damp magazine
prima di copertina
ALMOST HERE Il viaggio come catarsi
LOST IN SUMATRA
Roberto D’Amico disperso in paradiso
STRANGE DAYS Giornate strane e inattese
www.dampmag.com
SURF&PHOTOGRAPHY Roberto Apuzzo Portfolio
CALIFORNIA SPORTS - WWW.CALIFORNIASPORT.INFO - TEL 0119277943
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Addio al neoprene.
Patagonia presenta in anteprima mondiale la prima linea di mute prive di neoprene. Per l’Autunno 2016 Patagonia presenta le prime mute al mondo realizzate senza neoprene, grazie all’impiego di un materiale di origine vegetale, con una gamma di 21 modelli per uomo, donna e bambino. La linea completa di nuove mute intere ad alta performance di Patagonia è realizzata con una gomma naturale sviluppata dalle aziende partner Yulex™ e Forest Stewardship Council® (FSC), e certificata dal Rainforest Alliance. “Per anni surfer e produttori di mute, Patagonia inclusa, hanno fatto affidamento sul neoprene, pur sapendo che è un materiale non rinnovabile, derivato dal petrolio e con un processo di lavorazione che richiede elevati consumi energetici” ha sottolineato Hub Hubbard, Product Line Manager Patagonia per il settore delle mute. “Il neoprene non è sano, ma per molto tempo non abbiamo trovato altre alternative. Grazie alla partnership con Yulex™, siamo riusciti ad investire in uno straordinario materiale innovativo a base vegetale, utilizzandolo nella gamma completa delle nostre mute e dicendo così addio per sempre al neoprene”. Le nuove wetsuit Yulex™ prive di neoprene offrono performance superiori rispetto alle tradizionali mute in neoprene precedentemente realizzate da Patagonia, dimostrandosi inoltre incredibilmente resistenti. Impiegando gomma naturale, Patagonia è in grado di ridurre addirittura dell’80% le emissioni di CO² abitualmente generate dalla produzione di mute in neoprene tradizionale. La gomma con certificazione FSC® viene mescolata con il 15% di gomma sintetica priva di neoprene, a vantaggio di una maggiore resistenza all’ozono e ai raggi UV che
soddisfa i requisiti di Patagonia in termini di robustezza e durata nel tempo. L’innovativo materiale a base vegetale, proposto per la prima volta da Yulex™, viene ricavato da una piantagione di hevea, o albero della gomma, con certificazione indipendente allo standard FSC® rilasciata dal Rainforest Alliance che garantisce una produzione basata su pratiche responsabili nei confronti dell’ambiente. Patagonia e Yulex™ condivideranno questa nuova straordinaria innovazione con altre aziende, animati dalla speranza che altri produttori del settore surf seguano l’esempio e adottino materiali più “puliti”. La linea di mute Patagonia per il 2016 si caratterizza per le nuove fodere ad effetto termico e a rapida asciugatura, e per i design con zip frontale trasversale e zip posteriore. Le nuove ed esclusive fodere invertite micro-goffrate offrono i migliori tempi di asciugatura di sempre e concorrono a creare mute più leggere ma comunque in grado di mantenere un eccellente livello di calore. La zip frontale trasversale incrementa il ciclo di vita della muta e vanta un flap asimmetrico per offrire flessibilità, tenuta stagna e libertà di movimento migliorate. Inoltre, a differenza di altri modelli, la zip può essere sostituita. Con mute pensate per acque di sei diversi livelli di temperatura, la collezione Wetsuits di Patagonia copre una gamma termica che va dai 23°C agli 0°C. La nuova linea di mute sarà disponibile in Europa da luglio 2016. I capi della collezione Patagonia Wetsuits possono essere acquistati nei punti vendita Patagonia, nei surf store specializzati e su Patagonia.com.
I N T R O
#STAYDAMP Benvenuto su Damp!
su un’immagine d’impatto e girare pagina non è facile. La possiamo scandagliare in ogni angolo, con calma, da destra a sinistra, sopra e sotto, studiarne i particolari e fantasticare, zoomare con gli occhi, infine, dopo aver soddisfatto i nostri bisogni, chiudere la rivista e conservarla gelosamente in libreria per ritrovarla quando ci fa più comodo, quando ne abbiamo ancora bisogno. Quell’immagine esiste davvero, è reale ed è lì che ci aspetta. Damp è nato perchè certe cose vivono meglio sulla carta, sono destinate a durare, mentre sul web si disperdono rapidamente. Scopo di Damp è condividere la nostra passione comune, perchè non c’è gusto a godere di una cosa senza condividerla. Damp è un progetto che si evolve, non si ferma a questo numero cartaceo che hai tra le mani, come già detto troverai sul web la sua versione digitale, con contenuti extra, video e tutto quello di cui avrà bisogno per esprimersi e condividere. L’immagine che abbiamo scelto per la cover rappresenta la summa del nostro pensiero, del nostro spirito, il surf allo stato puro, libero e in completa armonia con la natura, il posto dove vorremo essere in questo momento, sospesi in un cilindro liquido, il luogo dove i pensieri si fermano e tutto appare più azzurro e bello. L’immagine è stata scattata da un master, Fabio Palmerini, durante lo scorso inverno e ci è capitata a fagiolo proprio mentre Damp prendeva forma, era scritto quindi che questa rivista che hai in mano vedesse la luce. Dove trovi Damp? Lo trovi del tuo negoziante di fiducia, nelle scuole surf, nelle surf house, nei bar, nei circoli surf, non solo nei luoghi fisici ma anche in quelli virtuali grazie alla versione digitale, insomma la trovi davvero dappertutto. Goditelo quindi fin che c’è, goditi questo volumetto unico e gratuito, forse sarà il primo e ultimo numero, forse no… si vedrà. La verità è che nessuno ci sta col fiato sul collo per produrre contenuti all’impazzata, Damp è passione e basta, e se avremo la possibilità di continuare a fare una rivista che ha come punto di partenza la passione, Damp tornerà. Diversamente, ci vedremo di più in acqua!
Probabilmente sei appena stato nel tuo surf shop preferito, o in spiaggia, o in una surf house, in una surf school e ti sei ritrovato faccia a faccia con questo volumetto che parla di surf. La cosa ti alletta, anche perchè è gratis e dopo aver dato una sfogliata veloce hai adocchiato qualche bella immagine che ti fa scattare qualcosa… Bene, questo è Damp e tanto per cominciare goditelo! Damp significa umido, bagnato, è come me, come te, bagnati fino alle ossa, con il sale sugli zigomi da tre giorni. Dì la verità, hai surfato qualche giorno fa e non ti sei ancora fatto la doccia. Ottimo! Ci intendiamo subito. Ma c’era davvero bisogno di una nuova rivista? Damp è un punto di vista differente, ed è bene che ci siano punti di vista diversi. Per chi come noi ama ancora la carta stampata ce ne vorrebbero di più di riviste, non ne basta una, nemmeno due. Probabilmente vi sembreremo un po’ vintage o forse lo siete anche voi, in ogni caso per chi preferisce c’è sempre la versione digitale, con contenuti extra e ulteriori, la trovi online su www.dampmag.com qualche settimana dopo l’uscita di questo volumetto, quindi scegli pure il tuo strumento preferito. Parlavamo di punti di vista… il nostro è che fare surf è felicità allo stato puro, guardare un’immagine di un’onda perfetta ci fa evadere il cervello in posti lontani, anche questo è puro godimento. Quando usciamo dall’acqua dopo una session non ci resta che il ricordo, e una foto lo consolida, lo fa durare per sempre. Quella foto a noi piace ancora toccarla con i polpastrelli delle dita. Ecco perchè c’era bisogno di Damp, per costringersi a fermarsi, a guardare, ammirare una foto, per godersela, gustarsela con gli occhi, accarezzarla, stabilire un contatto e una trasmigrazione dentro di essa. Ormai siamo abituati fino troppo a vedere ogni giorno centinaia di immagini bellissime che scorrono sotto il pollice e sullo schermo del nostro smartphone, alcune delle quali per essere realizzate hanno richiesto molto tempo e dedizione, ma ci vengono servite in una timeline che scivola via veloce come il movimento di un dito e non ci rimane più niente, si perdono nell’etere. La carta ha un potere diverso, quello di farti soffermare
It’s a Damp life… Benvenuto su Damp!
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Ti piace Damp? Non ti piace? Vuoi comunicare con noi? Vuoi collaborare? Scrivici qualsiasi cosa a info@dampmag.com
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C O N T E N U T I #staydamp
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EDITORIALE
16 COLLABORATORI 18 INSTAPORN 20
EPIC DAYS
22 COUNTDOWN
34 STRANGE DAYS
Giornate strane che iniziano incerte ma a volte nascondono sorprese inaspettate e piacevoli.
58 ALMOST HERE Un viaggio è un pensiero, un’idea che pian piano prende forma si colora e ti porta nei meandri più assurdi del mondo.
74 LOST IN SUMATRA
Roberto D’Amico e Yannick De Jager a caccia di swell nel sud ovest di Sumatra.
DAMP MAGAZINE 2016 Hanno collaborato: Roberto Apuzzo, Iuri Borba, Alberto Carmagnani, Yari Cava, Roberto D’Amico, Broc Ellinger, Valerio Mastracci, Francesco Meloni, Roberto Montanari, Fabio Palmerini, Elena Tenti.
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Finito di stampare: Giugno 2016
Roberto Apuzzo porfolio
Stampa: La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio S.r.l. Via Dell’Artigianato, 23 • 47826 Villa Verucchio (RN) Tutti i diritti riservati
COVER FOTO
FABIO PALMERINI
SURFER
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RUSSIA’S WILDERNESS
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COOL STUFF
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SURF ART
ANDREA NACCI
Per info, pubblicità e abbonamenti: info@dampmag.com FOLLOW US web: www.dampmag.com • instagram: @dampmagazine Progetto grafico a cura di Roberto Montanari e Yari Cava
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C O L L A B O R A T O R I #staydamp
FABIO PALMERINI FOTOGRAFO
Fabio Palmerini è uno dei più longevi fotografi di surf in Italia. Lo incontrerete più spesso lungo le coste della Versilia, ma non disdegna spostarsi in Liguria e Sardegna. Da anni si occupa prevalentemente di fotografia sportiva, con spiccata attenzione al surf, ma adora anche ritrarre paesaggi e soggetti possibilmente sempre legati al suo sport preferito. Collabora da tempo con le più importanti riviste e siti web Italiani del settore. Appena può scappa dall’Italia scegliendo le sue destinazioni in base alle onde: Hawaii, California, Maldive, Marocco, Francia, Spagna, Portogallo, Canarie, sempre alla ricerca dell’onda perfetta. web: 500px.com/fabio-palmerini
IURI BORBA
FOTOGRAFO
Iuri Borba è nato e cresciuto a Sao Paulo, Brasile, dove quasi contemporaneamente, all’età di 14 anni, ha cominciato a coltivare le sue più grandi passioni, surf e fotografia. Queste lo hanno portato ad affrontare alcuni viaggi in giro per il mondo, ma è l’Indonesia a farlo innamorare e farlo tornare più volte, fino a stabilirsi definitivamente dal 2009. Attraverso le sue immagini cerca di mostrare il lato romantico del surf e raccontare piccole storie, per condividere quelle emozioni che soltanto i surfisti conoscono. web: iuriborba.com
ROBERTO APUZZO FOTOGRAFO
Fotografo, salvataggio, viaggiatore, amante del surf e del mare. I paesaggi della Romagna e la carestia di onde dell’Adriatico hanno da sempre instillato in Roberto Apuzzo la voglia di viaggiare alla ricerca di nuove onde, preferibilmente in destinazioni poco reclamizzate, mentre la sua formazione fotografica lo induce a documentare dettagliatamente i suoi incontri con le masse liquide. web: www.instagram.com/aqa_photo
YARI CAVA
FREESURFER
Freesurfer nato e cresciuto sui break nei dintorni di Livorno, dove ha scoperto la passione per il surf e da dove parte per i suoi numerosi viaggi intorno al mondo. Sempre alla ricerca della magia delle onde. Collabora con fotografi e riviste del settore, portando avanti i suoi progetti personali che spaziano dall’arte alla fotografia. Attualmente impegnato in un progetto fotografico personale che vi consigliamo di tenere d’occhio: @thelightisinyou web: www.thelightisinyou.com
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I N S T A P O R N #staydamp
Diciamo la verità, qual è la prima cosa che facciamo al mattino appena svegli? Scandagliare Instagram in cerca di immagini che ci diano un’iniezione di adrenalina per cominciare bene la giornata. Non possiamo farne a meno. In questa pagina cercheremo di consigliarvi i profili instagram che più ci ispirano e da cui ci auguriamo possiate anche voi trovare fonte di ispirazione. Eccone alcuni di quelli che abbiamo trovato particolarmente interessanti e incentrati sull’oggetto del nostro desiderio supremo: le tavole.
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E P I C
D A Y S
#staydamp
Hai presente quando si inciampa nella scatola dei ricordi e tra le mani ti ritrovi quella foto di 10, 15, 20 anni fa? Ecco, questo spazio è dedicato a quella foto, quell’immagine che gira da un posto all’altro della casa e te la ritrovi di tanto in tanto sott’occhio, la sposti, la smarrisci, poi la ritrovi, la tieni in vista poi scompare di nuovo, ci versi sopra il caffè, ma ogni tanto riappare e ti fermi a contemplarla per cinque minuti in ricordo dei bei tempi e della sua storia.
IL SALE, 2002 Il surf in Italia all’inizio del duemila non era come adesso, era uno sport di nicchia, meno commerciale, con molto più sentimento e amicizia, in acqua le facce che frequentavano gli spot erano sempre le solite, cercavamo di usare le attendibilità dei canali meteo del momento, o qualche segnale che la natura ci forniva. Ogni mattina ci alzavamo per andare a vedere con i nostri occhi e il più delle volte quando le onde erano brutte entravamo lo stesso, per stare in compagnia, avevamo un grande passaparola tra di noi. Ricordo quando dormivamo sulla spiaggia con il sacco a pelo e aspettavamo l’alba per gustarci le prime onde della scaduta, questa è una delle componenti che più mi è rimasta nel cuore, spero che chi pratica adesso il surf lo faccia con lo stesso amore con il quale lo facevamo e lo facciamo noi. Questa foto mi ricorda uno di quei momenti, una di quelle giornate che amo raccontare e che ti gratificano di tante attese andate male. Per anni aspetti la giornata epica e se ti fai trovare pronto prima o poi la cavalchi. Quel giorno lo ricordo bene perchè non avevo mai visto una combinazione simile, guardando adesso la foto mi pare di rivivere quei momenti così lontani… il mare era tutto rigato dai grandi set provenienti da lontano, una bella mareggiata da nord ovest ci stava regalando una grande giornata di surf. Le onde arrivavano in continuazione martellando la costa, il vento da nordest le accarezzava come una mano e ne regolava la forma e la dimensione. A quel tempo avevo sempre con me una Canon a rullino, scattai solo questa foto ad un set, dopodichè afferrai la mia tavola e entrai in acqua per fare surf con gli Amici. Le onde durarono tutto il giorno e sul calar del sole di quel freddo Novembre le condizioni migliorarono, alla fine della giornata ormai stanco e infreddolito uscii per ammirare lo spettacolo che la natura ci aveva regalato, il sogno che si era avverato. Ora questa foto la conservo in una cornice e nelle mia mente. Grazie Novembre 2002. Valerio Mastracci 20
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FOTO BROC ELLINGER In amore e in guerra ogni mezzo è lecito, e il surf è amore con la A maiuscola. Per il raggiungimento della felicità tutto ti è permesso. (da pag. 48)
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FOTO FABIO PALMERINI L’imprevisto che va sempre messo in conto. Filippo Eschiti (da pag. 32)
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FOTO ROBERTO APUZZO Lances Right appena sveglia inizia subito a regalare mistiche visioni dorate, sia per chi è fuori che per chi è dentro. (da pag. 80)
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FOTO ALBERTO CARMAGNANI Effetti positivi di una giornata strana e inaspettata... (da pag. 32)
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FOTO FRANCESCO MELONI La Sardegna è probabilmente il luogo in cui le aspettative hanno il piÚ alto grado di soddisfazione. Federico Nesti a tu per tu con una strana altezza. (da pag. 32)
Foto Roberto Apuzzo
+ STRANGE DAYS +
Tutti gli elementi racchiusi in una sola immagine. Foto Yari Cava
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+ STRANGE DAYS + A volte penso che forse sarebbe più bello avere tutto subito. Forse si, forse no. Ancora non ho deciso. Forse preferisco guadagnarmelo, se ancora dopo tutti questi anni sono ancora qua, ad aspettare un altro autunno, un altro inverno, e poi che un’altra estate passi in fretta, anche se non vorrei, per poi ricominciare tutto da capo. Le gioie, i dolori, i patimenti, le fregature, le incazzature, i pacchi e contropacchi, continuare a investire lo stipendio in benzina, trasferte, hotel economici, per cercare di ritrovarmi ancora una volta faccia faccia con uno di quei “giorni strani”, quelli imprevedibili, perchè nella normalità della quiete Mediterranea sono i giorni strani quelli che ci piacciono, ci fanno sentire vivi, ci fanno parlare per giorni e giorni, prima, durante e dopo. Forse è proprio questo fascino dell’imprevedibile, dell’inaspettato che continua a tenerci incollati alla nostra terra, stagione dopo stagione. Le foto che vedete sulle riviste non sono reali, da noi le onde non sono così, non sono così perfette, col sole e l’acqua cristallina, come ci vogliono far credere. Quelle sono giornate strane, rare, capitano ogni tanto, ci illudono che la realtà possa essere come la vediamo e poi… zac! Fine. Si torna alla cruda realtà. Le aspettative rimangono sempre però, e l’aspettativa di quest’inverno poteva anche essere bassa, visti i mesi precedenti. Invece è stato tutto sommato un inverno pieno di giorni strani, quelli che continuano a stupirti quando li incontri e ti fregano sempre. Dobbiamo per forza fare un bilancio, se è stato un grande inverno o non lo è stato? Le certezze qui non esistono, le sole cose certe sono la morte e le tasse, è scontato, ma quando si parla di onde e di Mediterraneo, e in modo ancora più circoscritto di Italia, le incertezze sono la routine, e poiché la meteorologia non è una scienza esatta bisogna mettere in conto una certa quantità di porte in faccia. Sono centinaia le storie che narrano la fortuna di essersi trovati nel posto giusto al momento giusto, che può essere ovunque lungo le migliaia di km di coste della penisola, anche in Adriatico si può vivere una grande epica giornata di surf. Basta non avere troppe aspettative, mantenere un profilo basso e sperare di prendere quello che viene, accontentarsi, adattare il karma con i capricci della natura, aprire il cuore… è allora che, se sei fortunato, se Madre Natura ha deciso di premiarti, sarai ricompensato. Non devi mai pensare male di Lei, mai offenderla, è così che va il mondo, un giorno prendi pesci in faccia, un altro trovi l’oro nel paiolo.
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Quanto è grande quest’onda? Quanto è tubolare? Quanto ripida? Quanto profonda? Dove si trova? Con quali condizioni lavora? Esiste davvero? Non ci pensare, questa è una giornata che probabilmente non si ripeterà mai più e Roberto D’Amico ha percorso centinaia di km per essere qui in questo preciso momento. That’s Italy! Foto Fabio Palmerini (guarda la sequenza completa nelle pagine successive)
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Se hai bisogno di certezze hai sbagliato paese, le certezze le hai solo quando te le trovi davanti, o a fine giornata quando rimani a contemplare il sole che cala sull’orizzonte e ti perdi nei ricordi di qualche centinaio di foto che il tuo amico ti ha fatto. Le grandi aspettative non ripagano mai, lasciatelo dire da uno che il muso l’ha sbattuto più di una volta. E più sono grosse, più è sonora la delusione. Ti saresti aspettato sempre di meglio. Il profilo basso è la chiave, macinare chilometri senza pensare troppo, senza aspettarsi troppo, sperando, ma neanche tanto in fondo. Perché la speranza fa cilecca come le surf forecast. Non ti fidare troppo di quello che ti dicono i guru, impara a leggere i tuoi segnali e non lasciare nulla al caso, oppure affidati totalmente al caso, perchè è proprio quando quel bollettino meteo cerca di farti desistere che potresti trovare la tua pentola d’oro in fondo all’arcobaleno. Le grosse aspettative non possono che lasciarti l’amaro in bocca, spesso questa regola si dimentica, quando la scimmia ti urla nell’orecchio e non capisci più niente, quando sei pronto per crederci troppo, è lì che la tua debolezza ti frega. Colpa anche di internet, delle riviste e di tutti quei social media che ogni giorno ti riempiono gli occhi di onde perfette, di tubi, di line up che hanno sempre altri protagonisti e raramente toccano a te, ti inducono a credere che la prossima volta troverai quelle stesse onde perfette che hai memorizzato nella tua mente. Ma non è così. O non sempre. Non spesso. Quasi mai. Perché i fattori che entrano in gioco sono troppi e imprevedibili, e nemmeno i guru delle surf forecast sanno che pesci prendere. Proprio quando cominciavi a pensare che la tecnologia e i passi da gigante fatti dalle previsioni meteo negli ultimi 10-15 anni, grazie anche all’avvento di internet, ti permettessero di andare sul sicuro o almeno di prenderti più rischi, è lì che rimani fregato. Dare le cose per scontate non ha mai ripagato nessuno. Quindi, non ti fidare mai troppo e non partire per un surf trip sperando di presentarti sullo spot e trovare quelle stesse onde perfette che avevi visto poco prima sul web, mantieni quel giusto livello di diffidenza e di speranza perchè la giornata perfetta, anche solo un’ora o due, prima o poi capita. Anche nel piccolo Mare Nostrum.
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Lasciarla non è mai facile, un’ultima carezza ancora. Cosa ti aspetta dopo non è dato saperlo. Andrea Nacci fotografato da Fabio Palmerini
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Alla fine di certe giornate, quando le forze ti abbandonano e il buio ti costringe a desistere, non puoi fare a meno di fermarti a guardare gli ultimi set e chiederti se è successo davvero. Foto Roberto Montanari
Giornata strana, scirocco, pioggia, tramontana, grandine, spunta il sole, il cielo si pulisce. Sono in ufficio, guardo qualche webcam, penso che forse oggi non mi sto perdendo niente. Quando esco l’atmosfera è strana, ci sono ancora i mucchi di ghiaccio ai bordi delle strade ma l’asfalto al centro è ormai asciutto, fa fresco, sono ancora tra i palazzi del centro ma sembra non esserci più vento. Bella serata per correre, penso. Sto per svoltare verso casa quando vedo sulla passeggiata, proprio dove finisce la vista prima che l’orizzonte scompaia dietro la curva, un gruppetto di gente, è inconfondibile. Sono tanti e sono esattamente lì, guardano tutti nella stessa direzione. Potrebbero sembrare turisti che si godono la vista delle navi che escono dal porto ma so che non lo sono. Non svolto più, mentre mi avvicino inizio a riconoscere alcune sagome e capisco subito che le egoiste speranze del pomeriggio erano state assolutamente disattese. Set puliti, misura importante, angolo perfetto, completa assenza di vento.
Foto Alberto Carmagnani
Dopo anni su e giù per la costa a cercare onde, ancora oggi mi rendo conto di non averci capito nulla. Forse è proprio questa incoscienza a spingermi a continuare a cercare e sperare di trovare la situazione perfetta. Ma poi che succede se non ci sono i surfisti? Se non arrivi al momento giusto? Se non sei nel posto giusto? Queste e mille altre paranoie ti assillano ogni volta che vuoi assolutamente trovare la giornata perfetta, finché te la trovi davanti all’improvviso, al di fuori di tutti i calcoli che puoi aver fatto fino a quel momento.
Foto Alberto Carmagnani
Esci da casa che è ancora buio e, ancora stordito, azzardi teorie strampalate su venti, maree e previsioni meteo, ma sai già che stai dicendo cazzate. Ci vuoi credere, vuoi continuare a sperare. Poi, dopo l’ennesima fregatura, te la ritrovi davanti, la giornata che hai sempre inseguito, trovi il sole, le onde perfette, bravi surfisti, cento euro e pure moglie! Ma tutto questo non cambia nulla, perchè le prossime volte che tornerai in quel posto troverai nient’altro che pioggia, onde di merda, e la suocera che ti insulta.
Foto Fabio Palmerini
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Giovanni Evangelisti ha trovato la miglior cura possibile per la sua Wintertudine. GUARDA ONLINE IL VIDEO
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+ STRANGE DAYS + Andrea Nacci. Foto Fabio Palmerini
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here TESTO E FOTO YARI CAVA
A L M O S T H E R E #staydamp
L’ho visto scritto e l’ho visto dire La luna rosa sta arrivando Nessuno di voi sta in piedi così in alto La luna rosa vi prenderà tutti Ed è una luna rosa C’è una luna rosa (Nick Drake)
Ai giorni nostri si può viaggiare stando fermi, a casa, comodi sul proprio divano e magari sgranocchiando uno snack davanti allo schermo di un computer. Bombardati dai social network ed esperti navigatori della rete siamo in grado di descrivere esattamente le onde in Indonesia fino a gustarci virtualmente un tramonto alle Hawaii. Oramai sommersi da foto, tweets e shots su Instagram il nostro mondo sembra fagocitare un sistema di persone che neanche sanno più che cosa vuol dire vivere realmente. Viaggiare è sinonimo di libertà, di conoscenza di nuove culture, di rispetto verso il mondo ma, soprattutto, è una messa alla prova per capire chi siamo e cosa ci spinge a intraprendere spostamenti continui nel desiderio di trovare le onde, sì, ma anche di (ri)scoprire il calore dell’amicizia e la profondità dell’amore. Forse siamo all’alba di una nuova rivoluzione? Si dice che quando si vive in un luogo per un lungo periodo di tempo, non si riesca più ad assaporare e a capire profondamente quel posto. Le condizioni mentali si adattano, ci spalmiamo alla società in cui viviamo incatenati alle nostre routine. Gradualmente veniamo divorati da dentro, finiti da un male invisibile, ma esistente, entrato a forza e fatto passare come unica cosa giusta in questo momento, la nostra unica strada. Il nulla è protagonista della nostra vita come una star, facendoci lavorare come macchine e facendoci vivere come automi, facciamo passare il tempo senza aver mai vissuto una vita, con la nostra amata terra colorata dall’odio che l’uomo nasconde dentro di sè.
Ovunque si vedono persone chiuse nel loro isolamento e tenute in pugno dal nulla, da un meccanismo che, scandito assieme al tempo, nutre la perdita totale del senso reale e della capacità di provare piacere concreto per ciò che si sta inseguendo. Così, a poco a poco, è nata la necessità di individuare una nuova visione, un nuovo ideale in contrasto con la corrente attuale in cui il volere ha il sapore del denaro che sfama la gente, sfuggita all’autonomia di gestire la propria vita per donare a coloro che ci hanno fatto schiavi rubando il nostro prezioso tempo. Distinti tra loro, esseri umani iniziano a distanziarsi ognuno nella propria bolla, uomini che vivono di amici immaginari in un mondo in cui lo status è dettato dal ‘più fai più hai’ e ‘piú hai più sei’, ai margini di quella follia che ha portato l’uomo a credere nel vivere per domani e non oggi. La privazione di libertà equivale all’incapacità di scegliere, come si vuole scegliere, perché così si vuole vivere: senza costrizioni o manipolazioni, senza che un sistema sovraordinato creato a tavolino ci inghiotta, nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarsi per le proprie convinzioni, per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa. Quando si viaggia, quello che accade è che, quasi senza accorgersene, la nostra vita riesca a vedere il sistema al di fuori della scatola, ci avviciniamo al nostro io e a quello che siamo. Durante il viaggio assaporiamo i cicli della vita, dalla nascita di una nuova alba, al sospiro di Dio che fa nascere le onde per spingerle verso noi.
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Ognuno parte sempre alla ricerca di qualcosa. Io qui ho trovato la mia onda perfetta. Rincon Point
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Un viaggio, è un pensiero, un’idea, pian piano prende forma, si colora e ti porta nei meandri più assurdi del mondo. Camminando in questa baia si spezza la routine, il tempo si blocca e si entra in una condizione mentale di benessere, tra realtà e fantasia, immedesimandosi a tal punto che si riesce solo a vedere ciò che la mente e il cuore suggeriscono. Questa strada, la mia vita, esula dal mondo reale. Messo davanti ad altri, cammino per tornare alla line up come un pellegrino verso la sua luce, in fondo siamo tutti qui per lo stesso motivo, tutti alla ricerca di qualcosa.
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love lights more fires than hate extinguishes - Ella Wheeler Wilcox
Ogni uomo può evadere dalla realtà che lo circonda ed aspirare ad essere libero, anche solo per un attimo... Guidando verso il sudest, lungo il Salton Lake, nelle vicinanze del paese di Niland, sorge nel Sonoran Desert un accampamento chiamato Slab city “l’ultimo posto libero”, questo è un buon luogo per cominciare.
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La cultura della nostra epoca ci dice che siamo fatti solo di materia, di processi chimici e fisici, che poi hanno misteriosamente dato origine alla vita, e che probabilmente gli stessi processi sono anche alla base dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti. In questo nostro vivere quotidiano messo in crisi dai falsi valori, dalla cultura dell’apparenza, dalle paure e dalle illusioni, dove non si collezionano le esperienze, io raccolgo, foto, oggetti e tutto quello che mi
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ispira e mi incuriosisce, con l’dea che prima o poi mi potrà essere utile lungo il cammino della vita. Il tempo che sarà passato si sarà fermato in quei momenti singoli, in quelli input dove la mente potrà tornare indietro per poter ancora viaggiare e ricordare, ad ogni oggetto assocerà un profumo, un luogo, un ricordo ma soprattutto potrà ricordare che sono stato un uomo Libero.
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Ogni surfer merita la giusta ricompensa. Ho sacrificato la mia session di fine giornata per salire sulla collina e fare questo scatto. Non l’ho mai mostrato a nessuno, neanche a gli amici piÚ intimi. Fino ad ora‌
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Intraprendendo un lunghissimo viaggio in auto da nord a sud al ritmo della musica rock, incontro lungo la strada le persone piĂš folli e stravaganti, scopro un nuovo stile di vita, puro e folle. Con pochi soldi in tasca, sognando ad occhi
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aperti, percorrendo le strade della cultura del surf, guidando lungo la highway one, questa esperienza mi stupisce, mi emoziona, facendomi riscoprire la bellezza della semplicitĂ in un mondo variegato e complesso.
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Sognatori e avventurieri vanno in cerca di questo paradiso perduto. Quando trovi questi gioielli liquidi i pensieri scompaiono, la mente si svuota per riempirsi nuovamente di attimi come questi.
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SUMATRA
TESTO ROBERTO MONTANARI SU RACCONTO DI ROBERTO D’AMICO FOTO IURI BORBA
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E’ aprile inoltrato e Bali, così come qualsiasi altra destinazione surfabile dell’Indonesia, non è esattamente il posto dove vorresti essere se per una qualche ragione non potessi fare surf. La stagione secca sta ormai entrando a regime, con le prime consistenti mareggiate che cominciano a pompare onde tubolari e perfette lungo tutta la penisola del Bukit. E’ quel momento dell’anno in cui le guest house e le line up cominciano a riempirsi di surfisti provenienti da ogni angolo del pianeta per surfare le onde della vita. Dopo un periodo di prolungata piatta pre estiva lungo la costa laziale, e prima che il livello di astinenza superasse la soglia di sopportazione, nemmeno io riesco a resistere al richiamo dell’Indiano e prenoto un volo deciso a ributtarmi nella mischia balinese. Nel frattempo però, il mio amico Mattia Morri aveva già programmato una piccola fuga a Sumbawa dove, a parte alcuni spot, è ancora possibile trovare onde relativamente poco affollate e dove le previsioni annunciavano una mareggiata da cinque stelle per i giorni successivi al mio arrivo. Così non faccio nemmeno in tempo a uscire dall’aeroporto di Ngurah Rai che la sera stessa siamo già in viaggio con un primo stop a Lakey Peak e successivamente negli altri spot di Sumbawa. Purtroppo, è sempre quando meno te l’aspetti che capita l’imprevisto. Dopo la primissima session a Lakey infatti la mia schiena non ne vuole più sapere e fine del trip per i successivi dieci giorni. Mi rassegno a fare da spettatore e cerco di godermi lo spettacolo di Mattia mentre macina alcuni dei più bei tubi che abbia visto a Sumbawa, barrel perfetti di due tre metri assolutamente incredibili e di cui avrete probabilmente visto qualche clip su internet. Torno a Bali per curarmi e potete immaginare il livello di frustrazione per come si erano messe le cose subito all’inizio del mio viaggio in Indo. Non certo secondo le aspettative… Dopo dieci giorni trascorsi ad ammirare le lunghe ipnotiche sinistre del Bukit ne avevo avuto abbastanza, nel frattempo la schiena mi era tornata a posto ma avevo bisogno di sfogare tutta quella frustrazione accumulata. L’occasione mi è arrivata da Iuri Borba, fotografo di origine brasiliana da anni residente a Bali, specializzato prevalentemente in fotografia dall’acqua. Già da tempo Iuri aveva l’idea di voler esplorare il sud di Sumatra, una zona di cui nessuno di noi sapeva niente se non sporadi-
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che informazioni reperite da qualche surfista incontrato qua e là. L’isola di Sumatra è molto estesa, patria di aree surfistiche ormai famosissime come Mentawai, Nias e le altre isole, ma il sud è probabilmente la zona meno frequentata e conosciuta. Tra le poche cose che sappiamo, una è che le onde ci sono per certo, ma ignoriamo
tipo di onde e condizioni in cui gli spot lavorano al meglio. Del sud di Sumatra sapevamo che avremmo potuto trovare spot semi o del tutto deserti in cui poter sfogare tutta la nostra voglia di onde e di evasione dalle line up affollate. Per ragioni di lavoro Iuri ha viaggiato in molte isole dell’Indonesia, che co79
nosce ormai a fondo, ma non aveva mai avuto la possibilità di esplorare l’area meridionale di Sumatra pur essendo venuto a contatto con surfisti che c’erano stati e gli avevano raccontato delle onde perfette e deserte che si trovano in alcuni tratti della costa. L’idea di per sé era comunque particolarmente eccitante e, secondo le
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poche informazioni raccolte, le previsioni sembravano coincidere con la possibilità di beccare una bella settimana di swell con venti favorevoli. La mareggiata in arrivo sulle coste indonesiane sembrava infatti puntare in modo solido e deciso proprio in quella zona. Alla spedizione si aggiunge anche Yannick De Jager, il surfer olandese con cui avevamo già condiviso un trip in Sardegna insieme a Leonardo Fioravanti qualche anno prima, e
con cui da quel momento avevo condiviso altri trip in giro per il mondo. La distanza tra Sumatra e Bali è piuttosto breve, circa un migliaio di km separano il sud della grande isola dall’aeroporto di Denpasar, distanza che in condizioni normali richiederebbe al massimo un paio d’ore di volo o poco più per essere coperta. Eppure il viaggio per arrivare a destinazione credo sia stato uno dei più lunghi che abbia mai fatto. L’intero tragitto ci co-
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stringe a prendere infatti due voli interni, con scalo a Giava, e una volta arrivati all’aeroporto di Bandar Lampung, nell’estremo sud di Sumatra, a noleggiare un’auto su cui passare le successive otto ore di strade dissestate fino alla costa sud ovest. Decidiamo di far base nell’area di Krui e da lì muoverci di conseguenza verso nord o sud. Considerando che questa, per quanto sappiamo, è la zona più popolosa, anche di surfisti,
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di questa regione, ci rendiamo subito conto di quale abissale differenza separi questo angolo di mondo da uno ormai civilizzato come Bali. Credo di non sbagliare troppo dicendo che questa parte di Sumatra potrebbe somigliare a Bali trenta o quarant’anni prima. Poche case e baracche spezzano la “monotonia” di una giungla selvaggia e densa fino al mare, dove la fitta vegetazione tropicale lascia spazio a spiagge meravigliose a ridosso delle quali corre il vasto Parco Nazionale Bukit Barisan. La zona intorno a Krui è quella che, per quanto
ne sappiamo, dovrebbe essere più frequentata dai surfisti, ma ben presto ci rendiamo contro che si tratta di un affollamento molto relativo. I pochi surfisti che avvistiamo nei dintorni sono per lo più confinati negli spot più accessibili e con onde facili, si tratta in prevalenza di inglesi di mezza età in cerca di posti dove surfare in tranquillità e questo si riflette nell’atmosfera che si respira dentro e fuori dall’acqua. Troviamo alloggio nell’unica guest house della zona, gestita da una signora inglese espatriata ormai da alcuni anni. A parte questo piccolo re-
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sort, non scorgiamo altre strutture turistiche nei paraggi e nessuna traccia di vita notturna, ma solo qualche negozietto locale oltre alle abitazioni di nativi. Fatta eccezione per gli espatriati, tra i locali l’inglese non è parlato così diffusamente come a Bali o in altre zone dell’Indo e conoscere qualche parola di indonesiano non farebbe male. Passeremo solo qualche giorno sull’isola, il tempo necessario per sfruttare la mareggiata in corso. Vista la situazione delle strade, raggiungere qualsiasi spot, anche il più vicino, ri-
chiede almeno un’ora abbondante di macchina e questo è probabilmente uno dei motivi del limitato affollamento. Per ottimizzare al massimo i tempi puntiamo la sveglia tutti i giorni alle 4.30 del mattino. In realtà, in un tratto breve di costa sono concentrati diversi spot abbastanza vicini tra loro, ma le strade sono talmente dissestate da rendere impossibili tempi più brevi per spostarsi dall’uno all’altro. Inoltre non sappiamo nulla di maree e caratteristiche degli spot e questo ci costringe a girare per la costa avanti e indietro e verificare le condizioni anche ad orari
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diversi fino a trovare le condizioni migliori. Per la nostra prima session troviamo una sinistra perfetta e apparentemente facile con lunghe pareti lavorabili e sezioni tubanti. E proprio quando credevamo di essere sotto lo scacco di un affollamento senza speranza, ci ritroviamo invece in completa solitudine, Yannick ed io, a dividerci un’onda dietro l’altra fino a quando le braccia non reggono più. Dopo dieci giorni messo all’angolo dalla mia schiena capricciosa, la frustrazione è finalmente soltanto un ricordo lontano e mi sento come arrivato in paradiso dopo aver scontato la mia pena in purgatorio. Questa prima giornata ci ripaga di tutte le ore di viaggio e dei mille sbattimenti per arrivare.
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Lungo la costa troviamo ogni tipo di spot, dal beach break con picchi sparsi modello “La Graviere” ai reef con coralli colorati e affilatissimi che a marea troppo bassa diventano off limits. A farne le spese è proprio Yannick, in un point destro deserto scoperto per caso su un’isoletta ad appena mezz’ora di barca dalla costa. Abbiamo avvistato questo reef durante una delle esplorazioni verso nord e raggiunto grazie alla barca di un pescatore che ci ha accompagnato fino alla line up. L’onda avvistata da terra si è rivelata una destra con un tubo perfetto che srotolava per decine di metri fino a una lingua di sabbia dove alcuni bambini giocavano con tavolette rudimentali di legno nelle schiumette a
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riva, segno del probabile passaggio di altri surfisti prima di noi. Nei paraggi però nessun’altro. Ci buttiamo in preda all’eccitazione più totale, senza conoscere nulla dell’onda e della sua pericolosità e dopo qualche corsa Yannick viene frullato da un tubo, atterrando di pancia sul reef e aprendosi il petto con diversi tagli. Per evitare infezioni o di attirare squali decide di tornare in barca lasciandomi completamente solo sulla line up. I tempi tra un set e l’altro si dilatano, scanditi da un silenzio assordante e solo il rumore del lip che impatta sul reef interrompe a cadenze regolari questo momento surreale che sembra non finire mai. Continuo a surfare in solitudine questo piccolo
paradiso nascosto, in preda a una moltitudine di emozioni diverse e contrastanti, tra felicità, paura e tensione, senza realizzare il fatto che se fosse successo qualcosa di più serio saremmo stati probabilmente troppo lontani da tutto. In realtà passa poco più di un’ora prima che la marea diventi eccessivamente bassa e il reef inizi ad affiorare troppo rendendo lo spot da suicidio e mettendo fine alla session di questa giornata. Il giorno successivo Yannick decide di non surfare per riposarsi e permettere alle ferite di rimarginarsi. Ne approfitto per affittare un motorino e avventurarmi da solo al beach break più vicino, attraversando il dedalo di stradine che passano
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attraverso la giungla per arrivare fino al mare. Una cosa normalissima che in luoghi civilizzati come Bali avrò fatto mille volte senza problemi. In questo caso però, la scarsa familiarità con il posto e il non aver calcolato bene i tempi necessari per tornare alla base mi hanno giocato un brutto scherzo. Sulla strada del ritorno mi ritrovo in un labirinto di sentieri tutti simili che si incrociano nella giungla e dopo aver vagato per più di un’ora finisco per perdere la bussola. Ma è solo quando il sole è completamente tramontato che mi rendo conto di avere il faro del motorino fuori uso e senza nemmeno accorgermene mi ritrovo disperso
nella giungla di Sumatra, completamente al buio e senza avere la minima idea di cosa fare né dove andare. Intorno a me nessun segno di anima viva, nessun rumore che mi potesse fornire qualche indizio, soltanto il buio pesto e l’impossibilità di muovermi anche solo di un metro. Resto immobile per più di un’ora finché in lontananza riesco a scorgere il ronzio di un motorino e poi un flebile bagliore che diventa sempre più intenso e si fa spazio tra la vegetazione. E’ solo per una gran botta di fortuna che quel ragazzo venisse verso di me, se non fosse passato per la mia strada probabilmente sarei rimasto nella giun-
gla in preda delle zanzare e di chissà qualche altro animale per tutta la notte. In qualche modo riesco a farmi capire e spiegare al ragazzo dove devo andare e lui, un perfetto sconosciuto armato di machete, mi guida fino al resort facendomi strada con la sua luce. La nostra esplorazione dura solo quattro giorni che sembrano molti di più, completamente disconnessi dal mondo circostante e totalmente immersi in questo nuovo piccolo universo di onde deserte in cui condividiamo in solitudine tubi profondi e carvate su pareti cristalline, cibandoci esclusivamente di riso e pesce finché il richiamo della civiltà ci riporta su que-
sta terra. E’ incredibile come, a differenza di Nias e Mentawai, da anni ormai sotto i riflettori e capaci di attrarre orde massicce di surfisti, solo poche centinaia di chilometri più a sud questa zona dell’isola sia invece rimasta intatta e selvaggia e ancora in gran parte al di fuori delle pianificazioni di coloro che viaggiano in cerca di onde. Ma è proprio in questo piccolo paradiso, quando pensi che nel mondo non sia più possibile surfare un’onda in pace, che ti rendi conto che esistono ancora angoli dell’Indonesia dove è possibile ritrovare la speranza e lo spirito più puro del surf.
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La fotografia e il surf come mezzo per oltrepassare i limiti dell’ordinario e spingersi sempre un pò più in là, e poi ancora un altro pò, dove la realtà incomincia ad offuscarsi. Questo rappresenta per Roberto Apuzzo, surfista e fotografo dell’Adriatico, l’unione delle sue più grandi passioni. “Gli unici limiti in questi due mondi sono quelli che noi stessi vi poniamo. Cogliere questa immensa libertà in una fotografia è una ricerca senza fine. Una buona foto è rara quanto una buona onda, bisogna sapere aspettare per coglierla. Vedere alcune immagini di surf mi fa rizzare i peli nelle braccia anche solo a riviverle col pensiero. Nei nostri giorni stiamo vivendo una rivoluzione sociale dell’apparenza, che ci piaccia o no siamo sempre più legati all’immagine. A partire dal lavoro, fino alle nostre passioni, siamo impazienti di vedere o mostrare qualcosa di nuovo, siamo ghiotti di immagini. Siamo cambiati al punto che mostriamo perfino i nostri ricordi più cari di famiglia, prima gelosamente custoditi in un album privato dentro casa e ora dati in pasto alla piazza del web, sui social, sullo schermo nelle tasche di qualche sconosciuto. Saturato e assuefatto il nostro occhio è sempre più esigente, richiede di più per essere soddisfatto, spostando i limiti della fotografia sempre più avanti. Ormai le belle foto sono ovunque e spesso passano inosservate tra le tante immagini bellissime che ci circondano. Non sono più sufficienti da sole a lasciare un segno. A noi non resta che continuare a consumarle attendendo quella giusta, quella che non si dimentica, quella che si racconta a parole agli amici e che ci permette di fantasticare ancora una volta e sognare ad occhi aperti. Personalmente sono un feticista dell’immagine e mi trovo perfettamente a mio agio in questa rivoluzione, ne sono tremendamente attratto e spaventato al tempo stesso. Probabilmente è proprio questo che mi piace, il non avere il totale controllo di quello che sta accadendo, averne solo una parte, lasciarsi trasportare per sentire l’armonia, esattamente come su un’onda.”
Qualsiasi cosa arrivi a E-Bay è portata necessariamente a rallentare. In quest’ isola paradisiaca si è come all’interno di una bolla che non si è mai mescolata ai ritmi della terraferma. Non c’è elettricità corrente, solo generatori notturni perché durante il giorno è troppo caldo, niente negozi, niente strade, solo sentieri, nien-
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te internet né telefonini, solo chiacchiere con chi si ha accanto, niente auto, si cammina solo a piedi lungo stretti sentieri. Potrei dire con certezza che la cosa più veloce dell’isola sia la sezione dell’onda di E-bay quando passa dietro le due rocce, seconda solo ai proiettili dei cacciatori quando vanno a caccia.
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Ciclicamente arriva sempre qualche novità più piccola e potente ad un prezzo sempre più basso. Nella fotografia e nel video l’avvento delle “action camera” ha rivoluzionato completamente il punto di vista degli sport estremi, mostrandoci nelle riviste e nel web tonnellate di materiale con inquadrature impensabili da realizzare fino a qualche tempo fa. Se prima per scattare immagini come questa era indispensabile un pesante e ingombrante scafandro, ora sarebbe sufficiente qualche leggerissimo centimetro cubo di tecnologia nella tasca dei nostri short’s per ottenere risultati pressoché identici. Quello che ancora manca realmente, e che crea il
vero gap tra amatoriale e professionale è la gestione manuale del setting camera, senza il quale è praticamente impossibile gestire velocemente situazioni luminose critiche. Nello specifico del surf, sono frequenti le situazioni luminose che mandano spesso in tilt i software automatici di esposizione delle miracolose mini camere, rendendole veramente competitive praticamente solo in condizioni di luce ottimale. Io per il momento preferisco ancora lo scafandro con la digitale e le pinne ai piedi. Adoro puntare la lente dritta, tra soggetto, onda e sole in pieno controluce. Nessuno potrà mai realmente sapere che cosa ne verrà fuori.
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Seppure non sia il mio posto preferito dell’Indonesia per via dell’eccessivo affollamento, Bali rimane sempre una meta favolosa. E’ un’isola costellata di break perfetti e la sensazione di essere in uno dei punti più caldi della storia dell’evoluzione del surf la rende ancora più affascinante.
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Surfonomics. Con questo neologismo si calcola il valore dell’impatto economico, di un’onda e della sua attività surfistica, che si produce all’interno di una specifica comunità costiera. Quanto vale un’onda top quality che attira turisti e surfisti da tutto il mondo come Coxo? Non saprei dirvelo, ma di sicuro abbastanza per fare decidere alla comunità di Ericeira di interpellare un’ associazione americana per istituire una World Surfing Reserve in tutta la sua area. Finalmente qui, la costa, gli spot e l’habitat marino saranno preservati per sempre come parco naturale nazionale. Prepariamoci ad un nuovo concetto di futuro globale, in cui la salvaguardia della natura e del suo habitat non sia considerata solo come un dovere dell’uomo verso la terra che lo ospita, ma soprattutto come un mercato economico da proteggere.
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L’Indonesia è uno dei pochissimi posti al mondo in cui la scomodità del viaggio è direttamente proporzionale alla qualità delle onde, più i viaggi sono stretti e più i tubi dopo sono larghi.
Tutte le volte che arrivo a Bali la prima cosa che faccio è affittare un motorino per schizzare subito via a vedere Il Bukit, immediatamente dopo mi maledico all’istante per essere tornato in questo dannato traffico del cazzo, mi chiedo come fa tutta questa gente a tornare sempre qui. Poi appena arrivo mi affaccio e guardo dal vivo, capisco ancora tutto, ancora una volta…
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HT’s vuota si può vedere raramente ormai. Il grande mercato turistico dei boat trips è sempre più in espansione, lasciando diventare la ricerca di onde perfette e lineup solitarie sempre più uno spot pubblicitario che non una vera possibilità. Riempiono di immondizia i villaggi dei pescatori, che oltretutto non guadagnano nulla da questo business, se non qualche rupia per ogni sacco di spazzatura smaltito nella
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vergine giungla tropicale. Rendono “ciopposa” la glassy lineup di questo gioiello della natura e saturano il picco di gas di scarico dei motori con il via vai delle numerose barche. 8-10 piedi solidi sul “sirurgic table” (il super bank di coralli affilati che disegna quest’onda) sono una di quelle poche ragioni che spinge i comandanti a portare le loro barche in altri spot, dove i loro clienti possano sopravvivere.
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Potrei stare delle giornate intere ad ammirare gli spot mentre frangono alla perfezione, perdo sempre un sacco di tempo per cercare di vedere quella più grande, più liscia, più aperta, più perfetta… Guardare il mare in questi momenti precisi non è solo esteticamente appagante per i nostri occhi, in una manciata di secondi si consuma alla perfezione l’apice di un lungo ciclo della natura. Bassa pressione, direzione della mareggiata, tempo di percorrenza, vecchia mareggiata residua, vento sulla costa, luna, maree, luce del sole, alba, tramonto ecc. ecc.
Più momenti come questi incontro, e più mi rendo conto di quanto siano rari. Se all’interno del ciclo anche uno solo dei tanti fattori in gioco termina di essere in armonia con tutti gli altri, l’equilibrio si interrompe e smette di creare la perfezione. Ma non questa volta, questo momento era a tal punto giusto che non si poteva fare altro che coglierlo.
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RUSSIA’S WILDERNESS Foto Tatiana Elisarieva, Andrey Artukhov, Konstantin Kokorev Su racconto di Sergey Rasshivaev
Nella continua e incessante esplorazione degli angoli del globo alla ricerca di onde vergini, pochi surfisti al mondo si sono spinti nelle estremità più settentrionali fino al Mar Glaciale Artico. Konstantin Kokorev, Sergey Rasshivaev e Nikolay Rahmatov si sono avventurati nella regione del Murmansk, uno dei territori più inospitali al mondo, affrontando le diverse difficoltà legate al clima e all’ambiente circostante, animati da un solo scopo e spinti dall’innato desiderio di esplorazione insito nell’animo di ogni surfista.
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L’idea di intraprendere questo progetto si è alimentato nella nostra testa per anni. Esplorare e documentare le regioni vergini della nostra terra. Creare video è la parte migliore del surfing e noi amiamo veramente tanto farlo. In particolar modo filmare la comunità e gli spot della nostra terra russa. Abbiamo sviluppato l’idea insieme: io, mia moglie Tatiana e Konstantin. L’unico problema nel metterla in pratica era rappresentato dai soldi e ci siamo messi in moto per cercare dei finanziamenti. Abbiamo aspettato un po’, ma dopo qualche anno abbiamo deciso di partire senza alcun supporto.
dell’aria che arriva fino a -20, il trucco sta nel cambiarsi la muta il più velocemente possibile e portarsi sempre dietro un thermos di thè caldo.
Abbiamo viaggiato lungo l’artico per un anno e a più riprese. Sono stati necessari circa sei trips in differenti periodi dell’anno e, successivamente, alcuni mesi per la post produzione. Abbiamo dovuto affrontare molti inconvenienti e difficoltà durante ogni viaggio. Se non ci siamo preparati fisicamente prima di partire è solo grazie al tanto allenamento e surf praticato in altre regioni fredde come il Kamchatka. In verità, tutto è stato un problema. Strade dissestate, cattivo tempo, condizioni per il surf molto difficili e nessun aiuto in caso di necessità. C’era sempre un rischio, questo è stato ciò che ha reso questi trips e il documentario così speciali. Nell’ultimo trip che abbiamo fatto siamo stati colti da una tempesta fortissima e abbiamo guidato in mezzo alla neve fittissima sulla via di ritorno verso casa. In alcuni posti c’era così tanta neve accumulata sulla strada da essere più alta della macchina. È stato difficile rientrare. L’Artico non voleva lasciarci.
Abbiamo incontrato altre persone durante le nostre missioni, gente locale a cui per lo più non importava più di tanto di noi. La maggior parte di loro non parla molto, ma se hai la possibilità di mostrare loro che sei una brava persona diventano molto simpatici e aperti. Adesso abbiamo molti amici la.
Eravamo ben equipaggiati. Le nostre tavole erano quelle regolari, mute da 6 mm, calzari e guanti da 7mm e molto altro abbigliamento caldo. Per documentare la nostra avventura avevamo a disposizione red camera, droni, GoPro, attrezzatura per il freediving, fotocamere, tavole e abbigliamento per lo snowboarding. Il nostro VW Amarok era letteralmente strapieno.
Nella realizzazione del documentario abbiamo cercato di creare qualcosa di coinvolgente che potesse fare da degno supporto alle immagini. Il suono in questi luoghi è potente, puro e romantico. Come in ogni luogo nordico. Ma c’è qualcosa anche dei tempi antichi. Il mio amico Kostantin lavorando sul video ha provato a realizzare molte riproduzioni sonore perché volevamo portarvi più profondamente all’interno di questa avventura. Fare surf in luoghi remoti come questi è difficile ma credo che per chi si occupa di fare riprese e foto sia perfino più dura di chi sta in acqua. Mani, piedi e viso sono sempre molto esposti al freddo. Le batterie si scaricano molto velocemente, così non si ha molto tempo per lavorare. La sensazione che si vive in un luogo freddo e remoto è veramente meravigliosa. Noi siamo diventati dipendenti da questi posti desolati e dalla loro bellezza prepotente. Ci ripuliscono la mente.
Agli occhi di tanti, queste regioni possono sembrare estremamente inospitali. Per noi è la sensazione magica di fare surf a casa. E’ magico quando sai di farlo nel tuo paese di appartenenza. Questa è la parte più affascinante del fare surf in Russia. In realtà la temperatura dell’acqua non è così proibitiva e si aggira intorno ai 4 gradi, è la temperatura
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“Agli occhi di tanti, queste regioni possono sembrare estremamente inospitali. Per noi è la sensazione magica di fare surf a casa.”
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“Il suono in questi luoghi è potente, puro e romantico. Come in ogni luogo nordico.”
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“Strade dissestate, cattivo tempo, condizioni per il surf molto difficili e nessun aiuto in caso di necessità. C’era sempre un rischio, questo è stato ciò che ha reso questi trips e il documentario così speciali.”
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“La sensazione che si vive in un luogo freddo e remoto è veramente meravigliosa. Noi siamo diventati dipendenti da questi posti desolati e dalla loro bellezza prepotente. Ci ripuliscono la mente.â€?
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GUARDA IL VIDEO DI QUESTA SPLENDIDA AVVENTURA
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1. ZIO BAFFA Vino Organico Prosecco DOC, Rosso, Pinot Grigio da Euro 9,50 | 2. O’NEILL Superfreak Front Zip 5/4 Euro 239,95 | 3. QUIKSILVER The Indigo Check Camicia a maniche lunghe Euro 85,95 | 4. PATAGONIA M’s Down Snap T Pullover Euro 250,00 | 5. ROXY Skin in Lov Euro 49,95 | 6 KRYPTONICS TOrpedo Flag 22.5’’ 63,50 | 7. X Surfboards Speed Metal small waves board Epoxy Euro 590
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Siamo arrivati all’ultima pagina di Damp, per salutarti abbiamo chiesto a @_Juell di rappresentare quello che è il nostro chiodo fisso e questo è quello che l’artista ha creato. Noi lo intitoleremmo “Le onde nel cervello” oppure “Triple Overhead”, in ogni caso ci ha preso in pieno, che dici? Se ti piace, puoi ritagliare la pagina e farci un quadretto per averlo sempre sott’occhio, oppure seguire @_Juell sul suo profilo instagram per ammirare altre opere come questa. Un’ultima cosa prima di salutarti, da adesso per un pò non ci vedremo più ma non farti prendere dall’ansia, seguici sul sito www.dampmag.com e su instagram @dampmagazine e cerca di non stare mai troppo all’asciutto. #STAYDAMP
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terza di copertina interno
Un Bagaglio di Possibilità I nostri valori riflettono quelli di uno stile essenziale, nella vita e in azienda: l’approccio di Patagonia al design dei prodotti dimostra una netta inclinazione verso la semplicità e la funzionalità. Non fa eccezione il nuovo Black Hole Duffel, il compagno perfetto per i weekend fuori porta e indispensabile porta tutto per le attività outdoor. Scopri la “GO Guide” per trovare la borsa Black Hole giusta per la tua prossima avventura: patagonia.com/blackhole #PackedToGo
© Richard Hallman, 2016 Patagonia Inc.
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