverso l’umorismo perché spesso il modo più semplice per capire alcuni concetti è allontanarsi dalla realtà ed indossare una maschera potentissima: un naso rosso. Sarà sufficiente indossare un naso rosso, non parlare e lasciare spazio all’ascolto, all’affiorare delle sensazioni e delle emozioni. Seguiteci su Facebook “Progetto Giovani”
Il Comitato "Progetto Giovani" Gruppo Lapi
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economia
Concerie
zero immissioni di C02 in atmosfera grazie alle fonti energetiche verdi AC
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razie alla loro scelta stanno abbattendo del 100% l’immissione di CO2 in atmosfera rispetto a quando utilizzavano fonti tradizionali di approvvigionamento energetico: sono le concerie del Gruppo d’Acquisto energia elettrica promosso dall’Associazione Conciatori che hanno iniziato ad usare esclusivamente energia verde, prodotta al 100% da fonti rinnovabili, idro-elettrico ed eolico, come certificato dal gestore nazionale di energia elettrica. Si tratta di sette concerie che giovedì 19 settembre hanno ricevuto nella sede dell’Associazione Conciatori un apposito riconoscimento con la consegna dei certificati di eccellenza green Estra, l’operatore di energia che sta seguendo questo progetto. Con i rappresentanti dell’Associazione Conciatori e di IPGS Energy, che fornisce il supporto tecnico per il Gruppo d’Acquisto energia elettrica, erano presenti i sindaci dei Comuni dove hanno
sede le 7 concerie che hanno aderito al servizio: Giulia Deidda per Santa Croce sull’Arno, Gabriele Toti per Castelfranco di Sotto ed Alessio Spinelli, primo cittadino di Fucecchio. La quantità di C02 che non si immette in atmosfera grazie al nuovo sistema di approvvigionamento corrisponde a quella prodotta in un anno da circa 4679 famiglie di 3 persone in media: nel confronto tra le attuali fonti verdi che vengono usate in questo sistema e le precedenti, l’immissione di C02 viene abbattuta del 100%. «L’Associazione Conciatori conferma il suo impegno concreto nell’attuare e incentivare, insieme agli altri attori del distretto, strumenti e pratiche in grado di consolidare ed accrescere l’impegno per una concia eco-compatibile e responsabile. L’approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili si inserisce pienamente in questo contesto, e ha un valore ancor più rilevante in un mercato e in una società che oggi sono giustamente sempre più sensibili verso la tematica ambientale». Solo lo scorso luglio è stato rinnovato l’EMAS di distretto, che ha ribadito anche per il triennio in corso l’avanguardia del distretto conciario di Santa Croce sull’Arno sotto il profilo della sostenibilità ambientale, adesso questo nuovo riconoscimento nell’uso responsabile di fonti rinnovabili che nei prossimi mesi coinvolgerà anche altre aziende, oltre alle concerie che fin qui hanno aderito, e che sono: BCN Concerie, conceria Benvenuti, conceria Bertini Franco 1972, conceria San Lorenzo, conceria Victoria, conceria INCAS, conceria F.lli Rosati. «L’attenzione all’ambiente – dice
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Monica Casullo direttore generale di Estra Energie – rientra nelle strategie del gruppo Estra, e auspichiamo che i nostri clienti, soprattutto quando sono imprese, ci scelgano per la convenienza ma anche per il valore aggiunto che possiamo offrire, risposte immediate alle esigenze produttive. In un mondo che cambia velocemente come quello dell’energia, essere al passo con i tempi è fondamentale». Il parere dei sindaci presenti all’evento Giulia Deidda: «Ancora un segnale importante nella direzione della sostenibilità ambientale che in questo distretto registra un impegno concreto in grado di coniugare i risultati di impresa con l’attenzione verso l’ecosistema a vantaggio dell’intera collettività consolidando il distretto di Santa Croce sull’Arno come un modello di riferimento per il comparto». Gabriele Toti: «Il Distretto del Cuoio rappresenta un’eccellenza dal punto di vista produttivo ma anche ambientale. L’attenzione dedicata alla sostenibilità e alla circolarità da parte delle nostre industrie non ha paragoni a livello internazionale. Come amministratori di questo territorio non possiamo che affiancare e sostenere l’impegno quotidiano che le aziende conciarie investono nell’eco sostenibilità». Alessio Spinelli: «Vogliamo continuare a sostenere strategie in grado di far crescere l’intero distretto nell’interesse della sua collettività: sull’esperienza di quanto già è stato fatto guardando al futuro e valorizzando le migliori pratiche industriali che sinora hanno contribuito a rendere la concia toscana un modello mondiale».
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20° Reality
industria
Gruppo Valiani una nuova sfida Margherita Casazza
Da sinistra verso destra abbiamo: Rocco Cipriano (Titolare Lube Multiservice S.r.l.), Claudio Bacci (Titolare Toscomeccanica S.r.l.), Alessandro Valiani (Socio Gruppo Valiani), Stefano Guarise (Amministratore Delegato Forch S.r.l.)
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bbiamo incontrato, presso lo Showroom del Gruppo Valiani, il socio Alessandro Valiani che ci ha illustrato e presentato gli ospiti di questa fiera espositiva di escavatori e pale gommate Hyundai e Takeuchi. «Oggi siamo qui, per far conoscere agli intervenuti questo nuovo settore del service che nasce per portare il Gruppo Valiani, oltre che nel settore degli autocarri pesanti e leggeri, anche nel mercato dell’assistenza ad escavatori e pale gommate delle Case Costruttrici Hyundai e Takeuchi. Il Gruppo Valiani vuole offrire il Service anche a questo settore degli escavatori e delle pale gommate che operano
nella parte tirrenica della Regione Toscana. Per il nostro Gruppo è questa una nuova sfida, che nasce dalla volontà di integrare i servizi che già offriamo anche con quelli specifici dei veicoli per il movimento terra, per i rifiuti, per la cantieristica e per il settore industriale in genere. Per poter offrire questo servizio ad un alto livello, il Gruppo Valiani, ha stretto una collaborazione con partners importanti del settore, fra questi la TOSCOMECCANICA Srl, azienda specializzata nella vendita di veicoli per movimento terra, pale meccaniche, ruspe, importatori e rivenditori del prodotto HYUNDAI e TAKEUCHI per il territorio toscano.
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Un settore, questo, aperto a molte attività legate anche agli impianti di rifiuti, stoccaggio, cantieristica varia ed industrie in genere. Il Gruppo Valiani, per questa joint venture, ha messo a disposizione la propria struttura di Service, le proprie professionalità e le attrezzature tecnologiche, mentre la Società TOSCOMECCANICA Srl, ha messo a disposizione la propria rete commerciale e la propria esperienza per le attività di vendita e noleggio di questi veicoli con una presenza commerciale ramificata e importante sul territorio toscano». Presente per la TOSCOMECCANICA Srl il Direttore Commerciale per la Toscana della Casa Costruttrice HYUNDAI, Gabriele Papi che ha dichiarato: «casualmente tramite un fornitore comune siamo venuti a conoscenza di questa realtà e alla proposta di Valiani abbiamo aderito a questo progetto, mettendo a disposizione la nostra competenza ed esperienza commerciale». Continua Valiani Alessandro: «Inoltre, sono state strette altre due collaborazioni importanti e proficue, la prima con la società FORCH Srl, azienda tedesca specializzata nell’accessoristica, nei materiali di consumo, nelle attrezzature, presente da oltre cinquant’anni su tutto il territorio italiano e in 28 paesi europei dove commercializza e fornisce attrezzature e materiali di consumo direttamente alle aziende del settore meccanico, cantieristico e del settore delle carrozzerie». In rappresentanza dell’azienda FORCH Srl era presente l’amministratore delegato Stefano Guarise che ha dichiarato: «Noi siamo già fornitori del Gruppo
Valiani e abbiamo aderito con orgoglio a questa joint venture». «L’altra azienda entrata a far parte di questo team di professionisti è la LUBEMULTISERVICE Srl, azienda tecnologicamente all’avanguardia per la realizzazione di impianti automatici e personalizzati di lubrificazione per veicoli industriali.» Presente per la società LUBEMULTISERVICE Srl l’amministratore unico Rocco Cipriano che ha dichiarato: «Siamo una realtà aziendale giovane con esperienza ventennale e quest’avventura per noi è un modo per rafforzare il nostro impegno in questo settore». Continua Valiani Alessandro: «Tutte queste aziende, insieme, offriranno un nuovo servizio di assistenza e manutenzione ai veicoli del movimento terra, della cantieristica, dell’industria in genere e dei rifiuti. Il nostro Gruppo, negli ultimi tre anni ha inserito nuove professionalità, nuove competenze ed ha ampliato anche il numero degli addetti con nuovi servizi all’avanguardia, in primis per il settore autocarri leggeri e pesanti, ad alto valore aggiunto ed innovativi, per diventare sempre più punto di riferimento per le aziende di trasporto e del movimento terra della parte tirrenica della Regione Toscana. Il Gruppo Valiani, infatti, offre un qualificato, affidabile e veloce servizio di assistenza e manutenzione alle aziende di trasporto e del movimento terra delle provincie di Massa Carrara, Lucca, Pisa, Livorno, Grosseto e quel-
le di Pistoia, Prato e Firenze. Un obbiettivo raggiunto per il settore dei trasporti, ed oggi con questo nuova proposta legata al movimento terra, allarghiamo veramente i nostri servizi, a un settore in forte crescita e molto importante per l’economia locale. Oggi è il quarto evento che realizziamo quest’anno presso il nostro Showroom, per portare a conoscenza del mercato i servizi svolti dal nostro Gruppo. Il primo evento è stato realizzato ad aprile ed ha riguardato le infrastrutture legate al trasporto su strada per creare, nel distretto industriale di Santa Croce sull’Arno, un Truck Village (area di sosta attrezzata) per autocarri sia in transito che in attesa di carico-scarico presso le concerie. Il secondo evento che si è tenuto a
maggio ha riguardato l’allineamento degli assi e delle ruote, servizio che il Gruppo Valiani offre da sempre e a cui tiene molto, vista l’importanza di allineare gli assi e le ruote per una maggiore sicurezza stradale. Il terzo evento è stato realizzato a giugno con un convegno sulle nuove regole per la guida ed il riposo dei conducenti dei mezzi pesanti. La nostra intenzione sarà di proseguire per informare il mercato della Regione Toscana, dei nostri servizi tramite l’organizzazione di nuovi eventi e di altre fiere espositive». Il Gruppo Valiani insieme a Toscomeccanica Srl, Forch Srl e Lubemultiservice Srl Vi ringrazia e Vi aspetta per una visita.
Da sinistra verso destra abbiamo: Filippo Valiani (figlio di Massimo Valiani), Massimo Valiani, Alessandro Valiani, Marco Valiani, Aristotele Valiani (figlio di Alessandro Valiani) Fiera espositiva escavatori e pale gommate presso showroom Gruppo Valiani
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Regione Toscana
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Schedulatore Produzione Touch Screen Gestione della pianificazione dei lotti da produrre, colorati in base allo stato di lavorazione, tramite l’uso di un calendario interattivo Touch Screen. Visualizzazione di tutte le informazioni aggiornate del lotto: ordini collegati, grezzo, capitolati, test laboratorio, non conformità, etc Visualizzare grafici e tabelle sullo stato di occupazione delle macchine e dei terzisti esterni coinvolti nel ciclo di lavorazione
Production Box Rilevazione e controllo dei tempi e del piano di produzione con identificazione del lotto tramite tecnologia RFID HF o lettore di codice a barre Ricevere informazioni sul lotto da lavorare, su eventuali impostazioni da settare sulla macchina, sulle misure da verificare sul prodotto, note di lavorazione, osservazioni di qualità Selezionare il tipo di lavorazione e il ruolo degli operatori da effettuare sul lotto Può essere collegato al macchinario per ottenere i dati direttamente dai PLC
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intevista Reality
by
Ruffini
PRENDETE IL MIO SOLLETICO
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l convegno “Come lei vede il mondo” tenuto a Firenze e coordinato da Franco Cracolici e Massimo Mori, vedeva tra i relatori anche la partecipazione dello stilista Guillermo Mariotto mostrandoci un’anima sensibile, tenera e fortemente religiosa. Interessanti e coinvolgenti i dibattiti ma «Dio e Donna iniziano con la stessa lettera» ci ha incuriosito parecchio quando sul palco con il consueto modo canzonatorio, parlando a ruota libera, è salito Paolo Ruffini alternando alte dosi di discernimento, a momenti di forte ilarità. Da tempo l’attore livornese sensibile anche al mondo del disagio, ha capito che la disabilità spesso e volentieri niente ha a vedere con quella mentale, tanto che con il libro “La sindrome di App”, parla della felicità raccontata dalle persone con la sindrome di Down. Ed è sulla madre che egli verte molto il suo pensiero, poiché se i padri lasciano, le mamme accudiscono ancora più i figli, supplendo persino al ruolo genitoriale mancante. «Perché siamo tutti figli e non genitori! Il punto fermo della vita è la mamma, lei che addolcisce e intenerisce come un carezza, quella cosa cristallizzata nel positivo e negativo che ci accompagna». «La positività. Fondamentale per vivere meglio con noi stessi e gli altri. Questo deve valere per tutti: malati e sani in quanto studi specifici hanno visto che la tranquillità mentale ha un ruolo decisivo nell’allungamento della vita. Il lavoro che faccio lo sapete - prosegue - ….sarò anche un fabbricante di cavolate, già! Però sempre meglio che rubare, giusto? Eppoi sti ‘social’ ormai dappertutto, ebbene, mi sento più sociale che social e ne sono fiero!»
Immancabili dal folto pubblico le domande sull’universo femminile nonché polemiche sul ruolo della donna-oggetto . «Rispondo citando Arbore, già Arbore fine intellettuale accanto alle ragazze coccodè, e ancora Smaila col suo “Colpo grosso”. Se facessi io tali programmi, senz’altro,verrei lapidato, i tempi sono cambiati... Moana Pozzi certamente non camminerebbe più nuda negli studios, fatto sta cari miei che l’ironia è fondamentale nella vita e questo l’hanno sempre insegnato i grandi pensatori. Dal canto mio rimango un fedele assertore che la fragilità femminile è da proteggere e che se niente è pari! In quanto i down non sono esseri speciali e la parola poverino/poverina per favore banditela! Perché a me non piace proprio!» Scrosciano gli applausi mentre egli termina osservando che la volgarità ha molte sfaccettature - mamma mia i tipi tutti affettati che giudicano, alla larga! - e che la libertà è indipendente dal vestito indossato o non indossato. Con fare guascone poiché è tutto meno che perbenino osserva d’essere un disubbidiente ‘livonnese’ deh...e come gli garba! Saluta tutti mentre scendendo dal palco: “Scusate e non vi ho fatto molto ridere: in cambio prenderete il mio solletico! È il momento delle foto prima dell’intervista, ne faccio parecchie mentre lui chiede a quelli accanto chi sono. Gli rispondono: “una giornalista” e lui col suo essere monellaccio sfidante...”per me te sei più una paparazza!” Il ghiaccio è rotto mentre mi racconta d’un amico che lavorando a teatro con i down... «ho provato anche io pensando che tutti quanti potessero diventare attori. Lo spettacolo è diventato poi un
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film documentario e poi un libro.» Ciò che fai fa più bene a loro o a te? «A me!» - E risponde secco. Queste persone dopo come si sentono? «Non male... sarebbe una cosa da killer, non sono certamente un dispotico nazista che sfrutta l’energia positiva delle persone per nutrire se stesso! Mi guarda a mò di pena tuttavia prosegue: Non posso certificare la benevolenza su di loro, però, personalmente, ho assistito a risultati incredibili come quell’autistico con difficoltà emotiva nell’approccio all’abbraccio, alla fisicità; grazie a questo percorso sono migliorati non tanto, bensi tantissimo. Il teatro è una cosa meravigliosa.» Ti vedo accanto a persone che si occupano di medicina olistica, anche tu... «No, però la cosa m’incuriosisce.» Si avvicina l’amico Marco, un buffetto alla sua guancia: «Lo sto instradando io, consigliandogli anche buoni integratori.» E allora dicci della tua alimentazione. «Direi piuttosto scellerata.» Sai anche te che il cibo influenza la nostra psiche. «Lo so, proprio per questo mi piace essere scellerato.»Ma non è un controsenso ciò che dici? «Controsensi e paradossi esistono come l’abbandono che considero un valore della vita. Apollineo e Dionisiaco sono parte di noi stessi, bisogna consumarli, coltivarli e collimarmi.» Ho capito. Capito del suo pizzetto mefistofelico, ciuffo ‘ritto’ in punta, mani inanellate, braccialetti a volontà, collanine girocollo. Mi ricorda Lucignolo che cozza di continuo coi buoni e cattivi sentimenti. Un motto recita che la vita non deve essere noiosa. Paolo Ruffini ne ha fatto tesoro.
Carla Cavicchini
Sabrina Chiellini
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el cuore di Pontedera, nella centrale piazza Martiri della Libertà, la gioielleria Fassorra, rivenditore autorizzato Rolex, è uno dei negozi storici della Città della Vespa, in provincia di Pisa. Fondata nel 1930 da Ario Fassorra, aveva sede in via Roma e dal 2012, con l’attuale gestione affidata a una imprenditrice che lavora nel settore da molti anni, si è trasferita in una zona più vicina al centro storico. La gentilezza e una vasta gamma di firme della gioielleria oltre che dell’orologeria ne hanno fatto nel corso degli anni uno dei
negozi di riferimento per una vasta clientela. Professionalità assoluta, massima cura per il cliente: non è uno slogan ma il biglietto da visita della gioielleria. Negli oltre 250 metri quadrati in cui si sviluppa il negozio, si possono trovare le novità della collezione Rolex (il rapporto di collaborazione con il prestigioso marchio è nato all’inizio degli anni Settanta). Fassorra è anche rivenditore autorizzato di Tudor, Longines, Philip Watch, Scuderia Ferrari, Wintex Milano, Wdg, Fani, Oro Trend, Queriot, Trollbeads, Rue des Mille, Roberto
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De Meglio, Arte Cuoio e tanti altri. Andando nella gioielleria di Pontedera si può dunque trovare un vasto assortimento di gioielleria, oreficeria, argenteria e pelletteria. La proprietà è orgogliosa di fare parte della rete globale di rivenditori autorizzati Rolex, i soli a poter vendere Rolex e a effettuarne la manutenzione. Competenza, preparazione tecnica e attrezzature esclusive ci consentono di certificare l’autenticità di un orologio e di assistere il cliente per tutta la durata della garanzia internazionale di cinque anni che accompagna l’orologio. La collezione viene presentata sul sito del negozio ma i clienti possono contattare la boutique per prendere un appuntamento con lo staff specializzato che potrà consigliare il cliente e aiutarlo nella scelta. Da Fassorra si possono trovare anche Rolex di secondo polso, solo autentici e con relativa documentazione che ne certifica l’originalità. E in caso di assistenza vengono utilizzati solo pezzi di ricambio originali. Luminose e grandi le vetrine del negozio, la gioielleria dispone di salottini privati in cui accogliere i clienti e dove può mostrare tutte le creazioni, in un’atmosfera accogliente. Le vetrine sono uno dei punti di forza del negozio, con un allestimento accattivante che mette in risalto la bellezza di gioielli e degli oggetti preziosi. Le linee di gioielli in vendita, creazioni in oro bianco, giallo e rosa, sono caratterizzate dall’uso di pietre certificate sempre di otti-
ma qualità e vengono presentate in modo da incuriosire la fantasia dei clienti, spesso con abbinamenti cromatici. Nelle ricorrenze, come Natale, Pasqua o San Valentino, i clienti sanno che possono trovare allestimenti e scenografie a tema. Per tutti gli articoli in vendita sia orologi che anelli, collane, braccialetti o altri gioielli, la boutique cura il confezionamento dei regali con packaging contraddistinto dal proprio logo su carta e nastri. Sono possibili anche acquisti on line. Il negozio dispone anche di vetrine virtuali sui propri canali social. Lo staff di Fassorra è formato per seguire il cliente nella scelta di un regalo, cercando di capirne i gusti per poi proporre il regalo giusto.
Gioielleria Fassorra srl Pontedera - Piazza Martiri della Libertà, n.17 Telefono: 0587 292846 Orario di apertura: dal martedì al sabato, 9.30-13; 16-20 Giorni di chiusura domenica e lunedì
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intervista
GIOVANNI RICASOLI-FIRIDOLFI dall’XI secolo viticoltori nel Chianti
Domenico Savini
Il barone Giovanni RicasoliFiridolfi indossa il "robone" e le insegne di Capitano Generale della medioevale Lega del Chianti (New Press Photo - Firenze)
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iovanni Ricasoli-Firidolfi è nato a Firenze, ma il suo luogo dell’anima è il Castello di Cacchiano (di cui è proprietario): una storica costruzione del X-XI secolo, eretta dai suoi antenati nel territorio di Gaiole in Chianti. Da allora, e fino ai nostri giorni, i Ricasoli-Firidolfi hanno continuato a produrre, con dedizione, i prodotti tipici della Toscana: l’olio e il vino. È questa una tradizione che lo scorrere del tempo non ha interrotto e il barone Giovanni ha continuato, inserendosi nella gestione dell’azienda dal novembre del 1983.
La sua attività professionale si è svolta e si svolge principalmente nell’ambito del settore vitivinicolo, olivicolo e agrituristico ricettivo, legato, appunto, al territorio chiantigiano. Dalla fine del 2004, il barone Giovanni ricopre l’incarico di Presidente della Libera Associazione Agricoltori Senesi (L.A.A.S.), affiliata alla Confederazione Italiana Liberi Agricoltori, quarta rappresentanza sindacale degli agricoltori a livello nazionale, di cui è anche Presidente regionale toscano. Ricopre dall’ottobre 1998 altresì la carica di Capitano Generale dell’antica istituzione medioevale fiorentina Lega del Chianti (oggi Lega del Chianti – Onlus). Essa riprende le orme dell’organizzazione militare fondata nel XII secolo per iniziativa della Repubblica Fiorentina che aveva il compito di amministrare il territorio del Chianti e di difendere i suoi confini meridionali dagli attacchi nemici. Ovviamente oggi non sono più i compiti militari e amministrativi a caratterizzare la sua attività, ma piuttosto il ruolo morale e culturale. Detta carica ha durata settennale e gli è stata già rinnovata due volte. Il barone Giovanni Ricasoli-Firidolfi è consigliere d’amministrazione della Federazione Internazionale delle Confraternite Bacchiche con sede a Parigi, inoltre ambasciatore per l’Italia dal gennaio 2001. Quando elenca i suoi traguardi professionali e umani, il barone si anima, per lui ogni conseguito dovere è diventato anche un piacere, e se
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una pianta si riconosce dal fiore, basta questa fioritura di cariche e di impegni per comprendere quanto siano animate le sue giornate. Dal luglio 2003 al giugno 2005 è stato presidente del Consorzio Marchio Storico - Chianti Classico (già Gallo Nero), poi fuso per incorporazione nel Consorzio Vino Chianti Classico, di cui è stato Consigliere d’Amministrazione dal maggio 1997 al maggio 2015. Lo ritroviamo Consigliere d’amministrazione del Consorzio Olio Colline del Chianti Classico dal 1989 al 2006 trasformatosi poi in Consorzio Dop Chianti Classico dei quali è stato vice presidente dal luglio 1998 al febbraio 2006. E continua, narrando di sé e di questi numerosi impegni, che non sono soltanto onorari. Ognuno richiede tempo e dedizione, alla quale non si sottrae, molto di sé sacrificando. Davanti a questo elenco, che ci sembra oneroso per dovizia di responsabilità, mancano altri tre affidi: il barone Giovanni è stato consigliere del Consorzio Terre del Chianti dall’aprile 2001 all’ottobre 2007; presidente dal novembre 2001 al febbraio 2008 della Fondazione per la Tutela del Territorio del Chianti Classico – Onlus, infine consigliere d’amministrazione dell’associazione Amici dei Georgofili dal luglio 2001 al 2017. Al sempre cordiale barone Giovanni Ricasoli-Firidolfi, bisogna infine rivolgergli due domande di circostanza, eppure essenziali: Signor Barone, come recupera tutta l’energia così saggiamente dispensata a tutela del bene comune? Pra-
tica sport, legge, ascolta musica?... Credo di poter affermare che è tutta questione di sapersi organizzare. Infatti, è basilare organizzare al meglio il proprio time-table della giornata e della settimana in base agli impegni che si è assunti. Poi, l’entusiasmo nel portarli avanti è la ricetta. Inoltre sono stato educato a considerare parte della propria vita dedicata agli altri nella tutela e valorizzazione del bene comune, senza mai approfittarne, e quanto è più semplice farlo per un territorio magnifico e antropizzato da secoli come quello del Chianti dove sono cresciuto e lavoro dalla mia giovinezza? Farlo poi con quella onestà intellettuale e dedizione nella comunità in cui si vive per contribuire al suo sviluppo è sicuramente il massimo. Quando ero più giovane avevo il tempo di fare sport (tennis e sci), oggi con tutti gli impegni mi godo la vita campestre con mia moglie Ginevra con belle passeggiate, ammirando così lo charme che i bei paesaggi chiantigiani ci propongono in tutte le stagioni dell’anno. La mia lettura preferita è quella sull’arte e sulla storia, tant’è che quando posso rientro in città, a Firenze, per visitare interessanti mostre, per esempio quelle in Palazzo Strozzi, o a rivedere i musei che ho visto da piccolo e che ho piacere di riscoprire con gli occhi di oggi, quelli della maturità. Amo molto la musica classica e l’opera, tant’è che con mia moglie siamo abbonati da anni al teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Essendo un cattolico praticante, e parlando sempre del bene comune, non è da sottovalutare – nonostante il lavoro nel campo familiare e aziendale – anche il tempo dedicato invece al proprio prossimo, in questo caso ai cristiani o ai progetti dei cristiani in Terra Santa, una comunità – quella cristiana – che sta vivendo una fase molto critica di sopravvivenza nella terra evangelica dov’è nata, dov’è morto e dove è risorto Gesù Cristo. Ho infatti ricoperto ruoli di alta responsabilità – sia a livello locale che nazionale – dal 2000 circa in poi fino al 2018, nell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, un ordine cavalleresco di sub collazione vaticana. Un incarico prestigioso ma molto oneroso in termini di tempo
da dedicare e di responsabilità verso la Santa Sede. Un’ultima, inevitabile ma confortante domanda. Come si presenta, almeno nel Chianti, la vendemmia 2019 e la raccolta dell’olio? Oramai siamo in piena vendemmia in Chianti e posso affermare, avendo parte del raccolto già in fermentazione in cantina, che è una bella annata. Le uve sono sane e stanno producendo dei mosti molto belli che creeranno degli interessanti vini Chianti Classico. Qui al Castello di Cacchiano la produzione di uva quest’anno non è stata abbondante... poca ma eccellente. Dunque ci sono tutti gli elementi per produrre un grande vino Chianti Classico. Attendiamo, invece, ancora qualche settimana per capire come si prospetta la campagna olivicola, che però sembrerebbe scarsa nella quantità. Il barone Giovanni Ricasoli-Firidolfi parla del suo “mestiere” con la semplicità, l’esattezza, l’orgoglio e la modèstia con cui un muratore parla del suo fabbricare e un contadino del suo atàvico vangare e potare.
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sport
un bronzo tutto toscano Ada Neri
Asia Macelloni con la medaglia di bronzo
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rande risultato arriva dalla bellissima città di Bratisava dove si è svolto l'VIII Campionato Mondiale WUKF di karate dal 20 al 23 Giugno 2019. Asia Macelloni, classe 2002, ha conquistato la Medaglia di Bronzo nella specialità Kumite (combattimento) categorie Cadetti oltre 60 kg. 23 atlete provenienti da ogni parte del mondo si sono date battaglia in una gara molto dura e Asia ha dovuto sostenere svariati scontri vincendoli tutti prima della fine del tempo regolamentare per approdare alla semifinale contro una forte atleta della Nazionale Rumena e solo una decisione arbitrale molto dubbia le ha tolto la possibilità di lottare per la medaglia d'oro. Gli incontri hanno una durata di 2 minuti e gli atleti, suddivisi per età e peso, si affrontano in un combat-
timento dove il fine non è mettere ko l'avversario ma riuscire a portare tecniche al corpo con la massima precisone, velocità e soprattuto con controllo. Ogni contatto ritenuto eccessivo viene infatti sanzionato con delle penalità. Vince chi, o al termine del tempo, ha fatto più punti o chi arriva a totalizzare 6 punti prima dello scadere. Asia si allena da circa 6 anni presso il dojo Yama Arashi di Pontedera insieme alla sorella Giulia sotto l'attenta supervisione dei Maestri Alessandro Trolese, Nicola Giusti, Matteo Bigini e del padre Marco Macelloni che cura il settore kumite in palestra e ultimamente come coach della Selezione Nazionale FEDIKA (Federazione Italiana Karate e Affini). Atleta di indubbio talento Asia riesce con grande sacrificio a far com-
YAMA ARASHI
Via Lavagnini, 4 56025 Pontedera 0587 56281 Aperta tutti i giorni dalle ore 18.00 www.yama-arashi.net
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baciare gli impegni scolastici con la costanza degli allenamenti. «Ci siamo confrontati con i migliori a livello mondiale - racconta Asia - e questa medaglia ripaga tutti i sacrifici fatti per arrivare fino a qui. Mi aspettano altri impegni importanti che affronterò con lo stesso impegno e dedizione di sempre. Ringrazio la mia famiglia e i miei maestri che mi seguono costantemente». Della spedizione italiana hanno fatto parte anche altri atleti della palestra pontederese e tutti hanno centrato una medaglia mettendo in evidenza l'alto livello della Yama Arashi che ormai da anni è una delle realtà più importanti nel campo delle3 Arti Marziali italiane. La competizione slovacca ha fatto segnare un record di presenze, con oltre 2300 atleti di ogni età provenienti da un gran numero di nazioni.
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intervista Reality
Federica Pellegrini una sirenetta tutta veneta
È
la nuotatrice italiana che ha vinto più titoli! Nonché una delle poche europee capace d’aver battuto i record mondiali in più d’una specialità. Tosta, la bionda veneta quando nel 2009, durante i Campionati Mondiali di Roma, fu la prima donna del mondo a scendere sotto i quattro minuti nei 400 metri dello stile libero. Ed eccoci ai giorni odierni, quando la divina, a Gwangju, lo scorso luglio, ha vinto la medaglia d’oro nei 200 metri stile libero ai Mondiali di Nuoto. Una forza della natura questa Wonder Woman, consacrando il quarto oro iridato alla sua carriera mentre raggiante confessava ai microfoni di non aver immaginato la vittoria. «Vittoria però arrivata e quindi va bene così!»
E questo dopo aver risucchiato le avversarie e averle inghiottite come spaventate pescioline. A Empoli dopo essere stata invitata alla piscina comunale ed essersi fatta centinaia di selfie coi suoi fans, mentre gridavano «Fede, Fede», partecipò alla 25° edizione del meeting Città di Empoli, organizzata dalla Tnt. E fu proprio alla autoconcessionaria Scotti di Viale Togliatti - sponsor dell’evento - che candidamente confessò il primo impatto con l’acqua da piccolissima, meglio ancora, da neonata. «Un amore a prima vista, sfociato poi in passione. Il resto lo conoscete. Chiaramente prima delle gare sono molto presa, bandendo tuttavia i rituali. Sconfitte, qualche tonfo... beh, fa parte del gioco
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Carla Cavicchini
io però insisto mettendoci tanto impegno e soprattutto resettando il passato. Nuota che ti passa, ed è vero, poiché a me personalmente scarica molto nonostante sia una cosa avvenuta per caso. Perché mia madre nuotava a livello amatoriale, mentre mio padre invece in acqua... è un vero e proprio piombo!» Quali sono i valori che ti ha insegnato tale disciplina sportiva? «Lealtà verso l’avversario, determinazione, e tanta diligenza anche quando la voglia è poca. Capita.» Insomma, questa bella olimpionica varie volte ci ha quasi intimiditi nel voler di continuo terminare la carriera ed invece regolarmente, con un colpo di coda maestrale da modus-sirenetta, ci ripensa, regalandoci continuamente splendide performance acquatiche.
20° Reality
moda
Pierre Cardin Giampaolo Russo
leggendaria icona della moda
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ouse of Cardin, prodotto da Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection, è un omaggio alla leggendaria icona della moda che si racconta a tutto tondo attraverso materiale inedito, interviste televisive, filmati d’epoca, fotografie e testimonianze di chi l’ha conosciuto personalmente. Il docufilm ripercorre i passi di un genio che ha rivoluzionato la moda internazionale e che continua a far parlare di
sé. Pierre Cardin, nato Pietro Cardin, italiano di origini e trasferitosi a Parigi nel 1945 è stato il Primo sarto della maison Dior e pioniere della minigonna in passerella, colui che ha inventato nel 1961 il prêt- à-porter e il “new look”, precursore di molte altre tendenze nel campo dell’alta moda, e non solo. House of Cardin mostra la vita e le creazioni di un mito della moda, compiendo un vero e proprio viaggio nel tempo all’interno del suo archivio personale. Ricordi, memorie e racconti si uniscono alle interviste esclusive a personaggi come Naomi Campbell, Jean-Paul Gaultier e Sharon Stone, per raccontare uno stilista che, alla soglia dei 97 anni, non smette ancora di stupire. Milioni di persone conoscono il logo iconico di Pierre Cardin ma pochi conoscono la vita e il percorso umano e professionale di una delle icone mondiali della moda e del design. Il documentario diretto da P. David Ebersole e Todd Hughes vuole rispondere alla domanda: chi è
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Pierre Cardin? Qual è la storia dietro questa icona leggendaria? House of Cardin racconta la vita di Pierre Cardin attraverso gli archivi personali, a cui nessuno mai aveva avuto accesso completo. Una vera impresa ricostruire una vita di 97 anni in 97 minuti di film. Pierre Cardin è stato il primo stilista francese a sfilare sulla Grande Muraglia cinese, per cercare di unire culture e persone diverse attraverso il linguaggio universale della moda. Cardin è stato un vero pioniere, compreso l’aver voluto per primo mannequin orientali o di colore, come sottolinea Dionne Warwick. Nel film ci sono le testimonianze di Naomi Campbell, Alice Cooper, Dionne Warwick, Kenzo, Hanae Mori, Jean Michel Jarre, Sharon Stone, Philippe Starck, Jean Paul Gautier. Personalità che a vario titolo hanno condiviso momenti di vita con il grande stilista. Emozionante la parte del documentario in cui viene ricordata la grande attrice Jeanne Moreau, molto legata a Cardin, e il rapporto con André Oliver, prematuramente
scomparso nei primi anni Novanta e che lascerà lo stilista con un grande rimpianto. Negli anni Ottanta, Pierre Cardin decise di acquistare il famoso ristorante Chez Maxim, simbolo della ristorazione parigina tra rue de Rivoli e la Chiesa della Madeleine, e nel film viene raccontato l’episodio in cui lo stilista venne lasciato fuori dal ristorante perché indossava uno smoking e un dolcevita bianco senza camicia e senza cravatta. Cardin, senza colpo ferire, si è comprato Chez Maxim. «Sono sempre stato schietto e sincero. Non si può piacere a tutti, l’importante è piacere a sé stessi. Se non mi si ama, non importa, preferisco amare gli altri». A portare avanti la multinazionale dello stile di Pierre Cardin sarà il nipote Rodrigo Basilicati Cardin, il suo erede “artistico”. Rodrigo infatti, oltre ad una formazione come matematico, ha studiato fin da piccolo pianoforte ed ha coltivato una passione per il teatro, tanto da aver prodotto lo spettacolo di teatro musicale Dorian Gray. Rodrigo,
che nel passato si era occupato del Palais Lumiere di Porto Marghera, segue da molti anni la parte degli accessori, le licenze, il design ed il teatro. In qualche
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maniera rappresenta il volto nuovo di Pierre Cardin, continuando però a coltivare la vecchia passione dello zio per l’arte e lo spettacolo.
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moda
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oda delle eraviglie
libertà assoluta contradistingue autunno-inverno 2019/20 Federica Farini
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MODA DONNA ognuna la sua tendenza in totale indipendenza. La stagione fashion autunno/inverno 2019-2020 dice sì alla comodità di linee e tessuti, arricchendosi di ispirazioni anni Settanta - nelle proporzioni ridotte di giacchette di velluto, golf e camicie striminzite, accompagnate da jeans skinny - e Ottanta, con microvestiti a volant, velluto, spalline e cinture importanti (Louis Vuitton). I colori: Dal caramello, al cammello, passando per beige e cuoio (Michael Kors). Ma anche toni forti, monocromatici o combinati: il colore acceso domina nel total block marcato dal cappotto all’abito, da calze a stivali, per una ventata di energia e ottimismo. - Viola: sì abbinato a contrasto (con il rosso per Tom Ford), o sfumato nelle sue differenti tonalità (per Valentino), immancabile diktat della stagione - Blu: zaffiro, ceruleo, carta da zucchero, elettrico (Giorgio Armani, Balmain, Missoni, Dries Van Noten) e denim/ nero (Dior) - Rosso: ciliegia, carminio e laccato (Tory Burch, Chanel), passione pura in Alexander McQueen - Giallo (per un prolungamento di estate) e arancione (Carolina Herrera) - Verde: bandiera, bottiglia, oliva, giada, smeraldo e neon (Saint Laurent, Givenchy) - Bianco: da regina delle nevi a sportiva, il bianco totale illumina e irrompe come un fulmine incontenibile - Black&White: il binomio contamina le fantasie come pied de poule, optical, pop o negli smoking di Ermanno Scervino, Gucci e Biagiotti
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- Grigio monocromo o in leggera nuance I look: - Cuoio e pelle (anche di colore shock come rosso e arancio): la cow-girl si trasforma in femme fatale con camicie, gonne, bluse, blazer, shorts e pantaloni in pelle (Tod’s). Il look si fonde con pezzi classici e bonton distaccandosi dai trend di bikers e rockers - Vernice: trench e borse - effetto borghese: bon ton mai noioso in abbinamento ad accessori a contrasto - Militare per tute, parka e pantaloni cargo - Maschile/boss, con pezzi rubati dal guardaroba di lui - Scozzese: anche a base rosa e verde - Tweed: affascinanti note maschili - Animalier: leopardato, tigrato (Max Mara), zebrato o giraffato - Cristalli, paillettes, glitter e logoma-
nia (Philosophy e Bottega Veneta) per abiti e accessori - Piume colorate e fiocchi - Ricami, applicazioni floreali e pizzo (Miuccia Prada) in punk e dark: borchie e anfibi abbinati a ricami e merletti per un effetto gotico Must have: - Jumpsuit, in versione workwear chic - Tappezzeria: preziosi broccati, spesso floreali, abbinati a calze e camicie e dalle sfumature barocche e/o liberty (Dolce & Gabbana) - Plaid (Dior) e trapunte imbottite anche per accessori da sera, pantaloni e persino scarpe - Corsetteria e bondage, il grande ritorno rivisitato dal sapore vintage futuristico (Versace) - Denim for ever - Gonna! A ruota, a vita alta, mini, in pelle, a pieghe o plissettata, scozzese Capispalla: - Piumini extralarge e sportivi (magari rosa shocking) abbinati a semplici outfit total black e scarpe basse (Balenciaga) - Cappe di ogni lunghezza (tinta unita o fantasia) - Blazer a spalline imbottite e giacche con maniche a sbuffo/palloncino… per un look 80 for ever! - Utility jacket dalle linee essenziali e comode, con numerose tasche (e dettagli sexy come inserti di pizzo) - Cappotto lungo oversize da abbinare a gilet, pantaloni ampi, cappelli a falda larga e lunghe collane di perle o pietre. In versione teddy bear: cap-
potto dalle forme morbide come un orsetto! Accessori: - Cappello a tesa larga, media e con veletta (Dior), un tocco di classe anche su outfit più informali. Immancabile firma della stagione! - Guanti lunghi, anche su look più maschili, per un tocco di eleganza accattivante e femminile - Doppia borsa: la borsa maxi ed extra slim si sovrappone a una mini bag - Il gilet da portare sotto la giacca (insieme alla cravatta) - Stivali mon amour: in particolare stivaletti con tacco e plateau in pelle e vernice (dark anni 70, 80 e 90) - Anfibi e sneakers a volontà! MODA UOMO Se il diktat della stagione A/I 20192020 vede lo stile maschile streetwear sempre sulla cresta dell’onda – sportychic con piumini anni Novanta, sneakers (Valentino e Louis Vuitton con modelli estremamente geometrici) e
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scarponcini, passando per il sandalo Birkenstock indossato con il calzino (Valentino) – le tendenze assistono al ritorno di un look classico e semplice, elegante e mai ostentato, che recupera dai vecchi guardaroba completi iperclassici e blazer (Dolce & Gabbana) in tweed, Principe di Galles, quadretti e tartan (Cucinelli, Boggi, Brioni e Zegna con abiti sartoriali). I tessuti sono pregiati: lana, cotone, denim, nylon tecnici e pelle. Bomber e giubbini vengono accostati a cappelli di feltro e pullover (Versace provocante nei colori shock), in stampe anni Ottanta e tinte fluo con fantasie a fumetto (Prada, Burlon e Valentino). Il velluto a coste vive in giacche e accessori vintage (Zegna e Dolce & Gabbana). I trench sono slim e leggeri, così come le camicie, di colori neutri, a riportare ordine tra gli eccessi di altri dettagli più smodati. Per i più modaioli? Il mix di cinture (Prada), l’immancabile borsa (Louis Vuitton e Fendi) e coppole In lana (Emporio Armani).
20° Reality
musica
Luigi Puccini
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onosco da tempo Stefano Stacchini e non solo per le sue creazioni di poesia visiva tra le quali come coautore in due importanti esposizioni alla biennale d’Arte di Venezia dell’allora direttore Vittorio Sgarbi. Lo incontro di nuovo oggi dopo qualche anno dal suo muro di Banksy a Cascine di Buti che per dimensioni e suggestione notturna merita veramente una visita. Stefano sei ancora un poeta? Poeta! Visivo intendo. È curioso indagare sulla definizione di poeta per estrarne il titolo di chi della poesia fa una professione. Nessuno mette in dubbio che Leopardi, per dirne uno, fosse e rimanga un poeta. Quindi il conte Giacomo di Recanati poteva a pieno titolo stamparsi un biglietto da visita con su scritto poeta, e magari lo ha fatto. Per contro dubito seriamente che presentandosi possa mai aver detto piacere Giacomo Leopardi poeta. Ingegnere, scrittore, pittore, attore e via di seguito non provocano nessun imbarazzo a presentarli come propri titoli professionali. Poeta sì. Forse perché a conoscenza della definizione di poeta data da Manzoni? “Poeta... vuol dire un cervello... un po’ balzano, che, ne’ discorsi e ne’ fatti, abbia più dell’arguto e del singolare che del ragionevole “. Ha! Ha! Scherzi a parte, forse perché si tratta di un titolo troppo autoreferenziale, anche quando è riconosciuto, che descrive caratteristiche di sensibilità
e superiorità emotive rispetto agli altri, oltre che di abilità espressive, connaturate e non acquisite, come può esserlo invece un titolo di studio, o una competenza conseguita a “bottega” presso un maestro. Sta di fatto che definirsi poeta resta una barriera insormontabile anche disponendo del più latente senso del pudore. Dai su! Lo sei! Tu lo dici. Disse una volta un autorevole personaggio. Ma siccome nella vita si può essere poeti senza esserlo esclusivamente, vengo al dunque, e scavalcando ogni possibile imbarazzo di attribuzione, voglio parlarti di alcuni poeti che operano in ambiti dove raramente verrebbero riconosciuti tali e dove mai, gli stessi, così si definirebbero. Siccome ne faccio parte anche io, parlando di un gruppo diluisco un po’ la mia alterigia. “BaSta - associazione di idee” che cura, promuove e idea arte a 360 gradi, nella sua attività creativa di ShowArt, ha curato il 16 agosto 2019 per “TEAM-O” una iniziativa in ambito musicale di cui queste foto che ti mostro danno testimonianza. Un concerto musicale vedo. Con quale apporto tuo? Al tempo. Testi poetici di Gloria Bardi, musicati poeticamente dal giovane compositore Luca Felice, interpretati divinamente dalla cantante Greta Dressino in arte NOMA, eseguiti da musicisti di assoluto valore, Claudio Cinquegrana, Luca Felice, Francesco Olivieri, Giancarlo Gilardi e con il corredo scenico immaginifico mio. Dieci tavo-
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le in una serie dal titolo “in vitro vanitas”. E per non alzarmi in piedi taccio Pier Luigi Rosso, vocal coach. Si tratta semplicemente di un concerto? La risposta è no se si vanno a considerare le diverse forme di poesia in esso espresse. Poesie perché elementi creativi individuali ad alto contenuto emozionale collegati tra loro da un costrutto intenzionale di fusione estetica. Una operazione di ShowArt, Art che mostra altre Arti e diventa Arte essa stessa nel momento in cui le assembla in un corpo ulteriore, se ricordo bene la tua, diciamo, “poetica”? Sì, e di questa ShowArt ti voglio dire qui di due delle dieci rappresentazioni che l’hanno composta perché riguardanti due assolute eccellenze toscane, non perché ne abbiano loro bisogno, ma per riconoscenza alla rivista Reality che ci ospita e che di toscanità artistica è una elegante vetrina. Amedeo Modigliani livornese e Margherita Hack fiorentina. Ascolta questi due brani e leggi con attenzione i testi.
NOMA - Greta Dressino con Luca Felice
MARGHERITA, LE STELLE, I GATTI Firenze, Novecentoventidue Costellazione dei gemelli l’Arno che guarda indifferente Il tempo scorre sulla pelle. Eschilo, Ovidio ancora aperti sopra al banco Abbandonati per la guerra Quando, si sa, l’umanità si regge a stento Alle pareti della terra. Come brillano le Pleiadi Tra le stelle più volubili Maya Elettra Alcyone Asterope… Com’è schiva invece Andromeda Che si lascia appena scorgere Mentre fugge Aldebaran Vezzosa tu non sei mai stata Come lo sono le bambine Le spalle larghe dell’atleta La stretta forte della mano E non importa se ti chiami come un fiore Hai le radici rovesciate Lassù ci sono tante luci da guardare Nelle galassie inesplorate. Ecco Orione che ribalta La clessidra del suo tempo Cacciatore d’anni luce. E poi Castore e Polluce Con Alhena contrapposta Guardi il cielo e il cielo tace. La bora soffia a Trieste I gatti stesi sul divano Tu senza Aldo che faresti? Lui che ti tiene per la mano Mentre ti perdi coi capelli spettinati le mani senza le preghiere Tra la purezza degli spazi sconfinati Di risplendenti chimère? E poi Castore e Polluce Con Alhena contrapposta Guardi il cielo e il cielo tace. È la sua sincerità. E poi Castore e Polluce Segno astrale di una vita Ogni stella, Margherita, Al mattino se ne va.
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Pagina accanto NOMA - Greta Dressino e Luca Felice in Estate e Valerie
MODÌ Città di pirati Livorno, diceva mia madre, ma dove ci sono i pirati di certo c’è il mare e io amo il mare, amo i porti, le navi corsare e amo i presagi, gli odori della perdizione. Non devi seguire quell’uomo, diceva mio padre, lui è maledetto nel nome, negli occhi, nel cuore, ma amo gli artisti che sanno ritrarre il dolore e amo i suoi baci, i suoi morsi di carne e passione. Oh, Maudit Modì… La tua pittura, Maudit Modì, mi fa paura ma resto qui. Maudit Modì. Parlato: Nell’Atelier di Rue de la Grande Chaumière, a Montparnasse, nel 1917 c’era l’odore dell’olio di lino. Inebriante. Lui aspettava seduto sul letto. E io mi toglievo i vestiti. Uno dopo l’altro.
In Vitro Veritas - Stefano Stacchini La nevicata del 56
Viviamo nascosti nell’ombra, a sorsi d’assenzio, tra fumo e bestemmie la tosse t’inciampa nei denti. Io resa gelosa in eterno dai tuoi tradimenti. E so che la morte, rivale, ti porterà via. E dopo le grida, le smanie mi pesa il silenzio. Vorrei non averti incontrato e ti voglio incontrare, sentire il tuo fiato sugli occhi, ti voglio toccare. E voglio ingoiare coi baci la tua malattia.
Rit: Oh, la vie la vie… Sia maledetta, la vie, la vie. Mi marca stretta, pretende un sì. Io non la voglio la vie, la vie. Parlato Nell’atelier di Rue de la Grande Chaumière, in Montparnasse, nel 1920 c’era ancora l’odore dell’olio di lino. Nauseante. Lui tossiva riverso nel letto. E io aprivo scatole di pesce. Una dopo l’altra. Rit: Oh, cherie cherie… Stringimi al petto, cherie cherie. Da maledetto, prendimi qui. Un bell’imbroglio, cherie cherie. Oh, Maudit Modì… Mi lascio andare, Maudit Modì. Anche stavolta ti dico sì. Prendimi al volo, Maudit Modì. Oh, chérie chérie… Che fregatura, la vie la vie, e la pittura, Maudit Modì. Che fregatura, Paris Paris.
La pioggia di marzo
Le musiche non sono in grado di condividerle in questa intervista ma segnalo il link: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=255066774 8355890&id=1230358140386864 https://www.facebook.com/1230358140386864/posts/ 2550670275022304/ Dei testi in effetti si può apprezzare la musicalità intrinseca e la poesia di rigore storico. So di un Archivio legale Modigliani a Parigi e dell’Istituto Italiano Amedeo Modigliani. Potrebbero essere interessati in occasione del centenario della morte di Modigliani del prossimo anno. Ci hai pensato? Yes sir. Da noi contattati con il brano e un monologo teatrale su Jeanne Hébuterne, la donna di Modigliani suicida subito dopo la morte di Amedeo, con entusiasmo ci hanno messo in calendario nelle loro future iniziative. Stefano fammi chiudere alla tua maniera. Dimmi qualcosa che stimoli un pensiero. TEAM-O ha già in cassaforte altri omaggi poetici musicali dedicati a “donne in arte&scienza” tra cui Maria Callas, Simonetta Vespucci e Mia Martini che sono in attesa di completare un concept album contenutisticamente coerente. Ma per ritornare al tema, Autori, Compositori, Cantanti, Musicisti, Visionari, Fotografi, Scenografi, Tecnici del suono, Tecnici delle luci, sono tutti poeti potenziali ma senza la targa d’ottone sulla porta e ovunque li vorrete trovare cercateli dentro le poesie. Grazie
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musica
Chopin Fryderyk Franciszek
il compositore per pianoforte per antonomasia Roberto Lasciarrea
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opo avervi parlato dell’empolese Ferruccio Busoni, desidero presentarvi l’autore che più di tutti è amato dagli appassionati di musica classica, Fryderyk Franciszek Chopin, il cui nome francesizzato si tradusse in Fréderic Françoise Chopin. Era nato a Zelazowa Wola, (Varsavia), il 22 febbraio 1810, un comune rurale a 46 chilometri dalla capitale polacca, una frazione di Sochaczew, in quello definito lo stato Ducale di Varsavia, decisamen-
te polacco, istituito da Napoleone Bonaparte. Chopin morì a Parigi, il 17 ottobre 1849. È considerato il compositore per pianoforte per antonomasia. Fryderyk, fu il secondo genito della famiglia e l’unico maschio. C’è una discordanza fra il registro parrocchiale dei battesimi che riporta la data di nascita del 22 febbraio 1810 e la famiglia che festeggiava il compleanno del grande musicista il I marzo. Ebbe tre sorelle: una maggiore, Ludwika Chopin Jędrzejewicz (1807-1855), oltre alle due sorelle più piccole, Izabella Chopin Barcińska (1811-1881) ed Emilia, morta a soli 15 anni (18121827). Nell’ottobre 1810, la famiglia Szopen, si trasferì a Varsavia. Il padre divenne insegnante di francese presso il Liceo di Varsavia. Questi suonava il flauto e il violino, mentre la madre impartiva lezioni e suonava il pianoforte. Fryderik si esibì nel 1817 con le prime prove di composizione. In quell’anno compose due polacche (in sol minore e in si bemolle maggiore). La sua composizione, dopo le suddette due polacche, fu la polacca in la bemolle maggiore del 1821. Fu l’anno successivo che si esibì pubblicamente. Nel 1823 (a tredici anni) inizia gli studi di composizione con Elsner. Il nostro giovane talento sin da ragazzo era di esile corporatura e di salute cagionevole. Aveva cominciato a soffrire di una tosse incessante. Oggi si potrebbe tranquillamente affermare che si trattasse dell’inizio di una forma di tubercolosi polmonare come ebbe a dire Jean Cruveilhier, il patologo francese che assistette
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Chopin negli ultimi mesi di vita. È del 1829 il primo viaggio a Vienna, per tornarvi l’anno successivo. A seguito della repressione russa della Rivolta di novembre (1830), si trasferisce a Parigi, per tornare, definitivamente, nel 1831 nella capitale francese. Non rivedrà mai più la sua Varsavia. A Parigi conobbe i maggiori musicisti dell’epoca: da Rossini a Cherubini, da Liszt a Berlioz. Fu molto richiesto come insegnante, concertista e compositore, ma ciò che sconvolse il Maestro fu l’apprendere che l’ideale delle sue passioni giovanili, Kostancja Gladkowska, si era sposata verso la fine di gennaio del 1832. Il tempo aiutò Fryderyk. Così, durante un ballo, fu offuscato da una signora con i capelli neri. Si trattava della contessa Delfina Komar Potocka, moglie di Mieczyslaw, magnate di Tulckyn, da Chopin intimamente chiamata Findelka. Gli studiosi non hanno la certezza di quanto sia durata questa relazione, fra questa dama dotata di grande temperamento e il grande Maestro. È certo che il Concerto n.1 in fa minore op.21 è dedicato alla signora Delfina (1836). Finito questo amore, Chopin pensò seriamente al matrimonio. L’occasione giunse quando C., di ritorno da Parigi, si fermò a Dresda dove, occasionalmente incontrò dei vecchi conoscenti di Varsavia, i Wodzinski con la figlia Maria, con la quale Chopin aveva giocato a lungo nell’infanzia e che era decisamente una signorina da marito. Anche questa romantica parentesi non ebbe buon fine. La famiglia Wodzinski aveva
accettato di buon grado l’ormai tenera amicizia fra i due giovani. Così, l’anno successivo, Chopin dopo aver trascorso alcuni giorni in una casa di cura a Marienbad, incontrò tutta la famiglia amica, con la quale trascorreva gran parte delle giornate. Non aveva però il coraggio di fare il passo decisivo, ma alla fine chiese alla signora Wodzinska la mano di Maria. Era, come scrisse lo stesso Chopin sull’ora grigia del crepuscolo. Tutto sembrava andare per il verso sognato dal compositore, anche se erano state dettate alcune condizioni: che il matrimonio avvenisse dopo un certo periodo e, naturalmente, con il consenso del padre della giovane. Si parla anche di un paio di pantofole che Maria gli spedì a Parigi. Chopin, in quel periodo d’infatuazione, era euforico, tanto che il suo spirito di compositore, mai sopito, gli fece ricamare lo Studio in fa minore, op.25. Peraltro aveva scritto delle lettere che mai osò spedire a Maria: erano lettere dense di sensualità, per il timore di disgustarla e di suscitare scandalo, nell’ambito della sua famiglia. Del resto certe notizie, non del tutto rasserenanti, relativamente allo stato di salute del Maestro, erano giunte in casa Wodzinscki e lo spirito del matrimonio velocemente svanì. Così, fallito il matrimonio con Maria Wodzinska, anche la sua salute già provata, subì un ulteriore tracollo che però non durò troppo a lungo. Lei si chiamava Aurora Dudevant. Aveva scelto lo pseudonimo maschile di George Sand e fu una famosa romanziera francese. Si erano conosciuti nel dicembre 1837: la prima impressione del nostro compositore fu: Ho conosciuto una grande personali-
tà, la signora Sand, ma il suo viso antipatico non mi piace. È in lei qualcosa di ripugnante. Inoltre c’era un’altra cosa che non piacque al Maestro: il fatto che indossasse abiti maschili, oltre a fumare grossi sigari! Non è tutto. Lo urtavano le sue pose teatrali demoniache. Al contrario Chopin piacque molto alla Sand. maggiore di lui di sei anni era molto intraprendente nelle questioni amorose. Non mi addentro in certe storie che ho studiato circa il fragile maestro. Con George Sand trascorsero alcuni anni insieme. Trascorsero anche l’Inverno nel Nord dell’isola mentre in Spagna, Chopin iniziava la sua ultima battaglia. La salute del Maestro diveniva ogni giorno più precaria, così da amante la Sand si trasformò in un’affettuosa paziente amica-infermiera. Non sopportava più nessuno, era capriccioso, aveva raggiunto 45 chilogrammi di peso. Anche perché a quel primo anno, se ne aggiunsero altri due, sempre nel monastero di Valdemosa, ambiente che non fece che aggravare lo stato di salute del malato. . Nel 1847 Chopin non andò, come era stato negli anni precedenti, a Nohan, ma rimase a Parigi, dove un certo giorno vide George Sand. Quella fu l’ultima volta che i due s’incontreranno. Eccoci all’epilogo. La povertà iniziò a bussare alla porta di casa. Il grande compositore si vide costretto a vendere i mobili più preziosi un tempo regalategli da ammiratori. Vi fu una signora scozzese, si chiamava Jean “Jane” Wilhelmina Stirling, che in forma anonima fece recapitare al Maestro 25.000 franchi, franchi che furono inviati alla portiera del palazzo dove abitava Chopin, che certo si
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guardò bene di consegnarli all’interessato. Fu grazie a un telepata che si giunse a rintracciare la somma. Saputo chi li aveva mandati, il grande pianista rifiutò ritornandoli a miss Stirling. Né alcuno dei suoi vecchi, benestanti, amici (per modo di dire) mosse un dito per aiutarlo. Unico sollievo fu l’arrivo della sorella Ludwika Chopin Jędrzejewicz nell’agosto. A lei, il nostro compositore, chiese di trasferirsi in un bell’appartamento in Place Vendome, che fu trovato al numero 12. Nei primi giorni di ottobre si capì che la fine era imminente. Dieci giorni durò l’agonia di Chopin, che spirò all’alba di quel triste 17 ottobre 1849. La funzione religiosa si tenne due settimane dopo la sua morte, partendo dalla chiesa della Maddalena al cimitero Père Lachaise. Il corpo del Maestro era stato imbalsamato. Riposa sotto le zolle di terra della sua Patria, prese dalla coppa offertagli all’indomani della partenza dalla sua Polonia, il 2 novembre 1830. Sul letto di morte espresse il desiderio che almeno il suo cuore trovasse sepoltura a Varsavia. Il suo volere fu rispettato. Così l’organo della vita sarà trasportato segretamente e murato in una colonna della navata centrale della chiesa di Santa Croce a Varsavia. Sul marmo ai piedi della colonna furono scolpite le parole “Gdzie skarb twòj, tam i serce twoje” ovvero “Dove è il tuo tesoro, là è il tuo cuore”.
foto di zzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzz
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musica
1969 un “Maggio” memorabile Roberto Mascagni
Maurizio Pollini Wilhelm Kempff Rudolf Serkin Wilhelm Backhaus
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’è un festival nel festival, compreso nel calendario del Maggio Musicale Fiorentino, giunto alla XXXII edizione, di cui quest’anno ricorre il 50° anniversario. Il programma prevedeva, dopo il rituale inizio con la lirica (2 maggio 1969, Aida diretta dal trentatreenne Zubin Mehta, scene e costumi del principe Enrico d’Assia). Si configurava come un’affascinante rassegna di “antiche” glorie del pianoforte ancora attive, quale l’atteso ritorno di Wilhelm Backhaus, dopo un forzato silenzio dovuto a una grave malattia, e il ritorno del giovane ma già affermato Maurizio Pollini. Il pianista tedesco, insuperabile interprete di Beethoven, era atteso, come possiamo immaginare, con febbrile aspettativa. La serata fu organizzata in collaborazione con gli Amici della Musica di Firenze. Presente alla manifestazione Marcello de Angelis, un giovane critico musicale che avrebbe firmato il suo primo articolo su «l’Unità» del 5 maggio 1969: «Oggi Backhaus, a ottantacinque anni suonati, non finì di sbalordire per la sua eccezionale freschezza e vitalità e per quel suo modo di interpretare il testo musicale senza ricorrere a facili effetti di un virtuosismo fine a se stesso, ma facendo della tecnica il solo mezzo per arrivare a cogliere le emozioni
più profonde della materia musicale». Tra i brani in programma interamente dedicato a Beethoven, ricordiamo la Sonata n. 26 Les Adieux. Marcello de Angelis ricorda: «Per una triste circostanza, fu questa una delle ultime apparizioni pubbliche di Backhaus perché, trascorsi appena due mesi, sarebbe mancato in Austria, dopo un concerto. La sua presenza acquistò un significato che mi emoziona ancora». Di non minore importanza, l’altro solista, il boemo Rudolf Serkin (classe 1903). Marcello de Angelis ricorda, di Schuberth, una strepitosa esecuzione della Sonata in do magg., eseguita con lirica purezza, incantando il pubblico. Sempre di Schuberth, la Sonata n. 13 op. 120, e per finire le celebri 33 variazioni Diabelli di Beethoven. Anche Serkin concesse un bis. Ancora una presenza di eccezionale prestigio quella di Wilhelm Kempff (nato nel 1896), fondatore, tra le altre iniziative, della celebre scuola di specializzazione a Positano. Il pianista dedicò la serata a Bach: con la Fantasia cromatica e fuga in re min. e La Siciliana (dalla Sonata n. 2 per flauto nella trascrizione pianistica). Infine il toccante Corale dalla Cantata n. 147. Il 17 maggio suscitò un eccezionale entusiasmo il giovane Maurizio Pollini
con l’esecuzione di Trois moviments tratti dal balletto Petrushka di Stravinskij, inoltre una inattesa novità per il pubblico fiorentino: la Sonata n. 2 di Pierre Boulez. Ben cinque, i “fuori programma” concessi, un concerto, potremmo dire, nel concerto, fra l’entusiasmo della sala. Questa XXXII edizione del festival è rimasta memorabile anche per la nomina di Riccardo Muti a direttore stabile dell’orchestra, appena un anno dopo il suo clamoroso esordio sul podio del “Maggio”, voluto dal Soprintendente Remigio Paone. Al termine di questa rassegna, citiamo altri ospiti illustri invitati a esibirsi: il violinista Nathan Milstein (5 maggio), il pianista Daniel Barenboim con sua moglie Jacqueline du Pré (12 maggio) celebre violoncellista di eccezionale talento, e il violinista David Oistrakh (24 maggio). Apparve anche il mitico pianista Arthur Rubinstein, che suonò in compagnia dell’Orchestra Filarmonica Israeliana, in doppia esaltante serata: il 4 giugno diretto da Mehta e il 5 giugno avendo sul podio un brillante ventiseienne: Claudio Abbado. Il “Maggio” di cui riferiamo fu particolarmente rigoglioso anche per la direzione artistica di Roman Vlad, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita.
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IO NON SONO
PA Z Z A Adele Ceraudo protagonista del cortometraggio
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n 7 minuti, il regista Duccio Forzano, riesce a dar voce, corpo e immagini a un luogo e alle presenze ancora persistenti, delle “donne scomode” rinchiuse loro malgrado in quello che è stato l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Udine. Io non sono pazza è stato girato in meno di una giornata, nel mese di maggio, con luce naturale e semplici mezzi tecnici, per la VI edizione dell’evento L’Arte non Mente, Genius loci, oltre il Manicomio a cura di Donatella Nonino. L’interprete è l’artivista Adele Ceraudo, che da sempre con la sua arte, la capacità interpretativa, con il video, la fotografia, la performance e il disegno a penna Bic, dona forza e valore al corpo e all’anima delle donne. Invitata dalla curatrice, a partecipare con una mostra personale e una performance dal vivo, l’artista coinvolge Duccio Forzano,
regista che opera tra la televisione il cinema e il teatro, sensibile e attento. Nell'ottobre del 2018, a Barcellona durante l'evento: Leadership Arena, Adele Ceraudo e Duccio Forzano, si incontrano, entrambi protagonisti sul palco per condividere con il pubblico la loro esperienza di vita. È allora che i due decidono di trovare un occasione per collaborare. Io non sono pazza fa scattare la scintilla ed è così che quel video acquisisce, grazie all’empatia, alla sensibilità di entrambi e a quei luoghi potenti e suggestivi, la struttura dirompente e narrativa di un cortometraggio. Un progetto artistico e assieme sociale, che vuol puntare i riflettori su una realtà esistita di ingiustizie e crudeltà indicibili, che rendevano il disagio mentale la base con cui giustificare vere e proprie torture e sevizie, fisiche e psichiche. Immagini dure che raccontano poeticamente, dettagli forti e delicatissimi, correlati da un fondo sonoro composto da una musica perfettamente calzante e dalla lettura a varie voci, delle lettere, mai spedite che le “alienate” scrivevano ai familiari… Il cortometraggio verrà presentato fuori concorso a novembre al RIFF di Roma Adele Ceraudo Esordisce a Cosenza nel 2007, ma è Roma la città che vede la sua crescita e ricerca artistica, nel confronto, con la realtà della capitale e nazionale con partecipazioni a mostre collettive e creazioni di progetti personali, fiere, premi, pubblicazio-
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ni, convegni, passando per la 54° esposizione Biennale di Venezia, a cura del prof. Sgarbi (2011), sino a Melbourne con una personale e la creazione di un’associazione che supporta gli scambi culturali tra i due paesi (2015), 2018 Barcellona e in Giappone a Osaka (2019) invitata da Istituto italiano di cultura. Performance estatica e scenica, video e animazione cinematografica, tecnologia e stampa interagiscono sempre di più con l'opera e la visione della Ceraudo ove la figura della donna e la componente femminile, vengono sublimate e rappresentate nelle molteplici sfumature ed infiniti volti. L’Artista si distingue per la sua tecnica, unica e riconoscibile, il disegno con la penna Bic.
Alessio Musella
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Venezia
cinema
Leone d'oro a Joker Coppa Volpi a Luca Marinelli per Martin Eden Andrea Cianferoni Giampaolo Russo
Le Finaliste a Miss Italia Meryl Streep Catherine Deneuve con Juliette Binoche Paolo Baratta Julie Andrews Director Alberto Barbera Monica Bellucci Penlope Cruz Johnny Depp JoaquinPhoenix Fedez e Chiara Ferragni
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l Leone d’oro ha confermato tutti i pronostici. Del resto era chiaro fin dall’inizio che il film di Todd Phillips, con il volto dolente e inquietante del Joker interpretato dal bravissimo Joaquin Phoenix, avrebbe trionfato alla 76 esima Mostra del Cinema di Venezia. Emozionato sul palco insieme al suo interprete, il regista americano ha detto: “Dedico il premio agli attori e alla troupe. A Bradley Cooper, il mio Leone dietro le quinte, alle mie leonesse nella vita, mia moglie mia figlia. Non ci sarebbe il film senza Joaquin Phoenix, senza la sua forza, il suo coraggio. Ha una bellissima anima, grazie di avere avuto fiducia in me con il tuo talento folle”. Lucrecia Martel, sul palco della serata di premiazione, presidente della giuria che solo pochi giorni prima aveva consegnato il leone d’Oro al fraterno amico-collega Pedro Almodovar, ha ringraziato giurati e pubblico per “averci fatto essere parte di questa festa e averci permesso importanti conversazioni sul cinema e sul mondo. Grazie ai registi dei film che ci hanno fatto riflettere sul mondo, il destino di queste opere è parlarne, è quello di cui abbiamo bisogno”. Nel proferire queste parole ha consegnato il Gran premio della giuria a Roman Polanski per il suo J’Accuse – l’Ufficiale e la spia, premio che è stato ritirato dalla moglie Emmanuelle Seigner, in quanto il regista ormai da molti anni non ha la piena libertà di movimento a causa della mai risolta questione giudiziaria. Le polemiche dei primi giorni, in cui la Martel aveva detto che non si sarebbe mai alzata per applaudire il film di Polanski, una
pagina di storia drammatica della Francia attanagliata dall’antisemitismo, sono state presto accantonate. Il premio per la miglior regia è andato a About Endlessness del regista svedese Roy Andersson che torna alla Mostra dopo il Leone d’oro conquistato cinque anni fa, per un film che racconta la vita umana tra bellezza e crudeltà, in una serie di siparietti surreale che strappano la risata, ma che sicuramente, visto il premio, hanno colpito anche la giuria. Il giovane attore italiano Luca Marinelli si è invece conquistato la Coppa Volpi per il miglior attore. Lo ha vinto per Martin Eden, adattamento di Jack London fatto dal regista Pietro Marcello. “Giuro che non sarò breve” ha esordito Marinelli. “Ringrazio il festival e la giuria è un’emozione gigantesca ricevere questo premio da voi, prima che vi rendiate conto dell’errore”. Quindi ha voluto ringraziare in tutte le lingue dei giurati: “Grazie, merci, arigato. Grazie al mio regista per la sua onestà e coraggio, mi ha dato fiducia e mi ha regalato questa avventura, tutto il cast e la troupe, Napoli che si è donata corpo e immagine a questo film. La Coppa Volpi per l’interpretazione femminile è andata a Ariane Ascaride, l’attrice che da quasi quarant’anni fa coppia con il regista Robert Guédiguian a Venezia con Gloria Mundi, la storia di un ex carcerato che finalmente uscito di prigione scopre di essere diventato nonno di una bambina, la cui famiglia lotta per restare in piedi nelle difficoltà economiche. “Io sono nipote di migranti italiani che per fuggire la miseria sono arrivati a
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Marsiglia - ha detto l’attrice - questo premio che mi dà la possibilità di ritrovare le mie radici. Io ho una ricchezza incredibile: sono figlia di stranieri ma sono francese. È importante avere più culture. Questo premio lo dedico a chi dorme per l’eternità nel fondo del Mediterraneo”. Il film di animazione No.7 Cherry Lane del regista cinese Yonfan ha conquistato il premio per la miglior sceneggiatura. L›estroso regista, felicissimo sul palco: «Sono emozionatissima tutti si lamentano che la sceneggiatura non è buono e non c›è abbastanza dramma. Non potete capire quanto sono contento. Il mio film su Hong Kong e devo ringraziarlo per la libertà che mi ha dato nel creare, in 1964 sono tornato e ho potuto sentire il gusto della libertà. Nel nome della libertà e nella democrazia Hong Kong è stata messa sotto sopra e ora non abbiamo neppure la libertà di camminare in strada, spero che ci si possa sentire liberi di nuovo”. Il premio Marcello Mastroianni per l›attore emergente, andato a Toby Wallace, giovane protagonista di Babyteeth della regista australiana Shannon Murphy, storia di un’adolescente malata di cancro che vive il suo primo grande amore con un giovane spacciatore. In sala la regista e la sua giovane coprotagonista Eliza Scanlen. Alla cerimonia di chiusura ha partecipato anche il neoministro dei Beni culturali Dario Franceschini, che appena il giorno prima aveva giurato al Quirinale. La 76 Mostra del Cinema di Venezia verrà anche ricordata per aver visto due ministri della cultura in pochi giorni. Bonisoli all’apertura, Franceschini alla chiusura.
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cinema
Mario Martone tra teatro e cinema
Andrea Mancini
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ario Martone è noto al grande pubblico grazie ad una serie di film che hanno interrotto l’indifferenza verso un certo cinema italiano. Titoli come Il giovane favoloso o Noi credevamo, insieme ad altri che hanno avuto meno clamore, sono dietro a questo successo, sebbene il suo impegno filmico, presente fin dall’inizio anche nel suo lavoro teatrale, arrivi in modo abbastanza casuale. È il teatro a ‘possederlo’ e non ha neanche quindici anni, lui, insieme ad altri, con nomi che diventeranno importanti: da Toni Servillo ad Andrea Renzi, da Licia Maglietta a Renato Carpentieri, fino al grande Antonio Neiwiller, purtroppo scomparso ancora giovane, nel 1993, dopo che nel 1987 a Napoli, insieme a Martone e a Servillo, aveva fondato il gruppo di Teatri Uniti, forse la più importante formazione di quegli anni, anche a livello nazionale.
È appunto con quel gruppo che Martone realizza il film Morte di un matematico napoletano nel 1992, interpretato da un grandissimo Carlo Cecchi, accanto ad una serie di attori davvero straordinari, almeno per il futuro culturale di Napoli e dintorni: Anna Bonaiuto, Toni Servillo, Licia Maglietta. Roberto De Francesco, Lucio Amelio, Toni Bertorelli, Antonio Iuorio, Patrizio Rispo, Vincenzo Salemme, Nicola Di Pinto, Sergio Solli, Antonio Neiwiller, Enzo Moscato e altri. Attori che oltre che da Teatri Uniti, venivano praticamente tutti dalle file del teatro, come quasi sempre in Martone: si pensi ad esempio al cast di Noi credevamo o a quello di Il giovane favoloso, fino al suo ultimo film, appena uscito e presentato al Festival del Cinema di Venezia, nel settembre 2019, Il sindaco del Rione Sanità, attualizzazione del testo di Eduardo De Filippo, che era del 1960, che Mar-
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tone aveva – anche in questo caso – portato in teatro, a partire dal Bellini di Napoli, appena nell’aprile del 2018. Del resto anche stavolta film e spettacolo hanno lo stesso protagonista: Francesco Di Leva, promotore della rinascita culturale e teatrale del quartiere San Giovanni a Teduccio, a Napoli, da sempre abbandonato a se stesso. Tornando a Morte di un matematico napoletano, dobbiamo dire che esso rappresenta la prima vera affermazione nazionale per Martone e per Teatri Uniti, vincendo tra l’altro il Gran Premio della Giuria al Festival del Cinema di Venezia. Da allora, a lui e praticamente a tutti gli attori arriveranno ingaggi importanti, nel teatro come nel cinema. È lo stesso Martone a raccontare la sua prima vita, in un prezioso libro sul “Nuovo Teatro”, intitolato Cento storie sul filo della memoria, curato da Enzo Gualtiero Bargiacchi e e Rodolfo Sacchettini (Titivillus 2017, p. 371 e segg.) – “Avevamo diciassette anni, Andrea Renzi quattordici. Andavamo a scuola, il liceo Umberto di Napoli e ci occupavamo di molte cose, ma certo non di teatro. Alcuni di noi suonavano, altri dipingevano, o facevano studi di architettura, e tutti consumavano una patologica passione per il cinema. Intorno a noi il ’77, la sua lunga onda confusa”. Sta appunto tutta qui la storia di questo eccezionale percorso artistico, degli spettacoli, che nascono da subito con queste passioni, la pittura, il cinema, la luce, l’architettura e il cinema. Certo erano spettacoli di teatro, ma avevano all’interno tutte quelle
componenti che, da subito, conquistarono la critica e anche il pubblico, con stupore dello stesso Martone e degli altri protagonisti. C’è ad esempio il racconto di Giuseppe Bartolucci, il guru della critica in quegli anni, che si alzò dalla parte degli spettatori, gridando al miracolo, acclamando a gran voce lo spettacolo, dopo aver assistito a Tango Glaciale, testo principe di Falso Movimento (questo il nome del gruppo, quasi agli inizi), allestito nel gennaio del 1982, al Teatro Nuovo di Napoli e poi ripreso trentasei anni dopo, nel 2018, con attori giovanissimi, con i quali si è ancora una volta riconfermata la freschezza di una formula, che riusciva di nuovo ad essere rivoluzionaria, rinnovando dalla base quello che era il teatro d’avanguardia: una griglia spaziale crea dodici ambienti per dodici diverse scenografie con un sistema di architetture di luce realizzato con filmati e diapositive. Tre abitanti attraversano una casa: dal salotto alla cucina, dal tetto al giardino,
dalla piscina al bagno. Un’avventura domestica dall’esterno all’interno dell’abitazione ma anche un viaggio figurato dall’ordinario al fantastico, dalla musica al suono, dal gesto al movimento. «Tango Glaciale Reloaded – si legge nelle note di presentazione della ripresa - è un universo di ritmica freschezza generato da una cascata di immagini, musiche non solo pop e jazz, danze e azioni/citazioni. A sorpresa, questo postmoderno anni Ottanta, in una vertigine temporale, ci catapulta ancora nel futuro«. Insomma una meritata fortuna per Mario Martone, fatta di tutta una serie di affermazioni che non possiamo che raccontare a grandi linee. Dello straordinario momento iniziale, con Falso Movimento e poi Teatri Uniti, abbiamo già detto. Dal 1999 al 2001 Martone diresse il Teatro Stabile di Roma ed è in quel periodo che ho collaborato con lui, per lo spettacolo Sovrappeso, insignificante, informe di Werner Schwab, prodotto da quel-
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Il premio Il Giglio d’Oro, giunto alla IX edizione, tra Castelfiorentino, Castelnuovo d’Elsa e Montaione, sarà assegnato quest’anno a Mario Martone, per il complesso della sua attività cinematografica e teatrale. Le serate inizieranno presso il Teatro Scipione Ammirato il prossimo 30 settembre, con la proiezione in anteprima del film Il sindaco del Rione Sanità, appena presentato a Venezia, dove – accanto all’ottimo risultato di critica - ha vinto un prestigioso Leoncino d’oro, il premio dedicato alle generazioni più giovani e alla scuola. L’intera manifestazione, curata da Jaurés Baldeschi, offrirà una vastissima serie di film del regista napoletano, ma anche alcuni importanti interventi critici, molti dei quali pubblicati in una ricca monografia, con scritti tra l’altro di Gualtiero De Santi, Paolo Vecchi, Adriano Piccardi, Tullio Masoni e Roberto Chiesi, e con l’introduzione e la cura dello stesso Baldeschi, oltre a tutta una serie di apparati bibliografici e di scritti e interviste a Mario Martone. Il volume dovrebbe intitolarsi, Mario Martone, regista poliedrico. La scena, il set, il pentagramma. Tra settembre e novembre saranno poi proiettati Morte di un matematico napoletano (1992), Rasoi (1993), L’amore molesto (1995), I vesuviani (1997), Teatro di guerra (1998), L’odore del sangue (2003), Noi credevamo (2010), Il giovane favoloso (2014), Capri-Revolution (2018). Per informazioni si può telefonare o leggere il sito del Comune di Montaione. lo che era il mio teatro di allora, insieme appunto al Teatro di Roma. Scrivo questo anche per dire che in Martone è rimasta viva l’attenzione, il bisogno del nuovo. Ancora oggi i protagonisti dei suoi lavori (anche nel cinema, ma soprattutto nel teatro) sono i giovani, le loro pulsioni, il loro bisogno di rimettere in discussione la società. Dopo la non semplice parentesi romana, Martone assunse la co-direzione del Teatro di Napoli e poi dal 2007 al 2017, ecco un altro prestigioso Stabile, quello di Torino, dove il regista ha attuato una serie di importanti progetti, maturati negli anni precedenti, sia nel cinema che nel teatro, di prosa e anche lirico: insomma, ormai l’abbiamo capito, “un regista poliedrico” (come dovrebbe intitolarsi la prossima monografia sul suo lavoro), a tutto a tondo. «Stavamo costruendo il nostro alfabeto - scrive ancora Martone, dei suoi anni giovanili, con parole che vanno bene anche per il resto del suo lavoro -, facevamo reagire proiettori e registratori, costruivamo pareti che crollavano e piccoli aerei che ne fuoriuscivano, cattedrali illusorie, alla scoperta del vuoto, dell’origine del linguaggio, di una possibile nostra pietra filosofale».
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cinema
Quentin Tarantino
le sue pellicole tra citazioni, violenza e amore per il cinema Giorgio Banchi
Brad Pitt, Leonardo Di Caprio e Quentim Tarantino film C’era una volta… a Hollywood Manifesto di Pulp Fiction
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uentin Tarantino è l’unico riuscito a creare il proprio stile, la sua identità personale tra tanti registi. Quando guardiamo una delle sue pellicole, sappiamo cosa troveremo: violenza, musica, primi piani di piedi femminili, scene riprese dal portabagagli, e abbondanti tributi al cinema mondiale. Un insieme di aspetti che piacciono al regista, dai tributi ad Alfred Hitchcock ai western. Tarantino fa ciò che vuole con la macchina da presa. Realizza camei, gioca con il colore, ricicla piani, reinventa scene e mescola tutto fino a costruire quello che cercava. Molti potrebbero accusarlo di plagio: dobbiamo però domandarci se è giusto quando l’intenzione dell’autore è proprio quella di trasferire una scena a un altro film, a un altro contesto, costruendo qualcosa di completamente diverso.
Tutti attingiamo dai nostri gusti, da qualcosa che abbiamo visto o letto. Creare qualcosa di totalmente nuovo ai giorni nostri significa ricorrere a qualcosa già esistente. Quindi il regista ha bisogno di attingere ad altri film perché, prima di tutto, è un cinefilo. In più di un’occasione ha sottolineato che per fare del buon cinema è necessario avere una vera passione per quello che si fa. Dalla passione nasce il cinema. Dalla passione nascono i suoi film. Nonostante non possieda una formazione da regista, l’amore per il cinema lo ha condotto a dirigerlo. Tarantino ha studiato recitazione e ha lavorato in una cineteca. Tra amici, e con l’intento di creare un film semplice, nacque Le Iene. Tarantino non credeva davvero possibile la realizzazione di un film in quel momento, giacché
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pensava di adattarsi a una produzione economica tra amici. Tuttavia, il produttore Lawrence Bender lesse il copione e gli propose di tradurlo nella pellicola che oggi conosciamo. Tarantino aveva appena creato un marchio di identità che lo avrebbe consacrato come regista e condotto a seminare un’infinità di successi e applausi in futuro. Riguardo al plagio, Tarantino riutilizza le sue fonti di ispirazione conferendogli un significato nuovo, situandole in un nuovo contesto e creando qualcosa di originale partendo da quest’ultime. Non nasconde le fonti di ispirazione ma le innalza. Rende ad esse omaggio e le mostra al pubblico. Così abbiamo la famosa scena del ballo in Pulp Fiction ispirata a 8 e mezzo di Fellini o il vestito di Uma Thurman in Kill Bill che ricorda enormemente Bruce Lee.
Guardare una pellicola di Tarantino diviene un autentico esercizio di intellettualità. I suoi film possiedono argomento e identità propri, ma sono infarciti di allusioni e riferimenti. Con Pulp Fiction (1994), Tarantino si fece conoscere come regista e sceneggiatore, attirò l’attenzione del pubblico e della critica e vinse il primo Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Altri titolo come Jackie Brown (1997), Bastardi senza gloria (2009) o Kill Bill (2003) hanno suggellato il marchio di Tarantino. Infine, gli ultimi film sottintendono una dichiarazione d’amore verso un genere dimenticato ad oggi: lo spaghetti western, con Django Unchained (2012) e The Hateful Eight (2015). Recupera, così, l’essenza del genere e di registi come Ser-
gio Leone, oltre alla figura di Ennio Morricone. La musica è un altro pilastro su cui si costruisce il suo cinema. E Tarantino sceglie personalmente la colonna sonora. Ne consegue, ancora una volta, una grande mescolanza di influenze
e stili. Se c’è qualcosa che definisce il cinema di Tarantino è senz’altro la violenza. Una violenza spesso molto esplicita, bagni di sangue che, a volte, sfiorano il ridicolo. Quando andiamo a vedere un suo film non ci aspettiamo di trovare personaggi commoventi o che sopravvivono a lungo nello schermo. Andiamo a vedere sangue, violenza e a riderne. La musica, insieme alla narrazione disordinata e a una violenza esplicita ci fornisce scene che, lungi dal disgustarci, ci piacciono. La famosa scena dell’orecchio tagliato ne Le iene, per esempio, è ravvivata dalla musica e dal ballo. In tal modo, la violenza non è più scomoda e si tramuta in oggetto di diletto. È legittimo, dunque, chiedersi se può la violenza essere divertente? A tal proposito, Tarantino ha sottolineato in diverse occasioni che il suo cinema non è altro che fantasia, una finzione con cui divertirsi. Non dobbiamo domandarci se questa violenza sia morale o meno, dobbiamo solo divertirci. Una violenza che, ravvivata dalla musica e infarcita di giochi di contrasto, risulta attraente, estetica. Aristotele lo aveva sottolineato nella sua Poetica, nella quale formulò una profonda analisi della tragedia greca e dei suoi presupposti. I greci andavano a vedere rappresentazioni teatrali in cui la violenza e l’incesto comparivano sulla scena proprio perché si trattava di temi tabù per la società, di passioni che appartengono all’essere umano. Quentin Tarantino sottolinea sempre che il suo cinema non è altro che fantasia, non è reale. Per questo piace tanto. Si tratta di una catarsi, di un gioco con il nostro subconscio, con le passioni e le emozioni. E, senza dubbio, è un cinema con cui divertirsi.
Manifesto del film John Travolta e Samuel L. Jackson nel fil Pulp Fiction
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curiosità
LA STORIA DI HALLOWEEN Leonardo Taddei
Heidi Klum al party vip da lei organizzato a New York nel 2018 Heidi Klum al party vip da lei organizzato a New York nel 2013 Lo stilista Zac Posen al party vip organizzato da Heidi Klum a New York nel 2017
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l prossimo 31 ottobre, come ogni anno, milioni di bambini in tutto il mondo indosseranno il loro costume per percorrere le strade del proprio quartiere, accompagnati da genitori e amici, alla ricerca di caramelle, cioccolatini e altre leccornie. Si tratta della tenera minaccia del Trick or treat, tradotto in italiano con Dolcetto o scherzetto, che i vicini simpaticamente accetteranno per essere risparmiati da eventuali manomissioni alle loro proprietà, come il lancio di uova marce o di liquido maleodorante, soprattutto se avranno addobbato i loro giardini come vere e proprie opere d’arte per celebrare la ricorrenza. Quello di Halloween è un evento molto importante nei paesi anglosassoni, sopratutto negli Stati Uniti, dove risulta essere addirittura più popolare ed amato delle festività natalizie, ma che sta prendendo sempre più piede un po’ ovunque, tanto da ispirare le
trame di numerose pellicole in tutto il mondo. La sua nascita risale a tempi molto remoti. Alcuni studiosi sostengono, infatti, che abbia radici addirittura nella cultura degli antichi romani, individuando due possibili alternative nella festa dedicata alla dea dei frutti e dei semi Pomona, e nella festa dei morti denominata Parentalia. La tesi che sembra, però, essere la più probabile, è quella secondo cui Halloween deriverebbe dalla festa celtica di Samhain, che significa fine dell’estate. Secondo il calendario in uso tra i popoli gaelici, effettivamente, l’anno nuovo iniziava proprio il 31 ottobre. Per questo motivo, ad esempio, la Chiesa cattolica decise, nel 840, con papa Gregorio IV, di istituire ufficialmente la ricorrenza di Ognissanti il primo giorno di novembre, sovrapponendo la nuova festività cristiana con quella più antica, già festeggiata da tali popoli proprio il primo novembre.
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Lo stesso termine Halloween, di fatto, deriva da una variante scozzese dell’espressione All Hallows’ Eve, la notte di tutti gli spiriti sacri, ovvero la vigilia di Ognissanti, che in inglese arcaico era chiamata All Hallows’ Day. Negli Stati Uniti, invece, fu importato dagli immigrati irlandesi intorno alla metà dell’Ottocento, assumendo, col passare del tempo, un carattere sempre più consumistico, con un oscuramento progressivo dei significati autentici e la perdita dei valori tipici della manifestazione tradizionale. Lo stesso Dolcetto o scherzetto, per esempio, rimane in uso oggigiorno soltanto tra i bambini, e le celebrazioni non sono più limitate al solo giorno del 31 Ottobre, ma si estendono anche ai weekend precedenti e successivi. I festeggiamenti, inoltre, sono oramai vere e proprie manifestazioni in costume, non molto dissimili dal carnevale nostrano, con moltissimi eventi dedi-
cati anche ai soli adulti, tra cui uno dei più esclusivi è il party vip organizzato annualmente a New York dalla modella e conduttrice Heidi Klum. D’altra parte, però, è anche vero che i simboli legati ad Halloween sono andati mutando nel tempo a causa del fisiologico adattamento alle nuove condizioni di vita. Ad esempio, gli immigrati irlandesi e scozzesi, giunti in Nord America, sostituirono le originali rape, incise con grottesche immagini per ricordare le anime bloccate nel Purgatorio e usate a mo’ di lampada con una candela all’interno, con le lanterne ricavate nelle zucche, disponibili adesso in grandi quantità e di maggiori dimensioni, tali da facilitarne l’intaglio. Soltanto successivamente alla metà dell’Ottocento, quindi, la zucca sarebbe stata associata alle ce-
lebrazioni del 31 ottobre, prendendo il nome di Jack-o’-lantern dal mitologico personaggio condannato dal diavolo a vagare per il mondo, di notte, alla sola luce di un tizzone ardente. La pratica di mascherarsi, invece, sembra sia stata mutuata dall’usanza tardomedievale dell’elemosina di Ognissanti, quando la gente povera andava di porta in porta per raccogliere, in cambio di preghiere, del cibo da offrire come dono ai loro morti il giorno seguente, il 2 novembre. La pratica, originatasi in Irlanda e Gran Bretagna, ha una controparte simile pure in Italia, come testimoniato anche da Shakespeare nella commedia I due gentiluomini di Verona, e si affianca ad una serie di tradizioni affini, celebrate in molte zone del nostro paese. L’usanza di intagliare zucche a forma di teschio, tipica delle regioni Calabria, Friuli e Veneto, oppure la consuetudine di bussare alle porte delle case dei vicini, come avviene sempre in Calabria e Friuli, ma anche in diverse località della Puglia, in Abruzzo e in Sardegna, con meccanismi analoghi a quelli del Dolcetto o scherzetto, sono tutte abitudini antichissime della nostra penisola che impediscono di derubricare Halloween a una mera festa moderna di derivazione statunitense, come da molti è percepita attualmente. Non mancano neppure manifestazioni somiglianti nel resto del mondo. Celeberrimo a livello internazionale è, per esempio, los días de los muertos, i giorni dei morti, che si commemorano in Messico e nel sud-ovest degli Stati Uniti dal 28 di ottobre al 2 di novembre. Per i festeggiamenti si utilizzano
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musiche tradizionali, bevande e cibi dai colori particolarmente appariscenti, nonché numerose rappresentazioni caricaturali sul tema della morte, per permettere ai vivi di esorcizzarne la paura e ridere di essa. Il concetto che ne è alla base è quello di osannare l’esistenza terrena dei propri cari, per ricordare quanto il passaggio sulla terra sia breve e temporaneo prima dell’eterna dipartita, ed evitare ai defunti di non essere condannati all’oblio perenne. Questa ricorrenza porta avanti una tradizione millenaria, di origine precolombiana, secondo la quale le popolazioni indigene compievano sacrifici umani per mantenere l’equilibro tra vita e morte, credendo che il sangue versato potesse fecondare i terreni e renderli nuovamente fertili. La chiesa cattolica ha, in seguito, ripreso questa usanza, adattandola alla propria religione e contribuendo consistentemente, di fatto, affinché potesse essere tramandata nei secoli. Questo del Messico, però, si è dimostrato essere un caso isolato. Nonostante la diffusione globale della ricorrenza di Halloween, infatti, sempre più numerose sono le critiche sollevate in ambito ecclesiastico, soprattutto negli ultimi decenni, sulla discutibilità morale delle tematiche legate a questa festa, quali paura, morte, spiriti, fantasmi, demoni, stregoneria e violenza, e, in particolare, alla conseguente influenza negativa esercitata su bambini ed adolescenti. In generale, quindi, tutto il mondo delle confessioni cristiane occidentali, non soltanto quella cattolica, ha mostrato ritrosia nei confronti di tale evento, ritenendo il paganesimo, e le pratiche occulte ad esso associate, incompatibili con la fede religiosa.
Victoria Silvstedt al party organizzato da Heidi Klum a New York nel 2017 Bella Hadid ed il cantante The weekend al party vip organizzato da Heidi Klum a New York nel 2016 Mike Meyers e Kelly Tisdale al party vip organizzato da Heidi Klum a New York nel 2019
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medicina
la SFIDA
della MEDICINA di GENERE tutela e appropriatezza terapeutica
Paola Baggiani
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La medicina di genere è un approccio diverso e innovativo alle diseguaglianze di salute fra uomo e donna. Fino a poco tempo fa le malattie e la loro terapia sono state studiate prevalentemente su casistiche di un solo sesso, quello maschile, sottovalutando le differenze anatomiche, ormonali e biologiche delle donne; e non considerando l'influenza sullo stato di salute di fattori ambientali, economici , socio-culturali e psicologici. La medicina di genere non è la medicina delle donne o una medicina alternativa o a se stante, piuttosto una medicina a misura di uomo e di donna. La finalità di questa disciplina è di arrivare a garantire a ciascuno il miglior trattamento possibile sulla base delle evidenze scientifiche. L'integrazione trasversale di specialità e competenze mediche, potrà formare una cultura e una presa in carico della persona malata più mirata. La prima citazione di una medicina riferita anche alle donne risale agli anni
'90, quando la cardiologa Bernardine Healy sulla rivista New England Journal of Medicine si soffermò sul comportamento discriminante nella sua specialità, nei confronti delle donne, intitolando l'articolo “Yentl Syndrome”, dal nome di un eroina di un racconto costretta a travestirsi da uomo per essere accettata. A distanza di dieci anni da questo articolo, nel 2000, l'OMS ha inserito la Medicina di Genere nel documento Equity Act nel quale si afferma che il principio di equità implica parità di accesso alle cure per uomini e donne, ma anche adeguatezza e appropriatezza di cura secondo il proprio genere. In Italia il Ministero della Salute ha organizzato eventi genere specifici e ha elaborato un Manifesto per la Salute Femminile nel 2016. Nel 2015 è nata la rivista The Italian Journal of Gender Specific Medicine; l'Istituto Superiore di Sanità ha costituito nel 2017, unico in Europa, il centro di riferimento per la Medicina di Genere con l'obiettivo di creare un rete integrata fra le varie istituzioni che si occupano di questa Medicina. Cinque università europee Parigi, Berlino, Vienna e Helsinki e in Italia Padova, hanno attivato un corso di Medicina di Genere all'interno del corso di laurea in Medicina. Nel 2016 l'università di Firenze ha istituito il primo master di II livello in Salute e medicina di genere. Associazioni ONLUS come l'Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (ONDA) hanno prodotto numerosi rapporti sulla salute della donna. Insomma, l'Italia e il mondo non sono insensibili e immobili di fronte a questa te-
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matica anche se sono ancora tanti i pregiudizi e le resistenze culturali e scientifiche. I due sessi hanno differenze anatomico-funzionali che determinano un diverso rischio di contrarre molte malattie. In Italia gli uomini in buona salute sono il 75% contro il 67% delle donne. Quest'ultime sono esposte a più malattie, hanno più patologie croniche e dolorose, con una percentuale del 23,7% contro il 16% degli uomini. I disturbi cardiovascolari che causano più del 50% delle morti nei paesi occidentali sono in diminuzione nell'uomo e in aumento nelle donne. Questo perchè nel sesso femminile vengono sottodiagnosticati e sottotrattati, per la diversità dei sintomi con cui si manifestano. L'infarto ad esempio può esordire con nausea e vomito, palpitazioni, lipotimia, stanchezza, anziché con il classico dolore toracico costrittivo retrosternale irradiato al braccio sinistro tipico del sesso maschile. Malattie neurologiche come cefalea e depressione colpiscono più le donne; dopo i 65 anni le donne hanno un rischio due volte maggiore di ammalarsi di Alzhemeir e di demenza. Sono più frequenti nel sesso femminile malattie del sistema immunitario come l'artrite reumatoide e la sclerosi multipla. Le malattie autoimmuni della tiroide e la sclerodermia presentano una frequenza 7-10 volte più elevata nella donna; anche l'artrite prevale. L'artrosi colpisce l'uomo prima dei 45 anni, mentre nella donna si manifesta dopo i 55. La risposta alla terapia farmacologi-
ca è diversa nei due sessi, sia per la diversa concentrazione di enzimi che interagiscono con i farmaci; sia per le dimensioni degli organi; sia per la diversa percentuale di massa grassa e magra. La medicina ha considerato e studiato i pazienti indipendentemente dal genere. Gli studi clinici sperimentali (trial) sono composti principalmente da campioni di popolazione maschile con conseguente ridotta personalizzazione delle cure e una standardizzazione misurata sul soggetto maschile. Gli studi sono fatti quasi sempre su uomini di giovane età e con un peso mediamente di 10kg maggiore delle donne; questo per ragioni di semplicità: i ciclici cambiamenti ormonali femminili rendono più complessa la realizzazione degli studi clinici. In campo oncologico esistono differenze di genere in molti tipi di tumori e una diversa reazione alle terapie antitumorali. Un recente studio italiano pubblicato sulla rivista The Lancet a proposito di terapie tumorali innovative come inibitori del checkpoint immunitario (tremelimumab, nivolumab, ecc) impiegati nei carcinomi polmonari, renali, mette in evidenza un miglior efficacia nel sesso maschile con riduzione del rischio di morte doppio rispetto alle donne. Le donne
sono più sensibili al danno epatico provocato dai farmaci e più suscettibili alle reazioni avverse da terapie antitumorali. I dati dell'AIFA(Agenzia Italiana del Farmaco) rivelano che le donne consumano più farmaci dell'uomo: 70,2 % contro 61,8% , con un rischio di sviluppare una reazione allergica da farmaci che è quasi doppia rispetto all'uomo. L'Agenzia Italiana del Farmaco e l'americana Food end Drug administration stanno valutando sistemi per stimolare le aziende farmaceutiche ad includere il sesso femminile negli studi clinici. E molti altri esempi di patologie e di diversa
risposta genere-specifica potrebbero essere citati... L'approccio di genere alla salute è ancora relativamente conosciuto e non facile, perché tanti sono ancora i pregiudizi e gli stereotipi nella medicina, nella ricerca e sperimentazione dei farmaci, tuttavia questa innovativa branca rappresenta una nuova prospettiva per il futuro della salute; solo attraverso l'attuazione della Medicina di Genere si potrà garantire a ogni individuo maschio o femmina la tutela della salute e l’appropriatezza terapeutica. wwwbaggianinutrizione.it
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“C’è qualcosa che va oltre a un lavoro eseguito a regola d’arte... ci sono la dedizione al risultato e il piacere del compimento...”
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racconto
uomo in bici, gorilla in carrozzella Matthew Licht
Tratto da: Fiabe dell'imminente disastro ecologico
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n uomo non più giovane ma non ancora anziano, che non aveva nulla da fare, passava le sue giornate girando in bicicletta. Così gli sembrava di fare qualcosa. Con un occhio cercava insegne di offerte di lavoro, con l’altro cercava potenziale cibo. Con ambedue gli occhi ercava roba che non sarebbe mancata a nessuno, ma che non era necessariamente sua. Come la bicicletta. Qualcuno l’aveva appoggiata ad un cassonetto senza chiuderla, oppure l’aveva abbandonata lì. L‘avrebbe venduta, ma c’era la possibilità di trovare impiego come bike messenger, oppure a consegnare cibo a domicilio. Non si sa mai. Smontava di rado. Non voleva che qualcuno gli rubasse la bici. In un ennesimo pomeriggio libero da
impegni vide una finestra rotta al lato di un edificio abbandonato che sovrastava un cimitero sovraffolato. Una pattumiera sembrava messa lì sotto apposta per darvi accesso. Scese dalla bici e la nascose dietro una catasta di immondizia sciolta. Stava per issarsi dentro il palazzone quando sentì, «Non entrerei là dentro se fossi in te.» L’uomo pensò, «Sbirro.» Guardò giù. Vide un gorilla in carrozzella, e si rilassò. «Perché no?» Il gorilla disse, «I pavimenti sono marci. Uno grosso come te rischia di finire in ospedale.» L’uomo saltò giù dalla pattumiera, rovesciandone il coperchio. Si sparse per aria un tanfo di bucce di banane marce. L’uomo rimise a posto e si pulì le mani sui pantaloni. «Tanto non c’è nulla là dentro,» disse il gorilla. «Nulla di buono.»
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L’uomo lo guardò. Come faceva una montagna di muscoli coperti da un fitto pelo nero a stare dentro un mezzo per invalidi umani? «Ti sei inciampato mentre fuggivi dallo zoo o dal circo?» «Mi hanno sparato.» Ora arrivano le storie pietose, pensò l’uomo. Ma il gorilla non disse nulla. Sembrava un capo a cui è stato tolta la tribù, o che era stato rimosso dal suo villaggio. Capo di nessuno, forse, ma pur sempre un capo. «Non potevo stare impalato,» disse il gorilla. «Voi esseri umani fate cose orribili alle gorille.» Benché in sedia a rotelle, il gorilla sembrava capace di afferrare un uomo per le caviglie e strapparlo lentamente in due. Dal tono del grosso primate, l’uomo in questione se lo sarebbe anche meritato. «Dovetti trascinarmi fuori dalla giungla. Alcune persone hanno cercato di aiutare... La nave era carica di banane, ma fu comunque un viaggio molto lungo.» L’uomo pensò alle odissee tra gli uffici del Sussidio statale, alla libertà provvisoria, all’ospedale. Pensò a scodelle di zuppa, medicinali, stanze vuote dove si poteva stare solo tre notti. C’erano sempre persone che dicevano di voler aiutare. Il gorilla menomato guardava le finestre cieche dei piani superiori del palazzo disabitato. L’uomo pensava alla giungla. Una legge della giungla urbana è che devi condividere tutto. Se no vieni pestato e ciò che avevi ti viene tolto. Voleva chiedere al gorilla handicappato dell’Africa, ma non sapeva come farlo senza suscitargli ricordi dolorosi.
«Vivevo in un albero,» disse il gorilla. «Mi dava tutto l’occorrente: cibo, riparo, e anche amore, se ascoltavo attentamente. Quando tagliarono l’albero, fui costretto ad andare a vedere il mondo.» L’uomo aveva visto alberi solo nei parchi pubblici. Non erano brutti, ma non davano granché riparo né cibo né amore. Il gorilla afferrò i poggioli della carrozzella e si issò piano sulle mani. Le gambe gli penzolarono flosce. Non era un bello spettacolo. «Che farai?» L’uomo sapeva che era una domanda stupida. «È una bella domanda,» disse il gorilla. «Sai scrivere?» L’uomo ci dovette pensare. Era da un bel pezzo che non glielo chiedeva nessuno. «So scrivere,» disse. «Fantastico,» disse il gorilla. «Mi daresti una mano?» «Certo.» Il gorilla trasferì il peso del corpo su una mano sola. Con l’altra frugò nello zaino attaccato allo schienale della carrozzella. Ne tirò fuori un rettangolo di cartone e un gessetto. «Vorrei che tu scrivessi qualcosa per me.» «Ohi,» pensò l’uomo. «Questo quadrumane quadriplegico vuole dettarmi la sua autobiografia, o la sceneggiatura per un film della sua vita.» «Niente di complicato,» disse il gorilla, come se potesse leggere nel pensiero degli esseri umani. «Solo una frase, e anche breve. Sei pronto?» L’uomo si mise nella posa del cronista. «Sono pronto.» «Gorilla vuole tornare a casa.» L’uomo disegnò le lettere per farle
stare sul cartone. Il risultato non era male, pensò. Era quasi sicuro di aver scritto bene gorilla. Guardò di nuovo su. «Tutto qui,» disse il gorilla. «Ed è la verità: vorrei tornare, ma so che è impossibile. L’altra verita è che non ce la faccio più. Basta. Voglio solo che la gente mi dia soldi per potermi comprare vino di banane. Ma se lo metto sull’insegna non mi danno nulla.» L’uomo aveva visto tante insegne di barboni. Nessuno diceva, aiutatemi a ubriacarmi. Forse avrebbe messo un’insegna sulla bici: Cerco lavoro. Oppure roba da rubare. Il sole dava segni di voler tramontare. «Dovrei andare,» disse l’uomo.
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«Grazie,» disse il gorilla, e si rimise piano a sedere. «Grazie anche per avermi ascoltato. A volte sento di avere tanto da dire, ma quando ci penso ammutolisco. Abbi cura di te. E se vedi una bella gorilla mentre giri in bicicletta, sii gentile con lei e dille che sono qui.» «Ci puoi contare,» disse l’uomo, mentre tirava la bici da sotto la pila di immondizia. «Ma solo se è graziosa, capisci?» L’uomo rimontò in bicicletta e pedalò via, salutando con la mano senza guardarsi dietro. Cercò di immaginare una bella gorilla tra i rami in cima a un albero nella notte. Ma era troppo buio. Non riusciva a vederla.
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libri
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° Campiello
Madrigale senza suono vince il premio della letteratura Irene Barbensi
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l vincitore del Premio Campiello è di Saronno e si chiama Andrea Tarabbia che si avvicinò alla vittoria già nel 2016 entrando nella cinquina finalista. Con il suo Madrigale senza suono – edito da Bollati Boringhieri, ha ottenuto 73 voti dalla Giuria Popolare dei Trecento Lettori Anonimi. Si tratta di una via di mezzo tra il romanzo e il saggio, sulla figura di Gesualdo da Venosa, compositore italiano vissuto a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento. È stato un personaggio che, in particolare dopo la riscoperta di Stravinskij, ha suscitato molto interesse: Bernardo Bertolucci aveva un progetto di film su di lui. Tarabbia ha superato lo scrittore e attore Giulio Cavalli e il suo Carnaio (Fandango Libri) e Paolo Colagrande, autore di La vita dispari (Einaudi). Attraverso il
personaggio di Gesualdo da Venosa Tarabbia racconta il rapporto tra il bene e il male, tra il bianco e il nero. Madigralista finito nell’oblio, aveva ucciso la moglie ed era un genio. Lo scrittore mette insieme tutti questi elementi mescolando il passato con il Novecento. Per la prima volta nella serata alla Teatro della Fenice di Venezia condotta da Andrea Delogu e trasmessa in diretta su Rai5, è stato premiato Kidane Grianti, vincitore del Campiello per San Patrignano, il riconoscimento speciale nato quest’anno dalla volontà del presidente di Confindustria Veneto, Matteo Zoppas, e della cofondatrice della Fondazione San Patrignano Letizia Moratti. Poter raccontare storie difficili, che parlano di esperienze dolorose, di episodi di bullismo, che sono vissute come cicatrici aiuta a ritrovare l’amore per la vita. E il Campiello è anche questo. Al secondo posto con 60 voti il Carnaio (Fandango Libri) di Giulio Cavalli, scrittore e autore teatrale che dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie. Il libro, ispirato alla realtà, è nato da un reportage a Pozzallo dove un pescatore gli ha raccontato che spesso accade di trovare pezzi di corpi di migranti nelle reti di pescaggio e come sia abitudine dei pescatori ributtare in acqua questi cadaveri. Al terzo Paolo Colagrande con La vita dispari (Einaudi). Questo è il suo terzo Campiello dopo aver vinto l’Opera Prima nel 2007 ed essere stato nei finalisti del 2015. Al quarto posto è arrivata Laura Pariani, già nella cinquina del Campiello, che in Il gioco si Santa Oca (La
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nave di Teseo), 52 voti, ha spostato l’attenzione verso la campagna in cui è nata, nella brughiera lombarda, nel 1652 dove il bandito Bonaventura Mangiaterra, affascina i suoi compagni con la bella parola lottando perchè non ci siano differenze tra poveri e ricchi. All’ultimo posto, con 38 voti, Francesco Pecoraro, architetto di formazione, già in cinquina del Premio Strega con La vita in tempo di pace nel 2014, che nel suo Lo Stradone (Ponte alle Grazie) ci racconta, seguendo la tradizione del nostro romanzo novecentesco, un uomo di circa 70 anni che osserva cosa accade nel quartiere di una metropoli decadente che fa pensare a Roma con un ampia digressione sul passaggio di Lenin in quella zona. Ad aprire la serata al Gran Teatro La Fenice di Venezia, con i siparetti di intrattenimento della Microband, la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che ribadisce spesso nel suo intervento che il Campiello è uno dei riferimenti più prestigiosi del panorama letterario italiano e internazionale e di quanto i giovani siano il cuore pulsante di questa rassegna. È stato consegnato anche il riconoscimento alla carriera a Isabella Bossi Fedrigotti, Premio Fondazione Il Campiello 2019, già vincitrice del Premio Selezione Campiello nel 1991 con Di buona famiglia. Sul palco sono saliti anche Marco Lupo, vincitore del Campiello Opera Prima con Hamburg e il cagliaritano Matteo Porru, vincitore del Campiello Giovani con Talismani.
20°
novità editoriali Reality
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uante volte si può ricominciare nella vita? Veronica @ Spora Benini ha ricominciato tante volte, e invita tutte le donne a non aver paura di prendere in mano il loro destino. Non dire “ormai”… Perché l’ormai non esiste! Un contributo essenziale e attualissimo al dibattito sull’empowerment femminile. «La vita la decidi tu, la respiri tu, la mordi tu. Nessuno sarà lì con te quando è il momento di dire basta, quando è il momento di scendere da un treno, quando devi ricominciare da capo. Se ci aspettiamo di esistere solo nello sguardo degli altri, affidiamo loro la nostra integrità, la nostra definizione come persone. Ma noi siamo noi e loro sono loro. Ognuno nasce e muore da solo, e in mezzo è meglio vivercela come pare davvero a noi.»
La vita inizia dove finisce il divano di Veronica @Spora Beninii De Agostini
romanzo
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n altro caso per l’ispettore Micol Medici. Un racconto perfetMusica to, quello di Oliva: cattura con il mistero di una serie di morti, sull’abisso fatalmente tragiche, che si estendono negli anni e che hanno in comune il giorno del loro accadere, quel 21 febbraio, data carica di Marilù Oliva di simbolismi e valenze storiche, ma soprattutto, hanno comune denominatore il fatto di colpire gli alunni di una stessa classe di un Edizioni HarperCollins Italia liceo di Bologna. Una catena luttuosa che dagli anni scolastici si trascina ai giorni attuali, muovendosi sullo sfondo di una città dove ogni torre e ogni portico sembrano nascondere qualcosa.
TRILLER
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’autore racconta i tredici mesi vissuti da lui e dagli altri componenti dell’equipaggio a “Marte Bianco”, luogo dell’altopiano antartico soprannominato così per via delle sue caratteristiche che lo rendono simile a un altro pianeta. É il primo libro assoluto che racconta dell’esperienza di vita nella zona più estrema della Terra. Nelle sue duecento pagine, si racconta il duro periodo di preparazione, e le difficoltà quotidiane in Antartide, del senso di solitudine e della nostalgia di casa. Ci prende per mano e ci porta fuori dalla stazione Concordia, in piena notte e a temperature bassissime, per osservare il firmamento così come non è possibile ammirarlo da altre parti del mondo. Ci porta ad assistere ad albe e tramonti indimenticabili, ci mostra le infinite distese di ghiaccio e ci fa vivere la gioia del ritorno a casa, ma anche il senso di smarrimento di ritrovarsi – dopo dodici mesi – nella solita caotica quotidianità.
Marte bianco di Marco Buttu Edizioni LSWR
aventura
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ccanto ai personaggi così ben delineati e studiati, il commissario, Luca Betti alle prese con le proprie vicende personali come riallacciare un difficile rapporto con l'unica figlia dopo la separazione dalla moglie, mentre Marco Tanzi, ex poliziotto e detective, deve aiutare una donna, da cui si sente molto attratto, a ritrovare un figlio problematico fuggito di casa. Il tutto avviene in una Milano contemporanea descritta con molta precisione, mentre altre storie s’intrecciano a quelle dei due protagonisti. In questo libro l’autore usa la scrittura per porre in evidenza dei temi di cui non si parla spesso, ma che probabilmente risultano essere delle realtà scomode e dunque da tacere, come ad esempio la situazione dei barboni o dei nuovi poveri che per la loro condizione diventano bersagli ideali di malintenzionati e della criminalità organizzata.
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NERO A MILANO
di Romano de Marco Edizioni Piemme
Angelo Errera
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Anno XXI n. 3/2019 Trimestrale € 10,00 ISSN 1973-3658
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