UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI STUDI UMANISTICI Corso di Laurea Triennale in Scienze Umane dell’Ambiente, del Territorio e del Paesaggio
IL TURISMO MONTANO: LE TRASFORMAZIONI DELLA CITTÀ ALPINA
Relatore: Prof. Dino GAVINELLI Elaborato finale di: Daniele VERGA Matricola n. 831135
Anno Accademico 2015-2016 1
INDICE
Introduzione
4
Capitolo 1 - La città di montagna in Italia e nel mondo
6
1.1 - Lo sviluppo urbano e il popolamento delle Alpi
6
1.1.2 – La popolazione delle Alpi
11
1.1.3 – Il clima delle città alpine
22
1.2 - La città alpina europea
26
1.2.1 – Analizzare e studiare le città alpine
26
1.2.2 – Le città alpine della Francia
28
1.2.3 – Le città alpine della Svizzera
30
1.2.4 – Le città alpine della Germania
31
1.2.5 – Le città alpine dell’Austria
33
1.2.6 – Le città alpine della Slovenia
34
1.2.7 – Convenzione delle Alpi, CIPRA, Perle delle Alpi e Città alpina dell’anno
34
1.3- La città alpina in Italia
38
1.3.1 – Le comunità montane in Italia
42
1.3.2 – Le attività delle comunità montane
48
Capitolo 2 – Il turismo montano e le trasformazioni delle città alpine
51
2.1 – Il turismo nelle città alpine
51
2.1.1 – La nascita del turismo montano
51
2.1.2 – La localizzazione del turismo montano
58
2.1.3 – Il turismo sostenibile
63 2
2.2 – Le trasformazioni materiali, spaziali e urbanistiche 2.2.1 – Le grandi trasformazioni della Storia contemporanea
64 66
2.3 – Le trasformazioni socio-economiche
78
Capitolo 3 – Alcuni casi italiani
82
3.1 - La Valle d’Aosta: Courmayeur, Cervinia, Chamois
82
3.1.1 – Courmayeur
85
3.1.2 – Cervinia
91
3.1.3 – Chamois
94
3.2 - La Lombardia: Lecco, Bormio, Livigno 3.2.1 – Lecco
96 98
3.2.2 – Bormio
102
3.2.3 – Livigno
105
3.3 - Il Trentino Alto Adige: Canazei, Madonna di Campiglio, Trento
108
3.3.1 – Canazei
111
3.3.2 – Madonna di Campiglio
113
3.3.3 – Trento
114
Conclusioni
119
Bibliografia
121
3
INTRODUZIONE Questa analisi è motivata, in prima istanza, da una forte passione personale verso la montagna, l’ambiente alpino e le evoluzioni che il territorio montano subisce. In particolare poi si vorrebbero analizzare alcune città dell’arco alpino italiano interessate dal turismo montano, per cercare di comprendere meglio se esso abbia portato o meno benefici al contesto studiato. Non verrà considerato solamente l’aspetto puramente economico, ma anche l’impatto che un flusso di visitatori ha portato nella società, nella cultura, nella realtà urbana e nell’evoluzione della città alpina italiana. Attraverso le analisi condotte da geografi esperti in materia tra cui Fabrizio Bartaletti, Gino De Vecchis e Guglielmo Scaramellini, si cercherà di mettere in luce la storia, lo sviluppo e i molteplici fattori che determinano e influenzano le trasformazioni di una città alpina. Di particolare utilità sono risultate le analisi condotte da Bartaletti (1994; 2004; 2011)1, che si è soffermato sull’evoluzione delle città alpine e su un’attenta e dettagliata descrizione delle località turistiche dell’arco alpino. Scaramellini (1998; 2011)2 si è concentrato soprattutto sull’evoluzione della società alpina, così come ha fatto anche De Vecchis (1992)3, che ha anche analizzato nello specifico le comunità montane italiane. Entrambi hanno costituito una solida base di partenza. Molte informazioni sono state estrapolate anche da alcuni siti ufficiali4, dove è stato possibile accedere a numerosi dossier. Infine inevitabile fonte di ispirazione sono stati anche i frequenti soggiorni in alcune località alpine indagate nello specifico. Il documento si presenta pertanto suddiviso in tre capitoli, che, partendo da un’analisi globale e generale, si concentreranno poi su alcuni casi specifici di studio.
1
Bartaletti F., 1994, Le grandi stazioni turistiche nello sviluppo delle Alpi italiane, Patron editore, Bologna. Bartaletti F., 2004, Geografia e cultura delle Alpi, FrancoAngeli, Milano. Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano. 2 Scaramellini G.-Dal Borgo A. G. (a cura di), 2011, Le Alpi che cambiano, tra rischi e opportunità, Innsbruck University Press, Innsbruck. Scaramellini G. (a cura di), 1998, Montagne a confronto, Alpi e Appennini nella transizione attuale, G. Giappichelli Editore, Torino. 3 De Vecchis G., 1992, La montagna italiana, verso nuove dinamiche territoriali: i valori del passato e le prospettive di recupero e sviluppo, Edizioni Kappa, Roma. 4 www.alpenstaedte.org-sito ufficiale delle “Città alpine dell’anno”; www.comunitàmontane.it; www.cipra.itsito ufficiale della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi.
4
Nel primo capitolo verranno presentate le Alpi, la storia del loro popolamento e della loro progressiva urbanizzazione. La ricerca si restringerà nella zona europea con un’analisi delle città alpine, per passare poi ai comuni montani in Italia. Si analizzeranno in seguito realtà associative caratteristiche dei territori alpini come le comunità montane, gli enti sovranazionali e transfrontalieri e le varie organizzazioni nazionali, regionali e locali. Nel secondo capitolo si entrerà più nello specifico analizzando le trasformazioni delle città alpine. Si tratta di mutamenti materiali, spaziali, architettonici, urbanistici, sociali, culturali ed anche economici. Verrà preso in esame il turismo montano, dalla sua comparsa fino al periodo contemporaneo, attraverso le sue articolate fasi evolutive. Infine ci si soffermerà maggiormente sull’impatto che questo fenomeno ha avuto sulle città alpine. Nel terzo ed ultimo capitolo verranno esaminati alcuni casi specifici e significativi dei diversi processi di urbanizzazione messi in campo. In Valle d’Aosta sono state scelte le città di Courmayeur, Cervinia e Chamois; in Lombardia quelle di Lecco, Bormio e Livigno; in Trentino invece Canazei, Madonna di Campiglio e Trento. Per queste città il turismo rappresenta oggi il motore economico principale ma non tutte, come vedremo, hanno reagito a tale fenomeno in maniera unidirezionale. Fabrizio Bartaletti afferma infatti che la reazione della popolazione locale di fronte all’irruzione della società moderna, secondo Batzing, è stata sostanzialmente di due tipi: irrigidimento e chiusura nei confronti della civiltà “urbana”, a difesa del mondo e della società tradizionale, o negazione della società e dei valori tradizionali, che vengono rimossi per favorire una completa integrazione con quelli “moderni” (Bartaletti 2004, p. 197). Alcune città hanno completamente modificato il loro assetto urbano e spaziale e hanno abbandonato la tradizionale cultura di montagna, trasformandosi in centri urbani paragonabili a città di pianura, altre hanno mantenuto le loro peculiari caratteristiche alpine, spesso non espandendosi a livello urbano, altre ancora invece hanno saputo trovare un equilibrio tra lo sviluppo economico che il turismo ha creato e la salvaguardia di quelle caratteristiche culturali, linguistiche, sociali, architettoniche e urbanistiche locali.
5
CAPITOLO 1 – LA CITTÀ DI MONTAGNA IN ITALIA E NEL MONDO 1.1 - Lo sviluppo urbano e il popolamento delle Alpi
Fig. 1. L’immagine mostra una rappresentazione cartografica dell’arco alpino e dei paesi interessati: Monaco, Francia, Svizzera, Italia, Liechtenstein, Germania, Austria e Slovenia (www.alpconv.org). Prima di iniziare ad analizzare le città alpine, è inevitabilmente necessario presentare in breve l’arco alpino, la sua estensione, la sua forma e i suoi confini. Una prima definizione afferma che Le Alpi si sviluppano ad arco dal limite tradizionale del Colle di Cadibona o Bocchetta di Altare (459 m s.l.m.), tra le valli del Letimbro e della Bormida, fino alle pendici orientali della dorsale del Wienerwald, comprendendo comuni come Klosterneuburg o Purkesdorf già nell’area metropolitana di Vienna. Il loro sviluppo lineare è di circa 1200 km. Lo spessore delle Alpi varia da 120-150 km fra Avigliana (Torino) e Grenoble, con forte asimmetria fra il versante italiano (appena 25 km tra il Monviso e la pianura!) e quello francese, e ben 250 km fra Verona e Monaco di Baviera (Bartaletti 2011, pp. 15-16). Oltre a questa definizione dell’ambiente fisico è utile anche un’introduzione alla geografia della popolazione dell’arco alpino. Il popolamento delle Alpi, sin dall’antichità, ha visto la formazione dei primi nuclei insediativi e poi la nascita di vere e proprie città. 6
L’urbanizzazione dell’intero arco alpino fino al periodo contemporaneo consente di analizzare i periodi di crescita, di decrescita e di stabilità. Ad eccezione di alcuni casi unici e rari risalenti al Paleolitico, i primi insediamenti stabili di popolazione dedite all’agricoltura, all’allevamento e alla produzione di ceramiche risalgono al V-III millennio a.C. (Neolitico). Nelle zone della Valle d’Aosta, nel Vallese, in Val Camonica, in Val d’Adige e nella Valle del Reno avvennero i primi insediamenti. Le popolazioni ricercavano zone fertili (create dall’esondazione dei fiumi), senza rischi di frane o valanghe e con un buon approvvigionamento idrico; si recavano così nei terrazzi vallivi e negli sbocchi di ripide valli laterali. Una prima, forte spinta di colonizzazione si registrò nell’Età del Ferro, con l’arrivo dei Celti, che si instaurarono e colonizzarono una massiccia area delle odierne Alpi Orientali e delle Alpi Occidentali francesi. In Italia il popolo dei Reti, stanziato tra il Lago Maggiore e il Piave e tra il Lago di Costanza e la bassa Valle dell’Inn, aveva sviluppato una buona rete insediativa. Già prima dell’arrivo dei Romani esistevano quindi realtà agricole, come citate sia da Plinio che da Strabone, il quale si soffermava sulle forme di baratto adottate dai Liguri: cera, miele, formaggi e soprattutto la pratica dell’alpeggio, che diventerà poi un tratto caratteristico dei popoli alpini. Bartaletti (2011)5 sostiene che l’arrivo dei Romani segnò un importante periodo di svolta nella regione alpina. Il loro arrivo fu dovuto principalmente a ragioni militari e strategiche, legate al controllo delle vie di comunicazione verso la Gallia. In alcune aree i Romani si imposero in maniera pacifica e rapida, in altre invece, come nell’area ligure, trovarono una forte resistenza dei popoli locali. Il 7-6 a.C. viene considerata la data ufficiale della conquista delle Alpi, celebrata con l’innalzamento nel centro di Turbia, tra Mentone e Nizza, di una colonna sulla quale sono stati incisi i nomi delle 45 popolazioni alpine sottomesse. Ai Romani si devono la costruzione di strade lastricate che hanno permesso una riduzione delle distanze in termini temporali tra territori anche lontani e l’innesto di nuove coltivazioni come la vite e il castagno, oltre che ovviamente la fondazione di centri abitati e quindi un conseguente sviluppo demografico. Con la caduta dell’Impero Romano l’area alpina vide l’arrivo dei popoli “barbari” che portarono devastazione e distruzione (nelle aree alpine l’impatto fu meno violento a causa della minor presenza di popolazione e delle difficoltà nella mobilità) e costrinsero i locali a
5
Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 83-100.
7
rifugiarsi nell’interno delle valli. Dal VI secolo si stabilirono invece in maniera continuativa popolazioni germaniche che fondarono importanti città come Berna, Lucerna, Bolzano, Merano, Innsbruck, Salisburgo e basarono la loro economia sull’allevamento bovino. La cultura romanza e quella germanica hanno così profondamente segnato il paesaggio alpino per la differente modalità con cui esse hanno trasformato il territorio. Jakob Hunziker6 (1900-14) ha analizzato il fenomeno molto attentamente, arrivando ad una conclusione: i Romani si insediarono nelle aree più redditizie dal punto di vista agricolo e costruirono abitazioni in pietra all’interno di nuclei compatti; le popolazioni germaniche invece, trovando occupate le zone agricole, portarono avanti un forte allevamento e costruirono nuclei sparsi con abitazioni di legno. Nel Medioevo le popolazioni alpine, a differenza di quelle di pianura, erano formate da contadini liberi e non assoggettati da nessun signore feudale; questo perché le popolazioni alpine erano animate da una forte identità territoriale e autonoma. Inoltre i signori feudali lasciavano liberi da tasse e dazi i popoli alpini, per favorire l’aumento demografico e permettere loro di rendere molte zone boschive abitabili e utilizzabili. Nascevano e si formavano numerose forme di governi indipendenti come la Magnifica Comunità di Fiemme o le Regole (comunità familiari indipendenti) nelle Alpi italiane. L’esempio sicuramente più straordinario è quello della Svizzera (Bartaletti 2011)7, dove un’alleanza di popolazioni contadine e montanare riuscì a contrastare il potere di una famiglia potente come gli Asburgo e a formare uno Stato (con ordinamento repubblicano e struttura democratica) che perdura tuttora8. I valichi alpini e le strade più conosciute (Sempione, Brennero) erano ancora percorsi insidiosi e pericolosi, caratterizzati da mulattiere e sentieri nelle zone più impervie. Dal XIV al XV secolo si manifestò poi il periodo della Alpi “aperte”, in cui carestie, guerra dei cent’anni e peste del 1348 non coinvolsero le Alpi e le popolazioni alpine che, anzi, godettero di un periodo di benessere: si sviluppò notevolmente la pratica dell’alpeggio e l’attività estrattiva di sale, argento, rame e ferro. 6
Jakob Hunziker (1827-1901) è stato un insegnante svizzero studioso dell’etnografia della popolazione svizzera. 7 Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, p. 90. 8 Nel 1291 fu firmato un accordo tra i cantoni di Uri, Svitto e Untervaldo. Attualmente i cantoni svizzeri sono 23. 3 di essi (Basilea, Appenzello e Unterwalden si dividono in due semicantoni).
8
La scoperta dell’America e l’ingresso nell’età moderna segnarono però l’inizio del declino delle Alpi: la formazione di Stati nazionali creò nuovi centri di interesse sempre più lontani dalle Alpi, che si ritrovarono quindi ad essere isolate e decentrate rispetto ai fenomeni socio-economici e politici europei. Anche le miniere, che avevano rappresentato un’importante fonte di sostentamento, furono sfruttate dalle città di pianura. L’agricoltura attraversò un periodo di forte crisi dovuto anche alla “piccola era glaciale” e ripartì solamente nell’Ottocento con l’introduzione della patata, facilmente coltivabile con il clima montano. Le Alpi sono state segnate così da una forte emigrazione, che, seppure in varie fasi e con flussi diversi, non si è più fermata da allora. La Rivoluzione industriale segnò notevolmente anche il territorio alpino, portando ad un definitivo crollo dell’agricoltura, dell’allevamento e delle attività artigianali di matrice alpina. Si instaurarono nel fondovalle grandi stabilimenti chimici e metallurgici grazie agli ampi spazi; il carbone rimase il maggior fattore di attrazione industriale fino al 1880 quando venne sostituto dall’energia idroelettrica: in montagna infatti, sfruttando le pendenze dei corsi d’acqua e le cascate, si riesce a produrre un grande quantità di energia elettrica. Dall’Ottocento si manifestarono i primi esempi di strade carrozzabili, volute da Napoleone per facilitare gli spostamenti delle truppe (Sempione, Piccolo San Bernardo). Sul finire dell’Ottocento l’Austria iniziò a costruire le prime grandi strade di interesse turistico, come quella che collega Bolzano, Canazei e Cortina. Dal 1848, e soprattutto durante la Prima Guerra Mondiale le Alpi videro la comparsa della ferrovia, incentivata sia dai vari stati interessati, sia da numerosi commercianti e imprenditori industriali per favorire la circolazione delle merci. Nacquero le grandi linee transalpine, che superavano enormi dislivelli e oltrepassano montagne grazie a gallerie e trafori. La Rivoluzione industriale ha segnato in maniera definitiva lo sgretolamento della società alpina tradizionale. Le zone maggiormente colpite sono state quelle che si basavano su un’economia rurale, che subirono un forte spopolamento con un conseguente abbandono e degrado sia delle strutture insediative sia del paesaggio. La medesima situazione si verificò con maggior intensità nel dopoguerra e negli anni successivi. Non solo le città alpine vere e proprie ma anche i centri del fondovalle andarono incontro ad una vera e propria crisi: mancanza di risorse, scarsi collegamenti e poco lavoro causarono un vero e proprio spopolamento di massa; la Valtellina rappresenta un caso abbastanza noto: un forte esodo
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verso le città di pianura ma anche verso l’estero (Australia in particolar modo) interessò città come Sondrio, Tirano e le zone limitrofe fino a pochi decenni fa. Solo il turismo ha in parte salvato (ma non in tutto l’arco alpino) una situazione economica e socio-culturale in totale decadimento. Il discorso appena concluso è ovviamente molto generale. Esistono infatti aree che per varie ragioni hanno saputo reagire e salvare la loro economia: la Baviera, la Svizzera, l’Austria e il Sudtirolo si sono notevolmente specializzate nell’allevamento bovino a tal punto da far assumere a tale settore un peso economico rilevante. Si possono tuttavia osservare dei processi positivi o comunque di “modernizzazione” delle Alpi, che hanno permesso loro di evitare un decadimento economico e socio-culturale totale. Tra essi si ricorda il periodo: 1790-1840, con l’avvento di forme giuridicoistituzionali mosse da interessi comuni verso alcune zone. In questo cinquantennio vennero costruite le prime strade carrozzabili di dimensione considerevole; 1860-1880, che vide lo sviluppo della ferrovia, degli attraversamenti e dei trafori transalpini. Si assistette anche alla nascita degli stati nazionali moderni, all’apertura dei mercati e alla comparsa delle prime leggi forestali e ambientali; 1880-1915, con l’avvento dell’energia idroelettrica, l’industrializzazione di base soprattutto in bassa valle e la nascita della piccola industria locale;1920-1940, che vide lo sfruttamento dell’energia idroelettrica grazie alla creazione di bacini artificiali e dighe e lo sviluppo del turismo invernale con le stazioni specializzate; 1955-oggi, caratterizzato dall’esplosione del turismo di massa, lo sviluppo di stazioni specializzate, l’urbanizzazione del fondovalle e di un’ampia porzione di territorio montano, l’industrializzazione leggera e la rinascita di alcune realtà locali. Dal 1980 si può anche parlare di una fase “critica”, caratterizzata da una maggiore attenzione verso l’ambiente e il territorio. Nascono il turismo ecologico, l’ingegneria naturale e l’agricoltura biologica. L’elemento più importante di questa analisi rimane quello dello spopolamento. Nel confronto tra la società alpina e quella tradizionale si è manifestato in maniera costante e irrefrenabile uno spopolamento della montagna a vantaggio della città di pianura e questo susseguirsi di fasi di modernizzazione, e quindi il succedersi e l’intrecciarsi dei relativi processi di riorganizzazione delle collettività e di riassetto degli spazi alpini, si traduce in processi di crescita selettiva, differenziata e localizzata nel generalizzato, diffuso e
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progressivo (e talvolta, almeno in apparenza, irreversibile) degrado (culturale, sociale, economico, territoriale) di tali realtà geografiche (Scaramellini 1998). 1.1.2– La popolazione delle Alpi Secondo i dati di Jon Mathieu9 (1998) la popolazione di 26 regioni alpine, corrispondente circa al 64 % della superficie totale, era di 2,9 milioni nel 1500, di 4 milioni nel 1600, di 4,4 milioni nel 1700, di 5,3 milioni nel 1800 e di 7,9 milioni nel 1900. I dati mostrano come in passato l’incremento demografico fosse notevole e per alcune zone paragonabile a quello delle aree di pianura. Questo incremento subì un brusco crollo con la Rivoluzione industriale: il grande sfruttamento delle risorse e del territorio spinse l’uomo, già prima della Rivoluzione industriale, ad espandere le zone agricole e di allevamento in aree poco produttive e fertili; non da meno, già dal 1500 la pianura iniziò ad avere una consistente presenza di città inserite in una rete commerciale ben consolidata.
Fig. 2. La carta mostra il perimetro della zona alpina stabilito dalla Convenzione delle Alpi nel 2007, che però non corrisponde a quello riconosciuto dall’Unione Europea (www.dislivelli.eu). 9
È un ricercatore svizzero specializzato nella storia delle Alpi.
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Per avere dei dati demografici attendibili sulla popolazione alpina e sulla sua distribuzione occorre avviare un’accurata analisi dei censimenti delle rispettive città, cosa che è possibile solamente a partire dal 1868-1872 e che, in aggiunta, risulta essere di difficile veridicità a causa della delimitazione della zona considerata “alpina” che non corrisponde certo a quella attuale. Per semplicità di analisi si ricorre alla delimitazione geografica definita dalla Convenzione delle Alpi (fig. 2), secondo cui la superficie delle Alpi, come mostra la tab. 1 risulta essere di 190.110 km², con una popolazione di 14.307.000 abitanti (2007) e una densità abitativa maggiore nelle aree perimetrali (fig. 3). Tabella 1. La superficie e popolazione delle Alpi10 secondo la Convenzione delle Alpi (Bartaletti 2011, p. 17). Stato
Comuni
Sup. (km²)
Popol. (2007)
Densità
Alt. Media
(ab./ km²)
(m)
Francia
1.753
39.745
2.665.810
67
661
Italia
1.747
51.919
4.274.935
82
605
859
25.019
1.858.976
74
804
11
160
35.356
220
549
285
10.881
1.482.933
136
649
1.158
54.714
3.332.449
61
692
61
7.672
656.480
86
408
5.874
190.110
14.306.939
75
668
Svizzera Liechtenstein Germania Austria Slovenia ALPI
Bartaletti (2011)11 propone invece una delimitazione delle alpi che si discosta in parte da quella della Convenzione delle Alpi, considerando anche l’Ungheria nella regione alpina (tab. 2). Nel suo studio Bartaletti afferma che per la delimitazione delle Alpi sono stati applicati criteri di ordine morfologico-altimetrico e geografico: in base ai primi sono stati inclusi, al margine alpino, comuni che non ancora presentano nel proprio territorio caratteristiche montane, mentre i secondi sono stati utilizzati, tenendo conto della 10
Fonte: Convenzione delle Alpi (integrata delle variazioni amministrative fino al 31.12.2007) e Banca-dati Bartaletti. 11 Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, p. 17.
12
letteratura esistente, per segnare un limite tra Alpi e Appennini, Giura e Dinaridi, o per escludere rilievi isolati (ad es. il Monte Canto, 710 m, un monte “orfano” fra Bergamo e l’Adda…). Ciò premesso, al margine esterno delle Alpi, tenuto conto anche della continuità del rilievo e, allo sbocco della valli, dei territori situati all’interno della linea retta che congiunge i due sproni laterali estremi con altitudine di almeno 500 metri, si includono i comuni non costieri con capoluogo ad almeno: 200 metri di altitudine, purché nel comune si raggiungano almeno 500 m di quota; meno di 200 metri, purché nel comune si raggiungano almeno 600 m di quota (500 metri per i grandi laghi prealpini; in Liguria e Provenza: 500 metri per i capoluoghi situati a quote non inferiori a 100 m, 600 metri per gli altri). Per tutte le città al margine alpino e per i comuni nella fascia del Mittelland svizzero e dell’altopiano bavarese si applicano inoltre le seguenti limitazioni: a) nei comuni con almeno 100.000 abitanti e in quelli con almeno 50.000 abitanti e capoluogo situato a meno di 300 metri di quota, l’altitudine massima del territorio comunale deve essere almeno di 1.000 metri; b) nel Mittelland, a nord della linea Berna-Huttwil-Sursee, i comuni situati a meno di 600 metri di altitudine sono inclusi se l’altezza massima è di almeno 800 m, quelli a meno di 700 metri se l’altezza massima è di almeno 750 m; nella fascia tra il Lago di Gruyère e l’agglomerato urbano di Berna (compreso), si includono solo i comuni con altezza massima di almeno 800 metri; c) in Baviera, al margine alpino si includono i comuni con altezza massima di almeno 650 metri, o quelli che distano in linea d’aria meno di 6 km dai rilievi alpini; d) in Austria, al margine alpino si includono i comuni in cui si raggiunge una quota massima di almeno 500 metri; in Slovenia, ferma restando la delimitazione geografica tra Alpi e Dinaridi, si includono i comuni con quota massima di almeno 700 metri. Una volta effettuata la delimitazione delle Alpi, analizzando accuratamente il territorio sulle carte topografiche dei rispettivi paesi, i comuni situati all’interno del limite vengono tutti inclusi, indipendentemente dall’altitudine (Bartaletti 2011, pp. 19-21).
13
Fig. 3. L’immagine mostra la densità di popolazione nell’arco alpino, misurata in abitanti per km² (www.alpconv.org).
Tabella 2. La superficie e la popolazione delle Alpi secondo Bartaletti12 (Bartaletti 2011, p. 22). Stato
Comuni
Sup. (km²)
Popol. (2007)
Densità
Alt. Media (m)
(ab./ km²) Francia
1.748
39.611
2.586.271
65
664
Italia
1.736
51.949
4.694.933
90
610
Svizzera
1.004
27.150
2.275.642
84
793
11
160
35.356
221
549
256
10.547
1.320.150
125
687
1.155
55.238
3.277.083
59
696
Slovenia
61
7.050
648.324
92
413
Ungheria
3
29
964
33
325
5.974
191.734
14.838.723
77
675
Liechtenstein Germania Austria
ALPI
12
Fonte: Delimitazione e Banca-dati Bartaletti.
14
Tabella 3. La Superficie, il numero di comuni e l’andamento della popolazione nelle Alpi secondo Bartaletti13 (Bartaletti 2011, p. 161). Stato
Comuni
Km²
1870
1900
1951
2001
2007
Francia
1.748
39.611
1.435.866
1.308.185
1.280.802
2.363.526
2.586.271
Italia
1.736
51.949
3.160.579
3.510.013
3.963.686
4.477.875
4.694.933
Svizzera
1.004
27.150
1.031.593
1.182.631
1.503.251
2.179.416
2.275.642
11
160
7.504
7.531
13.757
33.307
35.356
256
10.547
368.090
463.202
962.724
1.286.544
1.320.150
1.155
55.238
1.540.623
1.812.953
2.511.756
3.227.932
3.277.083
Slovenia
61
7.050
321.727
352.774
456.165
635.271
648.324
Ungheria
3
29
1.235
1.415
1.562
960
964
5.974
191.734
7.867.217
8.638.704
10.693.703
14.204.831
14.838.723
Liechtenstein Germania Austria
ALPI
Tabella 4. Le variazioni percentuali di popolazione nella porzione alpina (a sinistra) e nell’intero territorio dei rispettivi stati nazionali (a destra e in corsivo) secondo Bartaletti14 (Bartaletti 2011, p. 162). Stato Francia
1870-1900
1900-1951
1951-2001
2001-2007
1880-2007
1900-2007
-8,9 7,9
-2,1 9,8
84,5 36,8
9,4 5,6
80,1 71,2
97,7 58,6
Italia
11,1 20,7
12,9 44,1
13,0 20,0
4,8 4,6
48,5 118,4
33,8 80,9
Svizzera
14,6 24,9
27,0 42,2
45,1 54,6
4,4 3,0
120,6 182,8
92,4 126,5
Germania
25,8 37,3
107,8 23,0
33,6 18,6
2,6 -0,1
258,6 100,2
185,0 45,9
0,4 id.
82,7 id.
142,1 id.
6,2 id.
371,2 id.
369,5 id.
Austria
17,7 33,5
38,6 15,5
28,5 15,9
1,5 3,7
112,7 85,3
80,8 38,8
Slovenia
9,6 12,3
29,3 18,6
39,3 30,6
2,0 3,1
101,5 79,5
83,8 59,8
Ungheria
14,6 36,8
10,4 34,3
-38,5 10,8
0,4 -1,5
-21,9 100,5
-31,9 46,6
9,8 23,2
23,8 24,4
32,8 24,5
4,5 3,0
88,6 96,5
71,8 59,5
Liechtenstein
ALPI
Dalle tabelle sopra elencate si possono trarre importanti osservazioni. Innanzitutto la popolazione alpina è cresciuta, escluso l’ultimo trentennio del XIX secolo, alla stessa velocità di quella dei paesi che si spartiscono il territorio alpino e questo è spiegato dalla forte modernizzazione che ha coinvolto l’intera Europa in quel periodo. Nel periodo 1870-
13 14
Fonte: Delimitazione e Banca-dati Bartaletti. Fonte: Delimitazione e Banca-dati Bartaletti.
15
1951 l’unico paese con un decremento demografico è stata la Francia. Questo per le vicende delle diverse guerre combattute contro la Germania in questo periodo e per l’emigrazione verso le colonie. Nei decenni successivi però la crescita è stata doppia rispetto agli altri paesi alpini, grazie ai numerosi finanziamenti statali per favorire le famiglie con figli. Nel periodo 1900-1951 la Baviera ha avuto una crescita demografica elevatissima, dovuta principalmente ai profughi provenienti dall’Europa orientale. L’Italia rimane il paese con i tassi più moderati, in quanto la popolazione alpina occupa una percentuale non indifferente della popolazione totale, e questo fa si che sia soggetta a variazioni meno drastiche. Si andrà ora ad analizzare nello specifico ogni stato alpino e le regioni che lo compongono, osservando il numero di comuni presenti e il numero di abitanti per ciascuna di essa. In Francia i dipartimenti più popolosi risultano essere l’Isère (750.000 abitanti), l’Alta Savoia (680.000 abitanti) e la Savoia (400.000 abitanti). La massima superficie di territorio alpino incluso in un dipartimento è quella delle Alpes-de Haute-Provence (6.900 km²). In Italia le regioni maggiormente popolate sono la Lombardia (1.400.000 abitanti), il Trentino Alto Adige/Sudtirolo (oltre 1.000.000 di abitanti) e il Piemonte (900.000 abitanti). La massima superficie di territorio alpino incluso in un dipartimento è quella del Trentino Alto Adige (12.000 km²). In Svizzera la popolazione è concentrata soprattutto nei Cantoni della “Svizzera Centrale”15. In Germania la popolazione si concentra maggiormente nella zona occidentale, specificatamente nell’Alta Algovia (285.717 abitanti), nell’Algovia del Württemberg (104.731 abitanti) e nell’Algovia orientale (206.400 abitanti). In Austria il Tirolo è il Land16 più popoloso con 699.556 abitanti e anche il più esteso; seguono Stiria (590.871 abitanti) e Carinzia (561.083 abitanti). In Slovenia infine predomina (anche in superficie alpina) la Carniola con 201.254 abitanti, seguita dalla Drava (172.184 abitanti) e dalla Savinja (120.557 abitanti). Bartaletti (2011)17 sostiene che è anche possibile osservare una distribuzione geografica della popolazione per genere, età o per cittadinanza. Per quanto riguarda il genere, si ha una distribuzione uniforme su tutto l’arco alpino (da 50,4 % a 51,5 %): ciò è spiegato sia
15
Svizzera Centrale: ripartizione geografica riconosciuta per raggruppare il Canton Lucerna, Canton Uri, Canton Svitto, Canton Obvaldo, Canton Nidvaldo e Canton Zugo. 16 Land: stato federato austriaco. 17 Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 160-178.
16
dal tasso di natalità (più il tasso è elevato e più cresce la popolazione maschile) sia dalla percentuale di popolazione anziana (le donne (fig. 4) hanno generalmente una speranza di vita più elevata rispetto agli uomini). Per quanto riguarda l’età, gli stati che mostrano un tasso più elevato di popolazione anziana (fig. 5) sono Monaco e l’Italia (dal 24,4 % al 21,8 %), contrapposti ad un tasso dello stesso tipo pari al 14,9 % in Liechtenstein. Anche l’indice di vecchiaia della popolazione residente è un’importante strumento di analisi: la Germania rimane ancora quella con il tasso più elevato, mentre quello meno elevato è della Francia. Anche la percentuale di popolazione straniera (fig. 6) è un metro di osservazione essenziale, soprattutto nelle aree alpine dove lo spopolamento è un fenomeno assai frequente: nell’arco alpino la media complessiva di residenti stranieri presenta un tasso non elevatissimo, circa 94,7 ogni 1.000 abitanti. La situazione nei singoli stati è però molto eterogenea: le Alpi slovene hanno il tasso minore (41,3 abitanti stranieri ogni 1.000 abitanti), mentre il Liechtenstein quello più elevato (335,0) seguito dalla Svizzera (203,6).
Fig. 4. L’immagine mostra la percentuale di donne nell’arco alpino ogni 1.000 abitanti (www.alpconv.org).
17
Fig. 5. L’immagine mostra la percentuale di popolazione anziana ogni 1.000 abitanti: il tasso più elevato si osserva nella zona meridionale dell’arco alpino (www.alpconv.it).
Fig. 6. L’immagine mostra il tasso di popolazione straniera residente nell’aro alpino: la zona con un tasso più elevato risulta essere quella centro-settentrionale (www.alpconv.it).
18
I principali fattori che spiegano la distribuzione della popolazione e i cambiamenti demografici nelle aree alpine sono soprattutto di tipo economico e sociale. Le tendenze demografiche sono molto disomogenee tra di loro e spesso si possono osservare situazioni molto differenti anche se geograficamente molto vicine: questa situazione spiega come le condizioni delle varie unità amministrative influenzino notevolmente le dinamiche demografiche. Nel decennio 2001-2011 i maggiori tassi di crescita (fig. 7) si sono osservati nei Land austriaci del Tirolo e di Salisburgo, nei dipartimenti francesi della Savoia e dell’Alta Savoia, nei cantoni svizzeri del Vallese e del Ticino e nella Svizzera Centrale. Fenomeni di calo o stagnazione della popolazione si sono verificati invece in gran parte dell’Austria (Stiria, Carinzia e Bassa Austria), nel cantone svizzero di Uri e in Italia (dalla Liguria alla Val d’Ossola e nelle province di Pordenone e Udine). Nel complesso nelle Alpi si osserva la crescita di agglomerati urbani soprattutto allo sbocco delle valli e lungo le principali vie di transito. Nel bilancio demografico va inoltre tenuto in considerazione il saldo naturale della popolazione (numero di nati vivi meno il numero dei decessi), fortemente determinato dalla sua struttura (numero di giovani e di anziani). Il tasso di natalità (fig. 8) è molto variabile: si passa infatti da quello delle Alpi francesi di 12,8 ogni 1.000 abitanti a quello austriaco di 5,6 ogni 1.000 abitanti. Il tasso di mortalità (fig. 9), influenzato ovviamente dall’invecchiamento della popolazione, risulta invece più omogeneo. Il saldo naturale è poi influenzato da altri fattori indipendenti rispetto all’età della popolazione: abitudini e consuetudini familiari, comportamenti riproduttivi, presenza di strutture e servizi, tasso di fecondità più o meno elevato (numero di figli medio per donna), dimensioni culturali, ruolo dell’emancipazione femminile. Va tenuta in forte considerazione anche la componente migratoria e i rispettivi flussi migratori interni e quelli con l’estero. Infine non vanno tralasciati fattori di studio della popolazione altrettanto importanti come il tasso di occupazione (fig. 10), di disoccupazione (fig. 11) e di istruzione. L’Austria presenta la percentuale più alta di occupati (70,4 %), l’Italia quella più bassa (12,2 %) ed è anche il paese con il maggior tasso di inattività (36,5 %).
19
Fig. 7. L’immagine mostra il tasso di crescita della popolazione alpina ogni 1.000 abitanti: i valori più elevati si osservano in Austria e in Francia (www.alpconv.it).
Fig. 8. L’immagine mostra il tasso di natalità della popolazione alpina ogni 1.000 abitanti (www.alpconv.it).
20
Fig. 9. L’immagine mostra il tasso di mortalità della popolazione alpina ogni 1.000 abitanti (www.alpconv.it).
Fig. 10. L’immagine mostra, in percentuale, il tasso di occupazione della popolazione alpina: si osserva una concentrazione di occupati in Austria (www.alpconv.it).
21
Fig. 11. L’immagine mostra, in percentuale, il tasso di disoccupazione della popolazione alpina: si osserva una concentrazione di disoccupati in Italia (www.alpconv.it). 1.1.3 – Il clima delle città alpine Uno dei fattori chiave, tra i principali, che ha portato alla marginalità delle Alpi e al loro isolamento è sicuramente il clima; esso ovviamente influisce nelle varie regioni alpine in maniera più o meno incisiva ed è accompagnato da una serie di altri fattori altrettanto importanti, i quali sono fortemente relazionati ad esso e viceversa: latitudine, altitudine, esposizione dei versanti, piovosità, alterazione delle stagioni, presenza o meno di vegetazione, vicinanza o lontananza dal mare o da grandi laghi. Il clima alpino è stato studiato e classificato in maniera differente da alcuni studiosi: Köppen18, per esempio, associò il clima alpino ai climi nivali19, in particolare a quello della tundra20. Il
18
Köppen (1846-1940) fu un geografo, botanico e climatologo tedesco noto per la classificazione dei climi (1918), suddivisi in base a valori relativi alla temperatura e alle precipitazioni. I climi vengono così divisi: tropicali umidi, aridi, temperati delle medie latitudini, freddi e delle medie latitudini, polari, di altitudine. A ciascun gruppo appartengono poi specifici sottogruppi. 19 Climi nivali: si tratta di climi caratterizzati da temperature molto basse e precipitazioni quasi sempre nevose. 20 Clima della tundra: sottogruppo climatico appartenente ai climi nivali, caratteristico delle zone ai margini del circolo artico, in corrispondenza della tundra. Presenta una temperatura media annua inferiore ai 0 °C e l’unica vegetazione presente è composta da muschi e licheni.
22
clima alpino è inserito solitamente, in base alle nomenclature più diffuse nei climi di montagna le cui caratteristiche peculiari sono: la diminuzione della temperatura con l’altitudine (0,6 °C ogni 100 m di altitudine); la presenza di venti locali influenzati dalla morfologia delle valli; le precipitazioni che aumentano con la quota e abbondano nelle fasce esterne dell’arco (le precipitazioni infatti, specie quelle nevose, sono di gran lunga superiori in montagna rispetto a quelle che si verificano in pianura); una forte radiazione solare in aumento con la quota e con l’inclinazione dei versanti; notevoli differenze di temperatura e umidità a seconda dell’esposizione (soprattutto nelle valli con andamento est-ovest, dove i versanti sono esposti a nord e a sud). Esistono ulteriori fattori di variazione climatica, di natura ambientale legati alle particolari posizioni geografiche di alcune montagne e alla disposizione dei venti: all’interno delle Alpi sono infatti presenti alcune valli longitudinali delimitate da alte catene montuose, che fungono da schermo contro l’aria umida, creando così zone interne con scarse precipitazioni e particolari microclimi. Nell’arco alpino imperversa poi il föhn, vento secco e caldo di caduta che mitiga le temperature invernali permettendo la pratica dell’agricoltura e dell’allevamento senza troppe insidie climatiche. Anche la latitudine gioca un ruolo determinante: le Alpi sono comprese tra i 43°50’ della fascia ligure-provenzale, con clima mediterraneo, e i 48° del Salisburghese e del bacino viennese. Secondo Bartaletti (2011)21, le precipitazioni caratterizzano maggiormente le zone prealpine collocate a sud e a nord dell’asse centrale della catena: a sud, nelle aree del Lago Maggiore, del Lago d’Orta, della bassa Val d’Ossola, dell’area dolomitica, della Carnia e delle Prealpi Giulie alle spalle di Tarcento dove si superano i 1500 mm annui; a nord, nell’Oberland Bernese, nella Svizzera orientale e in Baviera. Le precipitazioni nevose più abbondanti si osservano sempre nella zona delle Alpi centro-occidentali: a 1000 metri cadono circa 150 cm di neve, a 2000 metri circa 500 cm. La grande estensione delle Alpi, la presenza di grandi laghi e di aree con forte continentalità (Trento e Bolzano) crea anche una diversificazione delle temperature (tab. 5), ma soprattutto una forte escursione estivo-invernale. Le temperature più basse si registrano in Austria, nella stazione del Sonnblick (Stiria) a 3.105 m di quota, toccando i 12,2 °C di media nel mese di febbraio e in Svizzera nelle stazioni del Junfraujoch (3580 m di quota) con una media di -14,2 °C in febbraio. La temperatura minima assoluta (-52,6
21
Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 54-58.
23
°C) è stata misurata nel 1932 nel comune di Lunz am See, nella Bassa Austria ad appena 601 m di altezza. Le temperature più alte si sono registrate a Bolzano nel 2001 e nel 2003 (40 °C) e a Grono, vicino a Bellinzona sempre nel 2003 (41,5 °C). I dati sulle temperature sono molto importanti in relazione allo scioglimento dei ghiacciai: negli ultimi 25 anni, la temperatura media dell’arco alpino è aumentata di circa 1 °C e la situazione delle grandi masse glaciali appare sempre più critica. Sono presenti ghiacciai ormai prossimi alla scomparsa, altri si sono ritirati lasciando un’estesa morena e rilasciando a valle un volume di acqua che spesso crea problemi di inondazione. In particolar modo, se ci si sofferma sulla montagna italiana, si nota come la quota esercita un ruolo di primo piano: minime variazione della temperatura e delle precipitazioni risultano talvolta determinanti, in grado di escludere la possibilità di una significativa presenza umana. È importante quindi segnalare la zonazione delle varie fasce: bassa-media compresa tra i 1.000 e 3.200 metri di altezza, alta compresa tra 3.200 e 5.500 metri di altezza, altissima tra i 5.500 e 7.500 metri di altezza e zona della morte oltre i 7.500 metri di altezza. Alle latitudini da noi considerate, al diminuire della quota aumentano le possibilità di insediamento, grazie alla presenza di habitat abitativi più consoni: vegetazione, precipitazioni, animali, accessibilità. Scaramellini (1998)22 osserva che la Piccola Età Glaciale, che si manifestò dal XVI al XIX secolo, non ha avuto ripercussioni drammatiche e incisive sull’area alpina. Le conseguenze vanno infatti ricercate in maniera indiretta sugli effetti che essa ha causato: abbassamento del livello di crescita delle conifere, abbandono di alcuni valichi alpini, abbandono di colture in alta quota. Gli unici segni visibili di tale periodo sono stati osservati nella Val d’Aosta dove le masse glaciali sono avanzate; in Lombardia e in Trentino invece, anche a causa della diversa morfologia del territorio montano, caratterizzato da valli più strette e chiuse, tale avanzamento non è stato osservato, poiché i centri abitativi erano più distanti dai ghiacciai. Aspetti assolutamente importanti da prendere in considerazione sono i grandi eventi naturali, che dipendono dal clima e che a loro volta fanno dipendere il clima da loro stessi: frane, valanghe, terremoti e tutte quelle forze della natura che agiscono oltre ogni volontà umana. Le frane sono in forte aumento, soprattutto nelle zone dei ghiacciai, dove il riscaldamento climatico favorisce il loro scioglimento, trascinando a valle enormi pietre;
22
Scaramellini G. (a cura di), 1998, Montagne a confronto, Alpi e Appennini nella transizione attuale, G. Giappichelli Editore, Torino.
24
anche le valanghe sono un fenomeno in crescita, sia per l’innalzamento delle temperature sia per i numerosi sciatori che si spingono nei fuoripista; numerose sono le inondazioni, spesso causate non solo dal volere della natura ma anche dall’opera umana troppo spinta. Celebre risulta purtroppo il disastro del Vajont nel 196323. Tabella 5. Le temperature e precipitazioni misurate in alcune stazioni alpine24 (Bartaletti 2011, p. 55). Stazione
St. Martin d’Hères
Alt. m
Temp.
Temp.
Temp.
medie
minime
massime
P mm
Pe mm
Pi mm
220
11,9
2,4
21,3
1.008
513
495
1.360
8,1
0,4
17,3
918
530
388
405
10,1
1,5
19,3
1.379
785
594
1.427
5,2
-2,5
13,9
982
420
562
639
8,6
-1,5
18,3
599
258
341
1.320
5,1
-2,5
13,3
1.346
741
605
366
11,5
2,6
20,8
1.668
1.060
608
438
8,9
0,3
17,5
1.099
655
444
1.840
2,9
-4,2
10,9
1.335
797
538
Schlanders/Silandro
718
9,9
-0,3
19,5
493
336
157
Sterzing/Vipiteno
948
7,9
-2,2
17,6
774
522
252
Bolzano/Bozen
254
12,3
0,9
22,6
712
468
244
Toblach/Dobbiaco
1.250
5,6
-5,2
15,6
830
577
253
Passo del Tonale
1.795
2,9
-5,2
11,9
1.222
738
484
Peio
1.565
6,7
-0,8
15,1
855
503
352
312
12,3
1,0
23,1
931
536
395
1.155
7,3
-1,2
16,6
1.308
732
576
(Isère) Boscodon (Alte Alpi) Montreux-Clarens (Vaud) Montana (Vallese) Visp (Vallese) Adelboden (Berna) Locarno-Monti (Ticino) Altdorf (Uri) Arosa (Grigioni)
Trento-Laste Lavarone
23
Disastro del Vajont: il 9 ottobre del 1963 una gigantesca frana si staccò dal Monte Toc, nella Valle del Vajont, e finì nel lago artificiale dell’omonima diga; si innalzò un’immensa onda che scavalco la diga, lasciandola in perfette condizioni, e si riversò nella valle, distruggendo completamente il paese di Longarone e in parte quello di Erto e Casso. Le vittime furono oltre il migliaio. 24 T med: temperatura media annua (T min: media mese più freddo; T max: media mese più caldo); P: precipitazioni annue; (Pe semestre estivo: maggio-ottobre; Pi semestre invernale). Valori del periodo 1971200 (Isère),1996-2004 (Alte Alpi), 1921-2010 (Sudtirolo; Toblach, T: 1951-2010), 1961-1990 (Trentino, Svizera), 1971-2000 (Stiria).
25
Stazione
Alt. m
Temp.
Temp.
Temp.
medie
minime
massime
P mm
Pe mm
Pi mm
Cavalese
1.000
8,0
-1,1
17,3
821
539
282
S. Martino di
1.467
6,0
-1,6
14,2
1.362
849
513
Vaduz (Liechtenstein)
457
9,2
0,0
17,8
891
589
302
Innsbruck (Tirolo)
582
8,7
-2.1
18,0
901
585
316
Bad-Aussee (Stiria)
660
7,3
-2,5
16,7
1.531
898
633
Deutschlandsberg
448
9,0
-1,2
18,8
1.130
755
375
670
6,6
-4,8
16,9
797
573
224
Castrozza
(Stiria) Zeltweg (Stiria)
1.2 - La città alpina europea
1.2.1 – Analizzare e studiare le città alpine
Lo studio delle città alpine viene definito a volte come un’analisi di una zona grigia (Ingold 1994; Perlik 2001). Questo perché si tratta di uno studio che molti tendono ad evitare in quanto contrasta fortemente l’idea di paesaggio alpino idilliaco presente nell’immaginario collettivo di molte persone. Fabrizio Bartaletti (2011)25 sostiene invece che la zona grigia citata sopra sia costituita da un lato dall’approccio globale e sistematico al territorio alpino, per la difficile comparabilità della documentazione statistica relativa ai diversi paesi, dall’altro dalla mancanza di accordo nella comunità scientifica sui criteri per definire urbano un dato comune (Bartaletti 2011, p. 179). Si vuole infatti mettere in luce come le città alpine debbano essere analizzate con gli stessi criteri e con le stesse modalità con cui vanno studiate le realtà urbane in altre regioni, nonostante alcune località e centri abitati alpini siano classificabili come piccole città se paragonate, per esempio, sotto l’aspetto demografico, ai grandi centri urbani. Bisogna inoltre tenere ben presente come la maggior parte dei centri urbani alpini si localizza al margine alpino, in prossimità della Pianura Padana, delle colline e della costa di Provenza, del Mittelland elvetico, delle colline del Burgenland e della Stiria, o sullo stesso 25
Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 179-180.
26
altopiano bavarese (Bartaletti 2011, p. 180). Sempre Bartaletti sottolinea inoltre come le città alpine siano spesso molto vicine a zone di influenza urbana o nelle vicinanze di agglomerati urbani. Questo accade in quanto molti insediamenti abitativi alpini si sono sviluppati come luoghi di residenza per coloro che si allontanano dalle città di pianura ricercando migliori condizioni ambientali, prezzi del suolo più vantaggiosi, rimanendo sempre ben inseriti in un sistema di collegamenti efficiente. Non di secondaria importanza risultano essere anche quei fenomeni di sviluppo commerciale, industriale e residenziale che hanno caratterizzato numerosi fondovalle alpini ma che non possono essere classificati come città, in quanto in essi sono parzialmente o totalmente assenti le funzioni che sono riconducibili ad una vera e propria città. Esempi di questo tipo sono la Grand Vallée valdostana fra Point-Saint-Martin e Donnaas e fra Saint Vincent ed Aosta o la Valtellina fra Dubino e Talamona e fra Berbenno e Sondrio. Ci sono poi alcuni comuni il cui recente sviluppo non è dipeso molto dalla loro ubicazione limitrofa a zone urbane, ma quasi totalmente dal turismo; è importante ricordare, tra i vari comuni, quelli di St. Moritz in Svizzera e Kitzbühel in Austria, Courmayeur, Bormio e Livigno in Italia che verranno successivamente analizzati nel dettaglio nel presente elaborato. L’analisi delle città alpine non appare mai come un procedimento semplice e per il quale vengono adottati criteri omogenei26. Un’altra attenta analisi e classificazione delle città alpine è stata fatta da Bartaletti (tab. 6), il quale individua 542 città alpine con una popolazione totale di 7 milioni di abitanti. Bartaletti (2011)27 evidenzia come i paesi maggiormente urbanizzati siano la Francia e la Slovenia, mentre quelli con una minore
26
Giuseppe Dematteis al XXI Congresso Geografico Italiano individuò 277 città, 66 comuni semi-urbani più altri 30 tra comuni urbani e semi-urbani poco al di fuori delle Alpi. Manfred Perlik invece, nel 2001 pubblicò una ricerca il cui esito elencava la presenza di 239 città alpine. Nelle ricerche di Dematteis, per esempio, sono stati inclusi anche quei centri abitati di poco al di fuori delle Alpi, mentre nella ricerca di Perlik sono stati usati criteri inerenti al valore demografico delle singole città: sono stati considerati urbani solamente i comuni con una popolazione di almeno 10.000 abitanti o con almeno 5.000 posti di lavoro (unica eccezione St. Moritz). Ma anche in questi casi sono emersi problemi di oggettività e universalità nell’utilizzo dei parametri: in alcuni casi infatti per la soglia dei 5.000 occupati si tende a considerare qualsiasi occupazione, mentre in altri casi si considerano solamente alcune attività appartenenti a determinati settori produttivi. La ricerca di Perlik inoltre non aveva lo scopo di individuare le città alpine, ma bensì le aree urbane alpine, e anche questa differenza porta a risultati non congruenti se confrontata con altri studi. Graficamente infatti la ricerca di Perlik mostra solamente i poli (Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, Franco Angeli, Milano, p.182) delle aree urbane, senza rappresentare i vari comuni facenti parte di queste aree. 27 Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 180-183.
27
urbanizzazione sono la Svizzera (col Liechtenstein) e la Germania. L’Italia risulta essere invece lo stato con maggior popolazione alpina tra quelli presi in considerazione. Un’interessante classificazione dei comuni alpini venne fatta da Werner Bätzing28 nel 1993, poi perfezionata nel 1996 con l’aiuto di Perlik e Dekleva, attraverso una tipologia socio-economica. Vengono considerati parametri relativi alla ripartizione degli occupati residenti nei tre grandi rami di attività, la percentuale dei pendolari in uscita rispetto al totale degli occupati residenti e il rapporto letti turistici/popolazione residente (Bartaletti 2004, p. 157). I comuni vengono così classificati in agricoli, industriali, terziari non specializzati nel turismo, comuni turistici, comuni di pendolari in uscita, centri (urbani) locali, centri (urbani) a forte saldo pendolare attivo, comuni equilibrati, piccoli comuni.
Tabella 6. La rete urbana delle Alpi secondo Bartaletti (Bartaletti 2011, p. 182). Stato
Città
Pop. 1901
Pop. 1951
Pop. 2001
Pop. 2007
Francia
195
483.005
721.072
1.540.464
1.642.354
Italia
138
988.445
1.475.148
2.019.775
2.109.356
41
288.698
462.610
715.397
766.873
2
1.912
5.044
10.619
10.795
24
149.974
315.301
461.355
471.401
Austria
125
691.981
1.165.977
1.554.938
1.592.261
Slovenia
17
192.833
283.104
441.047
450.350
TOTALE
542
2.796.848
4.428.256
6.743.595
7.043.390
Svizzera Liechtenstein Germania
1.2.2 – Le città alpine della Francia
Una prima classificazione delle città alpine francesi si basava su un criterio puramente demografico (popolazione superiore ai 2.000 abitanti). Questo nucleo di popolazione aggregata poteva appartenere ad un solo comune, detto città isolata (Bartaletti 2011)29 o essere a cavallo di due o più comuni e definirsi unità urbana. Il problema principale di 28
Werner Bätzing (1949) è un geografo e accademico tedesco, esperto dell’ambiente alpino. I suoi studi si concentrano sulle trasformazioni antropiche che la montagna ha subito e sulle nuove modalità di sviluppo sostenibile. 29 Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, p. 188.
28
questa classificazione era però il mancato inserimento di numerosi e antichi comuni, spesso di lunghissima tradizione storica, che non raggiungevano un sufficiente numero di popolazione, come nel caso di alcuni centri in Provenza (Grasse e Vence). Aggiungendo successivamente un criterio di tipo funzionale (come quello adottato in Italia) si è arrivati a contare 195 città alpine francesi con una popolazione totale di 1.642.000 abitanti nel 2007. Il maggior addensamento di comuni si ha nell’Isère (59 comuni, 581.000 abitanti) e nell’Alta Savoia (55 comuni, 451.000 abitanti). Sono inoltre presenti moltissimi comuni, ben 106 su 195, con meno di 5.000 abitanti.
Tabella 7. Le principali città alpine della Francia, ordinate in base alla popolazione (Bartaletti 2011, p. 189). Città
Dipart.
Km²
Pop. 1999
Pop. 2007
Pop. Unità
Km² unità
urbana
urbana
comuni
Grenoble
Isère
18
153.317
156.793
427.739
325
34
Chambéry
Savoia
21
55.786
57.420
119.363
158
18
Annecy
Alta Savoia
14
50.348
51.119
145.296
153
15
Grasse
Alpi
44
443.874
50.277
Nizza
Alte Alpi
110
36.261
37.785
37.785
110
1
Draguignan
Var
54
32.829
37.117
46.846
117
3
St. Martin
Isère
9
35.777
35.502
(Grenoble)
Echirolles
Isère
8
32.806
35.383
(Grenoble)
Thonon les
Alta Savoia
16
28.927
31.562
66.252
110
12
Alta Savoia
5
27.253
29.540
90.843
108
15
Savoia
13
25.732
27.267
44.432
73
9
Marittime Gap
d’Hères
Bains
Annemasse Aix les Bains
29
Città
Dipart.
Fontaine
Isère
Manosque
Alta
Km²
Pop. 1999
Pop. 2007
Pop. Unità
Km² unità
urbana
urbana
comuni
7
23.323
22.394
(Grenoble)
Provenza
57
19.603
21.777
28.601
102
3
Voiron
Isère
22
19.794
20.689
44.695
101
9
Annecy le
Alta 17
18.885
19.664
(Annecy)
39
16.982
19,479
19.479
39
1
Savoia
10
17.711
17.780
61.560
122
9
Savoia
18
17.340
17.814
33.430
153
14
19
16.365
17.780
(Annecy)
Vieux
Savoia
Vence
Alpi Marittime
Cluses
Albertville Seynod
Alta
Alta Savoia
Digne les Bains
Alta Provenza
117
16.064
17.455
18.240
135
2
1.2.3 – Le città alpine della Svizzera
La Svizzera ha scelto di basarsi, per la classificazione delle città alpine, su una componente demografica, considerando come città i comuni con almeno 10.000 abitanti e inserendo anche quelli con una popolazione inferiore ma situati in una posizione centrale e funzionale di un agglomerato di almeno 10.000 abitanti, come per esempio Chiasso e Mendrisio nel Canton Ticino. In totale, secondo Bartaletti (2011)30, sono quindi presenti in Svizzera 41 città alpine di cui 32 con popolazione superiore a 10.000 abitanti e 9 eccezioni come quella sopra citata di Chiasso e Mendrisio. Nel 2007 la popolazione totale di queste 30
Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 190-191.
30
42 città era di 767.000 abitanti. I comuni più popolosi erano San Gallo, Lucerna e Lugano. Il Canton Grigioni rappresenta invece il cantone con il fenomeno urbano meno esteso e maggiormente rarefatto. Eccezione a parte viene fatta da Heerbrugg, associata all’agglomerazione di Altstätten nel San Gallo: non si tratta infatti di un comune autonomo, ma di una frazione a spiccata vocazione industriale spartita fra più comuni contigui, dei quali quello che include la maggior parte della popolazione è Au (Bartaletti 2011, p. 190).
Tabella 8. Le principali città alpine della Svizzera, ordinate in base alla popolazione (Bartaletti 2001, p. 191). Città
Cantone
Km²
Pop. 2000
Pop. 2007
Agglom.(2007)
comuni
San Gallo
S. Gallo
39
72.626
71.126
146.749
11
Lucerna
Lucerna
16
59.496
58.381
202.474
17
Lugano
Ticino
14
26.560
50.603
130.600
33
Thun
Berna
22
40.377
41.642
93.636
10
Köniz
Berna
51
37.782
37.748
Berna
Coira
Grigioni
28
32.989
32.513
67.931
15
Sion
Vallese
26
27.171
28.871
57.528
11
Kriens
Lucerna
27
24.742
25.691
Lucerna
Zug
Zug
22
22.973
25.486
104.852
10
Montreux
Vaud
33
22.454
23.800
87.624
17
Baar
Zug
25
19.407
21.319
Zug
Bellinzona
Ticino
19
16.463
17.111
49.361
16
Bulle
Friborgo
24
11.149
16.850
24.580
9
Littau
Lucerna
13
15.929
16.611
Lucerna
Monthey
Vallese
29
13.933
15.991
36.386
5
Sierre
Vallese
19
14.317
15.405
35.813
11
1.2.4 – Le città alpine della Germania In Germania la classificazione delle città alpine segue i criteri definiti nell’ordinamento amministrativo di tutti i comuni della nazione, considerando come città i kreisfreie (extradistrettuali, amministrativamente indipendenti dal Landkreis), le Kreisstadte (città capoluogo di distretto, o circolo) e gli Stadtgemeinden (altri comuni urbani). Questa 31
suddivisione definisce 24 città alpine, la cui popolazione totale ammonta a 471.000 abitanti. Escludendo due città con più di 30.000 abitanti (Kempten e Kaufbeuren) e sei con più di 20.000, le rimanenti hanno una popolazione compresa tra i 10.000 e i 20.000 abitanti. L’unica eccezione è rappresentata da Tegernsee, nel Landkreis di Miesbach, la cui popolazione è di 3.967 abitanti (2007). Vengono inoltre escluse alcune città più conosciute, come Sonthofen (Algovia, Füssen), famosa per il castello di Neuschwanstein, e classificata solo come località turistica.
Tabella 9. Le principali città alpine della Germania (Bartaletti 2011, p. 192). Città
Landkreis
Alt. (m)
Km²
Pop. 2000
Pop. 2007
Kempten
(Ober Allgäu)
674
63
61.389
61.703
Kaufbeuren
(Ost- Allgäu)
678
40
41.905
42.043
Württembergisck.
556
101
26.254
27.290
Wangen im Allgäu
Allgäu Lindau
Lindau
400
33
23.874
24.680
Starnberg
Starnberg
588
62
21.945
23.086
Luetkirch im
Württembergisck.
Allgäu
Allgäu
654
175
22.029
22.181
Weilheim im
Weilhem-Schongau 563
55
20.863
21.482
Oberbayern Sonthofen
Ober Allgäu
741
47
21.319
20.982
Traunstein
Traunstein
591
49
17.996
18.598
Marktoberdorf
Ost- Allgäu
758
95
18.386
18.301
Bad Tölz
Bad Tolz657
31
16.833
17.777
578
9
16.804
17.560
Wolfratshausen Wolfratshausen
Bad TolzWolfratshausen
32
1.2.5 – Le città alpine dell’Austria L’Austria adotta un criterio di qualifica delle città simile a quello tedesco, considerando come città quei comuni con uno statuto speciale (Statutarstadt) e urbani (Stadtgemeinden), i quali hanno ricevuto tale titolo già dal Medio Evo o in periodi più recenti grazie all’incremento demografico e funzionale. Nell’elenco delle città vengono poi inseriti anche i Marktgemeinde (con una popolazione di almeno 5.000 abitanti) ma vengono esclusi centri minori con funzioni secondarie. La lista completa fornita dal censimento del 2008 (Statistik Austria, Österreichs Städte in Zahlen, Wien 2008) conta 125 città, 68 delle quali con il vero e proprio titolo di città per una popolazione complessiva di 1.592.000 abitanti del 2007. Di queste città 32 hanno meno di 10.000 abitanti, mentre le più popolose sono Salisburgo (147.169 abitanti), Innsbruck (117.150 abitanti) e Klagenfurt (92.807 abitanti). Tabella 10. Le principali città alpine dell’Austria, ordinate in base alla popolazione (Bartaletti 2011, p. 193). Città
Land
Alt. (m)
Km²
Pop. 2001
Pop. 2007
Salisburgo
Salisburgo
424
66
142.666
147.169
Innsbruck
Tirolo
574
105
113.392
117.150
Klagenfurt
Carinzia
446
120
90.141
92.807
Villach
Carinzia
501
135
57.497
58.800
Dornbirn
Vorarlberg
437
121
42.301
44.571
Feldkirch
Vorarlberg
458
34
28.607
30.305
Bregenz
Vorarlberg
431
29
26.752
27.215
Wolfsberg
Carinzia
463
278
25.301
25.398
Baden
Bassa Austria
230
27
24.502
25.284
Leoben
Stiria
541
108
25.804
25.026
Kapfemberg
Stiria
502
61
22.234
21.847
Hallein
Salisburgo
447
27
18.399
19.322
Kufstein
Tirolo
499
39
15.358
16.696
Carinzia
560
48
16.045
15.936
Salisburgo
748
118
15.093
15.781
Spittal an der Drau Saalfelden am St. M.
33
1.2.6 – Le città alpine della Slovenia I dati relativi alle città alpine in Slovenia sono meno numerosi e più difficili da reperire perché le fonti antecedenti all’indipendenza dalla Jugoslavia riportano la presenza di solo 5 città alpine: Maribor, Kranj, Velenje, Nova Gorica e Slovenj Gradec. Successivamente si è deciso di ampliare l’elenco comprendendo tutti i comuni con più di 10.000 abitanti con l’eccezione di Dravograd (8.931 abitanti nel 2007). Attualmente si possono quindi contare 17 comuni urbani, la cui popolazione totale ammonta a 450.000 abitanti. La città più popolosa risulta essere Maribor (110.668 abitanti) seguita da Kranj (51.225 abitanti). Molte città alpine hanno subito un forte incremento demografico mentre altre (Velenje) invece hanno osservato un brusco calo legato alla contrazione dell’industria pesante. Tabella 11. Le principali città alpine della Slovenia, in base alla popolazione (Bartaletti 2011, p. 194). Città
Regione
Alt. (m)
Km²
Pop. 2001
Pop. 2007
Maribor
Oltre Drava
271
147
110.668
111.340
Kranj
Alta Carniola
397
151
51.225
53.872
Velenje
Savinja
436
83
33.331
34.140
Nova Gorica
Goriziano
97
279
31.381
34.140
Kamnik
Savinja
378
284
26.477
28.266
Bistrica
Oltre Drava
274
260
25.069
24.453
Škofja Loka
Alta Carniola
348
146
22.093
22.507
Jesenice
Alta Carniola
584
76
21.620
21.882
Radovljica
Alta Carniola
488
119
18.164
18.584
Slovenj Gradec
Bassa Carinzia 411
174
16.779
17.107
Slovenska
1.2.7 – Convenzione delle Alpi, CIPRA, Perle delle Alpi e Città alpina dell’anno Accanto alla legislazione nazionale che verrà analizzata nel capitolo successivo, è presente anche quella svolta dall’Unione Europea. Non si tratta però di una legislazione mirata e specifica riguardante le Alpi e le zone montane, ma bensì di un insieme di interventi verso aree considerate bisognose, in ritardo nello sviluppo e in declino industriale. Il concetto 34
fondamentale di questa politica è basato su interventi di tipo territoriale ed integrato per le aeree a basso livello socio-economico rispetto agli standards comunitari (Scaramellini 1998, p. 334). L’elemento su cui si basa tale politica è il partenariato e il cofinanziamento (Scaramellini 1998, p. 334) delle varie iniziative, ovvero la collaborazione dei vari enti pubblici e privati interessati, così che le aree più bisognose possano ricevere il supporto di quelle che invece hanno un’economia stabile, e sviluppino progetti di ricrescita. Anche in questo caso però gli obiettivi prefissati sono irraggiungibili per mancanza di efficienza o finanziamenti. Un primo tentativo di creare un ente interessato e specifico per la protezione delle aree alpine è stato fatto nel 1952 a Schaan (Liechtenstein), dove si sono riuniti i vari stati alpini per creare un’organizzazione non governativa (CIPRA) il cui scopo era quello di portare avanti uno sviluppo sostenibile delle Alpi. Fin dalla sua nascita lo scopo della CIPRA (Commissione Internazionale per la protezione delle Alpi) era quello di portare i vari stati a realizzare la “Convenzione delle Alpi”, di cui la CIPRA31 sarebbe stato supervisore. Quest’ultima aveva due principali rami d’azione: lo sviluppo sostenibile istituzionale portato avanti dalla “Convenzione delle Alpi” e una serie di progetti provenienti dal basso, ovvero per iniziativa dei comuni. Tra questi si ricordano: l’“Alleanza nelle Alpi”, una rete di 309 comuni alpini nata nel 1997 per uno sviluppo economico ed ecologico della montagna; la “Via Alpina”, un progetto che vede la creazione di 5 grandi itinerari escursionistici attraverso ben otto paesi. Questi itinerari percorrono l’intero arco alpino con 350 tappe e oltre 5.000 km di sentieri; la “Città alpina dell’anno32”, sicuramente il più conosciuto e famoso tra i vari progetti affiliati alla CIPRA: Questo riconoscimento viene conferito alle città alpine che si sono distinte per il particolare impegno dispiegato nell'attuazione della Convenzione delle Alpi e viene assegnato da una Giuria internazionale. L'obiettivo di fondo della Convenzione delle Alpi è di coniugare misure per la protezione dello spazio alpino con uno sviluppo sostenibile e orientato al futuro delle regioni. Il fatto che la Convenzione delle Alpi si riempia di contenuti concreti proprio nelle città alpine è di importanza centrale, poiché circa due terzi della popolazione alpina vive 31
CIPRA acronimo di Commissione Internazionale per la protezione delle Alpi. Si tratta di un’organizzazione non governativa, nata nel 1952 e con sede a Schaan in Liechtenstein, per lo sviluppo sostenibile delle Alpi, di cui fanno parte tutti gli stati alpini. È uno degli organi supervisori della Convenzione delle Alpi. 32 Tra i comuni italiani premiati con il titolo di “città alpina” si ricordano nel 1999 Belluno, nel 2004 Trento, nel 2007 Sondrio, nel 2009 Bolzano, nel 2013 Lecco e nel 2017 Tolmezzo.
35
in aree urbanizzate, anche se queste costituiscono solo il 40 % della superficie alpina complessiva. Dal punto di vista spaziale, le Alpi sono ancora oggi un territorio marcatamente rurale. Tuttavia la popolazione - e quindi l'economia - ha già, per la maggior parte, una connotazione urbana. Natura e cultura, ecologia ed economia trovano qui un terreno di scontro-incontro senza mediazioni. Rendere consapevole di questo un'ampia fascia di popolazione è l'obiettivo dichiarato dell'idea di "Città alpina" (www.alpenstaedte.org). Gli obiettivi cardine di tale iniziativa sono quelli di: rafforzare la conoscenza dello spazio alpino; favorire la partecipazione locale; consolidare i collegamenti con la regione; promuovere lo sviluppo sostenibile; collaborare con le circostanti città alpine. Sono inoltre presenti vari organi ed istituzioni per il mantenimento di tale associazione: una giuria; un’assemblea dei soci; un comitato direttivo; un consulente assegnato ad ogni città; un segretario. La CIPRA ha alle spalle un’organizzazione ben strutturata e composta da: Rappresentanze nazionali per la cooperazione con i singoli stati; Organizzazione dei membri; Assemblea dei delegati nonché organo supremo della CIPRA; Presidenza; Consulta dei giovani. La CIPRA ha proposto all’Unione Europea un nuovo obiettivo, chiamato “Obiettivo 7”, il cui scopo è quello di considerare la regione alpina come un’aerea specifica e autonoma, con caratteristiche particolari, senza che venga accostata ad altre aeree sottosviluppate molto diverse per caratteristiche morfologiche, sociali e culturali. Un notevole passo in avanti è stato invece fatto nel 1991 con la stipulazione di un accordo plurimo tra la Comunità Economica Europea e gli stati facenti parte dello spazio alpino (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Monaco, Slovenia e Svizzera). Tale accordo, sottoscritto a Salisburgo il 7 novembre 1991, prendeva il nome di “Convenzione per la protezione delle Alpi (Convenzione delle Alpi)”. Punto di partenza era la conservazione e lo sviluppo di tutte le aree alpine, permettendo uno sviluppo di esse senza un danneggiamento ambientale e culturale. Sono stati elaborati diversi temi di priorità primaria tra cui: la pianificazione territoriale e lo sviluppo sostenibile; la protezione della natura e la tutela del paesaggio; la salvaguardia delle foreste montane, lo sviluppo del turismo e delle fonti di energia rinnovabili, la difesa del suolo, il miglioramento qualitativo dei trasporti; la diminuzione delle controversie tra enti e regioni.
36
Nel 2004 la CIPRA ha inaugurato un nuovo progetto chiamato “Futuro delle Alpi”, articolato in tre sezioni per cercare di fare chiarezza sul destino delle Alpi e delle regioni alpine. La prima sezione (alpKnohow), raccoglieva un grande archivio dati sulle conoscenze delle Alpi; la seconda sezione (alpService), esplicitava, sulla base di quanto acquisito nella prima sezione, i servizi di cui le Alpi necessitano; la terza e ultima sezione (alpPerformance), rappresentava invece il vero livello operativo. Sono stati elaborati “quattro sentieri” riguardanti: la capacità di azione sociale per favorire la coesione sociale (capacità di una regione di assicurare il benessere dei suoi componenti) e la vita nelle regioni alpine; le aree protette, per individuare una figura leader che si occupi di salvaguardare le aree interessate; la mobilità, per cercare di creare una rete infrastrutturale efficiente che garantisca buona accessibilità anche alle aree più isolate, soprattutto nella stagione invernale; nuove forme e processi decisionali, basati sulla partecipazione dal basso. Tale sentiero prevede prospettive semplici e realizzabili e un’applicazione delle normative sulla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e Valutazione Ambientale Strategica (VAS). Numerosi premi e riconoscimenti sono stati assegnati a questa organizzazione non governativa, tra i quali spiccano il Premio ambiente d’oro della Comunità di lavoro delle regioni alpine nel 1995, il Gran Premio Binding per la protezione della natura e dell'ambiente della Fondazione Binding nel 2001 e il Premio sostenibilità della Reale società olandese per l'alpinismo e gli sport di montagna nel 2012. Esiste infine un’altra importante realtà su cui porre l’attenzione, la quale si distacca da quanto abbiamo detto rimanendo più autonoma e indipendente. Si tratta delle “Perle delle Alpi”, un raggruppamento di 25 località33 alpine collocate in sei nazioni diverse, che dal 2006 cooperano tra di loro. L’obiettivo di tale cooperazione è di creare una mobilità veloce, dando la possibilità ai turisti e anche agli stessi abitanti di raggiungere le diverse località con più facilità e di muoversi nei loro dintorni senza l’utilizzo dell’automobile; vengono infatti sponsorizzati servizi come la mountain-bike, l’e-bike e l’uso di veicoli elettrici. 33
Le 25 località che fanno parte delle “Perle Alpine” sono: Hintersotder (Austria); Mallnitz (Austria); Neukirchen (Austria); Weissensee (Austria); Werfenwneg (Austria); Bad Reichenhall (Germania); Berchtesgaden (Germania); Termignon (Francia); Ceresole Reale (Itaia); Chamois (Italia); Cogne (Italia); Forni di Sopra (Italia); Limone Piemonte (Italia); Malles (Italia); Moena (Italia); Moso in Passiria (Italia); Racines (Italia); Tires (Italia); Valdidentro (Italia); Funes (Italia); Bled (Slovenia); Arosa (Svizzera) Interlaken (Svizzera); Les Diablerets (Svizzera); Disesntis/Mustér (Svizzera).
37
L’idea di questo progetto nasce dall’unione di 2 precedenti progetti europei: Alps Mobility e Alps Mobility II i cui obiettivi erano di garantire efficienza turistica sotto l’aspetto dei collegamenti e dell’accessibilità. Per poter accedere a tale network, come viene definita questa realtà, bisogna osservare determinati criteri quali: la mobilità interregionale; il trasporto pubblico locale; l’eventuale presenza di aree protette o riserve naturali; un numero elevato di zone pedonali cittadine. Il progetto ha vinto una serie di premi internazionali, tra cui l'Energy Globe Award34 e il Tourism for Tomorrow Award35. Il futuro e lo sviluppo delle regioni alpine dipenderà soprattutto dalla volontà dei singoli stati di occuparsi di tali problemi, di agire in maniera coordinata ed efficiente, sfruttando la grande potenzialità che i numerosi accordi e trattati hanno dato loro in mano. Sono due i punti chiave che permettono uno svolgimento ottimale e funzionale: una politica urbana anti-isolamento e una ricostruzione del tessuto socio-culturale che deve essere mosso dalle istituzioni a favore di una coagulazione tra passato e presente. 1.3 – La città alpina in Italia
Nello studio delle città alpine un aspetto chiave è rappresentato senza dubbio dalla posizione altimetrica. Scaramellini (1998)36 ha osservato che la maggiore crescita (89 %) si è osservata nella zona sotto i 500 metri di altitudine, ovvero nelle valli più basse e nei bacini definiti intramontani; si tratta a volte di zone non appartenenti propriamente alle Alpi, ma assegnate al territorio alpino dalla Convenzione Alpina. Tra i 500 e i 1.000 metri di altitudine la crescita scende al 40 %, mentre tra i 1.000 e i 1.500 metri di altitudine vi è un ristagnamento demografico o addirittura una diminuzione. Oltre i 1500 metri di altitudine invece si registra una crescita pari al 27 %, dovuta alla presenza di importanti località turistiche estive e invernali. Importante notare come, senza la presenza di queste località, l’andamento demografico alpino sarebbe in forte calo. Il vero e proprio sviluppo attuale avviene quindi nelle zone periferiche delle Alpi, ovvero in quelle zone ben collegate e ormai limitrofe a zone urbane vere e proprie. 34
Premio che viene conferito ai progetti regionali, nazionali e globali che si prefiggono un utilizzo attento e parsimonioso delle energie rinnovabili. 35 Premio conferito a quelle organizzazioni che cercano di promuovere uno sviluppo delle aziende totalmente sostenibile. 36 Scaramellini G. (a cura di), 1998, Montagne a confronto, Alpi e Appennini nella transizione attuale, G. Giappichelli Editore, Torino.
38
Bartaletti (2011)37 si è servito invece dei criteri forniti da recenti ricerche su città e reti urbane (Bartaletti 1998; 2001; 2006) per l’individuazione e la classificazione delle città alpine. Il parametro qui usato è riferito agli addetti alle funzioni centrali (commercio, credito-assicurazioni, R&S-servizi alle imprese) rapportato ad un’area di attrazione di 5000 abitanti. Sono state cosi individuate 138 città ubicate per lo più nelle Alpi Centrali e in Lombardia. La popolazione complessiva raggiunge i 2.109.000 abitanti nel 2007 e vede la Lombardia come regione dominante. Bisogna anche tenere presente che molte di queste città (circa il 40 %) sono situate al margine delle Alpi, così da essere spesso inserite in un sistema urbano sovranazionale: queste città, a differenza di quelle non situate nei pressi dei confini, definite entro-alpine, vengono definite peri-alpine. Bartaletti (2011)38 individua tra le città alpine più grandi Trento (115.511 abitanti nel 2009) e Bolzano (103.135 abitanti) che, nonostante sia classificata come città entro-alpina risulta essere fulcro dell’importante area metropolitana compresa tra Bolzano e Merano. Seguono Como (84.812 abitanti), Varese (81.788 abitanti), Cuneo (55.464 abitanti), Lecco, Biella, Bassano del Grappa, con una popolazione che supera i 40.000 abitanti. Tra i comuni che superano i 30.000 abitanti (6) sono da citare Aosta, Verbania e Belluno. Infine sono presenti 52 comuni con una popolazione compresa tra 5.000 e 10.000 abitanti e 15 comuni con meno di 5.000 abitanti. Notevole importanza riveste poi per le sue funzioni terziare l’area di Lecco che però non raggiunge un numero di abitanti tali da renderla area metropolitana, e altre 6 agglomerazioni minori nate dall’unione di una città-fulcro con comuni strettamente limitrofi. La tab. 12 mostra invece le principali aree metropolitane e le agglomerazioni delle Alpi italiane, che si trovano quasi tutte nelle zone comprese tra la pianura e i primi rilievi montuosi.
37
Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 183-184. 38 Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 186-188.
39
Tabella 12. Le aree metropolitane e le principali agglomerazioni delle Alpi italiane39 (Bartaletti 2011, p. 186). AREA URBANA
Tipo
Prov.
Ab. 2001
Ab. 2007
Como-Cantù40
Am.
Co
57
352
335.242
356498
Como
82.265
Varese41
Am.
Va
55
368
270.722
283.374
Varese
82.216
Bolzano-Merano
Am.
Bz
25
752
214.214
227.625
Bolzano
99.751
Agg.
Lc
40
369
184.991
193.233
Lecco
47.006
Agg.
Tn
6
257
135.344
147.054
Trento
112.637
Grappa43
Agg.
Vi
10
175
114.486
123.292
Bassano
42.407
Val Seriana44
Agg.
Bg
15
175
84.969
88.474
Albino
17.807
Biella
Agg.
Bi
11
116
86.154
87.134
Biella
46.126
Val Trompia45
Agg.
Bs
6
132
73.284
76.926
Lumezzane
23.964
Aosta/Aoste
Agg.
Ao
11
278
56.090
59.489
Aosta
34.726
Lecco
42
Trento
Com.
Km²
Cittàfulcro
(ab. 2007)
Bassano del
Un’altra importante classificazione (tab. 13) può essere fatta usando come criterio il numero di addetti alle funzioni centrali. L’applicazione di un coefficiente funzionale appositamente elaborato, permette quindi di misurare l’effettiva caratura funzionale delle città in rapporto alla classe nella quale sono inserite (Bartaletti 2011, p. 187).
39
Am.: area metropolitana; Agg.: agglomerato urbano o area macro urbana (Lecco). Aree metropolitane con ampie porzioni extra-alpine. 41 Aree metropolitane con ampie porzioni extra-alpine. 42 Area macro-urbana con parti extra-alpine, inclusa nell’area metropolitana consolidata milanese. 43 Agglomerato urbano con ampie porzioni extra-alpine. 44 Porzione dell’area metropolitana di Bergamo. 45 Porzione dell’area metropolitana di Brescia. 40
40
Tabella 13. Le principali città alpine italiane, ordinate in classi in base agli addetti alle funzioni centrali (2001) (Bartaletti 2011, p. 187). Città
Classe
Addetti funzioni centrali (2001)
Coefficiente funz.
46
(2001)
Addetti funzioni
Coefficiente
centrali
Funz.
(1991)
(1991)
Bolzano/Bozen
6
22.907
2,297
18.819
2,140
Trento
6
20.955
1,902
16.378
1,800
Como
6
17.248
2,088
15.105
1,936
Varese
5
15.964
1,888
14.443
1,881
Cuneo
5
11.422
2,079
8.543
1,709
Biella
5
11.009
2,292
8.658
2,000
Lecco
5
9.824
2,071
7.576
1,843
Bassano del Grappa (Vi)
4
7.671
1,793
5.376
1,544
Belluno
4
5.740
1,560
4.503
1,413
Merano (Bz)
4
5.513
1,560
4.973
1,657
Aosta
4
5.479
1,532
5.143
1,585
Gorizia
4
4.891
1,306
5.199
1,507
Sondrio
4
4.857
2,137
3.684
1,861
Rovereto (Tn)
4
4.836
1,378
4.036
1,368
Pinerolo (To)
4
4.623
1,315
3.739
1,181
Schio (Vi)
4
4.539
1,154
3.018
0,927
Verbania
3
4.186
1,323
3.278
1,199
Vittorio Veneto (Tv)
3
3.323
1,084
2.986
1,140
Mondovi (Cn)
3
3.303
1,438
2.557
1,288
Arzignano (Vi)
3
3.229
1,332
2.391
1,264
3
3.214
2,248
2.060
1,821
3
3.213
1,667
2.369
1,556
Brunico (Bz) Bressasone (Bz)
46
Il coefficiente funzionale, ideato da Bartaletti (2006), è il prodotto del coefficiente demografico (rapporto fra popolazione-soglia della classe a cui la città appartiene e popolazione effettiva della città) per il coefficiente occupazionale (rapporto fra addetti alle funzioni centrali della città e addetti-soglia per quella classe).
41
La tabella 13 mostra in maniera evidente come le città alpine italiane più funzionali siano Trento e Bolzano. Esse sono infatti sovvenzionate, come altre città del Trentino Alto Adige, da incentivi e finanziamenti erogati dalla regione grazie al suo statuto speciale. Tra gli obiettivi primari di questa regione risulta esserci infatti la formazione di enti e persone specializzate e competenti nei vari settori economici. 1.3.1 - Le comunità montane in Italia Di fronte ad una classificazione e a uno studio delle città alpine italiane è bene considerare come oggetto di analisi anche la realtà delle comunità montane, nate con lo scopo di tutelare, salvaguardare e incrementare lo sviluppo delle realtà alpine. La comunità montana nasce infatti come ente territoriale locale il 3 dicembre 1971 con legge n. 1102 e ora disciplinata dall’articolo 27 del decreto legislativo numero 267 del 18 agosto 2000, chiamato testo unico sugli enti locali. Si colloca come ente intermedio tra due referenti essenziali: il comune e la regione. Un rapporto chiaro, coordinato e di reciproca collaborazione con i comuni risulta indispensabile per operare in modo adeguato e “convincente” sul territorio (De Vecchis, 1992, p. 209). La legge del 1971 è il risultato di un lungo processo decisionale i cui contenuti primari erano racchiusi nel Programma di sviluppo economico per il quinquennio 1966-1970 (approvato con legge 12.7.1967 n. 685). I punti cardine di questo programma portavano l’attenzione principalmente sulla classificazione del territorio montano attraverso l’individuazione delle future e possibili comunità, sulla formazione di un consiglio di valle e sulla creazione di un sistema di incentivi volti ad aiutare le aree depresse e maggiormente bisognose. Veniva inoltre sottolineato come ogni comune montano dovesse essere fornito di servizi e infrastrutture idonee, sarebbe stato sostenuto nelle iniziative economiche per la valorizzazione delle risorse locali, avrebbe dato la possibilità ai cittadini di vivere in ambiente alpino senza particolari problematiche e sarebbe stato supportato nell’organizzazione di eventi di natura culturale e storico-popolare. Nell’Articolo 5 della legge 1971.1102 veniva sancita l’adozione di un Piano di sviluppo socio-economico e di un Piano stralcio annuale. Ogni comunità era tenuta ad elaborare un piano pluriennale per lo sviluppo economico e sociale della propria zona basandosi sulle normative del piano regionale. All’interno di questo piano andavano indicati la tipologia, la localizzazione e il costo degli investimenti
42
programmati. Nel dicembre 1991 le comunità montane risultavano essere 337. Le regioni con un maggior numero di comunità montane risultavano essere il Piemonte (45), la Lombardia (30), la Calabria e la Sardegna (25). Successivamente, a causa di varie ragioni di ordine politico, amministrativo, ambientale, sociale e istituzionale molte regioni hanno deciso di ridurre o eliminare le comunità montane. Così ha fatto la Sicilia nel 1986, la Sardegna nel 2007 e il Friuli Venezia Giulia nel 2016. Altre regioni, (Lombardia47 e Piemonte) hanno invece ridotto il numero delle comunità. Altre ancora, (Umbria e Veneto) hanno trasformato le comunità montane in unioni di comuni per una maggiore funzionalità. Le rimanenti regioni hanno invece mantenuto le comunità montane o le hanno sostituite con altre di nuova nascita. La regione autonoma della Valle d’Aosta si differenzia invece per la presenza di unità di comuni valdostani, mentre le province autonome di Trento e Bolzano48 hanno favorito la formazione di enti simili alle comunità montane, chiamati rispettivamente comunità comprensoriali e comunità di valle. È importante sottolineare come questi ultimi siano però istituti con competenze e funzioni diverse da quelle delle comunità. Vengono infatti definite come comunità di valle gli enti territoriali locali della provincia autonoma di Trento che formano il livello istituzionale intermedio fra i comuni e la provincia. Istituite con la legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3, sono formate da una struttura associativa, costituita obbligatoriamente dai comuni compresi in ciascun territorio ritenuto adeguato per l'esercizio di importanti funzioni amministrative. Esse sostituiscono i comprensori, che già sostituivano le comunità montane (istituite con la legge 3 dicembre1971, n. 1102). Le comunità di valle sono disciplinate, oltre che dalla legge istitutiva, dai provvedimenti attuativi e dello statuto approvato da non meno di due terzi dei comuni facenti parte del medesimo territorio e che rappresentino almeno i due terzi della popolazione residente nel medesimo” (www.provincia.tn.it). 47
Le principali comunità montane sono quelle: dell’Oltrepò Pavese, dell’Alto Garda Bresciano, delle Valle Sabbia, della Val Trompia, della Val Camonica, del Sebino Bresciano, dei Laghi Bergamaschi, del Piambello, di Scalve, della Val Seriana, della Val Brembana, della Valle Imagna, del Lario Orientale-Valle San Martino, della Valsassina, Valvarrone, Val d’Esino e Riviera, del Triangolo Lariano, del Lario Intelvese, delle Valli del Lario e del Ceresio, dell’Alta Valtellina, della Valtellina di Tirano, della Valtellina di Sondrio, della Valtellina di Morbegno, della Valchiavenna, delle Valli del Verbano. 48 Le principali comunità comprensoriali sono quelle: di Bolzano, dell’Alta Valle Isarco, del Burgraviato, della Valle dell’Isarco, dell’Oltradige-Bassa Atesina, del Salto-Sciliar, della Val Pusteria, della Val Venosta, della Val di Fiemme, di Primiero, della Valsugana e Tesino, dell’Alta Valsugana e Bersntol, della Valle di Cembra, della Valle di Non, della Valle del Sole, delle Giudicarie, dell’Alto Garda e Ledro, della Vallagarina, del Generale de Fascia, di Rotaliana, della Paganella, della Valle dei Laghi; si aggiungono poi la Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri e il Territorio della Val d’Adige.
43
Il principale intermediario tra la comunità montana e lo Stato è rappresentato dalla regione, che rappresenta il punto di riferimento per i finanziamenti che giungono alle comunità. Il ruolo e le decisioni delle regioni si riflettono direttamente sulle comunità, e a tal proposito basti citare l’esempio della Sicilia, che ha visto abolite tutte le comunità montane. De Vecchis (1992)49 osserva come le norme cui le comunità montane devono attenersi sono la formulazione degli statuti, l’ articolazione e la composizione dei propri organi, la preparazione dei piani zonali e dei programmi annuali, i rapporti con gli altri operanti nel territorio; vengono poi ribadite alcune competenze delle regioni come l’approvazione degli statuti delle singole comunità, il coordinamento e l’approvazione dei piani zonali e la regolazione dei rapporti tra comunità ed altri enti operanti nel territorio. Il rapporto con la regione è fortemente legato anche dal fatto che essa mette a disposizione incentivi e fondi ed esistono diversi parametri per il calcolo dei finanziamenti. I più usati sono quelli della superficie e della popolazione, seguiti dai parametri socio-economici. Un altro parametro spesso utilizzato è quello della popolazione residente nelle singole comunità. Le regioni inoltre, attraverso il principio di delega, hanno la possibilità di comandare alle comunità alcuni compiti specifici; tra questi i più diffusi risultano essere l’agricoltura (bonifica, foreste, direttive comunitarie, agriturismo e piani agricoli), l’utilizzo del suolo, le opere pubbliche, la formazione professionale, il turismo, lo sport, la cultura e i servizi socio sanitari. Le comunità montane in Italia sono strettamente legate non solo alla regione, ma anche ai comuni, sia sotto il profilo lavorativo e di competenza, sia sotto quello burocratico e amministrativo, in quanto la legge numero 1102 del 1971 sancisce che gli amministratori dei comuni siano anche gli amministratori delle comunità. Proprio da questa situazione nascono i maggiori problemi, legati all’interesse dei singoli amministratori più verso il comune che verso la comunità montana. Questo è legato a vicende elettive e ad una frantumazione all’interno delle singole comunità montane. Un altro serio problema si può notare quando un comune sovrasta gli altri dal punto di vista demografico e funzionale. Ciò crea una situazione di beneficio per il comune dominante, che aumenta la sua posizione di leader, e una situazione di svantaggio per i centri minori, che sono “oscurati” e non riescono ad essere indipendenti. Non sempre però accade così. In provincia di Cuneo
49
De Vecchis G., 1992, La montagna italiana, verso nuove dinamiche territoriali: i valori del passato e le prospettive di recupero e sviluppo, Edizioni Kappa, Roma, pp. 199-207.
44
per esempio, all’interno della comunità montana della Valle Maria la sede della comunità si trova a San Damiano Macra, nonostante il comune più popoloso sia Dronero, che tra l’altro detiene il 60 % della popolazione della comunità. Un ruolo certamente chiave è giocato dalla partecipazione attiva della cittadinanza, sia nel momento delle votazioni per i rappresentanti dei vari organismi, sia nelle attività quotidiane relative alla comunità montana. In realtà la legge n. 1102, pur lasciando alle regioni il compito di emanare le norme relative all’articolazione e alla composizione degli organi elettivi delle comunità montane, delinea comunque il quadro di riferimento. All’articolo 4, infatti, si afferma che i provvedimenti delle singole regioni dovranno, in ogni caso, prevedere un organo deliberante, con la partecipazione della minoranza di ciascun consiglio comunale, ed un organo esecutivo ispirato a una visione unitaria degli interessi dei comuni partecipanti (De Vecchis 1992, p. 211). Anche in questo caso il problema chiave rimane la dimensione ridotta di alcuni comuni, i quali non riescono a soddisfare i servizi richiesti e a garantire un adeguato livello nella qualità della vita. Per far fronte a questa situazione si è cercato, con il nuovo ordinamento delle Autonomie Locali, varato con la legge 8.6.1990, n. 142, di provvedere ad una fusione dei centri di dimensioni troppo piccole (non superiori a 5.000 abitanti ciascuno) e allo stesso tempo di impedire l’istituzione di nuovi comuni con una popolazione inferiore a 10.000 abitanti. Alla regione è stato infatti affidato il compito di favorire e promuovere la fusione attraverso l’erogazione di contributi aggiuntivi a quelli normalmente previsti per i singoli comuni. Sempre secondo le disposizioni di legge vi è l’obbligo di procedere alla fusione entro dieci anni dalla costituzione dell’unione; in caso di mancato conseguimento dell’obiettivo, la pena sarà lo scioglimento dell’unione. In effetti molti piccoli comuni si trovano in condizione di non poter soddisfare certi bisogni o devono adattarsi a provvedervi alla meglio e con costi economici elevati…Soddisfatte in qualche modo le funzioni cui non può sottrarsi, la quasi totalità dei comuni minimi non ha mezzi per far fronte alla domanda sempre crescente dei servizi sociali; succede, anzi, che il loro regresso demografico deteriori progressivamente i servizi già esistenti, anche quelli gestiti dallo Stato o da altri enti, fino a farli cessare. Chiudono le scuole e le chiese, scade ogni forma di vita associata, si accentuano squilibri tra città e campagna” (De Vecchis 1992, p. 214). Il problema della pianificazione rimane sempre tra i più gravi, sia per l’assenza di organi e strutture come già segnalato, sia per la mancanza di competenza delle stesse persone che
45
amministrano le comunità. È anche vero che nei territori alpini il senso di appartenenza alla comunità, al paese e alla propria terra è molto diffuso e più radicato che nelle città urbane; questo è sicuramente uno stimolo e una spinta in più alla partecipazione della cittadinanza alla comunità. Altri e numerosi problemi legati alle comunità montane italiane sono di natura prettamente geografica e ambientale. L’Articolo 3 della legge n.1102 del 1971 (Classifica e ripartizione dei territori montani) stabilisce che i territori montani saranno ripartiti con legge regionale in zone omogenee in base ai criteri di unità territoriale ed economica (De Vecchis, 1992, p. 187). L’omogeneità, definita secondo i criteri di contiguità dei territori montani, unità territoriali, economica e sociale e rapporti di integrazione col resto del territorio regionale, dovrebbe essere il criterio-guida per la classificazione ma risulta essere invece un forte elemento di squilibrio, in quanto in montagna è praticamente impossibile parlare di zone uniformi e omogenee. L’elenco delle problematiche relative alle comunità montane del Paese si allarga ulteriormente se si prende in argomento la loro delimitazione, anch’essa inserita nella legge del 1971 n.1102. Un’elevata varietà di criteri ha portato infatti ad una forte differenziazione delle varie comunità, dando luogo a fenomeni di espansione esagerata, di stagnazione e di crisi. Alla disomogeneità geografica si accosta quella demografica creando una frantumazione del territorio che rende ancora più ardua una pianificazione territoriale ottimale. Complessivamente il principale motivo di tali problemi è la mancata acquisizione di un’adeguata capacità operativa delle comunità, causata anche dalla rete inestricabile delle competenze di Stato, Regione, Province e Comuni. Nel 1994 si è cercato, attraverso la legge numero 97 del 1994, (Nuove disposizioni per le zone montane) di organizzare interventi mirati e più dettagliati per uno sviluppo globale a tutela delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene dell’habitat montano. De Vecchis definisce questa legge un momento di straordinario significato, culturale oltre che economico: il passaggio dalla visione della montagna come problema alla visione della montagna come risorsa; il passaggio da soggetto da assistere a soggetto in grado di svilupparsi in un sistema (valorizzando le sue capacità endogene) (De Vecchis in Scaramellini 1998, pp. 332-333). I principali obiettivi di tale legge sono quello di fornire il supporto e il sostegno della permanenza in quota della popolazione stabile favorendo l’integrità dell’azienda familiare e il suo sviluppo, così da risolvere il problema dello spopolamento e promuovere l’emanazione di direttive rivolte alla pubblica amministrazione per decentrare nei comuni
46
montani attività e servizi dei quali non è indispensabile la presenza in aree metropolitane. Si sta parlando di servizi come istituti di ricerca, laboratori, università, musei, infrastrutture culturali, ricreative e sportive, ospedali specializzati, case di cura e di assistenza. Si possono notare tuttavia dei leggeri e piccoli segnali di ripresa: il nuovo ordinamento delle Autonomie locali prevede (a norma dell’8° comma dell’art. 29) che la comunità montana può essere trasformata in unione di comuni. Questo permette alla comunità montana di entrare nel raggio d’azione delle funzioni dei comuni in vista della fusione, senza che il comune stesso venga totalmente privato dell’esercizio delle funzioni proprie. Sostanzialmente la comunità montana può svolgere le funzioni di un comune che verrà a breve annesso, nel caso questo non risulti in grado di svolgerle in maniera autonoma. Prima di passare in rassegna le attività delle comunità montane italiane è importante soffermarsi brevemente su un particolare organismo nato dalla voce del popolo, fortemente voluto dai cittadini i quali vogliono sentirsi parte attiva della comunità montana cui appartengono. Stiamo parlando dell’UNCEM (Unione Nazionali Comuni Comunità Enti Montani), costituita il 20 novembre 1952. Questa associazione raccoglie 337 comunità montane italiane e 4190 comuni considerati montani, a cui si aggiungono 38 Amministrazioni provinciali e un altro consistente gruppo di enti operanti in montagna (consorzi forestali). Si tratta di un’associazione nata senza scopo di lucro, di natura privatistica e con un operato costituito solo da volontari con l’intento di promuovere, sostenere e incoraggiare le iniziative mosse dalle comunità. Si occupa di diversi aspetti, dalla legislazione all’agricoltura, dalle opere pubbliche fino alla formazione di personale specializzato e competente. Nel corso degli anni ha acquisito una notevole importanza, tale da permettere all’Unione, a livello nazionale, di intervenire presso Governo e Parlamento per trattare temi specifici come la difesa del suolo, la prevenzione dalle calamità naturali, la valorizzazione dell’ambiente, delle aree protette e dei parchi e il sostegno degli enti locali. L’Unione è fortemente attiva anche a livello mediatico, attraverso la pubblicazione mensile di Montagna, organo ufficiale di informazione. Collabora inoltre con numerose organizzazioni, associazioni e enti (Fondazione Montagne Italia50, Green Communities51, la Guardia Forestale e la Protezione Civile). 50
Fondazione Montagne Italia è un’organizzazione istituita per controllare le attività delle comunità montane a livello istituzionale, sociale ed economico. 51 Progetto rivolto alle regioni dell’Italia meridionale con lo scopo di aumentare la produzione e l’utilizzo di energie rinnovabili e promuovere nuove modalità di consumo sostenibile.
47
1.3.2 – Le attività delle comunità montane
Già dal 1971 era stata elaborata una Carta della Montagna, inserita nell’art.14 della legge n. 1102 del 1971, e composta principalmente52 da tre volumi. Il primo volume, chiamato Carta della Montagna e del Territorio montano, presentava le metodologie per la realizzazione delle carte geografiche e delle monografie regionali; il secondo volume, Monografie regionali, era dedicato alle aree montane di ciascuna regione italiana. Il terzo volume, invece, appariva l’unico veramente funzionale ed operativo, in quanto erano state inserite le carte tematiche, per un utilizzo strettamente tecnico. Erano presenti 16 carte in scala 1:25.000 (su base di alcune Tavolette dell’Istituto Geografico Militare) trattanti i seguenti temi: foreste, pascoli e coltivi; geologia; aree e caratteristiche geologico-tecniche omogenee; ambienti geomorfologici; ambienti della vegetazione; suoli e loro capacità d’uso a fini agro-silvo-pastorali. All’interno della Carta veniva espressamente dichiarato che il Ministero dell’agricoltura e delle foreste, di concerto con il Ministero dei lavori pubblici, appresterà entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge una Carta della montagna dalla quale sia dato rilevare, a livello di prima approssimazione, la situazione attuale per quanto riguarda le utilizzazioni del suolo, la rete stradale e le principali attrezzature civili nonché lo stato di disserto riferito alle indicazioni della carta geologica e la consistenza delle opere idrauliche ed idraulico-forestali in atto (De Vecchis 1992, p. 183). Fin da subito però apparve anche per questa iniziativa un problema di realizzazione ottimale, dato che le tempistiche date non erano rispettabili e non vi erano obiettivi successivi dichiarati sulla carta, la quale si limitava solamente ad essere una sorta di metro d’esame per valutare le comunità. Lo svolgimento delle varie attività delle comunità è risultato quindi, sin dall’inizio, molto complesso e problematico; le maggiori difficoltà si sono osservate nelle regioni meridionali, dove tradizionalmente il dinamismo e l’interesse degli stessi cittadini verso la montagna è minore. Per questo, in quelle zone, si notò il maggior numero di comunità montane abolite, causato sia dalla scarsa partecipazione della cittadinanza, sia dalla situazione di depressione e degrado che la montagna costituisce nel Mezzogiorno. Si andranno ora ad analizzare le attività delle comunità montane nei principali settori dell’economia italiana. 52
Era presente anche un Atlante, composto da sei carte, divise ciascuna in 14 fogli alla scala 1:500.000.
48
Il settore primario rappresenta un aspetto chiave nelle attività della comunità, importante quasi quanto il terziario. Il primario rappresenta il motore e la base necessaria per il successivo sviluppo del terziario dei servizi: senza una quota minima di popolazione addetta all’agricoltura, l’ambiente montano non può essere mantenuto e sviluppato nelle sue strutture economiche e socio culturali (De Vecchis 1992, p. 221). I maggiori incentivi sono infatti destinati al settore primario attraverso la realizzazione di infrastrutture, acquedotti, strade poderali e interpoderali, forme di supporto alle produzioni agricole e all’allevamento. Un forte interesse ruota inoltre attorno al riutilizzo di terreni abbandonati, con la promozione della coltivazione di piante officinali. In questo settore si è mossa l’Università di Firenze, la cui facoltà di Scienze Agrarie e Forestali ha collaborato con diverse comunità montane per sperimentare la coltivazione della Gentiana lutea53. Questo esempio rappresenta il nuovo e forte interesse verso l’attività vivaistica che prende sempre più piede nei dibattiti delle comunità. Un altro aspetto fortemente preso in considerazione è quello della valorizzazione degli agriturismi e del conseguente commercio di prodotti tipici e locali. La valorizzazione di malghe, rifugi e agriturismi rappresenta un’ottima carta da giocare per evitare un loro decadimento non solo economico, ma anche sociale. Non servono solo fondi e finanziamenti per avviare un’attività, ma anche costanza e successivi aiuti per permettere una crescita economica e un futuro. L’agriturismo soprattutto non è legato solo ed esclusivamente al ramo gastronomico; esso anzi rappresenta l’aspetto conclusivo di un lavoro e un operato ben più complesso di quello che si potrebbe pensare. Gestire un agriturismo significa dover operare in più settori economici: agricoltura, allevamento, produzione alimentare, gestione e comunicazione turistica, accessibilità e infrastrutture… L’allevamento, un tempo cardine dell’economia alpina incontra difficoltà sempre maggiori. Le antiche pratiche dell’alpeggio e della transumanza sono ormai importanti per il loro valore culturale e non certo per quello economico. Una nota positiva è rappresentata dai punti di raccolta del latte, che nei centri alpini con elevato numero di allevatori rappresenta una soluzione vantaggiosa. Come sottolineato sopra, il settore primario rappresenta la base per un settore terziario sviluppato ed efficiente. Sono infatti i servizi e il turismo la fonte principale di
53
si tratta di una pianta erbacea perenne, grazie alle dimensioni delle sue radici molto sviluppate. È diffusa su terreni calcarei, in alpeggi e prati poco umidi.
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sostentamento delle città alpine. Per quanto riguarda il turismo, ne riparleremo più avanti analizzando nel dettaglio la nascita, lo sviluppo e le dinamiche del turismo montano nelle Alpi Italiane. Riguardo ai servizi invece, si può notare che essi rappresentano un ottimo metro di valutazione per le comunità montane. Queste ultime hanno una buona utenza, costituita dall’elevato numero di persone anziane: garantire loro aiuto e disponibilità rappresenta un elemento essenziale. Sono ben sviluppati infatti centri e associazioni per anziani, sia per una frequentazione giornaliera, sia per un soggiorno prolungato (case vacanza, alberghi convenzionati). Il problema delle scuole rimane invece sempre attivo nelle città alpine, spesso condizionate da un maggior isolamento rispetto alle città urbane. Se le scuole dell’infanzia e le scuole primarie sono presenti quasi in ogni comune, la situazione cambia drasticamente per le scuole secondarie di primo grado ma soprattutto per le scuole secondarie di secondo grado. Il discorso sui servizi deve anche necessariamente interessare l’ambito culturale, ricreativo e sportivo. Proprio in quest’ultimo settore, molti comuni montani si sono adoperati per la realizzazione di impianti sportivi ben organizzati e polifunzionali, inglobando in un unico complesso discipline come nuoto, atletica, pallavolo, pallacanestro, tennis e calcio.
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CAPITOLO 2 – IL TURISMO MONTANO E LE TRASFORMAZIONI DELLE CITTÀ ALPINE 2.1 – Il turismo nelle città alpine Il turismo rappresenta un marcato aspetto del settore terziario al giorno d’oggi. Il flusso di persone che si sposta per questa pratica dimostra un fenomeno ormai in costante crescita dal 2009, con un rafforzamento nell’ultimo anno del 5 % circa (Moretti 2015, p. 13). L’Europa rimane la meta “più gettonata”, con la Francia come prima destinazione e l’Italia come quinta scelta. 2.1.1 – La nascita del turismo montano Un aspetto chiave dell’analisi che si sta portando avanti è rappresentato dal turismo montano. Vengono ampiamenti studiati la sua nascita, il suo sviluppo, ma soprattutto i cambiamenti e le trasformazioni che questa tipologia di turismo ha portato nelle città alpine. In esse il turismo ha esercitato ed esercita ancora un ruolo predominante. Le città hanno cambiato il proprio aspetto per far fronte alle richieste turistiche: sono stati costruiti alberghi e seconde case, sono state ampliate strade, sono stati migliorati i collegamenti, sono nati i grandi impianti di risalita e le infrastrutture per gli sport invernali, si sono espansi i ristoranti e le attività gastronomiche locali; alcune città hanno persino radicalmente cambiato la loro economia per far fronte ad un flusso turistico crescente e di notevoli dimensioni. È quindi necessario riprendere le fasi primordiali dello sviluppo del turismo alpino, che, secondo Bartaletti (2011)54 iniziò a manifestarsi nelle Alpi con la nascita dell’alpinismo moderno dal Settecento, quando la paura e il timore per l’alta montagna lasciarono posto al desiderio di raggiungere cime elevate, considerate inaccessibili e lontane dalla civiltà. Nello stesso periodo si assistette anche all’apertura di nuove strade, alla sistemazione di vecchie mulattiere e all’arrivo di poeti e scrittori romantici, attratti dalle vedute panoramiche, da luoghi incontaminati e da paesaggi maestosi. È in questa fase (181654
Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, pp. 236-240.
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1882) che si compirono numerose ascensioni alpinistiche di rilevo nell’arco alpino, raggiungendo vette oltre i 4.000 metri di quota. La seconda fase dello sviluppo del turismo montano si colloca tra il 1882 (primo campionato di pattinaggio a St. Moritz) e il 1914: è stato questo il periodo della Belle Époque55, dove iniziarono ad essere frequentate le località di bassa quota (1.000-1.200 m s.l.m.) situate in ampie vallate, affacciate su ghiacciai o montagne di notevole bellezza, come Chamonix in Francia e Courmayeur in Valle d’Aosta, Grindelwald, Wengen, Interlaken ed Engelberg in Svizzera, Cortina d’Ampezzo e Ortisei sulle Dolomiti o Bad Gastein in Austria. Altre località, ad altitudini più elevate (1.600-1.900 m s.l.m.), come Zermatt, St. Moritz e Pontresina in Svizzera e San Martino di Castrozza nelle Dolomiti, furono scelte per la bellezza delle vette e dei paesaggi o per particolari condizioni climatiche, ideali e confortevoli anche nei mesi più freddi. In questo periodo il turismo montano era caratterizzato da passeggiate e brevi escursioni in luoghi panoramici spesso raggiunti da sistemi ferroviari come quello della Jungfrau in Svizzera (fig. 12) o dalla presenza di centri termali: proprio questi portarono alla costruzione dei primi alberghi con una capacità ricettiva di oltre 500 letti turistici, caratterizzati da architetture e forme pittoresche e ben inseriti nel contesto naturale alpino. Tra le località più celebri si possono ricordare St. Moritz e Pontresina in Svizzera o Bad Gastein in Austria. Inoltre, a causa dell’ingente quantità di persone che intraprendevano escursioni più impegnative e a quote elevate, sorsero i primi rifugi alpini, per garantire ristoro e una migliore accessibilità a cime distanti dal fondovalle. Sempre in quegli anni, durante la stagione invernale comparve in Svizzera, Italia, Austria e Francia, la pratica dello sci (sotto forma di sci da discesa, di fondo o salto con gli sci), importato dalla Norvegia.
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Belle Époque: periodo storico, culturale e artistico che coinvolse l’Europa dall’ultimo ventennio dell’Ottocento sino alla Prima Guerra Mondiale. Il nome significa “epoca bella” in riferimento ai grandi progressi che si sono raggiunti (illuminazione elettrica, automobile, radio, cinema, pastorizzazione).
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Fig. 12. La ferrovia della Jungfrau, inaugurata nel 1912, copre un tragitto di 9,3 km ed è considerata la linea ferroviaria più alta d’Europa (www.swisstravelsystem.com). La terza fase dello sviluppo turistico si colloca tra la fine della Prima Guerra Mondiale (1918) e gli anni precedenti al boom economico (1955-58). Il turismo non coinvolse più solamente una classe ristretta come quella dei nobili e degli aristocratici, ma vide una consistente affluenza di una classe media benestante e abbiente, che iniziò dapprima a soggiornare in strutture meno elitarie e successivamente a comprare o affittare appartamenti. Si svilupparono in questa fase altre località, quali Bardonecchia, Gressoney, Breuil-Cervinia, Bormio, S. Caterina Valfurva, Canazei e Corvara in Italia, Saint-Gervais, Megève e Morzine in Francia, Adelboden, Crans e Saas Fee in Svizzera, Sankt Anton e Mayrhofen in Austria. Questa fase, che vide un forte incremento del flusso di turisti in termini numerici, fu caratterizzata dal boom dello sci da discesa, che superò per importanza lo sci di fondo e portò alla costruzione dei primi impianti di risalita, per permettere agli sciatori di ripetere più volte la discesa; nel 1926 furono inaugurate le prime funivie concepite per la risalita degli sciatori come quella di Cortina-Pocol, in provincia di Belluno (fig. 13). Negli anni a seguire si assistette di conseguenza ad una rapidissima espansione degli impianti di risalita: funicolari, funivie bifune, sciovie, skilift diventarono parte del paesaggio alpino e furono oggetto di grandi investimenti.
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Fig. 13. La funivia Cortina-Pocol, la prima funivia italiana costruita per garantire la risalita delle piste agli sciatori (1930) (www.funivie.org). La fase successiva (1955-1980) vide lo sviluppo del turismo di massa, sia estivo, negli anni ’60 e ’70, sia invernale, dagli anni ’60 in poi. Questo consistente afflusso causò la proliferazione degli impianti di risalita, realizzati anche in località minori e poco innevate, ma soprattutto uno sviluppo urbano delle città: grandi e piccoli alberghi, pensioni, seconde case e residence sorsero in qualsiasi città interessata dal turismo, soprattutto in Francia, nelle Alpi occidentali italiane e nei cantoni svizzeri di lingua francese; si allungarono i periodi di soggiorno e nacque la pratica della settimana bianca56. Iniziarono a diffondersi anche altre attività e intrattenimenti, importati dalla movida delle città di pianura, come aperitivi e discoteche e diminuirono notevolmente i contatti e le relazioni con la popolazione locale. Gli impianti di risalita iniziarono ad essere invasivi e dannosi per l’ambiente a causa delle loro dimensioni e del consumo energetico elevato. Si manifestarono poi i primi periodi di crisi per le località che non erano riuscite a svilupparsi a causa di impianti antiquati o per via del forte isolamento geografico. Con il cambiamento delle ore di lavoro, che interessò fortemente l’economia di quegli anni, nei fini settimana si osservò un vero e proprio esodo della popolazione di città, che sfruttava il weekend per allontanarsi dal caos e dall’inquinamento urbano. La quinta fase, dal 1980 alla metà degli anni ’90, vide un’evoluzione contrapposta di turismo invernale ed estivo: ad una fase di crescita del primo si contrappose un periodo di 56
Settimana bianca: termine usato per indicare la permanenza in luoghi luoghi montani nel periodo freddo con lo scopo di svagarsi, praticando generalmente sport invernali (sci alpino, sci di fondo, scialpinismo, sci nordico, slittino, pattinaggio, snowboard).
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forte crisi del secondo, ritenuto ormai non più intraprendente e attrattivo, soprattutto se paragonato alle nuove mete estive, ai viaggi tropicali e alle grandi capitali. La sesta fase, iniziata a metà del 1990 e tutt’ora in corso, continua con la modernizzazione degli impianti di risalita ad alte quote e la riqualificazione delle stazioni che negli anni precedenti avevano vissuto momenti di crisi. Il turismo estivo continua la sua fase calante e molte città appaiano semi deserte a causa delle seconde case che non vengono sfruttate. Come si è potuto osservare dalla breve descrizione dello sviluppo del turismo appena conclusa, un aspetto importante nell’evoluzione e nel successo di tale fenomeno e delle località è stato dato dagli impianti di risalita e dalle stazioni sciistiche, che hanno avuto un vero e proprio sviluppo di massa a partire dal 1960-70. In questa prima fase si verificò uno sviluppo di tipo quantitativo, con la costruzione di numerosi impianti per permettere un flusso regolare e senza congestionamenti. Dagli anni ’80 invece si osservò uno sviluppo qualitativo grazie ai numerosi progressi tecnologici che portarono ad enormi investimenti. Il nuovo obiettivo divenne la creazione di bacini interconnessi, l’utilizzo di macchinari per la creazione di neve artificiale, la battitura delle piste con nuove modalità; nacquero i primi comprensori intervallivi, che collegavano più località e offrivano moltissimi kilometri di piste. Le stazioni sciistiche, come si è potuto evincere dall’analisi appena terminata, rappresentano il fulcro del turismo montano invernale e sono classificabili in diversi modi, analizzati da Moretti (2015)57. Umberto Bonapace58 le divide tra stazioni: per sport invernali, situate in zone con forte afflusso invernale ed estivo, comprese tra i 1.200-1.400 m s.l.m. e sorte tra le due guerre come Cervinia, Courmayeur o Madonna di Campiglio; di importanza regionale, simili alle precedenti ma con minor capacità ricettiva come Limone Piemonte; semplici e satelliti, formatesi nel dopoguerra e con un’attrattività limitata; minori, la cui economia è fortemente dipendente da una città adiacente più importante; per lo sci estivo come lo Stelvio o la Marmolada. Rémy Knafou59 propone invece una suddivisione di tipo cronologico, distinguendo tra: stazioni di prima generazione, sorte in zone già abitate e caratterizzate da un assetto
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Moretti A., 2015, Il turismo montano in Italia, dimensione strutturale ed evoluzione territoriale, Patron editore, Bologna. 58 Umberto Bonapace: geografo e presidente del Touring Club Italiano dal 1969 al 1977. 59 Rémy Knafou (1948-) è un docente universitario francese specializzato in geografia del turismo. La sua tesi di dottorato (1978) era titolata “stations intégrées de sports d'hiver des Alpes françaises”.
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urbanistico eterogeneo, da un centro storico e da comprensori non collegati alla città come Courmayeur; di seconda generazione, nate tra il 1946 e il 1960 in luoghi privi di precedenti insediamenti; di terza generazione, costruite ex-novo e recentemente, nelle quali il promotore e finanziatore si occupa anche della costruzione degli immobili e delle varie infrastrutture; di quarta generazione, comprendenti quelle località che, per superare una forte crisi economica hanno operato interventi urbani invasivi ed eliminato ogni contatto con la popolazione locale. Un’ulteriore classificazione è stata proposta da Christian Hannss, che, tra il 1979, il 1982 e il 1985, analizzando le località turistiche francesi ha proposto una suddivisione in: stazioni grandi e antiche, situate oltre i 1.300 m s.l.m., con una capacità ricettiva di oltre 12.700 letti turistici e con un potenziale degli impianti di risalita pari a 5,6 milioni di persone/ora per metro di dislivello (p/h/m); in provetta, con una capacità impianti pari a 3,2 p/h/m e costruite ex-novo; a carattere familiare ad alta quota e con forte turismo invernale; a bassa quota con forte turismo estivo; recenti e piccolissime. Nel 2009 l’Osservatorio Nazionale del Turismo60 ha proposto un’ulteriore classificazione delle località montane italiane in base alla domanda reale o potenziale a cui i servizi turistici si ripromettono di andare incontro attraverso un’offerta coerente (Moretti 2015, p. 49). Si possono così osservare le destinazioni: a forte internalizzazione (Moretti 2015, p. 49), che comprendono località rinomate a livello nazionale e internazionale come Courmayeur in Valle d’Aosta, Cortina d’Ampezzo (fig. 14) in Veneto o Ortisei in Trentino Alto Adige, situate ad una quota ideale sia per il turismo estivo che per quello invernale, il cui pacchetto delle attività offerte è molto ampio (trekking, mountain bike, alpinismo, sci, pattinaggio, golf, tennis) e la presenza di turisti stranieri è elevata; performanti (Moretti 2015, p. 50), che comprendono località orientate nella sponsorizzazione dello sci alpino grazie alla presenza di ampi comprensori, come quello di Cervinia in Valle d’Aosta, dove il flusso turistico si concentra nel periodo dicembre-marzo; market-oriented (Moretti 2015, p. 53), che raggruppano comuni che hanno investito nelle trasformazioni e si sono aperti anche a vari mercati, differenti da quello dello sci, come accaduto ad Arosa in Svizzera; messe a sistema (Moretti 2015, p. 55), raggruppanti molte località sorte in zone montane rinomate come Madonna di Campiglio e Corvara in Trentino Alto Adige, con uno sviluppo socio
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Osservatorio Nazionale Turismo: istituito dalla Presidenza del Consiglio con lo scopo di studiare, analizzare e monitorare le dinamiche socio-economiche del turismo.
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economico molto simile e con una pianificazione strategica comune, che ha portato una ad una forte crescita grazie anche alla loro struttura polifunzionale estiva e invernale; tradizionali invernali (Moretti 2015, p. 57), che raggruppano località con un flusso turistico quasi totalmente concentrato nella stagione invernale e situate ad un’altitudine abbastanza elevata come Bormio e Livigno in Lombardia, rendendole efficienti nella stagione invernale ma isolandole dai centri urbani più vicini; tradizionali estive (Moretti 2015, p. 57), nelle quali sono comprese località medio-piccole come Falcade in Veneto, che cercano di rilanciarsi con novità turistiche come mountain bike o escursioni a cavallo; a bassa quota (Moretti 2015, p. 58), che coinvolgono località localizzate a quote troppo basse per offrire servizi invernali, così che la loro offerta si basa sulla valorizzazione di prodotti locali e tipici; strutturalmente sottodimensionate (Moretti 2015, p. 60), raggruppano quelle stazioni sviluppatesi anche anticamente ma che non hanno più avuto espansione, come la zona del Passo del Brocon, in Trentino, che ora cerca di investire sulle risorse ambientali, anche se le aspettative non sono tra le più promettenti.
Fig. 14. Un’immagine del comprensorio sciistico di Cortina d’Ampezzo, in Veneto, inserito nel grande bacino del Dolomiti Superski ed esempio di località a forte internalizzazione (www.dolomitisuperski.com). Le classificazioni appena mostrate si basano soprattutto su un turismo prevalentemente invernale; questo perché il turismo montano, negli ultimi decenni è cresciuto e si è sviluppato soprattutto nelle stagioni fredde, mentre quello estivo è identificabile solamente nella pratica di escursioni, sport estivi come il golf e il tennis o soggiorni giornalieri di tipo gastronomico.
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2.1.2 – La localizzazione del turismo montano L’evoluzione dei centri turistici montani ha avuto uno sviluppo che può essere definito duale, in quanto alcuni sono nati dalla presenza dominante di soggetti esterni, altri da una crescita spontanea interna, che è stata sfruttata da operatori locali. Questi due modelli hanno creato realtà molto differenti, sia sotto l’aspetto urbano sia sotto quello socioeconomico. Le località montane che sono definite evolutive (Moretti 2015, p. 37) raggruppano centri montani che si sono sviluppati con finalità turistiche, spesso termali. La loro evoluzione urbana è stata molto spontanea o lo si può notare nell’assetto urbanistico, dove si trovano tracce di zone un tempo destinate all’agricoltura e all’allevamento. Ad una crescita del turismo estivo è seguita quella invernale, legata allo sci alpino, che ha creato due differenti evoluzioni: alcune città, grazie alla morfologia del territorio si sono attrezzate in maniera ottimale e competitiva, altre invece, come Prè-Saint Didier in Valle d’Aosta (fig. 15), non avendo aree territoriali sfruttabili per gli sport invernali, sono rimasti marginalizzate o legate ad una sola attrattività turistica. Altre località possono essere definite ski-oriented (Moretti 2015, p. 38). Si tratta in questo caso di località nate soprattutto tra gli anni ’50 e ’60 grazie alla spinta di investitori esterni, con l’intento di creare realtà economiche redditizie per la promozione dello sci alpino. Un forte sostegno allo sviluppo di tali località è stato dato dalla modernizzazione e dall’espansione della rete autostradale, che ha permesso a numerose stazioni, un tempo isolate, di essere facilmente raggiungibili. La pianificazione di queste città è stata molto precisa e attenta, con lo scopo di creare un sistema urbano efficiente; centri montani appartenenti a questa seconda tipologia sono quelli di Cervinia in Valle d’Aosta o del Passo dello Stelvio. Sul finire degli anni ’70 si sono sviluppate anche le località definite full linked (Moretti 2015, p. 39), caratterizzate da aree soggette a grandi investimenti proposti da urbanisti e architetti con lo scopo di ottenere il massimo profitto economico, senza prestare attenzione all’ambiente e al territorio; ne sono un esempio Courchevel e Plange (Francia). Esistono poi le località mimetiche (Moretti 2015, p. 40) che cercano di svilupparsi nei pressi di antichi centri montani riprendendone le caratteristiche architettoniche e urbane, senza però edificare alberghi o immobili troppo invasivi. Tra queste località si può ricordare Verbier in Svizzera (fig. 16).
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Fig. 15. Le terme di Prè-Saint Didier in Valle d’Aosta sono un esempio di località evolutiva legata esclusivamente al turismo termale, a causa della mancanza di aree sfruttabili per la pratica di sport invernali (www.hotelrendezvous.com).
Fig. 16. La città alpina di Verbier, in Svizzera, è un esempio di località mimetica, che ha saputo controllare il proprio sviluppo urbano in sinergia con l’ambiente e il territorio circostante (www.myframesaver.it).
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Moretti (2015)61 ha osservato che i centri alpini, come si è visto poco sopra, hanno subito dei processi evolutivi che li hanno portati, a seconda delle loro potenzialità e dei soggetti coinvolti, a svilupparsi in maniera differente. Generalmente vengono individuati due modelli nella localizzazione delle imprese, ovvero nella trasformazione di una città o di una determinata area: il modello community (Moretti 2015, p. 40) si caratterizza per la frammentazione e la diffusione del sistema di offerta su tutto il territorio, integrato anche nell’abitato storico, con imprese medio-piccole e spesso a gestione familiare; il modello corporate (Moretti 2015, p. 40) si basa invece su grandi proprietà di multinazionali con una forte standardizzazione dei prodotti. Le stazioni sciistiche sviluppatesi tramite questo modello possono essere specializzate o integrate (Moretti 2015, p. 41): le prime sono nate a cavallo del Novecento e si sono sviluppate solamente nell’ultimo trentennio grazie all’affermazione dello sci come unico sport invernale, come accaduto a Ponte di Legno (Lombardia); le stazioni integrate invece hanno subito uno sviluppo ramificato su varie offerte, dallo sci alla gastronomia alla valorizzazione culturale. Ne sono un esempio Folgaria e Marilleva in Trentino Alto Adige. Entrando nello specifico, le principali stazioni sciistiche delle regioni italiane considerate in questa analisi sono collocate in tre regioni. Si inizia con la Valle d’Aosta con le località di: Breuil-Cervinia, con oltre 350 km di piste ai piedi del Cervino; Champoluc (1.5682.705 m s.l.m.) sul Monte Rosa; Courmayeur (1.324-3.480 m s.l.m.) sul versante italiano del Monte Bianco, famosa per le sue discese in fuoripista nella Vallée Blanche62 (fig. 17), partendo da Punta Helbronner63 e attraversando il ghiacciaio della Mer de Glace64; la Thuile (1.200-2.650 m s.l.m.). In Lombardia invece le mete prescelte sono, tra le più celebri: Bormio (1.225-3.012 m s.l.m.) situata all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio65, nota a livello internazionale per le gare di Coppa del Mondo e per l’après ski; Livigno (1.810-2.800 m s.l.m.) che, grazie al clima rigido, gode di un ottimo innevamento fino a stagione inoltrata; Madesimo (1.541-2.880 m s.l.m.); il Passo dello Stelvio (2.76061
Moretti A., 2015, Il turismo montano in Italia, dimensione strutturale ed evoluzione territoriale, Patron editore, Bologna, pp. 40-42. 62 Vallèe Blanche: valle glaciale nel cuore del Monte Bianco, sotto l’Aiguille du Midi, a 3400 metri di quota. 63 Punta Helbronner: cima nel massiccio del Monte Bianco, sul confine tra Italia e Francia a 3.462 m s.l.m., punto di arrivo della funivia Skyway. 64 Mer de Glace: ghiacciaio situato nel versante francese del Monte Bianco, formato dal confluire dei ghiacciai Tacul, Leschaux e Talèfre. 65 Parco nazionale dello Stelvio: grande area protetta per la salvaguardia della flora e della fauna locale compresa tra Lombardia e Trentino Alto Adige che racchiude 24 comuni italiani.
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3.450 m s.l.m.), tra i principali centri di sci estivo; i Piani di Bobbio-Valtorta (1.350-1.950 m s.l.m.) che rappresentano il comprensorio sciistico di Lecco e delle Prealpi; il Ghiacciaio del Presena (1.800-3.086 m s.l.m.) tra i più noti bacini per la pratica dello sci fuoripista; Ponte di Legno (1.121-2.120 m s.l.m.). In Trentino Alto Adige invece, grazie alla forte autonomia di cui questa regione gode e che consente di convogliare ingenti capitali all’interno della regione stessa, si sono sviluppati comprensori spesso collegati tra di loro come nel caso del Dolomiti Superski e si sono realizzati impianti di risalita sempre moderni ed efficienti. Le località più note sono: Canazei (1.420-2.630 m s.l.m.); l’Alpe Cermis (880-2.667 m s.l.m.), la stazione più importante della Val di Fiemme; Madonna di Campiglio (1.500-2.500 m s.l.m.), una delle stazioni storiche del turismo italiano; San Martino di Castrozza (1.404-2.357 m s.l.m.); Krnoplatz (975-2.275 m s.l.m.), dove si può usufruire dei più moderni e tecnologici impianti di risalita.
Fig. 17. Un’immagine della Vallée Blanche e delle principali cime adiacenti. In blu sono indicati i principali itinerari di discesa in fuoripista, tra le maggiori attrazioni di questo comprensorio sciistico (www.camptocamp.org). Bisogna inoltre ricordare che la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige sono regioni autonome a statuto speciale e questa loro particolare situazione istituzionale e amministrativa ha permesso, soprattutto al Trentino Alto Adige, di avere una programmazione e dei finanziamenti autonomi per raggiungere vari obiettivi turistici. La regione si è occupata e si occupa positivamente della relazione uomo-ambiente, dello
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sviluppo sostenibile, della tutela dell’ambiente, della flora e della fauna, della promozione di un’economia basata sulla salvaguardia e sulla protezione del prodotto locale. Tutte queste, e altre numerose iniziative, hanno permesso al Trentino Alto Adige di divenire una delle migliori regioni italiane, se non la migliore, per la qualità della vita e dei servizi offerti, non solo in ambito alpino66. L’analisi fin qui fatta si sofferma soprattutto sul turismo montano nelle Alpi italiane. Anche fuori dall’Europa, in Cile, Argentina, Giappone, India, Stati Uniti, Canada e altri paesi ancora sono presenti località montane caratterizzate da un elevato numero di infrastrutture ricettive per il turismo montano invernale, formato per la maggior parte da turisti europei e nordamericani. In Europa invece, i principali paesi competitori del turismo italiano sono: la Francia, dove sono presenti, soprattutto lungo il confine italo-francese, comprensori famosi come quello di Chamonix o come quello delle Trois Vallées (fig. 18), che con 600 km di piste risulta essere il comprensorio sciistico più grande del mondo, riunendo al suo interno 8 località; la Svizzera, che possiede località storiche come Zermatt e St. Moritz o moderne come Verbier; l’Austria, che cerca sempre di offrire un’offerta di alto livello, sia per la qualità degli impianti che della vita, come nel caso di Kitzbuehel; la Germania, che grazie alla creazione del comprensorio di Garmisch nel 1936, in occasione delle Olimpiadi invernali, possiede uno dei più estesi comprensori sciistici europei.
Fig. 18. La carta tematica della skiarea del comprensorio Les Trois Vallées, in Francia, il più grande del mondo. Nasce dall’unione di 8 località collegate tra loro in un unico grande bacino con oltre 600 km di piste (www.dovesciare.it).
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Si ricorda per esempio la nomina, rispettivamente nel 2004 e nel 2009, di Trento e Bolzano come “Città alpina dell’anno”.
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2.1.3 – Il turismo sostenibile Anche nell’ambito turistico si sente parlare da circa un decennio di sviluppo e promozione del turismo sostenibile, che secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo (WTO67) risponde ai bisogni dei turisti e delle regioni che li accolgono, tutelando e migliorando le opportunità per il futuro (www.pnab.it). Nel tentativo di soddisfare i bisogni economici e sociali garantendo contemporaneamente l’integrità culturale e degli ecosistemi, il turismo sostenibile si basa su un uso ottimale delle risorse naturali, sul rispetto dell’identità socioculturale delle comunità ospitanti, sul contributo alla tolleranza interculturale e su un’equa distribuzione dei benefici socio-economici sia in termini di servizi sociali che di occupazione. Si prefigge inoltre di non oltrepassare la capacità di carico ecologica e socioculturale, definita dal WTO come il numero massimo di persone che visitano, nello stesso periodo, una località turistica senza compromettere l’ambiente fisico, economico e socioculturale, e senza ridurre la soddisfazione dei turisti (www.difesaambiente.it). Le nuove tendenze verso le quali si orientano il turismo sostenibile e quello alternativo cercano di utilizzare forme meno invasive di sfruttamento del territorio e coinvolgere le cosiddette aree minori. Si tratta principalmente: dell’ecoturismo, rivolto ad un turista attento all’impatto ambientale del suo soggiorno; del turismo verde, il cui obiettivo è promuovere forme di attrazione ambientali e paesaggistiche; del turismo ricreativo, basato sul relax e su attività non impegnative o faticose; del turismo attivo, incentrato invece sulla pratica di attività fisiche impegnative come trekking, alpinismo o maratone; del turismo educativo/ambientale che propone uscite didattiche sul territorio; del turismo rurale che cerca di valorizzare agriturismi o piccoli borghi, all’interno dei quali si possono meglio vivere le tradizioni locali; del turismo sociale che cerca un contatto e un interazione con la popolazione e la cultura locale. Negli ultimi anni si è fortemente sviluppato il turismo accessibile (fig. 19), rivolto a soggetti con difficoltà strutturali di avvicinamento alla montagna. In Italia è stata istituita la Commissione per la promozione e il sostegno del Turismo Accessibile68 e sia la Valle d’Aosta che il Trentino Alto Adige hanno finanziato numerosi progetti e iniziative in questa direzione; la prima ha proposto da circa un 67
WTO (World Tourism Organization): sigla usata per abbreviare la più comune UNWTO (United Nations World Tourism Organization) che in italiano viene chiamata OMT (Organizzazione Mondiale del Turismo). 68 Commissione turismo accessibile: ente che si prefigge di mettere al centro del sistema turistico ogni persona con i suoi bisogni.
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quinquennio il programma Oasi, diffuso nelle città di Ayas, Morgex, Saint Marcel e Valsavarenche con lo scopo di garantire accessibilità ad anziani, disabili e famiglie numerose; il Trentino ha finanziato i progetti Open Event e Open area, gestiti dalla Fondazione Accademia della Montagna del Trentino69 con lo scopo di migliorare e perfezionare
alcuni
aspetti
come
l’informazione,
l’educazione,
la
formazione,
l’accoglienza e la progettazione.
Fig. 19. L’immagine raffigura in maniera schematica le principali aree di competenza del turismo accessibile, una tra le forme di turismo più supportate in Italia, soprattutto in Valle d’Aosta e in Trentino Alto Adige, grazie ai numerosi incentivi regionali (www.Italia.it). 2.2 – Le trasformazioni materiali, spaziali e urbanistiche Le Alpi possono essere osservate sotto diversi punti di vista: come uno spazio naturale ricco di varietà animale e vegetale; come un’area di deprivazione economica e sociale dove l’uomo non sempre è riuscito ad insediarsi in maniera permanente; come una zona fortemente interessata dal turismo a partire dalla fine dell’Ottocento; come una delle aree più colpite dall’ingegneria edilizia umana. Il quadro complessivo che si può astrarre da 69
Fondazione Accademia della Montagna del Trentino: associazione istituita nel 2009 con lo scopo di promuovere la conoscenza del territorio montano e dell’arco alpino, la salvaguardia della montagna, la valorizzazione storica, culturale, socio-economica e sportiva delle regioni alpine del Trentino Alto Adige.
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queste diverse modalità di osservazione può essere definito a macchia di leopardo70: aree sviluppate e zone degradate e isolate si alternano e sono inserite in un contesto variabile, dove lo spopolamento della Alpi ha lasciato il posto ai vari processi di suburbanizzazione e polarizzazione locale. Il territorio alpino si trova in una fase cruciale della propria storia, essendo oggi oggetto di grandi trasformazioni fisiche che ne stanno profondamente cambiando l’aspetto e la natura. Tali trasformazioni non incidono solamente sulla struttura urbana ed economica della città alpina, ma anche sul paesaggio alpino, sul suo continuum71. L’idealizzazione nell’immaginario collettivo del quadretto alpino è ormai un lontano ricordo poiché l’urbanizzazione ha sostituito questi elementi con la pianificazione strategica e con lo sviluppo funzionale. Quando si parla di “processi di trasformazione” del territorio alpino molte volte si cade nell’errore di considerare solamente il periodo contemporaneo e più recente, dove la tecnologia moderna ha permesso una modificazione più rapida ed evidente. Bisogna però tenere presente che l’uomo, già dalla sua presenza nell’antichità, ha causato cambiamenti più o meno significativi al paesaggio. L’uomo infatti ha urbanizzato la montagna, seppur in maniera primordiale, sin dai primi insediamenti, con la costruzione di strade, strutture e terreni agricoli. Al giorno d’oggi, invece, le Alpi costituiscono un reale problema di pianificazione e questo aspetto è considerato come uno dei punti chiave per il modello di governo del territorio. Il problema maggiore rimane sempre la pluralità dei centri di decisione, soprattutto per quanto concerne le aree vaste: sono infatti troppe le figure decisionali coinvolte, così da creare un groviglio di istituzioni e un coordinamento delle attività poco efficiente. Per capire come e dove le trasformazioni sono state più incisive è necessario prendere in considerazione quei fattori che più influiscono sul turismo come le risorse naturali del territorio, il clima e gli agenti climatici, la struttura della popolazione (indice di invecchiamento, popolazione residente, popolazione lavorativa in loco, migrazioni, indice di natalità/mortalità,), l’altitudine, le componenti geomorfologiche e le modificazioni naturali del paesaggio come frane, smottamenti, alluvioni e terremoti. Tra queste il clima ricopre un ruolo importante e di conseguenza la climatologia è una scienza particolarmente legata all’urbanistica alpina. In montagna le differenze climatiche tra zone limitrofe sono 70
A macchia di leopardo: fenomeno che si manifesta in un’area in maniera irregolare ed eterogenea. Continuum: espressione usata per indicare l’evoluzione, i processi evolutivi e le conseguenze che essi portano. 71
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più cospicue che negli altri territori e si cerca infatti di istallare stazioni metereologiche, affidate a privati o appassionati, per raccogliere il maggior numero di dati su due aspetti influenti della climatologia come le precipitazioni e il soleggiamento. Negli ultimi decenni inoltre, in Italia, grazie alle ricerche dell’ingegnere Salvadori e dell’Istituto Geografico Italiano, si è arrivati alla creazione di plastici e modellini che permettono di abbandonare le classiche uscite sul territorio preferendo uno studio dettagliato in laboratorio. Grazie allo studio dei fattori sopra citati si possono riscontrare diversi feedbacks72 negativi legati al turismo come: il degrado dell’ambiente naturale causato dallo sfruttamento delle risorse; il decadimento delle caratteristiche culturali legato alla perdita delle tradizioni storico-locali; il degrado sociale e l’esclusione della popolazione locale dalle scelte decisionali; la riduzione del numero di aree naturali e riserve; i numerosi effetti negativi sulla biodiversità; l’inquinamento ambientale e gli elevati consumi energetici. Nonostante ciò, il trade-off73 dato dai costi e dai benefici del turismo montano è in alcune località positivo, soprattutto nello sviluppo economico delle imprese locali e del territorio. 2.2.1 – Le grandi trasformazioni della Storia contemporanea Le grandi trasformazioni del territorio e delle città sono accresciute in maniera considerevole con l’avvento della Rivoluzione Industriale, che ha portato il sistema semichiuso dell’autosufficienza a confrontarsi direttamente con i grandi spazi economici; il rapporto tra montagna e pianura si è quindi tramutato in un rapporto unidirezionale, totalmente sfavorevole alle Alpi e le aree maggiormente rurali e isolate sono state colpite da un fortissimo sgretolamento e degrado. Tale processo è proseguito, in alcuni casi, con maggiore intensità nel dopoguerra; dagli anni ’70 anche i centri di fondovalle, che godevano di una solida economia basata sul settore idroelettrico, hanno risentito di tale modernizzazione, subendo una delocalizzazione industriale. Dal dopoguerra si è assistito ad un rafforzamento della legislazione specifica, per prevenire gravi danni e regolare le attività dei vari comuni montani; la legge italiana 991 del 1952, per esempio, era già incentrata sugli effetti territoriali, economici e sociali. Un passo importante è stato fatto 72
Feedback: termine usato per indicare gli effetti che l’azione di un sistema ha sul sistema stesso, quindi le sue conseguenze, i riscontri che esso ha. 73 Trade off: termine usato per descrivere una situazione che implica una scelta tra due possibilità, dove la perdita di valore di una costituisce arricchimento per un’altra.
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con la legge numero 1102 del 1971, che si proponeva di ridurre gli squilibri, migliorare la rete dei servizi e valorizzare le risorse attraverso ingenti finanziamenti pubblici per garantire ai vari comuni di essere in grado di operare in maniera funzionale ed efficiente. Nonostante la formazione di enti, organizzazioni e organismi specifici, rimangono sempre alcune grandi questioni aperte come: la tutela dell’ambiente e di tutti gli aspetti umani e naturali che lo costituiscono, i trasporti e le infrastrutture, il turismo, il mancato interesse dell’Unione Europea verso una politica specifica per l’arco alpino, che possa uniformare le norme dei singoli stati eliminando situazioni critiche e sfavorevoli là dove si devono confrontare norme e leggi di paesi diversi. Nel 1955 la Commissione europea ha promosso un documento non ufficiale sullo Studio delle prospettive delle regioni dell’arco alpino e perialpino (Commissione europea 1995); il documento però è servito solamente a mettere in luce le grandi potenzialità che le Alpi offrono, ma non è stato accompagnato da una serie di politiche né finanziamenti, rimanendo così un grande progetto incompiuto. Le trasformazioni avvenute nelle città alpine interessano tutti i settori economici. Nel settore primario si osservano andamenti diversi per quanto riguarda l’agricoltura; la SAU74 è in flessione in Italia, in stagnazione in Germania e in crescita in Svizzera. Le aziende agricole che nascono sono sempre più vaste e ampie, per cercare una maggiore competitività extranazionale. Anche la scelta dell’allevamento è dettata dell’economia europea e gli allevamenti dei bovini sono stati spesso soppiantati da quelli di ovini. Le foreste rappresentano il settore più colpito dai grandi mutamenti, e ciò si dimostra dannoso non solo per il paesaggio e la natura, ma anche per l’azione di salvaguardia che esse svolgono verso valanghe, frane e smottamenti. Il settore secondario ha visto, con il decadimento dell’industria pesante, una forte trasformazione del fondovalle, dove spesso si erano instaurate industrie che avevano sfruttato i grandi spazi aperti. In alcune zone si è assistito alla formazione di poli tecnologici e allo sviluppo di settori specializzati: in Francia, per esempio, nella zona di Grenoble, si ha una sorta di Silicon Valley75 europea, specializzata nelle nano e bio74
SAU: abbreviazione di superficie agricola utilizzata. È espressa in valore assoluto (ettari) o in percentuale, confrontandola con la superficie di una porzione di territorio o con la superficie totale aziendale. 75 Silicon Valley: nome coniato nel 1971 per indicare la zona meridionale della baia metropolitana di San Francisco. Il nome Silicon fu dato per l’elevata concentrazione di fabbricanti di semiconduttori e di microchip (basati sul silicio), che portarono poi l’insediamento di aziende di computer, software e servizi di rete. Si tende quindi ad usare questo termine anche per indicare una zona con giacimenti e produzione industriale appartenente al medesimo settore di quella californiana.
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tecnologie; nell’Alta Savoia si è assistito al passaggio dall’industria dell’orologeria a quella della meccanica di precisione; in Italia si registrano valori percentuali in crescita dopo il crollo dell’industria pesante a Cogne, in Valle d’Aosta, dove la ex-Ilva si è completamente trasformata in Cogne Acciai Speciali, a Lecco dove le acciaierie sono state quasi tutte dismesse e in Valtellina con una forte specializzazione di aziende per la produzione di strumenti da taglio; in Trentino le aree disponibili dopo la chiusura dei vecchi impianti sono tornate alla Provincia Autonoma che ha promosso un progetto di valorizzazione delle piccole e medie industrie artigiane. Le principali trasformazioni che l’industria ha portato al territorio (oltre ovviamente alla costruzione dei grandi stabilimenti) sono state le grandi arterie di collegamento dei poli industriali, sia per lo spostamento delle merci, sia per quello dei pendolari. Per garantire un forte e costante flusso sono state costruite strade a più corsie come la SS3676, create linee ferroviarie e completati grandi trafori come quello del Monte Bianco. Anche l’industria idroelettrica riveste un ruolo molto importante: in questo settore sono presenti notevoli trasformazioni territoriali come laghi artificiali, centrali idroelettriche e dighe (fig. 20).
Fig. 20. L’immagine rappresenta uno dei due laghi artificiali di Cancano, in Valdidentro, non molto distante da Bormio. I due bacini sono alimentati dal fiume Adda che nasce nelle vicinanze e alimenta la centrale idroelettrica di Premadio, anch’essa in Valdidentro (www.bormio3.it).
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SS36: strada statale del Lago di Como e dello Spluga; collega Cinisello Balsamo, nell’hinterland milanese, al confine svizzero nella zona del Passo dello Spluga. Il tragitto, lungo 141 km, è la principale via d’accesso alla Valtellina e all’Engadina.
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Non da ultima anche l’industria estrattiva, che ha segnato una pagina importante della storia alpina, nonostante al giorno d’oggi sia quasi totalmente scomparsa per gli elevati costi. Le grandi aziende di questo settore hanno subito un forte tracollo nel dopoguerra: alcune, vicine a corsi d’acqua o bacini, si sono trasformate in industrie per la produzione di materiali da costruzione, altre invece sono state abbandonate. Il settore terziario, quando si analizzano le Alpi, è quasi esclusivamente interessato dal turismo e dal suo indotto. Le trasformazioni che esso ha portato sono innumerevoli e si possono osservare sin dai primi fenomeni turistici di metà Ottocento. Nel periodo antecedente al turismo di massa le città hanno visto la comparsa di centri termali, grandi hotel e di primordiali impianti di risalita; dagli anni ’50 in poi si è assistito alla comparsa delle seconde case, di alberghi di dimensioni più modeste e localizzati in molte più aree. Le seconde case rappresentano un aspetto critico e molto importante nei mutamenti spaziali delle città alpine. Se negli anni del boom economico rappresentavano una tra le principali fonti di introiti delle aziende locali, negli anni dello spopolamento ne sono state la maggior entità negativa. Numerosi studi hanno portato alla conclusione che le seconde case portano più costi che benefici poiché, se portano introiti nel momento dell’acquisto, producono poi una frammentazione proprietaria dei terreni, la marginalizzazione dei soggetti con disponibilità di spesa limitata e la polarizzazione socioeconomica. La soluzione che si cerca di promuovere è quella del riutilizzo e della ristrutturazione di edifici già presenti (i piani urbanistici di amministrazione e pianificazione del territorio promuovono e incentrano i maggiori finanziamenti nel riuso e nella riqualificazione degli immobili, in quanto la costruzione di nuovi edifici comporta infatti un utilizzo del suolo spesso già saturo o facente parte di zone a rischio). La forte stagionalità del loro utilizzo le rende inoltre non utilizzate per molti mesi e questo aspetto incide notevolmente sul fatturato delle stazioni sciistiche. Ritornando alle trasformazioni, si può osservare come le aree intorno alla città sono state vittime di un invasivo insediamento di impianti di risalita, con grandi pali in cemento, fili di acciaio, grandi cabine per il trasporto di passeggeri e stazioni con ristoranti e bar. La costruzione degli impianti di risalita e più in generale dei comprensori sciistici rappresenta forse la più estesa e visibile trasformazione che una località alpina possa subire. Intere montagne o massicci montuosi vengono scavati, livellati o modificati artificialmente per permettere il flusso di sciatori, e le maggiori trasformazioni territoriali si notano durante la stagione estiva, quando la neve lascia spazio al verde dei
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prati e le grandi strutture antropiche si osservano meglio. Si tratta non solo di un impatto visivo, ma anche un forte inquinamento causato dagli impianti, che devono costantemente permettere lo spostamento di migliaia di persone. Inoltre, la proliferazione di sport secondari in montagna ha portato alla costruzione di campi da golf, palazzetti e centri sportivi. Il turismo ha poi portato l’apertura di ristoranti e negozi di moda e abbigliamento nelle vie del centro cittadino (fig. 21), che sono andati sostituendo le vecchie attività commerciali locali, un tempo uniche fornitrici di alimentari e viveri, ora ritrovabili nei supermarket. Il turismo ha portato perciò a una sostanziale modifica della struttura delle città alpina, avvicinandola sempre più alla città urbana di pianura. Il consumo di suolo che l’economia del turismo ha portato è notevolissimo: la costruzione della stazione di Plateau Rosa a Cervinia, per esempio, nonostante sia inserita architettonicamente nell’ambiente, ha portato ad una radicale modificazione della struttura della montagna, con opere invasive di spianamento. Ovviamente con ciò non si sta sostenendo la chiusura e lo smantellamento degli impianti di risalita, poiché una tale azione porterebbe ad una crisi turistica insanabile; si sta piuttosto sostenendo l’idea di valutare la costruzione di stazioni prendendo in prima considerazione l’aspetto della sostenibilità e dell’integrazione tra costruzione, paesaggio e ambiente alpino.
Fig. 21. L’immagine mostra la via del centro di St. Moritz, dove i negozi di prodotti tipici e le botteghe hanno lasciato il posto a boutique di alta moda, addobbi natalizi e luci tipiche delle classiche città di pianura (www.engadin.St.Moritz.ch). Una riflessione a parte va fatta poi per le comunicazioni e i trasporti in area alpina che, a loro volta, hanno profondamente trasformato il paesaggio montano e le città alpine. Strade e autostrade hanno subito una trasformazione sostanziale negli anni del boom economico 70
grazie ad un rapido miglioramento tecnologico dei materiali e delle tecniche di costruzione, unito ad una crescita della vendita dei veicoli che ha visto la costruzione di importanti collegamenti viari. Sono state costruite strade regionali che percorrono intere valli, oltrepassano valichi alpini e si immettono in lunghe gallerie. Le grandi arterie delle città urbane trovano quindi proseguimento verso le aree alpine, permettendo non solo alle persone di raggiungere numerose località di montagna in tempi ridotti, ma anche una circolazione di merci transfrontaliere e nelle valli più isolate. La presenza di grandi infrastrutture crea anche aspetti negativi, poiché nei punti di intersezioni degli assi stradali si creano situazioni di traffico, soprattutto nelle ore di punta. Un esempio di tale situazione è registrabile a Morbegno, in Valtellina. Si tratta di una località situata al termine della SS36 del Lago di Como e dello Spluga: la superstrada a due corsie termina prima di Morbegno e i veicoli sono incanalati lungo la strada provinciale che attraversa il centro cittadino, creando seri problemi di traffico perché la capacità di carico della strada, dotata di una sola corsia per senso di marcia, non è sufficiente. Negli ultimi anni è stato finalmente stanziato un nuovo progetto per il proseguimento della SS36 che, con una serie di gallerie, permetterà di oltrepassare Morbegno e di deviare il traffico fuori dalla città.
Fig. 22. Un’immagine dell’ingresso del Tunnel del Monte Bianco nel versante italiano. I lavori di ristrutturazione, terminati nel 2002, hanno dato all’imponente struttura una forma architettonica slanciata e moderna (www.montagna.tv).
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Analizzando un quadro più globale e ampio, che coinvolge l’interno arco alpino, i principali assi stradali alpini sono otto, a cui sono associate le rispettive autostrade: nella sezione ovest il corridoio della Valle di Susa (A32)-Valle dell’Arc (Francia) (A43), unite dal traforo del Fréjus, che collega Torino con Grenoble; a nord-ovest le valli della Dora Baltea (A5) e dell’Arve (Francia) (A40), unite dal traforo del Monte Bianco; nella sezione centrale i corridoi della Valle Laventina-Valle della Reuss (Svizzera) (N2), attraverso il traforo del San Gottardo, per collegare Milano e Zurigo, e della Val Mesolcina-Valle del Reno Posteriore (Svizzera) (N13) per il traforo del San Bernardino, tra Milano e Coira; nella sezione orientale i corridoi della Valle dell’Adige/Isarco (A22)-Valle dell’Inn (Austria) attraverso il valico del Brennero, tra Verona e Monaco/Salisburgo, quello della Val d’Adige-Valle dell’Inn-Valle della Loisach (Germania) attraversa i passi di Resia e del Fern tra Verona e Monaco; il corridoio tra le valli del Fella (A23), della Drava (Austria) e della Salzach (Austria) (A10), attraverso la Sella di Camporosso e il traforo del Katchberg, tra Udine/Lubiana e Salisburgo;
il collegamento tra Graz/Maribor (Slovenia) e Linz
(Austria) (A9), attraverso il traforo della Gleinalpe e i passi Schober e Pyhrm. A sud-ovest, le Alpi sono aggirate attraverso il passaggio di Ventimiglia-Mentone (A10-A8), e a sud-est con l’itinerario Gorizia-Lubiana-Maribor (Slovenia) (A1)-Graz (A9), attraverso i passaggi della Sella di Razdrto (Slovenia). Nelle Alpi sono poi presenti altri passi importanti (Sempione, Piccolo e Grande San Bernardo, Monginevro) e alcuni punti di passaggio per comunicazioni longitudinali come il passo dell’Aprica, il passo del Tonale e quello del Maloja. In particolare i valichi stradali più noti e celebri (fig. 23) sono sicuramente quello del traforo del Monte Bianco, del San Gottardo, del Gran San Bernardo, del San Bernardino e del Brennero. Il Gran San Bernardo, inaugurato nel 1964 e lungo 5.798 m si trova a quote d’imbocco elevate (oltre i 1.800 m), e ciò ha reso maggiormente sfruttato il valico alternativo del Sempione, a quota 2005 metri di quota, dotato però di sistemi paravalanghe che ne garantiscono un’apertura durante tutto l’arco dell’anno. Il San Gottardo, lungo 16.918 m, mette in comunicazione Lugano-Bellinzona (Como-Milano) con Altdorf, Lucerna e Zurigo; il San Bernardino, lungo 6.596 m, mette in comunicazione Bellinzona con Coira, il Vorarlberg (Austria) e la Baviera o Zurigo. La tab. 14 mostra invece i dati relativi alla circolazione dei veicoli nei valichi alpini più famosi, dove vengono riportati i dati dei valichi più trafficati dal 1998 al
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2009 (ultimo anno di rilevazione dei dati), tra i quali si distinguono il Fréjus, con un picco massimo di 2.428.774 veicoli nel 2002, il Monte Bianco e il Gran San Bernardo.
Fig. 23. L’immagine mostra i principali assi di collegamento alpini, sia stradali che ferroviari. Tra i più frequentati vi sono il Brennero, il San Gottardo, il Monte Bianco e il Fréjus (www.ltf.sas.com). Tabella 14. Il traffico di veicoli in alcuni trafori stradali (1990-2009) (Bartaletti 2011, p. 226). Trafori
Totale veicoli
Totale veicoli
Totale veicoli
di cui
di cui pesanti
di cui pesanti
stradali
1990
2002
2009
pesanti 1990
2002
2009
Fréjus
1.414.364
2.428.774
1.547.610
784.250
1.475.753
683.518
Monte Bianco
1.997.689
1.021.596
1.732.543
776.604
78.682
518.258
525.664
697.244
581.244
52.113
98.175
57.328
Gran San Bernardo
La costruzione di queste enormi strutture stradali ha portato un impatto notevole e drastico nelle città e nelle zone coinvolte. La città di Courmayeur, nella località di Entreves è caratterizzata da un cantiere aperto dal 1960, poiché i lavori per la manutenzione e le sistemazioni di un tale impianto sono sempre in atto; strade di immissione e di uscita, parcheggi, aree di sosta e immobili specializzati sono sorti nelle vicinanze, in una zona 73
limitrofa a quella del centro antico, con un grosso impatto ambientale e visivo, accentuato negli ultimi anni dalla costruzione della Skyway Monte Bianco, la moderna funivia che collega Courmayeur (fig. 24) a Punta Helbronner, sul massiccio del Monte Bianco (fig. 25).
Fig. 24. Un’immagine a computer del progetto della funivia Skyway (in funzione dal 30 maggio 2015). Nell’immagine si può osservare la struttura di partenza della funivia e i due ampi parcheggi ad essa adiacenti (www.montebianco.com).
Fig. 25. Una foto di Punta Helbronner (3.462 m s.l.m.), punto di arrivo della funivia Skyway. La struttura è stata progettata con tale forma per ridurre l’impatto visivo e ricreare la caratteristica forma aguzza e spigolosa tipica delle montagne granitiche (www.rainews.it). 74
Anche le ferrovie rivestono un ruolo importante nelle comunicazioni alpine. Come le strade, anch’esse sono presenti nel paesaggio montano da molto tempo, ma hanno subito un forte miglioramento solo in epoca recente, soprattutto nel settore del trasporto veloce. Una delle innovazioni più interessanti è stata la costruzione dei tunnel di base, con imbocco a bassa quota e una notevole lunghezza, così da addolcire e livellare la pendenza delle rotaie. Spesso però questi tunnel sono stati accompagnati da viadotti e strutture invasive per permetterne una funzionalità elevata e ottimale. Nell’arco alpino i grandi assi ferroviari alpini sono 5: il Fréjus e il Sempione a ovest, il Gottardo al centro, il Brennero e il Tarvisio a est, a cui si aggiunge il passaggio di Ventimiglia a ovest. Nel 2010 una grandissima trasformazione è avvenuta nel traforo del San Gottardo (fig. 26) dove è stato abbattuto l’ultimo diaframma del tunnel di base, formato da due tubi paralleli lunghi 56.978 m d 57.091 m, rendendolo così il traforo più lungo del mondo. L’opera, iniziata nel 1999, ha lo scopo di creare un collegamento veloce tra Milano e Zurigo (fig. 27). Una situazione contraria si verifica invece lungo la ferrovia del Brennero, dove la forte pendenza (fino al 2,6 %), obbliga la transizione a velocità molto basse; è qua in fase di costruzione (dal 2011) un tunnel di base con lo scopo di rendere anche questa tratta più rapida e funzionale.
Fig. 26. La foto mostra la gigantesca trivella usata per completare gli ultimi lavori di modifica del San Gottardo (www.gottardo2016.ch).
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Fig. 27. L’immagine mostra uno dei moderni treni che corrono lungo la ferrovia del tunnel e che permettono un rapido collegamento tra Milano e Zurigo (www.gottardo2016.ch). Per quanto riguarda il traffico aereo invece, non vi sono importanti aeroporti, anche se i collegamenti con le destinazioni internazionali o le capitali sono efficienti. Quello con un maggiore flusso di passeggeri è Salisburgo (1.552.000 passeggeri nel 2009), seguito da Innsbruck (957.00 passeggeri nel 2009); seguono gli aeroporti di Lugano, Bolzano e Annecy (Bartaletti 2011)77. Le città e le aree alpine coinvolte in questi mutamenti complessi nella mobilità hanno subito drastici cambiamenti materiali e spaziali. La realizzazione delle infrastrutture richiede cantieri aperti per anni, in alcuni casi decenni, e un flusso di persone addette ai lavori molto elevato. Le città risultano ovviamente più collegate e meglio raggiungibili, ma esistono alcune criticità: il centro storico e le zone antiche, caratterizzate da strade piccole e strette sono state affiancate da nuove strade urbane, che hanno portato un notevole flusso di persone; le città alpine si sono anche dovute dotare di parcheggi, poiché il flusso di veicoli ha un impatto rilevante sull’occupazione del suolo e sull’ambiente. Le grandi trasformazioni materiali e urbanistiche delle città di montagna e delle aree alpine sono state orientate, nella grande maggioranza dei casi, ad un fine economico e spesso le città alpine coinvolte svolgono solamente un ruolo intermediario nel flusso di persone e merci che si sposta tra le grandi città. 77
Bartaletti F., 2011, Le Alpi, geografia e cultura di una regione nel cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano.
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Esistono anche trasformazioni e interventi sul territorio di dimensioni minori, rivolti invece ad un miglioramento economico e qualitativo delle città coinvolte; in molte città alpine si sono finanziati progetti di realizzazione di aree pedonali nei centri cittadini o di piste ciclabili (fig. 28) che permettono di spostarsi in maniera agevole su tutto il territorio. I vantaggi di tali opere sono la riduzione dell’inquinamento, la valorizzazione delle relazioni sociali e il maggior incremento di mezzi pubblici (bus, navette, metropolitane, tram). Il Trentino Alto Adige in Italia si è dimostrata sicuramente la regione leader in questo settore, sviluppando un sistema di trasporti pubblici (treni, bus urbani ed extraurbani, funivie e navette) pensato sia per soddisfare le esigenze del turista sia quelle del cittadino. Queste innovazioni si sono osservate soprattutto nei comuni che desiderano primeggiare tra le città alpine sul piano della qualità della vita, e che cercano di accedere alla candidatura di “città alpina dell’anno” (es. Lecco nel 2013), o che sono al centro di progetti di rinascita urbana e sociale.
Fig. 28. Foto di una delle tante piste ciclabili in Trentino. Nello specifico si tratta del parco dell’Adige Nord. La regione autonoma è tra le prime in Italia per la promozione e il finanziamento della mobilità dolce e non inquinante (www.visittrentino.it).
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2.3 – Le trasformazioni socio-economiche Nel paragrafo precedente sono state analizzate le trasformazioni spaziali e urbanistiche che coinvolgono le città alpine e le aree montane. Ad esse sono ovviamente strettamente collegate le trasformazioni economiche e sociali. Quando si parla di tali trasformazioni ci si riferisce generalmente al settore dei costi sostenuti per operare mutamenti territoriali, ai profitti, ai guadagni e alle conseguenze sociali e culturali cui sono soggette le città interessate. L’aspetto economico ha subito uno sviluppo e una trasformazione anche in base al periodo storico: se nei primi decenni di vita erano solamente le persone aristocratiche e nobili che frequentavano le località montane, nel corso degli anni sempre più persone, appartenenti a ceti meno abbienti, si sono inserite in questo contesto e ciò ha portato alla nascita di strutture ricettive adatte ad ogni classe sociale, grazie alla costruzione di hotel e alberghi a gestione familiare e alla ristrutturazione di numerosi agriturismi. Per quanto riguarda l’ambito strettamente economico, i costi e le spese di trasformazione del territorio raggiungono cifre elevate, a causa delle dimensioni di tali opere, dei rischi che si corrono nella loro realizzazione e della lunga permanenza dei cantieri aperti; spesso sono finanziamenti stanziati da privati, come nei casi della costruzione degli impianti di risalita, altre volte invece provengono dallo Stato o dalla Regione. I costi di costruzione poi, insieme alla qualità tecnologica e innovativa delle strutture e alla loro ubicazione, incidono fortemente sulle spese che il turista deve affrontare78. Anche le seconde case rappresentano un aspetto importante delle variazioni economiche introdotte nell’arco alpino, anche se la loro incidenza economica è notevolmente cambiata: dopo un picco negli anni ’70 e ’80, l’influenza economica di tali immobili è fortemente calata a favore di piccole strutture ricettive economiche come per esempio i B&B, lasciando quindi molti immobili disabitati o chiusi per molti mesi all’anno. In alcune città, dove la presenza di seconde case è quasi pari a quella delle abitazioni dei residenti, il fenomeno del loro spopolamento ha fortemente ridimensionato l’economia locale poiché
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Il comprensorio sciistico di Breuil-Cervinia per esempio, offre uno skipass tra i più cari d’Italia, ma allo stesso tempo garantisce un servizio funzionale di seggiovie, funivie e skilift, oltre che un’efficiente manutenzione degli impianti.
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un numero inferiore di residenti porta ad una minore necessità di servizi e beni da consumare creando quindi una situazione economica in cui l’offerta supera la domanda. Grande impatto economico esercitano anche i servizi pararicettivi locali come i ristoranti turistici a prezzi convenienti o i locali tipici con cucina tradizionale (fig. 29). Sono in forte crescita anche i ristoranti gestiti da chef stellati (fig. 30), che cercano di unire tradizione e innovazione nel contesto culinario alpino, con una cucina ricercata e sofisticata. Sempre nel settore gastronomico, negli ultimi anni hanno subito una forte trasformazione le aziende di produzione alimentare locale in quanto sempre più turisti sono interessati ad acquistare prodotti tipici d’asporto. Questa situazione crea forti contrasti economici: alcune riescono ad avere successo e sono sempre frequentate, altre invece sono costrette a chiudere, spesso a causa della loro posizione isolata o difficilmente raggiungibile.
Fig. 29. L’Immagine raffigura un caratteristico e tradizionale crotto valtellinese.Uun tempo era utilizzato come deposito di cibi e bevande grazie alle temperature che queste grotte naturali offrivano. Oggi numerosi crotti sono stati ristrutturati e vengono aperti al pubblico per degustazioni e vendita di prodotti alimentari (www.touringclub.it).
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Fig. 30. L’immagine mostra una delle sale del ristorane La Stüa di Michil nei pressi di Corvara, in Trentino Alto Adige. Si tratta di un esempio di ristorante di lusso gestito da uno chef stellato, che con la sua cucina cerca di creare una fusione e un punto di contatto tra la cucina sperimentale e le tradizioni alimentari locali (www.clubmilano.net). Esistono poi una serie di fattori di trasformazione economica che il turismo causa in maniera indiretta, attraverso le attività che da esso scaturiscono. È il caso dei costi per lo smaltimento dei rifiuti, urbani e industriali e dei costi per la produzione di energia, che negli ultimi 30-40 anni sono mutati notevolmente; dalla crisi della grande industria pesante infatti, i costi dei materiali di scarto, talvolta radioattivi, sono fortemente calati e in alcuni casi sono cessati completamente, ed oggi si sono trasformati in costi di riutilizzo o riciclo. Dal boom economico e dello sci inoltre, sono aumentate in maniera esponenziale le spese per la produzione di energia necessaria all’attivazione degli impianti di risalita, il cui consumo, oltre che prolungato per molte ore, è anche causa di un forte inquinamento sia del suolo che dell’aria. Accanto a queste trasformazioni si possono collocare anche quelle di tipo sociale e culturale, derivanti anch’esse in larga scala dal turismo. Numerosi sono i mutamenti che si sono osservati nei comuni montani tra cui si può osservare la presenza massiccia di persone non residenti o straniere, che ha fortemente ridotto l’uso di consuetudini, di dialetti, delle parlate locali e delle relazioni tra i cittadini. Il turismo ha creato una realtà monoculturale caratterizzata dalla perdita delle tradizioni locali e dalla promozione di attività folcloristiche. Se fino agli anni ’80 e ’90 i turisti cercavano una località tradizionale che li allontanasse dalla vita caotica della città, ora si 80
assiste a realtà assai diverse: numerose città alpine sono ormai simili a città urbane di pianura, presentano un assetto urbanistico simile, servizi accessibili come in una città di pianura, un’elevata presenza di autovetture e strutture invasive, che hanno completamente eliminato l’atmosfera e l’armonia tipica di una località alpina.
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CAPITOLO 3 – ALCUNI CASI ITALIANI In questo ultimo capitolo ci si occuperà di analizzare alcuni casi specifici di turismo montano di tre regioni italiane quali la Valle d’Aosta, la Lombardia e il Trentino Alto Adige, analizzando rispettivamente le città alpine di Courmayeur, Cervinia, Chamois, Livigno, Bormio, Lecco, Canazei, Madonna di Campiglio e Trento. Nei comuni citati, verranno analizzate le trasformazioni che il turismo ha causato al territorio e le ricomposizioni che ne sono derivate. 3.1 - La Valle d’Aosta: Courmayeur, Cervinia, Chamois La Valle d’Aosta è una regione italiana quasi totalmente montana e a statuto speciale, con capoluogo Aosta. È la regione italiana più piccola (3.263 km²), quella meno popolata (127.329 abitanti) ed è formata da 74 comuni, organizzati (tranne Aosta), in Unités des Communes79.
Fig. 31. Carta della Valle d’Aosta e sua posizione rispetto a Milano e Torino (www.googlemaps.it).
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Le Unités des Communes sono un ente pubblico territoriale locale istituito nel 1971, costituito dal presidente della giunta regionale tra comuni montani e pedemontani, con lo scopo di valorizzare le zone montane per l’esercizio di funzioni proprie.
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La storia del popolamento della Valle d’Aosta iniziò già nel Neolitico (III millennio a.C.). Tra l’VIII e il V secolo a.C. la regione fu invasa dai Celti, che integrandosi con la popolazione locale diedero origine ai Salassi, poi sconfitti dai Romani nel 25 a.C., che fondarono Augusta Praetoria (Aosta) e costruirono i primi valichi alpini (Gran San Bernardo). Durante il Medioevo la regione fu contesa da numerosi popoli tra cui Goti, Longobardi, Franchi, fino ad essere inglobata nel Regno di Borgogna. Passò poi sotto la famiglia dei Savoia. Fino al 1600 la regione vide un forte accentramento del loro potere, che entrò poi in crisi per varie cause: peste, carestie, campagne napoleoniche militari. Dal 1804 al 1814 fece parte dell’impero francese, fino ad essere reincorporata nel Regno di Sardegna e nel successivo Regno d’Italia. Terminata la Seconda Guerra Mondiale la regione ottenne la possibilità di avere uno statuto autonomo80, che le diede un importante sviluppo economico, urbano e sociale. La popolazione della Valle d’Aosta è localizzata soprattutto nella zona limitrofa al capoluogo (Aosta) e nei centri di bassa valle. Ha subito una forte emigrazione verso la Francia e la Svizzera, e solo dagli anni ’20 si è osservato un fenomeno di immigrazione (soprattutto di piemontesi, veneti e calabresi) scaturito dalla nascita dell’industria siderurgica, dallo sfruttamento delle miniere e dall’espansione dei servizi. L’economia valdostana è quasi interamente basata sul settore terziario turistico, di villeggiatura in estate e sportivo in inverno, ed è completamente gestita da enti pubblici, grazie all’autonomia dello statuto speciale. Le poche industrie (tessili, legno, carta) sono concentrate nella bassa valle e sono tutte di medie-piccole dimensioni. Il territorio montuoso non favorisce lo sviluppo di infrastrutture e trasporti in modo capillare. I principali assi viari sono l’autostrada A581, la strada statale 2682, il traforo del Monte Bianco, il Colle del Gran San Bernardo e del Piccolo San Bernardo. Le principali linee ferroviarie sono l’Aosta-Ivrea-Chivasso-Torino e l’Aosta-Pré-Saint-Didier. Per comprendere meglio le trasformazioni avvenute nel territorio, è necessario riprendere alcuni momenti chiave nella legislazione valdostana: la legge regionale urbanistica e per la 80
Statuto autonomo: regione con forte indipendenza dallo Stato in materia amministrativa, politica e legislativa. 81 Autostrada A5: collega Torino con il traforo del Monte Bianco ed è lunga 140 km. Riveste una particolare importanza per i commerci con la Francia e, durante la stagione invernale, per raggiungere le località sciistiche. 82 Strada statale 26: collega Chivasso al Colle del Piccolo San Bernardo ed è lunga 156 km.
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tutela del paesaggio (n. 3 del 28 aprile 1960) afferma che Il territorio della Valle d’Aosta è dichiarato bellezza naturale di pubblico interesse e zona di particolare importanza turistica (art. 1) (Diamantini, Zanon 1999, p. 197) (l’articolo verrà cassato dalla Corte costituzionale); la legge n. 3/1960 sull’attività edilizia, sullo sviluppo urbanistico e sulla tutela del paesaggio attraverso un piano regolatore non comunale ma regionale, adottato tra il 1965 e il 1989 da tutti i comuni; infine il piano regionale, che accentra le competenze e i poteri degli enti che ne fanno parte, ma riduce le potenzialità di enti comunali e locali, che molte volte non si sentono presi in considerazione o subiscono iniziative regionali verso le quali sono impotenti. Le grandi trasformazioni che hanno caratterizzato la regione possono essere ricondotte a tre importanti momenti: apertura dei collegamenti internazionali europei; la fine dell’industria tradizionale; la crescita esponenziale delle attività legate al tempo libero. La Valle d’Aosta si trasforma così da cul-se-sac83 del Nord-Ovest italiano a a crocevia di scambi commerciali ed economici con le aree transalpine. Due sono le fasi che hanno caratterizzato le grandi trasformazioni del territorio: l’inaugurazione dei trafori alpini (Gran San Bernardo nel 1964 e Monte Bianco nel 1965) e dell’autostrada Torino-Aosta e la trasformazione dell’economia valdostana basata sulla valorizzazione turistica e non più sull’industria. Si è assistito così ad un consumo di suolo tra i più alti in Italia, non controllato da un piano del territorio attento e preciso, che ha trasformato la regione da “isola turistica felice” a “isola monoculturale turistica”. Il primo sviluppo della regione in ambito turistico si ebbe tra il 1891 e il 1922 con l’apertura di alcune strade carrozzabili (turismo estivo) e nella metà degli anni ’60 con l’inaugurazione dei grandi trafori stradali e il completamento dell’autostrada A5 (per favorire il turismo invernale). Tali infrastrutture permisero alla regione di rompere l’isolamento che fino a quel momento l’aveva caratterizzata. Dal dopoguerra infatti si assiste ad una vera e propria esplosione economica di alcune città (Cervinia, Courmayeur), favorite dalla disposizione “a pettine”84 delle vallate, che permette un ottimo collegamento intervallivo delle stazioni di sport invernali. L’importanza del turismo in questa regione è ben visibile dai dati di ricezione delle stazioni valdostane, che accolgono il 55% delle presenze alberghiere regionali e il 70% di quelle extra-alberghiere.
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Espressione usata per indicare una situazione senza uscita, una strada a fondo cieco, una zona chiusa. “A pettine”: particolare disposizione di valli minori rispetto alla valle principale, in maniera ortogonale.
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3.1.1 – Courmayeur
Fig. 32. Un’immagine satellitare del comune di Courmayeur con i relativi impianti di risalita (in rosso) per lo sci (www.googlemaps.it). Courmayeur (Ao) è un comune di 2.805 abitanti alle pendici del Monte Bianco, situato a 1.220 m di altitudine a sinistra della Dora Baltea85, su un terrazzo naturale che limita l’accesso dei venti e non presenta eccessi climatici86, particolarmente noto per la storia alpinistica dall’Ottocento, e per il turismo a partire dal dopoguerra. L’espansione avvenuta negli anni più recenti ha portato al totale inglobamento delle frazioni limitrofe (Villair, Larzey, La Saxe). Secondo Bartaletti87 la nascita di Courmayeur come località turistica avvenne agli inizi del XIX secolo, con l’apertura dei primi grandi hotel legati ai centri termali e di villeggiatura estiva (Hotel Angelo, Mont Blanc, Royal), ma fu fortemente limitata dalla presenza della vicina Chamonix, grazie alla sua posizione in un fondovalle più ampio e panoramico verso il massiccio del Monte Bianco. La città italiana viene così definita la “Chamonix dei poveri”.
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Importante affluente del Po, che nasce sul Monte Bianco dalla confluenza della Dora di Ferret e della Dora di Vény. 86 Eccessi climatici: situazione climatica in cui non sono presenti grandi variazioni climatiche e delle temperature nel corso dell’anno. 87 Bartaletti F, 1994, Le grandi stazioni turistiche nello sviluppo delle Alpi italiane, Pàtron Editore, Bologna, pp. 85-90.
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Le principali trasformazioni (Bartaletti 1994)88 cui il comune e la zona limitrofa sono andati incontro sono relative alla pratica dello sci e della villeggiatura estiva e al traffico delle merci. Lo sviluppo dello sci alpino arrivò abbastanza tardi a causa della mancanza di pendii adatti in prossimità del centro abitato. Nel 1946-47 venne realizzata una funivia in due tronchi da Entrèves-La Palud al Pavillion e al Rifugio Torino (3.320 m s.l.m.) (fig. 33), poi prolungata nel 1957 fino a Punta Helbronner e all’Aiguille du Midi (3.820 m s.l.m.). L’altro grande bacino sciabile fu individuato nell’altopiano dello Chécrouit e nei pendii omonimi, limitati dal Mont Chétif (2.343 m s.l.m.) e dalla Testa d’Arp (2.747 m s.l.m.). Negli anni ’70 venne attrezzato anche il versante destro orografico della Val Veny, con la realizzazione della funivia Entrèves-Pré de Pascal, Peindent e Courba Dzeleuna. La potenza complessiva di 6,4 milioni di p/h/m non è elevata (25 % in meno rispetto a Cervinia) e rimangono alcuni grandi nodi da risolvere come: il collegamento delle piste con il centro abitato; il recente impianto per l’innevamento artificiale; il limitato sviluppo delle piste, che dopo la la valanga staccatasi dal Colle del Gigante nel 1991, ha visto la chiusura definitiva di una pista. Di notevole importanza sono le funivie e le strutture situate sul massiccio del Monte Bianco, dedicate sia alla pratica dello sci, sia alla risalita per passeggiate e belvedere. Si tratta di grandi impianti, di notevoli dimensioni e con costi di edificazione dispendiosi, che permettono di collegare Courmayeur a Chamonix attraversando i ghiacciai del massiccio. A differenza degli impianti situati sull’altro versante del massiccio, questi sono nati per scopi militari. Il primo grande traguardo fu raggiunto con la tratta che collegava il Rifugio Torino a Punta Helbronner, i cui lavori furono complicati dal continuo e persistente movimento del ghiacciaio. Fu finalmente inaugurata nel 1958 e prese il nome di “funivia dei ghiacciai”. Si trattava di un’opera all’avanguardia per l’epoca, sia per il dislivello che veniva percorso, sia per la costruzione di strutture ingegneristiche innovative come il “pilone aereo”89.
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Bartaletti F, 1994, Le grandi stazioni turistiche nello sviluppo delle Alpi italiane, Pàtron Editore, Bologna, pp. 85-90. 89 Particolare costruzione progettata dall’ing. Zignoli per collegare due tratti della funivia distanti ben 3.300 metri, che senza un sostegno, si sarebbero adagiate al suolo nel tratto Gros Rognon-Punta Helbronner.
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Da Punta Helbronner è possibile intraprendere numerosi itinerari di freeride90, che attraversano la Vallée Blanche e la Mer de Glace e portano fino a Chamonix, lungo un percorso di circa 20 km.
Fig. 33. Lavori al rifugio Torino durante la costruzione della prima funivia (www.montebianco.com). Nel 2012 sono iniziati i lavori per la costruzione di una nuova seggiovia nella tratta Rifugio Torino-Punta Helbronner. Il progetto prevede di collegare Punta Helbronner direttamente a Courmayer-Entrèves con due tratte, sostituendo le precedenti tre. La nuova, Entrèves-Pavillon-Helbronner (fig. 34) è stata inaugurata il 30 maggio 2015. Sono presenti moderne cabine che, durante il tragitto, ruotano a 360° e possiedono numerose innovazioni tecnologiche tra cui un sistema di riscaldamento per evitare la formazione della condensa e il congelamento di alcune componenti e un impianto wi-fi e d’intrattenimento con tv e led. All’interno del progetto spicca sicuramente la costruzione della stazione terminale di Punta Helbronner, dove è stato costruito uno stabile dall’architettura e dalle funzionalità innovative. Lo scopo dichiarato dai costruttori è quello di lavorare sul territorio attraverso l’inserimento di strutture non invasive e deturpanti, che richiamano anche nella loro forma architettonica una struttura rocciosa amalgamata nell’ambiente circostante. 90
Freeride: si indica con tale termine l’attività svolta con sci o snowboard in neve fresca, con puro scopo di divertimento. Per la risalita ci si serve i impianti, ciaspole, pelli di foca o elicottero. Le leggi sul fuoripista in Italia sono state ufficializzate nel 2003 con la legge numero 363, anche se poi ogni regione ha una normativa propria.
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Fig. 34. Il percorso della funivia Skyway e le principali cime del massiccio del Monte Bianco (www.topmountain.com). Il complesso offre, oltre alla funivia, una serie di attrazioni tra le quali: un laboratorio di sperimentazione ad alta quota (2.173 m s.l.m.); un giardino botanico tra i più alti d’Europa, con 900 tipologie di piante; un parco avventura (Skyway for kids) che offre arrampicata, attraversamento di un piccolo lago e camminata in bilico sulla fune; un’area shopping; un ristorante (Bellevue) affacciato sulla Val Veny e sul Monte Bianco; una sala cinema e conferenze da 150 posti. Nella struttura sommitale è inoltre presente una sala cristalli (sala Hans Marguerettaz), la “sala Monte Bianco”, formata interamente da una struttura di vetro con interfacce multimediali, la terrazza (a 360°) all’aperto, che permette di ammirare ad alta quota le cime del massiccio e il Bistrot des Glaciers. Come detto prima, oltre alle trasformazioni legate allo sci e al turismo invernale, l’area di Courmayeur è stata interessata da un mastodontico progetto, a partire dagli anni ’50, per la creazione di un traforo alpino a pedaggio (regolato da un accordo Italia-Francia) Courmayeur-Chamonix per collegare Milano (ma anche Roma) a Parigi (fig. 35). Il tunnel è lungo 11,6 km, ha una larghezza alla base di 8,6 m, una larghezza della carreggiata di 7 m, e si percorre in 12 minuti (con una velocità media di 60 km/h).
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Fig. 35. Schema del collegamento stradale Roma-Parigi attraverso il tunnel del Monte Bianco. In questo importante asse stradale vengono toccate città importanti come Milano, Torino, Lione e Ginevra (www.tunnelmb.net). L’opera iniziata nel 1957 è stata ufficialmente inaugurata nel 1965. Nel 1999, a causa di un incidente in cui morirono 39 persone, venne temporaneamente chiuso per lavori di modernizzazione e miglioramento. È stato riaperto nel 2002 e affidato in gestione alla GEIE-TMB91. Attualmente rappresenta uno dei più innovativi e tecnologici tunnel del mondo, nel rispetto delle norme ambientali e di inquinamento del paesaggio (fig. 36), dotato di sistemi di sicurezza all’avanguardia tra cui: un pannello informatico che permette di controllare ogni zona del tunnel; le aree di regolazione del traffico pesante; un sistema di illuminazione sempre funzionante, anche in caso di mancanza di corrente; dei rilevatori di incendio o di sostanze chimiche e relative nicchie di sicurezza; un rivoluzionario impianto per la circolazione dell’aria; una serie di pannelli digitali per informare i veicoli in tempo reale. All’ingresso del tunnel, sia dalla parte francese che da quella italiana, è presente una dogana di controllo delle merci, delle persone e soprattutto dei veicoli; la lunghezza del percorso infatti non permette a tutte le tipologie di veicoli di accedervi e bisogna poi osservare limiti di velocità e distanze di sicurezza obbligatorie.
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GEIE-TMB: organismo di diritto comunitario nato dall’accordo unitario delle due precedenti società che gestivano il traforo: l’italiana SITMB e la francese ATMB.
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Fig. 36. Grafico della ripartizione di veicoli che attraversano il traforo (www.tunnelmb.net). Il traforo del Monte Bianco incide fortemente su Courmayeur e sulle sue frazioni. La presenza di un cantiere sempre aperto e di una rete stradale articolata, che dall’autostrada si dirige in maniera unidirezionale verso il tunnel, creano inquinamento acustico e forte contrasto con le case e la zona antica della cittadina. In questi anni è stata finalmente portata a termine una copertura del tratto autostradale Courmayeur-Entrèves, che permette di ridurre il già forte impatto visivo che un’opera di tali dimensioni crea su un comune alpino. Altre modifiche hanno visto Courmayeur protagonista, nel campo dell’edilizia immobiliare. Nei primi anni del boom turistico (1957-1970) il centro storico vide la nascita di condomini affacciati sulla via principale e la costruzione dell’Hotel Royal. L’abitato circostante fu caratterizzato dalla costruzione di villette unifamiliari e complessi residenziali, oltre che alla ristrutturazione di costruzioni preesistenti, che cambiarono l’assetto urbano della città; solamente nella frazione di Dolonne si trova ancora in maniera integrale l’abitato originale tipico del comune valdostano. Il fenomeno delle seconde case ha fortemente colpito Courmayeur, e la città gode di un solido turismo estivo: i turisti infatti si recano in villeggiatura anche nei cosiddetti “mesi morti” (maggio, giugno, ottobre). Complessivamente Courmayeur appare come una città tra le più frequentate e rinomate dell’intero arco alpino. Nel corso della sua storia ha subito importanti trasformazioni urbanistiche, quasi tutte però lontane dal centro storico, e ciò ha permesso il mantenimento della cultura alpina e il fascino della città, il perdurare delle tradizioni accanto a fenomeni
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di modernizzazione e trasformazione (anche economica) che fanno di questo comune un punto di passaggio verso la Francia. 3.1.2 – Cervinia Breuil-Cervinia è una località appartenente al comune di Valtournenche, a 2050 m s.l.m., ai piedi del Cervino. Fino agli anni ’30 del Novecento non godeva ancora di un’economia basata sul turismo, e vi erano solamente pochi alberghi, frequentati dai turisti estivi e dagli alpinisti. La svolta avvenne nel 1934, quando fu inaugurata la strada carrozzabile (circa 9 km) che la collegava a Valtournenche. Nel medesimo anno nasceva la “Società Anonima Cervino”92, con lo scopo di valorizzare la zona con una funivia per raggiungere Plan Maison. La vera e propria trasformazione urbana (Bartaletti 1994)93 si verificò però nel dopoguerra, con il piano regolatore degli architetti Brioschi e Cereghini, che diede inizio ad una sfrenata e irresponsabile costruzione edilizia senza precedenti, costruendo case, condomini e complessi residenziali. Si tratta di uno dei più gravi deturpamenti del paesaggio della storia italiana. Il piano regolatore infatti includeva nella zona edificabile anche il nucleo storico della città, che venne completamente eliminato, facendo passare al suo interno le principali direttrici stradali. Dagli anni ’50 inoltre, dopo la saturazione del centro storico, iniziò una vera e propria speculazione edilizia nelle zone circostanti, con una edificazione così fitta che non si riuscivano a distinguere le case dagli alberghi (fig. 37). Anche la via del centro (Via Antoine Carrel) non è stata risparmiata: vi sorgono infatti oggi solamente ristoranti, bar e boutique di vestiti.
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Società Anonima Cervino: associazione nata da Torino il 25 aprile 1934 con la partecipazione del sindaco di Valtournenche, del conte Lora Torino e del giornalista F. Marini. 93 Bartaletti F, 1994, Le grandi stazioni turistiche nello sviluppo delle Alpi italiane, Pàtron Editore, Bologna, pp. 90-96.
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Fig. 37. L’immagine mostra in maniera evidente l’abuso edilizio avvenuto in una città alpina come Cervinia (www.skyscrapercity.it). Nonostante tutto la località era ed è ancora oggi una delle mete più ricercate ed apprezzate, soprattutto dai giovani, per l’abbondante caduta di neve (Cervinia è uno dei centri abitati permanenti più alti d’Europa, con i suoi 700 abitanti circa), per la movida94 serale e per la bellezza delle piste. È proprio quest’ultimo fattore quello che ha giocato un ruolo chiave nella crescita della località turistica. Il grande comprensorio sciistico (circa 350 km nell’intero Matterhorn ski paradise95) che collega Cervinia con Valtournenche e Zermatt, i moderni ed efficienti impianti, la larghezza delle piste e i collegamenti diretti con il paese hanno reso Cervinia la località sciistica più frequentata della Valle d’Aosta. Nella modernizzazione della stazione un passo notevole è stato fatto nel 1938 con l’inaugurazione della funivia fino a Plateau Rosa (3.478 m s.l.m.), una delle stazioni sciistiche più alte d’Europa (insieme a quella vicina del Piccolo Cervino posta a 3.883 m s.l.m.). Negli anni il rinnovamento è stato costante: 12 impianti nel 1963 cresciuti fino a 28 nel 1983. Dagli anni ’90 si è adottata una nuova strategia: ridurre il numero di tronconi delle funivie migliorandoli tecnologicamente; si possono infatti osservare funivie capaci di trasportare moltissimi passeggeri (fino a 140) e dotate di sistema di riscaldamento e intrattenimento (musica e televisori). Negli ultimi anni, a fronte di un’impossibilità nel 94
Termine usato per indicare una situazione di divertimento, animazione e vita notturna giovanile tipica di una città. 95 Matterhorn ski paradise: grande comprensorio sciistico italo-svizzero che permette la pratica dello sci invernale ed estivo. Il nome Matterhorn viene utilizzato in tedesco per indicare il Cervino. Offre circa 350 km di piste ed è dotato di molti impianti di risalita.
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costruire o apportare modifiche urbanistiche alla città, si stanno promuovendo progetti per evitare la circolazione dei veicoli nel nucleo centrale e per rendere la strada centrale completamente pedonale. L’abuso edilizio, che ha segnato in maniera negativa la storia di Cervinia, non contraddistingue la sua “vicina” Zermatt96 che invece, forte di una efficace normativa di salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale alpino, ha mantenuto un assetto urbano primordiale e legato alle tradizioni (fig. 38).
Fig. 38. Zermatt al tramonto in una giornata invernale: si notano le case antiche e tipiche che si intersecano in strette strade e trasmettono un’atmosfera tipicamente alpina (www.myswitzerland.com). Cervinia, in conclusione, rappresenta in maniera cristallina l’esempio della città alpina distrutta dalla monocultura del turismo incontrollato. Quest’ultimo ha infatti portato un’economia stabile e numerosi posti di lavoro per la popolazione locale, ma ha per sempre strappato alla cittadina la sua storia, la sua tradizione e la sua cultura montana, tanto che qualsiasi soluzione urbanistica venga un domani prescelta per dare una nuova sistemazione al centro abitato non potrà certo peggiorare il quadro attuale ed anzi avrà buone probabilità di migliorarlo (Bartaletti 1994, p. 83).
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Comune svizzero del canton Vallese di 5.746 abitanti, situato a 1.616 metri di altitudine. Come Cervinia, è situato sulle pendici del Cervino ed è una nota località di villeggiatura e di sport invernali.
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3.1.3 – Chamois Chamois (dal 2012 unito al comune di La Magdeleine) è un comune montano di 96 abitanti, situato a 1.818 m s.l.m. in Valtournenche. Iniziò ad essere abitato in maniera stabile dal Medioevo e fino al XIX secolo subì un leggero ma costante aumento demografico (373 abitanti nel 1848); iniziò poi un vero e proprio spopolamento, soprattutto nel XX secolo, causato dalla crisi che colpì l’intera valle. Attualmente gli unici residenti sono addetti al settore terziario (turismo, commercio e trasporti), unica e inevitabile fonte di sostentamento del comune. Dal 2006 Chamois fa parte dell’Associazione “Alpine Pearls”, che raggruppa tutti quei comuni che i sono prefissati di gestire il turismo attraverso la mobilità dolce: raggiungere la località turistica senza l’utilizzo dell’automobile e promuovere uno sviluppo e un turismo sostenibile, nel massimo rispetto dell’ambiente e della cultura locale. Chamois è collocato su un’altura raggiungibile solamente tramite la mulattiera o la funivia (fig. 39) (attiva tutto l’anno sia per il trasporto di persone che di merci) con partenza da Buisson, oppure con piccoli aeroplani. Dal 2012 il comune si è unito con La Magdeleine, formando un’unica perla alpina e promuovendo un’idea di turismo dolce mobile (www.comune.chamois.ao.it), in cui non solo si raggiunge la località senza l’uso dell’automobile, ma è anche possibile spostarsi nei comuni limitrofi con mezzi sostenibili e non inquinanti. È stato infatti fortemente riqualificato e migliorato il sentiero nel bosco che collega i due piccoli centri, rendendolo percorribile anche in bicicletta (è stato promosso il progetto di Bike sharing97); sono state promosse numerose iniziative sportive e culturali come: ciaspolate invernali, escursioni di Nordic Walking98, sagre gastronomiche e feste artigiane animate da gruppi folkloristici locali che richiamano molti turisti italiani e stranieri. Il turismo poi vede una forte crescita
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Letteralmente significa “condivisione della bicicletta” e fa parte dei più recenti progetti di mobilità sostenibile, adottata anche nelle grandi città. Si tratta di biciclette pubbliche che possono essere utilizzate dai cittadini per spostarsi all’interno della città e, nelle grandi città come Milano, per raggiungere le fermate dei mezzi pubblici. Nel caso di Chamois, le biciclette sono dotate di pedalata assistita (tramite un piccolo motore elettrico) per permettere ad ogni persona che le utilizza di superare tratti sterrati o insidiosi. 98 Tipologia di camminata che prevede l’utilizzo di bastoni telescopici, simili a quelli utilizzati nello sci di fondo.
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nel periodo invernale, grazie al piccolo ma affascinante comprensorio sciistico che offre circa 14 km di piste, quasi tutte dotate di cannoni per l’eventuale innevamento artificiale. A differenza di Courmayeur e soprattutto di Cervinia, il piccolo comune di Chamois non ha subito trasformazioni urbane e socio-economiche che ne hanno cambiato l’assetto territoriale ed economico. Esso si è dimostrato, grazie anche alla sua posizione abbastanza isolata, attento alla salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio culturale, riuscendo a valorizzare i benefici economici portati dal turismo in maniera totalmente positiva ed efficace. Il piccolo centro si mostra infatti ancora integro nel suo assetto originale e tipicamente alpino.
Fig. 39. La funivia che permette di raggiungere Chamois (www.comune.chamois.ao.it). Complessivamente, analizzando i comuni di Courmayeur, Breuil-Cervinia e Chamois si possono chiaramente osservare tre differenti realtà. Agli antipodi si collocano Cervinia e Chamois, emblemi rispettivamente delle trasformazioni negative e positive che il turismo ha causato con i suoi fenomeni urbani, sociali, economici, architettonici e culturali. Nel mezzo si colloca Courmayeur, che ha saputo far fronte a mutamenti nell’assetto urbano di dimensioni considerevoli, senza perdere le caratteristiche e le tradizioni di una città alpina.
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3.2 – La Lombardia: Lecco, Bormio, Livigno La Lombardia (fig. 40) è una regione italiana dell’Italia centro-occidentale con capoluogo Milano, divisa in 11 province e 1.527 comuni ed una popolazione di 10.101.170 abitanti. È la regione trainante dell’economia italiana nel settore primario, secondario e terziario (un quinto del prodotto interno lordo del Paese), grazie al numero della popolazione, alla presenza di attività culturali, industriali, agricole, commerciali e finanziarie, concentrate soprattutto nella fascia pedemontana, comprendente le province di Varese, Como, Lecco, Monza e Brianza, Brescia, Bergamo e l’area metropolitana di Milano. È una regione italiana che offre scenari turistici molto differenti tra loro: laghi prealpini, montagne, città d’arte e luoghi culturali (Mantova, Bergamo, Milano, ecc.), pianure.
Fig. 40. La carta della Lombardia rispetto a Torino, Bologna e Venezia (www.googlemaps.it). I primi insediamenti umani risalgono al III millennio a.C., mentre dall’Età del bronzo risentì della cultura etrusca, delle invasioni galliche e della conquista dei Romani, che crearono nella Pianura Padana un’importante area di collegamento per la Gallia. L’area dell’odierna regione passò poi sotto i possedimenti dei Barbari, dei Longobardi e del Sacro Romano Impero. Nel Medioevo si manifestò la fioritura di numerosi comuni, riuniti nella
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Lega Lombarda99. Dal XV secolo divenne terra di conquista di Francesi, Spagnoli e Austriaci, fino al periodo del Risorgimento e alla conquista dell’indipendenza del Regno d’Italia nel 1861. Terminate le due guerre mondiali, la regione crebbe economicamente in maniera esponenziale, prima nel settore industriale100 e successivamente in quello terziario e quaternario (servizi e finanza). La regione è una delle meglio dotate di infrastrutture in Italia. Sono presenti: 6 aeroporti (Malpensa, Linate, Orio al Serio, Montichiari, Milano-Bresso e Brescia-Ghedi); una rete strada autostradale di oltre 621 km; un sistema ferroviario regionale integrato e gestito da Trenord e Trenitalia, con importanti scali ferroviari come Milano Centrale, Milano Garibaldi e Milano Cadorna; un sistema metropolitano milanese; una serie di servizi di trasporto pubblico affidata alle province. Grazie alla presenza dei laghi (di Como, Maggiore, d’Iseo e di Garda) e di grandi fiumi navigabili come il Po, la regione è dotata di un ottimo sistema di navigazione. Entrando nell’ambito del turismo montano in Lombardia, si osserva una forte presenza di seconde case, una modesta ricettività alberghiera e una forte concentrazione di turisti italiani (Bartaletti 1994)101. Eccezione fanno invece le grandi stazioni turistiche, caratterizzate da una notevole lontananza dalle aree metropolitane e da un forte isolamento, spesso situate in zone di frontiera. La zona più interessata dal turismo montano risulta essere la Valtellina102, dove sono presenti importanti località come Bormio, Livigno, Madesimo e Aprica. La zona varesina presenta infatti rilievi non adatti agli sporti invernali, mentre la zona delle Prealpi è caratterizzata da isolati massicci calcarei (Grigne, Resegone) tra i quali non riescono a trovare spazio grandi bacini sciistici, ad eccezione dei Piani di Bobbio.
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Lega Lombarda: alleanza dei comuni lombardi dell’XI secolo contro Federico I, per portare avanti un tentativo di impedenza dall’imperatore. 100 Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si sviluppa il “triangolo industriale” con vertici Milano, Genova e Torino, dove è racchiusa la grande maggioranza dell’industria italiana. 101 Bartaletti F, 1994, Le grandi stazioni turistiche nello sviluppo delle Alpi italiane, Pàtron Editore, Bologna, pp. 111-113. 102 Valtellina: regione alpina corrispondente al bacino idrico del fiume Adda. Insieme alla Valchiavenna forma la provincia di Sondrio, ed è caratterizzata da molte valli laterali minori.
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3.2.1 – Lecco
Fig. 41. Un’immagine di Lecco nel tardo pomeriggio. Si nota sullo sfondo il massiccio montuoso che sovrasta la città, formato dal Monte Medale, Monte San Primo e Monte Coltiglione. (www.agriturismopolisena.it). Lecco è un comune italiano di 48.085 abitanti situato a 214 m s.l.m., affacciato sull’omonimo lago, ramo del Lago di Como. Rappresenta la porta d’ingresso per la Valtellina ed è ben collegata a Milano. Grazie alla sua vicinanza alle montagne, ai servizi che offre e alla qualità della vita, nel 2013 è stata premiata “Città alpina dell’anno”. Lecco era già abitata dal X secolo a.C. e durante il Medioevo era il polo commerciale dell’intera Valsassina, area strategica per raggiungere i mercati Oltralpe. Dopo il periodo comunale la città passò agli Spagnoli e successivamente agli Austriaci, fino ad essere annessa al Regno di Sardegna e successivamente a quello d’Italia. Nel Novecento l’espansione della città fu inarrestabile, causata dal grande sviluppo dell’industria siderurgica, e le frazioni circostanti furono inglobate, formando un’unica città. Attualmente Lecco è divisa in 14 quartieri (rioni) ed è al centro di un grande agglomerato urbano (fig. 42) che comprende i comuni di Vercurago e Caloziocorte sulla sponda sinistra del Lago di Garlate103, quelli di Pescate, Garlate, Olginate e Malgrate sulla sponda destra del fiume Adda e Ballabio a nord. La popolazione di quest’area è di circa 107.000 abitanti. La storia industriale di Lecco riflette molto la sua evoluzione urbana e le trasformazioni che il territorio ha subito. Ad una prima fase (Settecento-Ottocento) caratterizzata da attività di pesca e di lavorazione della seta seguì una fase (fino alla seconda metà del Novecento) di
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Lago di Garlate: lago a sud del Lago di Como formato dal fiume Adda.
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sviluppo dell’industria pesante (acciaierie). Con la crisi della grande industria si entrò nel periodo dello smantellamento delle fabbriche e della loro riqualificazione; l’avvento del settore terziario ha portato poi un’esplosione dell’edilizia e del turismo.
Fig. 42. Un’immagine dell’agglomerato urbano nell’area di Lecco, ormai esteso su entrambe le sponde del Lago di Lecco e su quelle del Lago di Garlate (www.googlemaps.it). Lecco si trova lungo le sponde del lago omonimo ed è circondata dalle Prealpi lecchesi (Grigne e Resegone): questa sua particolare posizione le ha permesso, soprattutto nel periodo dello sviluppo del terziario, di sviluppare una forte attrattività turistica, sia montana che lacustre. Come si può osservare dal Quaderno Monografico N. 2 della Camera di Commercio di Lecco (2001)104, la città ha subito importanti e notevoli trasformazioni. Essendo situata all’ingresso della Valtellina, rappresenta il punto di contatto tra Milano e la Lombardia più settentrionale. A Lecco infatti ha sede un importante nodo viario (fig. 43) della SS36 che attraversa la città tramite un viadotto e una galleria lunga quasi 5 km. Dal 2006 è attivo inoltre il raccordo Lecco-Valsassina, lungo 11,7 km, mentre sono in fase di realizzazione i 104
Camera di Commercio industria, artigianato e agricoltura di Lecco, 1998, Lo sviluppo turistico e la valorizzazione paesistica del territorio, CCIAA, Lecco.
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lavori di una variante in galleria per facilitare i collegamenti con Bergamo. Caratteristici sono i tre ponti della città, costruiti rispettivamente nel 1338, 1955 e 1985, che permettono di attraversare l’Adda. Sono presenti due stazioni ferroviarie con un importante flusso di pendolari verso Milano, mentre i trasporti via lago sono fortemente diminuiti con l’evoluzione delle infrastrutture viarie.
Fig. 43. Una carta tematica di Lecco e delle sue principali arterie stradali. Si osservano i 3 ponti, il tratto della SS36 proveniente da Milano e la provinciale (SP 639) che da Lecco porta a Bergamo (www.montagnedellagodicomo.it). Le trasformazioni portate dal turismo montano si possono riscontrare in diverse realtà del territorio. Oltre al sistema infrastrutturale, sono stati costruiti nel 1965 alcuni impianti di risalita nella località di Versasio, per raggiungere i Piani d’Erna105 (era presente un piccolo comprensorio sciistico), e sul versante orientale della Grigna settentrionale (ora dismessi dopo una valanga). La stazione sciistica di Lecco è rappresentata dai Piani di BobbioArtavaggio (sopra il paese di Barzio) e dal Pian delle Betulle. Si tratta di un piccolo comprensorio che, grazie alla facile accessibilità per chi proviene da Milano e ai prezzi convenienti, ha visto un forte sviluppo quantitativo degli impianti negli ultimi anni. A ciò è poi seguita la creazione di nuove piste e seggiovie, accompagnate da progetti tutt’ora in corso per il miglioramento degli impianti presenti, ormai datati.
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Piani d’Erna: località montana sopra Lecco a 1.375 m s.l.m.
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Il turismo106 montano coinvolge Lecco anche nella stagione estiva, grazie alla località dei Pian dei Resinelli. Si tratta di un altipiano alle pendici della Grigna meridionale, situato a circa 1.200 m s.l.m. sopra l’abitato di Ballabio. Grazie al clima fresco, al panorama sul lago e alla possibilità di intraprendere numerosi itinerari escursionistici, questa località ha visto una forte espansione edilizia durante gli anni ’50-’60. Sono state infatti costruite moltissime seconde case e palazzi in cemento, che hanno fortemente deturpato il paesaggio montano. Purtroppo la situazione si è aggravata negli ultimi anni con l’abbandono di molte abitazioni, che rendono questa località del Lecchese quasi disabitata in inverno. Con il grande sviluppo demografico e infrastrutturale degli ultimi anni è stato necessario intervenire sul territorio attraverso una rivisitazione del Piano di Governo del Territorio107 (PGT), approvato nel giugno 2014. I principali ambiti di intervento, come si osserva dall’elaborato108, sono stati: l’inquadramento territoriale del sistema insediativo a causa della forte crescita demografica, accentuata da un alto numero di immigrati; la viabilità urbana locale legata ai trasporti pubblici; i vincoli e le norme per la tutela dell’ambiente e del paesaggio; una riqualificazione e un risanamento delle aree industriali dismesse o abbandonate, che hanno fortemente segnato il territorio lecchese, e delle numerose cave di estrazione. Come è stato detto poco sopra, Lecco nel 2013 ha ricevuto il premio come “Città alpina dell’anno”. Tale riconoscimento è stato conferito alla città per il suo interesse verso alcuni temi “caldi” come: l’utilizzo dell’acqua (sia del lago sia quella dell’acquedotto), la mobilità, i rifiuti, la valorizzazione del paesaggio nel centro storico e nel circondario, la riduzione del consumo di suolo, la salvaguardia delle aree protette. Come si può osservare sul sito delle “Città alpine”109, sono poi presenti una serie di iniziative promosse e supervisionate dalla Convenzione delle Alpi. Tra di esse si ricordano: lo sviluppo della mobilità locale110, la raccolta differenziata e il riciclaggio, la valorizzazione di Lecco come città montana sul lago, la prosecuzione della storia e della cultura alpinistica lecchese.
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Anche il turismo non montano è presente nell’area di Lecco, soprattutto legato a sport velici e mountainbike. 107 PGT: si tratta di un nuovo strumento di controllo del territorio, che dal 2005 ha sostituito il Piano regolatore generale, precedente strumento usato per la pianificazione e la gestione del territorio comunale. 108 www.comune.lecco.it. 109 www.alpenstaedte.org. 110 A tale proposito è stato finanziato il servizio “Piedibus”, per coinvolgere adulti e bambini sul tema della mobilità e dell’inquinamento.
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Un’ulteriore ed interessante analisi del turismo lecchese, anche se effettuata ormai circa 15 anni fa, appare quella della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Lecco sul “Lo sviluppo turistico e la valorizzazione paesistica del territorio”. Tale analisi auspicava un progetto basato principalmente su due tipologie di interventi sul territorio: quelli hard, con interventi strutturali o che implicano azioni di natura governativa, e quelli soft, che hanno come obiettivo la crescita della cultura turistica attraverso operatori locali ed eventi. In questo scenario la Camera di Commercio si poneva come ente coordinatore delle risorse e promotore di start-up111 nello sviluppo della cultura turistica. Sono stati proposti 6 principali temi, riguardanti la vivibilità turistica lungo il lago, l’interazione lagomontagna-agricoltura, le presenze industriali, le presenze culturali, le attività congressuali e la cultura del turismo. Le principali aree interessate sono state invece: la strada provinciale costiera e la sua riqualificazione, le stazioni ferroviarie, i punti di approdo lacustri (porto per imbarcazioni a vela e a motore), i grandi boschi, i terrazzamenti e i vivai. 3.2.2 – Bormio Bormio è un comune di 4.121 abitanti in Valtellina, a 1.225 m s.l.m. nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio. Si tratta di una località tra le più rinomate per il turismo, sia estivo che invernale, già famosa in epoca romana grazie ai suoi centri termali (fig. 44) e divenuta nota a livello internazionale per i campionati mondiali di sci alpino. Grazie al clima poco piovoso e relativamente mite112, alla posizione particolarmente favorevole113 che permette un rapido collegamento con Ponte di Legno, Livigno, l’Engadina, Merano e l’Austria, ha visto lo sviluppo del turismo già dal XIV secolo, ed è oggi definita la capitale storica dell’Alta Valtellina e del turismo invernale lombardo.
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Termine usato per indicare la fase iniziale di attività di una nuova impresa, o di un’impresa che si è appena quotata in borsa (www.treccani.it). 112 La temperatura media annua è di +8 °C. Il clima è possibile in quanto a nord la città è protetta dal massiccio del Monte Reti. 113 Bormio è situata nel punto di convergenza della Valfurva e della Valdidentro; inoltre, grazie al Passo dello Stelvio è collegata con l’alta Val Venosta e con l’Austria.
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In epoca medievale la città faceva parte del Contado di Bormio114 e rappresentava il collegamento tra Venezia e il nord Europa. Grazie alla posizione strategica e alla possibilità di imporre dazi e tasse sulle merci, Bormio riuscì a svilupparsi in maniera notevole. Dopo l’arrivo di Napoleone la storia della città seguì quella della Lombardia, divenendo territorio prima degli Asburgo e successivamente del Regno d’Italia.
Fig. 44. L’immagine mostra una delle vasche esterne presenti nel centro termale di Bormio (www.bagnidibormio.it). Bormio è un comune con ottimi trasporti e un sistema infrastrutturale ben efficiente. È attraversata dalla SS38115 e dal centro del paese parte la strada statale 38116. La stazione ferroviaria più vicina si trova a Tirano, ma è in progetto la realizzazione della ferrovia fino a Bormio. Le trasformazioni urbane ed economiche iniziarono a manifestarsi a Bormio molto presto, in quanto, come già detto, il turismo comparve già dal XIV secolo, grazie ai centri termali (Bagni Vecchi). Nonostante la storia turistica longeva, la città non presenta evidenti segni di degrado ambientale o deturpazione del paesaggio. Nel 1834 fu costruito, nel piccolo comune di Valdidentro, poco a nord di Bormio, il centro termale dei Bagni Nuovi, che contribuì notevolmente allo sviluppo del turismo estivo. Dal 1950 circa si verificò il 114
Termine usato per indicare il territorio su cui una città, in epoca medievale, esercitava il proprio potere. L’area era solitamente affidata ad un conte o ad una figura ecclesiastica. 115 La strada statale 38 dello Stelvio unisce Piantedo a Bolzano, attraverso il Passo dello Stelvio (fig. 45). 116 Collega Bormio con Ponte di Legno.
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grande sviluppo del turismo invernale, grazie alla costruzione della funivia Feleit-Ciuk e della seggiovia Ciuk-La Rocca e nel 1969 con la costruzione della funivia per Cima Bianca, a quota 3.010 m. s.l.m. La fama e la notorietà arrivarono con i campionati del mondo di sci alpino (il primo nel 1985), che permisero una modernizzazione degli impianti e la costruzione di nuovi. Il comprensorio attuale offre 50 km di piste per lo sci alpino e un importante snowpark117. Come Livigno, il bacino sciistico è suddiviso tra due vallate, ma a Bormio vige un’unica tariffa skipass. Anche il centro abitato ha subito una forte crescita, ma lo sviluppo urbanistico ha rispettato il centro storico e le sue suggestioni ambientali e architettoniche, concentrandosi dunque a nord-ovest e a sud-est di esso, in prossimità della statale dello Stelvio, e a sud del Torrente Frodolfo, presso la stazione delle due funivie (Bartaletti 1994, p. 115). Si possono osservare numerosi condomini che cercano di riprendere lo stile montano, rintracciabili in particolar modo nel comune di Valdidentro, vittima di un forte sviluppo edilizio costituito quasi esclusivamente da seconde case, che sta facendo assumere al piccolo comune l’aspetto di un centro urbano.
Fig. 45. L’immagine mostra i famosi tornanti della strada che porta al Passo dello Stelvio e permette di collegare Bormio con Bolzano (www.leccotoday.it).
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Snowpark: area dedicata alla pratica del freestyle, sia eseguito con gli sci che con lo snowboard, servendosi di rampe artificiali o costruzioni in metallo.
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Bormio è famosa non solo per la pratica dello sci, ma anche per altri sport, estivi e invernali, la cui attività ha portato numerose trasformazioni all’assetto urbano. Tra le varie attività si possono ricordare il calcio e lo short track (pattinaggio). Nonostante nel 1987 l’area adiacente a Bormio sia stata colpita da una gigantesca frana che ha mostrato l’instabilità idrologica della zona, il turismo ha subito un brusco ma breve calo di turisti perlopiù stranieri. La fama, la storia e le offerte che il centro offre in estate e in inverno contribuiscono a rendere l’economia di questa località stabile e in crescita.
3.2.3 – Livigno Livigno è un comune italiano di 6.414 abitanti, situato ad un’altitudine di 1.816 m s.l.m. (tra i più elevati comuni italiani abitati) in una zona extradoganale118. I primi insediamenti risalgono al 1300119 e, fino al periodo napoleonico l’economia della città si basò sulle relazioni commerciali con il vicino cantone dei Grigioni in Svizzera. Nel 1818 le franchigie e le autonomie di Livigno vennero ufficializzate e qualche anno dopo il comune iniziò ad avere un’amministrazione ed una storia economica riconosciuta. Lo sviluppo della città avvenne negli anni ’50 del Novecento con il “turismo commerciale120”. L’assenza dei dazi portò un notevole flusso di persone nel “piccolo Tibet121” (fig. 46) per l’acquisto di alcool, tabacchi, zucchero, merci di pregio e carburante. L’economia della città si basa anche e soprattutto sul turismo invernale, che grazie al clima particolarmente rigido122 (Bonardi 2001)123, permette un innevamento abbondante fino a stagione inoltrata. Non sono da sottovalutare altri aspetti come l’allevamento e la lavorazione del latte, oggi ancora abitualmente praticati. 118
Zona in cui i beni non sono aggravati da Iva o da altre tasse. Livigno gode di tale situazione grazie alla legge numero 516 del 17 luglio 1910. 119 Secondi alcuni la città si è sviluppata grazie alla presenza insediativa portata dai Walser, popolo di stirpe germanica emigrato dall’Oberland bernese, già dal XII secolo. 120 Fenomeno turistico caratterizzato da un forte spostamento di persone per l’acquisto di merci e beni. 121 Nome usato per indicare il comune di Livigno per via delle sue caratteristiche morfologiche simili a quelle himalayane: un piccolo altopiano circondato da imponenti cime. Il nome fu dato dall’autore Alfredo Martinelli nel 1967. 122 Il clima di Livigno è caratterizzato da temperature molto basse e abbassamenti improvvisi. La temperatura media annua è di circa +1,72 °C e per cinque mesi all’anno la temperatura media rimane sotto gli 0 °C. 123 Bonardi L., 2001, Livigno villaggio immobile, uomini e ambienti di una valle alpina, Famiglia cooperativa di consumo ed agricola Livigno, Livigno, p. 21.
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La sviluppo del comune è strettamente legato all’apertura invernale della strada che, attraverso i Passi d’Eira (2.208 m s.l.m.) e del Foscagno (2.291 m s.l.m.), collega Livigno a Bormio. Precedentemente la città era collegata al cantone dei Grigioni da una mulattiera, percorribile solo in estate. Tale situazione rendeva Livigno totalmente isolato nella stagione invernale. Le trasformazioni che questo centro ha subito sono riconducibili al cosiddetto mantenimento sostenibile. Si tratta di un’attenzione di fondo che la comunità ha sempre avuto verso l’ambiente e il territorio, anche causato dal forte isolamento124, che ha portato la nascita dell’espressione “villaggio immobile”, per indicare l’assenza di drastici mutamenti territoriali. Le trasformazioni più evidenti riguardano la copertura forestale, che ha lasciato il posto alle abitazioni e alle strade, e prima di esse ai grandi prati che per secoli hanno costituito l’ossatura dell’intero sistema economico livignasco (Bonardi 2001, p. 136). I primi impianti di risalita (sciovia del Mottolino) furono costruiti nel 1957 e negli anni seguenti. Nel 1968 fu ufficialmente aperto il traforo stradale “Munt La Schera”, che permise di collegare Livigno all’Engadina anche durante la stagione invernale, grazie ad un sistema di gallerie che corrono lunga la riva del Lago del Gallo. Grazie a questa imponente opera Livigno divenne accessibile ai turisti svizzeri, tedeschi e austriaci. Un passo decisivo nell’affermazione del turismo invernale si ebbe nel 1970 con la creazione della telecabina da San Rocco al Lac Salin e delle sciovie sul versante della Val Federìa, a cui seguì l’innesto di molti impianti minori disposti “a pettine”. Negli ultimi anni sono stati apportati numerosi miglioramenti ai vari impianti, anche se in numerose aree del comprensorio persistono numerosi problemi. A Carosello 3000 spesso si trovano piste poco battute, si possono verificare condizioni metereologiche spesso insopportabili (venti gelidi) e le due aree sciistiche del Mottolino e del Lac Salin non sono ancora state collegate tra loro (sia a livello infrastrutturale che di skipass). Secondo Bartaletti (1994)125 il grande afflusso turistico ha portato alla costruzione di moltissimi alberghi (attualmente sono 87) e a un notevole sviluppo urbanistico, soprattutto in larghezza, inglobando le piccole frazioni e le case presenti nell’altopiano. I nuovi edifici sono stati però costruiti cercando di non creare un forte impatto. Si tratta di costruzioni con 124
L’ambiente offriva alla città importantissime risorse che non potevano essere eliminate attraverso una trasformazione radicale del territorio. 125 Bartaletti F., 1994, Le grandi stazioni turistiche nello sviluppo delle Alpi italiane, Patron editore, Bologna, pp. 116-122.
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tetti spioventi e una larga presenza di legno e pietra, mai oltre i tre piani di altezza. Il centro cittadino però ha visto una crescita esponenziale di attività commerciali, che hanno in parte eliminato l’atmosfera alpina e portato Livigno a raggiungere il punto di saturazione urbano ed economico. Questo aspetto è molto importante in un centro che resta ancora abbastanza isolato da grandi aree urbane. Ulteriori trasformazioni infatti, sia urbane che economiche, potrebbero creare situazioni di degrado e crisi, vista la limitata possibilità di offerta lavorativa. Complessivamente Livigno può essere definita una località turistica che ha preferito uno sviluppo quantitativo ad uno qualitativo, e ciò probabilmente è dovuto allo sviluppo rapido e quasi improvviso che la città ha avuto nel ‘900.
Fig. 46. Un’immagine degli impianti di risalita di Livigno che permette di vedere la collocazione geografica del centro, su un altopiano inserito tra due vallate (www.hparadiso.info). In conclusione appare evidente che, attraverso gli esempi delle tre località prese in considerazione, il turismo montano in Lombardia sia concentrato in alcune zone specifiche, con una netta supremazia della Valtellina. Per ragioni geografiche e ambientali infatti, la sola area valtellinese (entro la quale si può inserire in senso lato anche Lecco) ha risentito in maniera evidente delle trasformazioni portate dal turismo. Le località lombarde hanno visto uno sviluppo simile a quello che si è verificato in Trentino Alto Adige, senza grandi ed evidenti deturpamenti ambientali. Anche Lecco, nonostante il grande sviluppo
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delle infrastrutture e la deindustrializzazione126, ha saputo promuovere un ottimo piano di sviluppo, anche turistico, che, come detto nella presentazione della città, le ha permesso di vincere numerosi premi. 3.3 – Il Trentino Alto Adige: Canazei, Madonna di Campiglio, Trento
Fig. 47. Carta del Trentino Alto Adige e sua localizzazione rispetto a Milano e Venezia (www.googlemaps.it). Il Trentino Alto Adige è una regione italiana autonoma a statuto speciale, con capoluogo Trento (Tn) e una popolazione di 1.059.477 abitanti (la quinta regione meno densamente popolata d’Italia). A livello amministrativo è composto dalle province autonome di Trento e Bolzano, da 15 comunità di valle127 in Trentino e da 8 comunità comprensoriali128 in Alto Adige. Lo statuto speciale conferisce alle province di Trento e Bolzano ampi poteri, soprattutto nell’ambito legislativo e fiscale, così che le due province vengono considerate 126
Deindustrializzazione: processo inverso all’industrializzazione, che si verifica quando uno stato o un’area decidono di spostare l’attività industriale, soprattutto pesante, altrove, con uno spostamento dell’economia dal settore secondario a quello terziario. 127 Comunità di valle: si tratta degli enti territoriali locali della provincia di Trento, intermediari tra provincia e comuni. 128 Comunità comprensoriali: si tratta di un’unita amministrativa della provincia di Bolzano, che si pone tra la provincia e i comuni. Erano presenti anche in Trentino, denominati comprensori, e sono stati sostituiti dalle comunità di valle.
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al pari delle regioni. I principali organi di governo sono: il presidente della regione (eletto dal consiglio regionale), la giunta regionale (formata da cinque membri) e il consiglio regionale (formato da 70 membri) a cui spetta il potere legislativo. Le prime tracce di insediamento umano risalgono al 12.000 a.C. e la prima grande cultura che si sviluppò fu quella dei Reti (500 a.C.). In epoca romana il Trentino fu diviso in due province e furono costruite importanti strade per rendere Trento più accessibile, mentre l’influsso del mondo latino con quello locale diede origine alla cultura retoromanza129. Nei secoli successivi l’attuale regione passò sotto i poteri dei regni degli Ostrogoti, dei Longobardi, dei Franchi e dei Sassoni (Sacro Romano Impero). Dall’anno mille iniziò a manifestarsi una certa indipendenza dei signori e dei vescovi-conti, che portò alla nascita del Principato Vescovile di Trento all’interno del Sacro Romano Impero e poi dei domini asburgici. Il periodo napoleonico e la restaurazione asburgica furono segnati dai numerosi conflitti nella zona dell’Alto Adige e del Sudtirolo. Fino alla Prima Guerra Mondiale la regione vide un periodo di crisi e povertà, interrotto grazie al trattato di Saint-Germain (1919) che portò all’annessione definitiva del Trentino e dell’Alto Adige nel Regno d’Italia. Il periodo fascista fu segnato invece da una forte nazionalizzazione imposta dal regime e da una consistente invasione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 1972 si consolidò la volontà di separare e rendere autonomo il Trentino dall’Alto Adige, e le province autonome iniziano ad assumere sempre più indipendenza. L’economia della regione è tra le più attive e innovative d’Italia, soprattutto nell’utilizzo di energie rinnovabili; nonostante il territorio quasi completamente montano, l’agricoltura ha una forte incidenza, mentre le industrie (tessili, edilizie, legno, carta, alimentare) sono concentrate nel fondo valle. Come per la Valle d’Aosta, il motore trainante risulta il turismo estivo, invernale, termale e culturale. Le principali linee viarie sono l’asse autostradale del Brennero130, la strada statale dello Stelvio131 e la strada statale della Valsugana132. La rete ferroviaria è efficiente lungo il solco dell’Adige e garantisce ottimi collegamenti, così come le piste ciclabili, uno dei maggiori temi su cui la regione investe. Il turismo e l’economia legata ad esso sono
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Retoromanza: cultura della zona del Trentino e del Friuli sviluppatasi con la fusione del mondo locale di origine slavo e avaro con quello latino romano. 130 Collega la Pianura Padana all’Austria e alla Germania, con una lunghezza di 315 km. 131 Collega Piantedo (So) a Bolzano attraversano il famoso valico alpino. È lunga 224 km. 132 Mette in comunicazione Padova e Trento. La sua lunghezza è di 131 km.
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strettamente relazionati al ruolo della Province Autonome: i finanziamenti e i progetti si riversano in gran parte in questo settore, creando un sistema funzionante ed efficiente che da ottimi risultati, non solo a livello economico, ma anche nel settore ambientale, sociale e culturale. Il grande sviluppo di questa regione si deve ai piani territoriali e urbanistici adottati dal Trentino e dall’Alto Adige a partire dagli anni ’50 del Novecento, grazie ad una costante persistenza antropica, ad una conservazione dell’ambiente e del paesaggio, ad una crescita equilibrata delle diverse attività economiche nel territorio che ha portato ad un relativo benessere della popolazione e ad una convivenza pacifica dei diversi gruppi etnici. L’obiettivo di base, a partire dagli anni ’70, è stato quello di sostenere un piano strategico di modernizzazione e conservazione, di crescita e sviluppo in parallelo, grazie alla delega dei piani provinciali ai piani intercomunali e successivamente ai piani comunali (anni ’80). In questo modo risultava più semplice gestire le particolarità comunali e le situazioni specifiche in maniera efficiente. Ci si limiterà in questa sede ad analizzare solamente il Trentino, poiché le città e le località interessate (Trento, Canazei e Madonna di Campiglio) appartengono alla provincia di Trento. Nel 1967 venne approvato il Piano urbanistico provinciale (Pup) il cui obiettivo era di osservare il territorio per comprenderne i punti deboli e promuovere iniziative di sviluppo tra cui la conservazione dell’agricoltura, la specializzazione industriale, lo sviluppo delle infrastrutture (fig. 48), dei trasporti e del turismo (sull’intera regione). Il successo fu raggiunto grazie alla formazione di organi di competenza specifica provinciale, quasi tutti facenti capo alle Province Autonome di Trento e Bolzano. Nel 1987 entrò in vigore un secondo Piano urbanistico provinciale, mirato ad un miglioramento qualitativo delle realtà sviluppatesi durante il primo Pup. Furono programmati interventi specifici nell’ambito ambientale per la difesa del terreno agricolo e per la riqualificazione delle aree urbanizzate (rete viaria, grandi servizi collettivi). Il successo dello sviluppo del Trentino risiede quindi nella capacità di sviluppare piani e progetti mirati e specifici (piani urbanistici133, piani di settore134, piani comprensoriali135), affidati ad organi ed enti competenti, ben controllati dalle Province Autonome e sostenuti da finanziamenti concreti.
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Piano urbanistico: strumento di gestione e organizzazione del territorio. Piani di settore: sono piani rivolti ad un particolare ambito tematico. 135 Piani comprensoriali: piani rivolti a zone di rinnovamento, bonifica e tutela dell’ambiente. 134
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Fig. 48. Estratto dal Piano Urbanistico provinciale trentino: il sistema infrastrutturale (www.provinica.tn.it).
3.3.1 – Canazei Canazei è un comune italiano di 1.916 abitanti situato a 1.465 m s.l.m. in Val di Fassa, tra i più noti per lo sci invernale grazie alla sua particolare posizione: è infatti circondato da importanti cime come la Marmolada, il Sassolungo e il Gruppo del Sella. È la località principale di un’area (con un raggio di circa 17 km) in cui si susseguono altri comuni di notevole importanza turistica come Moena136, Vigo di Fassa137, Pozza di Fassa138 e Campitello139, e fa parte di un gruppo di 19 comuni appartenenti alla Ladinia dolomitica140. L’attuale comune di Canazei è il risultato dalla fusione del centro omonimo con quello di Grìes, situato dall’altro lato del torrente che attraversa il paese, dove si trovano la parrocchia e il Comune.
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Centro commerciale ed economico della Valle di Fassa e inserito nell’Associazione “Perle Alpine”. Località situata nel centro della valle che ha mantenuto le caratteristiche tradizionali. 138 Situata sul confine con la Val San Nicolò, paese nativo di molti alpinisti. 139 Il più antico centro abitativo della valle, un tempo punto di partenza per le escursioni dolomitiche. 140 Area in cui persiste la cultura ladina nella parlata, nell’architettura e nelle consuetudini cittadine. 137
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Le principali trasformazioni che si possono osservare nella città riguardano la zona del comprensorio sciistico e la rete urbana. Secondo Bartaletti (1994)141 lo sviluppo urbano di questa località si ebbe dalla seconda metà del XIX secolo, in concomitanza con quello delle aree circostanti, anche se le prime tracce di attività turistiche si osservarono già dal 1902 con la costruzione dell’Albergo Pordoi e dell’Hotel Croce Bianca, per una villeggiatura esclusivamente estiva. Le vie del centro, come in altre località rinomate, videro la comparsa dei negozi di moda e vestiti, mantenendo però un certo rigore e un’attenzione alle tradizioni. Un ruolo importante nello sviluppo economico è stato giocato dall’accordo che Canazei, Campitello, Vigo di Fassa, Pozza di Fassa, Soraga e Moena hanno stipulato per presentare un’offerta turistica globale e unitaria, così da evitare la concorrenza tra le singole stazioni. Lo sviluppo vero e proprio (turismo estivo e invernale) si verificò nel periodo post bellico, dove comparvero i primi impianti di risalita (1949) e la prima scuola di sci. Dal 1973 Canazei fa parte del Dolomiti Superski così da avere un ampio bacino sciistico, moderni impianti di risalita e una maggiore visibilità, grazie al tour sciistico della Sella Ronda. Complessivamente Canazei ha saputo mantenere intatto, sia nel capoluogo sia nelle sue frazioni, l’aspetto tipico di paese di montagna, nonostante negli ultimi decenni abbia subito un forte sviluppo urbano. Sono presenti ancora molte case antiche ben affiancate da edifici moderni ma con abbondante presenza di legno e materiale tradizionale, che permettono al turista di vivere ancora l’atmosfera tipica di un comune alpino. Purtroppo però esistono anche realtà diverse come quella del complesso Regina e Fassa (fig. 49). Si tratta di una grande struttura ricettiva (600 posti letto) composta da albergo e residence, eretta negli anni ’70, che rappresenta un vero e proprio deturpamento ambientale e paesaggistico. La mole imponente ed isolata (che ne conferisce un aspetto ancora più notevole), la sua architettura con blocchi di cemento a vista e una struttura a gradoni fanno di questa struttura un vero e proprio punto a sfavore di un’area alpina dal sapore e dalle tradizioni antiche.
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Bartaletti F., 1994, Le grandi stazioni turistiche nello sviluppo delle Alpi italiane, Patron editore, Bologna, pp. 139-144.
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Fig. 49. L’imponente ed isolata mole dell’Hotel Regina e Fassa (www.clubhoteregina.it). 3.3.2 – Madonna di Campiglio Madonna di Campiglio (1.550 m s.l.m.) è una località turistica di circa 1.000 abitanti nella Provincia di Trento, adagiata nella conca tra il gruppo delle Dolomiti di Brenta e i ghiacciai dell’Adamello e della Presanella, divisa nei comuni di Pinzolo (centro) e Tre Ville. Essa è una tra le stazioni sciistiche storiche italiane con Cortina e Courmayeur. Per la sua posizione geografica e l’offerta turistica è infatti definita la “regina” delle stazioni trentine. Si hanno notizie (Bartaletti 1994)142 abitative già dal XII secolo circa, quando fu costruito un monastero che fungeva anche da ostello per i viandanti, che rimase attivo fino al 1515, anno in cui Campiglio entrò in un periodo di declino. La vera rinascita si ebbe nel 1868 quando un noto imprenditore dell’epoca (Giovanni Battista Righi) ristrutturò alcuni ruderi e i terreni del monastero, costruì la strada carrozzabile per collegare Campiglio a Pinzolo e al resto della Valle, eresse il Grand Hotel des Alpes, rendendo in pochi anni la località la meta privilegiata delle grandi famiglie aristocratiche (tra le quali si possono ricordare gli Asburgo). Dal 1930 si verificò il vero e proprio sviluppo urbano, grazie alla realizzazione della strada provinciale che ruppe l’isolamento invernale e all’avvento dei primi impianti di risalita. Il boom turistico arrivò però dagli anni’50, grazie all’affermazione del turismo di massa, che portò una rapida costruzione di impianti di risalita e hotel, che, nonostante non sono stati più modernizzati, continuano ad attirare un grande numero di turisti (solo Courmayeur la precede), quasi esclusivamente italiani (95 %); questo a causa dei prezzi 142
Bartaletti F., 1994, Le grandi stazioni turistiche nello sviluppo delle Alpi italiane, Patron editore, Bologna, pp. 131-136.
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elevati e per un rapporto qualità/prezzo non ottimale, che non viene considerato dai turisti italiani, in quanto, grazie alla facile accessibilità e alla vicinanza a centri di pianura, riescono a raggiungere Madonna di Campiglio senza grosse spese. Le trasformazioni più evidenti di questa località riguardano la struttura urbana e la rete infrastrutturale. La grande fioritura di alberghi e la costruzione di ampie strade per accogliere (soprattutto nei weekend) un flusso elevatissimo di persone hanno provocato significativi tassi di inquinamento, favorito dalla particolare morfologia della conca geografica e dalla mancanza di ventilazione. Per tale motivo, poiché la località è frequentata per motivi sportivi e di svago, la Giunta provinciale nel 1992 ha elaborato un piano (poi non andato in porto secondo gli obiettivi di base) per la realizzazione di un sistema di mobilitazione collettivo che coinvolge il centro abitato e le aree adiacenti. Tale progetto prevede la costruzione di una linea metropolitana lunga circa 8 km e dotata di 11 stazioni, il cui scopo è creare un’alternativa all’automobile e aprire un collegamento tra la città, il parcheggio e gli impianti di risalita. Il problema urbano non riguarda solamente il traffico, ma anche il sovraffollamento causato da un forte aumento demografico che ha creato un congestionamento del centro urbano. Tuttavia riescono a coesistere alcune abitazioni storiche e il laghetto, grazie alla cui presenza non si può affermare che ci sia stato un totale abuso di suolo. Nonostante tutto Madonna di Campiglio rimane tra le località più redditizie dal punto di vista economico, grazie alla sua storia e al grande comprensorio sciistico, tra cui spicca la storica pista 3-tre143 di Campiglio. 3.3.3 – Trento Trento è un comune italiano di 117.317 abitanti situato in Trentino Alto Adige, capoluogo dell’omonima provincia autonoma, già abitato in epoca romana grazie alla posizione strategica. In epoca medievale era suddiviso in contrade144, mentre attualmente è strutturato in circoscrizioni145. Entrò poi nei possedimenti dei Visigoti e dei Longobardi, e
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3-Tre: celebre pista di Madonna di Campiglio, resa famosa per la gara di slalom speciale della Coppa del mondo di sci. 144 Tipologia di suddivisione urbanistica di una città, ora abbandonata. 145 Parte definita di un territorio di uno Stato, all’interno delle quale vi sono organi con competenze specifiche.
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successivamente, nel 1027 d.C. divenne territorio del Sacro Romano Impero; in questo periodo nacque il Principato Vescovile di Trento146 durato fino al periodo Napoleonico. Nel XIX secolo la città fu caratterizzata da numerose trasformazioni e movimenti per difendere l’italianità dai tentativi di germanizzazione147 dei tirolesi. La città uscì poi dalle due guerre mondiali con conseguenze disastrose (bombardamenti e vittime), ma grazie alla totale autonomia acquisita nel 1971, riuscì a far ripartire in maniera efficiente l’economia e la società, tanto da arrivare oggi ad essere una tra le migliori città italiane per la qualità della vita. Trento è, insieme a Lecco, una città che, a differenza delle altre analizzate in questa ricerca, non si trova ad un’altitudine elevata (194 m s.l.m.) o propriamente all’interno di una valle. Questa sua posizione ha portato pregi e difetti: non sono presenti comprensori sciistici148, ma l’economia e il settore terziario si sono sviluppati moltissimo, portando Trento ad essere il centro economicamente dominante della regione. Dal 1950 ha subito una forte espansione demografica e urbanistica (fig. 50), coinvolgendo il centro storico e le frazioni, inglobandole in un’unica area urbana. La città, grazie agli efficaci piani di sviluppo provinciali (Pup) del 1967, 1987 e 2008149, ha saputo primeggiare ed eccellere tra le città alpine italiane, vincendo il premio di “Città alpina dell’anno” nel 2004. Le grandi trasformazioni che la città ha subito sono quasi tutte di tipo urbanistico cittadino, e sono state realizzate grazie agli importanti finanziamenti che la provincia autonoma ha elargito. Si possono osservare tre principali aree di trasformazioni, quali il centro storico, l’area urbana e la zona di influenza della città grazie ai servizi che essa offre. Il centro storico è stato oggetto di importanti lavori di ristrutturazione e riqualificazione per renderlo una zona residenziale di alto profilo. Sono stati portati avanti risanamenti di abitazioni antiche e migliorate le strade pedonali. Non da meno, sono state valorizzate anche numerose risorse culturali e sostenute le piccole attività di commercio artigianale per portare un crescente flusso turistico anche nella zona antica (Gubert, Gadotti 1986)150. Tra di esse si possono ricordare i celebri “mercatini di Natale”, che si svolgono durante le 146
Entità para statale esistente all’intero del Sacro Romano Impero governata da ecclesiastici. Espressione indicata per descrivere i tentativi di imporre la lingua e la cultura tedesca fuori dalla Germania. 148 Il più vicino si trova a Bondone, a circa 20 minuti di distanza. 149 Pup 2008: si tratta del più recente piano urbanistico per la città, le cui finalità sono quelle di fornire materiale cartografico e di supporto per una pianificazione ottimale. 150 Gubert R.-Gadotti G., 1986, La struttura socio spaziale di Trento, contributi sociologi alla pianificazione del centro storico, FrancoAngeli, Milano. 147
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festività natalizie a Trento e in altri comuni della regione. L’area urbana ha visto invece una forte crescita dell’edilizia, spesso affiancata da degrado e speculazione. Nonostante ciò, la qualità della vita risulta tra le più elevate in Italia e gli stessi cittadini si ritengono soddisfatti della loro città. L’aspetto sicuramente più rilevante è rappresentato dai grandi lavori di costruzione e miglioramento delle infrastrutture e dei collegamenti interni ed esterni alla città. Grande attenzione è stata data alla ferrovia del Brennero, che corre parallela all’autostrada A22151. La città risulta così ben collegata con le città di Bolzano e Verona e con l’Austria. È presente anche un aeroporto, distante 5 km dalla città, una funivia per raggiungere la frazione di Sardagna e soprattutto un interporto152. Quest’ultimo si trova dislocato nella zona commerciale e industriale, lungo l’asse del Brennero, e quindi porta di accesso alle zone commerciali trans-europee. La città poi offre una serie di servizi di trasporto pubblico efficientissima, gestita da Trentino Trasporti e tra le migliori del Paese, grazie ad un numero elevato di bus, navette e mezzi di mobilità dolce come le bicilette. Queste iniziative, unite ad una seria e continua attenzione che la Provincia Autonoma ha rivolto all’interesse dei cittadini, sono state portate avanti nei vari piani di sviluppo del territorio, sia provinciali che comunali. Sono stati così creati enti e associazioni specifiche per promuovere gli obiettivi dei piani strategici nel miglior modo possibile, evitando, come spesso accade, che i finanziamenti elargiti dalla provincia o dalle regioni vengano sprecati. Recentemente, come visibile sul sito della provincia153, gli interessi di trasformazione urbanistica (legge numero 15 del 4 agosto 2015) e territoriale sono rivolti all’assetto istituzionale, al decentramento territoriale, e ad una nuova legge urbanistica mirata al sistema insediativo (aree di riqualificazione, aree industriali, aree estrattive, aree agricole, aree di bosco). In campo urbanistico e di progettazione merita di essere citato il nuovissimo progetto “Impact HUB 2026”. Si tratta di una rete internazionale di spazi e persone dove imprenditori, creativi e professionisti possono accedere a risorse, lasciarsi ispirare dal lavoro di altri, sviluppare idee innovative e potenziare relazioni utili, individuando nuove opportunità di mercato. I nostri membri sono imprenditori, investitori sociali, freelance, startupper, creativi, artisti, consulenti, innovatori e giovani professionisti. Impact Hub in 151
A22: collega la Pianura Padana con l’Austria e la Germania. Ha una lunghezza di 315 km. Interporto: infrastruttura costruita per soddisfare le esigenze dei lavatori attraverso l’unione di diverse realtà del mondo del trasporto delle merci: camion, treno e autorità doganali per esempio. 153 www.territorio.provincia.tn. 152
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Trentino ha uno spazio di coworking a Trento. All'interno della struttura i nostri membri possono incontrare persone e utilizzare una piattaforma globale che comprende più di 9mila imprenditori, servizi di consulenza e di supporto nella progettazione e postazioni di lavoro; uno spazio flessibile per mostre ed eventi, una caffetteria, una cucina condivisa, e una programmazione di conferenze, workshop, aperitivi tematici, dibattiti e musica (www.trento.impacthub.net)154. Tra i vari progetti il più interessante risulta sicuramente il Trasporto Pubblico Integrato (fig. 51), un sistema di trasporto del Triveneto155 che potenzierà i servizi e le linee già esistenti e ne aggiungerà di nuove, attraverso gallerie e trafori. Fulcro di tale progetto sarà la città di Trento e tutta l’area di gravitazione della sua economia.
Fig. 50. L’immagine, presa dal Piano urbanistico provinciale, mostra lo sviluppo urbano di Trento attraverso la comparazione tra il 1850, il 1920 e il 1981 (www.provincia.tn).
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Impact Hub Trentino-www.trento.impacthub.net. Termine usato per indicare le regioni del Veneto, del Trentino Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia.
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Fig. 51. Un’immagine del progetto di Trasporto Pubblico Integrato che raffigura le nuove linee di trasporto di Trento e della zona di influenza della città (www.trento.impacthub.net). In conclusione si può affermare che le località analizzate del Trentino Alto Adige rappresentino esempi meno “estremi” rispetto a quelli della Valle d’Aosta perché non si osservano situazioni agli antipodi come quelle tra Cervinia e Chamois. Si sono piuttosto sviluppate località turistiche, anche con forme invasive di urbanizzazione e inquinamento come a Madonna di Campiglio, ma sempre controllate e mai degenerate156. Si è cercato di portare avanti un’offerta turistica incentrata sui trasporti e sull’accessibilità, mentre in Valle d’Aosta la speculazione edilizia governava l’economia turistica. La regione appare come un’area più unitaria e omogenea per quanto riguarda l’offerta turistica, a differenza della Valle d’Aosta o della Lombardia, dove le località sono rispettivamente distribuite in maniera disomogenea o solamente in alcune zone specifiche (ne è un esempio la Valtellina). Ancora una volta un la grande autonomia di cui godono le province del Trentino ha assunto un peso importantissimo. Sono stati proposti numerosissimi piani di sviluppo, costantemente rinnovati e sono stati affidati ad organi ed enti competenti e specializzati. 156
Progetto per promuovere la mobilità dolce e la riduzione dell’inquinamento causato dai veicoli.
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CONCLUSIONI Terminata questa analisi sull’incidenza del turismo montano sulle città alpine e sulle conseguenti trasformazioni materiali, spaziali, urbanistiche e socio-economiche, si può apparentemente affermare che il turismo montano, a livello economico, ha portato sempre o nella stragrande maggioranza dei casi un miglioramento, una crescita e uno sviluppo delle città alpine. La stessa affermazione può essere fatta per le trasformazioni urbanistiche, materiali e spaziali che queste città hanno subito. Alberghi, ristoranti, attività pararicettive e commerciali e grandi impianti di risalita sono ormai gli elementi per definire le caratteristiche urbane delle città alpine contemporanee. Osservando ed analizzando più a fondo queste città, ci si rende conto che la realtà è ben diversa. Se economicamente questi comuni hanno subito una crescita e uno sviluppo, lo stesso non si può dire della loro società, del tessuto urbano, della loro tradizione storica, della loro identità e del loro equilibrio ambientale. Il turismo, e il miraggio del benessere economico che esso portava, hanno, in situazione più o meno evidenti, trasformato più o meno rapidamente le città alpine in città di pianura. Sono scomparse le abitazioni tradizionali in favore dei complessi residenziali, i piccoli e stretti vicoli hanno lasciato il posto alle strade asfaltate, le attività artigianali del centro sono state sostituite dai ristoranti e dai negozi moderni, l’atmosfera e le tradizioni alpine locali sono ormai scomparse o si sono trasformate in folclore per un rapido consumo. Per quanto in questa ricerca si è potuto osservare, sono ben poche le città e i comuni montani che possono riscontrare feedbacks pienamente positivi. Spiccano in maniera assoluta, tra le località analizzate, Chamois, e comuni di dimensioni considerevoli come Trento e Lecco, (che non a caso possono annoverare il titolo di “Città alpina dell’anno”, rispettivamente nel 2004 e nel 2013, grazie alla qualità della vita offerta ai cittadini, ai progetti per lo sviluppo e la crescita sostenibile e all’attenzione verso il territorio in cui la città è inserita). Le altre città analizzate presentano situazioni meno rosee. Courmayeur e Canazei hanno mantenuto caratteristiche tipicamente alpine, anche se sono state vittime di interventi invasivi come la realizzazione del traforo del Monte Bianco o la costruzione del mastodontico Hotel Regina e Fassa; Bormio e Madonna di Campiglio hanno saputo portare avanti parallelamente uno sviluppo urbano-economico e una salvaguardia del patrimonio storico-culturale, ma hanno anche dovuto cedere a una certa speculazione edilizia; Livigno 119
ha subito uno sviluppo considerevole, ma è soprattutto per via dell’isolamento e delle trasformazioni avvenute in epoca recente, che riesce a mantenere ancora alcune caratteristiche alpine; Cervinia, infine, si è trasformata in una città di pianura sul piano dell’assetto urbano e architettonico, delle mode e degli stili di consumo, e ciò a causa della smisurata e irrefrenabile attività edilizia e commerciale iniziata nel dopoguerra. Questa ricerca, senza alcuna pretesa di essere esaustiva per un tema così ampio, vuole anche esplicitare come la responsabilità di queste differenti situazioni non è però da attribuire solamente ai grandi investitori che hanno promosso interventi e trasformazioni in queste località; in parte è anche della cittadinanza locale, che, a fronte di un’economia basata su un settore secondario non modernizzato o in alcuni casi ancora sul settore primario, ha visto in molti casi nel turismo montano una grande opportunità di crescita economica e sociale, senza considerare appieno anche le possibili conseguenza negative. L’esempio virtuoso di Chamois, tra le località analizzate, sottolinea invece come una corretta governance e una strategica pianificazione della crescita e dello sviluppo possano portare contemporaneamente a realtà economiche stabili e al mantenimento delle caratteristiche che una città alpina dovrebbe avere, inserita in un contesto ambientale privo di deturpazioni, abusi del suolo e sviluppi urbani incontrollati, con una salvaguardia della cultura e della lingua locale e con un turismo attivo e attento alla valorizzazione del patrimonio locale.
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