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Editoriale

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eri ho visto una foto che mostra l’ingresso di una palestra. Probabilmente negli Stati Uniti. L’edificio, bianco e moderno, sta sopraelevato dal terreno una decina di metri. Per favorire i clienti e evitare loro la fatica di qualche gradino hanno sistemato una scala mobile. Da quel momento ho cominciato a pensare che vi era qualcosa di insensato nei frequentatori di questi impianti. E non solo in America. Per carità, l’attività fisica è fondamentale per il benessere delle persone e mai mi sognerei di sconsigliarla. Ma è il modo in cui viene esercitata che mi fa sorgere dei dubbi. Inoltre, di solito, si paga parecchio per farla. Il dubbio è diventato certezza quando ho saputo che le palestre, all’inizio della stagione, accettano molti più iscritti di quanto sia l’effettiva capacità dell’impianto. Questo perché è stato accertato che la frequenza degli abbandoni, nello spazio di alcune settimane, è molto alta. Ho l’impressione che nelle palestre ci si eserciti molto di più di quello che basta per stare bene con il proprio fisico. Forse è il momento di cambiare approccio. Proviamo, ad esempio a combinare una nostra azione quotidiana, come andare al lavoro, fare la spesa, portare il bimbo a scuola con l’uso della bicicletta. Otterremmo dei vantaggi insperati perché potremmo occupare meglio il tempo e il denaro dedicato a una palestra. La nostra attività fisica non sarà così forsennata come sui rulli o facendo spinning, ma nel contempo avremo preso, come si suol dire, due piccioni con una fava: fatto le piccole incombenze quotidiane e soddisfatto la nostra dose di ginnastica. Con un minimo di preparazione, molti spostamenti in città, anche su distanze considerevoli, possono essere fatti su una bicicletta, magari con l’aiuto supplementare di un mezzo pubblico che ne consenta il trasporto. Approfittiamone! Cycle! di primavera è un numero al femminile: ragazze sprint che da atlete si sono trasformate in donne-immagine; ragazze che girano l’Italia in bici, per diletto o di corsa; ragazze che fanno la rivoluzione, su due ruote; e una bambina che attraversa le Ande in bici. E poi uno speciale dedicato ai cento anni di una corsa-mito, il Giro delle Fiandre, visto a trecentosessanta gradi, muri compresi. Albano Marcarini

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PORTFOLIO

Virgilio Carnisio

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cycle! / SOMMARIO 3. EDITORIALE di Albano Marcarini 4. PORTFOLIO di Virgilio Carnisio 18. TRE UOMINI E UNA GAMBA Fabrizio Macchi, Vittorio Podestà, Alex Zanardi: storia di ruote e di amicizia di Gino Cervi, foto di Umberto Isman, Mauro Ujetto, Angelo Ferrillo e Marco Bardella 31. VENEZIA E UNA MARATONA SULL’ACQUA: ALEX ZANARDI E FRANCESCO CANALI di Claudio Rinaldi, foto di Matteo Bertolin e Chiara De Carli

32. NERVIOS, GRITOS Y DESORDEN Criterium de Gijón 2012: adrenalina e pedivella foto di Paolo Martelli 46. IL SENSO DEL PEGO PER L’ACCIAIO Dario Pegoretti, maestro telaista: storia e passioni di Gino Cervi, foto di Umberto Isman

64. 100 DI QUESTE FIANDRE Il Giro delle Fiandre: 1913-2013 68. ASPETTANDO LA RONDE Muri e pavé, bandiere gialle e leoni neri, fiumi di birra e canti stonati: il ciclismo secondo le Fiandre di Lorenzo Franzetti, foto di Guido P. Rubino 78. UN GIRO NEL VENTO Jacques Brel e il suo plat pays di Gianni Mura 82. CINQUE EDIZIONI DA LEGGENDA di Lorenzo Franzetti 84. CINQUE MURI di Lorenzo Franzetti 86. MUSEI E BICICLETTE

94. IL MIO FIORENZO Alfredo Martini ricorda Fiorenzo Magni di Marco Pastonesi 98. LA PEDALATA ROTONDA di Albano Marcarini 100. LA RIVOLUZIONE CORRE CON WADJDA La bicicletta verde di Haifaa Al Mansour di Davide Mazzocco, illustrazioni di Lorenzo Conti, Angelica Lena e Francesco Morelli 104. BIGATOUR: SEI DONNE, DODICI RUOTE… Una storia di cicloturismo sostenibile di Gino Cervi, foto Bigatour 110. LA CORSA AL MARE La prima gara a tappe di ciclismo femminile in Italia di Sergio Giuntini 112. IMMOBILE MOVIMENTO Intervista a Roberto Sironi di Albano Marcarini

87. CICLOTURISMO NELLE FIANDRE

116. LA BICI TATTILE Due ruote per apprendere di Fernanda Pessolano, foto di Pier Francesco Giordano

88. UN VIAGGIO NELLE FIANDRE

120. I LIBRI DI CYCLE!

86. FONDAZIONE JACQUES BREL

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90. LE GAMBE DI CATERINA di Laura Bosio, illustrazione di Riccardo Guasco

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122. LE SCANDALOSE RAGAZZE SPRINT Gli anni Sessanta e le pioniere del ciclismo femminile in Italia di Lorenzo Franzetti, foto di Diego Franzetti 134. DA ALFONSINA A LIZ: QUANTA STRADA HAN FATTO LE DONNE IN BICICLETTA? di Gino Cervi, foto di Daniel Geiger

136. LA CORDILLERA E LA BAMBINA Le piste delle Ande, due bici e una famiglia testi e foto di Cédric Brunet 150. LA LEZIONE DEL VELODROMO Elia Viviani: l’ultimo pistard e il sogno di una Sanremo di Lorenzo Franzetti, foto di Umberto Isman

In queste pagine: il velodromo di Gand (foto di Guido P. Rubino) Foto in copertina: il Criterium di Gijón, 2012 (foto di Paolo Martelli)

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TRE UOMINI E

UNA GAMBA testo di Gino Cervi, foto di Umberto Isman, Mauro Ujetto, Angelo Ferrillo e Marco Bardella

Macchi, PodestĂ e Zanardi: storia di ruote e di amicizia

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Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco io ora ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e sofferenze del mondo. Il visconte dimezzato (Italo Calvino, 1952)

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uando vide il BMW fuoristrada parcheggiato nello spazio disabili dell’Autogrill di Bordighera Nord, Vittorio Podestà, campione italiano di handbike nella prova a cronometro, imprecò in genovese, mandando a quel paese il solito stronzo. Decise di restare in macchina ad aspettare. La moglie, mentre si avviava al bar dell’Autogrill, gli fece notare che c’era poco da mugugnare: anche il BMW portava ben visibile sul parabrezza il contrassegno arancione per disabili. Poco dopo Vittorio vide arrivare il proprietario del macchinone e non ci mise niente a riconoscerlo: del resto, sarebbero bastate le tecnostampelle con cui avanzava spedito per riconoscere Alessandro Zanardi. Prima di salire in auto, Alex si fermò a guardare incuriosito quella strana macchina a tre ruote che stava sul tetto dell’auto di Vittorio. I due incrociarono gli sguardi: dopo un secondo Alex era seduto vicino a Vittorio per farsi raccontare tutto dell’handbike. Un corso accelerato in dieci minuti. Quando si salutarono calorosamente, come due vecchi amici, la moglie chiese a Vittorio perché le aveva nascosto che era così amico di un personaggio famoso come Alex Zanardi. «Amico?» rispose Vittorio, «ma se è la prima volta che lo vedo!». Era il gennaio del 2006. Nel settembre del 2012, ottanta mesi dopo, Alex e Vittorio si sono ritrovati da un’altra parte del mondo. Londra, XIV edizione di Giochi Paralimpici: un tesoro in comune, sei medaglie olimpiche vinte, due ori, due

In apertura: Fabrizio Macchi e la sua Specialized (foto di Angelo Ferrillo).

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argenti e due bronzi. Un successo sportivo straordinario, contributo fondamentale a un progetto ancora più grande: mostrare al mondo, attraverso lo sport, che la disabilità la si può vivere e considerare in un modo diverso, un’emozionante rivoluzione di prospettive. Dal gennaio 2006 al settembre 2012 c’è una lunga storia da raccontare. Una storia di ruote e di amicizia, che ad Alex e Vittorio unisce un altro campione, un terzo moschettiere: Fabrizio Macchi, ciclista e già medaglia di bronzo alle Paralimpiadi di Atene nel 2004, nell’inseguimento. Questa storia proviamo a raccontarla qui. Idea handbike A metà settembre del 2007 Vittorio Podestà ricevette una telefonata. Era Alex Zanardi. Non si sentivano da quel gennaio dell’anno prima. Alex aveva perso il numero di telefono di Vittorio: a rimettere in contatto i due fu proprio Fabrizio. Fabrizio e Vittorio si conoscevano da tempo e facevano parte della squadra nella nazionale di paraciclismo: nel 2007, ai Mondiali di Bordeaux, Vittorio vinse due ori nell’handbike, nella prova a cronometro e in quella a squadre; Fabrizio conquistò l’argento nella prova di ciclismo a cronometro. Macchi in quegli anni era già un fenomeno all’interno del movimento degli sport paralimpici. Colpito da un tumore osseo, all’età di sedici anni gli era stata amputata la gamba sinistra. Ma lo sport, passione molto più forte della malattia e della disabilità, lo portò a partecipare e

A fianco, in alto: Vittorio Podestà a ruota di un avversario durante il campionato italiano di handbike a Caldonazzo (TN), nel giugno 2012 (foto di Umberto Isman).

A fianco, in basso: Alex Zanardi in curva, sempre sul percorso dei campionati italiani di Caldonazzo (foto di Umberto Isman).


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NERVIOS, GRITOS Y DESORDEN Criterium de Gij贸n 2012: adrenalina e pedivella foto di Paolo Martelli testi tratti da criteriumgijon.com 32

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IL SENSO DEL PEGO PER L’ACCIAIO Dario Pegoretti, maestro telaista: storia e passioni testo di Gino Cervi, foto di Umberto Isman 47


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When the day is done Hope so much your race will be all run. Then you find you jumped the gun Have to go back where you begun. When the day is done. Day is done (Nick Drake, 1969)

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importante è avere una storia. E passioni. Le passioni si trasuda. Non le inventa il marketing. Non è marketing questo capannone, in mezzo ai meli di Caldonazzo. E non è marketing Jack, il cane che mi guarda assonnato dalla sua cuccia nel cortile. Non sono marketing i finestroni dell’officina che inquadrano i boschi e le montagne della Valsugana. Neppure i muri pieni di scritte, di disegni, di foto. Né le macchie di colore sulle pareti della camera della verniciatura, né la cucina dove sta gorgogliando la macchinetta del caffè. Ancora di più non è marketing il filo di fumo che dalla sigaretta appoggiata sul posacenere sale su fino al cartello appeso al muro con la scritta VIETATO FUMARE. Grigi i capelli, lunghi e legati a coda, come un capo comanche. Grigia la barba, corta (o lunga, dipende dei punti di vista). Grigi, ma di un acciaio buono, gli occhi. Che squadrano, prima di tendere la mano e invitare a entrare. Questo è il maestro Dario Pegoretti, detto Pego, leggenda della telaistica. Ma, prima di tutto, storia e passione.

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100 DI QUESTE

FIANDRE Il Giro delle Fiandre: 1913-2013

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Aspettando la Ronde testo di Lorenzo Franzetti, foto di Guido P. Rubino

Muri e pavé, bandiere gialle e leoni neri, fiumi di birra e canti stonati: il ciclismo secondo le Fiandre

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l tempo dell’attesa sembra immobile e snervante. Comincia in inverno, quando i villaggi e le campagne fiamminghe fanno da scenario a poche comparse. Anonime, mute. Tuttavia, il cigolìo di qualche bicicletta che sobbalza sul pavé non manca mai, nemmeno nelle giornate più fredde. Come nelle chiese vuote, dove qualche devota vecchietta un pateravegloria lo recita sempre. Anche se il vento che soffia da Nord mette i brividi e quasi toglie il fiato. Spazza via ogni rumore, porta con sé un silenzio di ghiaccio. La Ronde, come chiamano da queste parti il Giro delle Fiandre, è ancora lontana. I comignoli di Kwaremont Tra le poche case di Kwaremont non si muove foglia, la vita la s’intuisce soltanto dal fumo di qualche comignolo. All’inizio della primavera, tuttavia, lo scenario cambierà completamente e quella strada di pietre che sale dalla pianura diventerà il teatro della Ronde. Il villaggio si riempirà di bandiere, leone nero in campo giallo, e sotto le bandiere una folla rumorosa e allegra, mentre l’odore delle salsicce alla griglia avrà buon gioco con quel vento che non sarà più così freddo come in inverno. Tuttavia, qualche vecchio contadino avrà di che scuotere la testa: «Una volta, la Ronde era la corsa nell’inferno, si battevano i denti sotto la pioggia, si pedalava sempre controvento: oggi sta diventando una

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domenica da picnic. Colpa del clima che cambia». I fiamminghi hanno due religioni: il cattolicesimo e il ciclismo. E anche il culto pagano della bicicletta è fatto di attesa e di riti: tra le fattorie di Brakel, nelle Ardenne fiamminghe, così come nelle birrerie di Oudenaarde o nei locali più chic di Bruges. Una lunga attesa, prima del giorno più importante: il Giro delle Fiandre è la grande festa comandata di un intero popolo e darà inizio a quella che qui chiamano la “Settimana Santa”, ovvero i sette giorni che cominciano col Fiandre e finiscono con la Parigi-Roubaix, l’altra domenica solenne del culto del “dio ciclismo”. Mancano molte settimane prima della grande festa, ma già ci si prepara, si discute, si litiga, si spera: il soggetto di ogni dibattito è quasi sempre uno solo, Tom Boonen, l’idolo locale che dovrà vedersela con avversari stranieri come lo svizzero Fabian Cancellara o l’italiano Filippo Pozzato. Ne parlano gli uomini al pub, i ragazzi a scuola, le donne in ufficio o al supermercato. Ruote e pedali sono sempre in movimento, anche se appesantiti dal freddo. La bicicletta qui è un oggetto di uso quotidiano. Sempre e soprattutto per le donne. Belle e brutte, giovani e anziane, magre e grasse: la bici è come la borsetta o lo smartphone, per il giorno e per la sera, anche se piove, anche se nevica. E ogni domenica d’inverno e anche più, nelle Fiandre


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LE GAMBE DI

CATERINA di Laura Bosio, illustrazione di Riccardo Guasco

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er Caterina la città era un palazzo principesco. I viali erano lunghi corridoi, le piazze grandi anticamere e sale, le case altrettante stanze, fino alla piazza centrale, cuore del palazzo riservato a pochi. Caterina, segreta principessa, sfrecciava sulla bicicletta lungo il viale-corridoio e le piazze-anticamera facendo gimcane intorno agli alberi come aveva fatto con il triciclo intorno alle gambe del tavolo, nell’appartamento di periferia, tre camere e servizi, dove era costretta a vivere in una specie di confino dentro il suo stesso palazzo. Seduta sulla sella in posizione aerodinamica oppure in piedi sui pedali, il manubrio ben stretto, correva per la città-castello, con o senza permesso, attenta a ogni pietra, a ogni tombino, a ogni vetrina, finestra e tetto di quel palazzo dalle tante facce, buffe, altezzose, terribili, tristi, di marmo, di mattoni, di edera, orgogliosa delle sue gambe. Gambe lisce, sode, sottili e senza peli. Gambe da corridore. Il corridore che voleva diventare. Le aveva osservate, le gambe dei corridori, quando le corse passavano per la città e il padre, che la teneva per mano, incitava il gruppo nel suo modo silenzioso, muovendo la schiena in avanti. A volte un tubolare esplodeva: un tonfo, e i corridori cadevano, diventavano un groviglio di teste, ruote, braccia, gambe. Allora Caterina poteva vedere meglio, le gambe dei corridori, e le sue, lo constatava scrutandole e toccandole, erano perfette. Meno perfetta era la sua bicicletta. Dopo il triciclo e la bicicletta piccola con le rotelle, aveva ereditato, da una cugina cresciuta in altezza e soprattutto in volume, una bicicletta di taglia intermedia, azzurra e malandata.

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LE SCANDALOSE RAGAZZE SPRINT testo di Lorenzo Franzetti, foto di Diego Franzetti

Gli anni Sessanta e le pioniere del ciclismo femminile in Italia 123


Donne che non temevano nessuna strada, pronte a tutto per cambiare qualcosa, per sfidare quell’Italia sempre uguale, quei pettegolezzi dietro le persiane delle case

A fianco: in alto a sinistra, Maria Cressari; a destra, pubblico assiepato al passaggio di una corsa nel centro di Castiglione Olona; in basso, a sinistra, Florinda Parenti; a destra, Morena Tartagni. Nelle pagine seguenti: a sinistra, la corsa riflessa nel concavo di uno specchio; a destra, Morena Tartagni all’arrivo sotto la pioggia.

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uscivano in bicicletta da corsa ogni mattina, quando ancora era buio. Passi per l’Oreste, ma quelle due lì, con quelle gambe così nude, «Robb de matt!». Giuditta e Lidia pedalavano più veloce che potevano, fino a uscire dalla città, lontane dai pettegolezzi bisbigliati dietro a persiane socchiuse, verso le risaie e i campi, dove la nebbiolina si alzava alle prime luci del sole, tra lepri, capriole e aironi in volo. Nel silenzio della Pianura padana si sentivano i rumori della libertà: il cigolare di un pignone, di una pedivella e di una catena che facevan girar le ruote. A perdifiato. E poi, dopo l’alba, tutti a casa e a lavorare in fabbrica. Alle Fornaci di Brescia, tra le cascine di Roncadelle e i campi di Castel Mella, i corridori erano ragazze con le gambe lisce e tremanti per l’emozione e un po’ per pudore: al primo colpo di pedale cominciò la vera storia. Storia di donne che non temevano nessuna strada, pronte a tutto per cambiare qualcosa, per sfidare quell’Italia sempre uguale, quei pettegolezzi dietro le persiane delle case, quello scuoter di teste di preti, madri ansiose e mariti gelosi. «Al moroso preferisco la bici» «Io femminista? No, ho solo dimostrato che quello che sa fare un uomo, lo sa fare anche una donna. Magari soffrendo di più, faticando più dell’uomo, ma anche io lo posso fare» afferma orgogliosa Maria Cressari, oggi, a 70 anni, ma con la stessa grinta di allora. E che grinta! Maria vinse quella gara alle Fornaci e cominciò tutta un’altra strada. Andò al Mondiale a Salò, anche se la federazione non l’aveva nemmeno iscritta alla prova. Pianse per tutta la notte precedente, Maria, ma al mattino qualcuno l’accontentò e le consegnò una maglietta dell’Italia e un paio di pantaloncini. Con lei, nella prima Nazionale italiana femminile c’erano Paola Scotti, Florinda Parenti, Giuditta Longari e Rosa Vitari. Arrivò diciassettesima, Maria, e poi tornò a servire ai tavoli, in trattoria: «Ma le mogli del paese erano gelose – racconta – e non volevano che i mariti fossero nostri clienti, perché io mostravo le gambe, quando uscivo in bicicletta da corsa». Imparò presto a non aver paura di niente e di nessuno, Maria, determinata come nessun’altra, e capace di rispedire al mittente un fidanzato che avrebbe preferito non vederla in bicicletta: «Era uno di Milano, si era proposto come marito, ma mi aveva detto che,


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LA CORDILLERA

E LA BAMBINA foto e testi di Cédric Brunet

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Le piste della Cordigliera delle Ande, due bici e una famiglia: mamma Carole, papĂ Cedric e Tessa, avventuriera di tre anni. L’America del Sud è un bel gelato: sul cono della Patagonia una gran palla al gusto di Amazzonia.

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In Cile Fra il 1976 e il 1996, la costruzione della Carretera Austral – 1240 chilometri, la spina dorsale delle comunicazioni nel Cile – fu promossa da Augusto Pinochet per scopi puramente militari. Lungo il percorso il paesaggio è tra i più vari: giungla tropicale, e poi cascate e fiordi di mare che entrano fra le montagne confondendosi con i laghi. Sopra: Cédric, Tessa e la Patagonia. A fianco: Tessa a Estancia Viamonte, nella Terra del Fuoco. Nelle pagine seguenti: 1. A San Pedro de Atacama (Cile); 2. Una corsa sul ponte; 3. Colazione nel carrellino; 4. Vista su Macchu Picchu (Perù); 5. Nanna; 6. In groppa a Cuzco, compagno di trekking sui sentieri dell’Huyahuash (Ande peruviane); 7. Nel Parco nazionale Sajama (Bolivia); 8. In classe, nella scuola di Santa Barbara (Cile); 9. Basta carrellino, anch’io voglio una bici.

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CEDRIC: Si vedevano spesso serpenti schiacciati sull’asfalto. Dicono sia normale. Il calore anima gli scorpioni e i rettili. Dopo aver pernottato nel deserto, al risveglio trovammo uno scorpione che riposava tranquillamente nella nostra tenda, vicino a un sacchetto. E con nostra sorpresa, un'altro, molto più grosso, si era nascosto sotto. Sequenza di foto e lezione di biologia animale per Tessa; gran spavento per Carole. Nel corso del viaggio, durante le soste più lunghe, la piccola Tessa ha passato del tempo insieme ad altri bambini nelle scuole dei villaggi andini.


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LA LEZIONE DEL VELODROMO Elia Viviani: l’ultimo pistard e il sogno di una Sanremo di Lorenzo Franzetti, foto di Umberto Isman

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velocisti, quando sale in bici e mette il naso fuori di casa, ad annusare nebbia e brina, già sente il profumo della primavera. Profumo che dalle sue campagne veronesi conduce fino alla Riviera ligure, dove a marzo, va in scena la prima classica monumento della stagione. La Sanremo è il pensiero fisso, l’ossessione di molti, nonostante il ciclismo oggi faccia rotta, prima di approdare in Liguria, in paesi lontani ed esotici: Australia, Argentina, Qatar, Malesia. Ma, come il calcio ha i suoi stadi “simbolo”, così il ciclismo ha i suoi traguardi storici, i più ambiti. «Alla Sanremo ci si arriva con tanti chilometri nelle gambe, molti di più rispetto a vent’anni fa, quando la stagione agonistica partiva più o meno da lì – spiega Viviani – ma il fascino di questa corsa non è mai diminuito, anzi è aumentato: un velocista la sogna e la prepara per mesi, e può pensare di vincerla solo dopo aver maturato grande esperienza e forza interiore. Più

ancora che con le gambe buone, che pure sono fondamentali, ma non bastano per vincerla». I maestri e la paura Forza interiore, buone gambe: ecco, che Viviani, prima o dopo aver macinato chilometri nella Pianura padana, si rifugia sempre nel suo velodromo… «Per un professionista, il preparatore e il tecnico contano, le tabelle di allenamento pure, ma quando sei tu dentro a un velodromo è il tuo fisico che ti parla, girando da solo sul parquet impari ad ascoltare bene anche il tuo cuore che batte: e se impari a leggere bene i messaggi che manda il tuo corpo, allora impari anche capire dove migliorare come atleta e come uomo». Parla come un guru, Viviani, ma in realtà ha soltanto ereditato una mentalità che si tramanda per decenni tra pochi intenditori. Bianchetto, Chemello, Meneghelli, Callari, Martinello, Collinelli, Villa: per i veri

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© cycle! 2013

Crediti fotografici

cycle! magazine numero due – marzo 2013 In attesa di registrazione presso il Tribunale di Milano www.cyclemagazine.it

© Albano Marcarini, pp. 2, 84 (carta), 85 © Virgilio Carnisio, pp. 4-15 © Guido P. Rubino, pp. 16, 64-65, 69-74, 75 (a destra), 76-77, 84, 86 (al centro), 98 © Angelo Ferrillo, pp.18-19 © Umberto Isman, pp. 21-22, 29-30, 46-62, 150-156, 157 (a destra) © Mauro Ujetto, pp. 23-27 © Marco Bardella, p. 28 © Matteo Bertolin, p. 31 (a destra) © Chiara De Carli, p. 31 (a sinistra) © Paolo Martelli, pp. 32-33, 34 (a sinistra), 35-44 © Criteriumgijon.com, p. 34 (a destra) © Turismo Fiandre, pp. 66-67, 75 (a sinistra), 82 (in basso, a sinistra), 86 (in alto), 87, 88 © Nationaal Archief, Den Haag, Rijksfotoarchief: Fotocollectie Algemeen Nederlands Fotopersbureau (ANEFO), pp. 79, 86 (in basso), © Fondation Jacques Brel, p. 80 © Centrum Ronde Van Vlaanderen, pp. 82 (le due in alto), p. 83 © Riccardo Guasco, pp. 90, 93 (in basso) © Longanesi, p. 93 (in alto) © Paolo Gandolfi, pp. 94, 97 (in alto) © La Nazione/Germogli, p. 97 (in basso, a sinistra) © La Gazzetta dello Sport, p. 97 (in basso, a destra) © Lorenzo Conti, p. 100 © Francesco Morelli, p. 102, p. 103 (le due a sinistra e al centro) © Razor Film/Angelica Lena, p. 103 (a destra) © Bigatour, pp. 104-109 © Roberto Sironi, pp. 112-15 © Pier Francesco Giordano, pp. 116-119 © Diego Franzetti, pp. 122-133 © Carlin Bergoglio, p. 134 (a sinistra) © Paolo Facchinetti, p. 134 (a sinistra) © Daniel Geiger, p. 135 © Cédric Brunet, pp. 136-148 © Lorenzo De Simone, p. 157 (le due a sinistra)

Direttore responsabile Albano Marcarini - direttore@cyclemagazine.it Redazione Gino Cervi Lorenzo Franzetti Umberto Isman Guido P. Rubino redazione@cyclemagazine.it Segreteria di redazione Diana Quarti - segreteria@cyclemagazine.it Art director / photoeditor Francesco Dondina - artdirector@cyclemagazine.it Progetto grafico Dondina Associati, Milano Impaginazione Diana Quarti e Paola D’Alessandro - grafica@cyclemagazine.it Hanno collaborato a questo numero: Marco Bardella, fotografo; Matteo Bertolin, fotografo (www.matteobertolin.it); Bigatour - Alessandra, Annalisa, Anna, Chiara, Iris, Marianna (bigatour. blogspot.it); Laura Bosio, scrittrice; Cédric Brunet, viaggiatore; Virgilio Carnisio, fotografo; Lorenzo Conti, illustratore; Chiara De Carli, fotografa; Lorenzo De Simone, fotografo (www.lorenzodesimone.com); Angelo Ferrillo, fotografo (www.ferrilloshots.it); Diego Franzetti, meccanico ciclista e fotografo; Daniel Geiger, fotografo (danielgeiger.net); Sergio Giuntini, storico dello sport; Riccardo Guasco, pittore e illustratore (www.riccardoguasco.com); Angelica Lena, illustratrice; Paolo Martelli, fotografo (www.paolomartelli.com); Davide Mazzocco, giornalista e scrittore; Francesco Morelli, illustratore; Gianni Mura, giornalista e scrittore; Marco Pastonesi, giornalista e scrittore; Fernanda Pessolano, operatrice culturale; Claudio Rinaldi, giornalista e scrittore; Mauro Ujetto, fotografo (www.mauroujetto.it, www.paracyclingworld.it). Redazione c/o Dondina Associati, via Ausonio 18, 20123 Milano, tel 02.89403880 - fax 02.89405748 redazione@cyclemagazine.it Pubblicità Claudio Sanfilippo - adv@cyclemagazine.it tel. 335 415810

La foto di p. 111 è tratta da La Bologna dell’UISP. 1948-2008. Sportpertutti e per tutta la vita, a cura di Bruno Di Monte e Franco Tannini, UISP, Minerva Edizioni 2008. Il testo di My Beatiful Parking di p. 44 è stato tradotto dallo spagnolo da Gino Cervi; i testi di Cédric e Carole Brunet, tratti da www.cordillere-andes.com, sono stati tradotti dal francese e adattati da Albano Marcarini. I testi in inglese delle pp. 158-159 sono di Caroline Henderson. Ringraziamenti

Edicicloeditore, via Cesare Beccaria 17, 30026 Portogruaro (VE), tel 0421.74475 Direttore editoriale Vittorio Anastasia Ufficio stampa Lorenza Stroppa www.ediciclo.it

Grazie a: Centrum Ronde Van Vlaanderen (Oudenaarde), Francis De Laveley (Fondation Brel, Bruxelles), Paolo Gandolfi, Longanesi Editore, My Beautiful Parking (Barcelona), Giovanna Sainaghi e Luca Lo Basso (Turismo Fiandre, Milano), Alessio Sartore, Stijn Van Houdt, Velodromo Fassa Bortolo (Montichiari); e a tutti i collaboratori.

Stampato da Grafica Veneta Trebaseleghe (Pd)

Tutti i diritti riservati. Testi, fotografi e, disegni contenuti in questo numero non possono essere riprodotti, neppure parzialmente, senza l’autorizzazione di cycle! magazine

ISBN ????

cycle! magazine è a disposizione degli eventuali aventi diritto per crediti fotografici non reperiti o non correttamente segnalati.


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