RELITTI
Davide Virdis
2 contiene: fanzine We Made For Love #00
data di pubblicazione: maggio 2013
main sponsor:
Marc AugĂŠ
"L’umanità non è in rovina, è in cantiere"
AVA TOG PARAVE 4
VANTI, GLI IL ENTO Andrea Bajani Avanti, togli il paravento
A guardare le foto di Davide Virdis si potrebbe pensare alle cose che restano, a quanto s’impregna di presenze il mondo su cui posiamo le mani. A quanti fantasmi si aggrappano alle cose perché proprio non se ne vogliono andare, scacciati via dal mondo dei vivi. Dentro le foto di Virdis, a volerli sentire, a voler applicare uno zoom percettivo, li si riuscirebbe anche a vedere, abbarbicati agli oggetti, appesi agli scheletri delle auto, al riparo dentro i cassetti di mobili buttati contro un muro, a rosicchiare prima il colore e poi la ruggine dalle lamiere. Sono le tarme dentro i vestiti, i fantasmi di queste fotografie, i tarli che scavano gallerie dentro il legno, che sottraggono, per custodirlo, un pezzo di tempo. Queste istantanee rubano il passato delle cose che ci sono state, e i luoghi non possono certo schermirsi, non possono certo mettere la mano davanti all’obiettivo del fotografo e dire che loro no, non vogliono che qualcuno gli porti via l’anima. I luoghi non lo fanno. Stanno lì, esposti, a farsi fare razzia, e poi eccoli qui che ci stanno davanti. Però a guardare le foto di Davide Virdis pensando soltanto ai fantasmi e ai tarli
del tempo ci si perderebbe qualcosa di fondamentale, ho il sospetto. Qualcosa di politico. È qualcosa che ha a che fare con il disvelamento, con la verità, e con l’atto di togliere il paravento da davanti alle cose. Mentre le guardavo, non riuscivo a non pensare a Wilde e alla visita di Basil – il ritrattista di Dorian Gray – che chiede di poter rivedere il quadro perché ha intenzione di esporlo a Parigi. “Avanti, togli il paravento”, gli dice Basil quasi sbrigativo. Dorian Gray è atterrito. “Esporla? Vuoi esporla?”, gli chiede. E poi il commento del narratore: “Il suo segreto stava per essere rivelato al mondo”. Ecco, in queste fotografie di Davide Virdis è evidente questo stesso gesto, mi sembra, di tirare via il paravento al mondo patinato delle merci, il mondo del supposto presente eternizzato, dell’incorruttibilità estetica degli oggetti – e dei luoghi turistici – in vendita. Virdis va dietro il paravento, a vedere il tempo che rosicchia, e che rosicchiando sbugiarda, leva la maschera a quel manichino grottesco a cui danno il nome pubblicitario di felicità.
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VISIONI E ALLA DEL Clara Goria Relitti Visioni e luoghi alla deriva del futuro
Voi mi odiate e io per dispetto vi amo tutti! Kurt Kobain
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La scritta anonima con la bomboletta spray, catturata dall’obiettivo sui muri dell’ex ospedale psichiatrico di Sassari, riconoscibile nell’ironica e disperata invettiva attribuita a Kurt Kobain. Lo sguardo fisso in camera delle spaesate figurine di Stanlio e Ollio, fragili icone di un’enigmatica gag, incollate da un operaio sulle pareti della cartiera Girasole di Arbatax, lungo un ballatoio di manutenzione delle grandi macchine industriali. Sono solo alcuni degli svariati detriti del vivere quotidiano, del mondo del lavoro e delle casuali combinazioni pop, in cortocircuito con le stratificazioni del tempo e le mutazioni degli spazi in abbandono ritratti da Davide Virdis. Tra le immaginarie colonne sonore di questa galleria di interni architettonici vuoti non potranno allora mancare Kurt Kobain, ma anche la famosa canzonetta di Stan Laurel e Oliver Hardy, doppiati sulle note leggere di A zonzo, preferibilmente graffiate dall’usura del tempo. A zonzo dunque, tra cemento e macerie di aree industriali, strutture penali, stabilimenti balneari, sale cinematografiche, case coloniche, complessi rurali e altre realtà ai margini, spazi nomadi e fatiscenti. Alcuni di questi luoghi oggi non
esistono più, sono stati distrutti, occupati, altri recuperati, destinati ad altri usi. La maggior parte resta ancora in stato di degrado, testimonianze attive di un passato prossimo che ci interroga con sempre più urgenza. Nuove e luminose rovine, sospese tra passato e futuro, tra memoria e identità. È questo il nuovo approdo di Relitti, il progetto iniziato nel 2004 da Davide Virdis, cresciuto in complicità con l’antropologo visuale Paolo Chiozzi, a cui spetta la citazione di Marc Augè: “L’umanità non è in rovina, è in cantiere. Appartiene ancora alla storia. Una storia spesso tragica, sempre ineguale, ma irrimediabilmente comune” (M. Augé, Rovine e macerie. Il
senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino
2004). Fotografie che, per Chiozzi, non
appaiono metafore di morte ma “segni che proprio per il loro essere residuali si rivelano ancora significanti di vita, di lavoro, di emozioni”, “frammenti di vita umana, indizi che permettono di immaginare uomini “in carne ed ossa” che sono stati lì, che sono ancora lì poiche quei relitti sono il loro mana”. È qui lo scarto dai documenti di archeologia industriale, il cui fuoco principale è lo spazio architettonico. Sono piuttosto testimonianze di
RELITTI E LUOGHI A DERIVA L FUTURO “archeologia sociale”, “luoghi sospesi non sempre del tutto abbandonatiritmati da presenze/assenze-come raccontano alcuni dettagli” e dove la luce del giorno che avvolge gli interni, scrive Manuela De Leonardis, è “l’eco di un messaggio positivo, di apertura e possibile rinascita” (P. Chiozzi, Sguardi (e
percorsi) che si incrociano, e M. De Leonardis, Relitti, in Relitti. Fotografie di Davide Virdis, a cura di Nicoletta Zanella e Manuela De Leonardis, Navona 42 Art Communication Space, Edifir, Firenze 2008).
Oltre alle cose che restano, e ai fantasmi che vi si aggrappano, le foto di Davide Virdis, scrive qui in apertura Andrea Bajani, contengono “qualcosa di politico” che riguarda il disvelamento del mondo delle merci e del suo eterno presente incorruttibile. Qualcosa, anche, che arriva al nocciolo delle cose, a quelle tracce del tempo e di vite remote graffite sulle pareti della Camera Caverna di Davide Virdis, tra immaginari letterari e cinematografici, come scrive Luca Bianco in una sorta di epilogo a questo sentiero visivo. In questa riflessione sul tempo, sulla memoria e sulle forme della contemporaneità del paesaggio, emerge il percorso di Davide Virdis, fotografo e architetto paesaggista, spesso a stretto confronto con urbanisti, paesaggisti e antropologi, passato dalla fotografia
di carattere antropologico, ispirata a Ferdinando Scianna, a quella di architettura e di paesaggio dopo l’incontro fondamentale con Gabriele Basilico. Una ricerca che si sviluppa sulla traccia di Viaggio in Italia di Luigi Ghirri e della scuola di paesaggio italiana (Giovanni Chiaramonte, Guido Guidi e Mimmo Jodice, in particolare), lavorando su porzioni isolate di territorio (nel progetto Contaminature del 1998) e su scala panoramica, anche con l’impiego del bianco e nero (nel recente Routes of water, del 2012, dedicato alle rotte del Mediterraneo e ai siti portuali di origine fenicia Tiro, Rodi, Cartagine, Malta), e che, nei Relitti, tocca esiti tangenti alle contemporanee visioni sulle rovine urbane oltreoceano di Yves Marchand e Romand Meffre. Relitti è un reportage con il banco ottico, racconta Davide Virdis, treppiede da fissare e negativo da caricare di volta in volta, di una Linhof Technikardan (come quella usata da Basilico), per esplorare luoghi abbandonati, incrociati casualmente per strada; procede per frammenti, che nel tempo assumono organicità. Foto d’interni con una luce rigorosamente naturale, dove il colore è determinante nella scelta dell’inquadratura e la tecnica è usata in maniera libera, per
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sentimento. La presente edizione torinese offre una campionatura del primo progetto Relitti, accresciuta di nuove stampe e recenti scatti, principalmente realizzati tra Toscana e Sardegna, i luoghi di Virdis, a comporre una personalissima mappa poetica; si aggiunge inoltre la serie dedicata al vasto complesso della cartiera di Arbatax, nata negli anni del boom economico, poi dismessa, presidiata e gradualmente demolita (D. Virdis, P. Chiozzi, S. Nardoni, B. Bandinu, L’anima della cartiera. La cartiera di Arbatax. Memoria e identità per un territorio e i suoi abitanti, Grafiche Cappelli, Firenze 2010).
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Un dedalo di spazi, quasi fotogrammi di uno stesso piano sequenza, dove il movimento dello sguardo che percorre l’interno degli ambienti, non documenta, ma perlustra e registra una visione concettuale. La luce filtra dai soffitti, dalle finestre, dalle brecce, morbida e atmosferica, catturata dai lunghi tempi di esposizione, rivela lo spazio. Le strutture architettoniche diventano plastiche, i muri superfici materiche e il colore pittorico, mai ridotti però a mere combinazioni estetizzanti. Così, in apertura, l’interno di vibrante blu cobalto dell’officina del saponificio Ausonia del 2001, poi distrutto (pubblicato in M. Fugenzi,
L’evoluzione del mezzo tecnico, in L’immagine
fotografica 1945-2000, a cura di Uliano Lucas, Storia d’Italia. Annali 20, Giulio Einaudi editore, Torino 2004), luminoso antro
laboratoriale, sospeso nel tempo, appena mosso da nervosi filamenti di luce cadenti dall’alto (2). È il taglio di luce naturale e palpabile che crea la fosforescenza di colore nell’atrio e apre, in un’astratta epifania, la stanza del dormitorio con i materassi accattastati in bell’ordine, della colonia estiva Casa gioiosa (ex colonia penale, ora sede del parco naturale di Porto Conte, (7); qui ripresa anche nella caotica e rutilante esplosione di stracci e colori, accesi dalla luce e dai rossi, della stireria-guardaroba con le divise dei bambini, che sembra essersi appena e solo temporaneamente frenata (4). È il chiarore flebile e liquido che si amalgama con le superfici affumicate dal buio e dalle muffe intorno al confessionale di una erratica cappella nel sanatorio Conti (21); o la veduta onirica dell’ex cinema del villaggio Enel della diga di Ulà Tirso, con pareti come membrane pulsanti di luce (poi, anche, surreale location per giochi di guerra urbani, search & destroy e derivati) (18). Mentre il villaggio minerario Tiny in abbandono (10) richiama inevitabilmente alla memoria la storia di quelle terre e di quei volti raccontati
dalle fotografie neorealiste di Federico Patellani, nel reportage sui minatori di Carbonia del 1950, fino all’attuale ricerca di Dario Coletti. Questi ritratti di spazi vuoti e silenziosi evocano la vita e le storie di chi li ha attraversati, tra residui di lotte, perdite e attese. Quasi si potesse cogliere la presenza dello sguardo e delle azioni, di chi è passato in quei luoghi, di chi ha manovrato quei macchinari, celato nelle trasparenze dei vetri infranti nella foto del pannello di controllo del carroponte della ferriera sarda (8). L’impatto con la monumentalità di alcuni spazi, come la cabina elettrica occupata da macchine trine e totemiche, si misura anche nel contrasto con i friabili frammenti a terra, che sembrano rotti gusci d’uova (6). Rigorose e essenziali inquadrature prospettiche raccolgono e riordinano la trama sparsa degli oggetti e dei segni, come scatole ottiche alla Joseph Cornell. Sono minimi dettagli, piccole cose, marginali, contaminate dal tempo, intermittenti e sbiadite tracce di un quotidiano ordinario e provvisorio, objets trouvés, che intrecciano un gioco di possibili simmetrie e risonanze (come nell’ambiguo omaggio, tra sacro e profano, ai cari estinti, (3); o, al margine della foto, su un piano
arruginito della cartiera di Arbatax presidiata, il bianco abbagliante e affilato scheletro di un rapace, che fu pasto delle larve che lo circondano, segno di un’effimera inviolabilità (20); o i materiali di scarto di un incontro amoroso nella rimessa per camion (15). È un lavoro sulla sottrazione, sulla leggerezza. L’architettura di uno stabilimento turistico dismesso si disfa in un’esile quinta teatrale, una soglia dischiusa sull’orizzonte, sul mare, evocato dal titolo della serie e presente soltanto in questo scatto (11). Anche il cielo compare raramente. Nell’ultima foto della sequenza, del 2012, l’unica in digitale, nell’area di una ex vetreria toscana (25), una coloratissima e slogata ninfa metropolitana, graffita sulla parete di cemento, precipita in caduta libera, come Alice alla rincorsa di un fiocco bianco, o vola via leggera verso un oculo aperto su uno squarcio di cielo azzurro e nuvole.
* La prima edizione di Relitti è stata esposta a Roma presso Navona 42 Art Communication Space, 2008; a Firenze, Tethys Gallery, 2012; a Como, Blendage, 2012.
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Relitti è un lavoro che nasce in maniera spontanea. È una voglia di esplorazione che ho sempre avuto, è l’emozione nell’infilarmi in luoghi strani – vecchi – sempre con l’idea fantastica di andare a cercare tesori. Chiamo questi luoghi relitti, perché in essi leggo ancora tracce di vita. Sono spazi fuori dal tempo – surreali, a volte in agonia – ai margini di una società che viaggia con una diversa velocità. Luoghi che non si limitano a raccontare il passato, ma esprimono piuttosto una porzione di tempo, una sovrapposizione di elementi. Questo è ciò che effettivamente mi affascina. Rispetto all'archeologia industriale, vista come spazio architettonico, mi affascina molto di più cercare le tracce di quello che è stato e di come, in qualche modo, questi luoghi continuano a vivere. Luoghi parcheggiati, in attesa che qualcuno gli ridia una funzione, ma che, nel frattempo, galleggiano e navigano. Davide Virdis
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1. Saponificio Ausonia, officina | Campi Bisenzio, 2004
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2. Saponificio Ausonia | Campi Bisenzio, 2001
3. Officine nazionali rigenerazione rotaie delle Ferrovie dello Stato | Pontassieve, 2005.
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4. Casa Gioiosa, colonia estiva, magazzino | Tramariglio, Parco di Porto Conte, 2005.
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6. Ferriera Sarda, cabina elettrica | Porto Torres, 2005.
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7. Casa Gioiosa, colonia estiva, dormitorio | Tramariglio, Parco di Porto Conte, 2005.
8. Ferriera Sarda, pannello di controllo | Porto Torres, 2005.
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9. Cartiera Girasole | Arbatax, 2008-2010.
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10. Villaggio minerario Tiny, chiesa | Iglesias, 2006.
11. Lido Iride | Platamona, 2006.
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12. Fortino militare a Punta Giglio | Parco di Porto Conte, 2006.
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13. Cartiera Girasole | Arbatax, 2008-2010.
14. Azienda agricola sperimentale Sorigheddu | Olmedo, 2006.
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15. Cementificio Alba Cementi, deposito | Porto Torres, 2006.
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16. Ospedale psichiatrico | Sassari, 2007.
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17. Centrale termica della Fiat Novoli | Firenze, 2007.
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18. Villaggio Enel di Santa Chiara sulla diga del fiume Tirso, cinema |Â UlĂ Tirso, 2011.
19. Cartiera Girasole, officina | Arbatax, 2008.
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20. Cartiera Girasole, officina | Arbatax, 2008.
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21. Sanatorio Conti | Sassari, 2010.
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22. Cartiera Girasole, ballatoio | Arbatax, 2008.
23. Cartiera Girasole, spogliatoi | Arbatax, 2008.
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24. Ferriera Sarda, cabina di raffreddamento | Porto Torres, 2005.
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25. Vetreria Savia | Empoli, 2012Â .
Cam Caver 46
mera rna Luca Bianco Camera Caverna
Guarda in alto. Camera è, in inglese in tedesco (Kamera) in francese (Caméra) e sempre più spesso anche in italiano, la macchina fotografica o più in generale, l’apparecchio di ripresa (su pellicola o su supporti digitali). Inutile raccontare come la parola debba quel significato alla camera oscura che, da Aristotele agli scienziati arabi medievali, passando per Leonardo da Vinci, e giù giù fino a Canaletto, e poi all’invenzione appunto della fotografia, stava ad indicare il preciso e ben noto dispositivo ottico. Più significativo, semmai, per chi guarda le fotografie di Davide Virdis, ricordare che sia in greco che in latino, la kámara o camera indicava la volta del cielo, e per estensione, il soffitto a volta di una stanza (ma in latino il secondo significato è ”imbarcazione leggera e portatile”...) Non dunque l’ambiente in sé, ma la sua copertura. Se ne vedono molti di soffitti, nelle fotografie di Davide; tra questi uno, prezioso e sfondato (Officina saponificio Ausonia. Campi Bisenzio, 2001, 2), che copre pareti tinteggiate di quello che una volta poteva essere il colore del mare o del cielo, o meglio ancora dell’altrove: come nella stanza Yurupari di Lothar Baumgarten al castello di Rivoli. I soffitti, le coperture di questi ambienti, così nitide e così incombenti,
così perfettamente a fuoco e allo stesso tempo distanti, ricordano invece la cifra di certo Orson Welles: come quando, in Il processo, ambientava i sogni di Kafka nelle architetture dell’allora dismessa Gare d’Orsay, che non era più una stazione ferroviaria e non era ancora un museo (Saponificio Ausonia. Campi Bisenzio, 2004, 1). E’ stato del resto Adorno a scrivere, parlando proprio di Kafka, che “la resurrezione dei morti dovrebbe avvenire in un cimitero di automobili”. Wunderkammer. Il cielo da queste fotografie è sempre assente, tranne quando viene concesso, insieme al mare, soltanto a cerchi, a losanghe, a ritagli netti e squadrati secondo geometrie e proporzioni di un’architettura di scheletri (Lido Iride. Platamona, 2006, 11). Al contrario, la luce del giorno rovescia come un guanto l’espressione “camera oscura”: quelle di Davide Virdis sono, al contrario, delle Wunderkammern luminosissime, anche se la luce entra attraverso vetri infranti, e illumina prospettive vertiginose che sembrano venire determinate da un misterioso quadro comandi che sembra piuttosto una collezione di bottoni o monete di qualche civiltà primitiva (Ferriera Sarda, pannello di controllo. Porto
Torres, 2005, 8); altre volte invece la luce e la ruggine incorniciano piuttosto i mirabilia naturae, i fantasmi delicati e minuziosi di un battito d’ali (Cartiera Girasole, officina. Arbatax, 2008, 20). Altre volte ancora è la luce stessa che si fa tangibile, e violenta, e di quelle fotografie non si ritiene altro che la luce (Casa Gioiosa, colonia estiva, dormitorio. Tramariglio, Parco di Porto Conte, 2005, 7; Sanatorio Conti. Sassari, 2010, 21). Palinsesti. Che quei soffitti, quelle pareti e quei pavimenti siano stati, in un’altra vita, scenari di altre lotte, e qualche volta di altre tenerezze (Cementificio, rimessa di camion. Porto Torres, 2006, 15), appare dalle fotografie di Davide Virdis con assoluta evidenza. E allora il suo sguardo diventa quello dello speleologo, del paleontologo, di chi scopre con tutta la delicatezza e lo sgomento del caso, le tracce di vite remote, le nuove Veneri di Willendorf (Cartiera Girasole, officina. Arbatax, 2008, 19), i graffiti e i pigmenti che testimoniano come, di fatto, quello delle immagini sulle pareti della caverna sia tutt’altro che un mito: altre luci, altre ombre e soprattutto altre vite hanno abitato quelle camere, e abitano ora la Camera di Davide Virdis.
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BIOGRAFIA Davide Virdis è nato a Sassari e vive a Firenze, dove studia architettura laureandosi con una tesi sul rapporto tra linguaggio fotografico e rappresentazione dello spazio. La sua ricerca si sviluppa principalmente nel campo della fotografia di architettura e paesaggio con una particolare attenzione all’aspetto antropologico, collaborando spesso con sociologi, antropologi ed urbanisti. I suoi progetti mirano ad esplorare il complesso rapporto tra il paesaggio, con la sua forte identità culturale e storica, e le dinamiche in continua evoluzione, relazionate ai processi di sviluppo ed evoluzione del territorio intimamente legati alle forme proprie della modernità. I risultati della sua ricerca sono presentati
in varie mostre e pubblicazioni che, negli anni, sono state esposte in diverse sedi e manifestazioni in Italia e all’estero. Fra le altre attività degli ultimi due anni, ottiene un finanziamento dalI’ISRE (Istituto Superiore Etnografico della Sardegna) e realizza il suo progetto dal titolo Uomini d'acqua, avente come tema una lettura del paesaggio sardo rappresentato attraverso l’interpretazione dei segni generati dal rapporto tra uomo, acqua e territorio. Inizia una collaborazione con l’Università di Firenze per la quale, nell’ambito del Progetto Europeo Mare Nostrum, ha l’incarico di realizzare una ricerca fotografica che, tra Siria, Grecia, Libano, Malta e Tunisia,
riguarda alcune tra le più antiche città portuali riconducibili alle rotte fenicie nel Mediterraneo. Durante l’autunno del 2012 presenta i risultati del suo lavoro e della relativa pubblicazione con una mostra fotografica dal titolo Routes of Water che espone in Tunisia ed in Libano. Sta attualmente lavorando a un progetto editoriale che ha come tema un'analisi sui segni caratterizzanti il paesaggio identitario del territorio di Stintino e a una mostra fotografica collettiva, con autori italiani e latinoamericani, dedicata a Italo Calvino e l’immagine fotografica, curata da Silvia Massotti, nell’ambito dell’imminente rassegna itinerante In viaggio con Calvino.
MOSTRE 1996 Istituto Italiano di Cultura di Barcellona con la personale Un anno a Ploaghe (catalogo, Ploaghe. storie di ieri immagini di oggi) 2002 Archivio Fotografico Toscano di Prato con la personale Sardegna (catalogo realizzato per la mostra) 2004 17° edizione del festival internazionale Time in Jazz Di Paolo Fresu, con la personale Sardegna, Architettura, Paesaggio, Identità (catalogo della mostra) 2005 2° festival della filosofia di Alghero Filosofia, Arte e Comunicazione Personale Contaminature 2005 Laboratorio di Design Sperimentale WOZ 2. Personale Contaminature
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2007 FESTARCH (1° Festival Internazionale della Architettura di Cagliari) personale 2008 XXIII UIA world congresso of architecture lingotto FIAT di Torino personale
2012 maggio TETHYS GALLERY in via Maggio 58r a Firenze Personale Relitti
2008 VII edizione del festival internazionale della fotografia di Roma personale Relitti Galleria d’Arte Navona 42, Piazza Navona 42
settembre BLENDAGE GALLERY di Appiano Gentile, Como Personale Relitti
2005 2° Festival di Architettura di Parma personale
2008 IV Moscow International Festival of Visual Antropology Mediating Camera. Mosca, ottobre 2008 presentazione con proiezione del progetto Relitti
2006 Istituto Italiano di Cultura di Londra 8 sue immagini nel progetto fotografico La strada felice (catalogo della mostra)
2010 XII SETTIMANA NAZIONALE DELLA CULTURA Tortolì (ex Blocchiera Falchi 17 aprile – 15 maggio 2010) personale L’anima della cartiera proiezione documentario Generazione di carta
2012 ottobre Art Gallery TAHAR HADDAD Cultural Club, Tunisi Personale Routes of Water dicembre Presentazione libro Routes of Water Academie Libanaise des Beaux Arts, Beirut dicembre BEIT AL MAMLOUK Art Gallery, Tiro (Libano) Personale Routes of Water
Catalogo e allestimento a cura di Daniela Boni e Clara Goria Progetto grafico a cura di Gabriele Pinzin - www.gabrielepinzin.it Testi: p.5, Andrea Bajani Avanti, togli il paravento p.8, Clara Goria Relitti. Visioni e luoghi alla deriva del futuro p.12, Davide Virdis Nota alle fotografie p.47, Luca Bianco Camera Caverna Un particolare ringraziamento a Nicoletta Zanella, curatrice della prima edizione del progetto "Relitti" (2004/2008).
Main Sponsor:
Sponsorship:
Technical Sponsor:
lounge restaurant by Kiki
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Le fotografie di Davide Virdis sono luminosi ritratti di luoghi in rovina, silenziosi e abbandonati, dove opere, imprese e sogni sono naufragati e restano sospesi. E’ un mondo dove muri, macchinari, oggetti appaiono friabili e fugaci: ma le loro salde fondamenta sono il tempo e la luce, che conservano e mostrano le tracce ancora significanti di vita, di lavoro e di emozioni delle storie che Virdis raccoglie e evoca. Queste immagini non vanno confuse con la tanto divulgata e forse abusata passione per l’archeologia industriale: sono invece ricerche e testimonianze di parte, e muovono dalla convinzione che l'umanità "è in cantiere", e proprio per questo è ancora umanità.