Design e nuovo artigianato

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Daniela Arienti

Dalle botteghe alla produzione industriale e ritorno, con il nuovo artigianato e il movimento dei maker


Una nota sul testo Avenir utilizzato nei pesi Light, Medium, Heavy e nelle relative versioni italiche; Oswald utilizzato nei pesi Regular e Light. Carta utilizzata: carta uso mano 90gr Stampato nell’anno 2015


Daniela Arienti

Design e nuovo artigianato DALLE BOTTEGHE ALLA PRODUZIONE INDUSTRIALE E RITORNO, CON IL NUOVO ARTIGIANATO E IL MOVIMENTO DEI MAKER

Elaborato di Laurea Corso di Design della Comunicazione Politecnico di Milano, Scuola del Design a.a. 2014/2015 Sezione C1 Relatore: Francesco E. Guida


Indice

Introduzione

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Approfondimento teorico: Design e nuovo artigianato

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0 . Premessa

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1 . Cenni storici

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2 . Quando designer e artigiani collaborano

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3.1 . Un esempio italiano: la bottega di Giovanni Sacchi

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3.2 . Il designer non è solo un progettista,

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l’artigiano non lavora solo in piccole imprese

3 . Il nuovo artigiano

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4 . Rete globale e democratizzazione della conoscenza

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5 . Crowdfunding

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5.1 . Pebble, lo smartwatch da record

6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker

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6.1 . Fab Lab

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6.2 . Incontriamo un maker italiano: intervista

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a Giorgio Pometti

7. La Nuova Rivoluzione Industriale 8 . Designer + Maker 9 . Conclusione Progetto di Sintesi finale: Yangcu

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0 . Premessa

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1 . Montagnard-Degar 2 . Progetto Yangcu

2.1 . Cos’è una cultura?

2.2 . Naming

3 . Concept


4 . Elementi di base

4.1 . I simboli

4.2 . Le fasce

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5 . Marchio e declinazioni 6 . Palette cromatica 7 . Tipografia 8 . Pay off 9 . Trattamento delle immagini 10 . Materiali 11 . Raccontare il progetto 12 . Prototipo in Processing 13 . Coordinato di base 14 . Applicazioni

14.1 . Yangcu Café

14.2 . Sfilate di moda

14.3 . Shop online

Estensione progettuale: YangcuPrinter

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0 . Premessa

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1 . Cos’è YangcuPrinter 2 . Come si usa 3 . Come è fatta 4 . Come funziona 5 . Generative design 6 . Conclusione Ringraziamenti Bibliografia



Introduzione

Questo elaborato di laurea introduce e approfondisce i temi del nuovo artigianato e del movimento dei maker, racconta il progetto sviluppato all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale e in conclusione descrive la mia estensione progettuale. Il libro si apre con una ricerca teorica personale in merito al nuovo artigianato, al movimento dei maker, e alle opportunità per i designer in questi due nuovi campi in così forte crescita. Questo ci introduce alla seconda parte, dove si descrive il progetto di gruppo realizzato nel primo semestre, il progetto Yangcu. Questo consiste nel branding e nella costruzione di una identità visiva flessibile di una nazione, tramite l’approccio del generative design. In particolare, ci siamo occupati dei Montagnard-Degar, un popolo risiedente nell’altopiano del Vietnam, senza nazione ma con una ricca e preponderante cultura dell’artigianato tessile. Infine l’ultima parte descrive la mia estensione progettuale, che nasce dalle riflessioni fatte durante il lavoro precedente.



Approfondimento teorico

Design e nuovo artigianato

DALLE BOTTEGHE ALLA PRODUZIONE INDUSTRIALE E RITORNO, CON IL NUOVO ARTIGIANATO E IL MOVIMENTO DEI MAKER


Design e nuovo artigianato

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0 . Premessa ELABORATO DI LAUREA

Il progetto è stato sviluppato all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale, e consiste nella realizzazione di una identità visiva flessibile di una nazione, facendo anche uso del generative design. Nel caso specifico, si tratta di una nazione senza nazione, ovvero non riconosciuta legalmente e territorialmente, ma a cui uno o più popoli sentono effettivamente di appartenere. In particolare, il mio gruppo ed io ci siamo occupati dei Montagnard-Degar, un popolo tribale del Vietnam che ha una ricca e preoponderante cultura dell’artigianato tessile.

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1 . Cenni storici QUANDO NASCE LA FIGURA DEL DESIGNER La figura professionale del designer nasce in tempi quasi recenti. I due fattori chiave, che portarono a questa svolta, furono le evoluzioni delle tecniche di stampa e l’avvento della produzione di massa. Il primo andò ad influire chiaramente sulla grafica, il secondo anche sulla produzione di artefatti fisici. Verso la fine dell’800, il boom economico e demografico dovuto al benessere portato dalla seconda rivoluzione industriale, portò ad un maggiore interesse, da parte sia delle istituizioni che dei cittadini che dei nuovi protagonisti di questa rinascita economica, nei confronti della carta stampata e, di conseguenza, delle tecniche di stampa. Proprio grazie a questo nuovo interesse, l’innovazione tecnologica in questo campo trovò terreno fertile.

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1 . Cenni storici

Nelle immagini, tre poster che ripercorrono l’evoluzione delle tecniche di stampa dalla fine del diciannovesimo secolo all’inizio del ventesimo. Troviamo in ordine: ‘Artiside Bruant dans son cabaret’, di H. de Toulouse-Lautrec, 1893; ‘La Loie Fuller’, di Jules Chéret, 1893; ‘Job’, poster della pubblicità delle sigarette Job, di Alphonse Mucha, 1898.

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Quando la produzione divenne di massa, o comunque in serie, le competenze necessarie alla produzione di determinati artefatti, che rientravano sotto la categoria delle arti grafiche, diventavano molteplici. All’artista, o al grafico, non venne più chiesto semplicemente di realizzare un bel disegno con belle scritte, ma di progettarlo in funzione dei mezzi a disposizione e in modo da essere sia facilmente riproducibile che efficace1. Fu in questo momento storico che iniziò a farsi strada la figura del designer grafico, un individuo con competenze artistiche ma anche, e soprattutto, progettuali. Ma il design non riguarda certamente solo la grafica, abbraccia numerosi altri campi, come il design del prodotto. Prima della seconda rivoluzione industriale, la produzione di oggetti o di artefatti artistici era una prerogativa dell’artigiano, una figura professionale di rilievo, in quanto dotata di profonde conoscenze e grandi doti manuali nel suo campo specifico. Solitamente lavorava in una bottega, dove l’artigiano più anziano tramandava le proprie conoscenze tecniche e artistiche ai suoi apprendisti affinché imparassero, e tramandassero a loro volta, l’esperienza acquisita in una vita di lavoro. Questo meccanismo venne messo a dura prova con l’avvento della produzione industriale, che come sappiamo permise di produrre grandi quantità di oggetti e/o materiali più velocemente e a prezzo inferiore rispetto ad una bottega. Il passaggio da artigianato e industria non sempre è stato netto, come nel caso della diffusione della spinning jenny2.

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1. Il fatto che il numero di poster, libri e giornali era aumentato considerevolmente, rendeva più serrata la competizione tra chi li pubblicava. Per questo divenne importante che le proprie grafiche si distinguessero dalle altre, per emergere dalla massa.


1 . Cenni storici

2. Spinning jenny è una macchina filatrice a lavoro intermittente e dotata di fusi (mandrini) multipli, inventata attorno al 1765 da Thomas Highs.

Dapprima venne utilizzata dai singoli artigiani per aumentare il proprio rendimento, poi venne fornita dalle industrie agli artigiani ma perché lavorassero per esse (cottage industry) e infine venne migliorata, automatizzata e aumentata di scala per poter essere utilizzata da pochi operai in fabbriche per la produzione di massa. Il concetto della catena di montaggio e della divisione delle mansioni permise alle industrie di assumere personale meno qualificato ma più specializzato, sacrificando l’elasticità mentale di un artigiano a favore di una maggiore efficienza e redditività. Ancora una volta è qui che entra il gioco il progettista, che riesce a dare valore al prodotto pur non costruendolo direttamente, ma progettandolo e demandando poi il processo di realizzazione agli operai o alle macchine.

A destra, un contenitore progettato nel 1898 da Henry Van de Velde per la Tropon.

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2 . Quando designer e artigiani collaborano Eppure l’artigianato non è mai sparito. Nonostante la competitività dell’oggetto prodotto in serie, il prodotto artigianale conserva sempre il suo fascino, ma soprattutto ha il vantaggio di essere fatto su misura e da mani esperte. Ecco perché l’artigianato ha trovato posto anche nell’industria, ed in particolare in quella del lusso, dove il prezzo non era un problema. E dove c’è il lusso, spesso, c’è anche più attenzione al design.

Un esempio italiano: la bottega di Giovanni Sacchi Giovanni Sacchi era un artigiano di Sesto San Giovanni, ma la sua attività si svolgeva a Milano, in via Sirtori. Era lì che andavano a trovarlo architetti e designer per chiedergli i suoi famosi modelli. Giovanni Sacchi era un modellista: è stato il suo mestiere dal 1950 al 2005. Non ha mai smesso di lavorare, è stata la sua passione fino all’ultimo. Inizialmente era un modellista da fonderia, ma l’incontro con il designer Marcello Nizzoli1 segna la sua carriera, che, da quel momento in poi, lo vede legato alla grande stagione del design italiano. La collaborazione con Nizzoli, infatti, è la prima che Sacchi intraprende con un designer, e, nel caso specifico, il progetto consisteva nella realizzazione del modello in legno di una macchina da cucire.

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1. Marcello Nizzoli è stato un designer, architetto, pittore e pubblicitario italiano. La sua fama è legata principalmente all’Olivetti dove alla fine degli anni trenta iniziò a collaborare come pubblicitario e in seguito designer, realizzando tra le altre cose la famosa Lettera 22.


2 . Quando designer e artigiani collaborano

2. Grillo fu il primo telefono ad essere in plastica e con ricevitore e disco alloggiati nella stessa unità. Grazie al suo design, il Grillo rivoluzionò per sempre l’aspetto del telefono. Nell’immagine, il prototipo in legno realizzato da Giovanni Sacchi.

Fu una partenza fortunata, in quanto Nizzoli ottenne il Compasso d’oro del 1957 per quel progetto. Da allora Sacchi si dedicò con passione ai modelli di architetti e designer, non riportando semplicemente i progetti bidimensionali dei progettisti nel mondo tridimensionale in maniera pedissequa, ma capendoli e interpretandoli, mettendoci del suo, arricchendoli della sua esperienza. Un esempio: il Grillo2, disegnato da Marco Zanuso e Richard Sapper (Compasso d’oro 1967), è stato un parto complicato: quando i designer si affidano a Sacchi non hanno idee del tutto chiare e raccolgono molte delle sue indicazioni. Ma è anche per questo che il Grillo è stato un successo.

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Il passaggio da un’intuizione, o addirittura da un progetto compiuto, alla sua realizzazione tridimensionale non è né banale né indolore. Vedere un progetto tradotto nel suo modello fisico non è cosa scontata, perché la terza dimensione può riservare delle sorprese.

«Fuori da ogni lode generica, la sua grande capacità va oltre il “fare” i modelli: è il capire gli oggetti che poi, lui, con i modelli racconta... Con Sacchi si va oltre il volume: lui fa sentire cosa succede veramente, tattilmente: produce una sensazione evoluta, tanto che un suo modello può soddisfare completamente il designer. Con un modello così, in verità, non si ha quasi più voglia di fare l’oggetto»3

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2 . Quando designer e artigiani collaborano

3. Piero Polato ne Il modello nel design. La bottega di Giovanni Sacchi, Hoepli, Milano 1991, pp. 119-123.

Questo passaggio del “fare”, che dovremmo chiamare prototipazione, era ed è tutt’ora fondamentale nel processo di progettazione di un oggetto, sia questo un oggetto di design o meno. Ecco cosa ne pensa in merito Tim Brown, attuale amministratore delegato della famosa società Ideo4:

«I prototipi accelerano il processo di innovazione perché è solo quando portiamo le nostre idee nel mondo che davvero iniziamo a capire i loro punti di forza e le loro debolezze»

4. Ideo è la società che ha disegnato il mouse della Macintosh e ha progettato il computer palmare Palm.

Il modellista era sostanzialmente colui che realizzava i prototipi degli oggetti. Nell’esempio di Sacchi, che è solo uno dei tanti, troviamo che le due figure dell’artigiano e del designer non sono più del tutto separate, come se fossero idealmente la mente e il braccio, ma trovano molti punti d’incontro e sovrapposizione, che alla fine portano ad una maggiore qualità del prodotto finito. A questo punto è logico chiedersi: un designer non può diventare anche lui un po’ artigiano? E un artigiano può essere anche un designer? Oggi Tim Brown sostiene che per pensare in termini di design (design thinking) è necessario superare la postura convenzionale di chi immagina oggetti: bisogna imparare facendo (learning by making). In altre parole, bisogna costruire per pensare meglio.

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Il designer non è solo un progettista, l’artigiano non lavora solo in piccole imprese A questo punto conviene fare un passo indietro e distinguere bene chi è il designer e chi è l’artigiano. La definizione di designer non è semplice, e il fatto che esistono innumerevoli campi in cui può andare ad operare non semplifica la cosa. Definirlo progettista è riduttivo, definirlo artista è fuorviante. Dire che sta a cavallo fra queste due figure si avvicina all’idea, ma è ancora troppo vago. La definizione che riassume meglio il concetto, secondo il mio modesto parere, è la seguente:

«Forse la definizione più semplice di designer è questa: il designer è un traduttore. Si mette sempre in mezzo a due entità. Si mette tra azienda e mercato, si mette tra produzione e marketing aziendale, si mette tra oggetto e utente, si mette tra idea e macchina, tra sogno e realtà, e viceversa. Usando la filosofia, il designer è un demiurgo mediatore tra anima e materia»5 Con questo non voglio sostenere che il designer ha in sé una componente divina, ben lungi da me, ma il concetto di mediatore tra anima e materia è azzeccato, oltre che poetico. Azzeccato perché, per esempio, cos’è progettare l’identità visiva di una azienda, o di un ente, o di una nazione, se non rendere tangibile la sua “anima”? E per renderla tale non basta capirla o averla in mente, ma serve saperla tradurre in modo che sia comprensibile anche all’utente finale. Tradurla significa ideare

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5. Così scrive Alessandro Barison, illustratore e animation designer, sul blog abitudinicreative.


2 . Quando designer e artigiani collaborano

un linguaggio proprio di segni e di immagini che, esattamente come una lingua scritta, ha un proprio lessico e una propria sintassi. Un linguaggio che sia comprensibile all’utente finale. Se poi si parla di design generativo si parla di sistemi che permettono di generare sempre nuove frasi e nuovi concetti utilizzando la stessa lingua.

6. Stefano Micelli è direttore della Venice International University, e nel 2014 vince il Compasso d’oro per il suo libro Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani.

Solo apparentemente, può apparire più semplice il significato del termine artigiano. Il dizionario Treccani recita così: “chi esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni, tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti, senza lavorazione in serie, svolta generalmente in una bottega”. Ritengo che Stefano Micelli6, autore del libro Futuro artigiano. L’innovazione nelle mani degli italiani, trovi questa definizione sia troppo restrittiva che miope. Collegare così strettamente la definizione di artigiano con il concetto di piccola impresa è una peculiarità tutta italiana che confonde e non ci permette di cogliere il valore che ha il lavoro artigiano nelle imprese di maggiori dimensioni. Riporto un passo significativo del libro Micelli: “Negli Stati Uniti, chi sostiene la causa del lavoro artigiano punta a rivalutare uno specifico modo di lavorare e di essere imprenditore; nel nostro paese chi difende l’artigiano difende l’imprese di piccole dimensioni prima di tutto contro lo strapotere politico delle grandi. Questa attenzione alle dimensioni ci ha fatto dimenticare l’aspetto qualitativo dell’artigianato come modo di essere imprenditore e di lavorare nelle imprese.” Semplicemente, lavoro artigiano e piccola impresa sono soggetti diversi.

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Anche le diverse declinazioni che il termine “artigianale” può assumere nella lingua italiana possono fuorviare. Un gelato “artigianale” è quello fatto con ingredienti naturali, e quindi presumibilmente di maggiore qualità, mentre se è una bomba ad essere artigianale sta a significare che è stata fatta in casa e, probabilmente, male. Quindi non sempre “artigianale” rimanda al concetto di “fatto ad arte” ma anche al “fatto in maniera rudimentale”. È chiaro che vi è un po’ di confusione. Secondo Richard Sennett, autore de L’uomo artigiano, quest’ultimo è colui che ama il lavoro fatto a regola d’arte, che si impegna nella realizzazione di uno standard superiore e che ha la possibilità di ribadire con orgoglio la qualità del suo lavoro. In questa logica, anche uno sviluppatore informatico è di per sé un artigiano. La realizzazione di un software è un lavoro che va fatto su misura e che richiede tempo e competenze specifiche, proprio come la realizzazione di un abito o di un motore di una macchina. Ancora oggi troppo spesso le competenze del saper realizzare qualcosa al computer (sia esso un software, un disegno, o un modello 3D) vengono sminuite da chi crede che “faccia tutto il computer”, senza capire che quest’ultimo, per quanto avanzato e versatile, non è altro che uno strumento. Come tale, può produrre risultati di tipo e qualità molto diversa in base all’abilità di chi lo usa.

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A destra, vengono accostate l’immagine delle mani di un artigiano intento a tagliare un modello, e l’immagine delle mani di un programmatore che digita sulla tastiera.


2 . Quando designer e artigiani collaborano

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3 . Il nuovo artigiano

Da qualche decennio, la professione dell’artigiano “tradizionale” pare non fornire alcuna attrattiva per i giovani. Viene visto come una sorta di ripiego in quanto il lavoro manuale viene spesso considerato molto meno gratificante del lavoro di pensiero, e pure meno redditizio. Questo è un peccato, perché troppe volte viene sottovalutato il valore del saper “fare le cose”. In un mondo sempre più pieno di oggetti e servizi che diamo sempre più per scontati, il saper costruire qualcosa ci permette di riappropriarci di una consapevolezza maggiore del mondo che ci circonda. Conoscere come sono fatte le cose aumenta il nostro potere di controllo e può dare molte soddisfazioni1. Detto questo, voglio specificare che nelle mie parole non vi è alcuna nostalgia per il vecchio concetto di artigiano da bottega, troppo legato alle proprie tradizioni per poter accettare che qualcosa di moderno “interferisca” con il suo lavoro. Il mondo si evolve in continuazione, e con esso anche la professione dell’artigiano, che non può sottrarsi a questo processo e deve sfruttare tutti i nuovi strumenti e le nuove possibilità che ha oggi a disposizione. In quest’ottica, negli ultimi anni si è cominciato a parlare di nuovo artigianato. Ma quali sono le sostanziali differenze dall’artigianato così detto tradizionale? Quando vi è stato questo passaggio? Da cosa è stato reso possibile?

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1. Emblematica la storia di Matthew Crawford: lascia il suo sicuro posto di lavoro come direttore di un noto think tank americano, a Washington, per aprire un’officina specializzata nella riparazione di moto, a Richmond in Virginia: la Shockoe Moto. Ciò che rende interessante la sua scelta è la soddisfazione che trae dal suo lavoro, considerandolo più stimolante ed impegnativo dal punto di vista intellettuale di tanti altri mestieri “concettuali” con cui si è confrontato.


3 . Il nuovo artigiano

In alto, Matthew Crawford nella sua officina Shockoe Moto. A destra, il libro che ha scritto appoggiato su un banco da lavoro.

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artigiano

nuovo artigiano nuovi strumenti

In alto, un diagramma di Venn che mostra come il nuovo artigiano sia un artigiano con accesso a nuovi strumenti e che al contempo condivide la propria esperienza con quella degli altri.

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condivisione esperienza


3 . Il nuovo artigiano

In basso, Max Bogue alle prese con la sua invenzione, la 3doodler, la prima stampante 3D a penna, che permette il disegno 3D a mano libera. Viene inventata all’Artisan’s Asylum, un makerspace del Massachusetts, ed è potuta entrare in produzione grazie ad una campagna di crowdfunding. È un magnifico strumento per molti creativi.

Oggi il nuovo artigiano ha accesso ad internet e sa come usarlo per sfruttarne le potenzialità. Se ha un’idea ambiziosa e non sa esattamente come realizzarla può chiedere aiuto alle community, e se non ha i fondi necessari a realizzarla può ricorrere al crowdfunding. Il nuovo artigiano può produrre localmente, nella sua officina o nel suo garage, ma il suo mercato è globale. Il nuovo artigiano ha a disposizione strumenti, macchinari e tecnologie che prima non esistevano o che, più banalmente, prima non si poteva permettere.

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4 . Rete globale e democratizzazione della conoscenza Non sappiamo se nel 1455, quando un ingegnoso orafo di nome Johannes Gutemberg1 inventò la tecnica di stampa a caratteri mobili, egli capì la vera portata della sua invenzione. Quello che è certo è che l’opportunità di non dover più scrivere i libri a mano ma di poterli stampare in serie (anche se limitate) portò, nei seguenti quattro secoli, ad una crescita esponenziale nella produzione di libri stampati. Questo ebbe, nel lungo periodo, un fortissimo impatto sociale, in quanto rendeva la cultura più accessibile, non più un privilegio di pochi.

1. Johannes Gutemberg (Magonza, 1394-1399 circa - Magonza, 1468) era un orafo, e quindi artigiano, che nel suo tempo libero decise di inventare qualcosa di cui secondo lui c’era bisogno, e la costruì. Questo potrebbe renderlo un antenato dei makers.

Libri stampati in Europa dal 1450 al 1800 ca.

Numero di copie

1000M 800M 600M 400M 200M

XV

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XVI

Secolo

XVII

XVIII


4 . Rete globale e democratizzazione della conoscenza

2. In realtà la possibilità di accedere ad internet in qualsiasi momento non è scontata neanche oggi: noi occidentali abbiamo la tendenza ad avere una visione del mondo eurocentrica (o americocentrica) che ci fa dimenticare l’importanza del digital divide nel mondo intero.

Quello fu il primo passo verso la democratizzazione della conoscenza, ma la svolta epocale fu quello della diffusione di internet. Oggi se non sappiamo cosa significa una sigla, o non conosciamo la data di un avvenimento storico, oppure vogliamo imparare a cucinare una torta sacher, la prima cosa che facciamo è cercare su internet, e ci sembra la cosa più normale del mondo2. Ma fino a pochi decenni fa non era così, e questa non è affatto una cosa scontata. Ovviamente non sempre quello che si trova su internet è affidabile, come ci ricorda pure un cultore del web come Dan Gillmor, direttore del Knight Center for Digital Media Entrepreneurship:

«Wikipedia è probabilmente il posto migliore dove cominciare una ricerca e quello peggiore dove finirla» Ma è questo il punto: l’istruzione non deve più essere un dogma calato dall’alto, ma un processo da compiere assieme. Ecco dove sta il valore delle community, insiemi di persone interessate ad uno o più argomenti specifici e che si scambiano domande, opinioni e risposte in merito. Questo mutuo scambio di conoscenze fra membri della community innesca un processo virtuoso, dove l’esperienza del singolo è amplificata dall’esperienza della comunità e viceversa. Un altro aspetto positivo, è che questa rete sociale che va a formarsi all’interno della community

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non ha limitazioni di provenienza geografica, età, sesso o titolo di studio: chiunque voglia condividere la propria esperienza con quella degli altri membri è ben accetto, ed è qui che sta la democrazia. E la forza della democratizzazione sta nel fatto che mette gli strumenti nelle mani di coloro che sanno usarli meglio. Ma questo non è l’unico vantaggio della rete globale. Attraverso la rete viaggiano semplicemente le informazioni, ma grazie ad esse anche molte altre cose possono essere “spostate”, come il denaro. Ecco che nascono gli ecommerce, ovvero i negozi online, grazie ai quali chiunque può ordinare e farsi spedire merci di tutti i tipi da tutto il mondo senza bisogno di uscire dalla propria casa. Ma non solo, grazie alla possibilità di effettuare pagamenti online nascono anche servizi di tutt’altro tipo, basti pensare al fenomeno del crowdfunding.

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4 . Rete globale e democratizzazione della conoscenza

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5 . Crowdfunding

Prima di internet, ma anche fino a non molti anni fa, se volevi iniziare a produrre e vendere un tuo prodotto innovativo, potevi farlo solo con grandi investimenti iniziali o facendo affidamento alle grandi aziende. Oggi questo non è più un passaggio obbligato. Se non si ha i fondi necessari e non si vuole vedere la propria idea a terzi che hanno già i mezzi, esiste una nuova soluzione: il crowdfunding. Quando si tratta di progetti innovativi, il crowdfunding può essere una soluzione vincente: consiste in un finanziamento collettivo, dove gli investitori investono tendenzialmente piccole cifre, ma sono numerosi e sono anche i potenziali clienti del progetto che finanziano. Tutto questo è reso possibile da siti come Kickstarter1, un sito web dove ogni iscritto può proporre il suo progetto al popolo della rete nella speranza di trovare numerosi sostenitori.

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1. Kickstarter è un sito web di crowdfunding per progetti creativi, è stato lanciato il 28 aprile 2009 da Perry Chen, Yancey Strickler e Charles Adler, e il Time lo nominò una delle Migliori invenzioni del 2010 e Miglior sito web del 2011.


5 . Crowdfunding

Questa operazione funge anche da indagine preliminare di mercato che può proteggere l’inventore da investimenti fallimentari. Infatti, essendo che i finanziamenti partono da chi è interessato al progetto, o prodotto, se quella idea non raggiunge la cifra goal (quantità di soldi minima necessaria ad avviare il progetto) significa che probabilmente non avrà molto successo sul mercato. Il fatto di sapere questo prima di investirci ingenti quantità di denaro è molto vantaggioso, perché permette di passare velocemente ad un nuovo progetto senza gravi perdite di denaro. Può anche capitare il contrario, ovvero che non solo venga raggiunga la cifra desiderata ma che venga superata, anche rispetto all’ordine di grandezza. Il primo caso ecclatante fu quello di Pebble2.

2. Pebble è uno smartwatch e nasce come start up di Eric Migicovsky. A destra, tre modelli del primo Pebble.

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In alto, una immagine dal sito di Pebble, dove si racconta il momento in cui è stato sorpassato il record. In basso, il Pebble Team dopo l’avvio della produzione.

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5 . Crowdfunding

Pebble, lo smartwatch da record

3. Questo record è stato a sua volta battuto il 30 agosto 2014 dal versatile frigorifero portatile Coolest Cooler.

Il 12 aprile 2012, Sony ha annunciato il lancio del suo nuovo Smartwatch, uno sfizioso gadget da 150 dollari con il quale leggere testi, email e consultare i social network, tutto dal proprio polso, grazie alla connessione Bluetooth con il telefono. Eppure, pur trattandosi di una notizia che un tempo avrebbe riempito pagine di giornali, in realtà passò quasi interamente sotto silenzio. Questo perché il giorno prima, una nuova impresa costituita da un piccolo gruppo di ingegneri e di hacker hardware che lavoravano nel condominio del loro socio fondatore, in California, avevano a loro volta annunciato su Kickstarter il debutto di un orologio, che era semplicemente meglio. Inoltre veniva venduto a 115 dollari, quasi il 25% in meno del concorrente Sony. In poche parole una manciata di appassionati imprenditori aveva superato per progettazione, mercato e prezzo una delle multinazionali dell’elettronica più grandi del mondo. Ora, grazie a Kickstarter, erano pronti a batterla anche sul piano delle vendite. Il team di Pebble fissò come quota su Kickstarter la cifra di 100.000 dollari. La ottenne in sole due ore, e non si fermò. Al termine della prima settimana aveva superato il precedente record del sito, 3,34 milioni. Dopo poco più di tre settimane aveva già ottenuto 10 milioni di dollari3 di finanziamento e raccolto prevendite per 85.00 orologi.

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6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker Nel terzo capitolo di questo libro, ho accennato a strumenti, macchinari e tecnologie che prima il nuovo artigiano non si poteva permettere. A questo proposito, pochi anni fa, l’importante abbassamento del prezzo di uno strumento in particolare portò ad una svolta decisiva: sto parlando delle stampanti 3D. A tale strumento viene di consuetudine associata una tipologia particolare di nuovo artigiano: il maker. I makers costituiscono un movimento culturale contemporaneo che negli ultimi anni sembra essere entrato nel mainstream grazie anche all’attenzione mediatica riservata dalle principali testate giornalistiche mondiali e il riconoscimento da parte della Presidenza degli Stati Uniti della validità dei principi a cui si ispira, come driver per la rinascita tecnologica, economica ed industriale dei paesi occidentali. Il movimento trae le sue radici dalla cultura, prevalentemente hobbistica del fai da te (DIY) e tipicamente gli interessi dei maker spaziano da realizzazioni di tipo ingegneristico, come apparecchiature elettroniche, realizzazioni robotiche, dispositivi per la stampa 3D e apparecchi diversi a controllo numerico (CNC) ad attività più convenzionali, come la lavorazione del legno o del metallo e artigianato tradizionale. Nella cultura maker i principi dell’open source1 costituiscono un punto di riferimento molto importante.

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1. Open source (termine inglese che significa sorgente aperta), in informatica indica un software di cui i detentori dei diritti rendono pubblico il codice sorgente, favorendone il lbero studio e permettendo a programmatori indipendenti di apportarvi modifiche ed estensioni.


6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker

La Thing-O-Matic è una stampante 3D open source a prototipazione rapida prodotta dalla MakerBot Industries, una società fondata nel gennaio 2009 con l’obiettivo di portare la stampa 3D nelle case a un prezzo abbordabile, in parte anche in virtù della capacità di produrre alcuni dei suoi componenti.

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In alto, una foto della Maker Faire, l’annuale fiera dedicata ai maker indetta dalla rivista Make. In basso, sensori elettronici sfusi in vendita al Radiant and Silicon, la fiera dell’elettronica di Novegro che da quest’anno dedica un padiglione ai maker e alle stampanti 3D.

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6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker

2. Chris Anderson, giornalista e scrittore esperto di nuove tecnologie, è stato per oltre un decennio direttore di Wired USA, ed è stato nominato dal Time tra le cento persone più influenti al mondo. Cofondatore di 3D Robotics, azienda in forte crescita che si occupa di progettazione open share di droni, ha recentemente annunciato il suo addio a Wired per occuparsi esclusivamente alla sua attività di maker.

Secondo Chris Anderson2, autore del celebre libro Makers, il Movimento dei Makers condivide tre punti : 1. persone che usano strumenti digitali desktop per creare progetti per nuovi prodotti e realizzare prototipi (fai da te digitale); 2. una norma culturale che prevede di condividere i progetti e collaborare con gli altri in community online; 3. l’utilizzo di file di progetto standard che consente a chiunque, se lo desidera, di mandare i propri progetti ai server di produzione commerciale per essere realizzati in qualsiasi quantità, in modo altrettanto facile che se fossero realizzati sulla propria scrivania. Ciò riduce drasticamente il percorso dall’idea all’imprenditorialità, proprio come il web ha fatto in materia di software, informazione e contenuti. Sono convinti che l’accesso libero alle informazioni e alle tecnologie e la condivisione delle esperienze progettuali inneschi un effetto virtuoso che induce un abbassamento dei costi di ricerca e sviluppo, incrementa la comparsa sul mercato di nuovi prodotti, garantisce opportunità di mercato per giovani e start-up e favorisce in ultima analisi lo sviluppo economico globale.

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Fab Lab I Fab Lab sono un genere speciale di makerspace. Laboratori di fabbricazione digitale organizzati secondo un preciso modello definito nel 2005 dal celebre dipartimento “Bits & Atoms“, diretto da Neil Gershenfeld, del M.I.T. di Boston e codificati nella Fab Charter. Presso i Fab Lab sono presenti strumentazioni, attrezzature e macchine a controllo numerico che consentono la realizzazione di manufatti convenzionali e tecnologici attraverso tecniche di prototipazione rapida supportate dalle tecnologie digitali. Le dotazioni tipiche di un FabLab comprendono, stampanti 3D, fresatrici CNC3, tagliatrici laser, plotter da taglio CNC, laboratorio di elettronica, laboratorio di falegnameria, laboratorio di meccanica e attrezzature per la lavorazione dei metalli. Il modello Fab Lab sta avendo una rapida diffusione a livello mondiale. Tutti i Fab Lab sono collegati tra loro in una rete globale di condivisione di conoscenze ed esperienze, nel pieno spirito dei makers.

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3. CNC sta per computer numerical control.


6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker

In alto, una laser cutter che taglia una lastra di legno con precisione. A sinistra, una stampante 3D all’opera.

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Design e nuovo artigianato

Incontriamo un maker italiano: Giorgio Pomettini Giorgio Pometti ha 23 anni, vive a Roma e lavora nell’industria dei videogiochi. Passa volentieri il suo tempo libero nei Fab Lab e partecipa attivamente ad hackaton ed eventi simili dove può sbizzarrirsi con la sua passione per il making. Ho deciso quindi di intervistarlo per avere una testimonianza diretta su questo mondo del making.

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6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker

Intervista

D:

Ciao Giorgio, grazie di avermi concesso questa intervista. Come sai, in principio ti ho conosciuto come sviluppatore di videogiochi, ma poi scopro che hai anche molti atri interessi, alcuni dei quali sono partecipare attivamente ad Hackaton e frequentare FabLab. Ti consideri un maker? E perché?

G:

È una domanda difficile. Quando ho iniziato a seguire questo mondo ero ignaro che esistesse questa definizione, questo maker… il maker è un tipo di figura che di solito si aggira per i Fab Lab, sta sempre ad utilizzare macchine a cercare programmi open source su internet da costruire o a cui fornire assistenza o pre realizzarne. è una figura che è già esistita, anche prima di questo movimento c’erano persone appossionate del fai da te. Per esempio mio padre è appassionato di fai da te e mi ha costruito il tavolo della scrivania, quindi potremmo dire che anche lui è un maker. Comunque sono persone che lo fanno principalmente per hobby. In questo caso, io posso considerarmi un maker in quanto come interesse nel tempo libero mi piace fare dei progetti che non hanno a che fare con i videogiochi ma con l’internet delle cose o con i wearables device (dispositivi indossabili). Quindi da questo punto di vista mi sento molto vicino al movimento makers.

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Design e nuovo artigianato

Il ciondolo a radiofrequenza realizzato da Giorgio alla Maker Faire del 2014. Contiene un led che si illumina in sincronia con il battito cardiaco di chi lo indossa.

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6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker

D:

Hai appena 23 e hai già partecipato a numerosi progetti e realizzato diversi prototipi. Vuoi raccontarcene uno?

G:

Il progetto che ho presentato alla Maker Faire dell’anno scorso è stato un progetto che avevo in mente da tempo e che ho avuto modo di realizzare ad una settimana dalla maker faire. Si tratta sostanzialmente di un ciondolo che attraverso un collegamento tramite radiofrequenza prende dei dati sui battiti cardiaci da una fascia professionale per sportivi che legge il battito cardiaco. E quindi sostanzialmente fa vedere dei led che si illuminano in base al battito cardiaco. Quindi mostra il battito cardiaco della persona in tempo reale… questa cosa è un po’ inquietante perché se qualcuno ti dice qualcosa di imbarazzante inizia a vedersi!

D:

Nella mia ricerca descrivo come programmatori e sviluppatori possano essere identificati come artigiani del software. Credi che ci sia un collegamento fra il tuo lavoro di sviluppatore e la tua passione per il making?

G:

Io ho frequentato due fab lab in passato, quello di Roma Makers, qua a Roma, e SPQwoRk per diversi mesi, e devo dire con piacere che è stato molto interessante perché ho avuto modo di collaborare con delle persone che non erano nel settore del software, e che quindi non sapevano programmare (come per esempio elettronici o illustratori che lavoravano con

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Design e nuovo artigianato

i tessuti, o chi utilizzava strumenti come la cnc o la laser cutter) per rendere più interattivi i loro progetti. Per esempio uno dei progetti a cui ho dato il mio contributo al Fab Lab di SPQwoRk è stato realizzato da questo ragazzo che si chiama Matteo Chiessi: è uno slider, come quelli che si vedono nei film che permettono di controllare una macchina da presa e fargli fare un percorso seguendo un asse. Lui ha fatto questo carrello che trasportava una GoPro utilizzando un po’ di parti avanzate nel laboratorio, un po’ di componenti che ci erano stati forniti (per la parte meccanica del carrello) e per la parte elettronica ha utilizzato un arduino che si collegava al motore stepper. Mi sono interessato e ho visto che il codice era abbastanza semplice, alché ho detto “perché non proviamo a fare un sistema che permette di controllarlo da remoto anziché con il joystick?”. Allora ho preso un MyO, un oggetto indossabile che ha al suo interno un accelerometro, un giroscopio e un magnetometro, che quindi permette di vedere la propria posizione nello spazio, ma permette anche di rilevare, attraverso otto sensori miografici, il tipo di gesture che si sta effettuando con il braccio. Attraverso questo strumento ho fatto un sistema che quando chiudi il pugno lo slider viene verso di te mentre quando apri il palmo invece viene respinto, tenendo il carrello parallelo al tuo braccio… come se stessi usando la forza in Star Wars per intenderci. Quindi per quanto riguarda la mia esperienza ho trovato interessante potermi confrontare con delle persone che arrivano da altri ambiti e l’essere riuscito

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6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker

a collaborare con i loro progetti per fare cose che non si erano mai viste. Penso che sia un’unione interessante quella che si crea coinvolgendo persone con discipline diverse e tenendole in contatto con persone del settore del software. D:

Come vedi la scena italiana rispetto a quella estera?

G:

Quello che vedo io è che serve coinvolgere più persone, mancano le persone. Per il resto vedo invece che nella scena italiana ci sono tanti progetti interessanti, per quello che ho potuto vedere alla Maker Faire. Io stavo nello stand dei Fab Lab e ho visto progetti di tutto rispetto quindi sono molto contento che anche qui in Italia si riescono a fare cose interessanti. Spero appunto che facendo venire più persone in quest ambiente si riescano a fare cose più grandi. Gli strumenti ci sono, di Fab Lab ne conosco diversi, è pieno, sono anche ben attrezzati, hanno dell’ottima attrezzatura… quindi i mezzi penso proprio che ci siano e che sono molto validi.

D:

Ora ho una domanda difficile: lo consideri solo un hobby o credi che possa diventare qualcosa di più?

G:

Eh, bella domanda! Venendo da un’industria come quella dei videogiochi noto che oggi, rispetto a vent’anni fa, si è molto aperta al digitale quindi permette una distribuzione molto più facile, e questo ha aiutato moltissimo un settore che stava andando in crisi perché negli scaffali si trovavano solo titoli grossi

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Design e nuovo artigianato

e i titoli piccoli non venivano notati commercialmente. Oggi ci sono piattaforme che permettono di produrre e distribuire i propri prodotti anche realizzati nei Fab Lab… tra l’altro oggi ha aperto Kick Starter in Italia e penso che sia una bellissima notizia. Perché credo che il problema sta che facendo dei progetti opensource chiaramente lì il guadagno non c’è, almeno per quelli che ho visto io. Ma comunque la cosa bella dei maker è proprio quella della condivisione, di condividere progetti, condividere idee. Poi alcuni di questi oggetti sono diventati prodotti commerciali. L’esempio più banale che mi viene in mente sono le varie schede di arduino che sono derivate proprio dal progetto originale. Io adesso sulla scrivania ne ho diverse, ho questa bellissima che si chiama TinyDuino che è grande quasi quanto un cubetto di cioccolato, quindi è veramente piccolissima, e questo sicuramente ha permesso di prototipare molto più velocemente perché se io devo realizzare un ciondolo, ecco, mettere un arduino al collo è un po’ scomodo... Per non andare troppo oltre alla domanda che mi avevi chiesto... io la difficoltà la vedo praticamente nella produzione e nella distribuzione. Noto su Kick Starter molti progetti che ho finanziato che hanno avuto difficoltà nella produzione perché banalmente viene fallita una certificazione, la certificazione ha un costo, devi riprogettare tutto quanto per far fronte a questi problemi, quelli sono dei costi in più. (...) Quindi al momento no. Però ti confesso che su progetti un po più semplici… ma anche il quel caso, se una cosa è facile da produrre e ha un buon margine di guadagno,

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6 . Tra il dire e il fare c’è di mezzo un maker

qualcun’altro lo ha già fatto sicuramente. Inoltre, siccome il prezzo lo fa domanda, se sai che puoi guadagnare per esempio vedendo un tagliere tagliato fatto con una cnc solo se lo vendi a 100, se vedi che all’Ikea costa 5 euro nessuno compra il tuo tagliere per quanto bello possa essere. È anche difficile anche cercare di convincere le persone che stai facendo un lavoro d’artigianato e non un lavoro più in serie, più industriale. Per tutte queste ragioni, al momento non mi sento di abbracciare questa professione da un punto di vista commerciale.

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7 . La Nuova Rivoluzione Industriale Negli ultimi anni, alcune persone hanno iniziato a parlare di Nuova Rivoluzione Industriale. Siamo già passati dalla rivoluzione digitale con l’avvento di internet e il suo ingresso nelle case, ma quest’altra rivoluzione non ha che fare solo con gli schermi, ma anche con il mondo fisico.

«Ecco la storia di vent’anni di innovazione in due frasi: negli ultimi dieci anni abbiamo scoperto nuovi modi per creare, inventare e lavorare insieme sul web. Nei prossimi dieci anni ciò che abbiamo imparato verrà applicato al mondo reale»1 Nonostante l’industria del web sia fiorente, a livello economico non può essere paragonata a quella di beni materiali: il commercio online è meno del 10% di tutte le vendite. A causa dell’esperienza, delle attrezzature e dei costi richiesti dalla produzione di beni su larga scala, la manifattura è stata per lo più appannaggio di grandi aziende e professionisti addestrati. Ora tutto questo sta per cambiare, perché, grazie alla nuova disponibilità di strumenti di prototipizzazione rapida come quelli che possiamo trovare nei Fab Lab o nei makerspace, la produzione di oggetti è diventata digitale. E quando un settore diventa digitale viene mutato in modo profondo. Ora i beni materiali nascono come disegni su uno schermo e possono quindi essere condivisi online sotto forma di file.

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1. Chris Anderson in Makers, 2012, pp 21.


7 . La Nuova Rivoluzione Industriale

A destra, un bracciale prodotto da MakeTank, una piccola azienda nata dalla passione di alcuni designer e creativi italiani che vogliono rilanciare il Made in Italy senza aspettare che qualche grande marchio li scopra. Esportano i loro prodotti in tutto il mondo.

Questo è davvero rivoluzionario, perché gli aspiranti imprenditori ed inventori non sono più alla mercé delle grandi aziende per riuscire a vedere realizzati i loro progetti. In oltre:

«(...) i nativi digitali cominciano a desiderare la vita reale oltre i monitor. Fare qualcosa che nasce digitale ma in breve tempo diventa tattile e utilizzabile nella vita quotidiana dà un genere di soddisfazione che i semplici pixel non possono offrire»2 2. Chris Anderson in Makers, 2012, pp 22.

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Design e nuovo artigianato

8 . Designer + Maker

Si è visto che i makers non vengono associati ad una particolare disciplina, ma a molte (se non forse a tutte) di quelle che riguardano il fai da te. Inoltre non esiste il maker “puro”, ognuno solitamente proviene da un campo in particolare che grazie al making può essere sviluppato e trovare nuove applicazioni innovative. Alcuni maker, per esempio, partono con l’essere dei designer, come nel caso di Jürg Lehni. Lehni è un designer che indaga le nuove tecnologie, gli strumenti e la condizione umana realizzando installazioni e scenari suggestivi. Crea tool e macchine in movimento sperimentando con teconlogie e linguaggi di programmazione. Le sue opere sono state esposte nei musei e nelle mostre di tutto il mondo: MoMA New York, Walker Art Center, Centre Pompidou, Institute of Contemporary Arts London, Victoria and Albert Museum, Design Museum London, Kunsthalle St. Gallen, etc... Una delle sue creazioni è Hektor Hektor è una stampante a bombolette spray da collegare al computer realizzata nel 2002. Il fragile meccanismo consiste in due motori che tengono sospesa e spostano sul piano verticale una bomboletta spray, permettendo di riprodurre disegni vettoriali direttamente da illustrator. Usa un meccanismo simile anche Viktor, un’altra macchina-installazione di Lehni, che permette di riprodurre disegni vettoriali con il gessetto su una lavagna.

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8 . Designer + Maker

In alto, uno dei possibili output di Hektor. A destra, il componente di Hektor che spruzza la vernice a comando.

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Design e nuovo artigianato

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9 . Conclusioni

In conclusione, il valore dell’artigianato (digitale o meno) va recuperato e insegnato alle generazioni future, soprattutto in un paese come l’Italia che ha una ricca e lunga tradizione manifatturiera. La soddisfazione del saper fare è qualcosa di cui ci dovremmo riappropriare, non solo come persone ma soprattutto come designer in quanto, come ci insegna Tim Brown, bisogna saper costruire per pensare meglio. Il valore aggiunto del nuovo artigianato è la forte spinta all’innovazione, grazie agli strumenti di prototipizzazione rapida, all’open source e allo scambio di conoscenze ed esperienze attraverso le community che rendono le informazioni sempre più reperibili. La conoscenza e la sperimentazione sono il motore dell’innovazione, che è ciò che crea nuovi mercati e nuovi servizi.

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Progetto di Sintesi finale

Yangcu

PROGETTARE L’IDENTITÀ VISIVA DI UNA NAZIONE SENZA NAZIONE: YANGCU, LO SPIRITO DELLA MONTAGNA


Progetto Yangcu

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O . Premessa PROGETTO DI SINTESI FINALE

Il progetto è stato sviluppato all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale, e consiste nella realizzazione dell’identità visiva flessibile di una nazione, facendo anche uso del generative design. Nel caso specifico, si tratta di una nazione senza nazione, ovvero non riconosciuta legalmente e territorialmente, ma a cui uno o più popoli sentono effettivamente di appartenere. In particolare, il mio gruppo ed io ci siamo occupati dei Montagnard-Degar, un popolo tribale del Vietnam che ha una ricca e preoponderante cultura dell’artigianato tessile.

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Progetto Yangcu

1 . Montagnard-Degar POPOLO DI TUTTE LE TRIBÙ

I montagnard-degar, o più propriamente i degar2, abitano le montagne dell’altopiano centrale del Vietnam, a cavallo fra Cambogia e Laos. Il popolo degar è costituito da un insieme di antiche tribù, molto diverse fra loro (diversi ceppi linguistici, innumerevoli dialetti e diverse religioni, in particolare animismo e cattolicesimo) ma unite dalle circostanze storiche. Hanno combattuto a fianco degli americani durante la guerra del Vietnam, e per questo sono stati oggetto di persecuzioni da parte dei vietnamiti per molti anni. Ad oggi sono sopravvissute circa 54 tribù, che convivono pacificamente. Si è detto che sono molto varie, ma hanno anche peculiari caratteristiche in comune. Prima di tutto, il forte legame con la propria terra e con gli elementi naturali che la costituiscono: foreste, montagne, fiumi e cicli delle stagioni. Secondo, sono molto legate alle loro tradizioni ma allo stesso tempo aperte alle altre culture. I degar portano quindi un messaggio di fratellanza e comunità, che non porta alla rinuncia della propria identità, ma al suo arricchimento.

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1. Degar è il nome che si sono scelti, e significa popolo di tutte le tribù. Montagnard-degar è invce uno dei vari nomi che gli sono stati affibbiati dagli stranieri, in questo caso dai francesi.


1 . Montagnard-Degar

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Progetto Yangcu

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1 . Montagnard-Degar

Riassumendo, la loro cultura porta valori universali di: • • •

fratellanza legame con la propria terra condivisione

I Degar sono consapevoli di ciò, e vogliono diffondere la loro cultura nel mondo occidentale. In questo modo, potranno essere riconosciuti come un popolo vero e proprio, in grado di dialogare con gli altri.

2. Non di rado le tribù degar sono matriarcali, e lo status sociale di una donna è determinato dalla sua abilità nella tessitura. Esistono anche motivi e disegni di famiglia che vengono tramandati di madre in figlia.

Un altro aspetto preponderante della cultura degar è la ricca tradizione tessile, molto importante anche a livello sociale2. Dal punto di vista visivo, i tessuti degar sono certamente gli elementi grafici più riconoscibili e più peculiari della loro cultura, per tanto abbiamo scelto questo aspetto come principale elemento identitario di questa nazione a cui ispirarci. Queste sono le caratteristiche principali del popolo degar, ma per riuscire a costruire un brand che trasmetta il senso e i valori di una cultura è bene capire prima che cos’è una cultura.

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Progetto Yangcu

2 . Progetto Yangcu LO SPIRITO DELLA MONTAGNA

Il progetto Yangcu si premette di esportare la cultura Degar nel mondo occidentale, dove risulta pressoché sconosciuta, tramite un’azione di soft power.

Cos’è una cultura? La cultura di un popolo è composta da tre macroaree: stile di vita, sistema di segni e artefatti. Nella costruzione dell’identità visiva Yangcu abbiamo tenuto conto di tutti questi aspetti. Lo stile di vita degar è semplice e legato alla natura. Essendo un popolo basato sull’agricoltura, la loro vita è regolata dal susseguirsi delle stagioni e dagli eventi naturali. Per questo il brand Yangcu ha un occhio di riguardo per tutto ciò è naturale e a basso impatto ambientale. Il loro sistema di segni è particolarmente geometrico e colorato. Yangcu si propone di rielaborare gli spunti visivi degar in chiave più occidentale. Gli artefatti degar sono costituiti principalmente dai prodotti dell’artigianato tessile. Anche di questo abbiamo tenuto conto, prendendo spunto dai motivi dei loro tessuti e pensando a degli output di stoffa.

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2 . Progetto Yangcu

1) Stile di vita Semplice e legato alla natura

2) Sistema di segni Geometrico e colorato

3) Sistema di artefatti Artigianato tessile

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Progetto Yangcu

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2 . Progetto Yangcu

Naming

1. Il jarai, assieme al rahde, è la lingua più diffusa fra i popoli degar.

Il naming Yangcu deriva dall’espressione yang cu che in lingua jarai1 significa letteralmente spirito della montagna. Vuole essere un rimando alla loro cultura e al loro legame con gli elementi naturali, ma anche trasmettere forza (montagna) e leggerezza (spirito). Abbiamo inoltre dato un nome al loro territorio: Degarlon, perché in lingua jarai degar lon significa proprio terra dei degar.

A sinistra, il paesaggio dell’altopiano centrale del Vietnam. A destra, dei degar sul pendio di una montagna.

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Progetto Yangcu

3 . Concept DIFFONDERE UNA CULTURA CON LA LOGICA DEL SOFT POWER Essendo che i degar vogliono aprire lo scambio culturale con il mondo occidentale, abbiamo deciso di rivolgerci proprio a quest’ultimo nella progettazione del brand Yangcu. Il metodo più efficace per infiltrarsi in una cultura diversa è tramite un’azione di soft power, ovvero l’abilità di persuadere, convincere, attrarre e cooptare, tramite risorse intangibili quali cultura e valori. Per questo abbiamo pensato a diverse azioni che vanno ad interessare target a volte differenti: Yangcu Café, store online e sfilate di moda. Il concept che sta alla base della creazione dell’identità visiva Yangcu, consiste nell’utilizzare spunti visivi degar in una logica occidentale. Per la creazione degli elementi grafici abbiamo realizzato un tool dedicato. Dal punto di vista del contenuto, invece, quello che vogliamo trasmettere sono il loro stile di vita e il messaggio positivo che sta alla base della costituzione di questo popolo di tutte le tribù: le differenze culturali non sono un ostacolo, bensì una ricchezza da condividere. Un altro spunto importante è il loro legame con il territorio naturale, e anche questo viene ripreso in alcune circostanze.

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Diffondere la cultura degar Soft power


3 . Concept

Yangcu Cafè

OBIETTIVO Creare un luogo di ritrovo dove respirare lo spirito di Yangcu

Store online

OBIETTIVO Diffondere l’estetica degar e i loro prodotti artigianali

TARGET Pubblico mainstream “hip & cool”

TARGET Pubblico mainstream, Élite

Sfilate di moda

OBIETTIVO TARGET Diffondere l’estetica degar e mostrare Élite come si adatta al linguaggio occidentale

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Progetto Yangcu

4 . Elementi di base PERMUTAZIONI DI SIMBOLI E GEOMETRIE Il sistema visivo di Yangcu prende spunto dall’identità visiva già forte e strutturata dei degar: colori sgargianti, forme geometriche e il motivo ricorrente delle decorazioni a fascia.

I simboli Le fasce sono costituite da elementi di base che noi chiamiamo simboli, ispirati ai motivi geometrici dei tessuti degar. Come si può vedere nella figura qui sotto, la griglia di base dei simboli è costruita sulla trama di un tessuto decorato. Questa griglia è utilizzata per disegnare tre tipologie di simboli di dimensione differente, che abbiamo classificato come nucleo, ramificazioni e decorazioni. Grazie alla griglia modulare, i simboli possono essere combinati ordinatamente andando a creare un pattern.

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4 . Elementi di base

Tipologie di simboli Nucleo

4x4

Ramificazioni

2x2

Decorazioni

2x1

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Progetto Yangcu

Le fasce Un motivo ricorrente delle stoffe degar è quello a fascia orizzontale. Yangcu recupera questo aspetto e lo utilizza come elemento di separazione e di chiusura. Le fasce sono di due tipologie, quelle spesse e quelle sottili. Quelle spesse sono composte da tutte e tre le tipologie di simboli e quattro paia di linee, e vengono impiegate nel design di magliette, o altri articoli, dove hanno semplicemente una valenza decorativa ed identitaria. Si può notare che la posizione dei

Fasce spesse Modulo

Composizione

Ripetizione

Composizione

Ripetizione

Fasce sottili Modulo

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4 . Elementi di base

simboli è fissa, mentre le combinazioni di simboli e colori è variabile. Quelle sottili sono utilizzate singolarmente oppure raggruppate. In tipografia e ad accompagnamento delle immagini vengono usate singolarmente, in generale come elemento di divisione. La singola fascia sottile è il risultato della permutazione di un solo simbolo di tipo decorazione e due paia di linee, ma anche qui il simbolo e i colori sono variabili.

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Progetto Yangcu

Un altro caso è quello delle fasce raggruppate, che possono essere o tutte della stessa dimensione, oppure a dimensioni alternate con proporzioni 1/3, 2/3 e 3/3, ordinate a piacere. Anche in questo caso, le combinazioni di simboli e colori sono variabili, ma lo sfondo è sempre blu molto scuro. Questo uso delle fasce è principalmente decorativo.

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4 . Elementi di base

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Progetto Yangcu

5 . Marchio e declinazioni UN MARCHIO VARIABILE PER UN POPOLO SFACCETTATO Il marchio Yangcu è il logotipo YANGCU sottolineato da una fascia variabile. Il carattere utilizzato nel testo è Knockout 32 e la fascia è di tipo sottile. Quest’ultima è alta quanto la A maiuscola di YANGCU e con larghezza pari a quella della scritta, ma in alternativa può essere utilizzata al vivo. Come in tutti gli altri casi, la fascia può cambiare colore e motivo a seconda dell’esigenza. Su fondo bianco la scritta è in nero, su fondo blu scuro C79 M69 Y53 K65, o su sfondo fotografico, la scritta è in bianco.

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5 . Marchio e declinazioni

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Progetto Yangcu

6 . Palette cromatica UNA PALETTE VARIOPINTA PER UN POPOLO VARIEGATO La palette rimanda ai variopinti tessuti degar, ma la ricchezza cromatica è anche metafora della molteplicità di tribù e tradizioni che fanno parte di questo popolo. Inoltre permette una maggiore variabilità dell’immagine di Yangcu. Ci sono quattro colori base (arancio, rosa, azzurro e verde), da cui derivano

C18 M100 Y87 K8 C0 M80 Y100 K0 C0 M28 Y84 K0 C79 M69 Y53 K65

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C58 M97 Y0 K0 C2 M96 Y26 K0 C1 M60 Y0 K0


6 . Palette cromatica

altre quattro paia di colori che sono la versione piÚ chiara e quella piÚ scura del colore base di partenza. Questi sono i colori utilizzati per i pattern delle fasce di entrambe le tipologie. Vi è inoltre un altro colore, il blu scurissimo (C79 M69 Y53 K65), da usarsi sempre e solo come campitura di sfondo.

C93 M65 Y0 K0 C75 M12 Y14 K0 C43 M0 Y7 K0

C85 M25 Y85 K11 C73 M0 Y68 K0 C35 M0 Y77 K0

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Progetto Yangcu

7 . Tipografia VARIABILITÀ E CONTAMINAZIONE DI SIMBOLI GRAFICI Per le intestazioni e il logotipo è stato scelto il Knockout, poiché oltre ad essere un font moderno (e quindi adatto ad accogliere il nostro target hip&cool) ben si sposa con gli elementi a fascia che li accompagnano. Infatti, le intestazioni principali possono essere sottolineate da una fascia sottile, alta quanto l’occhio del testo, che funge anche come elemento di distinzione o di contenitore.

Nei testi lunghi invece si usa il Klinic Slab, principalmente in versione Book, ma sono contemplati tutti i pesi in base alle necessità. Questo font egizio si sposa bene con gli elementi orizzontali dovuti all’uso delle fasce, inoltre è ben leggibile anche bianco su fondo scuro.

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7 . Tipografia

Knockout 52 30/33 pt

Knockout 32 18/22 pt

Echo of the mountain We call ourselves Degar, a name chose by the one who fought for our freedom

Knockout 32 18/22 pt

We call ourselves Degar, a name chose by the one who fought for our freedom

Klinic Slab Light 8/11 pt

We were called Montagnards by the French; we were called Yards by the Americans.

We were called Montagnards by the French; we were called Yards by the Americans.

Klinic Slab Book 8/11 pt

We were called Montagnards by the French; we were called Yards by the Americans.

We were called Montagnards by the French; we were called Yards by the Americans.

Klinic Slab Medium 8/11 pt

We were called Montagnards by the French; we were called Yards by the Americans.

We were called Montagnards by the French; we were called Yards by the Americans.

Klinic Slab Bold 8/11 pt

We were called Montagnards by the French; we were called Yards by the Americans.

We were called Montagnards by the French; we were called Yards by the Americans.

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Progetto Yangcu

In particolare, le intestazioni sono o in Knockout 32 oppure, quelle più importanti, in Knockout 52. Nel primo caso è prevista la sostituzione di alcuni caratteri con simboli che sono stati costruiti a partire dalla stessa griglia dei pattern, con qualche aggiustamento per essere più in armonia con il Knockout. La motivazione di questa scelta è data dal fatto che i degar, sebbene usino principalmente l’alfabeto latino, non ne utilizzano tutte le lettere, poiché non vengono mai pronunciate nella loro lingua. Questa è una peculiarità interessante, che abbiamo voluto manifestare in questo modo, sostituendo i caratteri inutilizzati con dei simboli ad hoc. In realtà, per questioni estetiche abbiamo deciso di permettere la sostituzione di qualsiasi lettera, con alcune linee guida da rispettare: • Uno o massimo due simboli per parola di lunghezza media; • Uno o zero simboli per parole brevi (meno di quattro lettere); • Evitare di sostituire sia la prima che l’ultima lettera della stessa parola (ne comprometterebbe troppo la leggibilità); • Evitare di sostituire due lettere consecutive. • Non sostituire lettere maiuscole; Entro questi limiti, la scelta di quanti e quali caratteri sostituire è a discrezione del designer. Questi caratteri-simbolo sono organizzati in un font a parte chiamato Yangcu Neue che abbiamo appositamente realizzato.

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7 . Tipografia

a b c d e

a b c d e

f g k m n

f g k m n

o p q r s

o p q r s

u w x y z

u w x y z

We call ourselves Degar, a name chose by the one who fought for our freedom

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Progetto Yangcu

8 . Pay off ECHO OF THE MOUNTAIN

Il pay off Echo of... richiama il contesto montano in cui vivono i degar, ed è anche una metafora di quello che Yangcu si propone di fare: portare lontano un messaggio, dall’ estremo oriente, fino all’occidente. Infatti le parole, o i concetti, che concludono il pay off sono modificabili a seconda delle necessità, ma sempre in linea con lo spirito di Yangcu.

Echo of the mountain 84


8 . Pay off

Echo of the mountain Echo of hard work

Echo of friendship

Echo of community

Echo of tribes

Echo of weaves

Echo of peace 85


Progetto Yangcu

9 . Trattamento delle immagini Yangcu fa uso di immagini principalmente fotografiche, sempre caratterizzate da colori accesi, è infatti escluso l’uso del bianco e nero. Le immagini sono racchiuse da due o più fasce orizzontali, sia sopra che sotto, come in un contenitore. I soggetti delle fotografie sono legati alla vita o al territorio degar, e tendono ad esprimere valori come: gioia, senso di comunità, pace e legame con il territorio. Nel caso di poster, brochure e sito, si prevede di sovrapporre dei testi alle immagini. Questi devono essere bianchi, in Kockout 32, con un sottile drop shadow al 30%.

A sinistra, due anziane signore degar che chiacchierano pacificamente. Una immagine colorata che trasmette il senso di comunità.

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9 . Trattamento delle immagini

A destra, un poster Yangcu raffigurante due donne sorridenti intente a cucire. Trasmette gioia, senso di comunità , e il legame con la loro tradizione. Il fatto che stiano sedute in un prato può rimandaer anche al legame con la terra.

In basso, una donna degar raccoglie delle piante portando in spalla il proprio bambino. Trasmette legame con la terra ma anche il valore della famiglia.

Echo of family

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Progetto Yangcu

10 . Materiali SEMPLICITĂ€ E NATURALEZZA

Per il nostro progetto Yangcu abbiamo scelto di utilizzare materiali dall’aspetto naturale, ma comunque semplici, per richiamare ulteriormente il legame con la natura. Per tanto abbiamo fatto uso di carte riciclate, di cartone grezzo, di stoffe semplici e del legno.

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10 . Materiali

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Progetto Yangcu

11 . Raccontare il progetto BRAND MANUAL E BROCHURE

A supporto del progettista abbiamo realizzato un brand manual, che riassume le regole dell’identità visiva di Yangcu, e una piccola brochure che racconta cos’è Degarlon e lo spirito di Yangcu.

In basso la brochure. A destra, il brand manual e la sua taschina.

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11 . Raccontare il progetto

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Progetto Yangcu

12 . Prototipo in Processing L’UTILITÀ DEL GENERATIVE DESIGN

Abbiamo realizzato un prototipo in grado di generare pattern a fascia spessa Yangcu tramite input forniti dall’utente, utilizzando Processing. Quest’ultimo è un linguaggio di programmazione che eredita completamente la sintassi, i comandi e il paradigma di programmazione orientata agli oggetti dal linguaggio Java ma in più mette a disposizione numerose funzioni ad alto livello per gestire facilmente gli aspetti grafici e multimediali. Il nostro prototipo è sostanzialmente un tool attraverso il quale è possibile selezionare i simboli, per cambiarne la forma e il colore. Quando l’utente ha deciso che è terminato, tramite un comando vengono esportatati due pdf, uno con il modulo del pattern da lui scelto e l’altro con la fascia creata dalla ripetizione del pattern. Questo tool è molto comodo per il progettista nel momento in cui si vuole andare a creare una striscia spessa di Yangcu, in quanto gli permette di crearne una, o più d’una, a suo piacimento anche senza la necessità di disegnarsele in proprio. Diventa utile anche per l’utente che vuole semplicemente crearsi il proprio pattern personale.

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12 . Prototipo in Processing

In alto, alcune schermate del prototipo in funzione: con il mouse si seleziona l’elemento da modificare, con lo slider gli si cambia il colore mentre con un comando da tastiera si seleziona il simbolo e con un altro comando da tastiera si genera i pdf. A destra, gli output del programma.

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Progetto Yangcu

13 . Coordinato di base

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13 . Coordinato di base

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Progetto Yangcu

14 . Applicazioni

La sola immagine coordinata non basta a diffondere una cultura. Bisogna interagire con gli altri, raccontargli uno stile di vita diverso. Per diffondere la cultura degar, Yangcu utilizza una logica di soft power agendo in tre modi diversi, in tre campi diversi che vanno a colpire target diversi. Le applicazioni in questione sono: Yangcu Café, sfilate/eventi di moda e lo shop online.

Yangcu Café Yangcu Café si propone di raccontare la filosofia di vita degar. Si basa su un’idea di “slow life”, seguendo i ritmi della natura. Ma si basa anche sulla condivisione delle esperienze, che nei villaggi degar avviene nella grande capanna comune. Infatti, come nelle capanne di Degarlon, allo Yangcu Café è possibile sorseggiare bevande ricavate da prodotti naturali, oppure assistere ad eventi.

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A sinistra, una moodboard concepita per lo Yangcu Café.


14 . Applicazioni

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Progetto Yangcu

Abbiamo quindi realizzato il menù del café, prevedendo di far scegliere al cliente il proprio mix di frutti per il proprio smoothie. Questo unire ingredienti diversi per crearne uno unico e nuovo è un ulteriore rimando alla cultura degar, dove tante tribù si sono unite a creare un solo popolo, ancora più ricco. Per tanto il menù rispetta la filosofia Yangcu non solo nell’immagine ma anche nel modo in cui si pone.

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14 . Applicazioni

Nella pagina sinistra, il menù dello Yangcu Café. In questa pagina, un mockup di alcuni arredi del café, con stoffe in stile Yangcu.

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Progetto Yangcu

Sfilate di moda Come già detto, l’ambito più importante importante dell’artigianato degar è quello tessile. Per loro non è solo un’arte fine a sé stessa, ma è il mezzo attraverso cui le donne di ciascuna famiglia determinano il loro status sociale, per cui è proprio la loro abilità nella tessitura ad essere decisiva. Per questo ci siamo ispirati al progetto Alta Roma, sfilate di moda sul tema dell’Africa, in cui i designer non solo si ispirano alle culture africane, ma lavorano affiancati da membri delle popolazioni in questione, in modo da non fare carità ma per dare la possibilità di affermarsi nel mercato mondiale. Yangcu quindi organizza sfilate di moda analoghe, nate dalla collaborazione di designer occidentali e artigiani degar. L’obiettivo delle sfilate è quello di mostrare come due culture estremamente diverse possano generare nuove idee e nuove emozioni, ma soprattutto di andare ad interessare un target di élite, attento alle mode e al sociale.

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A destra, il mockup di una sfilata Yangcu.


14 . Applicazioni

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Progetto Yangcu

L’invito viene spedito all’interno di una busta che presenta al suo interno uno dei nostri pattern composti da diverse fasce sottili della stessa dimensione. L’invito è blu scurissimo all’esterno e presenta gli elementi tipografici tipici di Yangcu (simboli come lettere e nome dell’evento sottolineato da una fascia. L’interno dell’invito è per metà decorato da un nostro pattern e per metà bianco con il testo dell’invito. In basso a destra troviamo il marchio Yangcu.

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14 . Applicazioni

A sinistra, l’esterno dell’invito e la busta. In questa pagina, l’interno dell’invito.

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Progetto Yangcu

Shop online Una logica soft power per essere efficace deve prevedere azioni anche verso ciò che è mainstream. Per questo abbiamo ideato delle t-shirt personalizzabili, tramite il nostro tool, coerenti con l’identità visiva di Yangcu e in linea con la moda attuale. Queste possono essere acquistate online. Per questo abbiamo progettato uno shop online, nel quale vi è anche una parte dedicata alla vendita di prodotti tipici creati artigianalmente dalla popolazione degar. L’idea nasce da quello che i degar hanno già provato a fare, ovvero vendere i loro prodotti, con risultati, purtroppo, insoddisfacenti. Il nostro shop online va a inserirsi in quello che è un sito internet più grande che racconta cos’è Yangcu, le sue iniziative e una sezione dedicata al café. In questo modo, chi compra un prodotto dal portale Yangcu lo farà in modo consapevole.

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14 . Applicazioni

In alto, magliette Yangcu acquistabili tramite lo shop online. Il motivo del tascino è personalizzabile dall’utente. A destra, il cartellino della t-shirt, dove è presente il marchio, un ringraziamento per il supporto dato alla causa degar (boni lu significa grazie in jarai) e l’indirizzo del nostro sito.

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Progetto Yangcu

In queste pagine, alcune immagini tratte dal sito.

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14 . Applicazioni

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Progetto Yangcu

Abbiamo previsto un kit da inviare assieme al maglietta nel momento in cui se la si fa spedire a casa, provvisto di scotch Yangcu, volantino con suggerimenti sull’utilizzo di tale scotch e, ovviamente, la maglietta. Lo scotch diventa elemento identitario di Yangcu, ma anche personale, dal momento che riproduce il pattern che si è scelti per la propria t-shirt.

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In basso, la scatola e il kit al suo interno. A destra, una serie di immagini che mostrano piĂš nel dettaglio il contenuto del kit.


14 . Applicazioni

La scatola si presenta come un parallelepipedo a base quadrata, ed è tenuta chiusa dallo scotch Yangcu.

L’interno è decorato con un pattern.

Al suo interno vi è uno scotch Yangcu con la fascia sottile che abbiamo scelto.

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Progetto Yangcu

Sotto lo scomparto dello scotch troviamo il volantino con le spiegazioni.

Un dettaglio del volantino in questione.

Ma non è finita, il pezzo forte del kit arriva ora: la t-shirt.

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14 . Applicazioni

Il cartellino è anch’esso personalizzato, perché la fascia sottile presente nel marchio è sempre quella dell’utente, ovvero quella che ha trovato anche sullo scotch.

La maglietta è arrotolata su se stessa.

Il taschino è decorato dal proprio pattern scelto e realizzato con il tool.

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Estensione progettuale

YangcuPrinter

REALIZZARE UNO STRUMENTO DEL GENERATIVE DESIGN SEGUENDO LA FILOSOFIA DEI MAKER


YangcuPrinter

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0 . Premessa ESTENSIONE PROGETTUALE

A seguire la documentazione che descrive la realizzazione della mia estensione progettuale, coerente con il progetto complessivo. Il mio tema teorico è design e nuovo artigianato, mentre il progetto Yangcu si è occupato del popolo degar, caratterizzato dalla forte tradizione tessile; ho voluto unire questi due aspetti realizzando uno strumento che dato in mano all’utente gli permetta di scegliere il proprio pattern Yangcu e di stampare su carta termica uno schema per punto croce che lo riproduce. A questo punto l’utente, o l’artigiano, ha i mezzi per cucire con ago e filo il proprio pattern dove preferisce. In questo modo ho da un lato esteso il tema Yangcu nel campo dell’artigianato tessile anche nel mondo occidentale, e dall’altro ho abbracciato la filosofia maker costruendo qualcosa di nuovo beneficiando dei mezzi messi a disposizione nei Fab Lab e facendo affidamento all’open source per quanto riguarda il codice. Inoltre, il mio intento era quello di realizzare uno strumento atto al generative design, che permetta output finali personalizzabili ma sempre coerenti con l’identità visiva di Yangcu.

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YangcuPrinter

1 . Cos’è YangcuPrinter

La YangcuPrinter è un generatore di schemi per punto croce raffiguranti i pattern personalizzabili dell’identità visiva di Yangcu.

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1 . Cos’è YangcuPrinter

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YangcuPrinter

2 . Come si usa

L’utilizzo è reso semplice dall’interfaccia touchscreen incorporata. L’utente può modificare il pattern a fascia nel colore e nella forma del simbolo ripetuto, dopo di che premendo sul bottone PRINT riceve uno scontrino raffigurante lo schema per punto croce del pattern da lui scelto. Quest’ultimo assomiglia ad un comune schema per punto croce, e ha per tanto una tabella riassuntiva dei colori scelti, sia per nome che per codice DMC, il codice di riferimento internazionale per quanto riguarda il colore dei fili da cucito. Infine, l’utente può utilizzare il suo schema per riprodurre il proprio (o i propri) pattern anche in un secondo momento, con comodità e utilizzandolo nella maniera che preferisce.

A sinistra, l’interfaccia del tool utilizzato dalla YangcuPrinter.

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2 . Come si usa

1) Scegli

2) Stampi

3) Cuci

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YangcuPrinter

3 . Come è fatta

Il case è una sorta di scatola in legno di pioppo, progettata e disegnata per essere montata tramite la tecnica degli incastri. Il taglio è stato eseguito con una precisa laser cutter, che ho imparato ad usare per l’occasione, messa a disposizione dal makerspace, o Fab Lab, Opendot. La scatola presenta una incisione con la scritta YangcuPrinter, anch’essa realizzata tramite la laser cutter.

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3 . Come è fatta

Al suo interno troviamo un tablet, una stampante termica e vari cavi. Il tablet funge sia da schermo touch che da computer sul quale far girare il programma. Questo è collegato tramite USB alla stampante che ha a sua volta un cavo d’alimentazione. Il caricabatterie viene posto all’interno della scatola, per un più gradevole effetto estetico.

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YangcuPrinter

La stampante è posta all’interno del case, assieme a tutti i cavi che sono stati precedentemente legati tramite delle fascette da elettricista. Dei piedini in legno impediscono che la stampante slitti all’interno del case.

Sopra di essa viene posto un doppio fondo che va ad appoggiarsi ad una guida che segue il profilo dell’interno della scatola. Questo servirà a sostenere il tablet in modo tale da essere in linea con il foro presente nel coperchio.

Il tablet viene quindi collegato alla stampante tramite USB, e posizionato al di sopra del doppio fondo.

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3 . Come è fatta

Infine viene posizionato il coperchio, munito di incisione ma soprattutto di fori per lo schermo e per il foglio in uscita dalla stampante termica. Ho aggiunto una linguetta di cartone che funge da guida per il foglio, in modo che riesca ad uscire agevolmente dalla scatola.

A questo punto la YangcuPrinter è assemblata, non manca che collegarla all’alimentazione ed avviare il programma.

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YangcuPrinter

4 . Come funziona IL CODICE

Il codice che genera i pattern è realizzato con Processing, così come l’interfaccia e la parte che manda il comando alla stampante termica. Il programma è l’evoluzione del prototipo realizzato durante il corso di sintesi finale. Infatti, sebbene il concetto di base sia lo stesso, in questo caso la parte di generazione pattern è resa più snella da un più consapevole uso delle funzioni e del linguaggio di programmazione in generale. Inoltre, vi è un’interfaccia che utilizza una libreria opensource ad oggetti. In particolare, si tratta della stessa libreria realizzata ed utilizzata per il progetto COP14. Per quanto riguarda l’interfaccia: gli slider permettono di scegliere i tre colori rispettivi; il bottone PATTERN permette di selezionare il simbolo da ripetere; il bottone PREVIEW permette di passare da una visualizzazione vettoriale all’anteprima di stampa e viceversa; infine il bottone PRINT genera un pdf del pattern selezionato in versione schema per punto croce, e manda il comando di stampa alla stampante tramite console di comando. Per eseguire questa operazione ho dovuto scaricare un programma di apertura pdf tramite il quale dare il segnale di stampa con precise impostazioni di stampa.

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4 . Come funziona

Questa è la schermata all’avvio del programma che parte con una fascia di default che può essere modificata a piacimento.

Premendo il bottone PREVIEW si vedrà un’anteprima dello schema per punto croce che verrà stampato, come nell’immagine a destra. Premendo di nuovo si torna all’anteprima vettoriale a colori.

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YangcuPrinter

5 . Generative design UN SOLO CODICE, TANTI OUTPUT

Il bello di questo strumento, oltre alla semplicità di utilizzo, è la libertà che viene lasciata all’utente una volta ricevuto lo scontrino con lo schema. Infatti questo schema è sufficiente per realizzare qualcosa di coerente con l’identità visiva di Yangcu, senza ulteriori istruzioni. E questo non solo sotto l’aspetto visivo, ma anche nel significato dei gesti che ti porta a fare. Ti costringe ad usare la tecnica del punto croce, e quindi a realizzare un prodotto di artigianato tessile. Solitamente il punto croce è una tecnica che richiede pazienza e calma, quindi richiama anche il distacco che Yangcu vuole prendere dalla frenesia della vita moderna ritornando alla pace dei ritmi lenti e dei momenti semplici. Infine, la libertà nella composizione del proprio pattern, ma soprattutto nella sua realizzazione, non è che un incentivo all’espressione dell’individualità di ciascuno di noi.

A destra, uno dei possibili output: il punto croce utilizzato come copertura per una casetta per uccelli.

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5 . Generative design

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YangcuPrinter

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6 . Conclusione

Con la mia estensione progettuale ho dimostrato che anche il making può essere utile al designer che vuole produrre uno strumento generativo. In questo caso inoltre non è solo il tool digitale ad essere generativo, ma lo sono anche gli output fisici che ne derivano, dalla stampa termica al lavoro di cucito finito.

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Bibliografia Libri •

Anderson C. Makers, Rizzoli Etas, Milano.

Baur R. Integral, Lars Müller Publishers, Zurigo.

Carmi E. Branding, una visione D.O., Fausto Lupetti, Bologna.

Felsing U. Dynamic Identities in Cultural and Public Contexts, Lars Müller Publishers, Zurigo.

Hollis R. Graphic design. A coincise history,

Thames&Hudson, Londra.

Luna R. Cambiamo tutto!, Laterza, Lecce.

Micelli S. Futuro artigiano, Marsilio Editori, Venezia.

Sennet R. L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano.

Articoli •

Accorneri M. Artigianato e nuove tecnologie, in “Impresa&Stato” a. 2004, n. 67. [www.mi.camcom.it/artigianato-e-nuove-tecnologie] consultato nell’aprile 2015.

Catania G. “Il futuro è l’artigianato: il lavoro non si cerca, si crea”, “in Linkiesta” a. 2012. [www.linkiesta.it/artigiani-italia] consultato nell’aprile 2015



Ai miei genitori, che hanno sempre investito nella mia istruzione. Al mio ragazzo, che ha sempre investito nella mia felicitĂ . Al disponibilissimo professor Guida, per tutto il tempo che ci ha dedicato, i consigli che ci ha dato e le conoscenze che ci ha trasmesso; Ai miei amici e compagni di corso, che hanno certamente arricchito la mia esperienza universitaria. Daniela Arienti


Elaborato di Laurea Corso di Design della Comunicazione Politecnico di Milano, Scuola del Design a.a. 2014/2015 Sezione C1 Relatore: Francesco E. Guida


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