PREDATORI DEL MICROCOSMO

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Stampa: Lito immagine – Rive D’Arcano (UD) Italy ISBN: 978-88-97123-255 Fotografie e testi: © Emanuele Biggi - www.anura.it © Francesco Tomasinelli – www.isopoda.net Revisioni testi: Simona Ragusa

Tutti i diritti di riproduzione anche parziale del testo e delle immagini sono riservati in tutto il mondo.


Emanuele Biggi | Francesco Tomasinelli

PREDATORI DEL MICROCOSMO

La lotta per la sopravvivenza di insetti, ragni, rettili e anfibi

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| PARTE - Capitolo


PREFAZIONE

di Sveva Sagramola autrice e conduttrice televisiva

La prima volta che ho avuto tra le mani questo libro e l’ho sfogliato, mi sono emozionata. È stato come aprire uno scrigno prezioso, pieno di meraviglie magiche e luccicanti, e per qualche ora sono ritornata bambina, ed ho provato quelle stesse sensazioni di stupore di fronte alla natura, che hanno costellato la mia infanzia, quando con un bastoncino cercavo di esplorare un formicaio, o restavo a lungo ad osservare un ragno tessere la sua tela. Eppure, dopo quasi vent’anni di divulgazione scientifica, avendone viste e sentite tante sul mondo naturale dovrei essere abituata alle scoperte, ma non è così, e proprio in questo sta il bello: la natura non finisce mai di sorprenderci e di insegnarci qualcosa. Lo sguardo esperto e appassionato di Emanuele e di Francesco, è riuscito a cogliere un mondo di creature fantastiche capaci di qualunque magia: trasformarsi, avvelenare, mimetizzarsi, volare, lanciare, tessere, modellare. Pur essendo dotati delle più moderne tecnologie nel campo della fotografia scientifica, di cui sono due straordinari rappresentanti, Emanuele e Francesco restano due esploratori d’altri tempi, che passano ore nelle umide foreste tropicali in attesa di poter realizzare uno scatto, spesso di notte, dopo lunghe attese, e faticose ricerche. Si concentrano su strane creature, insetti, ragni, rettili e anfibi, che in molti di noi destano spesso un sentimento di repulsione, e ci svelano con i loro obiettivi la bellezza nascosta in questi esseri, ricordandoci il loro ruolo fondamentale nell’ecosistema, e non soltanto come sentinelle, ma come anello, indispensabile, della catena della vita, in un Pianeta sempre più fragile. L’arcipelago di Anavilhanas in Brasile, uno dei luoghi più remoti e meglio conservati dell’Amazzonia.

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SOMMARIO

8 | Parte I - UNA CORSA AGLI ARMAMENTI Perché i predatori del microcosmo Quanto deve mangiare un predatore? Morsi e mandibole Reti e trappole Il mondo del veleno Armi chimiche, colle e adesivi Corazze, aculei e spine Mimetismo e camuffamento Chele, pinze e braccia raptatorie

10 | 16 | 18 | 20 | 22 | 24 | 26 | 28 | 30 |

34 | Parte II - STILI DI VITA VIVERE AL LIMITE 36 | I portali dell’inferno 44 | In un oceano di sabbia 56 | Un campo di battaglia in verticale 66 | 76 | 82 | 90 | 96 | 100 | 106 | 110 | 118 | 126 | 134 | 140 | 6

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146 | 154 | 160 | 166 | 172 | 178 |

UCCIDERE È IL MIO MESTIERE Per il dominio della foresta L’impero verde Fuori dagli schemi Mamma vespa e i suoi zombie Le rane dalla “bocca larga” I gamberi venuti da lontano

IL GRANDE INGANNO Il fiore che uccide I maestri tessitori Il ninja dei ragni Una difesa “particolare”

AMORE E MORTE 184 | Salamandre, madri amorevoli 190 | Via alle danze 196 | L’orgia tra i ghiacci

GLI ANTICONFORMISTI. Le strane abitudini delle chiocciole carnivore La stregona dentellata I ragni che hanno imparato a pescare I cacciatori pazienti Dal mare alla foresta La strana coppia Una vita a testa in giù

204 | Parte III - SUL FILO DEL RASOIO LA CONSERVAZIONE DELLA “FAUNA MINORE” 206 | L’isola dei ragni giganti 212 | Anfibi, sentinelle di un mondo che cambia 220 | Bibliografia e glossario


RINGRAZIAMENTI AUTORI

Quando abbiamo scattato questa immagine, che ci vede laceri e sudatissimi, ma anche decisamente contenti, nell’Amazzonia peruviana a luglio del 2016, avevamo già in mente una traccia di questo libro. Siamo andati alla ricerca degli animali protagonisti di Predatori del microcosmo passando giorno e notte in una remota stazione biologica nella foresta. Ma, come potete immaginare, trovare piccoli animali, spesso ben camuffati, in questo “caos verde” può essere molto difficile e richiede tempo ed esperienza. Tante persone a partire dal 2003 (data della foto più “vecchia” di questo libro) ci hanno dato una mano per mettere in piedi attività come questa, dalle semplici uscite di una giornata in Italia, fino a complesse spedizioni in remote foreste tropicali. Alcuni hanno fornito indicazioni sul campo, altri hanno creduto in noi e nelle nostre attività, fornendoci consigli, idee o la possibilità di finanziare viaggi e spedizioni grazie alle nostre mostre scientifiche, come “Predatori del microcosmo”, “Zanne, corazze e veleni” e “Kryptos”. Per questo, oltre alle nostre famiglie e alle nostre compagne, vogliamo ringraziare una lunga lista di persone in gamba sparse in ogni angolo del pianeta, a cominciare dal nostro editore, Daniele Marson e poi Adriano Martinoli, Alberto Chiarle, Alessandro Catenazzi, Alessio Martinoli, Antonino Sciortino e i naturalisti romani, Antonio Ornano, Bruno Cignini, Carla Olivari, Caterina Manganella, Claudio Pia, Clay Bolt, Corrado e Led Lenser Italia, Daniela Pogliani e ACCA, Dario Ottonello, Dayne Braine e Batis Birding Safari, Diana Crestan, Edoardo Razzetti, Elena Amerio e Stefano Cerrato, Elena Grasselli, Elisa Riservato, Emilio Sperone e tutti i ragazzi di UniCal, Enrico Valle, Erminio Ramponi, Fabio De Vita, Fabio Pupin e Anita Rodriguez, Fabio Salaris ed Elisa Barcheri, Fabrizio Oneto, Federico Oteri, Francesca Neonato, Franco Andreone, Francois Theart, Gerardo Garcia, Giacomo Radi, Gianluigi, Enrica e Aldo Bafico, Gil Wizen, Giovanni “Nanni” Bencini, Giuliano Doria, I Revenant, I Will’o’Wisp, Isamberto Silva, Jean Jacques Peres, John Kaprielian, Laura Stritoni, Lilia Capocaccia, Loredana Martinoli, Luca e Marco Bartolozzi, Luca Lamagni, Luis Carlos Crespo, Manuel Biscoito, Marco Boetti, Marco Castellazzi, Marco Isaia, Marco Maggesi, Mark Bushnell e Bristol Zoo Gardens, Mark Carwardine, Massimo Campora, Matteo Grotto, Mauro Paschetta, Michele Lanzinger, Michele Menegon, Neil Aldridge, Nicky Bay, Nicola Destefano, Nicola Messina, Paolo Pantini, Paul Harcourt Davies, Phillip Conradie, Piergiorgio di Pompeo, Pietro Greppi e Laura Floris, Piotr Naskrecki, Raffaella Fiore, Renato Cottalasso, Riccardo Jesu, Roberto Barbuti, Roberto Sindaco, Robin Moore, Rosamund Cox, Rosario Cutolo, Sandro Tripepi, Sebastiano Salvidio, Simona Ragusa, Sophie Stafford, Stefano Brambilla, Stefano Mammola, Stefano, Stephanie, Remi e Bahia Unterthiner, Sveva Sagramola, Tatiana e Leica Optics, Nikon Italia, Tharina Bird, Tommy, Trevor e tutti i Sadist, Vittorio Papi e infine tutti i partecipanti ai nostri corsi e viaggi fotografici.

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UNA CORSA AGLI ARMAMENTI I “predatori del microcosmo” hanno sviluppato tecniche di caccia e sopravvivenza uniche al mondo, dando vita ad una “corsa agli armamenti” complessa e senza sosta, che non ha riscontro, per ricchezza e originalità, in molti degli animali di taglia superiore

La spettacolare parata di minaccia di un ragno nomade brasiliano Phoneutria mette in guardia gli aggressori dal suo morso pericoloso

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Perchè i predatori del microcosmo

I protagonisti di questo libro sono insetti, ragni, scorpioni, centopiedi, rane, lucertole e piccoli serpenti. Si tratta di animali tra loro molto diversi, ma quelli trattati nel testo hanno una caratteristica in comune: sono tutti predatori. ▶▶ Su una palma avvolta dall’oscurità della foresta amazzonica, un ragno nomade Phoneutria, uno dei più velenosi al mondo, attende il passaggio di una preda, che viene individuata a breve distanza grazie alle vibrazioni.

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| UNA CORSA AGLI ARMAMENTI


Ben più del novanta per cento degli animali che vivono sulla terraferma sono Invertebrati. Forme di vita di dimensioni spesso modeste come insetti, ragni, millepiedi, crostacei o cosiddetti “vermi”. Abbiamo difficoltà a credere che questi esseri viventi, che condividono con noi il pianeta, possano avere un impatto profondo su tutti gli ecosistemi. Ma artropodi (il gruppo che comprende animali con scheletro esterno come insetti e ragni) e piccoli vertebrati, come molti rettili e anfibi, hanno vite ben più complesse e rilevanti di quanto si creda. Fin dagli albori della vita sulla Terra sono stati, dopo le piante, i primi attori di ogni habitat che conosciamo. La vita, in questo mondo in miniatura, può essere pericolosa e terribilmente breve; pochi tra questi animali muoiono “di vecchiaia”, semplicemente perché c’è sempre qualcuno che può mangiarli. Passeggiando distrattamente non ci facciamo caso, ma questa lotta per la sopravvivenza avviene continuamente all’altezza dei nostri piedi. E le conseguenze di quanto accade sono più rilevanti di quanto le modeste dimensioni della maggior parte delle specie coinvolte farebbero pensare. Prendiamo i ragni, per esempio, i predatori più diffusi nei nostri campi. Secondo uno studio del 2016 (pubblicato da Nyffeler e Birkhofer sulla rivista “The science of Nature”) la popolazione mondiale di ragni divorerebbe tra i 400 e gli 800 milioni di tonnellate di insetti all’anno. Considerando che l’intera umanità consuma circa 400 milioni di tonnellate di carne e pesce, in pratica i ragni mangiano il doppio delle proteine animali di noi uomini. Si è arrivati

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STILI DI VITA Per i “predatori del microcosmo” l’esistenza non è meno difficile di quella delle loro vittime. Molti di questi cacciatori si sono specializzati in modi sorprendenti, raccontati nelle storie fotografiche che seguono VIVERE AL LIMITE Sopravvivere in ambienti particolari, dove la selezione naturale ha prodotto organismi con adattamenti unici. IL GRANDE INGANNO Le trappole e gli imbrogli più efficaci per catturare le prede ed evitare di essere mangiati. GLI ANTICONFORMISTI Alcuni animali hanno scelto di percorrere vie alternative rispetto alla maggior parte dei loro simili. UCCIDERE È IL MIO MESTIERE Tutti i carnivori devono sopprimere altri animali per sopravvivere, ma alcuni lo fanno con particolare dedizione. AMORE E MORTE Per i “predatori del microcosmo” la riproduzione richiede ai genitori un grande impegno, anche a rischio della vita.

Superbamente nascosto sul tronco di un albero in una foresta del Madagascar, un geco Uroplatus sikorae attende il buio per entrare in attività.

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VIVERE AL LIMITE

I portali dell’inferno Vivere e morire nelle grotte del Borneo Un gigantesco buco nero sprofonda sul fianco di una parete calcarea avvolta dalla fitta foresta tropicale del Borneo malese. È l’entrata della Deer Cave, nel Parco Nazionale di Gunung Mulu, si tratta di una grotta con un immenso tunnel di accesso, tanto esteso che un aereo di linea potrebbe passarci in mezzo senza toccarne le pareti con le ali. Al calar della sera un torrente di sagome scure esce dall’antro: milioni di pipistrelli Chaerephon plicatus (oltre ad un’altra dozzina di specie meno comuni) abbandonano la cavità per andare a caccia di insetti nella foresta circostante. Ma non tutti torneranno indietro. Partendo dai grandi alberi che si trovano nei dintorni dell’accesso, le poiane (Nisaetus cirrhatus e Nisaetus nanus) si lanciano sui pipistrelli nel momento esatto in cui questi lasciano il loro rifugio; più in quota si aggiungono il falco dei pipistrelli (Macheiramphus alcinus) e qualche volta anche il pellegrino (Falco peregrinus), i fuoriclasse del mondo dei rapaci. I chirotteri per confondere i cacciatori si muovono tutti insieme e rapidamente, volando in circolo e dando vita a gigantesche “ciambelle” orizzontali di pipistrelli che ruotano su se stesse sollevandosi nel cielo della sera. Tutti gli individui che si separano dal gruppo, incapaci di competere in velocità con gli uccelli, rischiano di essere catturati nonostante la poca luce presente. I falchi dei pipistrelli, infatti, sono specialisti in grado di individuare le sagome delle loro vittime anche di sera grazie ai grandi occhi ottimizzati per la visione crepuscolare. Compiono incursioni a grande velocità cercando di afferrare al volo le prede in un unico passaggio, protendendo in avanti le zampe artigliate prima dell’impatto. Quando prendono un pipistrello lo divorano in volo sfruttando la grande bocca, più ampia di quella degli altri rapaci: non c’è tempo di fermarsi a mangiare perché ogni individuo cerca di catturare quante più prede possibili nei circa trenta minuti necessari alla colonia per trasferirsi all’esterno della grotta. Di solito ogni falco residente riesce a predare almeno un paio di pipistrelli al giorno, ma queste perdite hanno un impatto minimo sulla grande comunità dei chirotteri. Qualche ora dopo, all’alba, i pipistrelli ritornano nella cavità spingendosi per qualche decina di metri all’interno, per poi aggrapparsi a testa in giù al soffitto in numeri così elevati da rivestire parzialmente la roccia. Non ci sono solo i pipistrelli, ma anche centinaia di migliaia di rondoni (Aerodramus maximus e Aerodramus fuciphagus), che hanno un’attività opposta rispetto a quella dei chirotteri. Sostano di notte nella grotta, quando i pipistrelli sono all’esterno, per volare via la mattina, tornando di frequente per alimentare i loro piccoli. Questa anomala concentrazione di vita animale produce una quantità astronomica Un torrente di pipistrelli esce al tramonto dalla Deer Cave nel Mulu National Park, in Borneo.

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VIVERE AL LIMITE

In un oceano di sabbia Gli incredibili animali del deserto del Namib C’è una sconfinata distesa di sabbia e roccia che si estende lungo la costa Ovest della Namibia, in Africa Meridionale. Questo non è un deserto come gli altri: il Namib, che occupa la porzione occidentale del paese, è infatti il più antico deserto del mondo. Qui per decine di milioni di anni la vita ha inventato tutti i modi possibili per sopravvivere senza l’acqua e il risultato di questo processo sono piante e animali unici al mondo, splendidamente adattati alla siccità. Famoso per le sabbie rosse di Sossusvlei, il Namib è in realtà un paesaggio mutevole, fatto di dune colorate ma anche di graniti e arenarie modellati dal tempo, di desolati paesaggi quasi marziani e aride savane punteggiate dalle acacie. Questo territorio, che si sviluppa per più di 1200 chilometri da nord a sud, ospita il parco nazionale del Namib Naukluft e i vicini Dorob e Skeleton Coast, che assieme vanno a costituire una delle più grandi aree protette di tutta l’Africa. Tra le dune costiere del Namib possono cadere meno di 50 millimetri di pioggia all’anno (per avere un confronto, gran parte dell’Italia è sopra i 1000 millimetri annui) e ci sono luoghi dove non si vede cadere una goccia anche per ventiquattro mesi di seguito. Ma nonostante le grandi difficoltà anche qui c’è vita; una vita ricchissima, inaspettata e molto specializzata. Il merito è della singolare interazione tra queste terre, che durante l’estate australe (da dicembre a febbraio) sono aride e caldissime, e le acque fredde sospinte dalla corrente di Benguela che risale lungo la costa del Sudafrica. L’incontro tra questi due elementi genera nebbie le quali, sospinte dai venti dominanti, penetrano per decine di chilometri all’interno del Namib. È un fenomeno frequente, che si verifica per più di cento giorni all’anno ed è quanto serve per tenere in vita l’intero ecosistema. Tutti gli organismi hanno imparato a sfruttare questa poca acqua, alcuni in modo più ingegnoso di altri. I coleotteri Onymacris, per esempio, durante la notte si portano sulla cima di una duna e attendono con l’addome rivolto verso l’alto che arrivino le nebbie del mattino. Le goccioline d’acqua si condensano sul corpo dell’insetto e scivolano attraverso apposite scanalature delle elitre (i rivestimenti rigidi che coprono le ali) direttamente nella sua bocca, in modo che esso possa bere nonostante viva nel luogo più arido del mondo. L’elegante antilope orice, invece, si sposta alla ricerca di tuberi e meloni del deserto e non teme il calore più estremo. In pieno giorno la sua temperatura interna può salire fino a 45°C; per controllarla l’orice respira più rapidamente e raffredda il sangue che proviene dalla mucosa nasale, il quale scorre attorno alle arterie che portano sangue al cervello, abbassandone la temperatura. Grazie a queste caratteristiche uniche tra le antilopi, gli orici possono attraversare veri oceani di sabbia, materiale che sospinto dal vento può assumere tutte le forme possibili. Le sabbie del Namib sono il prodotto dei continui fenomeni erosivi che hanno interessato queste terre; la porzione di sedimenti Un occhio e poche squame sono l’unico segno di una vipera di Peringueyi (Bitis peringueyi) nascosta nella sabbia del Namib.

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VIVERE AL LIMITE

Un campo di battaglia in verticale La biodiversità sugli alberi delle foreste tropicali Dall’alto la foresta tropicale è una distesa uniforme di alberi, un oceano di tutte le sfumature del verde, con pochi punti di rosso, rosa e giallo dove le piante fioriscono. Ogni tanto, al di sopra di questo piano che si trova a 30-40 metri di altezza, si sollevano pochi alberi più alti, i cosiddetti emergenti, che corrono su fino a 60 - 70 metri. Sotto questi giganti le chiome delle altre piante si sfiorano le une con le altre, evitando di sovrapporsi se non c’è un chiaro dominio in altezza di una specie. Ancora più in basso, sotto la volta della foresta, la luce cala bruscamente, foglie e rami si diradano e compaiono altri alberi, più piccoli e meglio adattati alla penombra, che si ritagliano il loro spazio in questo complesso intreccio. Non c’è fusto che non sia interessato da liane, rampicanti e piante epifite, capaci cioè di crescere su altri vegetali, in un lussureggiante e spettacolare “caos verde”. Gran parte della vita delle foreste tropicali si svolge tra gli alberi, poco al di sopra delle nostre teste, perchè qui si trovano per abbondanza e varietà, più alberi che in qualunque altro luogo del pianeta. In un solo ettaro di foresta di pianura del Perù sono stati individuati 580 alberi di 283 specie diverse, ben più dell’insieme di tutte le specie europee. La competizione tra gli animali è più feroce che mai in questo mondo in verticale, perché per le specie che non volano i punti di passaggio sono limitati (i tronchi, i rami e in parte le foglie della pianta) e innalzano il livello dello scontro. Le cortecce fessurate, i buchi nei tronchi, l’intreccio dei rampicanti, la pagina inferiore delle foglie diventano infiniti nascondigli, mentre i grandi fusti con le radici a contrafforti, le liane che corrono verso la volta e le radici aeree che “piovono” dall’alto sono utilizzate come autostrade da moltissime specie. A prima vista la foresta non mostra molto di questo mondo: è caotica, intricata e minacciosa e nasconde quasi tutte le infinite creature che ospita. Per entrare in sintonia con questo ambiente bisogna muoversi lentamente, con grande cautela e prestare attenzione alle piccole cose. Allora, passo dopo passo, si scopre che ogni parte di una pianta, il tronco di un albero, una modesta raccolta d’acqua tra le foglie di una epifita sono un mondo a parte, ricco di organismi unici e stupefacenti, singoli elementi del più complesso ecosistema del pianeta. Quello che colpisce di più, dopo un po’ di esperienze sul campo, è che non è così facile vedere più volte la stessa specie. La foresta è così strutturalmente intricata, soprattutto in altezza, che milioni di organismi diversi hanno avuto la loro occasione per ricavarsi uno spazio vitale e diversificarsi. Su un solo albero dell’Amazzonia peruviana nel corso di un censimento entomologico sono state trovate 43 diverse specie di formiche, quando in tutta l’Inghilterra sono meno di 40. Ogni specie ha le sue peculiarità: ci sono quelle che costruiscono nidi con residui legnosi, altre che utilizzano le foglie, quelle senza dimora, quelle grandi e solitarie che cacciano da sole, quelle che addirittura sono diventate specialiste della planata: il loro capo dilatato funziona come un aquilone che consente all’insetto di manovrare in aria in caso di caduta, puntando subito verso il tronco. Tra le foglie e i rami, cimici predatrici, mantidi religiose, ragni, centopiedi, lucertole, gechi, rane e piccoli serpenti tendono agguati ad altri animali. Un insieme di migliaia di specie, le cui vite si intrecciano costantemente, e che in molti casi non hanno mai sfiorato il sottobosco della foresta. In questo mondo in verticale, più pericoloso Aggrappato ai rampicanti in una foresta del Madagascar, il geco Uroplatus phantasticus imita in ogni dettaglio una foglia morta. Diversamente dagli altri Uroplatus, che vivono sui tronchi negli stessi ambienti, questa specie frequenta i rami e le liane ricche di vegetazione secca a pochi metri di altezza, nutrendosi di piccoli insetti nelle ore notturne.

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IL GRANDE INGANNO

Il fiore che uccide L’inganno della mantide orchidea Tutta la sua esistenza è votata all’inganno. È soltanto un insetto, precisamente una mantide religiosa, ma è uno degli esempi di mimetismo più sofisticati in natura. A vederla non sembra neanche un animale, piuttosto una pianta. Infatti, più delle 2000 specie di mantidi ad oggi classificate, essa ha investito sul travestimento per sopravvivere e per cacciare. Il suo nome è Hymenopus coronatus o, più semplicemente, mantide orchidea e si trova nelle lussureggianti foreste tropicali di Malesia e Indonesia. Vive meno di un anno ma in questo lasso di tempo deve crescere e riprodursi in uno degli ambienti naturali più ostili e competitivi al mondo, dove le piccole mantidi, così come molti altri insetti, vengono decimate dalle loro sorelle più grandi, da ragni, formiche, coleotteri predatori, e naturalmente da un numero stupefacente di uccelli e mammiferi insettivori. A vedere questa mantide appostata su un’orchidea tropicale non si riesce neppure a capire dove cominci l’insetto e dove la pianta. Un giornalista australiano in viaggio in Malesia che fu tra i primi stranieri a osservare questa specie alla fine dell’Ottocento raccontò di un “sorprendente fiore carnivoro”, senza neanche capire che aveva a che fare con un animale. E in effetti, probabilmente, non c’è nel mondo degli insetti una specie con un “travestimento” così raffinato ed efficace. Ogni sezione del corpo della mantide riprende un qualche dettaglio di un fiore: le zampe maturano espansioni simili a petali, nella parte superiore dell’addome appare una serie di striature longitudinali brunastre che simulano le “linee di guida” di certe orchidee per gli insetti impollinatori. A metà del torace si sviluppa una sottile banda verde che spezza la sagoma della mantide in due irriconoscibili parti di materia vegetale. La testa assomiglia all’apparato riproduttivo di un fiore. Infine in molti individui l’estremità dell’addome è nera. Le mosche ed altri piccoli insetti volanti, infatti, sono attratti maggiormente da un alimento se possono riconoscere loro simili su di esso. La macchia scura di Hymenopus sembra avere questa funzione e garantisce alla mantide un pasto ancora più facile. La messinscena della mantide orchidea però comincia molto prima, al momento della nascita, quando esce dall’ooteca, l’involucro spugnoso contenente le uova, assieme a qualche decina di sorelle. In questa fase non è ancora biancastra, ma nera e arancione. Così facendo imita alcune cimici tossiche senza essere dotata di un alcun veleno: il primo bluff della sua vita. Dopo una decina di giorni la mantide fa la muta e assume forme e colori completamente diversi: il rosso-nero diventa un bianco traslucido con tenui ombreggiature rosate. Ma cambia anche lo stile Una mantide orchidea con una spettacolare livrea di un rosa intenso, che appare in alcuni individui dopo le prime settimane di vita. Questi insetti non sono in grado di cambiare colore come invece riescono a fare alcuni ragni.

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IL GRANDE INGANNO

Il “ninja” dei ragni L’incontro con Portia, un aracnide con una marcia in più I ragni saltatori (famiglia Salticidae) non sono come tutti gli altri ragni. Attivi di giorno, amanti della luce e del sole, cacciano le loro prede come felini in miniatura, ricercandole direttamente a vista. Questi piccoli cacciatori rilevano i dettagli fino a 20 centimetri di distanza; se l’intervallo è maggiore la qualità si riduce progressivamente, ma per un animale di dimensioni tanto ridotte la questione non è di vitale importanza. I ragni saltatori, inoltre, percepiscono i colori e sono molto sensibili al movimento. Degli otto occhi di cui sono dotati solo i due frontali, più grandi e puntati in avanti, forniscono una buona risoluzione, mentre gli altri sei sono meno sensibili e servono per la visione periferica e per rilevare i movimenti lungo i fianchi. Per questo motivo i salticidi hanno un torace molto mobile, indispensabile per puntare con precisione i grandi occhi verso i punti di maggiore interesse. Il loro stile di vita attivo e diurno ha favorito in questi ragni lo sviluppo di forme e colori davvero curiosi: alcuni ricordano in dettaglio formiche o vespe, spesso evitate da molti predatori, altri invece si camuffano nell’ambiente in cui vivono e svaniscono tra le rocce, i detriti o le cortecce. La percezione dei colori è anche utile per poter apprezzare le complesse parate di corteggiamento messe in scena dai maschi, che spesso prevedono un’esibizione con livree molto appariscenti. Come dice il nome, inoltre, questi Aracnidi possono saltare, proiettandosi in aria a distanze che corrispondono alla misura del loro corpo, spesso inferiore al centimetro, moltiplicata fino a 20 volte. Essendo però privi di una muscolatura adatta allo scopo, per saltare usano principalmente il quarto paio di zampe. Esse vengono repentinamente messe “in pressione” da un complesso sistema idraulico interno che le fa distendere, permettendo al ragno di proiettarsi contemporaneamente verso l’alto e in avanti. Ma ad affascinare principalmente gli scienziati sono le capacità analitiche di questi ragni, che sembrano collocarli ad un livello di intelligenza superiore rispetto a tutti i loro parenti. Non sarebbe corretto metterli al livello di un mammifero, ma certo è che nel corso di diversi esperimenti hanno dato prova di comportamenti decisamente complessi, anche grazie alla vista acuta e alla consapevolezza dello spazio. Se avvistano una preda, come per esempio una mosca che si pulisce le zampe su una foglia, possono registrarne la posizione e avvicinarsi a lei scegliendo un percorso non diretto che può prevedere addirittura il temporaneo allontanamento dal bersaglio. Il percorso, quindi, non è casuale, ma pianificato al fine di sorprendere la vittima. Nel corso della manovra i piccoli salticidi possono perdere di vista il loro obiettivo anche per 10-15 minuti mentre si muovono tra la vegetazione; ne ricordano comunque la posizione nello spazio a tre dimensioni, riuscendo alla fine ad avvicinarsi dalla giusta direzione. Non è una mossa banale per un artropode di questa taglia: le mantidi, che sono tra i predatori più specializzati tra gli insetti, non sanno fare nulla di simile. Tra i ragni saltatori quelli del genere Portia, di cui si conoscono circa 17 specie diffuse nelle zone tropicali del Vecchio Mondo, mettono in pratica tecniche di caccia sofisticate per un’impresa molto speciale: la cattura di altri ragni. Andare a caccia di altri predatori comporta non pochi problemi: le prede possono essere decisamente pericolose, dotate di zanne velenifere, di trappole di seta o di una taglia che le mette al riparo da molti nemici. Portia è tanto speciale proprio perché è in grado di “valutare” chi si trova davanti e agire di conseguenza. Si avvicina, osserva, sembra “fare un piano” per poi muoversi nel modo opportuno, con una varietà di approcci che non trova riscontro in altri gruppi di ragni e ha spiazzato gli scienziati che lo studiano da più trent’anni. Per ogni tipologia di preda le diverse specie di Portia hanno un piano ben definito, che può prevedere numerose variazioni in base al contesto. Prendiamo un grande I 2 grandi occhi frontali guidano le manovre aggressive dei ragni saltatori Portia. Gli altri 6 occhi, che si notano a malapena, servono per la visione periferica.

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GLI ANTICONFORMISTI

Le strane abitudini delle chiocciole carnivore I molluschi terrestri che aggrediscono altri animali Nel buio delle cavità sotterranee avvengono cose davvero strane. Piccoli drammi che all’esterno, nel “mondo di fuori”, sarebbero molto improbabili mentre qui, dove le regole dell’ecosistema cambiano, diventano la norma. La chiocciola Oxychilus draparnaudi sembra un mollusco come molti altri, anche se ha colori particolarmente vivi, un corpo blu traslucido e un guscio circolare bruno, semitrasparente e assottigliato, di circa un centimetro e mezzo di diametro. Come molti altri gasteropodi è ermafrodita (tutti gli individui sono sia maschi che femmine e possono fecondarsi a vicenda), ma il suo comportamento alimentare è molto diverso da quello della maggior parte dei suoi parenti: mentre le chiocciole di superficie si nutrono di vegetali, le Oxychilus, abituate a vivere completamente al buio, lì dove le piante non possono crescere, sono diventate carnivore. Si alimentano quindi dei piccoli organismi delle grotte, sia morti che vivi, e sono anche molto voraci. In pratica se si presenta una buona occasione non se la lasciano scappare facilmente, non potendo di solito contare su un’ampia disponibilità di cibo. Gran parte delle prede è costituita da piccoli artropodi di grotta, spesso vicini alla fine della loro vita, ma in alcuni casi anche da falene. L’attacco di una chiocciola ad una farfalla notturna può sembrare un evento incredibile, ma va messo in relazione con le tante particolarità dell’ambiente ipogeo. Una delle specie più frequentemente predate, Scoliopteryx libatrix, è infatti un tipico insetto che si trova nell’anello esterno delle cavità, luogo nel quale si rintana durante il giorno. Le basse temperature e la fase di latenza invernale possono indebolire abbastanza l’insetto da impedirgli di opporre una resistenza convinta all’attacco del mollusco. La chiocciola, infatti, benché sia molto lenta, può rimanere attaccata alla preda anche se la farfalla si muove; riesce a farlo penetrandone il corpo con la radula, una minuscola piastra ornata di denti chitinosi che viene spinta fuori dalla bocca e che verrà poi utilizzata per divorarne le parti molli. Le chiocciole carnivore non sono comunque un’esclusiva delle grotte. Ve ne sono alcune, come le cosiddette “wolf snail” (chiocciole lupo) americane appartenenti al genere Euglandina, che sono formidabili molluschi predatori, specializzati nella cattura di altre chiocciole e lumache (gasteropodi senza guscio). Riescono a percepire chimicamente la presenza di una possibile preda grazie alle loro estroflessioni buccali, simili a baffi, che rilevano la scia di muco delle altre specie. Decisamente più agili delle loro vittime, sono anche più veloci: se necessario possono muoversi al triplo della velocità della tipica chiocciola da giardino (genere Helyx o Cornus) superando addirittura i cento metri all’ora, che per uno di questi animali è un valore di tutto rispetto. Una volta Nella penombra di una grotta dell’Appennino una chiocciola Oxychilus draparnaudi si sposta lentamente sulle rocce a caccia di prede

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106 | PARTE - Capitolo


GLI ANTICONFORMISTI

La stregona dentellata Quando un grillo diventa cannibale Viaggi e documentari ci hanno abituato alle notevoli dimensioni di alcuni insetti tropicali, ma vedere qualcosa di altrettanto grande nelle nostre campagne fa decisamente più impressione. Uno dei pochi insetti che, qui da noi, sembra davvero fuori posto è la Saga pedo, la stregona dentellata, («magicienne dentelèe», come la chiamano i francesi), un enorme grillo verde. In effetti nulla in questa specie è ordinario, a cominciare dalla sua alimentazione. Diversamente da molti altri ortotteri, Saga pedo non consuma mai piante ma si nutre degli insetti e delle loro larve, soprattutto di altri grilli e cavallette. È un predatore da imboscata, che può talvolta rimanere sullo stesso cespuglio per più giorni, catturando le proprie vittime sia di giorno sia di notte. La sua tecnica di caccia ricorda quella delle mantidi, anche se, a differenza di queste ultime, Saga pedo sembra indifferente alle prede fino all’ultimo istante, quando con una velocità e una tenacia sorprendente le afferra con le quattro zampe raptatorie anteriori, dotate di una doppia fila di spine. Essendo privo di veleno il grillo predatore uccide le vittime direttamente con potenti morsi al capo. Le prede più grandi come le mantidi, presenti nel suo menù quando ancora giovani, vengono normalmente evitate, anche se è stata descritta la predazione di una giovane lucertola muraiola Podarcis muralis. Saga pedo è facile da identificare: è un insetto massiccio, gli adulti pesano 5-8 grammi e misurano fino a 12 centimetri, compreso il grande ovopositore a forma di scimitarra. La livrea è generalmente di colore verde pisello, ma sono stati osservati cambiamenti di tonalità in individui collocati sperimentalmente in habitat differenti. La colorazione altamente mimetica è ulteriormente accentuata da una banda bianco-rosa che scorre lateralmente e “spezza” la forma del predatore. Pur essendo un grillo, non possiede zampe posteriori particolarmente adatte a saltare; queste estremità sono invece perfette per arrampicarsi tra la vegetazione e protendersi verso una preda vicina. Le prime due paia di zampe sono invece specializzate e dotate di spine corte e robuste, adatte a immobilizzare le vittime. Quando arriva il momento della riproduzione il nostro enorme grillo predatore non deve neanche scomodarsi a cercare un partner, poiché nella maggioranza dei casi le popolazioni sono costituite completamente da femmine che si moltiplicano per partenogenesi. Ciò significa che queste ultime sono in grado di produrre uova fertili senza lo sperma del maschio, generando individui che sono, a tutti gli effetti, cloni delle madri. Solo nel 2012 sono stati trovati alcuni maschi di questa specie in Svizzera, ma non è del tutto chiaro quanto il loro ruolo sia importante per la riproduzione, vista l’apparente rarità. Verso il culmine della stagione estiva le femmine ormai adulte cercano una zona di terreno protetta e sufficientemente morbida per infilare il loro lungo ovopositore; in seguito depongono qualche decina di uova, capaci di resistere sotto terra per più di 3-5 anni, al riparo dai rigori invernali e dalle primavere troppo secche. Quando arriva l’anno giusto, sufficientemente caldo e piovoso, le giovani ninfe nascono abbastanza presto, generalmente Una femmina adulta di Saga pedo in agguato su un cardo. L’insetto attende immobile che qualcosa si avvicini, pronto a scattare in avanti solo all’ultimo momento.

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110 | PARTE - Capitolo


GLI ANTICONFORMISTI

I ragni che hanno imparato a pescare La vita tra aria ed acqua di Dolomedes e Argyroneta I ragni hanno colonizzato quasi tutte le terre emerse, lasciando solo una piccola porzione dei Poli libera dalla loro presenza. Ma, anche se gli aracnidi hanno antenati marini (tra i quali figuravano immensi scorpioni delle acque costiere lunghi quasi 3 metri, gli euripteridi, vissuti circa 400 milioni di anni fa), non si può dire che i ragni siano animali con una grande affinità per l’acqua. Le eccezioni, però, come spesso accade in natura, non mancano e i ragni con una passione per l’elemento liquido esistono, anche se sono pochi. Tra questi pionieri figurano i cosiddetti “ragni pescatori” appartenenti al genere europeo e nord americano Dolomedes, così come altri diffusi in altri continenti (genere Nilus). Dolomedes plantarius, una specie presente anche in Italia, è un ragno fortemente legato alle acque dolci ricche di vegetazione. Insieme al simile D. fimbriatus è un ottimo “cacciatore d’attesa”, che sosta sulle sponde o nascosto tra le piante, in attesa che una preda capiti a tiro. Sfruttare l’elemento liquido garantisce a questi predatori opportunità quasi sconosciute alla maggioranza dei loro simili. Nuovi mondi, quindi, e nuove fonti di alimentazione, come piccoli pesci, girini o insetti caduti e rimasti intrappolati a fior d’acqua. Un Dolomedes in agguato non ricorre ad una trappola di seta, ma tiene le quattro zampe anteriori ben distese sulla superficie, pronte a rilevare le minuscole vibrazioni trasmesse attraverso il liquido dalla preda. La vista in questo caso gioca un ruolo del tutto secondario. Quando il bersaglio è proprio sotto di lui, a pochi millimetri, il ragno si immerge fulmineo, afferra la preda con le zampe e i cheliceri e la trascina all’asciutto per consumarla in tutta calma. Catture di questo genere non sono una prestazione comune; la maggior parte delle vittime è costituita semplicemente da insetti caduti sull’acqua o che vivono sul bordo dello stagno, ma comunque hanno valso ai Dolomedes il nome comune di “ragni pescatori”. Per camminare sull’acqua questo ragno ricorre ad un efficace trucco: alle estremità delle zampe sono presenti finissimi peli che intrappolano l’aria e che consentono ai tarsi (gli ultimi segmenti delle zampe) di funzionare come piccole boe, sfruttando la tensione superficiale. È uno stratagemma simile a quello impiegato da altri artropodi come per esempio i gerridi, i caratteristici insetti pattinatori delle acque ferme. La vita tra ninfee e canneti, però, è pericolosa; non basta saper nuotare. Per sfuggire ai predatori può essere necessaria un’immersione rapida, una fuga sott’acqua anche di parecchi minuti; in questo caso la respirazione è possibile grazie al sottile strato d’aria imprigionato sul rivestimento di peluria dell’addome. Solo dopo l’accoppiamento, al momento di procreare, la femmina di Dolomedes si allontana (anche se solo di poche decine di centimetri) dall’acqua per deporre le sue uova in un ovisacco anch’esso di seta, ma coperto da un rivestimento idrorepellente. Lo protegge per le tre settimane necessarie Un piccolo pesce Gambusia affinis, specie invasiva in Italia, viene divorato da un ragno pescatore Dolomedes plantarius dopo un rapido tuffo sotto il pelo dell’acqua.

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118 | STILI DI VITA - Gli anticonformisti


GLI ANTICONFORMISTI

I cacciatori pazienti Le invenzioni dei camaleonti per sopravvivere Con quegli occhi capaci di muoversi in modo del tutto indipendente, la lingua a scatto e la pelle in grado di cambiare colore, i camaleonti sono davvero dei fuoriclasse nel mondo dei rettili. Già il loro nome in greco antico ha un significato speciale: “leone che striscia per terra”. Qualcuno nell’antichità deve aver paragonato gli agguati del camaleonte a quelli dei grandi felini, quanto ad efficacia e fattore sorpresa. Di camaleonti, però, non ne esiste una sola specie, ma più di 200, molto variabili per stile di vita e dimensioni; da quelli grandi come un’unghia fino a “giganti” di 60 centimetri di lunghezza. La maggior parte di questi si trova in Africa, soprattutto in Madagascar, ma alcuni sono presenti in Medio Oriente e in Europa meridionale. I camaleonti appartengono al gruppo dei sauri, ma hanno sviluppato caratteristiche molto diverse da quelle dei loro cugini, a cominciare dalla vista. I loro occhi, che vedono a colori con una risoluzione paragonabile alla nostra, sono capaci di muoversi in modo del tutto indipendente uno dall’altro: mentre uno guarda in avanti, oltre il muso, l’altro controlla la zona che si trova alle spalle o lo spazio aereo sovrastante. Questo consente al camaleonte di tenere sotto controllo tutto quello che gli accade intorno senza voltare neppure la testa. Ma quando compare una preda, che tipicamente è un insetto, entrambi gli occhi vengono puntati in avanti, per fornire una valutazione più precisa della distanza. A quel punto tutto è pronto per far scattare la loro arma segreta: una lingua appiccicosa, un vero capolavoro di “tecnologia animale”. Tenuta nascosta nella gola, può estendersi fino ad una lunghezza pari a quella del corpo del camaleonte, con una velocità di quasi 6 metri al secondo. Non è possibile ottenere questa prestazione con la sola forza muscolare ed in effetti questo rettile ha sviluppato un trucco ingegnoso: la grande accelerazione della lingua è dovuta ad una sorta di catapulta naturale posta alla base della stessa, costituita da fogli di collagene, un tessuto elastico, che vengono piegati dai muscoli circostanti quando l’animale sta per attaccare e rilasciati solo al momento di “sparare”. Il funzionamento del nostro arco è basato su una tecnologia paragonabile: noi carichiamo i “flettenti” tendendo il braccio e rilasciamo la freccia dopo aver preso la mira. Proprio come un arciere il camaleonte non tiene la lingua sempre “caricata”, con il muscolo in tensione, ma si prepara solo quando è necessario. Così risparmia energie, ma è pronto all’azione con un minimo preavviso. Questo sistema presenta altri vantaggi: per esempio è poco dipendente dalla temperatura esterna. Il camaleonte, infatti, è un animale a sangue freddo e ha bisogno di calore per muoversi rapidamente e con efficienza. Ma con questo sistema elastico, che richiede un modesto sforzo muscolare (necessario solo per la fase di caricamento), può catturare le sue prede subito, anche nelle mattinate più fredde. Ecco perché i camaleonti sono tra i rettili più a loro agio nelle foreste tropicali di montagna dove le temperature scendono regolarmente sotto i 20 gradi e non consentono grandi sprint ai rettili. Una volta che la lingua piomba sulla preda, la vittima vi rimane invischiata, grazie ad una combinazione di effetto ventosa e saliva; al camaleonte non resta che sfruttare l’effetto elastico per recuperarla e godersi il pasto. La forma del tipico camaleonte è piuttosto insolita, anche per un rettile. Circa metà della lunghezza del corpo è data dalla coda, che funziona a tutti gli effetti come una quinta mano: l’estremità può essere arrotolata attorno ad un ramo per dare un ulteriore punto di appoggio all’animale, proprio come fanno alcune specie di scimmia. Quando la coda non serve è di solito tenuta arrotolata a spirale, in modo da non dare fastidio, ma in alcune specie che vivono sul terreno è molto corta perché la funzione prensile viene a mancare. Le zampe in ogni caso garantiscono una presa eccellente: le dita formano una pinza L’incredibile corno variopinto del camaleonte pinocchio (Calumma gallus) non è una vera arma: proprio dei maschi, è utilizzato come un ornamento con cui sfidare i rivali e sedurre le femmine nella stagione degli amori. Lungo appena una dozzina di centimetri, questo rettile si trova solo in poche foreste del Madagascar orientale ed è considerato una specie in via di estinzione.

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GLI ANTICONFORMISTI

Dal mare alla foresta Le singolari abitudini dei granchi terrestri ai tropici e in Europa Le pressioni della selezione naturale possono avere conseguenze poco prevedibili, portando gruppi animali verso stili di vita nuovi e molto diversi da quelli dei loro antenati. Come “pesci fuor d’acqua”, per esempio, alcuni granchi si sono adattati a vivere anche molto lontano dal mare, l’ambiente tipico nel quale li immaginiamo mentre esplorano gli scogli, in cerca di qualcosa da mettere tra le chele. Questa progressiva “migrazione” da parte di alcune specie verso la terraferma è avvenuta gradualmente, attraverso più livelli di adattamento: la capacità di respirare aria atmosferica, la resistenza alla disidratazione e in alcuni casi anche lo sviluppo di raffinate cure parentali. Alcune delle specie coinvolte hanno avuto particolarmente successo nell’impresa, arrivando addirittura a vivere sugli alberi delle foreste tropicali. Tra questi “pionieri”, i più vistosi sono sicuramente i granchi della famiglia Gecarcinidae, diffusi nelle foreste costiere dei tropici dal Sudamerica fino all’Asia; questi crostacei si nutrono di sostanza organica sia animale sia vegetale ma possono catturare insetti, ragni e anche altri granchi, se ne hanno la possibilità. Le loro dimensioni li facilitano nell’impresa, visto che alcuni Gecarcinus sudamericani possono arrivare a pesare mezzo chilo e superare i 10 centimetri di diametro del carapace. Ma nel loro caso c’è ancora un legame netto e obbligato con l’oceano, al quale devono tornare per deporre le uova: un’operazione non sempre esente da rischi, visto che questi animali sono ormai adattati a respirare fuori dall’acqua e ironicamente rischiano di affogare se rimangono immersi troppo a lungo. L’accoppiamento avviene sulla terraferma e le uova fecondate sono protette dalla madre per circa due settimane; restano attaccate al di sotto del suo addome per poi essere rilasciate tra le onde a decine o centinaia di migliaia, a seconda della specie e della dimensione della mamma. Le larve che nascono non hanno nulla a che vedere con gli adulti; sembrano minuscoli gamberetti, attraversano diversi stadi (chiamati zoeae e megalopa) e si sviluppano per qualche settimana in mare, dove vengono decimate da pesci e invertebrati predatori. Nonostante tutto, c’è sempre qualche superstite pronto a rientrare sulla terraferma e iniziare la migrazione verso le foreste all’interno delle quali passerà il resto della sua vita. I granchi tropicali asiatici del genere Geosesarma, più piccoli e agili dei Geocarcinus, hanno perfezionato l’adattamento alla vita terrestre, affrancandosi per sempre dal mare pur avendo ancora bisogno di un ambiente umido e di qualche raccolta d’acqua nel quale potersi bagnare quando arriva il momento di cambiare l’esoscheletro. In questo caso è stato anche risolto il problema di tornare al mare per la riproduzione, perché lo sviluppo delle larve avviene all’interno di uova che rimangono protette all’interno di una “tasca” che si trova sotto l’addome della madre. Questi crostacei, che nell’aspetto possono ricordare i granchi corridori delle nostre scogliere, sono piccoli predatori e “spazzini” opportunisti, dotati di un’ottima vista e capaci di movimenti laterali sorprendentemente rapidi. Alcune specie di Geosesarma, con un carapace non più grande di una monetina, si sono specializzate addirittura a vivere all’interno degli ascidi (foglie-trappola) delle piante carnivore Nepenthes in Borneo, rubando una parte delle prede catturate dal vegetale e utilizzando il liquido contenuto all’interno della trappola stessa per idratarsi. Ma non serve andare troppo lontano per osservare granchi terrestri: una specie si trova anche in Italia, in alcuni torrenti di collina, dalla Liguria orientale fino alla Sicilia compresa. Questo crostaceo, Potamon fluviatile, sembra davvero fuori posto nei corsi d’acqua circondati da fitta vegetazione nei quali vive; il suo carapace raggiunge i 6 centimetri nei maschi adulti, la livrea è bruno verdastra con riflessi bluastri, le chele grandi e robuste, la parte inferiore di un giallo vivo. Vederlo non è facile, anche perché è attivo soprattutto di notte mentre di giorno (e spesso per tutto l’inverno) se ne sta nascosto in gallerie scavate nei Nascosto all’interno di una trappola della pianta carnivora Nepenthes ampullaria, nel pieno di una foresta del Borneo, un piccolo granchio Geosesarma attende l’arrivo di una preda. Il liquido presente all’interno contiene enzimi digestivi che non sono abbastanza potenti da disturbare il crostaceo. Si tratta probabilmente di una nuova specie, non ancora descritta.

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140 | PARTE - Capitolo


GLI ANTICONFORMISTI

Una vita a testa in giù I gechi che si spingono negli ambienti urbani Si arrampicano sui vetri, i soffitti e le foglie più lisce e scivolose. Possono rimanere appesi a testa in giù per ore, senza il minimo sforzo. Si tratta dei gechi, gli acrobati del mondo dei rettili, tra gli ospiti più comuni delle nostre città e campagne. In molti credono che le loro doti di arrampicatori siano dovute a zampe provviste di ventose, ma il principio è completamente diverso. Osservando da vicino le estremità di questi rettili si scopre che non hanno ventose, ma una successione di lamelle composte da setole infinitamente sottili, dette setae. Ogni millimetro quadrato della zampa ne porta circa 14000, lunghe circa un decimo di millimetro. Ogni seta, inoltre, presenta un migliaio di altre minuscole ramificazioni, le cosiddette spatulae, spesse solo 1/1000 di millimetro e dalla caratteristica forma di spazzola. A cosa servono tutte queste piccolissime strutture, visto che non sono un collante e neppure ventose? Il segreto sta nelle infinitesimali forze di attrazione molecolare, dette di Van der Waals, che si sviluppano quando grandi superfici vengono messe a contatto tra loro. Nonostante si tratti di forze di entità molto modesta, grazie al numero astronomico di punti di contatto presenti su ciascun dito, le zampe dei gechi sono in grado di esercitare un potere adesivo davvero rilevante senza richiedere alcuno sforzo muscolare da parte dell’animale. Si potrebbe pensare che se la zampa aderisce così bene al substrato sarà poi difficile da staccare, nel momento in cui l’animale deve muoversi. Ma il geco ha un trucco: l’adesione alla superficie perde gran parte del vigore se le spatulae non sono più parallele alle microforze. Al rettile basta quindi cambiare l’inclinazione delle setole “srotolando” la zampa (un po’ come avviene con un segmento di nastro adesivo o di VelcroTm) per spostarsi rapidamente. Le loro sorprendenti capacità hanno trasformato i gechi in soggetti di studio molto interessanti. Se ne sono accorte da tempo alcune università americane, come la Stanford University in California. Nel 2006 gli ingegneri sono riusciti a costruire il prototipo di un piccolo robot, il cosiddetto Stickybot, in grado di arrampicarsi sulle superfici lisce grazie ad appendici ispirate alle zampe dei gechi. Le zampe dello Stickybot sono molto meno raffinate di quelle dei rettili e la sua velocità è di soli 4 cm al secondo; un geco di grossa taglia, invece, può coprire almeno 50 centimetri nello stesso arco di tempo. Ma, a quanto pare, l’approccio è quello giusto. Anche in Italia il Politecnico di Torino è all’opera da diversi anni su un progetto simile, che mira a produrre un materiale adesivo fatto di “nanotubi di carbonio”, microstrutture in grado di aderire a qualunque superficie. I nanotubi sono infinitamente sottili (ognuno è inferiore Un geco comune (Tarentula mauritanica) si arrampica facilmente sui vetri di una piccola finestra, pronto a scattare sugli insetti volanti attirati dalla luce. La forza adesiva che lo mantiene in posizione può arrivare in condizioni ideali a 10 volte il suo peso.

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146 | PARTE - Capitolo


UCCIDERE È IL MIO MESTIERE

Per il dominio della foresta L’arte della guerra secondo le formiche amazzoniche In genere il primo animale che si incontra appena si mette piede in una foresta tropicale è una formica: ci sono più specie di formiche in poche centinaia di metri quadrati di Amazzonia che in tutta l’Italia e la loro densità può essere molto elevata. È stato calcolato che le circa 12.000 specie esistenti costituiscono da sole l’1,4% del numero totale delle specie di insetti, ma la loro massa complessiva può essere nell’ordine delle dieci volte maggiore. Molte formiche misurano solo qualche millimetro di lunghezza e danno vita a colonie quasi invisibili nel sottosuolo, alcune invece sono grandi quanto una monetina, localmente molto abbondanti e tra le specie animali più importanti per la foresta. Le Eciton hamatum, cioè le formiche legionarie delle grandi foreste del Sud America, sono tra le più speciali, perché non si comportano come tutte le altre: totalmente carnivore, non costruiscono un formicaio e sono in perenne movimento. Una grande colonia può contenere anche mezzo milione di individui, alcuni dei quali piuttosto grandi (fino a un centimetro e mezzo di lunghezza nei soldati, gigantesche mandibole comprese). Ma un numero così elevato di famelici insetti non troverebbe mai abbastanza cibo in un unico luogo e quindi deve spostarsi continuamente. Le formiche legionarie non usano esploratori ma si muovono in massa alla ricerca di prede dando vita a “torrenti” di operaie e guerrieri che si allargano sul suolo della foresta, avanzando di 20 o 30 metri ogni ora. Il risultato è una specie di super-organismo, armato di migliaia di mandibole e pungiglioni velenosi, che cattura tutti gli animali che non riescono a fuggire: insetti, ragni, ma anche piccoli rettili e anfibi. Alla fine della giornata le formiche si radunano dando vita ad un incredibile “bivacco”, costituito da una massa pulsante di individui di mezzo metro cubo, al centro della quale si trovano le larve e la regina. Quando quest’ultima depone le uova, migliaia ogni giorno, l’esercito si ferma per due o tre settimane nello stesso luogo per dare tempo alle uova di svilupparsi, conducendo i raid da una posizione di partenza. Poi l’orda si rimette in marcia, spostando il bivacco di qualche decina di metri ogni giorno per altre due o tre settimane, fino ad un nuovo ciclo riproduttivo. Il passaggio tra la fase “fissa” e quella “nomade” non è dettato dall’abbondanza di cibo, ma dalla produzione delle uova. Tutto sembra frutto di un’accurata pianificazione finalizzata alla buona gestione della colonia e allo sfruttamento delle risorse. Ma anche se questa rigorosa organizzazione sembra indicare il contrario, le formiche non sono “intelligenti” nel senso umano del termine. Le loro colonie, però, con migliaia, a volte anche milioni di individui, lo sono eccome, anche se non c’è nessuno “al comando”. Le formiche non hanno comandanti eppure fanno cose stupefacenti: Un guerriero di formica legionaria Eciton hamatum pronto a difendere una processione di operaie che scorre sullo sfondo con le grandi mandibole e il pungiglione di cui è dotato.

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154 | PARTE - Capitolo


UCCIDERE È IL MIO MESTIERE

L’impero verde La strategia delle formiche tessitrici per colonizzare gli alberi Ad osservare dal basso una foresta tropicale del Borneo, la “volta” sembra incredibilmente distante: una successione di chiome di alberi giganteschi, alti anche 60 metri, grandi ombrelli di colore verde sullo sfondo del cielo tropicale striato di nuvole. La foresta è così strutturalmente intricata, soprattutto in altezza, che milioni di organismi diversi hanno avuto la loro occasione per ricavarsi uno spazio vitale. Per alcuni la vegetazione è una fonte di cibo o rifugio, ma per molti altri è un territorio da conquistare che richiede un grande spiegamento di forze. È il caso delle formiche tessitrici del genere Oecophylla, presenti nel Vecchio mondo con due specie; una che vive in Africa, Oecophylla longinoda, ed una in Australasia, Oecophylla smaragdina. Entrambe le specie sono totalmente adattate alla vita sugli alberi, che sono per loro un terreno di caccia ma anche una casa da gestire e proteggere. Contrariamente a molte altre formiche, queste non scavano un rifugio nel terreno, ma usano le foglie degli alberi sui quali vivono come materia prima per la costruzione dei loro nidi. Dozzine di involucri verdi, poco più piccoli di un pallone, che emergono tra la vegetazione, arrivando ad interessare fino ad una ventina di alberi adiacenti: un vero e proprio “impero verde” tra le foglie. In questo modo le Oecophylla hanno trovato, evolutivamente parlando, un modo per affrancarsi dal suolo, già conteso da eserciti di formiche rivali che combattono sia per le risorse alimentari che per lo spazio. In più nella volta della foresta le prede non mancano, ma per trovarle bisogna controllare il territorio con una rete di avamposti che si spinga fino ai margini dell’impero. Come tutte le grandi storie di re e guerrieri anche questa comincia in piccolo, con un primo membro fondatore. In questo caso si tratta di una singola regina fecondata, che dopo il volo nuziale si è strappata le ali e si è nascosta in un luogo riparato, una grossa foglia di palma ripiegata dal suo stesso peso. Lì, in un piccolo riparo di seta, la regina inizia a deporre le sue prime uova. Non si sposta e non si alimenta, può contare solo sulle riserve incamerate quando era ancora nel suo formicaio originario. La missione, per assecondare il suo piano di dominio, è semplice: deporre le uova e ottenere le prime operaie in grado di accudirla, andare a caccia e rinforzare il primo nido. Nel giro di qualche settimana le operaie saranno decine, poi centinaia; una colonia supera il migliaio di individui entro un anno dalla fondazione. Il ritmo può essere a volte anche più veloce, se più regine collaborano alla creazione dell’impero. Le operaie sono suddivise in due tipologie: le “minori”, le prime ad essere prodotte dalla fondatrice perché più abili ad occuparsi di uova e regina, che restano vicino ai nidi, e le “maggiori”, che a migliaia escono in perlustrazione sui rami in cerca di prede. Il loro motto è “l’unione fa la forza”: aggrediscono le vittime in gruppi Due operaie di Oechophylla smaragdina impegnate a costruire un nido di foglie in una foresta del Borneo.

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166 | PARTE - Capitolo


UCCIDERE È IL MIO MESTIERE

Mamma vespa e i suoi zombie L’insetto che controlla il cervello degli scarafaggi Esistono in natura animali che vivono a spese di altri. Molte specie si comportano da parassiti, sottraendo risorse senza uccidere necessariamente il proprio ospite, ma alcune si spingono decisamente più in là. Sono i cosiddetti parassitoidi, organismi specializzati, i quali, dopo aver sfruttato l’ospite, lo sacrificano. Molte “vespe solitarie” appartengono a questo gruppo; tra queste la famosa “tarantula hawk”, del genere Pepsis, che attacca i grandi ragni tropicali. Questa vespa riesce col suo pungiglione a paralizzare totalmente la vittima, per poi portarla al sicuro all’interno di un rifugio scavato nel terreno. Sul ragno ancora in vita, ma impossibilitato a muoversi, la vespa depone un uovo dal quale uscirà una larva; da quel momento la larva, che non consuma animali in decomposizione, avrà tanta carne fresca a disposizione per completare il suo sviluppo. Già questa storia presenta diversi elementi horror, ma recentemente è stato descritto il ciclo vitale di un genere di vespe, Ampulex, in grado di fare qualcosa di ancora più diabolico. La vittima è in questo caso uno scarafaggio, un ospite grande il triplo della vespa, che è lunga un paio di centimetri; questo comporta l’impossibilità di trasportare in volo la preda paralizzata fino al luogo prescelto per la deposizione. Sarà il caso di cambiare vittima? Di sceglierne magari una più piccola? No. L’evoluzione è piena di risorse e a volte trova soluzioni che neanche il più grande autore di fantascienza riuscirebbe ad inventare. Le vespe gioiello africane Ampulex compressa sono in grado di entrare a pieno titolo all’interno di questa categoria. Gli adulti della vespa si nutrono del nettare dei fiori, ma per le larve la questione è diversa: hanno bisogno di carne. Gli scarafaggi sono una risorsa ideale: abbondanti e facilmente reperibili, sono tuttavia più grandi della femmina adulta visto che, nella maggior parte dei casi, appartengono alla specie Periplaneta americana, che può arrivare a 5 centimetri di lunghezza. Si tratta di insetti vigili e rapidi nei movimenti, ma la futura madre ha con sé un’arma incredibile, uno strumento chirurgico di altissima precisione: il suo pungiglione. Non appena la femmina di Ampulex scova uno scarafaggio, gli si avvicina e velocemente si aggancia al suo corpo con le grandi e potenti mandibole. Segue una colluttazione simile ad un rodeo in miniatura, durante il quale la vespa esegue due operazioni. La prima, la più semplice, consiste nel pungere lo scarafaggio nel ganglio toracico, il centro nervoso presso il primo paio di zampe, per paralizzare solo temporaneamente il loro movimento Una vespa Ampulex compressa mentre punge uno scarafaggio per immobilizzarlo.

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172 | PARTE - Capitolo


UCCIDERE È IL MIO MESTIERE

Le rane dalla “bocca larga” Agguati e cannibalismo nelle rane toro di Africa e Sudamerica Il suolo umido della foresta amazzonica è una distesa di foglie. Foglie grandi e piccole, rivestite dalle sottili trame dei licheni, consumate da funghi e batteri e appena riconoscibili, oppure ancora verdastre perché cadute da poche ore. Un mondo in miniatura, fatto di anfratti e nascondigli, perfetto per un agguato e terreno di caccia ideale della rana toro Ceratophrys cornuta. Seminascosta tra le foglie, lascia emergere solo la testa, con gli occhi in posizione sopraelevata, periscopi ideali per tenere sotto controllo quanto accade nei dintorni senza doversi muovere. Attende, assolutamente immobile, che qualcosa le passi vicino; a tradire la sua presenza è solo la chiusura occasionale di una palpebra. Ma appena uno scarafaggio o un grillo arrivano a qualche centimetro di distanza la rana si lancia in avanti con le zampe posteriori, tirando fuori la grande lingua appiccicosa, e l’insetto sparisce in una enorme bocca grande quasi quanto lo stesso anfibio. Perché l’arma segreta di Ceratophrys sono le sue mandibole: larghe quanto il corpo e dotate di creste ossee dentate sul palato per bloccare le vittime. Quando le possibilità di incontrare una preda non sono molte, bisogna essere in grado di catturare e trattenere tutto quello che capita: insetti, certamente, ma anche topolini, lucertole e altre rane, a volte talmente grandi da non poter essere ingoiate. In effetti, a causa di questa bocca fuori misura la rana toro sudamericana è nota con un altro nome: “rana pacman”, in riferimento al personaggio tondeggiante e “tutto bocca” protagonista dei video-game degli Anni Ottanta. Un’imboscata non può funzionare senza un buon nascondiglio e infatti questa specie vanta diversi trucchi, non solo per sfuggire ai predatori, ma anche per sorprendere le prede più vigili e attente. Le appendici appuntite e carnose che si trovano sopra agli occhi di Ceratophrys cornuta, per esempio, ricordano le estremità di una foglia, così comuni sul suolo forestale. Per “rompere” del tutto la sagoma, inoltre, queste rane presentano spesso linee chiare longitudinali sul dorso, che sono diverse in ogni individuo, e rendono più difficile al predatore costruirsi una “immagine mentale” di ricerca della preda. Anche in Africa c’è un equivalente ecologico dei Ceratophrys: sono le rane toro africane del genere Pyxicephalus. I due gruppi non sono strettamente imparentati, ma presentano uno stile di vita molto simile, anche se le specie africane hanno sviluppato ancora di più la capacità di sopportare lunghi periodi di siccità. Vivono infatti in aree a Sud del Sahara con spiccata stagionalità e raggiungono dimensioni maggiori delle “cugine” sud americane, con Una Ceratophrys cornuta peruviana nascosta tra le foglie della foresta. Gli occhi sorvegliano tutto ciò che avviene nei dintorni, ma la rana cerca comunque di non muoversi, se non è minacciata da vicino.

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184 | PARTE - Capitolo


AMORE E MORTE

Salamandre, madri amorevoli Le cure parentali della salamandra pezzata e del geotritone Molti animali di piccole dimensioni si affidano ai numeri nel momento della riproduzione: ragni, insetti, rettili e anfibi tendono a fare moltissimi figli ma dopo la nascita non se ne occupano, confidando nel fatto che almeno alcuni di loro riusciranno a sopravvivere fino all’età riproduttiva. Negli anfibi, per esempio, questo approccio è diffuso tra i rospi nostrani (genere Bufo) nei quali, a seconda delle specie, le femmine depongono lunghi cordoni contenenti dalle 5.000 alle 12.000 uova. Ma ci sono anfibi, anche da noi in Italia, che hanno scelto un approccio diverso ed investono molte risorse sulla cura delle loro futura prole a cominciare dallo stadio iniziale, cioè le uova. Le salamandre pezzate (Salamandra salamandra) differiscono da altri anfibi urodeli perché l’accoppiamento avviene sulla terraferma anziché in acqua e le uova non vengono deposte e abbandonate al loro destino, ma trattenute all’interno degli ovidotti; nasceranno soltanto 30-60 larve, un numero decisamente modesto rispetto alle migliaia di uova di moltissime rane. Nel periodo di maggiore vulnerabilità, quello durante il quale crescono nelle uova, i piccoli embrioni si sviluppano all’interno della madre, che è protetta da apposite ghiandole velenifere in grado di rilasciare tossine sulla pelle. Alla fine dell’inverno, dopo la fecondazione avvenuta nella primavera dell’anno precedente, le femmine di salamandra si recano presso ruscelli collinari e pedemontani freschi ed ossigenati ed immergono solo la parte posteriore del corpo in acqua. Sono modeste nuotatrici e se costrette a rimanere troppo a lungo nel liquido potrebbero annegare, ma la posta in gioco vale sicuramente il rischio; ben presto inizieranno a nascere le larve che, dopo 3-12 mesi di incubazione nel ventre materno, dove hanno consumato il ricco sacco vitellino presente nelle uova, avranno sviluppato tutti e quattro gli arti e le branchie. I piccoli di salamandra saranno perfettamente in grado di muoversi rapidamente sott’acqua per sfuggire ad un pericolo e di predare attivamente piccoli insetti acquatici già a pochi minuti dal parto. Altre specie (Salamandra atra e Salamandra lanzai) si sono evolute per saltare del tutto la fase acquatica e dare alla luce pochissimi giovani completamente metamorfosati e terrestri; queste salamandre hanno estremizzato il processo per evitare i freddi ruscelli montani in cui vivono, che non permetterebbero uno sviluppo abbastanza rapido delle larve rispetto al corpo della madre. In queste specie vengono prodotte dalle 40 alle 60 uova per ogni ovario, ma solo una si sviluppa in un embrione vitale, che crescendo si nutre delle altre uova e addirittura di uno speciale strato di cellule prodotte dalla madre per nutrire i figli all’interno dell’utero. Lo sviluppo in questi animali arriva a durare fino a due anni, ma i pochi figli che nascono hanno già dimensioni considerevoli e sono pronti ad affrontare il rigido clima montano che li aspetta. In tutti i casi precedenti le madri si disinteressano completamente della prole, una volta che questa nasce. Ci sono però altri urodeli che hanno alzato il livello Una femmina di salamandra pezzata (Salamandra salamandra) sulle sponde di un torrente di montagna in Appennino.

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AMORE E MORTE

Via alle danze Il corteggiamento dei ragni salticidi Non c’è tra i ragni un gruppo che abbia rotto più regole dei salticidi (famiglia Salticidae), i piccoli aracnidi saltatori tra i quali figura Portia, protagonista di una delle storie delle pagine precedenti. Non sono notturni, come la maggior parte dei loro simili, ma amano la luce, il sole e l’azione. Si muovono come robot in miniatura, guardandosi attorno alla ricerca di piccoli insetti, come mosche e zanzare, cui tendono i loro agguati. Il loro nome comune fa riferimento alla capacità di saltare, ma è la vista che ha condizionato più di ogni altro fattore la vita di questi animali. Come molti altri ragni hanno 8 occhi, ma quelli frontali, più grandi, possono formare immagini dettagliate a breve distanza e percepire i colori, compresa la luce ultravioletta. Questa qualità rende i salticidi ottimi cacciatori diurni, ma ha anche influenzato profondamente il rapporto tra i due sessi. Nella maggior parte degli altri ragni, infatti, il corteggiamento tra la femmina e il maschio è basato su un gioco di segnali chimici lasciati sulla tela da lei e tambureggiamenti sul terreno, oscillazioni e vibrazioni messe in pratica da lui. Tra i salticidi le regole della seduzione assomigliano più a quelle degli uccelli che a quelle dei ragni, con i maschi che mettono in mostra strane espansioni dell’addome, creste e ciuffi colorati, spesso avvolti da peli iridescenti che generano splendidi riflessi quando gli animali si muovono in pieno sole. Armati di questo corredo i pretendenti compiono complesse parate, che possono durare diversi minuti e sono esclusive delle singole specie: fanno segnali con le zampe anteriori, muovendole come ballerini, e sollevano il capo e l’addome. Le femmine esaminano le capacità, l’agilità e lo splendore dei maschi e, se tutto viene fatto a dovere, rispondono ai loro sforzi con appositi segnali visivi, invitandoli ad accoppiarsi. Chi sbaglia paga raramente con la propria vita e quindi anche i maschi meno esperti possono portare a casa la pelle fuggendo velocemente. Visto che ogni specie ha una propria parata di corteggiamento, che prevede una precisa sequenza di movimenti e colori, l’originalità e l’estro non sono apprezzati (perché portano ad errori di identificazione); è invece premiata l’esecuzione rigorosa delle sequenze stereotipate, che consentono alle compagne una rapida selezione dei partner. Recentemente si è scoperto che alcune specie aggiungono agli stimoli visivi anche vibrazioni di vario genere che si propagano attraverso il substrato. Habronattus dossenus, per esempio, oltre alla parata classica, impiega tambureggiamenti sul suolo, sfregamenti delle zampe e rapide oscillazioni dell’addome come sistemi per rafforzare il segnale visivo a breve distanza. Come spesso accade nel mondo degli invertebrati, la femmina, una volta fecondata, ha ben altro da fare che “coltivare” il rapporto con il compagno. Con una livrea sempre più sobria del maschio, che le consente di nascondersi meglio, depone le uova in un involucro di seta fissato al substrato e lo sorveglia costantemente, proteggendolo dai possibili predatori. Il maschio, nel frattempo, è sparito da un pezzo, alla ricerca di altre femmine da corteggiare. I campioni del mondo, per complessità delle parate visive e vivacità dei colori, sono probabilmente i piccoli ragni australiani del genere Maratus, capaci Confidando nel movimento ritmato delle due zampe anteriori ornate di arancione e nel colore vivace dell’addome, un maschio di Philaeus chrysops sta corteggiando con successo una femmina che si trova a circa 5 centimetri di distanza.

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AMORE E MORTE

L’orgia tra i ghiacci L’incredibile accoppiamento di massa delle rane montane C’è una pozza sperduta nell’Appennino Ligure, ben oltre i mille metri di altitudine. Sembra un piccolo, insignificante stagno nascosto tra i faggi, uno specchio d’acqua montano come tanti altri. Invece proprio qui si svolge uno degli eventi più clamorosi che si possano osservare in natura alle nostre latitudini. Succede ogni anno, nel momento del disgelo, che a queste quote corrisponde alle prime belle giornate di aprile. È la temperatura in aumento ad innescare l’assalto. Migliaia di rane montane (Rana temporaria) escono tutte insieme dalla foresta ancora innevata, nella quale si erano nascoste per l’ibernazione, e raggiungono l’acqua per un unico motivo: accoppiarsi. La pozza, ancora piena di ghiaccio, in poche ore si riempie di questi anfibi che cominciano a gracidare senza sosta. I maschi si affannano alla ricerca delle femmine, inferiori per numero ma di taglia maggiore, inseguendole sia sott’acqua sia sulle sponde del laghetto, ancora coperte di neve. A volte sono così focosi da “abbracciare” la femmina in troppi, portandola alla morte. La fecondazione delle rane, infatti, è esterna e generalmente avviene in acqua: il maschio si aggrappa alla compagna da sopra ed emette lo sperma nell’istante in cui questa rilascia le uova. Gli embrioni sono rivestiti da una capsula semitrasparente che si gonfia non appena entra in contatto con l’elemento liquido, dando vita a corpose matasse tondeggianti. Ogni rana emette centinaia, a volte migliaia di uova: così, in un paio di giorni, la pozza si riempie di ovature che occupano quasi tutto lo spazio disponibile lungo la costa. In certi punti sono così abbondanti che le rane camminano letteralmente sulla loro futura prole. A meno di una settimana dall’assalto iniziale l’orgia delle rane si conclude e i pochi ritardatari rimasti, gli individui più provati, rimangono sulle sponde e cominciano a morire. Per gli altri abitanti della foresta i corpi degli anfibi morti diventano un’importante riserva di cibo, da sfruttare in un periodo ancora piuttosto magro. Adesso tocca ai milioni di piccoli embrioni farsi valere. Certo non mancano i predatori (tritoni, uccelli e qualche insetto acquatico), ma le uova sono così numerose da non poter essere consumate tutte. Un paio di settimane dopo, se la stagione non è troppo rigida, la piccola pozza pullula di girini, che sostano in immensi gruppi lungo le sponde. Si nutrono di tutto il materiale organico che riescono a trovare: piante, alghe e, quando capita, anche corpi di piccoli organismi morti. L’aumento della temperatura delle acque superficiali facilita la crescita e la metamorfosi, uno dei processi Il sole primaverile comincia a scogliere la neve in montagna e le rane entrano in attività, dando il via ad un paio di settimane di frenetica attività sessuale.

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204 | PARTE - Capitolo


SUL FILO DEL RASOIO Non sono solo panda, tigri ed orsi bianchi ad essere minacciati. La distruzione degli habitat e i cambiamenti climatici sono pericolosi anche per rettili, anfibi, ragni e insetti, che sono alla base di tutte le reti alimentari sulla terraferma. Un numero crescente di programmi, messi a punto da ricercatori in tutto il mondo, sta cercando di far fronte ai casi piĂš urgenti

Una raganella Boophis viridis del Madagascar si schiaccia su una foglia per essere meno visibile. Gli anfibi sono oggi il gruppo di vertebrati piĂš minacciato al mondo, con un terzo delle specie in pericolo per la perdita di habitat, cambiamenti climatici e patologie.

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206 | PARTE - Capitolo


CONSERVAZIONE

L’isola dei ragni giganti Il progetto per salvare il ragno-lupo più grande del mondo dall’estinzione Leggendo il titolo sembra di avere a che fare con un film di serie-B degli Anni Settanta. Ci sono i ragni-lupo, minacciosi e pure “giganti”. Non manca nessun ingrediente. Eppure un’isola del genere esiste davvero ed è in Europa, anche se persa nell’Oceano Atlantico, a 150 miglia nautiche ad Ovest del Marocco. Deserta Grande, che appartiene all’arcipelago vulcanico di Madeira, di nazionalità portoghese, si solleva da un mare profondo, scuro e tempestoso con ripide falesie. Una lingua di terra lunga e stretta, di non più di 10 chilometri quadrati di superficie e completamente disabitata, fatta eccezione per una piccola stazione del Parco Naturale di Madeira. Ma proprio la sua asperità e lontananza da tutto hanno reso possibile su quest’isola la sopravvivenza di uno dei ragni più interessanti d’Europa. Come un Polifemo dagli otto occhi, esiste un gigante che vive unicamente nella minuscola Valle Castanheira nel nord dell’isola, lunga poco meno di 3 chilometri e larga qualche centinaio di metri al massimo. Hogna ingens, il gigante di Deserta Grande, è il più grande ragno lupo (famiglia Lycosidae) conosciuto al mondo e raggiunge una lunghezza corporea di più di 4 cm che che diventano 12 quando estende le zampe. È un chiaro esempio di “gigantismo insulare”, un fenomeno per il quale una specie, trovandosi relegata in un’area di estensione limitata, può essere spinta dal punto di vista evolutivo a raggiungere una taglia superiore rispetto a quella di altre specie affini. Questo processo spesso si spiega con l’assenza di fattori limitanti come i grandi predatori che catturano facilmente gli individui di taglia maggiore, incapaci di nascondersi, o la competizione per le tane, che favorisce individui più piccoli. Su Deserta Grande questo ragno trascorre una vita piuttosto riservata, riparandosi dalle condizioni secche e ventose del clima insulare al di sotto delle rocce e nelle crepe che costellano la sua valle. Talvolta è possibile scorgerne qualcuno fuori, che fa capolino per termoregolare o asciugarsi dopo una delle sporadiche piogge. Ma è dal crepuscolo all’alba che si concentra il massimo dell’attività di caccia, durante la quale questi animali predano di norma insetti e millepiedi. Gli adulti di questa specie arrivano anche a cibarsi delle grandi cavallette migratrici che arrivano dall’Africa e dei giovani individui di Teira dugesii, una lucertola endemica dell’arcipelago di Madeira. In una lotta continua per la sopravvivenza, succede anche che gli adulti di lucertola riescano a predare le giovani Hogna ingens. Tutto questo non costituirebbe un problema, perché fa parte di una dinamica naturale che ha trovato un equilibrio nel tempo, se non fosse che una specie aliena sta ora minando la sopravvivenza del nostro gigante. Il ragno non è ironicamente minacciato da un altro predatore, bensì da un’erba di origine mediterranea, Phalaris aquatica, la quale è arrivata sull’isola in epoca recente, portata dai naviganti probabilmente attraverso semi intrappolati nei vestiti. Con i suoi lunghi rizomi sta ora invadendo la fertile valle vulcanica nella quale vive Hogna ingens, espandendosi in ogni angolo scoperto di suolo e precludendo al ragno l’accesso ai massi e alle spaccature del terreno. I ricercatori hanno notato che l’avanzata dell’erba costituisce un pericolo soprattutto per i primi stadi di vita dell’aracnide, che sono piccoli e delicati, quindi più a rischio per la mancata protezione dal sole, dal vento e ovviamente dalle lucertole. Il problema ha cominciato ad assumere dimensioni davvero preoccupanti a partire dai primi anni del 2000, poiché l’eradicazione di altre specie aliene come il coniglio ha rimosso gli unici erbivori capaci di tenere a bada la pianta invasiva. Dall’ultimo monitoraggio eseguito nel 2012 si è visto che le zone abitate dal ragno si erano contratte del 81% rispetto al 2005. Lasciare i conigli sull’isola sarebbe stato quindi decisamente meglio per il ragno, ma avrebbe decretato l’estinzione completa di moltissime specie di piante endemiche, altrettanto importanti e degne di essere preservate. Per fortuna la storia di questo ragno potrebbe avere un lieto fine in futuro, perché un gruppo di ricercatori portoghesi (Luis Carlos Crespo, Isamberto Silva, Paulo A.V. Borges e Pedro Cardoso), ha avviato dal 2005 un monitoraggio numerico. Noto per essere uno dei più grandi ragni europei, e il più grande ragno lupo al mondo, Hogna ingens è endemica dell’isola di Deserta Grande,Madeira. Questa specie, non pericolosa per l’uomo, è oggi al centro di un programma di conservazione internazionale

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CONSERVAZIONE

Anfibi, sentinelle di un mondo che cambia La corsa contro il tempo per rallentare la scomparsa di rane e salamandre È notte, piove fitto e lieve, la foresta tropicale è pervasa di centinaia di suoni; cinguettii, chioccolii, scricchiolii, clicks e poi ancora ticchettii, gracidii e via così. Alcuni sembrano gocce d’acqua che cadono, altri tappi sottovuoto che vengono aperti. Un tappeto di emissioni sonore che rimbalzano senza direzione apparente tra le foglie. Sono tutti richiami d’amore e aspre dichiarazioni di guerra. Molti di questi suoni si confondono tra loro, non si riesce a capire se a produrli siano insetti o uccelli notturni; ebbene, nella maggioranza dei casi ogni ipotesi risulterebbe sbagliata, perché in realtà le vere responsabili di questo concerto sono le rane. Decine di specie che dal terreno alla volta verde fanno risuonare la foresta come una cassa armonica gigantesca, uno dei più grandi spettacoli canori della natura. Ora immaginate di tornare in questo posto di anno in anno per vent’anni e di accorgervi che il coro della natura si sta affievolendo, con i suoi cantori principali licenziati brutalmente da un subdolo male che li sta sterminando. Gli anfibi, oggi il grande gruppo di vertebrati più minacciato in assoluto, sono presenti sulla Terra da milioni di anni con migliaia di forme, adattamenti e colori. Attualmente se ne conoscono all’incirca 7660 specie, diffuse in tutti i continenti fatta eccezione per i poli. Si tratta in gran parte di rane, rospi e raganelle, rappresentati in Italia da poco meno di una trentina di specie ma ben più numerosi nelle foreste tropicali del Vecchio e Nuovo Mondo. Qui vivono rane mimetiche, camuffate tra le foglie e i rami, così come altre dalle livree sgargianti, che “gridano” ai possibili predatori la presenza di sostanze tossiche prodotte dalle numerose ghiandole cutanee. La pelle di questi animali è qualcosa di unico ed evolutivamente affascinante; pur essendo umida e morbida, priva di squame o placche, è infatti una barriera che protegge dai pericoli esterni nonché uno strumento importantissimo per la loro respirazione, idratazione e per lo scambio di sali. Nella pelle degli anfibi è presente una moltitudine di ghiandole, tra cui le granulari, che sono in grado di secernere le più svariate sostanze: ammine, peptidi, proteine, steroidi e alcaloidi sia lipo sia idro-solubili. Tutte, a eccezione degli alcaloidi che vengono estratti dal cibo di cui le rane si nutrono, sono prodotte dalle rane stesse. I predatori non specializzati che dovessero malauguratamente addentare un rospo tossico, starebbero così male da ricordarsi della brutta esperienza e la volta successiva lo eviterebbero accuratamente. Alcune di queste sostanze non sono però solo una protezione dai grandi animali, ma hanno importanti proprietà antimicotiche e antibatteriche. Avere una pelle così umida e permeabile vuole dire avere una porta sempre aperta verso l’esterno, potenziale ricettacolo di microrganismi patogeni. Grazie alle loro batterie di veleni e farmaci naturali questi animali sono riusciti a sopravvivere nella staffetta evolutiva di generazione in generazione; purtroppo Gli anfibi, come questa splendida raganella amazzonica Phyllomedusa tomopterna, sono oggi il gruppo di vertebrati più minacciato al mondo.

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BIBLIOGRAFIA

I testi di questo libro, così come le immagini, sono frutto di molta attività sul campo e della consultazione di svariate pubblicazioni, per lo più articoli scientifici in riviste specialistiche. Nell’elenco che segue proponiamo una selezione dei testi più interessanti e divulgativi che ci hanno fatto da guida, tramesso le scoperte più recenti e fornito idee e ispirazione. Attenborough D. - Life in the undergrowth. BBC Books Attenborough D. - Life in cold blood. BBC Books Barth F.G. - A spider’s World: senses and behavior. Springer-Verlag Beccaloni J. - Arachnids. University of California Press Brunetta L., Craig C.L. - Spider Silk: Evolution and 400 million years of spinning, waiting, snagging and mating. Yale University Press Carwardine M. - Extreme nature. Harper Collins Publishers Carwardine M. - Natural History Museum Book of Animals Records. Firefly Books Cloudsley Thompson J.L. - La zanna e l’artiglio. Bollati Boringhieri Dalton S. - Spiders, the ultimate predators. Firefly Books Douglas J. Emlen e David J. Tuss. - Animal weapons: the evolution of battle. Henry Holt & Co Duellman W.E., Trueb L. - Biology of Amphibians. Johns Hopkins University Press Einsner T. - For love of insects. Belknap Press Einsner T., Eisner M., Siegler M. - Secret weapons. Belknap Press Ferrari M. - L’evoluzione è ovunque. Codice Edizioni Fauna Magazine, US Foelix R. F. - Biology of spiders. Oxford University Press Forbes P. - Dazzled and deceived: mimicry and camouflage. Yale University Press Greene H.W., Fodgen M. - Snakes, the evolution of mistery in nature. University of California Press Herberstein M. E. - Spider Behaviour. Cambridge University Press Jones R. - Extreme insects. Harper Collins Publishers Kricher J, 1997. - A neotropical companion. An introduction to animals, plants and ecosystems of the New World tropics. Princeton University Press Marent T., Jackson T. - Frog. Dorling Kindersley Matt Simon - The wasp that brainwashed the caterpillar. Headline Publishing Moffet M.W. - Adventures among ants. University of California Press Naskrechi P. - The Smaller majority. Belknap Press National Geographic Magazine, USA Signorile L. - L’orologiaio miope. Codice Edizioni Stevens M. - Cheats and deceits. Oxford University Press Wickler W. - Mimicry in plants and animals. Littlehampton Book Services Ltd Wilson E.O., Holldobler B. - Journey to the Ants: a story of scientific exploration. Belknap Press

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Indice dei nomi scientifici delle specie e delle famiglie. Se la specie ha un nome comune consolidato questo è riportato, altrimenti è indicato solamente il gruppo generico di appartenenza. Le pagine in grassetto contengono almeno una fotografia della specie.

Acanthoplus discoidalis, grillo 165 Achatina, chiocciola 103 Aeluroscalabotes dorsalis, geco 13 Aerodramus fuciphagus, rondone 37 Aerodramus maximus, rondone 37, 41 Aloidendron dichotomum, pianta 46 Ameerega trivittata, rana 215 Ampulex compressa, vespa gioiello 166-171 Ancylometes, ragno 163 Anelosimus eximius, ragno 87 Aplopeltura boa, serpente 65 Argiope appensa, ragno 86 Argiope bruennichi, ragno 22 Argiope, ragno 23, 85 Argyroneta aquatica, ragno palombaro 113, 116, 117 Astacus leptodactylus, gambero 181 Avicularia, migale 161 Batrachochytrium dendrobatidis, fungo patogeno 214 Batrachochytrium salamandrivorans, fungo patogeno 218 Belostoma, cimice acquatica 165 Beelzebufo ampinga, rana toro preistorica 177 Bitis caudalis, vipera cornuta 25, 55 Bitis peringueyi, vipera di Peringuey 45, 52, 54 Biton, solifugo 48 Boiga irregularis, serpente 86 Boiga, serpente 139 Bombina pachypus, ululone appenninico 218 Boophis viridis, rana 204 Brachinus, coleottero bombardiere 26 Bradypodion taeniabronchum, camaleonte 124 Brookesia superciliaris, camaleonte 121 Caerostris darwinii, ragno 84, 85 Calumma brevicornis, camaleonte 120 Calumma gallus, camaleonte pinocchio 120 Calumma parsonii, camaleonte di Parson 122 Carparachne aureoflava, ragno delle dune 50, 51

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Cephalotes atratus, formica 63 Ceratocaryum argenteum, pianta 98 Ceratophrys ornata, rana pacman o rana toro 173-176 Cerberusa caeca, granchio 42 Chaerephon plicatus, pipistrello 37, 41 Chamaeleo namaquensis, camaleonte di Namaqua 52 Chiasmocleis ventrimaculata, rana 134, 135, 136, 137, 138, 139 Choeradodis, mantide foglia 67, 70 Coccinella septempunctata, coccinella dai sette punti 28 Comicus, grillo delle dune 48 Cupiennius coccineus, ragno nomade 163 Cupiennius, ragno nomade 161 Cyclosa, ragno 97 Dedrobates tinctorius azureus, rana freccia 30 Deinopis, ragno 88, 89 Dendrobates, rana 163 Dendropsophus leucophyllatus, rana 215 Dendropsophus, rana 218 Dispholidus typus, serpente boomslang 122 Diversibipalium, planaria terrestre 58 Dolomedes fimbriatus, ragno pescatore 111 Dolomedes plantarius, ragno pescatore 110, 111 Dolomedes, ragno pescatore 163, 111-115 Eciton hamatum, formica legionaria 146, 147 Eciton, formica legionaria 146-151 Eprinus, coleottero 98 Euglandina, chiocciola carnivora 101, 102, 104, 105 Euryattus, ragno 95 Falco peregrinus, falco pellegrino 37 Furcifer pardalis, camaleonte leopardo 123, 125 Galeodes, solifugo 164, 165 Gambusia affinis, pesce 110 Gasteracantha versicolor, ragno 59 Gasteracantha, ragno 29

Gastrotheca excubitor, rana 216 Gecarcinus, granchio 127, 128 Geosesarma, granchio 127, 129 Gildella suavis, mantide 64 Gongylus gongyloides, mantide 74 Gonocephalus borneensis, sauro 65 Gonocephalus grandis, sauro 17 Habronattus dossenus, ragno 193 Hagenius brevistylus, libellula 165 Hemidactylus, geco 136 Heterometrus, scorpione 18 Heterophrynus elephas, aracnide 19, 60 Heterothele, ragno 137 Hogna ingens, ragno 207-211 Hogna maderiana, ragno 211 Hogna nonanulata, ragno 211 Hogna schmitzi, ragno 211 Hydromantes strinatii, geotritone 185-191, 218 Hydromantes supramontis, geotritone 187 Hymenopus coronatus, mantide orchidea 76-81 Hysterocrates, ragno 137 Idolomantis diabolica, mantide 73, 74 Lampropeltis triangulum campbelli, serpente falso corallo 30 Leptodactylus andreae, rana 135 Lethoceros, cimice acquatica 165 Leucorchestris arenicola, ragno 51 Ligariella, mantide, 69 Linyphia, ragno 86 Liphistius, ragno 23 Lyssomanes, ragno 12 Macheiramphus alcinus, falco dei pipistrelli 37, 40 Manticora, coleottero 20, 21 Mantis religiosa, mantide 73 Maratus, ragno 193 Mastigoproctus, aracnide 26 Mediodactylus kotschyi, geco 144 Megaloremmius leo, ragno 62


INDICE DELLE SPECIE Meroles cuineirostris, lucertola 53 Micrathena, ragno 29 Monocentropus, ragno 137 Naja naja, cobra dagli occhiali 25 Nasutitermes, termite 27 Nepa, cimice acquatica 165 Nepenthes ampullaria, pianta carnivora 126, 129 Nepenthes, pianta carnivora 127 Nephila madagascariensis, ragno 84 Nephila, ragno 89, 161 Nilus, ragno 111 Odontomachus hastatus, formica 21 Odontomachus, formica 20 Oechophylla longinoda, formica 155 Oechophylla smaragdina, formica 154-159 Onycophora, verme di velluto 26 Onymacris, coleottero 45, 47 Oophaga histrionica, rana 58 Orconectes limosus, gambero 181 Oxychilus draparnaudi, chiocciola 100, 101, 102 Pachydactylus rangei, geco palmato 53 Pacifastacus leniusculus, gambero della California 181, 183 Pamphobeteus, ragno 134-139 Pandinus, scorpione 18 Papilio, farfalla 98 Parabuthus villosus, scorpione 49 Parabuthus, scorpione 24 Paraponera clavata, formica proiettile 87, 146153 Partula, chiocciola 103 Peripatoides novaezealandiae, verme di velluto 27 Periplaneta australasiae, blatta 38, 42 Periplaneta americana, blatta 166-171 Peucetia viridans, ragno lince 24 Phalaris aquatica, pianta 207, 211 Philaeus chrysops, ragno 192-195 Philodromidae, ragno 32

Phoneutria, ragno nomade 9, 11, 181 Phrynarachne decipiens, ragno 96, 97 Phrynarachne rugosa, ragno 98 Phrynarachne, ragno 96-98 Phrynosoma, sauro 26, 27 Phyllobates, rana 26, 163 Phyllocrania paradoxa, mantide 68 Phyllomedusa tomopterna, rana 212 Poecilotheria ornata, ragno 136 Poecilotheria subfusca, ragno 136 Poecilotheria, ragno 137, 161 Poiretia dilatata, chiocciola 103, 105 Polypedates otilopus, rana 15 Polyrhachis ypsilon, formica 28 Pomatias elegans, chiocciola 103, 105 Portia schultzi, ragno 90-95 Potamon fluviatile, granchio di fiume 126-133, 181 Pristimantis, rana 218 Procambarus clarkii, gambero della Luisiana 178-183 Prosopocoilus giraffe, coleottero 20 Psechrus, ragno 40, 42 Pseudocreobotra wahlbergii, mantide 74 Pyxicephalus adspersus, rana toro africana 172177 Ramanella nagaoi, rana 136 Rana temporaria, rana montana 196-203 Reduviidae, cimici predatrici 21, 31, 32, 99 Rhacophorus pardalis, rana 63 Rhaphidophora, grillo 42 Riodinidae, farfalle 33 Rulyrana spiculata, rana 216, 217 Saga pedo, grillo 106-109 Salamandra atra, salamandra nera 185 Salamandra lanzai, salamandra di Lanza 185 Salamandra salamandra, salamandra pezzata 184-187 Saribia tepahi, farfalla 33

Scoliopteryx libatrix, falena 101, 102 Scolopendra cingulata, centopiedi 164 Scolopendra heros, centopiedi 14, 164 Scolopendra, centopiedi 24, 163, 165 Scytodes, ragno 93 Sibylla pretiosa, mantide 72 Speleomantes, vedi Hydromantes Sphaerotheriida, millepiedi 28 Sphodromantis lineola, mantide 16, 164 Stegodyphus mimosarum, ragno 92, 93 Tarentula mauritanica, geco comune 140-145 Tegenaria maderiana, ragno 211 Teira dugesii, lucertola 207 Tenebrionidae, coleotteri 28 Tettigonia viridissima, grillo 109 Thaumasia, ragno 162 Theloderma asperum, rana 97, 99 Theraphosa blondi, ragno 162 Thereuopoda longicornis, centopiedi 40, 43 Theridiosomatidae, ragni 87, 88 Thermophilum, coleottero 26 Tribolonotus novaeguineae, sauro 26 Tropidolaemus subannulatus, serpente 64 Typhlacontias brevipes, sauro 54 Tytius aesthnes, scorpione 61 Uroplatus phantasticus, geco 57 Uroplatus sikorae, geco 31, 35 Uroplatus, geco 30 Vipera ammodytes, vipera dal corno 165 Vipera aspis, vipera 25 Welwitschia mirabilis, pianta 46 Xenesthis immanis, migale 136Â

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