damp magazine
COME NEL DESERTO Quindici anni di surf in Nord Africa
Una settimana con Brando Giovannoni
BRANDO
SAND DIAMOND
BAJA THROWBACK
Camminando verso Salinas
ASTURIAS
SOUTH FROM HOME
Viaggio nel tempo in Baja California
www.dampmag.com
Un last minute in Namibia
Riscoprire le onde a sud di casa
Distribuito da Holy Sport www.holysport.com
I N T R O
#STAYDAMP Prima di tutto, probabilmente te lo stai chiedendo, quindi te lo diciamo subito: la foto di copertina è scattata in Italia! Oppure, forse l’hai sottovalutata pensando si trattasse della solita onda perfetta in una qualsiasi parte del mondo. Troppo facile. Quell’onda è cento per cento italiana e, in effetti, è abbastanza incredibile. L’abbiamo guardata e riguardata prima di farcene una ragione. Un tubo perfetto che scoppia su un banco di sabbia in una tranquilla giornata di sole chi sa dove, e un fortunato surfista che sta andando a godersela. Ma non farti fregare dai colori estivi, è una fredda onda di un dicembre passato. Certo, nel sud della Sardegna faceva sicuramente più caldo quando è stata immortalata. E’ un bell’esempio di cosa può riservare l’inverno per noi che lo abbiamo tanto aspettato, per noi fedelissimi dell’onda nostrana che proviamo gusto a surfare un’onda così tutta italiana e la assaporiamo fino al midollo. Era tempo di pubblicarla questa foto, la nostra mission è sempre quella di farti amare le tue onde, di farti venir voglia di esplorare la tua terra, così come è venuta voglia ad Edoardo Papa, che dopo aver surfato per anni quasi solo all’estero ha scoperto quanto siano eccitanti le onde in patria. Leggi il suo viaggio al sud da pagina 86. Questo numero invernale è tutto dedicato ai viaggi, non solo nello spazio ma anche nel tempo. Leggi l’articolo sul Marocco e su come sia cambiato negli ultimi quindici anni, e poi tuffati nell’esperienza spazio temporale della Baja California degli anni ‘70 con le foto dell’epoca recuperate dagli archivi dei protagonisti George Colletti e Kirby Smith. Scopri un pò di più su Brando Giovannoni, il talentuoso ragazzino di Viareggio con cui abbiamo passato una settimana a Hossegor, prima di conoscere qualcosa di più sulla Namibia e la sua famosa Skeleton Bay, raccontata da Roberto D’Amico ed Eugenio Barcelloni, che l’hanno vissuta in prima persona sulla loro pelle. Infine dai un’occhiata alle Asturie, una destinazione un pò più alternativa delle solite mete spagnole ma da prendere in considerazione. A partire da questo numero c’è anche una novità: puoi sostenere Damp e richiedere le tue copie direttamente a casa, insieme all’esclusiva maglietta (vai avanti a sfogliare il mag, troverai tutte le info). Ma c’è anche un’altra novità fighissima. Sempre per sostenerci ed aiutarci a sfornare un magazine di qualità, puoi acquistare le foto che trovi all’interno del mag. Se ti piace una foto, o due, o tre... scrivici e richiedi il formato che preferisci. In questo modo non solo finanzierai il sostentamento della rivista ma anche dei fotografi che si sbattono continuamente per chilometri e chilometri solo per passione, spendendo soldi in benzina e autostrada, spesso per riuscire a pubblicare una sola foto. Loro sono i veri grandi, senza i quali non saremmo qui. Ama le tue onde e.... Stay Damp!
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C O N T E N U T I #staydamp
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EDITORIALE
12 INSTAPORN 14
EPIC DAYS
16 COUNTDOWN 26
HOW TO: SCEGLIERE LA TAVOLA
30 COME NEL DESERTO
44 UNA SETTIMANA CON BRANDO 54 BAJA THROWBACK
68 ASTURIAS 78 NAMIBIA DAMP MAGAZINE WINTER 2017 Hanno collaborato: Eugenio Barcelloni, Yari Cava, Michele Chiroli, George Colletti, Viola Degli’Innocenti, Mattia Lugaresi, Dante Mari, Adelmo Massola, Roberto Montanari, Fabio Palmerini, Andrea Papa, Roberto D’Amico, Kirby Smith, Ivan Trovalusci, Nicolò Vasini, Nicola Zamagni, Marcello Zani.
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COOL STUFF
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SURF ART
Finito di stampare: Dicembre 2017 Stampa: La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio S.r.l. Via Dell’Artigianato, 23 • 47826 Villa Verucchio (RN) Tutti i diritti riservati Per info, pubblicità e abbonamenti: info@dampmag.com FOLLOW US web: www.dampmag.com • instagram: @dampmagazine
COVER FOTO DI
YARI CAVA
Progetto grafico a cura di Roberto Montanari e Yari Cava
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I N S T A P O R N #staydamp
Inverno tempo di viaggi, avete già impacchettato le tavole per andare a svernare? Per voi instagrammer incalliti, questa volta vi proponiamo nove profili correlati ai viaggi, di quelli che quando scorri il feed c’è qualcosa che ti colpisce e ti fa bloccare il dito. Alcuni noti, altri meno noti, godeteveli e se vi piace l’autore, seguitelo anche voi.
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SURFCORNERSTORE.IT
E P I C
D A Y S
FOTO DANTE MARI
#staydamp
LA NAVE 10.03.2010 Questa storia comincia con la solita consapevolezza Adriatica del fatto che tutto, come nulla, può succedere. Ma la pura verità è che in questa mia alchimia di attese non ho mai perso la speranza di vivere quel giorno... Il giorno! Quel momento era arrivato, un pugno di amici veri, pochi pensieri e tanta dedizione alla nostra religione: il mare. Come sempre un check alle previ per discutere il da farsi. Unico dubbio, un meteo esagerato. In Adriatico settentrionale nordest forza 8 fino alla punta marchigiana del Conero e, a specchio dalla Puglia mediterranea fino al medesimo, scirocco enorme al punto di creare un maxi incrocio di mareggiate con misure d’onda su Portonovo di 5mt, tutto condito da maestrale sottocosta. La speranza di vivere per una volta la mareggiata del centenario stava per diventare realtà. Ci crediamo e a notte fonda si parte per Ancona, destinazione Portonovo. La verità è che una volta arrivati le parole le abbiamo lasciate a chi può solo parlare e la speranza di surfare onde vere si è trasformata nel puro rispetto di quello che avevamo davanti. Ore 7:00, Giacchetti come Pipeline. Ore 8:00, La Nave come Half Moon Bay. Ascolta le foto... Nik Zamagni
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05 FOTO FABIO PALMERINI Non importa se il calendario segna un’altra data, ti accorgi che l’autunno è finito quando cominciano ad arrivare mareggiate come questa. Giovanni Evangelisti in pieno assetto invernale.
04 FOTO IVAN TROVALUSCI Luce morbida e colori caldi. Piano piano cala il buio anche sugli ultimi spettatori. Lo golden hour rende caldo anche il freddo vento da nord est, mentre Yari Cava improvvisa l’ultimo atto davanti alla lente di Ivan Trovalusci.
03 FOTO FABIO PALMERINI Edoardo Papa era solito fare tubi così solo all’estero, in questo caso a Lanzarote. Quando però quest’autunno, per la prima volta nella sua vita, si è spinto più a sud di casa ha trovato condizioni molto simili che lo hanno piacevolmente sorpreso. (leggi il suo articolo da pag. 86)
02 FOTO MICHELE CHIROLI Spingendosi piĂš a ovest delle destinazioni spagnole piĂš note, si entra nelle Asturie, una regione che riserva molte sorprese. (da pag. 66)
01 FOTO MATTIA LUGARESI Negli ultimi anni il Marocco ha attraversato un boom del surf che ha portato all’affollamento di tutte le aree surfistiche più conosciute, costringendo gli affezionati che lo frequentavano fin dai tempi dell’analogico a spostarsi progressivamente in zone sempre più defilate per trovare un pò di pace. Al giorno d’oggi riuscire a surfare queste onde con pochi intimi è pressochè un’utopia. (da pag. 28)
HOW TO SCEGLIERE LA TAVOLA Con Marcello Zani di Sequoia Surfboards
Bordi a confronto tra il modello Enzo (sotto) e Orso (sopra). La linea del bordo nella Orso è più avanzata verso il centro mentre risulta più arretrara nella Enzo.
Bordi, volume, outline, scoop, rocker, tail... tutti elementi da tenere in considerazione nella scelta della tavola giusta, ma che possono confondere le idee. Si potrebbe parlarne per pagine e pagine, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Marcello Zani di Sequoia per capire le nozioni base e avere qualche spunto di partenza nella scelta della tavola. Le basi per la scelta della tavola e per capire come una questa lavora sono diverse e abbastanza complicate, il design di una tavola è formato da un mix di elementi che combinandosi tra loro porta ad un risultato complessivo sempre differente. Misure e litri aiutano tantissimo, ma soprattutto nella scelta della misura giusta del modello
scelto, o permettono di capire di che tipo di tavola si tratta. Farsi consigliare da un negoziante o dallo shaper è sempre la cosa migliore se si è alle prime armi. Prima di tutto occorre valutare il tipo di surf che si vuole fare, il tipo di onda in cui si pensa di usare la tavola, il tipo di “stance” e l’allenamento.
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La parte terminale nellla zona del tail della linea scoop-rocker nel modello Enzo
ROCKER
CONCAVI
Il rocker è l’elemento che più influisce sulla performance di una tavola e ne determina il tipo di utilizzo. Un rocker accentuato permette di surfare nella parte più ripida dell’onda e di essere più reattivi, viceversa un rocker più piatto permette di surfare onde mosce o di stare in una zona più facile dell’onda. Un rocker piatto regge più peso, mentre un rocker accentuato è più sensibile alla transizione dei pesi durante la surfata. Il mix di rocker con kick o scoop e con il disegno dei concavi consente d’avere gli elementi positivi sia del rocker piatto sia di quello accentuato nella stessa tavola. Per esempio, un concavo singolo profondo nella parte centrale della tavola appiattisce il rocker in quel punto, invece un Vee profondo aumenta la curva rocker dei rail. Rocker spostati in avanti o indietro sono concepiti per seguire il centro del peso del surfista o per sfruttare al meglio la tavola in base al tipo di surfata su onda piccola o su onda con molta energia.
Oltre che modificare le curve del rocker della tavola i concavi concorrono a determinare il carattere di una tavola. Generalmente si usa un double concave to Vee per far girare più facilmente una tavola larga o per dare ancora più reattività ad una short high performance. Il single concave viene generalmente usato per dare stabilità e portanza, è usato sia in tavole per onde con tanta energia sia per tavole da onda piccola. I concavi inoltre influiscono sul rilascio e sulla tenuta della tavola soprattutto nel nose. In un’onda in cui è necessario fare appena dopo il take off una pompata, è comodo avere un double to Vee per accelerare velocemente la corsa in parete, mentre in onde con molta energia, dove si ha già tanta velocità, è preferibile usare un single concave in modo da avere controllo in fase di take off ed un ottima conduzione in manovra. I concavi sono facilmente percepibili ed è importante scegliere bene, un double to Vee può per esempio dare senso di instabilità a surfisti non esperti in tavole non molto larghe.
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#staydamp
OUTLINE Per quanto riguarda gli outline delle tavole, una maggior larghezza porta generalmente maggior portanza da parte dell’onda una volta in piedi, questo comporta una tavola più lenta nel rail to rail e che stringe meno le curve. Si cerca quindi, nelle tavole con outline larghi, di aumentarne la velocità. Combinando un outline del genere con scoop, rocker e concavi si può attenuare questo fenomeno e rendere la tavola comunque performante. L’altra valutazione che si deve fare riguardo la forma di una tavola è la differenza tra il punto più largo della tavola e la larghezza del tail/nose, più una tavola è dritta e più sarà veloce e stabile, sarà quindi più difficile accelerare/frenare. Anche qui associare il tipo di rocker permette di conservare i lati positivi ed attenuare quelli negativi. BORDI Anche i bordi della tavola partecipano alla sensazione che si ha in acqua, un bordo schiacciato verso il deck della tavola spinge la tavola verso il basso ed esige meno energia per essere usato, chi ha molta forza nelle gambe potrebbe trovarsi in difficoltà, è comunque poco facile da gestire ed io lo sto usando davvero poco ultimamente. Il disegno del bordo nella parte del bottom influisce notevolmente sul rilascio della tavola, la linea di fine del bordo può essere più o meno spostata verso il centro della tavola. E’ ciò che determina un bordo duro (più verso il centro) o bordo morbido (linea di fine più arretrata). Su questo punto ci sono forti discussioni nel modo del surf, io uso un bordo duro su tavole da onda piccola. A questo proposito, RED Fluid Dynamics e Chirs di Shred Show hanno fatto un interessante video dove parlano appunto di come l’acqua si comporta attorno ai rail. Cercalo su Youtube.
Nella foto qui sopra, a confronto i due outline di Artur (sopra) ed Orso (sotto): outline più dritto dal tail verso il centro nella Orso, outline più curvo nella Artur.
Nella foto qui a destra un single concave
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#staydamp
Il bordo full boxy della Sfan Enzo sviluppata in collaborazione con RED Fluid Dynamics
TAIL Anche le forme dei tail determinano il carattere delle surfata e la performance della tavola. I più classici e più usati sono gli squash e gli square. I Pin tail in Italia sono usati poco, generalmente per rendere gli ibridi utilizzabili anche in condizioni di onda ripida. Ho notato un ritorno degli swallow su tavole high performance, diversi atleti lo usano in competizione, decisamente più aggressivo del classico squash. Su tavole strette è consigliabile a chi ha un livello di surf alto. Nelle mie tavole ho usato il double bat di Tomo perché è davvero un mix ottimo tra i vari tail, molte le cose positive e davvero poche quelle negative, ed ha anche un ottimo feeling sotto i piedi. Marcello Zani, Sequoia
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NEL DESERTO
Appunti da anni di viaggi in Nord Africa di Mattia Lugaresi @outoftrack
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#staydamp
Polverosa, scomoda, ventosa... cos’è che ogni inverno mi riporta qui? Poi mi incammino su questa pietraia e capisco perchè sono tornato.
INVERNO 2003/04
“In che senso?” Domandai. “Ricorda! in acqua sono bombe e fuori sono ladri.” Per quanto non mi fossi fatto una idea troppo chiara di quello che mi aspettava avevo ben capito che le onde non scherzavano affatto e che tavole e mute non andavano mai perse di vista.
Bombe e ladri. Queste due parole continuavano a echeggiarmi nel cervello dopo aver ascoltato i racconti di un paio di amici appena tornati dal Marocco. La prima volta che ho sentito parlare di questo angolo di mondo era il 2002, loro erano tornati da poco, dopo aver passato qualche mese scorrazzando nella zona di Taghazout. Il loro racconto era un mix tra qualcosa di mistico e pericoloso e, sebbene mi affascinasse molto, stentavo a credere ad alcuni passaggi che sembravano usciti direttamente dalla sceneggiatura di un film. Antiche medine colorate dai mille toni del blu che profumavano di hashish e incenso, lunghi point destri con ancora poca gente e soprattutto spazi enormi in cui poter vagare aspettando la giusta mareggiata. Bombe e ladri! Queste due parole mi rimasero impresse in tutto il loro farneticare.
Arrivo a Casablanca un pomeriggio di inizio Novembre e, a parte l’insistenza da parte dei tassisti per accaparrarsi le mia sacca del surf in cambio di una mancia, la città mi sembra particolarmente tranquilla, sicuramente meno spaventosa di come mi era stata descritta. Le strade vuote creavano una atmosfera quasi irreale amplificata dalla luce radente del tardo pomeriggio. “Ma qui è sempre cosi tranquillo?” chiedo al mio autista con un francese traballante. “Stai scherzando!” sbotta lui. Oggi è l’ultimo giorno di Ramadan e dopo più di un mese finalmente non dobbiamo più passare l’intera giornata a digiuno, ora sono tutti a casa a mangiare! aspetta che si faccia sera e poi vedrai che casino!”
Foto di apertura: La ricerca di onde perfette e deserte con il tempo diventa una vera e propria ossessione, la via è verso sud, dove le dune incontrano l’oceano, gli spazi si dilatano e, perdendoti, ritrovi te stesso.
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#staydamp
La prima volta che ho visto una foto di quest’onda ne sono rimasto stregato, dovevo trovarla a tutti i costi! Ci sono guide, che per qualche centinaio di euro possono portarti fino a qui, ma esserci arrivati da soli non ha prezzo.
Bombe e ladri. Quelle parole continuano a rimbombarmi nella testa e l’idea di dover passare la notte a Casablanca durante una delle feste più sentite del calendario non mi sembra proprio il massimo. Dopo aver preso possesso della mia camera e fatto una doccia veloce esco per cena e, come predetto dal tassista, la città è nel caos. Raggiungo a fatica un fast food facendomi largo tra la folla e, dopo aver ingurgitato hamburger e patatine, preso dalla stanchezza commetto l’errore di andarmene senza imbracciare la mia macchina fotografica. Sono già a cinque minuti di cammino da lì, del tutto ignaro di aver appena perso la mia preziosa Nikon, quando mi sento toccare la spalla dalla mano di qualcuno. Mi giro impaurito convinto che stia per succedere il peggio ed invece mi accorgo che é il ragazzo del fast food, mi guarda sorridente e in mano ha la mia Nikon, mi ha rincorso per qualche centinaio di metri per riportarmi quello che avevo dimenticato. Prima di addormentarmi ripenso a quello che è da poco successo. Se fossi stato in una qualche città italiana o addirittura europea, avrei ancora qui con me la mia macchina fotografica?
Finalmente, dopo un paio di giorni sballottato tra un autobus e l’altro, arrivo a destinazione. Taghazout nel 2003 era molto diversa da come la possiamo ritrovare oggi. Per meno di dieci euro al giorno affitto un appartamento vista Hash Point, ma ci vorranno più di tre settimane per vedere le prime onde srotolare fin sotto casa. Nell’attesa quando si trova un passaggio si va a Tamri, sul lato esposto di Cap Rhir, ora affollato da decine di scuole surf che riversano sulla spiaggia centinaia di neofiti arrivati in Marocco attraverso una delle tante compagnie low cost. Dopo il primo periodo di piatta fatto di giornate passate aspettando la giusta marea a Tamri, le prime onde serie cominciarono a entrare fino al piccolo paese di pescatori di Taghazout e allora anche la parola bombe comincia ad avere il suo senso, specialmente ad Anchor Point, l’onda più impegnativa della zona. Dopo ogni mareggiata consistente, i pochi surf shop, rimasti in letargo durante la piatta, si riempiono di tavole da aggiustare, vittime delle rocce di Anchor e della potenza delle sue onde. Imparo presto a mie spese che, a parte l’onda di Hash, a cui potevo accedere direttamente dalle fondamenta della mia palazzina, tutti gli altri point non sono così a portata, e anche camminare fino ad Anchor sotto il sole cocente po33
C OME
NEL DESERTO
Molto piĂš rocciosa e scoscesa, la costa a nord di Taghazout conserva ancora la sua natura selvaggia... destre comprese.
teva diventare impegnativo. Non a caso, i surfisti più navigati arrivano fino a qui a bordo del loro furgone, come una sorta di pellegrinaggio invernale, in fuga dal rigido inverno europeo. Dopo aver lavorato sodo tutta la stagione turistica, magari sulle Lande francesi oppure su qualche spiaggia del Portogallo, scendono verso sud in cerca di sole e onde glassy. Sanno bene che la durata del trip è direttamente proporzionale al costo della vita e un bel furgone è sicuramente la scelta migliore per abbassare i costi, e soprattutto per svegliarsi davanti a onde perfette. E’ proprio all’interno di questo variopinto popolo di “furgonauti” che conosco Renò e Stefan, sono francesi ma cresciuti su una barca a vela in Martinica e al contrario dei loro connazionali, che tendono a stare solo con altri francesi, come me sono alla ricerca di nuove amicizie. Condividiamo qualche bella session insieme e barattiamo qualche passaggio in cambio di una bella cena nel mio comodo soggiorno. Durante una di queste piacevoli serate, dopo essere spariti per un paio di settimane, mi confidano il loro segreto: “abbiamo trovato una baia selvaggia raggiungibile solo dopo una lunga camminata, il sentiero parte da un piccolo villaggio berbero adagiato su di una collina e si inerpica per quasi un’ora tra pietre, sabbia e argan. Alla fine della strada un point destro perfetto srotola per qualche centinaio di metri su di un basso fondale di rocce piatte ricoperte di sabbia, è molto più
Vorrei sempre essere altrove, dove non sono, nel luogo dal quale sono or ora fuggito. Solo nel tragitto tra il luogo che ho appena lasciato e quello dove sto andando io sono felice. (Thomas Bernhard)
esposto di Taghazout e non ha bisogno di grosse mareggiate per attivarsi, già con una swell di sei piedi e un buon periodo puoi trovare onde epiche senza nessuno in giro! In queste ultime settimane ha rotto spesso”. “E il vento?” ribatto io tra l’incredulo e il geloso. “E’ sempre da terra, forte ma da terra”. Non sono ancora così in confidenza per farmi rivelare l’esatta posizione di questa meraviglia, ho capito a grandi linee la zona in cui cercare ma sinceramente il mio trip sta per finire e anche a Taghazout l’affollamento non è ancora un problema quindi perché cercare altrove? La serata finisce con i soliti convenevoli, ci diamo appuntamento per l’indomani sperando di trovare belle onde, saluto Renò e Stefan e vado a dormire ignaro di aver appena trovato la mia seconda casa.
C OME
NEL DESERTO
Lungo la costa di Safi, caratterizzata dalla presenza della piÚ grande industria per la lavorazione dei fosfati, il surf non è mai esploso, ad eccezione di Cap Raslefaa, che ospita da sempre la perla del Marocco, Le Jardin.
C OME
NEL DESERTO
L’ingresso alla maggiore attrattiva della stazione turistica rimane gratuito, ma sempre piÚ affollato! Anchor Point.
C O M E
N E L
D E S E R T O
#staydamp
La particolare esposizione a nord ovest di questo tratto di costa amplifica la mareggiata.e favorisce la formazione di onde sinistre in un regno di destre.
INVERNO 2016/17
Già subito dopo aver oltrepassato il faro di Cap Rhir noto la nuova centrale costruita proprio davanti al picco di Boiler, l’accesso all’onda è stato spostato qualche centinaio di metri più a sud e segnalato su un muretto di pietre grazie ad una scritta a bomboletta. Dopo l’ennesimo tornante mi viene spontaneo chiedermi: “Ma con tutto il posto che c’era, proprio lì la dovevano fare?” Questo è niente in confronto a quello che è successo al tratto di costa compreso tra Taghazout e Tamraght grazie al progetto di urbanizzazione chiamato Thaghazout Bay. Passato il parcheggio che sovrasta gli spot di Mistery e la Source imbocco la nuova variante che taglia fuori dal centro della stazione turistica, come è stata ribattezzata dal cartello posto all’ingesso del paese, e stento a credere ai miei occhi. Dall’alto, guardando il mare, tutto il tratto di costa é stato sventrato per fare largo a un immenso campo da golf, non solo la sabbia è stata sostituita da perfetti green all’inglese, ma addirittura quella che una volta era
In tutti questi anni, dalla prima volta ad oggi non ho più saltato un inverno e, anche se non ho passato più di un giorno a Taghazout mi è capitato spesso, scendendo verso sud, di attraversarla. Chiaramente, ospitando alcune delle onde più famose del Marocco, con il trascorrere del tempo l’affollamento in acqua è cresciuto gradualmente così come il numero di alloggi, ristoranti e scuole di surf, fino alla totale saturazione. Ora, in una giornata di belle onde si possono contare centinaia di teste a popolare le line-up di Anchor, Killer e compagnia bella, e anche fuori dall’acqua la situazione non ha nulla da invidiare a zone ben più blasonate come la penisola del Bukit a Bali. Tele, droni e tutto quello che serve per documentare ogni singola swell della stagione, ogni onda viene spremuta fino all’ultima goccia in nome del surf business. Ma mai come quest’anno sono rimasto scioccato al mio passaggio. 40
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N E L
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#staydamp
Quando la mareggiata ha la giusta angolazione, le sorprese sono dietro l’angolo.
una spiaggia pianeggiante ora si è trasformata in un susseguirsi di cunette verdi alternate ad un labirinto di stradine e parcheggi. Anche le decine di cartelli che pubblicizzano il progetto sono niente di più falso: un surfista intubato dentro un’onda turchese che probabilmente non é nemmeno in Marocco. Non posso fare a meno di chiedermi che fine hanno fatto gli accessi a spot come Banana o Devil Rock e che senso abbia tutto questo.
cessiva sta già per iniziare a frangere in cima al point. La cosa che mi lascia ancora più basito è la vicinanza con cui il tubo passa a una decina di metri dalla battigia pelando via veloce ma senza mai chiuderti davanti. La swell è sui sei piedi e con questa misura l’onda assomiglia veramente a quella di Barra De La Cruz, in Messico, un’unica sezione fumante rompe tubando per tutta la lunghezza del point con una precisione che ha dell’incredibile. Sarebbe tutto perfetto se non fosse che John e io ci siamo introdotti in una zona militare assolutamente vietata a noi stranieri e i due militari che ci hanno scortato fino davanti al picco continuano a ripeterci che non abbiamo il permesso per surfare qui. John vive qui da anni e continua a rassicurami che non ci sono problemi mentre porge il proprio cellulare a uno dei due dicendogli di chiamare il Generale. “Il n’y a pas de probléme, le Gènèral est mon ami!” continua a ripetergli. Vorrei credergli ma i mitra imbracciati dai due soldati sembrano dirmi tutt’altro. La discussione
INVERNO 2008/09 Oltrepassiamo la piccola laguna che ci separa dalla lunghissima secca e finalmente ci troviamo davanti a uno dei point su sabbia più sensazionali che io abbia mai visto. Il bank è talmente lungo che quando un set sta per finire la sua lunga corsa nell’inside, la prima onda della serie suc41
sembra non volersi concludere così in fretta probabilmente perché il Generale non risponde, e nonostante John qui sia realmente di casa i due non se la sentono di prendersi una responsabilità che gli potrebbe costare cara. Io nel frattempo vestito di neoprene continuo a camminare nervosamente su e giù per il bank senza scollare lo sguardo da questa meraviglia, quando Jonh mi intima di entrare. “Vai! vai! Ci penso io a loro”. Sono confuso, è la prima volta che mi trovo in una situazione del genere, e se finisce male? Cazzo questi sono armati! Ma il desiderio di provarci è talmente forte da prendere il sopravvento su ogni decisione razionale. Risalgo la secca correndo fino in cima e dopo aver fatto passare il set entro sulla line-up. Il mare sembra un fiume in piena e la corrente è fortissima, bisogna remare solo per rimanere in posizione, risalire remando in una giornata come questa é praticamente impossibile, per fortuna la serie non si fa attendere, faccio passare le prime due e poi mi giro ripetendomi “O la va, o la spacca”. Dopo un take-off al limite mi trovo proiettato dentro a un muro d’acqua lunghissimo, la parete è sui due metri, non enorme, ma lo shape dell’onda è qualcosa di incredibile, mai vista prima. Non mi intubo ma la surfata è davvero intensa, da lasciarmi senza parole. Sputato dalla forza del mare esco in fondo al point e comincio a risalire correndo gasato come non mai, John sta ancora discutendo con i militari ma io neanche li vedo più, nessuno mi ferma e questa giostra va avanti per più di un’ora tutta per me. Finalmente i due si congedano e John mi raggiunge sulla lineup, legge subito nei miei occhi la gioia immensa che sto provando per quello che mi ha appena regalato. “Abbiamo il permesso per tutta la durata della mareggiata, il n’y a pas de problème mon ami!” Al tramonto salutiamo i nostri due nuovi amici in divisa e, mentre ci stiamo cambiando nella vecchia Santa Fè, John comincia a raccontarmi di quando ha trovato l’onda del Generale dieci anni prima. “Avevo surfato Anchor fin dai primi anni ottanta in totale solitudine poi pian piano le cose sono cambiate, l’affollamento e la mancanza di rispetto in mare mi hanno spinto fino a qui, immagina! Lontano da tutti, solo io e questa bellezza. Le cose cominciano a cambiare anche qui. La prima volta che ho risalito il bank con la mia Santa Fe questo lembo di sabbia era completamente vergine, perfetto. Guarda ora, da quando la pesca è un business la spiaggia è ricoperta da centinaia di sportine di plastica!” La luce fuori dalla jeep ha del surreale e se non fosse che siamo a meno di cento chilometri dal tropico del cancro giurerei di essere in qualche umida spiaggia di Hossegor invece che nel bel mezzo del deserto. Un cielo plumbeo chiude la giornata oltre ogni aspettativa. John mi racconta che fa il fotografo e le sue conoscenze altolocate derivano dal fatto che spesso collabora con il governo marocchino vendendogli foto al fine di promuovere il turismo in quest’angolo dimenticato di mondo, nel frattempo ha pensato bene di ottimizzare il proprio tempo vendendo la propria esperienza sul campo per essere nel posto giusto al momento giusto. Dice di conoscere bene tutte le onde della zona, direzione, maree e soprattutto gli accessi alla costa, difficilissimi da individuare in queste zone desertiche. Mi faccio prendere la mano e gasato come un bambino il primo giorno di vacanze esagero con qualche domanda di troppo, ma John, geloso dei suoi segreti, smette di condividere le proprie esperienze sul più bello. “Anni fa ho portato un ragazzo sudafricano, local di Jeffrey’s Bay, in un secret. Dopo ore di tubi in totale solitudine è uscito e la prima cosa che mia detto era che aveva preso le condizioni più belle della sua vita. Disse che l’onda era ancora più tubante della sezione di Supertubos, l’acqua più calda e soprattutto senza squali!” Nonostante mi fidi di John, stento a credere a questa storia e mi convinco che questa volta mi stia prendendo deliberatamente per i fondelli. Una destra migliore di Jeffrey’s Bay per lo più segreta. Questa volta l’ha sparata grossa! Come al solito mi sbagliavo… ma questa è un altra storia.
C OME
NEL DESERTO
Il tratto sabbioso che si apre a sud di Taghazout, piĂš di dieci anni fa si presentava cosĂŹ. Una crescente industria turistica ha trasformato drasticamente questa costa ed ora, per avere la stessa visione, devi proseguire qualche giorno verso sud... Benvenuti a Taghazout Bay!
Una settimana con
BRANDO DI ROBERTO MONTANARI FOTO ADELMO MASSOLA
Tutto è cominciato quando Alessandro Dotti, amico e filmaker ormai di fama nazionale dopo aver vinto il Surf and Skate Film Festival con il video The French Tent, mi ha convinto ad accompagnarlo in Francia durante il Quiksilver Pro France per girare delle riprese con Brando Giovannoni, il ragazzino di undici anni di Viareggio con un gran talento per il surf. Non avevo mai passato più di pochi minuti in compagnia di Brando in altre occasioni, e l’idea di passare una settimana a surfare i beach break di Hossegor tra una tifata e l’altra per Leo Fioravanti mi aveva convinto a fare un pò da balia al ragazzino e da assistente all’amico Dotti. L’appuntamento per la partenza è a Levanto, seconda casa di Ale, dove una mattina di inizio ottobre i genitori di
Brando ci raggiungono per mollarci il “pacco” e augurarci buon viaggio, finalmente liberi anche loro di tirare il fiato per una settimana. Sosta a casa di Adelmo Massola per caricarlo su e partire tutti insieme, destinazione Facciosnao a Hossegor. Brando è un ragazzino che non da subito confidenza agli estranei, ma dopo mezz’ora nella stessa macchina scioglie i freni ed è come se fosse stato il nostro fratellino minore da sempre, o meglio, il nostro figlioccio visto che abbiamo praticamente l’età dei suoi genitori. A 11 anni, Brandino è già un piccolo grande ometto, educato, dolce, divertente, schietto, disinibito, a volte ingenuo (è pure sempre un ragazzino), ma anche scaltro e diplomatico, difficile da raggirare, ed è già completamente 46
Una settimana con
BRANDO indipendente. Evidentemente, stare spesso con persone più grandi di lui lo ha formato a tutto tondo, e avendo conosciuto i suoi genitori mi rendo conto che le loro due personalità si sono fuse perfettamente in questo piccolo corpicino di pochi chili e alcune decine di centimetri. Sembra aver preso solo il meglio da tutto questo, non è scurrile, pur avendo occasione di esserlo, non è spocchioso né presuntuoso. Non sono abituato a frequentare ragazzini di undici anni quindi non so dirvi se al giorno d’oggi gli undicenni siano tutti così, ma Brando da l’impressione fin da subito di essere un ragazzo davvero ganzo. Per farvi inquadrare il personaggio, dico solo che la prima cosa che fa, alla prima sosta in autogrill, è offrirci il caffè a tutti e tre, con la stessa disinvoltura di uno abituato a offrire
caffè a destra e sinistra ogni giorno. Prima ancora che potessimo prendere qualsiasi iniziativa, si piazza davanti alla cassa e tira fuori il portafoglio, ordinando caffè per tutti, e già che c’era infila dentro lo scontrino anche una cassa bluetooth, accessorio dimenticato a casa e fondamentale per rintronarci per le successive dieci ore di macchina con il contenuto musicale del suo cellulare. Ecco, questo per cominciare a farvi capire chi è Brando, ma non è tutto qui. La scorsa primavera in Portogallo si era fratturato la tibia atterrando da un floater ed è rimasto fermo per quattro mesi. Ha ricominciato a surfare da un mese e mi racconta di essere stato parecchio demoralizzato per tutto il percorso riabilitativo che ha dovuto affrontare. Parla di fratture scomposte, calli ossei e programmi terapeutici con una 47
Una settimana con
BRANDO padronanza di linguaggio tale che in tanti casi nemmeno un aspirante fisioterapista riuscirebbe a sfoggiare. Ora non sta più nella pelle all’idea di andare una settimana in Francia a surfare e saltare la verifica di tecnica che lo aspettava, ma che dovrà comunque recuperare al suo ritorno. Il resto del viaggio lo passa mixando la musica trash che spopola sul suo cellulare, giocando a The Journey, un gioco di surf dove il suo record è un tubo di cento secondi, cantando brani rap, facendo i compiti e divertendosi a far sbroccare Siri sul suo telefonino. Alla Facciosnao Brando ormai è di casa e ci torna ogni volta che può, coccolato dai proprietari Erika e Poldo, e da Jack (Giacomo Sintini, ndr.) il cuoco tuttofare della surfhouse diventato una sorta di fratello maggiore per Brando, che per tutta la settimana ci fa trovare in tavola pranzi e cene epiche. Erika e Poldo fanno tanto per lui, Brando li adora e guai a chi glieli tocca, Poldo gli insegna a gestire i social, ormai indispensabili nel mondo del surf, oltre a dargli una mano con i media. Erika è come una sorella maggiore, lo bacchetta forte quando sbaglia e lo aiuta a fare l’inventario 48
prima di andare a letto per essere sicuro di non aver lasciato in giro niente, il che capita praticamente ogni cinque minuti. Con Jack si diverte come con un fratellone o un buon amico e compagno di giochi. Durante la settimana del Pro France, i beach break sono spesso imballati di surfisti. Non so chi gliel’abbia insegnato, sono sicuro che c’è lo zampino di Patrizio Jacobacci in tutto questo, ma Brando ha già capito tutto su come posizionarsi in una line up affollata. La dove tutti sgomitano per conquistare il picco, Brando rimane più sotto e posizionato di lato, e con la sua 4’6’’ riesce a prendere tutte le onde snobbate dagli altri e macinandone una dietro l’altra, onde che per lui sono over head, e così facendo si diverte come un matto. Brando ha iniziato a surfare quando aveva quattro anni grazie a Gianmatteo, il bagnino del bagno di fianco a quello dove lui passava l’estate con i genitori. Quando ha visto Gianmatteo surfare ha insistito per provare, e la bagnina gli ha prestato il suo minimalibu. Papà Alessandro si era raccomandato “quando prendi l’onda prova da sdraiato, non alzarti subito in piedi”, ma Brando ha fatto tutto il contrario ed è saltato sulla tavola come un gatto
49 Foto Edoardo Martinelli
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assumendo la classica posizione. Quando Gianmatteo ha visto con quale disinvoltura riusciva a fare il take off non ha avuto dubbi sul fatto che Brando dovesse continuare. Così ha frequentato un po’ la scuola di Jacopo Migliorini, e dopo qualche anno è passato sotto l’ala di Patrizio Jacobacci, pioniere del surf versiliese, che da allora lo ha seguito come coach e mentore, impartendogli ottimi consigli di surf e di vita. Brando è molto affezionato a Patrizio, non muove foglia se lui non lo autorizza, lo considera a tutti gli effetti uno zio ed anche i suoi genitori, per mantenere il maggior distacco possibile, lasciano che lui gestisca l’intero aspetto sportivo , tecnico ed educativo, oltre ai rapporti con gli sponsor. Quest’anno Nuno Matta lo ha visto surfare in Portogallo al contest da lui stesso organizzato e a cui era stato invitato da Roberto D’Amico, ed è rimasto impressionato, accogliendolo nel suo team. A Brando piace l’onda di Hossegor perché spinge, ma non ama tanto la forte corrente e la troppa gente. Condividere le session con gente come Caio Ibelli, Jeremy Flores, Jordy Smith, Italo Ferreira, Leonardo Fioravanti, Filipe Toledo per uno della sua età ha un significato di imprinting surfistico che non ha prezzo, e lui se le gode come farebbe ogni ragazzino, non disdegnando un selfie con i suoi idoli.
Mi confessa che guardandoli surfare da dentro l’acqua si rende conto della velocità nelle manovre e di come leggono le onde, tutte cose che hanno un gran valore per uno che probabilmente farà del surf la sua carriera, e che cerca di mettere in pratica subito, mantenendole bene impresse nella memoria. Siamo alla fine di una settimana frenetica, tra heat di Leo al Pro France, sessioni di free surf con Brando e tante mangiate preparate da Jack. E finalmente anche un melone che sa di melone, penso tra me e me l’ultima sera a cena. E il merito è di Brando. Oggi ha fatto lui da aiuto cuoco a Jack. L’ultima volta abbiamo dovuto mangiare il melone cipollato, tagliato col coltello della cipolla. Brando se l’era divorato senza accorgersi che qualcosa nel sapore non andava e l’avevamo preso un po’ in giro. Oggi ci ha pensato lui a rimettere le cose a posto. Ecco, in questa metafora si potrebbe riassumere la storia di come un ragazzino di undici anni ha tenuto in riga un branco di ultra trentenni e quarantenni per una settimana… Vabbè, non esageriamo, ma Brando ha davvero qualcosa che lo rende speciale, dentro e fuori dall’acqua, è un piccolo grande uomo che sul surf spacca, e noi eravamo tutti lì per lui. 52
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SEVENTIES throwback BAJA DI YARI CAVA FOTO KIRBY SMITH
E’ passato quasi un mese da quando sono arrivato. Oggi piove… e sono in oversurf. Bramo di avere fra le mie mani la storia che mi ha portato fin qua. Sin da piccolo ho sognato di fare il surfista, cavalcare le onde e provare quelle sensazioni che le foto delle riviste mi trasmettevano. Quanto è cambiato il mondo, io che tutte le sere aspettavo mio padre con la speranza che mi portasse una rivista di surf americana per immaginare la vita di quei ragazzi che cavalcavano le onde nel pacifico. Adesso sono qua, alla ricerca di foto in una scatola dimenticata fra gli scaffali mentre George e Kirby ridono e mi raccontano di quei momenti lontani passati ad inseguire il loro sogno, i loro viaggi e la loro vita.
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SEVENTIES throwback BAJA Questa è la folle storia genuina di chi ha vissuto il surf alla fine della guerra nel Vietnam, una storia di ragazzi che prima del 1970 per andare a surfare nei pressi di Trestles passavano sotto il filo spinato che recintava la tenuta presidenziale del signor Nixon. “Guardare ma non toccare…” Questo era il motto della Military Police che pattugliava i trails giorno e notte. Ci sono storie di Marines che sparano colpi in aria per far uscire i surfisti, storie di chi veniva accompagnato agli uffici di Church per essere arrestato e segnalato. Ormai le onde erano diventate una magia, nessuno poteva più fermare quei ragazzi che le cavalcavano. Fuori e dentro l’acqua, e per tutta la costa californiana
si raccontano molte storie passate, ma quella che più di tutte mi ha colpito è l’esplorazione della Bassa California, un posto sempre così selvaggio. Un sogno ormai lontano, una leggenda di viaggi in piccoli aeroplani alla ricerca di onde perdute, di atterraggi su spiagge deserte e di onde surfate e mai fotografate. Tutti cerchiamo in ogni surf trip la “nostra avventura”, la voglia di stare assieme magari attorno ad un fuoco senza i succhia-tempo dei social. La Baja California, due culture divise da un muro di cemento sempre più alto a causa della politica distruggi-uomo (“qui è mio, là è tuo”), è la penisola più lunga del mondo.
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SEVENTIES throwback BAJA Con 2000 km di costa selvaggia, Baja offre uno spettacolo unico, i cactus verdi e maestosi fanno da padroni e arginano la quiete del deserto mentre le onde, il mare e il cielo sono dipinti di un azzurro limpido come il paradiso e l’uomo sembra essersi adattato ai ritmi ciclici e ai capricci della natura. Immune dalla frenesia della nostra società, resta inutile affannarsi davanti alla tranquillità delle balene che seguono le rotte migratorie ignare della spartizione del territorio dei grandi della terra. Baja California, normalmente amata o odiata, senza vie di uscita offre l’opportunità di mettersi a confronto con il mondo ma soprattutto con se stessi. Il racconto è la cosa più intima di un essere umano, è il ricordo che porti dentro e che decidi di condividere. Allora niente Internet, niente informazioni mediatiche ma solo pochi appunti di amici, che erano andati prima di te. 60
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Un block notes pieno di riferimenti: “alla roccia a destra, al bivio tieni la sinistra…” tutti piccoli segni che durante un viaggio, dove le strade polverose erano soggette a cambiamenti repentini, erano indispensabili. In Messico una volta varcato il confine potevi lasciare alle spalle tutti i problemi e assicurarti di trovare delle onde da sogno. Niente Military Police, niente filo spinato da dover varcare, niente problemi, solamente la voglia di vivere con se stessi. Allora il Vietnam era sempre una memoria vicina, molti erano andati per non tornare più… 63
SEVENTIES throwback BAJA
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I mesi estivi offrivano le condizioni migliori, ma cercare di prevedere come si sarebbe comportato il Pacifico non era semplice e quando le swell arrivavano da sud/sud-ovest era il momento di partire. A bordo dei Van la musica rock suonava forte e faceva compagnia durante il duro viaggio intrapreso. Allora, come adesso, i surfisti erano nomadi, intere famiglie viaggiavano, tutte alla scoperta di quelle onde incredibili, lungo le carrettiere polverose del Messico. A modo suo carismatico, perchÊ per raccontare l’America degli anni Settanta, bisogna saper interpretare. Se poi chi racconta è pure il protagonista tutto si racchiude sulla cul64
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tura del surf e del viaggio. Le onde diventano un’operazione fotografica, raccontare un paese e le sue abitudini attraverso la pellicola diventa facile. “La prima cosa che mi chiesi era: ‘perché devo guidare per andare a surfare?’ Quindi decisi di rimanere qua, a San Clemente. Potevo guidare per andare a lavoro! Le onde erano come adesso… Perfette! Niente web cam, l’unico modo per avere la visione completa della giornata era fare un check attraverso la highway prendendo l’uscita per San Onofre, rallentando senza fermarsi, e guardare Lowers.
Nei giorni di piatta andavamo spesso alla centrale nucleare dove stavano costruendo la conduttura principale di raffreddamento e dentro il pipe skatevamo tutto il giorno. Sai, avevo la passione della fotografia! Iniziai a scattare con una Instamatic per poi passare alla mia e inseparabile Kiev4, una bella macchinetta in metallo parente della Contax, erano gli anni settanta uno dei momenti più belli della cultura della California. San Francisco piena di arte, musica e letteratura, una Los Angeles piena di hippies, la musica rock e i grandi festival.
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Nella comunità surfistica locale già da tempo iniziavano a girare delle storie su un’onda chiamata Scorpion Bay. Più di mille miglia per arrivare a surfare una delle migliori onde del mondo, una destra mozzafiato. Pensa che ricompensa incredibile può essere dopo aver guidato per giorni e giorni in balia della sorte. Lungo le strade alcune macchine abbandonate, sí perché da li non puoi chiamare il meccanico. Questi scatti sono frutto di un pellegrinaggio verso sud, scatti di vita, di accampamenti e di momenti comuni fatti di gioia per surfare l’onda perfetta. Questo era il nostro spirito del Surf.” “Pensi di aver trovato tutto?” “Penso di sí” “Tieni anche la Kiev4, con questa macchina potrai immortalare momenti preziosi della tua vita..” Grazie a George Colletti e Kirby Smith per la loro preziosa condivisione di vita. Buena Suerte! 67
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ASTURIAS Camminando verso Salinas DI VIOLA DEGL’INNOCENTI FOTO MICHELE CHIROLI
ASTURIAS Camminando verso Salinas
Asturias! Non è la prima meta che viene in mente quando si programma un surf trip in Spagna. Ci sono località più sotto i riflettori, come San Sebastian o Santander, che catturano tutta l’attenzione. Le Asturie si trovano appena poco più a ovest eppure sono relativamente poco conosciute. Proprio per questo sono ancora una perla nascosta che riserva molte sorprese, una meta diversa dal solito surf trip. In effetti, a luglio anche noi saremmo stati attratti dalle mete europee più gettonate, come Santander in Spagna o, continuando verso la Francia, Biarritz, o ancora scendendo verso il Portogallo, ma in questa regione c’è un festival ormai famoso che ci ha convinto a posare il dito sulla carta e a prenotare subito dopo il biglietto aereo. Il Salinas Longboard Festival è una tre giorni spettacolare come ce ne sono poche in Europa, arricchita da nomi di rilievo quali Cj Nelson, Harley Ingleby e altri. Una volta approdati sulle coste dell’Oceano Atlantico ci ricordiamo di quanto l’atmosfera sia diversa da quella a cui siamo abituati, il vento soffia con violenza e le onde sono influenzate dai continui cambi di marea e ciò le rende veramente uniche. Si alternano spot immersi nella natura incontaminata ad altri ben collocati nel contesto urbano ed altri ancora in località balneari. I primi sembrano ritrarre paesaggi irlandesi ed inglesi per poi ricordarti, nelle ore più calde, di essere nella soleggiata Spagna, gli altri invece ti farebbero pensare di essere sulle più rinomate coste francesi.
Simone Giannini contempla una delle tante sorprese delle Asturie, felice di essersi spinto più ad ovest.
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ASTURIAS Camminando verso Salinas
Il beach break di San Vicente de la Barquera con il suo molo al fianco sinistro è una vera e propria scoperta, con la direzione giusta si srotola una lunga e potente destra che termina come per magia in un tratto di mare calmo, tant’è che l’onda si rivela adatta sia ad un noseriding estremo che alle fluide manovre di una tavola retrò. Qui l’atmosfera è surreale, il mare si fonde alla perfezione con una lingua lunghissima di spiaggia dorata, disseminata di bagnanti intenti a godersi la calda giornata. Ma non è solo il mare a stupire. Le Asturie sono una scoperta dall’inizio alla fine, infatti continuando in autostrada verso ovest si susseguono distese verdi, borghi antichi, città dall’aspetto californiano ed ovviamente ancora spot
su spot. Uno di questi, in particolare, visibile solo per alcuni secondi all’uscita di una galleria e situato in località Naves è da provare. Un’onda A-frame che si srotola perfetta in un piccola baia. Ovunque andiamo, ci sorprendiamo della gentilezza e dell’accoglienza degli spagnoli disposti ad aiutarci anche nelle piccole cose di tutti i giorni, come per trovare un posto carino per mangiare. Parliamo con molti di loro, cercando di conoscere meglio la loro cultura e provando a migliorare il nostro spagnolo, anche se molto spesso siamo costretti ad usare il linguaggio dei gesti per farci capire. E anche così non è una passeggiata!
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ASTURIAS Camminando verso Salinas
Ma se il giorno è il momento per apprezzare tutta la bellezza naturale dei paesaggi asturiani, la notte trasforma questo scenario nella tipica “movida spagnola” e ci ritroviamo immersi nell’allegria e vivacità di questo posto. Concerti, spettacoli, contest e fiumi di birra fanno da cornice alle nostre serate in compagnia dei locals spagnoli sempre pronti a discutere di tavole ed onde. Ed è proprio in queste serate che ci siamo resi conto di quanto in questa terra la cultura retrò sia ben radicata, sono infatti numerosissimi i noserider con i loro long, egg e quant’altro
si possa usare sulle onde della Spagna del Nord. Una cosa che ci colpisce tanto è il ruolo che hanno gli shaper locali. Sono infatti tanti i rider che scelgono di surfare tavole più economiche ma ugualmente performanti prodotte qui e cucite sulle loro esigenze. Sicuramente, oltre ad una scelta ponderata di prediligere un prodotto a km zero, parte di questo meccanismo è dovuto alla crisi economica di questa terra legata per troppi anni alla produzione dell’acciaio.
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Marco Meccheri sul davanzale della sua singlefin
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Al riguardo è stato un piacere visitare il “Centro culturale internazionale Oscar Niemeyer” realizzato dal governo spagnolo ad Aviles come motore di rigenerazione economica e urbana di un’area degradata dal processo di trasformazione industriale. Ed è proprio passando da quest’area depressa e cupa, dai colori grigi, che si può arrivare ad uno degli spot più scenici e ricchi di onde. La Playa di Xago è un immenso beach break racchiuso tra due colline rocciose, che può funzionare con qualità anche con swell piccolissime.
Nella spensieratezza di questo momento, la tensione accumulata dalla nostra vita finalmente si allenta. E come funziona per noi, funziona anche per gli altri surfisti che sono arrivati qui da ben più lontane parti del mondo. Tra musica, colori, onde, sole, divertimento e soprattutto tanta passione per il retrò, è incredibile come le strade di tutti noi riescono a convergere in un solo punto, Salinas. Se all’inizio il Festival poteva sembrare solo un pretesto per fare un viaggio, adesso abbiamo la consapevolezza di aver vissuto un evento completo che racchiude dentro di sé tutta l’essenza del surf.
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SAND DIAMOND RACCONTATO DA ROBERTO D’AMICO FOTO EUGENIO BARCELLONI
Ci sono due modi per raggiungere Skeleton Bay. Un modo facile, pagando migliaia di dollari per avere una guida che ti raccoglie in aeroporto e ti porta a destinazione, con tutto quello che ci sta nel mezzo, e un modo difficile, armandosi di mappa e informazioni raccolte da amici e conoscenti. Noi abbiamo optato per quest’ultimo. Quello che non sapevamo era che questa seconda modalità sarebbe stata una vera e propria caccia al tesoro. L’avremmo scelta anche se avessimo avuto migliaia di dollari da spendere, ma in ogni caso, non li avevamo… Abbiamo scelto di vivere la vera Africa, viaggiare wild e low cost, guidare attraverso le sue infinite strade sterrate fino a perderci e tornare sui nostri passi. In molti ci avevano sconsigliato per via dei grandi pericoli sulla strada. Le dicerie erano davvero tante, poteva succedere tutto e il contrario di tutto. Con tutti i pareri raccolti nel tempo, mentre coltivavamo il sogno, ognuno aveva dato una descrizione diversa. Avremmo saputo la verità solo vivendola. Tanti erano i dettagli da mettere insieme, le precauzioni da considerare, e nonostante ciò abbiamo finito per organizzare tutto in una manciata di ore, dalla mattina fino a decidere di partire la sera dello stesso giorno. E’ curioso come per tanto tempo sogni di partire per uno dei viaggi più impegnativi della tua vita, rimuginando ore ed ore e immaginando di dover organizzare tutto alla perfezione per far si che tutto vada per il meglio, e ti ritrovi invece a decidere in poche ore nell’arco della stessa giornata, come un tuffo nel vuoto. Una modalità che in realtà avevo attuato mille altre volte per un trip a poche centinaia di chilometri da casa, ma non avrei immaginato di farlo per un viaggio come questo.
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SAND DIAMOND E’ la Namibia stessa che non ti permette di pianificare con molto anticipo. Skeleton Bay è un posto particolare e di difficile interpretazione. Continuo a controllare le previsioni ogni giorno, tracciando una grossa mareggiata da sud ovest che, pur delineandosi sempre più chiaramente, rimane molto incerta fino al giorno della partenza. Mi gioco la carta della chiamata ai più esperti, come Kepa Acero e Natxo Gonzalez, che conoscono molto bene l’onda. Loro diradano ogni dubbio e mi spronano a partire. Eugenio (Barcelloni, ndr) in quel momento si trovava in Sicilia. Era l’unica persona che potesse imbarcarsi in questa avventura e nel giro di pochi minuti tutto era deciso. A Cape Town si trovava già Miguel Blanco, mio grande
amico portoghese, che avevo cominciato a tenere in allerta fin da quando la mareggiata ha cominciato a delinearsi. Decidiamo di incontrarci direttamente sullo spot. La pre partenza è un pò angosciante, con quell’adrenalina di affrontare qualcosa di nuovo un pò fuori dagli schemi e dalle sicurezze a cui siamo abituati. Ma una volta atterrati in Africa prende il sopravvento l’euforia, la curiosità, come se tutte le ore di volo e le ansie fossero scomparse. Affittiamo una macchina, studiamo le carte e partiamo alla ricerca del tesoro. L’Africa è una terra viva, dove la natura vince su tutto, ci sono poche persone e tanti animali, il cambio termico è estremo ed è un posto che ti mette alla prova costante80
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mente, stancandoti davvero molto. La Namibia, in particolare, è una terra che ridefinisce il concetto di surf trip a cui siamo abituati. Tutto è ancora primordiale dentro e fuori dall’acqua. Nonostante le informazioni raccolte dall’amico Matteo Fioravanti prima di partire, decidiamo di affidarci molto anche al nostro istinto, vivendola in modo totalmente diverso da tutti gli altri surfisti richiamati dalla stessa mareggiata. Skeleton Bay non è una spiaggia del tutto normale. Fuori dall’acqua ci sono relitti di antiche barche, scheletri di diversi animali e migliaia di foche e leoni marini, i veri local del posto. L’acqua è scura e impressionante, la line up è gigantesca, difficile trovare un punto di riferimento, difficile trovare le giuste onde, è un posto davvero competitivo sotto ogni punto di vista. Ormai siamo abituati ad avere tutto troppo facilmente, la Namibia è rimasta un posto all’antica dove le esperienze e sapere come muoversi sono elementi fondamentali. L’onda della baia è infinita, imprevedibile e molto delicata allo stesso tempo. Per farla funzionare nel modo in cui siamo abituati a vederla nelle clip video che circolano sul web ci sono davvero tanti fattori che devono coincidere, non è semplice. La corrente è davvero forte, la cosa che conta di più è la forma fisica, se sei leggermente sotto tono bastano 83
SAND DIAMOND
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due ore per mettere fine alla tua giornata. Può sembrare un’onda apparentemente perfetta, ma non perdona e non ammette il minimo errore. Non diventa mai eccessivamente grande, la cosa che impressiona di più è lo spessore e la velocità. Nonostante dai tempi della sua rivelazione il numero di surfisti che la frequentano sia aumentato considerevolmente, l’affollamento non è ancora un problema. Lo spot è gigantesco, possono esserci cinquanta persone in mare eppure puoi non incontrare nessuno sulla line up. La mareggiata che ci da il benvenuto non è grossa, tre o quattro piedi d’onda che attivano solo la parte superiore dello spot. Ogni onda è talmente lunga che sei costretto a fare il giro dalla spiaggia. La dura realtà della baia ci si presenta subito senza convenevoli. Stephan, uno dei ragazzi che ci aveva accolti appena arrivati, proprio la mattina della swell rimane vittima di un brutto incidente. Dopo essere stato sbattuto sul fondale sabbioso con violenza, viene soccorso con due vertebre del collo rotte, rischiando davvero molto di perdere la vita. Un episodio che ti costringe subito a pensare.
L’onda è imprevedibile, ogni sezione diversa dall’altra e veloce, tanto veloce che l’angolazione è stranissima, è diversa da ogni altra onda surfata prima. Il trucco, se così si può chiamare, è non tirarsi indietro perché lei non ti permetterebbe la minima incertezza. Bisogna anche saper cadere, è vero che il fondale è sabbioso ma ci sono solo trenta centimetri d’acqua e una massa molto potente che ti corre dietro pronta a triturarti e spalmarti sul fondo. E soprattutto bisogna saper stare dentro i tubi altrimenti ha poco senso surfarla. Puoi accorgerti del set da quando sei in spiaggia, corri in acqua e in dieci secondi sei sul picco, sale l’adrenalina, sai che ogni set potrebbe regalarti l’onda della vita. Inizi a muoverti, sempre insicuro su dove posizionarti, una volta scelta l’onda remi più forte che puoi, devi anticipare molto il take off altrimenti vai da sopra a sotto in un secondo. Una volta in piedi sei già nel tubo, cerchi di trovare la tua linea, la velocità è tanta ed il margine di errore è poco. Su alcune sezioni acceleri, su altre freni, poi arriva quella sezione infinita che credi sia un close out, ci provi comunque ed è allora che rivivi i mille video con la go85
N A M I B I A #staydamp
SAND DIAMOND pro visti e rivisti, la sabbia che viene su e l’onda che si fa sempre più quadrata mentre procedi al suo interno, quasi senza fiato. Quello è il momento in cui tutte le ore di viaggio, tutti i soldi investiti vengono ripagati da una semplice visione. Il nostro piano è di fermarci una settimana, ma l’arrivo di un’altra mareggiata ci convince a prolungare di qualche giorno. E’ sempre una scommessa, tutto si basa su previsioni del tempo che possono cambiare da un momento all’altro, ma devo dire che tutto sommato siamo stati abbastanza fortunati anche se le condizioni non sono epiche. La Namibia è un luogo che ti insegna a viaggiare, a credere, conoscere nuove persone, un luogo in cui, come da bambino prima di andare a letto, speri che la notte se ne vada il più in fretta possibile. Esploriamo ogni angolo possibile, surfiamo dune di sabbia gigantesche, andiamo alla ricerca di vecchi scheletri
di nave sommersi dalla sabbia, incontriamo iene, coyote, antilopi, e non ancora sazi di tutto questo ci avventuriamo in un safari senza protezioni per incontrare leopardi, giraffe e coccodrilli. Ma l’incontro più pauroso avviene nel mare. Siamo praticamente soli, Eugenio ed io al calar del sole, all’improvviso la superficie viene scossa da un grosso combattimento tra pesci, si vedono solo grandi schizzi e tanto movimento. Tempo trenta secondi ed emergono pinne enormi, sembrano orche, vicinissime, ma si rivela soltanto un passaggio di delfini e vi assicuro di non aver mai visto delfini di quelle dimensioni. Come ho detto, la Namibia è un luogo primordiale, dove nulla è semplice, dove il freddo si fa sentire e le comodità le lasci da dove sei venuto. Una scommessa che si è conclusa bene e su cui sono ancora pronto a puntare. Viva la Namibia!
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SU RACCONTO DI EDOARDO PAPA FOTO ANDREA PAPA
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#staydamp
Sono quasi le sette di una domenica mattina di novembre e il sole che sta sorgendo inizia ad illuminare uno scenario che mi lascia letteralmente a bocca aperta. Dune di sabbia che finiscono in mare circondate da una natura selvaggia, onde perfette che srotolano a rallentatore mentre un leggero vento da terra spazza le creste con delicatezza, modellando quelle pareti liquide fino a farle tubare su entrambi i lati del picco. Sto ammirando alcune delle più belle onde che
abbia mai surfato e mi trovo solo a poche ore di macchina da casa. Non è difficile capire perché i surfisti locali, che mi hanno accolto in modo gentile e ospitale, abbiano piacere che questi posti rimangano riservati e con rispetto condivido totalmente la loro richiesta. E’ il secondo di due giorni di surf che mi sono concesso a sud di casa, oggi però è il giorno più consistente e non mi faccio ripetere due volte il richiamo del mare.
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Non riesco comunque a smettere di pensare che non sembra proprio di essere in Italia, le onde offrono sezioni per tubi e carve spinti che non hanno niente da invidiare alle forme dell’oceano, e finalmente posso goderne in compagnia di amici, mentre il mio cane Bianca mi aspetta in spiaggia con mamma, e papà scatta qualche foto dalla duna. Per questioni di opportunità ho sempre surfato fuori dall’Italia, valutando insieme a mio padre i posti più alla portata nei quali fosse possibile trovare onde con alta frequenza e qualità, e per andare a colpo sicuro la scelta è ricaduta sempre sull’oceano. A casa mia le onde, quando ci sono, sono spesso ventose e corte. Riesco a trovare onde di qualità leggermente migliore a pochi chilometri da casa e quando c’è misura a volte si raggiunge anche un buon livello d’onda, ma sono pure sempre giornate rare da trovare.
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Surfare onde belle nella propria terra è un bonus che vale doppio o più rispetto a surfare le stesse onde all’estero ed è una consapevolezza che ho maturato del tutto solo negli ultimi due giorni. Prendere un aereo è facile, scegli la destinazione dove hai la certezza di trovare onde di qualità e frequenza, prenoti e vai. Non puoi sbagliare. Ma surfare le stesse onde, o di qualità molto vicina a quella oceanica, è una vera conquista e mi infonde una sensazione che già non vedo l’ora di riassaporare. Era da tempo che i miei amici mi parlavano del sud e di quanto fosse ricco di bei posti. Lungo la costa si nota effettivamente una gran moltitudine di beach break e chi sa quanti altri posti ancora ci sono, alcuni persino sconosciuti. Le centinaia di chilometri trascorsi per poter surfare onde come queste non fanno rimpiangere le ore passate in macchina. Per questo devo ringraziare Luca Mennella, amico e ormai meteorologo di fiducia che conosce molto bene tutti gli spot dall’Abruzzo in giù, che mi ha allertato sull’arrivo di questa bella mareggiata autunnale, veloce ma intensa, e mi ha convinto a seguirlo. Un surf trip veloce di soli due giorni, dove ho potuto però rilassarmi con la famiglia e gli amici, godendomi posti caratteristici e immersi nella natura.
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Ho surfato troppo poco in Italia per poter esprimere un giudizio globale e dire se questa possa essere la mia onda preferita. La compagnia dei miei amici e della famiglia ha reso senza dubbio tutto piÚ speciale. Prima d’ora, ero stato solo in Sardegna, a Buggerru, ma questo trip mi ha messo addosso un gran desiderio di rispondere al richiamo delle onde nostrane e magari ancora sconosciute, soprattutto quelle a sud di casa.
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1. ION Onyx Amp 4/3 Black Grey Capsule Euro 329,95 | 2. QUIKSILVER Shoreline Adjust sandal Euro 24,95 | 3. ROXY Sentimiento Fedora cappello di paglia Euro 35,95 | 4. OCEAN&EARTH 7’6 Sacca tripla con ruote Euro 309,95 | 5. BEAR SURFBOARDS Felpa Girocollo Logo Euro 59,95 | 6. FCS Grip Filipe Toledo Euro 50,00
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1. QUIKSILVER Sedona Parka Impermeabile Uomo Euro 259,99 | 2. ION Claw Gloves 3/2 Euro 47,95 | 3. ROXY 3/2 Pop Surf muta integrale Euro 299,99 | 4. ION Sweater Logo Euro 59,95 | 5. ROXY Caribbean Zaino 18Lt Euro 39,99 |6. OCEAN&EARTH Sacca Stretch Shortboard Camo Euro 39,95
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STUFF cool
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1. SEQUOIA Carlos da Euro 470,00 | 2. QUIKSILVER Boardshorts Highline Lava Leo Fioravanti Signature Euro 75,99 | 3. SHAPERS Fins Asher Pacey twin fin set Euro n.d. | 4. OCEAN&EARTH Surf Cap Euro 34 | 5. LIBTECH Puddle Fish da Euro 774,95 | 6. OCEAN&EARTH Kanoa Igarashi Signature Tail Pad Euro 39,95
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#STAYDAMP 102
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S U R F A R T #staydamp
Nicolò Vasini, in arte Yopoz, è un disegnatore surfista nato e cresciuto sull’Adriatico, una regione surfistica che induce facilmente all’immaginazione. La laurea in fumetto e illustrazione, e l’interesse per la street art, hanno contribuito ulteriormente alla nascita del suo personale immaginario, che spazia dai disegni ai fumetti, fino alla realizzazione di grandi pareti.
S U R F A R T #staydamp
Oltre le rocce è un breve fumetto scritto e disegnato durante un viaggio in Messico, che narra di uno spot sconosciuto e magico. Per raggiungerlo occorre oltrepassare le rocce, e con esse anche i propri limiti. Solo cosÏ si raggiungono le cose belle. Quelle che seguono sono solo due delle tavole tratte dal fumetto originale. Se vi appassiona il genere e desiderate leggere il fumetto in versione integrale contattatelo, oltre a seguirlo, su Instagram @y_o_p_o_z oppure su Facebook @yopozworld o, infine, sul suo sito www.yopoz.it
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