semestrale di cultura del packaging, comunicazione, arte e design
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Brian Jungen Prototype for New Understanding #23, 2005 Nike Air Jordans Courtesy of the artist and Casey Kaplan, New York
Freetime Packaging
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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
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conseguenze, soprattutto a livello di consumi e di comportamenti d’acquisto. Infatti, sempre di più si stanno diffondendo prodotti ibridi: sneakers pensate per il trekking, ma abbastanza eleganti da indossare con il gessato; alimenti e bevande pensate per i palati dei più golosi ma anche salutari; auto crossover, un po’ coupé un po’ fuoristrada; corredi da viaggio per avere tutto ma in poco spazio... Questo numero di Impackt è dunque dedicato al nuovo concetto di freetime, ed intende fornire attraverso esempi di packaging interessanti e particolari - le diverse declinazioni di “tempo libero” e dei prodotti ad esso dedicati per settori come quello dello sport, del fitness, del benessere, dei viaggi, del relax in genere. E poiché, come ormai ben sappiamo, abbigliare, comunicare e veicolare questi prodotti è un compito che spetta all’imballaggio, abbiamo pensato di chiedere lumi ad un tuttofare del packaging come il francese Fabrice Peltier, ma anche a chi sul tempo libero ha creato un’industria, come adidas, o ad artisti, come Raffaella Formenti, che il packaging lo impiegano in ogni sua forma come una moderna tavolozza - per finire con chi, come l’artista Brian Jungen, trasforma oggetti usualmente impiegati per il relax, come sneakers o sedie da giardino, in scheletri preistorici o in maschere di un folklore oscuro, eppure così famigliare, così prossimo alla nostra vita di tutti i giorni.
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Giusto cento anni fa i Futuristi cantavano la bellezza della velocità che ci avrebbe emancipato dal “collare di ferro del Tempo e dello Spazio”. Nel secolo che è trascorso da quei proclami, la tecnologia ci ha regalato così tante invenzioni che quasi stentiamo a capacitarci di come sia possibile progredire ancora, ma che di certo condividono la caratteristica di abbreviare, velocizzare, moltiplicare, insomma, che hanno cercato di “liberarci” dai limiti spaziotemporali. I risultati di questa rivoluzione, che ormai possiamo giudicare da una distanza divenuta nel frattempo storica, non sono stati pari alle aspettative. Oggi, il tempo è divenuto una specie di lusso - per cui, pur disponendo di strumenti per fare tutto più in fretta e di conseguenza guadagnare tempo “libero”, si tende a fare sempre di più, e paradossalmente non rimane tempo per quasi nulla. Come ha detto da qualche parte Franco Battiato, “scorrono gli anni nascosti dal fatto che c’è sempre molto da fare / e il tempo presente si lascia fuggire con scuse condizionali”. E come nota Pier Benzi, art director dell’agenzia Artefice nell’intervista che presentiamo su questo numero - ormai il rischio è di confondere il leisure time con il contracted o committed time finendo per tenere “una riunione di lavoro mentre ci si sposta in treno, o ricevere mail su una spiaggia di sabbia bianca”. Ciò causa tutta una serie di
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Freetime Packaging
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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
Exactly a hundred years ago the Futurists sang of the beauty of speed that was to have emancipated us from the “iron collar of Time and Space”. In the century that has passed since those proclamations, technology has given us so many inventions that we are hard put to understand how we might progress further but that certainly share the characteristics of shortening, speeding up, multiplying, that is, they have tried to “liberate” us from spatiotemporal limits. The results of this revolution, that we can by now judge from a distance that has in the meantime become historic, were not up to expectations. Today time has become a sort of luxury - hence, even while having tools for doing everything in a greater hurry and to hence gain “free” time, one tends to do more and more, and paradoxically there is no time left for anything. As the famous contemporary Italian composer and singersongwriter Franco Battiato said somewhere “the years pass concealed by the fact that there is always a lot to do / and the present escapes us with conditional excuses”. And as Pier Benzi, art director of the agency Artefice notes - in the interview presented in this issue - we have reached the point where we risk confusing leisure time with contracted or committed time, ending up ending up by taking part in "a business meeting while on a train, or receiving emails on a sandy white
beach". This causes a whole series of consequences, aboveall at the level of consumption or purchasing behaviour; indeed hybrid products are becoming evermore popular: sneakers conceived for trekking, but elegant enough to wear with a pinstripe suit; food and beverages conceived for the palates of gourmets that are also good for your health; crossover cars, a bit coupé a bit offroad, travel kits to have everything in limited space… This issue of Impackt is hence dedicated to the new concept of freetime, and intends providing through examples of interesting and particular packaging - the different declinations of “freetime” and the products dedicated to the same for sectors such as sport, fitness, wellbeing, travel and generally for relax. And since, as we by now well know, cladding, communicating and vehicling these products is a task that falls to packaging, we have turned to a packaging allrounder like Frenchman Fabrice Peltier, but also to those who have turned freetime into an industry, like adidas, or to artists, like Raffaella Formenti, who use packaging in all its forms like a modern paint palette - to end up with those that, like the American artist Brian Jungen, turn objects usually used for relax, such as sneakers or garden chairs, into prehistoric skeletons or into masks of an obscure folklore, albeit strikingly familiar, so close to our everyday lives.
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ROMA • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Largo di Torre Argentina, 5/10 tel 06 36001873 • Libreria Kappa P.zza Borghese, 6 tel 06 6790356 • Libreria Mancosu editore V.le G Rossini,20 tel 06 35192251 • Librerie Feltrinelli Via V.E. Orlando, 78\81 tel 064870171
SALERNO • Librerie Feltrinelli C.so V. Emanuele, 230 tel 089 253631
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MILANO • Art Book Triennale Viale Alemagna Emilio, 6 tel 02 724341 • Casa Editrice Ulrico Hoepli Via U. Hoepli, 5 tel 02 864872 08 • Coop. Studio e Lavoro Via Durando, 10 • La Cerchia Via Candiani, 102 tel 02 39314929 • Feltrinelli LIBRI & MUSICA C.so Buenos Aires 33/35 tel 02 2023361
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GUIDA TURISTICA ATTRAVERSO I PANORAMI REALI E MENTALI DEL PACKAGING TOURIST GUIDE TO THE REAL AND SPIRITUAL LANDSCAPES OF PACKAGING
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Q U E S T O
N U M E
shopping bag Freetime. Il Bene più Prezioso Francalma Nieddu
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tools Green Visions Sonia Pedrazzini
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store story Blueberry Lifestyle Francalma Nieddu market release Il Packaging Restituisce ciò che la Vita Consuma Sonia Pedrazzini
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identi-kit Packaging Ultramagnetico Francalma Nieddu
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shopping bag Voglia di Correre Francalma Nieddu
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market release Good Vibrations Luciana Guidotti
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tools Food Design n° 5 Sonia Pedrazzini
pack conneXion
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my pack Giovanni Levanti/ Malo
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book box
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warning! Tutte le Strade Portano al Packaging Marco Senaldi identi-kit Brian Jungen: He Just Did It Francesco Spampinato
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P A C K A G I N G
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user instructions FreeTime Packaging S. Pedrazzini, M. Senaldi
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identi-kit Pixel, Strappi e Parole Marco Senaldi
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Back cover PT3 Ultramagnetic - Puma by aruliden
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impackt news
Le nostre copertine Front cover Redesign of Mr Clean by T. Ceschi e F. del Vigo
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P A C K A G I N G F R E E T I M E 1/09 8
user instructions FreeTime Packaging S. Pedrazzini, M. Senaldi
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shopping bag Freetime. Il Bene pi첫 Prezioso Francalma Nieddu
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tools Green Visions Sonia Pedrazzini
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market release Good Vibrations Luciana Guidotti
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pack conneXion
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warning! All Roads lead to Packaging Marco Senaldi identi-kit Brian Jungen: He Just Did It Francesco Spampinato
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market release Packaging replenishes what Life depletes Sonia Pedrazzini identi-kit Ultramagnetic Packaging Francalma Nieddu
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shopping bag Feel like running Francalma Nieddu
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tools Food Design n째 5 Sonia Pedrazzini
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my pack Giovanni Levanti/ Malo
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book box
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identi-kit Pixels, Torn Scraps and Words Marco Senaldi
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store story Blueberry Lifestyle Francalma Nieddu
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Our covers Front cover Redesign of Mr Clean by T. Ceschi e F. del Vigo Back cover PT3 Ultramagnetic - Puma by aruliden
Direzione editoriale
Hanno collaborato
Redazione
Impaginazione
Traduzioni
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Segreteria Ufficio tecnico Leila Cobianchi, Filomena D’Addona Massimo Conti (conti@dativo.it)
Progetto grafico Erica Ghisalberti, Vincenzo De Rosa
Vincenzo De Rosa, Rossella Rossi (Studio Grafico Page - Novate - MI)
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Stefano Lavorini
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colophon
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Freetime, il bene
più prezioso
Abbiamo inventato macchine sofisticate per abbreviare le distanze, dispositivi per comunicare da qualunque luogo a qualunque altro, complessi sistemi per sfruttare i tempi morti - ma tutto ciò, invece di emanciparci, ha ridotto il nostro tempo libero a un’appendice di quello lavorativo. Insomma - la vera ricchezza della nostra epoca è il tempo: così prezioso, ormai, che vale la pena confezionarlo al meglio. Francalma Nieddu
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Statistico delle Comunità Europee), ad esempio, il freetime viene suddiviso in ben cinque sotto-classi: Social Life ed Entertainment (vita sociale, svago e cultura); Sport ed attività all’aperto (attività fisica indoor e outdoor); hobbies, giochi, attività artistiche; Mass media (leggere, tv e video, radio e musica); e infine Travel, cioè viaggi, escursioni e vacanze. Nell’elenco sono descritte attività molto diverse - ma viaggiare, e farlo nel modo più confortevole, è una di quelle maggiormente preferite per trascorrere il nostro tempo libero. Un termine coniato dai tour operator è “pacchetto viaggio”, un modo di dire che identifica un’offerta confezionata secondo le richieste del cliente. Oggi è sostituito dal termine Dynamic Packaging che offre di combinare online e poter assemblare il pacchetto turistico su misura.
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Nell’ultimo decennio, ricerche americane e italiane hanno rilevato la tendenza, da parte dei lavoratori, a mettere al primo posto non più richieste di denaro o benefit di varia natura, ma il tempo libero. Ma definire il termine freetime e restringere il campo a cui si fa riferimento non è facile. È una categoria eterogenea, dove possono confluire attività diverse come il bere, il mangiare, il lavarsi - ma che assumono caratteristiche differenti rispetto al contesto della routine quotidiana. Il leisure time, cui si attribuisce lo stesso significato di free time, è “quello che resta del tempo impiegabile”, tolto il lavoro, il sonno e le cure personali. All’interno di questa classe si possono collocare numerose attività. Nella classificazione di Eurostat (European Statistical Data Support, l’Ufficio
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Il CTS, Centro Turistico Studentesco, promuove le sue offerte con un fantomatico Kit del giovane viaggiatore, contenuto in una sacca su cui è stampato il motto ”Non studiare, viaggia”. Completo di ironici occhiali su cui sono riprodotti degli occhi aperti per dissuadere i malintenzionati dall’avvicinarsi mentre si sta riposando, è un vero must. Si rivolge a un pubblico adulto e raffinato invece la serie Boscolo Gift, sette cofanetti per regalare o regalarsi un viaggio a tema: d’arte, enogastronomico, romantico o metropolitano. All’interno di ogni cofanetto, caratterizzato dalla grafica elegante e dalla carta pregiata, ci sono quindici itinerari ispirati a un diverso tema emozionale. Il destinatario del regalo sceglierà quello che desidererebbe fare in due. Dopo aver stabilito la meta, bisogna preparare i bagagli. L’offerta di valigie e zaini è infinita ed ognuno sceglie come meglio crede. Siti e libri ci suggeriscono come fare bene il
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nostro bagaglio per avere tutto quello che serve in poco spazio. Allora ecco kit di prodotti per portare con noi tutto il necessario, ma in confezioni ridotte; e, quando si viaggia in aereo, trasportare i cosmetici nelle quantità permesse dalle nuove leggi antiterrorismo in un bagaglio a mano, nelle buste di plastica trasparenti di cui veniamo dotati in aeroporto. La linea di prodotti 50ml Beauty on board prende il nome proprio dalla quantità massima di sostanze che si possono portare a bordo di un aereo: un packaging semplice in plastica trasparente, con vari alloggiamenti ripiegabili su se stessi che racchiudono il necessario per la cura del viso e del corpo. Partendo dal concetto di usare meno e meglio, la designer Silvia Gravina sviluppa la sua linea di prodotti cosmetici esclusivi VIA.gg.IO confezionandoli in una essenziale bustina nera con il logo al centro. I prodotti sono assortiti come si desidera, ma tutti impiegano tecnologie cosmetiche avanzate e packaging innovativo, in piccole dosi preconfezionate, che preserva al
meglio l’integrità del prodotto e assicura il miglior utilizzo. Accattivante è anche il packaging in plastica trasparente azzurro e arancio di Travel survival sistem, di Oscar + Dehn - linea di prodotti che ristorano il corpo dopo un lungo viaggio: maschere gel per occhi, pantofole rinfrescanti, e altri rimedi dai nomi che promettono calma, relax e ristoro. Sul fronte dell’ingombro, Napkin è una linea di prodotti in materiali
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naturali, viscosa e cotone, liofilizzati e ridotti del 400% di volume, così che biancheria, t-shirt e accappatoio occupano pochissimo spazio: tornano ad essere di dimensioni normali una volta bagnati. Un bagaglio di prodotti magici... anche se una volta aperti non possono più essere compressi. Cosa che si può fare invece con i vestiti Petit Robe, che non temono sgualciture. La designer Chiara Boni ha pensato a come poter essere eleganti anche con un bagaglio ridotto disegnando una intera collezione d’abiti e rivisitando il classico tubino nero nella foggia e nel tessuto, che si piega e si custodisce in una piccola bustina di stoffa. Da parte sua, Max Mara propone the Cube, un piumino invernale, reversibile e trasportabile in una borsetta a forma di cubo, leggera e di dimensioni ridottissime. Prima del lancio le vetrine dei punti vendita
sono state riempite di Cubi, usando questa particolare forma di packaging come un elemento scatenante la curiosità sul prodotto misterioso che avrebbe dovuto esservi contenuto. Sicuramente, nel freetime e non solo in viaggio, ci si veste in maniera più informale e comoda, a partire dalle calzature, che molto spesso hanno un packaging coerente col prodotto. Molto apprezzato il packaging delle sneakers Newton in cartone riciclato che segue la forma delle due scarpe come un guscio, e che soddisfa l’anima ambientalista di molti usando materiali riciclabili anche per le scarpe. Per girare in città con un abbigliamento a prova di piogge improvvise si possono acquistare i capi di NoodlePark, una community creativa che sviluppa progetti di design e abbigliamento con prezzi accessibili. Si presentano dentro una “noodle take away box” con un foro sulla confezione che evidenzia il colore del capo contenuto. Il take away orientale, servito nella classica noodle box, è il modo di mangiare più diffuso e consumato da persone di ogni colore, ceto e religione, costituendo così un vero punto di aggregazione sociale, culturale ed etnica: la sintesi di ciò che Noodle Park desidera trasmettere. Il capo caratteristico di Noodle Park, Cap & Jacket , con tanto di brevetto, è una giacca a vento impermeabile che, al posto del cappuccio, ha un cappellino custodito in una tasca sul collo. Per i bambini, poi, è stata concepita una linea speciale contenuta in una confezione a forma di un divertente personaggio con cui poter giocare. E c’è chi invece indossa delle riproduzioni di packaging vero e proprio con Kejo, marchio tutto
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italiano, che produce piumini ispirati ai famosi Baci Perugina, in due varianti: in blu come la loro scatola, o in argento con piccole stelle come la carta stagnola che ricopre il Bacio stesso, con tanto di bigliettino all’interno della fodera; oppure ispirati alla caramella Golia, anche qui nelle due versioni d’incarto, in bianco e in nero. Piumini che permettono, a chi vuole, di offrirsi come un dolce da scartare… o semplicemente farsi notare. Ma a volte sono i prodotti d’uso quotidiano che vengono confezionati e proposti come se invece fossero attrezzi per il tempo libero. Una divertente proposta per il concorso “Reinvent” 2007 (bandito dalla
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Procter & Gamble Venezuela in collaborazione con designboom) per il redesign del corrispettivo del nostro Mastro Lindo, è stata escogitata dai designer Italiani Tommaso Ceschi e Francesca Del Vigo. Il risultato è l’abbinamento veramente spiazzante tra il packaging di un detersivo e un attrezzo da fitness. Viceversa, non proprio l’esempio canonico di quello che si dice un packaging freetime, è il kit per lavori domestici barbara k!, che in America va a ruba. Packaging pratici, ma nello stesso tempo glamour e alla moda, ideali per casalinghe che vogliono fare da sé piccole riparazioni a casa con martello e pinze in colori pastello e in edizione limitata con custodia ricoperta di paillettes! Una sorta di beautycase per il maquillage delle pareti domestiche. Alcuni pensano al proprio leisure time come l’occasione per gustare cibi raffinati o particolarmente salutari come i centrifugati di frutta e verdura Wild Bunch & Co, seducenti già dalla bottiglia che li contiene, in vetro trasparente con il tappo ispirato alla chiusura dalle vecchie bottiglie di birra, acquistabili purtroppo però solo a Singapore, nell’omonimo bar... Ma visto che viaggiare è un modo di usare il nostro tempo libero, si può approfittarne e abbinare le cose. Infine, alcuni considerano la lettura il modo migliore per impiegare il tempo libero, viaggiando solo con la mente; il baule che
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ha realizzato il famoso pellettiere francese Goyard Trunk per contenere i primi 50 numeri della rivista Visionaire rappresenta la sofisticata materializzazione di questo concetto. Straordinarie creazioni, dedicate a temi diversi che si concretizzano in packaging editoriali sorprendenti; l’ultima, che si chiama proprio Surprise, è un cofanetto che contiene piccoli quaderni con pop up. In definitiva, le possibilità di vivere e “confezionare” il proprio free time sono davvero tante; ma l’importante è riuscire a gustarsi ogni singolo istante, dato che il modo per fermarlo… quello ancora non è stato inventato.
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Freetime, the most precious luxury We have invented sophisticated machines for shortening distances, devices for communicating from any place to anyone, complex systems for exploiting downtime... yet all of this, instead of emancipating us, has reduced our free time to a mere appendage of our working time. All in all, the real luxury these days is time: so precious it is worth packaging it in the best way we can.
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Francalma Nieddu In the last decade, American and Italian surveys have revealed the trend of workers to prioritise not requests for money or various kinds of benefits but free time. Yet defining the term free time and narrowing it down to what it actually describes is not easy. It is a catchall term within which we may find various activities, such as drinking, eating, washing, which take on different characteristics in the context of our everyday routine. Leisure time, by which we mean the same as free time, “is what remains of the time that can be used” once work, sleep and personal hygiene has been deducted. We can place numerous activities in this category. Eurostat (European Statistical Data Support, statistical arm of the European Commission), classifies free time as being subdivided into as many as five sub-classes: Social Life and Entertainment (social life, entertainment and culture ); Sport and open-air activities (indoor and outdoor physical activity); hobbies, games, artistic activities; Mass media (reading, TV and video, radio and music)and, finally, Travel, that is trips, excursions and holidays. The list contains extremely diverse activities but travelling, and doing it in the most comfortable way, is one of the favourite ways of spending free time. Tour operators coined the term package holiday, an expression which identifies a product put together according to customers’ wishes and requirements. It has now been replaced by the term Dynamic Packaging, which offers tailor-made tour packages assembled on line. CTS, Centro Turistico
Studentesco, promotes its offers with a virtual Young Travellers’ Kit, contained in a bag emblazoned with the motto: Don’t Study, Travel. Complete with ironic specs, whose lenses have drawings of wide-awake eyes to dissuade ill-intentioned people from approaching you while you are sleeping, this is a must-have. On the other hand, Boscolo Gift is a range that addresses an adult and sophisticated public. It consists of seven boxes which each contain a gift of a theme holiday: art, food, romantic or metropolitan. Inside every box, characterised by elegant graphics and precious paper, there are fifteen itineraries, each inspired by a different emotional theme. The recipient chooses the one which appeals to him the most to share with someone else. After choosing your destination you have to pack your suitcases. The range of suitcases and backpacks on offer is infinite and everyone chooses the one that most appeals to them. There are websites and books which suggest the best ways to pack so as to store everything you need in the smallest space. So, there are product kits that are designed so that we can take with us everything we need but in small quantities. When travelling by air, there are kits for transporting cosmetics in the quantities permitted by the new antiterrorism laws in our hand baggage in the see-through plastic bags we are provided with at the airport. The 50ml Beauty on board range of products takes its name from the maximum quantity of liquids one can take on board an airplane. It has simple packaging made from seethrough plastic with various fold away pockets that contain all the make-up and skincare products you need. Starting from the idea of using less and using it better, designer Silvia Gravina developed her VIA.gg.IO range of exclusive cosmetics products packaging them in minimal black bags with the logo in the centre. The products are assorted as one wishes yet they all use advanced cosmetic technologies and innovative packaging and come in small pre-packaged doses which preserve freshness and guarantee the best use. The blue and orange see-through plastic packaging of Oscar + Dehn’s Travel survival system is also appealing. This range of products restores you after a long journey: eye masks, refreshing slippers, and other remedies with names that promise serenity, calm and refreshment. As for bulk, Napkin is a range of products made from
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natural materials such as viscose and cotton, freezedried and reduced by 400% in volume, so that underwear, t-shirts and towelling robes take up very little space. Once they are wet they go back to their normal size. It is a case containing magical products…even though, once opened, they can no longer be compressed. It is a different story for the wrinkle-proof Petit Robe clothes. Designer Chiara Boni pondered how to stay elegant even with just one small suitcase, designing an entire collection of clothes and revisiting the shape and material of the classic little black dress which can be folded and kept in a small fabric bag. For their part Max Mara proposes the Cube, a reversible winter quilted jacket that can be transported in a small, lightweight cubeshaped bag. Before the launch store windows were filled with Cubes, using this particular form of packaging as an element to stir curiosity about the mysterious product it contained. Certainly, people dress more informally and comfortably in their free time and not just when they are travelling. Starting with shoes, whose packaging often adapts to the product. The packaging of Newton sneakers, made of recycled cardboard hugging the shape of the shoes like a skin, and respecting many people’s concern for the environment by using recyclable materials for the shoes too, is much admired. If you want to move around the city in waterproof gear that will protect you in the case of sudden showers you can buy clothes from NoodlePark, a creative community which develops design and clothing projects all at accessible prices. They come in “noodle take away boxes” with a hole in the packaging that shows the colour of the clothing inside. The oriental take away, served in the classic noodle box, is the most popular way of eating for all kinds of people irrespective of colour, class and religion, making it a true point of social, cultural and ethnic aggregation: the synthesis of what NoodlePark wishes to convey. NoodlePark’s characteristic patented garment, Cap & Jacket, is a waterproof windcheater which, instead of a hood, has a small hat stowed in a pocket in the collar. For children there is a special range contained in packaging with the shape of amusing characters they can play with. And then there are those who wear actual reproductions of packaging with companies such as Kejo, an all-Italian brand, producing quilted jackets inspired by the famous Baci Perugina in two
variants: blue like the box, or silver with little stars like the foil wrappers of the Baci themselves, with a little message concealed inside the lining: or inspired by Golia sweets, also in two versions (either black or white). These quilted jackets look like sweets to be unwrapped… or merely attention grabbers. But sometimes it is everyday products which are packaged and offered up anew as though they were equipment for free time activities. One entertaining idea for the competition “Reinvent” 2007 (held by Proctor & Gamble, Venezuela, in partnership with designboom) for the redesign of Mastro Lindo, was dreamt up by Italian designers Tommaso Ceschi and Francesca Del Vigo. The result is a truly disorienting juxtaposition of the packaging of a detergent and fitness equipment. Viceversa and not exactly a conventional example of what we call free time packaging is the barbara k! kit for household chores which is selling like hot cakes in the States. It is practical but, at the same time, glamorous and fashionable packaging and ideal for housewives who want to carry out small home repairs using pastel coloured hammers and pliers in limited editions with sequin-covered cases! A sort of beautycase for the maquillage of domestic walls. Some think of their leisure time as an opportunity to try sophisticated or especially healthy foods such as Wild Bunch & Co fruit and vegetable smoothies with their seductive bottles made of transparent glass with a cap inspired by the caps of old beer bottles, that you can unfortunately only find in Singapore in the bar of the same name… But, seeing as travelling is a way of spending our free time, we can make the most of it and combine the two. Finally, some believe reading to be the best way of spending one’s free time, armchair travelling... The trunk deigned by famous French leather goods manufacturer Goyard Trunk to hold the first 50 issues of the magazine Visioniare shows this concept sophisticatedly put into practice. They are extraordinary creations dedicated to different themes which crystallise in remarkable packaging for packaging. The latest, called Surprise, is a slipcase which contains small pop-up notebooks. In short, the possibilities to experience and “package” one’s free time are many but the important thing is to succeed in savouring every single moment, given that the way to stop it… well, that hasn’t been invented yet.
Il vetro
dice la pura verità
Il vetro conserva le cose esattamente come sono: non aggiunge niente, non toglie niente. Le tiene lì buone buone. Perché è naturale, sicuro, igienico, elegante, riutilizzabile, riciclabile, comodo e unico, perché può essere personalizzato con stile in mille e una soluzione di packaging.
SAINT-GOBAIN VETRI S.p.A. Località Colletto 4, Dego (Savona) - Tel. (0039) 019/55701 - Fax (0039) 019/5570351 - www.saint-gobain-vetri.it
GREEN VISIONS
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Sonia Pedrazzini Parigi, novembre 2008, durante la mostra tecnologica Emballage si è svolto il Congresso Internazionale del Design Packaging “PackVision”. Produttori di imballaggi, agenzie di design, studi di tendenze, rappresentanti di grandi marche internazionali, oltre alle principali associazioni ed organismi professionali del settore, si sono dati appuntamento per condividere le proprie competenze sulle sfide future del packaging. Tra i molti temi in discussione, ampio spazio è stato dedicato al “green packaging” e al design sostenibile, argomenti di grande attualità ed importanza sui quali l’ADI, la storica Associazione per il Disegno Industriale, è stata invitata per apportare il suo contributo e offrire le riflessioni e le esperienze provenienti da un settore in continua espansione ed evoluzione come quello del design italiano.
Mi sono dunque recata al convegno di Parigi, questa volta in veste di rappresentante dell’ADI, per presentare una case history piuttosto unica e molto pertinente all’argomento: l’avventura - iniziata soli quattro anni fa, ma già di successo - di un gruppo di imprenditori piemontesi che ha fatto del recupero, della sostenibilità ambientale e dell’etica sociale, il proprio business. Le aziende coinvolte in questo progetto, sviluppano prodotti ingegneristici, logistici e di design sulla base dei principi dell’LCA (Life Cycle Assessment ) e offrono a chi è interessato ad operare in modo sostenibile, soluzioni e materiali derivanti dalla raccolta differenziata. Il loro business inoltre, è fondato sul concetto che, per migliorare la qualità della vita nostra e del pianeta, bisogna creare un sistema industriale che sostenga e promuova non solo la salvaguardia ambientale ma anche l’equità sociale. Secondo loro, le questioni
economiche e produttive non possono essere disgiunte da quelle ambientali, sociali ed energetiche, ed ecco perché con il motto “Make Money saving the Planet”, l’intento ideale e concreto di questi “pionieri della rivalorizzazione” è diventato quello di sovvertire, nel vero senso della parola, i meccanismi della tradizionale gestione imprenditoriale e di realizzare profitti non solo per sé ma anche per chi collabora alla loro visione, con azioni trasparenti, consapevoli ed etiche. Il punto di partenza è stato quello di creare valore dalla cosa che apparentemente ha meno valore: la spazzatura, lo scarto, il rifiuto ed uno dei primi progetti realizzati, è stata la costruzione di Mr Pet, una macchina a tecnologia evoluta, pensata per raccogliere le bottiglie in PET che la gente di solito butta. Mr Pet è stata quindi posizionata davanti a supermercati e centri commerciali per sensibilizzare la gente comune al problema del recupero ed per agevolarla nella raccolta selettiva. Infatti, grazie ad un’apposita carta elettronica, a chi si prende la briga di togliere dall’ambiente un po’ di spazzatura, Mr Pet eroga in cambio uno o più punti-spesa utilizzabili in quegli stessi supermercati davanti a cui staziona la macchina. I vantaggi dell’operazione, ad oggi, sono molteplici: la società proprietaria di Mr. Pet (una delle aziende del gruppo), può disporre in questo modo di materiale plastico già selezionato e di qualità, pronto da avviare al riciclo; i supermercati che hanno adottato la macchina, possono attirare nuova clientela, fidelizzarla e, con un basso investimento, avere un ruolo attivo nella diffusione dei valori ambientali; i consumatori, con un po’ di
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attenzione e un piccolo sforzo, guadagnano punti per la spesa ed magari intanto diventano anche un più consapevoli; le amministrazioni comunali, infine, riescono a operare i modo più mirato (e gratuito) al recupero differenziato. Mr Pet sta riscontrando un grande successo, basti pensare che nell’area torinese più di 40.000 famiglie hanno richiesto la tessera e partecipano quotidianamente e attivamente al progetto. Ma il processo di rivalorizzazione non si conclude qui. Regolarmente la macchina viene svuotata per procedere al recupero del PET, dopodiché, con un sistema brevettato, la plastica ottenuta viene trasformata in un nuovo materiale dalle incredibili proprietà ottiche e meccaniche, il Keorex. A questo punto, utilizzando questo materiale, un’altra azienda del gruppo, è in grado di produrre Ekologic Shop to Shop, una linea di cestini e carrelli per il punto vendita, resistentissimi, esteticamente belli, poco costosi e
naturalmente in plastica riciclata. Come dire…il supermercato produce rifiuti attraverso la vendita delle bottiglie di plastica, ma rimedia a questo problema acquistando carrelli realizzati con le bottiglie recuperate dalla sua stessa clientela e da Mr Pet. Ad oggi i carrelli della linea Eko logic Shop to Shop si trovano in più di 2000 punti vendita in tutto il mondo, in negozi, supermercati e ipermercati come Carrefour, Le Clerc, Auchan, Biocoop, Leroy Merlin, Crai, Natura Sì. Se Mr Pet ed Eko logic Shop to Shop sono due distinti progetti delle varie attività del gruppo di aziende, un’attenzione particolare merita il lavoro che sta facendo un’altra società, Keo S.r.l., che accosta al concetto di eco sostenibilità quello di “non - movimentazione” del rifiuto. A Keo, (e al progetto di lavoro che prende nome di Keoproject) infatti, va il delicato compito di studiare le tipologie di rifiuti di un determinato contesto geopolitico (ad esempio, i bidoni del greggio ammassati a tonnellate nelle discariche di Nairobi) e di analizzare le risorse umane e tecnologiche disponibili “in loco” affinché questi siano il più possibile recuperabili e riciclabili. I rifiuti recuperati, devono essere gestibili dalle popolazioni locali che li valorizzeranno per migliorare la loro qualità di vita, sia in termini ambientali che sociali ed economici. Attualmente sono all’attivo diversi progetti per il recupero di rifiuti da “non movimentare” e alcune comunità di paesi lontani stanno richiedendo di partecipare alla loro rivalorizzazione. Oltre a questa attività, in generale Keo si occupa dello sviluppo dei progetti architettonici, ingegneristici e di design, (di cui “eko logic shop to
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shop” è un esempio) legati alla sostenibilità e al recupero. Molto altro ci sarebbe da aggiungere. Ad esempio che il gruppo di imprenditori, per sovvenzionare le varie società e nuovi progetti sostenibili ed etici, ha creato una propria finanziaria di partecipazioni, la “Compagnia di Finanza Etica”; o che sta per inaugurare Re-Academy un’istituzione ad hoc che si occuperà di formazione, educazione, prevenzione, recupero nel senso più ampio del termine, dell’ambiente e dell’etica sociale… ma questa è un’altra storia. Intanto, l’avventura di questi “visionari del recupero” è appena iniziata ma ha già dimostrato che oggi - in cui le emergenze ambientali ed energetiche sono all’ordine del giorno - creare un dialogo tra le questioni ambientali, l’industria e il mercato, è possibile; creare un’economia partendo dai rifiuti è realistico; considerare il rifiuto come una vera e propria risorsa, è doveroso.
Green Visions Sonia Pedrazzini
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Paris, November 2008, the Emballage Exhibition set the stage for the Pack-Vision International Packaging Design Congress. Packaging manufacturers, design agencies, trend analysts, representatives of major international brands, as well as the major professional groups and associations of the sector met to share their respective contributions on the future challenges of packaging. Of the many topics covered during discussions, considerable time was dedicated to “green packaging” and sustainable design, subjects of extreme importance and relevance to the present on which the ADI, the historic Industrial Design Association, was invited to share its views, as well as the reflections and experiences of an ever expanding and evolving sector such as that of Italian design. And so I made my way to the Paris conference, this time as an ADI representative, in order to present a highly pertinent and rather unique case history: the adventure - begun just four years ago, but already met with success - of a group of Piedmontese entrepreneurs which built its business on recovery, environmental sustainability and social ethics. The concerns participating in this project develop engineering, logistical and design products based on the principles of L.C.A. (Life Cycle Assessment) and offer to those interested in sustainable business solutions and materials derived from recycled sources. Also, their business is founded on the concept that, in order to improve our quality of life and that of the planet, an industrial system needs to be created which sustains and promotes not only environmental protection but also social equity. They believe that economic and production related issues cannot be separated from environmental, social and energy related issues, and that’s why with their motto make money saving the planet, the goal in principle of these “pioneers of re-use” has become that of subverting, in the true sense of the word, the mechanisms of traditional business management and making a profit not only for themselves, but for whoever shares their vision, with transparent, conscious and ethical action.
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The starting point was that of obtaining value from the thing which in appearance has the least value: garbage, scraps, waste, and so one of the first projects accomplished was that of creating Mr Pet, a machine built with cutting edge technology, designed to collect PET bottles which are normally thrown away. Mr Pet has thus been placed outside supermarkets and shopping malls in order to sensitize the public to the problem of recovery and to make it easier for people to recycle. Indeed, thanks to a special electronic card, Mr Pet allocates one or more points which can be used in those same supermarkets to whomever takes the time to remove a little garbage from the environment. The benefits of the operation, so far, are manifold: the company which owns Mr. Pet (one of the group’s concerns), receives pre-selected quality plastic, ready for recycling; the supermarkets which have adopted the machine can attract new customers, build customer loyalty and, with a small investment, play an active part in the spread of environmental values; consumers, with a little care and effort, earn points for their groceries and perhaps in the meantime gain a little awareness; local governments, lastly, can work with greater focus (and for free) towards expanding recycling. Mr Pet is enjoying remarkable success, considering for example that in Turin more than 40,000 families have requested the card and actively participate each day in the project. But the re-use process doesn’t stop here. The machine is regularly emptied so that the PET can be recovered, after which, with a patented system, the plastic obtained is converted into a new material with incredible optical and mechanical properties, Keorex. At this point, using this material, another of the group’s concerns produces Ekologic Shop to Shop, a line of baskets and carts for retailers, extremely resistant, aesthetically pleasing, cheap and made of course from recycled plastic. What can one say… the supermarket generates waste through the sale of plastic bottles, but remedies the problem by purchasing carts made with the bottles recovered by Mr Pet’s customers. Today Eko logic Shop to Shop line carts are found in more than 2000 retailers worldwide, in stores, supermarkets and hypermarkets like Carrefour, Le
Clerc, Auchan, Biocoop, Leroy Merlin, Crai, Natura Sì. While Mr Pet and Eko logic Shop to Shop are two distinct projects of the various activities of the group of concerns, worth particular attention is the work being carried out by another company, Keo S.r.l., Which combines the concept of eco-sustainability with that of “non-shipping” of waste. Keo (and the project which takes the name of Keoproject) is indeed assigned with the delicate task of studying the types of wastes in a given geopolitical context (for example, the crude oil drums heaped by the ton in the dumps of Nairobi) and analyzing available human and technological resources “on the spot” so that these can be recovered and recycled in the best possible way. The recovered waste materials must be such that the local populations can handle them so as to make use of them to improve their quality of life, both in environmental and social and economic terms. There are currently various projects for recovering waste materials to “not ship” and a few communities in far away countries are making requests to participate in their re-use. In addition to this activity, in general Keo develops architectural, engineering and design projects, (of which “eko logic shop to shop” is one example) related to sustainability and recovery. Much more could be added. For example that the business group, in order to finance the various companies and new sustainable and ethical projects, has created its own investment trust company, the “Compagnia di Finanza Etica” (“Ethical Finance Company”); or that it is about to inaugurate Re-Academy, an ad hoc institution that will be dedicated to training, education, prevention, recovery in the widest sense of the term, of the environment and social ethics… but that’s another story. In the meantime, the adventure of these “recovery visionaries” has just begun, but has already shown that today - when emerging environmental and energy tendencies are the hot topic - it is possible to create a dialogue between environmental issues, industry and the market; building an economy starting from waste materials is realistic; considering waste as a resource is indispensable.
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Good Vibrations Prima apparizione sul mercato mondiale della cosmesi di un mascara “vibrante”. Si tratta di Turbolash: formula all’avanguardia ed esclusivo (e brevettato) effetto micropulsante, nato dalla ricerca Estée Lauder. La micropulsazione produce un makeup pulito, rapido e preciso, capace di raggiungere anche le ciglia più minuscole, saturandole di colore, spessore e curvatura. George Kress, direttore mondiale Dipartimento Innovazioni Packaging per tutto il Gruppo Estée Lauder e Paul Marotta, Group Leader Ricerca e Sviluppo Makeup per il marchio Estée Lauder ci raccontano cosa sta dietro la realizzazione di un prodotto così unico e innovativo. A cosa vi siete ispirati per creare un mascara "vibrante"? George - Per trarre ispirazioni e idee osservo con attenzione altri settori produttivi, come il mondo della microelettronica, un mondo in piena evoluzione, dove spicca una componente importante, ovvero l’energia. Ecco perché abbiamo deciso, a nostra volta, di percorrere questa strada, usando proprio l'energia per
migliorare le prestazioni dei prodotti e ottenere vantaggi aggiuntivi. È accaduto, per esempio con un prodotto per il trattamento della pelle, il Perfectionist Pads antirughe, dimostrando che la pelle risponde positivamente alle sollecitazioni energetiche. E poi… un giorno, in un negozio, ho visto un nuovo rasoio che funzionava vibrando e qualcosa è
scattato nella mia testa. Ho cominciato a immaginare come la vibrazione elettronica, applicata al mascara, avrebbe potuto influenzarne l’utilizzo. Paul - Allo stesso tempo io stavo lavorando allo sviluppo dei mascara in un altro settore di Estée Lauder e cercavo applicazioni veramente innovative per le formulazioni speciali che avevamo messo a
punto. Quando sentii George e venni a conoscenza dei suoi tentativi per realizzare un mascara “vibrante”, abbiamo unito le forze e ho iniziato a preparare una formulazione che avrebbe dovuto lavorare in sinergia e sincronia con la "macchina" di George.
Che cosa lo rende differente da tutti gli altri? George - Oltre, ovviamente, al particolare meccanismo, la differenza sta proprio nei risultati che si ottengono in un'unica fase: l'apertura del mascara e il suo appoggio sulle ciglia. Paul - Il bilanciamento di vibrazione, formulazione e spazzolino garantisce volume, lunghezza, curvatura e definizione con un unico gesto. Sono tuttavia possibili ritocchi e applicazioni extra, perché la continua azione di separazione delle ciglia rende facili e belle le stesure successive.
C'è qualche elemento di unicità anche nella formula? Paul - È stata elaborata su misura per le micro pulsazioni. Si tratta di una combinazione di acqua gelificata, olio di oliva e cere di paraffina, che assicurano la stesura semplice, omogenea e stratificabile; per dare volume, poi, ci siamo avvalsi di mica e microsfere. L'insieme è mantenuto stabile e coerente da un sistema superleggero di agenti di sospensione, che include argille e gomme di cellulosa. Quali le sfide più appassionanti che avete dovuto raccogliere per creare Turbolash? George - Separazione e definizione sono stati benefici immediati, ma la vera sfida è stato far sì che il volume fosse raggiunto e mantenuto con un meccanismo così innovativo, e che lo fosse senza provocare i prevedibili effetti di ciglia appiccicate. Questo è stato reso possibile dall’impiego dei nuovi materiali. Paul - La ricerca dello spazzolino “giusto” è stata molto impegnativa. Infatti, può capitare che quando funziona bene la separazione, sia il volume a non essere soddisfacente. Ecco perché il design dello spazzolino è cruciale: deve trattenere molto prodotto ma rilasciarlo in modo estremamente regolare e uniforme, per una migliore sedimentazione. Alla fine abbiamo dovuto sviluppare e provare circa 200 spazzolini prima di trovare quello giusto.
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Ma come funziona veramente? George - Il meccanismo è attivato da una batteria con una microcellula a bottone che si accende non appena la consumatrice svita lo scovolo. Le micro pulsazioni dello spazzolino - LashSonic Brush, brevettato oscillano a 125 giri/secondo e fanno muovere rapidamente lo scovolo tra le ciglia, impedendo che si appiccichino e rilasciando volume in alta definizione. Al tempo stesso, meccanismo e formulazione rintracciano anche le ciglia più minuscole e quasi invisibili, le ricoprono di prodotto e colore, le allungano e danno volume. Per cessare
l'applicazione, la consumatrice deve semplicemente riporre lo scovolo nel tubetto e riavvitare il cappuccio.
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Quali sono stati i tempi per lo sviluppo di Turbolash? Paul - 4 anni, oppure, se preferisce, due figli… quelli che mia moglie e io abbiamo avuto nel frattempo. George - Dal canto mio ho incominciato ad accumulare parecchi prodotti in commercio muniti di vibratore e ho dato inizio alle sperimentazioni, costruendo vari prototipi. Dopo un certo periodo, Paul ha cominciato a fare le sue prove in laboratorio, usando formule differenti e differenti spazzolini da applicare ai miei prototipi che, vi assicuro, in quella fase avevano un design veramente primitivo. Paul - Avevamo scoperto che il meccanismo separava in modo meraviglioso le ciglia, ma dovevamo anche trovare il modo di impartire il pieno volume, che le donne richiedono, necessariamente, a un mascara. Trovare la giusta combinazione di dispositivo, formulazione e scovolo ha richiesto molto tempo e molti tentativi. Al tempo stesso dovevamo concentrarci sulle modalità di uso vere e proprie; dovevamo cioè trovare la giusta ampiezza delle vibrazioni combinata alla frequenza ideale delle oscillazioni; e ancora, trovare il motore della batteria più adatto, affinché le vibrazioni agissero a fondo ma "isolate", non dipendenti quindi dalla mano della consumatrice. Un fatto era certo: il mascara doveva essere
semplice da usare e noi ci dibattevamo tra requisiti estetici, meccanici, di comfort, di efficienza e di prestazione. George - È stato un processo lungo, che ha coinvolto un team di sviluppo composto da 45 persone, tra fisici, ricercatori e specialisti; in realtà sono stati più di 100 gli esperti a collaborare alla reale messa in opera e produzione di Turbolash Mascara.
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Good Vibrations
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It is the first time we have seen a “vibrating” mascara in the global cosmetics market. Its name is TurboLash and it is an avantgarde and exclusive (and patented) micropulsating effect formula, the fruit of Estée Lauder research. The micropulse produces a clean, rapid and accurate make-up, able to reach even the tiniest lashes, saturating them with color, thickness and curl. George Kress, global director of the Department of Packaging Innovation for the entire Estée Lauder Group and Paul Marotta, Group Leader of Makeup Research and Development for the Estée Lauder brand, tell us what lies behind the making of such a unique and innovative product. What inspired you to create a “vibrating” mascara? George - In order to draw inspiration and ideas I carefully observe other manufacturing sectors, such as the world of micro-electronics, a world which is developing apace and of which energy is an important and eye-catching part. That is why we decided to go down this road using energy in order to improve product performance and give added value. Energy was used, for example, with a skinfood product - Perfectionist Pads anti-wrinkle cream - proving that skin responds positively to energy stimuli. And then.. one day in a store I saw a new vibrating razor and something just clicked. I started to imagine how electronic vibration, applied to mascara, could make a difference to how it worked. Paul - At that same time I was working on mascara development in a different Estée Lauder sector and looking for truly innovative applications for the special formulations we had developed. When I spoke to George and found about his attempts to produce a “vibrating” mascara, we joined forces and I began to prepare a formulation which would work in synergy and synchrony with George’s “machine”.
How long did it take to develop Turbolash Mascara? Paul - 4 years or, if you prefer, two children …the ones my wife and I had in the meantime. George - On my part I began to collect lots of vibrating products that were already in the stores and started experimenting and building various prototypes. A little later Paul began to carry out laboratory tests using different formulas and different brushes to apply to my prototypes whose design, I can assure you, was extremely primitive at that stage. Paul - We had discovered that the mechanism separated the lashes wonderfully, but we also had to find a way to give them maximum volume, which is what women necessarily want from a mascara. Finding the right combination of device, formulation and wand required a great deal of time and many trial runs. At the same time we had to concentrate on the actual method of use. I mean we had to find the correct amplitude of the vibrations combined with the ideal frequency of the oscillations as well as the most suitable battery motor so that the vibrations would work in “isolation” independently of the consumer’s hand. One thing was certain. The mascara had to be easy to use and we grappled with questions of aesthetics, mechanics, comfort, efficiency and performance. George - It was a long drawn-out process, which involved a development team made up of 45 people, including physicists, researchers and specialists. In truth more than 100 experts contributed to the actual development and production of Turbolash Mascara. What makes this mascara different from all the rest? George - As well as, obviously, its unique mechanism, the difference lies in the results you can achieve in just one step: opening the mascara and applying it to the lashes. Paul - The balance of vibration, formulation and brush guarantee volume, length, curl and definition in a single move. Extra touches and applications are, however, possible as the continuous action of separating the lashes makes subsequent applications easy and beautiful.
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But how does it really work? George - The mechanism is activated by a battery with a button microcell which switches on when the consumer unscrews the wand. The micropulses of the brush LashSonicbrush, patented oscillate at 125 revolutions/second and make the wand move rapidly between the lashes, preventing them from clumping and adding high definition volume. Simultaneously the mechanism and formulation find even tiny and barely visible lashes, coating them with product and color, lengthening and thickening them. To stop the application the consumer simply has to place the wand back in the tube and screw the lid back on. Is there also an unique element to the formula? Paul - The formula was elaborated especially for micropulses. It is a mixture of jellied water, olive oil and paraffin wax, which guarantees a simple, even and layered coating. We used micas and microspheres for the volume. The whole is kept stable and coherent by a super-light system of suspension agents including clay and cellulose gum. What were the most exciting challenges you had to face in order to create TurboLash? George - Separation and definition were the immediate benefits but the real challenge was to make sure that volume was achieved and maintained with such an innovative mechanism and that it was done without clumping. This was rendered possible by using new materials. Paul - The search for the “right� brush was very time-consuming. Indeed, it may be that when separation works well the volume isn’t so satisfactory. That is why the design of the brush is crucial. It has to hold a lot of product but release it in an extremely regular and uniform way in order to achieve better sedimentation. In the end we had to develop and try out about 200 brushes before we found the right one. For further information Giovanna Poloni/Romina Ripepi - Tel. 02 6377243/244 gpoloni@it.estee.com - rripepi@it.estee.com www.esteelauder.it
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Tutte le Strade Portano al Packaging “Tutte le strade portano a Roma” è un modo di dire che, benché riferito alla nostra città eterna, è noto in tutto il mondo. Anche per il parigino Fabrice Peltier, designer, saggista, creativo a tempo pieno, “tous les chemins vont à Rome” - solo che la capitale ideale, secondo lui, è il packaging. Marco Senaldi
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Fabrice Peltier è stato definito dalla stampa francese un “personaggio da fumetto”: in perenne e instancabile attività, fa talmente tante cose che definirlo un semplice packaging designer sarebbe non solo riduttivo, ma decisamente improprio. Di fatto, tra libri, mostre, progetti di design, attività imprenditoriale e divulgazione online, è l’ “uomo del packaging”, uno dei pochi creativi a 360° ad avere compreso l’importanza sociale, storica e culturale di questa semplice cosa che abbiamo ogni giorno sott’occhio e a cui, come a Roma, tutte le strade progettuali inevitabilmente portano: il packaging. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per i lettori di Impackt, e le sue confidenze rivelano una visione davvero ampia della questione imballaggi & co. Come è nato il tuo interesse verso il packaging? Ho cominciato come stampatore, e inizialmente ho frequentato una scuola di industria grafica. A quell’epoca non esisteva Photoshop, tutto il lavoro era manuale, era l’epoca dei trasferibili, bisognava fare tutto a mano, passo dopo passo, anche le immagini erano realizzate in pellicola - era un lavoro lungo e completamene manuale. Poi ho studiato tre anni come grafico pubblicitario, ma a quel tempo - a metà degli anni ’70 - nessuno aveva nemmeno sentito parlare di packaging. L’imballaggio era considerato semplicemente una forma di grafica da trasformare in 3D, ma quello che contava era l’aspetto estetico, non l’imballaggio come tale. Un giorno un cliente mi chiese che cos’era il packaging… e così è nato il mio interesse. Anche se non posso dire di essere stato un pioniere, certamente appartengo alla prima generazione dei packaging designer di Francia; oggi, dopo oltre 25 anni di carriera, posso dire di aver disegnato migliaia di prodotti, ma nel con-
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tempo ho scritto diversi libri, aperto la Designpack gallery nel cuore di Parigi, dato vita all’INDP, Institute National du Design Packaging - insomma, il packaging fa parte della mia vita, è la mia vita creativa. Che rilevanza ha oggi il packaging secondo la tua opinione? Il packaging oggi è tutto. È il punto centrale dove vanno tutte le cose. Anche da noi in Francia si dice che “tous les chemins vont à Rome”, tutte le strade portano a Roma. Ecco, oggi io direi che tutti i prodotti vanno verso Roma, cioè, verso il packaging. Prima il packaging era un settore periferico della comunicazione e della produzione. Ma oggi, in una strategia di comunicazione ben concepita, il packaging non è laterale o casuale, ma è centrale. Il packaging è oggi più importante del logo stesso. Se prendiamo un esempio famosissimo come Barilla, si può dire che uno può dimenticare il logo Barilla - ma il blu del pacchetto, quello no, quello segna indiscutibilmente l’identità del prodotto e della marca. Barilla è la scatola blu, coincide con essa. Prima forse si cercava di edificare l’identità del prodotto per poi riversarla sulla confezione; ora, è a livello del packaging che si costruisce veramente l’identità di marca.
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Quali sono le tendenze più importanti del packaging, nel futuro prossimo venturo? Come vedi l’evoluzione della confezione in generale? Una cosa che mi piace sempre ricordare, è che il packaging, anche se sembra una branca recente della produzione industriale, risalente al massimo all’inizio del XX secolo, in realtà è una cosa molto antica. Come ho anche scritto nei miei libri, il packaging ha un sua storia, e in definitiva è una cosa nata nella preistoria…
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… infatti, all’inizio del tuo libro Art - Creative Exchange (Pyramid ed., 2008), hai non a caso inserito l’immagine di un vaso greco del V secolo A.C. … …sì, perché da sempre l’uomo ha inventato dei contenitori per conservare e trasportare cibi e bevande. Ma il packaging è in perpetua evoluzione. I contenitori tradizionali appartengono alla preistoria del packaging. D’altra parte, il packaging attuale sarà presto superato, anzi è già obsoleto, non è adeguato al mondo attuale. Il packaging che usiamo oggi non è veramente “up to date”, usa materiali pesanti e vetusti, forme sgradevoli, grafiche superate - e nondimeno costituisce senz’altro un “simbolo controverso” della nostra società. Tra qualche secolo il packaging costituirà una sorta di testamento degli usi e dei costumi della nostra società attuale. E’ davvero incredibile che, anche solo dieci anni fa, nessuno aveva ancora compreso l’importanza del packaging, e la maggior parte della gente non ne sapeva nulla. Il motivo sta nel fatto che l’imballaggio, in ogni sua forma, è talmente presente in ogni momento della nostra vita che finiamo per non vederlo più… … è talmente spesso sotto i nostri occhi che non lo degniamo di uno sguardo … … ed è talmente spesso fra le nostre mani che in genere non ci rendiamo nemmeno conto di maneggiarne diversi, più volte al giorno. Ora, invece, è il momento di dire che il packaging è centrale nella nostra società per molti motivi. Io penso che sia un vero e proprio “segnalatore” delle condizioni sociali, ma anche della situazione economica, e anche della cultura materiale in genere - rappresenta fedelmente ciò che siamo, è una sorta di “narrazione figurativa” della nostra società. In tal senso, le tendenze future del packaging dovranno rispecchiare le tendenze future della società: quindi, a fronte di una sempre maggior sensibilità verso l’ambiente una tendenza sarà sicuramente verso l’eco packaging, il packaging eco-compatibile e sostenibile, ecc.; d’altra parte, prenderanno sempre più importanza le forme di packaging “distintive”, come le edizioni di prodotti a tiratura limitata, le confezioni firmate, di lusso, ecc. In sostanza però, il packaging è ancora agli inizi, deve ancora evolvere e ha un grande futuro di fronte a sé.
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Oltre ad essere un packaging designer, hai anche scritto vari libri, anzi dirigi la collana IDPAck di Pyramid, sei presidente del INDP (Institut National du Design Packaging, www.indp.net), e inoltre dirigi la Designpack Gallery a Parigi… Io voglio essere creativo 24 ore al giorno. La mia attività principale consiste nel gestire l’attività del mio studio di design, ma ho la necessità di scrivere libri, organizzare mostre e conferenze per tenere viva la creatività in ogni senso. La Designpack gallery, poi, nasce dal mio bisogno di avere un luogo fisico dove poter vedere e toccare gli oggetti, dove organizzare esposizioni e incontri - insomma, non solo uno spazio espositivo in senso tradizionale, ma un “centro di sapere” interamente dedicato al packaging. Non a caso si trova vicino al Louvre e al Musée des Arts decoratifs, perché il packaging è una sorta di Arte Decorativa del XXI secolo, e infatti è visitata da migliaia di persone ogni anno, che si meravigliano di scoprire l’importanza di una cosa che in effetti hanno sott’occhio tutti i giorni. Quindi il packaging viene sempre più preso in considerazione anche in Francia… Devi pensare che l’industria francese dell’imballaggio si colloca per fatturato e capacità produttiva fra le prime dieci del paese, all’ottavo posto, poco dietro industrie come quelle dell’automobile o del settore aerospaziale. Nonostante questo, la gente se ne dimentica o non considera il packaging come qualcosa di veramente rilevante.
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Come dovrebbe essere il packaging ideale? Un packaging perfetto dovrebbe essere un packaging armonioso, ma forse un imballaggio così, ancora non esiste. Io penso che il packaging perfettamente riuscito debba comprendere in sé quattro elementi, che coincidono con quelle che definisco le “quattro vite” del packaging. La prima vita del packaging è quella industriale, laddove il packaging viene effettivamente prodotto, e che comporta problemi progettuali, logistici, funzionali, ecc. Se un packaging non è perfetto produttivamente, il prodotto che imballa e veicola è un prodotto morto. La seconda vita del packaging si svolge invece nel negozio o punto vendita, sullo scaffale, quando il
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packaging si rivolge al consumatore, ma al tempo stesso è impegnato nel preservare il prodotto e salvaguardarlo. In un momento successivo, dopo essere stato acquistato e portato a casa, il packaging inizia la sua terza vita. Qui invece diventa importante che il packaging svolga bene altri compiti come quello di esser pratico, maneggevole, ergonomico, facile da aprire, eventualmente da richiudere e comunque da utilizzare. Ma esiste - e sempre di più ce ne rendiamo conto - anche una quarta fase di vita, quella che ha inizio quando il prodotto è stato consumato e il packaging viene gettato via, diventando un rifiuto. Da questo momento in poi il packaging deve svolgere altre funzioni: è necessario che sia riciclabile, e che i materiali che lo componevano siano eco-compatibili, e, ancor meglio, che i materiali impiegati siano il più possibile ridotti. Questo è ciò che chiamo “allégement”, cioè alleggerimento dei materiali di imballaggio, una strada che effettivamente si sta affermando sempre di più nel settore dell’imballaggio. Basti pensare che negli anni ’80 una bottiglia da 1 litro e mezzo in PET pesava 45 grammi, contro i 28 grammi delle bottiglie attuali, o i 25 grammi della Cristalline, attualmente la bottiglia in PET più leggera del mercato francese. In sintesi, il pack perfetto è quello che riesce ad armonizzare tutte e quattro queste “vite” in maniera che nessuna fase prevalga a scapito delle altre, squilibrando l’insieme. E tu, come consumatore, che genere di packaging preferisci? … domanda critica! A dire il vero, per me è molto difficile scegliere, perché osservo il packaging con gli occhi di chi lo produce.
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Ma tra tutti i progetti che hai realizzato qual è il tuo preferito? Come ho già detto, il packaging è in costante trasformazione. Non riesco a pensare al passato, a ciò che ho già realizzato.. Ogni mattina per me porta nuovi problemi e nuove sfide da risolvere… Il mio packaging preferito è quello che creerò domani.
All Roads Lead to Packaging “All roads lead to Rome” is an expression which, although it refers to the Eternal City, is famous throughout the world. Parisian Fabrice Peltier, designer, essayist, and full time art director, also believes that “tous les chemins vont à Rome”, only his ideal capital is packaging. Marco Senaldi Fabrice Peltier has been defined by the French press as an endlessly and tirelessly active “cartoon character”. He does so many things that to define him as a simple packaging designer would not only be limiting but downright wrong. Indeed, along with books, exhibitions, design projects, entrepreneurial activity and online publishing he is the “packaging man”, one of the few all-round art directors to have understood the social, historical and cultural importance of this simple item that we see everyday and to which, like Rome, all design routes inevitably lead: packaging. We interviewed him exclusively for the readers of Impackt and his words reveal a truly broadranging vision of the question of packaging and all things connected to it.
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What importance does packaging have today in your opinion? Packaging is everything today. It is where everything leads. In France we also say that “tous les chemins vont à Rome”, all roads lead to Rome. There you are, nowadays I would say that all products lead to Rome, that is to packaging. Previously packaging was a peripheral sector of advertising and manufacturing. But today, as part of a well-designed advertising strategy, packaging is not lateral or random but central. Packaging today is more important than the logo itself. If we take a very famous example, such as Barilla, we can say that you might forget the Barilla logo but not the blue packet. It is an
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How did your interest in packaging begin? I began as a printer and initially I attended a school of graphic design. At that time there wasn’t any such thing as Photoshop and all work was manual. It was the age of the transfer. You had to do everything by hand, step by step. Even images were produced on film. It was time-consuming
and one hundred percent manual work. Then I studied to be an advertising graphic designer for three years but at that time, in the mid-seventies, no-one had even heard of packaging. Packaging was simply considered to be a kind of graphics to be transformed into something 3D but what counted was the look, not the packaging as such. One day a client asked me what packaging was… and that is when I began to take an interest. Even though I cannot say I was a pioneer, I certainly belong to the first generation of French packaging designers. Now, after a career lasting 25 years, I can say that I have designed thousands of products but, at the same time, I have also written several books, opened the Designpack gallery in the heart of Paris and founded the INDP, Institute National du Design Packaging. All in all, packaging is part of my life, it is my creative life.
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unquestionable mark of the identity of product and brand. Barilla is the blue packet. It is one and the same. Perhaps in the past one tried to build up a product identity only to then transfer it to the packaging but now it is the packaging that truly builds up the brand identity.
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What will be the most important packaging trends in the near future? How do you see the packaging evolution in general terms? One thing I like to remember is that packaging, although it appears to be a recent branch of industrial manufacturing, at the maximum dating from the beginning of the twentieth century, is actually something far more ancient. As I wrote in my book, packaging has its own history. In the final analysis it started before the dawn of history. … indeed, at the beginning of your book Art Creative Exchange (Pyramid ed., 2008), you deliberately added a picture of a Greek vase from the fifth century BC … … yes, because man has always invented containers for storing and transporting food and drink. But packaging is in perpetual evolution. Traditional containers belong to packaging prehistory. On the other hand, modern-day packaging will soon be surpassed. In fact it is already obsolete, no longer suitable for the world of today. The packaging we use now is not truly up-to-date. It relies on heavy and ancient materials, unpleasant shapes, old-fashioned graphics. Even so, there is no doubt it is a controversial symbol of our society. In a few centuries packaging will be a kind of testament to the usages and customs of our contemporary society. It is truly incredible that, as recently as ten years ago, no-one understood the importance of packaging and most people knew
nothing about it. The reason for this lies in the fact that packaging in all its forms is so present in our lives we end up not seeing it any more.. … it is so present we don’t even notice it… … and we handle it so often that we generally don’t even realise we are handling different types of packaging several times a day. Now, however, it is time to say that packaging is central to our society for many reasons. I think it is a veritable “benchmark” of social conditions but also the economic situation and material culture in general. It faithfully represents what we are and is a kind of “figurative narration” of our society. In this sense future packaging trends should reflect future society trends. Therefore, faced with increasing environmental sensitivity there will certainly be a trend for eco packaging, environmentally friendly and sustainable packaging etc. On the other hand “distinctive” packaging shapes, such as limited editions, designer, luxury packaging etc will become increasingly important. Essentially packaging is still on the starting blocks, it still has to evolve and it has a great future ahead of it. As well as being a packaging designer you have written various books. Indeed, you edited the Pyramid IDPAck series, you are president of INDP (Institut National du Design Packaging, www.indp.net), and you direct the Designpack Gallery in Paris… I want to be creative 24 hours around the clock. My main business consists in running my design studio but I feel the need to write books and organise exhibitions and conferences in order to keep creativity alive in every sense. The designpack gallery came from my need to have a physical space where I could see and touch the
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objects and organise exhibitions and meetings. All in all not an exhibition space in the traditional sense but a “centre of knowledge” entirely dedicated to packaging. It is no coincidence that is near the Louvre and the Musée des Arts decoratifs because packaging is a kind of decorative art of the 21st century and, indeed, it is visited by thousands of people every year who are amazed to discover the importance of something which is right in front of their nose every day. So packaging is increasingly taken into consideration in France too….. You have to remember that the French packaging industry is one of the top ten in the country in terms of turnover and production capacity. In fact, it comes in eighth place just behind industries such as the automobile or aerospace industry. Despite this, people forget or do not consider packaging to be so important.
And you, as a consumer, what kind of packaging do you prefer? ….Difficult question! To tell you the truth I find it very hard to choose because I observe packaging with the eyes of a producer. But of all the projects you have produced which is your favourite? As I mentioned before, packaging is in constant transformation. I cannot think of the past, of what I have already produced. Every day brings new problems and new challenges… My favourite packaging is the one I will create tomorrow.
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What should ideal packaging be like? Perfect packaging should be harmonious but perhaps there is no such thing as yet. I think successful packaging should combine four elements which correspond to what I call the “four lives” of packaging. The first life is industrial, where packaging is effectively produced and involves issues of design, logistics, function etc. If a packaging is not productively perfect the product it packages and advertises is a dead product. The second life of packaging instead takes place at the store or salespoint, on the shelves, when packaging addresses the consumer but is at the same time busy preserving and safeguarding the product. Subsequently, after it is purchased and taken home, packaging begins its third life. Here it
becomes important for packaging to perform other tasks, such as being practical, easy to handle, ergonomic, easy to open and eventually reseal and reuse. But there is, and we are increasingly aware of this, a fourth phase, the one which begins when the product has been consumed and the packaging is thrown away, becoming waste. From this moment on packaging has to perform other functions. It has to be recyclable and the materials it consists of have to be environmentally friendly or even better, as lightweight as possible. This is what we call “allégement”, which means making the packaging materials lighter, an approach which is becoming increasingly the norm in the packaging sector. Just think that in the ‘80s a 1.5 litre PET bottle weighed 45 grams compared to the 28 grams of the current bottles, or the 25 grams of Cristalline, currently the lightest PET bottle in the French market. To sum up, the perfect pack is the one which succeeds in harmonising all four of these “lives” so that no phase dominates to the detriment of the others, creating an imbalance.
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Brian Jungen:
HE JUST DID IT!
Che differenza c’è tra una divinità e un paio di Nike? Apparentemente nessuna. O almeno, questo vuole farci credere Brian Jungen nelle sue opere: e ci riesce benissimo, se pensiamo all’importanza degli atleti come eroi dei nostri tempi e alle sneakers come oggetto di culto delle tribù metropolitane. Se poi si pensa che Nike deve il suo nome all’omonima divinità greca, la dea della vittoria, allora tutto torna. Francesco Spampinato
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Un Aborigeno Metropolitano Brian Jungen è celebre per aver realizzato alcune maschere aborigene utilizzando delle Nike, ma anche per aver costruito giganteschi scheletri di dinosauri con sedie di plastica, innalzato totem con sacche per mazze da golf e costruito nidi per volatili con porta-documenti IKEA. Jungen nasce in Canada, nella British Columbia, nel 1970, da una famiglia di origini svizzere e Dane-zaa, popolazione aborigena delle First Nations. La scoperta dell’arte dei suoi antenati, fa del lavoro di Jungen un caso unico di continuità storica e di produzione transculturale. Le sue opere, infatti, fanno leva sul passaggio di un glossario folk all’interno di un linguaggio sofisticato come quello dell’arte contemporanea. Tutto il suo lavoro, dagli anni della formazione, è mosso da un’indagine Pagina precedente Habitat 04 - Cité radieuse des chats/Cats Radiant City, 2004 Installation view Darling Foundry, Quartier Éphémère, Montréal, Quebec plywood, carpet, cats Photo Credit: Guy L'Heureux Courtesy Catriona Jeffries Gallery, Vancouver Prototype for New Understanding #11, 2002 Nike Air Jordans, hair Courtesy Catriona Jeffries Gallery, Vancouver
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Prototype for New Understanding #5, 1999 Nike Air Jordans Courtesy Catriona Jeffries Gallery, Vancouver
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sulla cultura artistica dei nativi come pratica estetica quotidiana e strumento per entrare in relazione con la natura. Più che a una ricerca dall’interno, però, l’artista sembra particolarmente interessato alla percezione degli Indiani da parte degli odierni cittadini canadesi. Così conduce sondaggi di natura sociopolitica, privati e pubblici, collezionando immagini stereotipe, simboli e icone di una tradizione ormai perduta, definitivamente inglobati in un immaginario turistico fatto di souvenir e luoghi della memoria. Parte del lavoro dell’artista consiste nel misurarsi con la dimensione del museo inteso come forma moderna di spettacolo e intrattenimento. La natura etnografica che aleggia attorno alla sua produzione è avvalorata dal fatto che le opere vengono costantemente
presentate all’interno di bacheche o dietro transenne come si trattasse davvero di preziosi artefatti preistorici di pregio proprio in quanto antichi e unici. Il dubbio attanaglia costantemente lo spettatore delle sue mostre, in particolare quando ci si trova davanti a Shapeshifter (2000), Cetology (2002) o Vienna (2003), tre scheletri di enormi animali preistorici costruiti utilizzando delle banali sedie di plastica da giardino. Ad aprire un ponte con il passato non è solo questo linguaggio fatto di segni e simboli di natura primaria - maschere, totem, oggetti sacri ed un’iconografia ricca di figure antropomorfe ed elementi naturali - ma anche gli oggetti da lui impiegati come readymade per la realizzazione delle opere, i quali non presuppongono alcun tipo di preparazione culturale da parte del pubblico nei confronti Blanket no. 2, 2008 Professional sports jerseys Unique Courtesy of the artist and Casey Kaplan, New York
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dell’arte ma fanno leva sul loro elevato livello di popolarità. Come si presuppone dovessero fare le antiche popolazioni aborigene, Jungen utilizza l’arte come strumento di identificazione comunitaria. Un paio di Nike in fondo è sempre un paio di Nike! O forse no?
Cetology, 2002 Plastic chairs Courtesy Catriona Jeffries Gallery, Vancouver
To Nike or not to Nike? Le Nike rappresentano un mito moderno unanimemente condivisibile. Sebbene le origini delle scarpe sportive risalgano alla seconda metà del XIX secolo, è solo a partire dagli anni Settanta che si registra un massiccio uso quotidiano delle sneakers. Grazie alla loro comodità che agevola i veloci movimenti nelle metropoli, queste diventano le scarpe più indossate dai cittadini americani senza troppe distinzioni anagrafiche, sociali o razziali. Alcuni modelli però divengono veri e propri oggetti di culto in virtù del loro valore simbolico e feticistico raggiunto grazie all’importanza che assumono lo sport e la moda nelle sottoculture giovanili come l’hip-hop. Durante l’esecuzione di My Adidas al Madison Square Garden di New York nel 1986, i Run DMC invitarono il pubblico a mostrare le proprie scarpe e all’unanimità tutti i
presenti si tolsero di dosso le Adidas e le solevarono in aria. Numerosi poi sono gli episodi criminali legati alle sneakers, dal furto all’omicidio. L’invidia per le scarpe di un amico e la loro difficile reperibilità quando si tratta di un modello in edizione limitata, fa delle sneakers veri oggetti del desiderio. Le sneakers non sono solo modelli della civiltà industriale più evoluta ed eccelsi esempi di design postmoderno, ma anche contenitori di valori culturali e comunitari. Brian Jungen doveva avere in mente tutto questo quando nel 1998 ha iniziato la serie New Understanding, conclusa solo nel 2005, ventitre maschere aborigene realizzate con delle Nike Air Jordan. La scelta di quel particolare modello risiede nel richiamo ai colori utilizzati nelle maschere originali: bianco, rosso e nero. Jungen squarta le Nike, le seziona e le riassembla l’una con l’altra. Una suola, una linguetta, un logo, non sono altro che elementi di un sistema più vasto che si giustappongono l’un l’altro diventando mascelle, occhi, nasi e zigomi. Quello che stupisce è la naturalezza con cui una simile operazione mette in luce l’aspetto quasi organico di queste calzature.
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Non si può tacere poi la tagliente portata sovversiva di New Understanding a partire proprio dalla scelta delle Nike come simbolo della cultura della globalizzazione e triste modello di sfruttamento delle forze produttive del terzo mondo. Le immagini dei bambini rinchiusi in una fabbrica tailandese a cucire palloni invece di giocare, hanno colpito tutti in Occidente. Jungen torna indietro nel tempo e smembra le Nike in modo da cancellare per sempre dalla sua memoria quelle immagini. Le scarpe tornano ad essere materia grezza, frammenti di un sistema degli oggetti che ormai facciamo fatica a riconoscere in quanto tali.
Talking Sticks, 2005 Carved baseball bats Courtesy Catriona Jeffries Gallery, Vancouver
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La Casa Come Confezione L’antica tecnica del readymade consiste nell’inserire in un contesto culturale un oggetto prelevato dalla realtà quotidiana. Da Duchamp a Claes Oldenburg, da Haim Steinbach a Damien Hirst, la storia dell’arte è puntellata dall’apparizione di oggetti non ben identificati che del mondo conservano un vago ricordo ma la cui funzione diventa in qualche modo dubbia. Tutto il lavoro di Jungen è mosso nel tentativo di leggere la realtà quotidiana in modo differente come se ci trovassimo in un sogno o meglio in un incubo. In particolare, l’artista si misura con la dimensione domestica e con oggetti a noi familiari. Nel 2005 intaglia su normali mazze da baseball di legno frasi misteriose come Collective Unconscious, First Nation, Second Nature e Work To Rule, come se durante la notte qualcuno si fosse intrufolato nel nostro garage e avesse deciso di lasciarci un messaggio, forse un’intimidazione, usando i nostri attrezzi sportivi. E ancora: decorazioni floreali su bidoni per la benzina in Nicotine (2007), sciarpe da stadio
trasformate in complicati tessuti geometrici in Blanket no. 2 (2008), vassoi da mensa accumulati in bella vista in Isolated Depiction of the Passage of Time (2001) e indumenti di seconda mano cuciti l’uno con l’altro a formare un’enorme bandiera rossa in People’s Flag (2006). Dagli oggetti domestici al loro contenitore, la casa, il passo è breve. Jungen, affascinato dall’architettura visionaria, si misura con la forma dell’abitazione. Bush Capsule (2000) è una struttura fatta con pezzi di sedie di plastica e avvolta in cellophane da imballaggio come fosse un pacco confezionato con cura. Una forma più concreta è quella di Arts and Crafts Book Depository (2004), modulo abitativo destinato allo studio e al tempo libero. Da ricordare poi Habitat 04 - Cats Radiant City (2004) e Inside Today’s Home (2005), veri e propri residence cellulari per i nostri fedeli animali domestici, o almeno per i più esigenti. A chiudere il cerchio valgano infine Little Habitat I (2003) e Little Habitat II (2004), piccole cupole geodetiche alla Buckminster Fuller - strutture abitative DIY molto diffuse tra gli hippie in epoca psichedelica realizzate ritagliando le scatole di cartone in cui erano contenute le Nike di New Understanding. Si tratta di scatole nere, dalla grafica minimale, con un’immagine di Michael Jordan dai toni fantascientifici. Sono solo maquette, troppo piccole per essere visitate al loro interno, ma che ben descrivono una possibilità esistenziale concreta in cui la casa non è che una sovrastruttura psicologica dove il packaging degli oggetti che possediamo diventa la solida corazza dentro cui nulla ci può accadere.
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Brian Jungen: HE JUST DID IT! What is the difference between a divinity and a pair of Nikes? Apparently none, or at least that’s what Brian Jungen would have you believe with his works and he succeeds very well in his aim if we think of the importance of athletes as heroes of our times and sneakers as the cult objects of metropolitan tribes. Let us not forget that Nike owes its name to the homonymous Greek divinity, the goddess of victory. And so it all begins to make sense.
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Francesco Spampinato A Metropolitan Aboriginal Brian Jungen is renowned for making aboriginal masks using Nikes as well as for making gigantic dinosaur skeletons out of plastic chairs, raising totems made out of golf club bags and birds’ nests out of IKEA document folders. Jungen was born in British Columbia in Canada in 1970 into a family whose forerunners were Swiss and Dane-zaa, a First Nations people. The discovery of the art of his ancestors makes Jungen’s work an unique case of historical continuity and transcultural production. Indeed, his works exploit the threading of a folk glossary with a sophisticated language such as that of contemporary art. Ever since his student days all of his work has been informed by an investigation of the artistic culture of natives as an everyday aesthetic practice and a means of forming a relationship with nature. However, rather than keeping it to an interior study, the artist appears to be especially interested in how today’s Canadian citizens perceive Indians. Therefore, he carries out studies of a socio-political, private and public nature, collecting stereotyped images, symbols and icons of a now lost tradition, incorporated for good in a tourist’s scrapbook of
souvenirs and remembered places. Part of the artist’s work consists of him measuring himself against the museum dimension, understood as a modern form of performance and entertainment. The ethnographic nature of his work is reinforced by the fact that the works are constantly presented in showcases or cordoned off as though they were actual precious prehistoric artefacts, whose uniqueness and antiquity are their highest merit. Doubt constantly assails visitors to his exhibitions, especially when they find themselves looking at Shapeshifter (2000), Cetology (2002) or Vienna (2003), three skeletons of enormous prehistoric animals made from ordinary plastic garden chars. Forming a bridge with the past is not just this type of expression, consisting of signs and symbols of primary nature, masks, totems, sacred objects and an iconography rich in anthropomorphic figures and natural elements, but also the readymade objects he uses to produce his works, which do not presuppose any type of cultural preparation on the part of the public in terms of art but rely on their elevated degree of popularity. As we can only presume ancient aboriginal populations did, Jungen uses art as a tool of public identification. A pair of Nikes is essentially a pair of Nikes! Or is it? To Nike or not to Nike? Nikes represent an unanimously shared modern myth. Although the origins of sports shoes date back to the second half of the 19th century it was only in the sixties that enormous quantities of sneakers began to be used everyday. Thanks to their intrinsic comfort, which made it easier to move rapidly around cities, these became the shoes most worn by American citizens of all ages, social backgrounds and races. However, some models became veritable cult objects due to their symbolic and fetishist value achieved thanks to the importance sport and fashion gained in youth subcultures such as hip-hop. During the performance of My Adidas in Madison Square Garden New York in 1986, Run DMC invited the public to show off their shoes and
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everyone took off their Adidas and held them up. There are numerous criminal episodes linked to sneakers, ranging from theft to murder. Envying a friend’s shoes and the trouble in finding them when they are produced in limited editions make sneakers veritable objects of desire. They are just models of the most developed industrial civilisation and outstanding examples of post-modern design but also vehicles of cultural and public values. Brian Jungen would have known this when, in 1998, he began his series New Understanding, which he finished in 2005. This consisted of twenty three aboriginal masks made from Nike Air Jordan. The choice of that particular model is due to its colours which echo the colours used in the original masks: white, red and black. Jungen hacked up the Nikes and then dissected and reassembled them. A sole, a tongue and a logo are nothing other than elements of a vaster system which juxtaposes them with one another turning them into jaws, eyes, noses and cheekbones. What is astonishing is the naturalness with which such an operation highlights the almost organic aspect of these shoes. One cannot hide the sharp and subversive importance of New Understanding, starting with the choice of Nike as a symbol of the culture of globalisation and a sad model of the exploitation of labour in the Third World. The images of children in a Thai factory sewing footballs instead of playing with them affected everyone in the west. Jungen goes back in time and dismembers the Nikes so as to cancel the memories of those images forever. The shoes are once more reduced to raw material and at least fragments of a system of objects which we struggle to recognise as such.
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The Home as Packaging The ancient technique of readymade consisted of putting an everyday object into a cultural context. From Duchamp to Claes Olbdburg, from Haim Steinbach to Damien Hirst, the history of art is punctuated with the appearance of not clearly identified objects which conserve a vague memory of the world but whose function is in some way dubious. All of Jungen’s work is informed by the
attempt to read everyday reality in a different way as though we were in a dream or, better still, in a nightmare. The artist works specifically with the dimension of the home using objects we are familiar with. In 2005 he carved on ordinary wooden baseball bats mysterious phrases such as Collective Unconscious, First Nation, Second Nature and Work To Rule, as though, during the night, someone had sneaked into our garage and decided to leave a message or perhaps a threat. This was followed by floral decorations on petrol drums in Nicotine (2007), football scarves transformed into complicated geometrical fabrics in Blanket no. 2 (2008), piled up canteen trays in Isolated Depiction of the Passage of Time (2001) and second-hand clothes sewn together to form an enormous red flag in People’s Flag (2006). It is a short step from domestic objects to their container, the home. Jungen, fascinated by visionary architecture, has tried his hand with the form of the dwelling. Bush Capsule (2000) is a structure made of pieces of plastic chairs wrapped in cellophane as though it were a carefully packaged parcel. A more concrete form is that of Arts and Crafts Book Depository (2004), a living module designed for studying and leisure time. Then there is Habitat 04 - Cats Radiant City (2004) and Inside Today’s Home (2005), veritable pod dwellings for our faithful four-legged friends or at least for the more choosy ones. The cycle ends with Little Habitat I (2003) and Little Habitat II (2004), small geodesic domes à la Buckminster Fuller (DIY homes very popular with hippies in the psychedelic era), produced by cutting up the cardboard boxes which contained the Nikes of New Understanding. These are black boxes, with minimal graphics and an image of Michael Jordan with science fiction undertones. Unfortunately they are only scale models and too small to be visited inside. However, they well describe a concrete existential possibility in which the home is merely a psychological superstructure where the packaging of the objects we possess becomes the solid shell within which nothing bad can happen to us.
News Kay Li, Best Asian Food Lo studio ondesign di Amburgo ha realizzato il rilancio del brand Kay Li, accentuando l’aspetto esotico dei prodotti per cucina asiatica commercializzati dall’azienda tedesca TSI.
Il progetto è stato sviluppato con garbata ironia e con la dovuta attenzione ai particolari per dare autenticità al prodotto e ottenere un verosimile effetto “made in Asia”. Ciò è stato reso possibile dallo studio attento degli elementi grafici caratteristici del mondo orientale e ricreando una veste grafi-
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Cuore di mamma Lumen si è da poco occupata del restyling di immagine del brand Nipiol, marca storica del “baby food”, di cui viene apprezzata la qualità garantita a un prezzo conveniente. L’agenzia di Milano ha lavorato alla rivisitazione del brand, che risultava ormai obsoleto, “polveroso e basic”, per riposizionarlo in maniera chiara e distintiva, rendendolo immediatamente riconoscibile e soprattutto facendone emergere tutte le potenzialità (solidità del marchio e standard qualitativi elevati). Il target di riferimento è costituito in prevalenza da mamme alla se-
ca originale di sapore vagamente kitsch, tipico di taluni prodotti alimentari asiatici. Il nuovo logo della linea Kay Li è stato realizzato seguendo lo stile tradizionale dei sigilli personali che ognuno in Cina possiede; sono stati usati quindi i kanji (gli ideogrammi) delle due sillabe Kay e Li in modo da dare al brand un’identità originale. Il logo, declinato in vari i colori a seconda di ogni variante di condimento, ha integrato il claim Best Asian Food e l’identità del brand è completata da un manga che, come da tradizione, si esprime in un fumetto caratterizzato dai kanji “ridere” e “buono”, a indicare la gioia che si prova nel mangiare un cibo appetitoso quale può essere quello condito con queste salse. Il piccolo personaggio, che indossa un abito di colore diverso di volta in volta a
conda esperienza di maternità; mamme che hanno sperimentato altre marche in passato e che sanno di potersi rivolgere a Nipiol per nutrire il proprio figlio in tutta tranquillità, in quanto sanno che il prezzo più basso non compromette la qualità del prodotto. La strategia di Lumen (si veda a questo proposito l’inserto allegato a questo fascicolo di impackt) è stata di cercare un posizionamento più distintivo rispetto alla semplice "qualità al giusto prezzo". Lavorando insieme al produttore si è quindi concretizzata una per-
seconda del tipo di prodotto, arricchisce e modernizza il packaging e viene ripreso sul tappo con l’ effetto di uno “smile” quando si guarda la bottiglia dall’alto. Altri elementi presenti ripresi dalla tradizione cinese sono un dragone e due kanji disegnati a pennello e sovradimensionati dal significato di “riso” e “mangiare”. Ad accentuare ulteriormente il look asiatico, l’uso dei caratteri occidentali per le scritte dei nomi delle salse, bordati in colore a contrasto. La foto del piatto con il cibo completa l’etichetta e rappresenta il suggerimento d’uso. L’immagine - per scelta - non è “raffinata” in quanto deve rimarcare l’autenticità di un prodotto poco costoso, Il risultato finale è un mix di tradizione e modernità, specifiche che rendono questi packaging molto vicini a quelli dei veri prodotti made in China. I prodotti Kay Li sono già distribuiti nei supermercati e discount delle maggiori città tedesche e stanno riscuotendo un notevole successo; prossimamente la TSI prevede di ampliare la propria gamma offrendo zuppe pronte in lattina e cibi disidratati in busta.
sonalità che esprime "lovely quality": un amore che coinvolge sia la selezione degli ingredienti e la preparazione del prodotto, sia il gesto della mamma verso il proprio bambino. Ora Nipiol esprime con chiarezza una forte identità di marca, grazie a un system chiaro e proprietario, un linguaggio che rispetta i canoni dell’in-
Kay Li, Best Asian Food The Hamburg ondesign studio has designed the relaunch of the Kay Li brand, emphasising the exotic aspect of the products for Asian cuisine marketed by German company TSI.
The project was developed with subtle irony and due attention to details in order to make the product look authentic and to produce a credible “made in Asia” impression. This was achieved thanks to a careful study of the graphic elements which are characteristic of the Orient as well as by recreating an original graphic layout with a vaguely kitsch flavour, typical of some Asian food products. The new Kay Li logo was created by imitating the traditional style of personal seals which everybody in China owns. Therefore, kanji (ideograms) of the two syllables Kay and Li were used in order to give the brand an original identity. The logo, produced in various colours depending on the type of sauce, integrated the Best Asian Food claim, while brand
fanzia ma al contempo autorevole e di qualità, una rappresentazione di variante qualitativamente superiore. Il nuovo system riguarda tutta l'offerta: biscotti, omogeneizzati (carne, formaggio, pesce, frutta), succhi, brodi, latti liquidi e latti in polvere.
the right price”. Working together with the manufacturer, a personality was created which expresses “lovely quality”: a love which involves both the selection of ingredients and the preparation of the product as well as the gesture of a mother towards her child. Now Nipiol has a clear and strong brand identity thanks to a clear and proprietary system, a language which fits the criteria of infancy but which is, at the same time, authoritative and of quality, a qualitatively superior change. The new system regards the entire offer: biscuits, baby food meat, cheese, fish, fruit), juices, soups, liquid milk and powdered milk.
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a clear and distinctive way, making it immediately recognisable and above all bringing out all its potential (brand solidity and elevated qualitative standards). The target of reference is mainly made up of mothers now with their second child: mothers who have tried other brands in the past and who know they can rely on Nipiol to feed their child with absolute peace of mind as they know that the lower cost does not affect the quality of the product. Lumen’s strategy (with regards to this see the supplement enclosed with this issue of impackt) was to seek a more distinctive positioning compared to the simple “quality at
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Mother’s love Lumen has recently restyled the image of the Nipiol brand, a legendary “baby food” brand, welcomed for its guaranteed quality at a reasonable price. The Milan agency worked on a reassessment of the brand which proved to be now obsolete, “dusty and basic”, so as to reposition it in
identity was completed with a manga which, as is traditional, comes in the form of a comic strip characterised by the “laughing” and “good” kanji. This suggests one’s delight when tasting an appetising food which might be one dressed with these sauces. The little figure, who wears different colours depending on the type of product, enhances and modernises the packaging and reappears on the lid, producing the effect of a smile when the bottle is seen from above. Other elements borrowed from Chinese tradition are an oversized painted dragon and two kanjis signifying “rice” and “food”. Further emphasising the Asian look is the use of western script for the names of the sauces, outlined in contrasting colours. The photo of a dish containing the food completes the label and provides a serving suggestion. The illustration is deliberately unsophisticated as it is has to emphasise the genuineness of an inexpensive product. The end result is a mix of tradition and modernity, specifics which make this packaging very similar to those of real products made in China. Kay Li products are already distributed in supermarkets and discount stores in major German cities and have had a considerable degree of success. In the near future TSI plans to expand its range, offering readymade tinned soups and freeze-dried food in sachets.
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identi-kit
Packaging, dĂŠpliants, involucri, ma anche rubriche telefoniche, cassette della frutta, poster e materiale pubblicitario sono la materia prima di Raffaella Formenti - anzi, i suoi pastelli e i suoi tubetti di colore, in un vertiginoso e “insostenibileâ€? riciclaggio di segni. Marco Senaldi
identi-kit
Pixel,Strappi
e Parole
identi-kit
Magie
stare ben esposti sugli scaffali, con tanto di etichetta con cui presentarci? Lo spostamento delle merci ha ampliato e diversificato la presenza della confezione, questa pelle che ci avvolge con la sua presenza e indubbiamente spesso ci protegge dai contenuti... Ma ora il produrre ha affollato e affondato il Gioco. Abbiamo tirato i dadi e siamo fermi due giri. Recessione. Pausa di riflessione? Riesaminare il tragitto fin qui percorso deve essere occasione di analisi sui ribaltamenti di senso avvenuti in accelerazione costante. Il Pensiero occidentale ha denigrato il senso ciclico del Tempo legato alla Natura, pensando di annullarlo nell’evoluzione lineare della Storia, intesa come Progresso: ora ci ritroviamo a ri-ciclare, rispediti agli interrogativi di base, come nel Gioco dell’Oca....
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CAINOpoints
Un artista ha recentemente dichiarato che "viviamo nell'età dell'imballaggio" - intendendo dire che è l'epoca in cui le merci sono talmente rivestite di segni che questi ultimi finiscono per prevalere sui contenuti... Imballaggio, estetica, apparenza, nascondimento... Anche le parole in fondo sono un imballaggio, contengono in modo più o meno appropriato il nostro pensiero, impacchettato per il trasporto e la diffusione: quanto dell’autenticità del pensiero viene sacrificato dalla “confezione parola”, per consentici di
Raccontaci come lavori, a partire da quella unità di base che è il tuo “pixel” (frammento piegato di depliant o scatola). Tutto è nato dal concedermi un ritorno alla casella di partenza, ai gesti e ai materiali più diretti. Un’immagine: l’Uomo nella grotta raccoglie un sasso colorato e graffia la roccia per narrarsi. Mi sono chiesta quale potesse essere il sasso per la mia “grotta”: il colore della pubblicità e degli imballaggi. Ho iniziato depredando gli scaffali dei supermercati dalle scatole svuotate dai compratori (i contenitori delle scatole dei prodotti... riempio il carrello e passo dalle casse senza pagare... divertente farlo di sabato... una performance ogni volta con esiti diversi...). Dalle cassette delle lettere mi fornisco invece di pubblicità, che piego a forma di miniboîte mentre vagabondo per le città. Li chiamo Pixel perchè con essi costruisco una
identi-kit
versione ludico-cartacea del regno digitale, e della sua fragile potenza. Così, i messaggi affidati a scatole e volantini si mutano in cromie, si affastellano in costruzioni. Le parole sopravvissute entrano tra loro in corto circuito di significati, un foglio ripiegato si trasforma in estensione di pensiero ad uso soggettivo.
Sono Motori di Ricerca nel nuovo Mare Nostrum e la sua procellosa navigazione... Nelle mie carte, Gutemberg e Web dialogano sulla fruizione della Parola e del Silenzio, sconnessi dal calpestio del Tempo in corsa. La carta è la consistenza di dubbio continuo: il senso di un transitorio in dissolvimento che... dura nei secoli! Per lo stand di
Nelle tue opere passi dal piccolissimo micro manufatto, alla grande opera, alla installazione ambientale... Che rapporto hanno le tue opere col materiale da cui
Concrezione 2007
Raffaella Formenti (Brescia 1955) lavora da molto tempo sulla comunicazione ridotta a rumore visivo assemblando immagini e parole provenienti dal mondo della pubblicità. Nelle sue opere impiega materiali derivanti dall’enorme mole dei prodotti informativi, trasformandoli con una non comune abilità manuale in colorati collage, sculture, o vere e proprie installazioni. Costante nel suo lavoro è il riferimento al web, da cui attinge la terminologia e di cui fa parodie cartacee, che restituiscono peso e consistenza alle entità virtuali da cui siamo circondati.
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Italiaimballaggio a Ipack- Ima, propongo l’attenzione al particolare e lo sguardo d’insieme. Pixel della rivista sono presenti in gigantografia, e continuano a nascere in tempo reale dal mio girovagare in fiera. Quando ne ho le tasche piene torno allo stand e le vuoto in una sorta di ring/cantiere da cui la gente può attingere. Sull’altra parete, fotografie dei miei assemblaggi cartacei si snodano nelle caselle del Gioco dell’Oca, simbolo del procedere, fermarsi, correre, o anche del ritrovarsi al punto di partenza... L’informazione e la cultura in questo
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derivano e con l'ambiente in cui vanno a collocarsi? Ci racconti il tuo progetto per lo stand di Italiaimballaggio? Il “micro” mi appartiene di più, ha in sé l’idea di appunto, la gestualità immateriale della scrittura, la stessa proiezione mentale. Preferisco il sussurro all’urlo. Il “macro” è un’urgenza del materiale stesso quando incontra lo spazio, e mi permette di sottolineare il lato incontenibile del conoscere, che vivo con un senso di impotenza e incompiutezza. Le mie installazioni sono cantieri provvisori che contaminano con invasività i luoghi.
Che tipo di consumatrice sei? Ti lasci anche tu sedurre dal packaging e dai depliant o li vedi subito come possibili materiali artistici? Consumo con gli occhi, restando affascinata dall’intelligenza progettuale, ammirando grafiche e incastri che, al pari della cornice per un quadro, riescono ad aggiungere zeri sonanti ai prodotti rendendoli imperdibili, a volte imprendibili, indubbiamente interessanti da guardare. Chi dipinse scene di caccia era dispensato dal parteciparvi, e attendeva il rientro dei cacciatori per nutrirsi. Io attendo che gli Uni stampino pubblicità e gli Altri la leggano e svuotino le preziose scatole. Se l’Economia non gira, come fanno artisti e filosofi a nutrirsi?
TV_mit_SCRAPS 2008
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Prodotto di stagione
momento sono i dadi da rilanciare per proseguire.
Digitale terrestre
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Pixels, Torn Scraps and Words Packaging, brochures, wrappings, but also phone directories, fruit crates, posters and advertising material are Raffaella Formenti’s raw material – rather they are her pastels and her tubes of color, in a giddy and “unsustainable” recycling of signs.
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Marco Senaldi An artist recently declared that “we live in the age of packaging” – meaning that it is the era in which goods are so covered in signs that the latter end up by prevailing over the contents… Packaging, aesthetics, ostentatiousness, concealment… In the end even words too are packaging, they contain our thoughts in a more or less appropriate way, packaged for transport and diffusion: as far as the authenticity of the thought is concerned one may surmise it is sacrificed by the “word package”, to allow us to stand out on the shelves, even flaunting a label to present ourselves with. The transfer of goods has amplified and diversified the presence of the pack, the skin that wraps us with its presence and undoubtedly often protects us from its contents…. But now manufacture has crowded and sunk the Game. We have cast the dice and we have to miss out on a couple of goes. Recession. A pause for reflection? The reexamination of the route taken up to here has to be a chance for analysing the upturning of sense that has occurred in constant acceleration. Western thought has denigrated the cyclical sense of Time associated with Nature, with the
idea of annulling the same in the linear evolution of History, understood as Progress; now we are back to re-cycling, back to the basic interrogative, a bit like in a game of snakes and ladders…. Tell us how you work, starting from that basic unit that is your “pixel (a folded fragment of brochure or box). Everything came into being by my conceding myself a return to square one, to the most direct gestures and materials. An image: Man in the grotto picks up a colored stone and scratches the rock to narrate his experience. I asked myself what the stone for my “grotto” might be: the color of advertising and packaging. I began by scavenging the boxes emptied by purchasers from the supermarket shelves (the containers of the tins of product… I fill my trolley and pass through the checkout without paying… it’s fun doing it Saturdays… a performance with different outcomes each time..). In turn my post box provides me with advertising, which I fold into the shape of a miniboîte while I rove around the city. I call them Pixel because they construct a ludicpaper version of the digital realm and its fragile power. Thus the messages entrusted to boxes and flyers change color, they are bundled into constructions. The surviving words reciprocally cause a short circuit of meanings, a folded sheet turns into an extension of thought for subjective use. In your works you go from the extremely small micro creation to great works, to the environmental installation… What relations do the works have with the materials from which they are derived and with the environment where they are located? Tell us about your
one… Information and culture in this moment in time are the dice that need to be rolled to continue What type of a consumer are you? Are you immediately seduced by the packaging or the brochure or do you immediately view them as possible artistic material? I consume with my eyes, being fascinated by the design intelligence, admiring the graphics and the fitting together that, on the same level as a picture frame, manages to add resounding noughts to products making them irresistible, at times elusive, doubtlessly interesting to look at. The painters of hunting scenes were dispensed from taking part in the same and waited for the return of the hunters to nourish themselves. I expect one side to print advertising and the other side to read it and empty those precious tins and boxes. If the economy doesn’t roll, how can artists and philosophers nourish themselves.
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Raffaella Formenti (Brescia 1955) has worked for a long time on communication reduced down to visual noise, assembling images and words from advertising. In her works she uses materials deriving from the great amount of IT products available, turning them with a uncommon deftness of hand into colored collages, sculptures or true and proper installations. Her work comprises a constant reference to the web, from which she gets her terminology and of which she makes paper parodies, that restore weight and consistency to the virtual entities which surround us.
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project for the stand of ItaliaImballaggio? I identify myself more with the “micro”, it contains the idea of note taking, the immaterial gestuality of writing, the selfsame mental projection. I prefer the whisper to the cry. The “macro” is an urgency of the very material when it encounters space, and it allows me to underline the incontainable side of knowledge that I experience with a sense of impotency and incompleteness. My installations are temporary building sites that contaminate places by their invasiveness. They are Search Engines in the new Mare Nostrum and the stormy navigation of the same… In my papers, Gutemberg and the Web dialogue on the fruition of the Word and Silence, broken up and trampled upon by the onrush of time. Paper is the consistency of the ongoing doubt: the sense of the transitory in dissolution that… lasts down the centuries! For ItaliaImballaggio’s stand at Ipack-Ima, I in particular wished to concentrate on detail and the view of the whole. Pixels of the magazine are present on a giant scale, and continue to be created in real time by my wandering around the fair. When I am fed up I return to the stand and I empty them in a sort of ring/building site that everyone can access. On the other wall, photographs of my paper assemblies follow the pattern of snakes and ladders squares, symbolic of going on, stopping, running, or even finding oneself back at square
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Blueberry
Lifestyle La salute si vede dalle confezioni Francalma Nieddu
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Ostermalms è il più famoso mercato coperto di Stoccolma; lì è situato Blueberry Lifestyle, un negozio che, con la sua offerta di prodotti biologici e un take away a base di cibi naturali, fa venire voglia di prendersi cura di sé, anche se solo per una breve pausa pranzo. Lo spazio è arredato con scaffalature piene di prodotti particolari e l’accoglienza è calda e affettuosa. Oltre agli alimenti, al Blueberry si può trovare un’accurata selezione di articoli legati al tema del benessere, libri e cosmetici. Curiosando tra gli scaffali si è subito attratti dall’angolo degli snack, di colore mirtillo, dove tutto è disposto in maniera invitante e persuasiva, come pure ispira piacevolezza Ulrika Holm, proprietaria e fondatrice di Blueberry, una persona bella e solare che risponde con entusiasmo alle nostre domande. Come nasce Blueberry Lifestyle e qual è la sua filosofia? Tutto ruota intorno al fatto di indurre a cambiare atteggiamento verso l’alimentazione; il cibo sano deve diventare fonte di ispirazione e di divertimento per vivere in modo equilibrato e salutare. Offriamo la possibilità di fare "scelte consapevoli", per esempio: cibo
biologico e prodotti locali ed equosolidali. Incoraggiamo anche le persone a pensare di più al proprio benessere e a sposare la causa salutista, perché “siamo completamente diversi fuori se lo siamo dentro”, anche se a volte ciò comporta delle scelte drastiche. Non si può cambiare il proprio modo di vivere (dieta, movimento, ecc.) senza crederci profondamente e se non lo si sente necessario. Non basta che ce lo abbia consigliato un amico o averlo letto su una rivista. E a volte è un processo lento. Cosa si trova da Blueberry, cosa offrite alla vostra clientela? Come dicevo, cibo biologico e sano, un grande sorriso e un po’ di benessere. Per chi non vuole fermarsi a mangiare da noi, oltre al take away, offriamo un servizio di catering a domicilio, inoltre esistono anche un Blueberry Café e alcuni bar dove è possibile bere succhi e frullati… ormai siamo diventati come una piccola catena, questo in Sibyllegatan è il negozio principale, il più grande. Infine organizziamo eventi e percorsi personalizzati sull’alimentazione e lo stile di vita. Il rapporto con la clientela prosegue
Blueberry Lifestyle Sibyllegatan 15 11442 Stockholm - Sweden Tel. +46 8 6612550 www.blueberrylifestyle.se
nel nostro sito web, dove offriamo consigli e le ricette dei nostri prodotti. Packaging si o no? Sicuramente si. Ogni qualvolta sia possibile avere packaging biodegradabili; ma la sicurezza del cibo è molto importante e senza un packaging adeguato si rischia di comprometterla. Di anno in anno miglioriamo i nostri standard e tentiamo il più possibile di confezionare i prodotti in materiali ecosostenibili. Nessuno è perfetto, la cosa importante è migliorarsi continuamente.
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Quanto i vostri clienti sono influenzati da un bel packaging? Molto. Il gusto non si apprezza in una confezione noiosa ea a seconda di come viene impacchettato un cibo o un prodotto, si può determinarne anche la sua desiderabilità! Quali sono le tendenze più attuali in termini di lifestile? Nella moda, il design essenziale, che forse però non riguarda solo questa epoca; poi ci sono le “scelte coscienziose” che cerchiamo di
perseguire costantemente con il nostro lavoro. Nel settore dell’alimentazione, vanno i cibi detti Superfood (arricchiti con vitamine ecc.), quelli “Green”, gli antiinfiammatori e i vegetariani. Un packaging da ricordare? The match box J, ma anche qualsiasi packaging semplice, smart, fatto di cartone riciclabile, e senza bisogno di copertura di plastica. Cosa vuol dire tempo libero e benessere? Qualunque cosa che, facendola, rompa la routine quotidiana; vivere il momento, poter praticare la propria attività preferita. Per me è un bagno, dormire, fare yoga, leggere un libro. Mi piace pensare che siamo come alberi, con radici forti, abbiamo bisogno di essere ben ancorati a terra e perciò dobbiamo essere stabili e solidi. Per questo è utile aggiungere qualcosa di naturale alla vita quotidiana per rinforzarsi, ma senza esagerare. Inutile pretendere di fare ogni giorno due ore di passeggiata a passo veloce, bastano anche solo cinque minuti!
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By keeping the pace to the latest technologies and material researches AMB offers a full range of constantly updated solutions to preserve and maintain unaltered the organoleptic qualities of the products by means of vacuum or modified atmosphere packaging.
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Blueberry Lifestyle Health starts with attitude! Francalma Nieddu In Stockholm, near Ostermalms, the famous covered market, you will find Blueberry Lifestyle, a store which, with its range of organic produce and a takeaway based on natural foods, makes you want to give yourself a healthy treat even if it’s just a quick lunch. The space is furnished with shelves groaning with unusual products and you are given a warm and affectionate welcome. As well as food you can also find a carefully picked selection of articles linked to the theme of wellbeing, books and cosmetics. Browsing through the shelves you are immediately attracted by the blueberry coloured snack corner where everything is laid out in an inviting and appealing fashion. Ulrika Holm, the owner and founder of Blueberry and a lovely, cheerful person who answers our questions enthusiastically, is just as pleasant.
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How did Blueberry Lifestyle begin and what is its philosophy? Everything revolves around persuading people to change their attitude towards nutrition. Healthy food has to become a source of inspiration and entertainment in order for us to live in a balanced and healthy way. We offer people the opportunity to make “responsible choices”, such as organic food and local and fair trade products. We also encourage people to think more about their wellbeing and to espouse the healthy cause as “we are completely different on the outside if we are completely different on the inside”. However, sometimes this means making drastic choices. You cannot change your way of life (diet, exercise etc) if you are not one hundred percent convinced or if you do not feel it is necessary. It isn’t enough for a friend to have advised us or to have read it in a magazine. And sometimes it is a slow process. What can you find at Blueberry, what do you offer your customers? As I was saying, organic and healthy food, a big smile and a little wellbeing. For people who do not want to stop and eat here, we offer a home catering service as well as takeaway. There is also a Blueberry Café and a few bars where
you can order fruit juices and smoothies… we have now become a small chain. The store in Sibyllegatan is the main store and the largest. Finally, we organise events and personalised courses on nutrition and lifestyle. Our relationship with our customers is taken further on our website where we offer advice and the recipes for our products. Packaging yes or no? Definitely yes. Biodegradable wherever possible. But food safety is very important and without suitable packaging you risk jeopardising it. Every year we raise our standards and try as hard as we can to packaging products in an environmentally sustainable way. Noone is perfect but the most important thing is to make continuous improvements. To what extent are your customers influenced by nice packaging? A great deal. Taste cannot be appreciated if it is in boring packaging and the desirability of a food or product can also be determined by how it is packaged! What are the most current trends in lifestyle terms? In fashion it is minimal design, and not for the first time perhaps. Then there are the “conscientious choices” we try to pursue constantly with our work. In the food sector the so-called Superfoods (enriched with vitamins etc.) and “Green”, anti-inflammatory and vegetarian foods are popular. A memorable packaging? The J matchbox but also any simple, smart packaging made of recyclable cardboard, without the need of a plastic covering. What does free time and wellbeing mean? Anything you do that breaks up your everyday routine. Living in the moment. Everyone has something they like to do more than anything else. For me it is bathing, sleeping, doing yoga, reading a book. I like to think that we are like trees with strong roots. We need to stay anchored to the earth and so we have to be stable and sturdy. This is why it is useful to add something natural to everyday life to build up your strength yet without overdoing it. It is pointless to want to go for a brisk two hour walk every day. Five minutes is enough!
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IL PACKAGING FA LA DIFFERENZA
Il meglio del packaging lo trovate a Barcellona Partecipate ad uno dei più grandi incontri internazionali del settore imballaggio! L’accesso privilegiato ad un mercato spagnolo in piena espansione. Fiera di Barcellona, il primo quartiere fieristico della Spagna.
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Il Packaging Restituisce ciò che la Vita Consuma Secondo Pier Benzi, direttore creativo di Artefice, laboratorio milanese specializzato nei servizi di consulenza strategica, il rapporto sempre meno distinto fra tempo lavorativo e tempo libero ha come conseguenza la commistione di generi e il nascere di nuovi prodotti di consumo. A lui abbiamo chiesto quanto conti il packaging nello stabilire un rapporto con il cliente e nel comunicare quel particolare senso del “tempo ibrido” che caratterizza le nostre vite.
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Sonia Pedrazzini Tra i bisogni della società contemporanea c’è quello legato alla gestione del tempo libero: sport, viaggi, benessere, musica e divertimento… Secondo la vostra esperienza - che spazia da prodotti-culto come Cocacola, a prodotti innovativi come Danacol e Activia di Danone - in che modo le aziende, attraverso le merci e il packaging, comunicano questa necessità? Considerando che sono i bisogni a determinare i prodotti e che la ricerca del bello, del gusto e del godimento sono bisogni primari, oggi si lavora sempre di più attorno ai pack tattici per l’effimero, per il passaggio veloce di fiore in fiore, per il cambiamento rapido che segue la volubilità del desiderio. In realtà, il rapporto tra tempo libero e
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gradi consentono oggi di dialogare con il consumatore anche sul retropack veicolando il corretto riconoscimento dei valori di brand all’interno di un messaggio comunicativo fondato sull’ironia e sulla trasgressione. Tutto questo senza dimenticare che esiste anche un tempo effettivo. Una persona che ha un’aspettativa di vita media di ottant’anni si accorge facilmente, per esempio, alla fine della propria esistenza, di aver trascorso un anno a lavarsi i denti: considerando quindici minuti al giorno per tutti i giorni della vita il gioco è fatto. Quasi trent’anni passano, poi, a dormire, chissà quanti a guardare la tv, parlare al telefono o in coda sulla tangenziale. Il tempo effettivo, allora, è quello che fa spessore, che ti dice chi sei e che cosa hai messo insieme nel corso della tua esistenza. Il tempo effettivo è quando stai bene e ti senti in pace, quando non hai fretta, quando fai un disegno con tuo figlio. Quando sei consapevole. È questa una interpretazione del tempo che le aziende intendono sempre di più intercettare.
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Quali sono state le vostre esperienze in merito, con quali prodotti e con quali aziende? Nell’ampio panorama degli involucri che racchiudono e danno forma alle modalità di consumo di questo nostro tempo ibrido, si transita attraverso diversi gradi di partecipazione che colpiscono l’immaginario delle persone nelle loro scelte di
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tempo occupato oggi è molto poco pulito e netto. La tecnologia e il tempo espanso del lavoro, per logica e necessità, consentono e obbligano a sciogliere il confine di questa bipartizione: conducendo una riunione di lavoro mentre ci si sposta in treno, ricevendo mail su una spiaggia di sabbia bianca o registrando appunti durante il footing serale. Questo determina, come immediata conseguenza, la commistione dei generi con l’evidente percezione di una realtà dove la prestazione atletica e il recupero delle energie non sono più solo concetti declinati sulla performance sportiva. Il packaging, inteso come protezione di una merce dall’ambiente esterno e come medium comunicativo, non può che seguire questo impasto sempre più denso di indifferenziazione integrando nei suoi messaggi il concetto di un tempo ibrido. Non più il tempo biblico, canonico, delle ore determinate e dedicate, segmentato dal suono di una campanella di stabilimento o, comunque, da una flessibilità in ogni caso confinata nelle abitudini. Un tempo interstiziale, che si scava fuori in piccole unità elastiche tra un’occupazione e l’altra, come una veloce navigazione su Internet, come uno snack. Uno snack come Fonzies di Saiwa: la nuova sintesi grafica e la nuova visione del pack a 360
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fondo. Un prodotto come Aquarius racconta, anche attraverso il suo packaging, la volontà di offrire una pausa rinfrescante a chi ha una vita piena di impegni e ha bisogno di ricaricarsi durante l’arco della giornata. Oltre a offrire una nuova formula, arricchita di Magnesio e Vitamine, il nuovo Aquarius Active Drink si presenta con una grafica ancora più impattante e una nuova campagna di comunicazione. Il nuovo assetto grafico, dall’onda che avvolge il marchio alle bollicine sullo sfondo e ai giochi di chiaro scuro, è stato studiato per veicolare la freschezza che si prova appena si gusta il prodotto. La scelta dei toni giallo e arancio è stata pensata per dare maggiore rilevanza alle due versioni gusto Limone e gusto Arancia. Aquarius “ridà ciò che la vita consuma” e il suo pack
trasferisce proprio questo: la carica e il graffio energizzante della “A” presenti in etichetta sono un invito a ritrovare la propria carica naturale tra gli impegni della routine quotidiana. Allo stesso modo, ma su un piano decisamente più dedicato allo sport professionalmente vissuto, Powerade Pro è una bevanda isotonica il cui pack si rivolge agli sportivi più esigenti, che fanno dello sport uno degli elementi centrali della loro esistenza: Powerade Pro è un elemento essenziale dell’equipaggiamento sportivo e, attraverso una centralità grafica assoluta di tutti gli elementi, lo diventa anche il pack. Aldilà, poi, delle cure specifiche per ogni singola modalità di fruizione del proprio tempo, esiste anche la possibilità di intervenire sulle percezioni più ampie delle persone. Una sensibilità comune è quella
connessa per esempio a vivere il tempo libero in modo ecologico. Un nostro progetto di qualche anno fa individua un’interpretazione di questa attenzione decisamente sempre più attuale. Nella costruzione della brand identity e di tutti i pack per Tramezzino.it, linea di prodotti con vendita diretta su internet, i valori di qualità e di genuinità sono sostenuti e veicolati in una sintesi evocativa che lavora su materiali puliti come carta, cartoncino e corda. L’ecosensibilità del progetto è tutta nel concetto di sottrazione: non sono ecologici solo i materiali ecosostenibili ma lo è, anche e soprattutto, l’idea di studiare e impiegare la minor grammatura possibile di carta per proteggere il prodotto e l’assenza di colla per chiudere gli elementi. Un modo di pensare diventato comune strada facendo, soprattutto per quanto riguarda la produzione di overpack sempre più contenuti e strutturati proprio per limitare i materiali impiegati.
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In periodi di crisi economica come quello in cui ci si trova attualmente - dal punto di vista del consumatore, come ci si rapporta al tempo libero? In modo ancora più contratto, fugace, malvissuto e volubile di prima. E con un doppio strato di nubi: quello prodotto dalla preoccupazione per il futuro e quello prospettato dalla minaccia di perdere il proprio tempo occupato che poi è ciò che rende merito e senso alla liberazione del tempo. Anche se, come aveva fatto notare anche J.F. Kennedy in un suo celebre discorso, l’ideogramma cinese che identifica la parola “crisi” è composto da due caratteri: uno indica il rischio, l’altro l’opportunità. Nella crisi esiste, quindi, per tutti un’opportunità. Un’occasione per sperimentare anche nuovi consumi del tempo, nuove possibilità di reintepretarsi nella propria attualità. Vale comunque la pena lavorare per questo. Il benessere, per Artefice è …? Tempo effettivo in cui la cura del sé si unisce al piacere. Si dice spesso che le cose buone sono quelle che fanno male ma, da qualche anno, il mercato ha cominciato a sovvertire questo principio, per esempio con i Functional Food: una generazione di prodotti alimentari che, oltre ad assolvere la funzione di nutrire e soddisfare il palato, portano dei benefici per la salute e il benessere. Artefice dal 2005 ha dato vita, con Danone Italia, a una collaborazione per la messa
a punto dell’identità visiva di prodotti come Danacol e poi Activia, fino ad arrivare all’ultimo nato: Activia Delizia, la nuova esperienza di gusto Danone. Il prodotto rappresenta una novità assoluta proprio perché raggiunge l’equilibrio tra il piacere del palato e la cura del Sé. La qualità è garantita dal colore verde di riferimento per i prodotti Activia e dall'icona che identifica tutte le proprietà del Bifidus Actiregularis® nel regolare il transito intestinale. E le pone in relazione diretta con il gusto e la cremosità del prodotto, qualità trasferite sul pack attraverso l'appetitosa raffigurazione della frutta fresca e dell'invitante onda di Delizia nelle sue quattro varianti (fragola, vaniglia, albicocca e cocco). Di quale prodotto collegato al tempo libero vi piacerebbe progettare il packaging e la comunicazione? Il tempo libero è impalpabile. Occorrerebbe quindi prendere in considerazione e progettare un pack altrettanto impalpabile. Un pack in grado di aprirsi e trasformarsi in prodotto, per esempio in un paio d’ali in grado di sottrarre d’incanto chi le usa alla necessità di sovvertire il tempo stesso uscendo da ogni costrizione materiale. Oppure un vero e proprio special pack di “tempo effettivo”: chi lo dona si rende disponibile per una passeggiata lungo il mare di due ore, per un pic-nic sul prato di mezza giornata o per un lungo pomeriggio di sguardi a due.
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Packaging replenishes what Life depletes According to Pier Benzi, creative director of Artefice, a Milanese laboratory specialised in strategic consultancy services, the increasingly blurred boundary between working time and free time has generated a mixture of genres and the birth of new consumer products. We asked him to what extent packaging counts in establishing a relationship with the customer and in communicating that particular sense of “hybrid time” which characterises our lives.
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Sonia Pedrazzini Contemporary society’s needs include those which are linked to free time: sport, travelling, wellbeing, music and entertainment… In your experience, which ranges from cult products such as Coca-Cola to innovative products such as Danone’s Danacol and Activia, how can companies communicate this need through their products and packaging? Considering that it is the needs which determine the products and that quests for beauty, taste and enjoyment are primary needs, nowadays we increasingly work on taxic packs for the ephemeral, for the mercurial, for the rapid change of heart that comes with fickle desire. Actually the line between free time and working time is now much less tidy and clear-cut. Technology and expanded working time, due to logic and necessity, enable and compel us to blur the boundaries between the two. Conducting a business meeting while travelling by train, receiving mail on a white sandy beach or making notes while going for an evening jog. This automatically leads to a mixture of genres and the evident perception of a reality where athletic performance and the building up of energy are no longer merely concepts determined by sports performances. Packaging, understood as the protection of a product from the external atmosphere and as a means of communication, can only try to keep pace with this increasingly dense blend of in-differentiation, integrating
the concept of hybrid time in its messages. No longer the biblical, canonical time of fixed hours dedicated to fixed tasks, segmented by the sound of a factory siren or, anyway, by a flexibility which is, in any case, confined to routine. An interstitial time, which is extracted in small elastic units between one occupation and another, like rapid Internet surfing, like snacks. A snack like Saiwa Fonzies where the new graphical synthesis and the new 360° vision of the pack now allows us to communicate with the consumer even on the back of the pack, transmitting a correct recognition of brand values in a message based on irony and transgression. All this without forgetting that there is also such a thing as effective time. A person who has an average life expectancy of eighty quickly realises at the end of his life that he has spent a year and half cleaning his teeth. If you consider fifteen minutes a day for every day of his life it soon adds up. Almost thirty years are taken up with sleeping and who knows how many watching the TV, talking on the phone or stuck in motorway tailbacks. Therefore, effective time is what has depth and what tells you who you are and what you have concluded during your life. Effective time is when you are well and feel at peace, when you are not in a hurry, when you help your child with his drawing. When you are conscious. And this is an interpretation of time that companies are tending more and more to tap into. What have been your experiences with regards to this and with which products and which companies? In the vast panorama of packaging types which hold and give shape to the means of consumption of this hybrid age of ours, there are various degrees of participation which strike a chord with people when they are making their basic choices. Through its packaging, a product such as Aquarius communicates the desire to offer a refreshing break to those with busy lives who need to recharge their batteries during the day. As well as offering a new formula, enriched with magnesium and vitamins, the new Aquarius Active Drink comes with a graphics which makes an even greater impact, as well as a new advertising campaign. The new graphics, from the wave which rolls round the name to the bubbles in the background and the play of light and shade, was studied to transmit the sense of freshness you experience when you taste the product. The choice of yellow and orange tones was designed to give greater
prominence to the two taste versions of Lemon and Orange. Aquarius “replenishes what life depletes” and its pack communicates precisely this. The force and energising vigour of the “A” on the label are an invitation to find one’s own natural energy between the daily chores. In the same way, but on a level which is decidedly more dedicated to sports at a professional level, Powerade Pro is an isotonic beverage whose pack addresses the most demanding sportspeople who make sport one of the central elements of their existence. Powerade Pro is an essential item in any sports kit and by means of a graphic concentration of every one of its elements, so is the pack. Besides a specific focus for every individual way of exploiting one’s own free time there is also an opportunity to act on people’s broader perceptions. For instance, using one’s free time in an environmentally friendly way is an aspiration which many people share. One of the projects we did a few years ago used an increasingly up-to-date approach to this concern for the environment. In constructing brand identity and all the packs for Tramezzino.it, a range of products sold directly on the internet, the values of quality and genuineness are sustained and conveyed by an evocative synthesis which exploits clean materials such as paper, cardboard and rope. The project’s environmental sensitivity is entirely contained in the concept of subtraction. It isn’t just the environmentally sustainable materials which are ecological but also, and above all, the idea of studying and using the smallest possible grammage of paper to protect the product and an absence of glue in sealing the pack. A philosophy which has become more and more common above all with regards to the production of smaller and smaller overpacks, structured precisely to limit the amount of materials used.
For Artefice wellbeing means… Effective time in which taking care of oneself is combined with pleasure. It is often said that good things are the ones which do you no good but for some years now the market has begun to subvert this principle, with Functional Food for instance. This is a generation of food products which, as well as performing the function of nourishing and satisfying the palate, bring benefits for health and wellbeing. In 2005 Artefice formed a partnership with Danone Italia for creating the visual identity of products such as Danacol and Activia all the way up to their most recent product, Activia Delizia, the new Danone taste experience. The product represents something entirely new as it strikes a balance between satisfying the taste buds and being healthy. Quality is guaranteed by the green colour of reference for Activia products and the icon which identifies all the properties of Bifidus Actiregularis® in regulating the intestine. And it places it in a direct relationship with the taste and creaminess of the product, a quality transferred to the pack by means of the appetising illustration of fresh fruits and the inviting Delizia ripple in its four references (strawberry, vanilla, apricot and coconut).
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For which product linked to free time would you like to design the packaging and advertising? Free time is intangible. So I would have to envisage and design a pack which was equally intangible. A pack able to open up and transform itself into a product, for example a pair of wings able to magically deliver anyone who uses them from the need to subvert time itself, eluding every material constriction. Or a veritable special pack of “effective time”. Whoever gives it as a gift makes themselves available for a two hour walk along the seashore, for a picnic in a meadow lasting half a day or for a long afternoon of gazing at each other.
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In a period of recession such as the one we find ourselves now how does free time enter the picture from the consumer’s point of view? In an even more contracted, fleeting, badly experienced and inconstant way than before. And with a double layer of storm clouds: those produced by worrying about the future and those produced by the threat of losing one’s job, which is also what gives free time its value and meaning. Even though, as J.F. Kennedy noted in his famous speech, the Chinese ideogram which identifies the word recession is composed of two characters, one
indicating risk and the other opportunity. In a recession there is an opportunity for everybody. An opportunity to experiment new ways of consuming time, new opportunities to invent oneself. It is anyway worth working for this.
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Packaging Ultramagnetico Un’innovativa confezione per l’attrezzatura da ping pong ci porta a conoscere aruliden, il team creativo che ha ideato questo straordinario prodotto marchiato Puma e a cui la rivista americana I.D. ha riconosciuto il premio Best Packaging 2008.
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Nel loro sito si legge: “Non facciamo solo design, brand strategy o marketing. Usiamo il design per ripensare il brand, il prodotto diventa la più attuale forma di marketing”. aruliden è uno studio di consulenza, brand strategy e product design, creato nel 2006 da Rinat Aruh, israeliana, responsabile di brand vision, e da Johan Liden, svedese, industrial designer, dopo 20 anni di esperienze comuni nell’industria della moda, dell’auto, del lifestile e della cosmetica. Tra il loro clienti, oltre Puma, si annoverano Motorola, Avon, MAC/ Estée Lauder, Microsoft, MINI, Volkswagen.
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Quali sono i vostri esordi? L’approccio originale e poco convenzionale al design e al
marketing ha portato Rinat, a diventare responsabile del brand MINI Lifestyle e del marchio MaxMara sul mercato americano. Johan invece ha lavorato come industrial designer per aziende come Nike, Birkenstock, BMW, MAC Cosmetics, sviluppando e dando forma a nuovi prodotti che sono diventati delle vere e proprie icone. Abbiamo aperto lo studio nel 2006, con l’intenzione di usare il design per ripensare il brand e - avvalendoci della comune esperienza sia nel marketing che nel design - per diventare il punto di raccordo e di unione tra queste due discipline. La nostra metodologia ci porta ad affrontare ogni progetto come un processo unico e spesso collaboriamo con gli altri responsabili dello sviluppo prodotti. È molto importante costruire una piattaforma strategica per quelle aziende che vogliono creare un nuovo concept ed eventualmente usare il design come strumento per avere successo. Nei nostri progetti, l’approccio è sempre sia strategico che emozionale; provochiamo piccoli caos interni per suscitare emozioni in grado di caratterizzare successivamente il prodotto. Non intendiamo cambiare il modo di pensare tradizionale.
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Veniamo interpellati, infatti, quando un’azienda desidera porsi in modo innovativo rispetto a un comportamento culturale consueto. A questo proposito, come è nato il concept della collezione PT3 Ultramagnetic per Puma? Molto semplicemente. Il ping pong non aveva ancora alcun tipo di accessorio simbolo a cui i fan club e i cultori di questo sport potessero riferirsi. Quando Puma introdusse il torneo PT3, divenne altrettanto importante introdurre degli accessori che potessero diventare facilmente delle icone riconoscibili.
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E qual’è stata l’idea principale per lo sviluppo di questo aspetto iconico? Bisognava creare un accessorio che non fosse solo utile e funzionale ma anche un oggetto da desiderare. Per sviluppare la collezione PT3 Ultramagnetic, siamo partiti
dall’analisi degli strumenti che servono a praticare il ping pong, la racchetta e la pallina e poi abbiamo ridotto all’essenziale le operazioni necessarie per usare e riporre questi elementi. Così niente cerniere e meccanismi di chiusura complicati, ma solo dei magneti. … E avete vinto il premio Best Packaging 2008 I.D. È l’esempio lampante di quello che succede quando il designer e il suo cliente si danno fiducia reciproca e di quando quest’ultimo concede al progettista completa autonomia per sviluppare al meglio un prodotto o una strategia.
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In cosa si differenzia il vostro approccio progettuale a un prodotto e a un packaging? Spesso proviamo a sviluppare
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progetti in maniera, come dire, olistica. Focalizzandoci sull’esperienza completa. Packaging e prodotto, se sviluppati insieme, di pari passo, possono creare una storia univoca, facile da capire e condividere.
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Come immaginate il futuro del packaging? Rinat: Non so come sarà il packaging in futuro, spero che non sia solo il ripensamento di un involucro che contiene un prodotto; sempre di più si deve integrare ad esso e deve diventarne il simbolo. L’imballaggio deve migliorare il prodotto finale ed essere performante anche sul lungo termine. Johan: Da un lato c’è la tendenza a ridurre l‘imballo, dall’altro il packaging diventa esso stesso un oggetto di forte comunicazione, a volte più d’impatto del prodotto. Credo che il pack debba essere della stessa qualità del prodotto, deve comunicare la stessa storia, essere fedele al suo scopo, senza orpelli inutili. Penso che questo sia il futuro...
Il vostro lavoro sembra spesso dedicato a prodotti per il freetime e il leasure. Cosa potete dirci? Il nostro studio è fortemente incentrato sul consumatore. Abbiamo esperienza di consumer brand e conosciamo bene i consumatori e i loro gusti. Quando un progetto è estremamente complicato per via dei suoi aspetti tecnologici, come nel caso del progetto per Motorola, (un ausilio tecnologico che fornisce informazioni utili per agevolare gli acquisti quando ci si trova in negozio n.d.r.), cerchiamo la strada per rendere il tutto più semplice, desiderabile ed intuitivo. Alleggeriamo le cose perché la gente non vuole oggetti complicati nella propria vita e cerchiamo di farlo capire anche ai nostri clienti. Keep it simple! Li aiutiamo a immaginare, a creare e a realizzare il loro futuro, attraverso strategia, design e marketing. Usiamo la progettazione per ripensare il brand attraverso l’approccio simple is better. Perché fare le cose complicate è facile. Realizzare la semplicità è difficile, come diceva Bruno Munari.
Ultramagnetic Packaging An innovative packaging for ping pong kits introduces us to aruliden, the creative team who designed this extraordinary product branded Puma and who were awarded the prize for Best Packaging 2008 by American magazine I.D. Francalma Nieddu Their website says: “It’s not just about design, brand strategy or marketing. It’s about using design to rethink brands, allowing the product to be the ultimate form of marketing” Aruliden is a consultancy, brand strategy and product design company, set up in 2006 by Israeli Rinat Aruh, head of brand vision and Swedish Johan Liden, industrial designer, after 20 years of shared experience in the fashion, car, lifestyle and cosmetics industries. As well as Puma their clients include Motorola, Avon, MAC/ Estée Lauder, Microsoft, MINI, Volkswagen. How did you begin? Her original and somewhat unconventional approach to design and marketing led Rinat to manage the MINI Lifestyle brand and the MaxMara brand in the US market. Instead, Johan worked as an industrial designer for companies such as Nike, Birkenstock, BMW, MAC Cosmetics, developing and creating new products which became veritable icons. We opened the studio in 2006, intending to use design as a way of rethinking the brand and, drawing on our shared experience of marketing and design, to become a point of union between these two disciplines. Our methodology leads us to tackle every project as an unique process and we often work with other product development managers. It is very
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important to build a strategic platform for those companies who want to create a new concept and eventually use design as an instrument in order to achieve success. In our projects the approach is always both strategic and emotional. We create minor internal chaoses in order to stir emotions that will subsequently characterise the product. We don’t intend to change the traditional way of thinking. Indeed, we are called in when a company wants to present itself in a more innovative way compared to customary cultural behaviour. Concerning this how did the concept for the PT3 Ultramagnetic collection for Puma come about? Very simply. Ping pong did not yet have any type of symbolic accessory that fan clubs and enthusiasts of this sport could refer to. When Puma introduced the PT3 tournament it became just as important to introduce accessories which might easily become recognisable icons. And what was the main idea in the development of this iconic aspect? We had to create an accessory which was not merely useful and functional but also an object of desire. To develop the PT3 Ultramagnetic collection we started with an analysis of the gear used to play ping pong, the racket and ball, and then we reduced the operations necessary to use and store away these elements to the bare minimum. So, no zips or complicated fasteners, just magnets.
Your work often seems dedicated to free-time and leisure products. What more can you tell us? Our studio is highly consumer oriented. We have experience of consumer brands and we know our consumers and their tastes extremely well. When a project is very complicated due to its technological aspects, as in the case of the Motorola project (a technological device which provides useful information for making purchases when you are in a store, Editor) we look for a way to make everything more simple, desirable and intuitive. We lighten things up because people don’t want complicated objects in their lives and we try to explain this to our clients. Keep it simple! We help them to imagine, create and construct their future, through strategy, design and marketing. We use design in order to rethink the brand through the simple is better approach. Because making complicated things is easy. Producing simplicity is difficult, in the words of Bruno Munari.
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How does your design approach to a product or packaging differ? We often try to develop products in a, how shall I
How do you imagine the future of packaging? Rinat: I don’t know what packaging will be like in the future. I hope it isn’t just the reworking of a covering that contains a product. It should increasingly be integrated with it and become the symbol of it. Packaging has to improve the end product and perform in the long term. Johan: On one hand there is a tendency to reduce packaging while, on the other hand, packaging itself becomes an object of powerful communication, sometimes having more impact than the product itself. I believe the pack should be the same quality as the product . It has to fulfil its purpose without any unnecessary frills. I think this is the future…
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… And you won the Best Packaging 2008 I.D. award. It is a clear example of what happens when the designer and his client trust each other and when the latter allows the designer total autonomy so that he can develop the best product or strategy.
say, holistic fashion. Focussing on the total experience. Packaging and product, if developed together, hand in hand, can create an univocal narrative which is easy to understand and share.
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Correre 1949-2009: adidas compie sessant’anni. Il marchio storico della calzatura per lo sport ha segnato il punto d’incontro tra comodità e prestazioni, tra tendenza e moda, tra materiali tecnici e tecnologia evoluta. Con un occhio al design del prodotto e uno al look della confezione. Marco Ligas Tosi
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La storia di un marchio a connotare lo scenario: lo sport come punto di partenza, la moda come punto di arrivo, le strade delle città di tutto il mondo come luogo di confronto. Adi Dassler, storico fondatore di casa adidas nel lontano 1949, si era dedicato a migliorare, attraverso i suoi prodotti artigianali, le performance degli atleti di ogni nazionalità. Sin dagli inizi, il signor Adi seppe sempre ascoltare le esigenze di tutte le categorie sportive, raccogliendo impressioni, osservazioni, necessità e feedback che poi andava ad utilizzare per lo studio di prodotti innovativi che hanno segnato la storia dello sportswear. Successivamente - in maniera del tutto naturale e rispecchiando l’evoluzione della moda e dei consumatori - l’azienda ha assunto identità ed importanza anche nel segmento Lifestyle. In questi 60 anni di vita molti sono stati i momenti di svolta: l’evoluzione dallo
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Il progetto adidas Azx, lega il nome dell’azienda tedesca a quello degli stores di sneakers piu importanti del mondo. Ogni lettera dell’alfabeto rappresenta un modello unico grazie alla personalizzazione di uno dei negozi selezionati. In tutto ne esistono 22 e questo, che è l’ultimo in ordine di apparizione, porta la firma dell’architetto Jacques Chassaing e dello stilista Markus Thaler. The adidas Azx project links the name of the German company to that of the most important sneakers stores in the world. Each letter of the alphabet represents a unique model thanks to the personalisation of one of the selected stores. There are 22 in total and this is the latest in order of appearance, designed by architect Jacques Chassaing and stylist Markus Thaler.
Micropacer Un packaging ad edizione molto limitata è quello ideato per le adidas Micropacer con microcomputer incorporato nella suola e collegabile al proprio iPod o iPhone Apple. A limited edition packaging was created for the Micropacer adidas with a microcomputer incorporated in the sole which can be connected to one’s own iPod or iPhone Apple.
sport allo streetwear, con il rilancio di adidas Originals e del riconoscibilissimo logo a trifoglio nel 1972; l’ingresso nel fashion system con Y3, lanciata 6 anni fa in collaborazione con lo stilista Yohji Yamamoto, e infine la recentissima linea Originals by Originals, realizzata con tre importanti esponenti del mondo dell’arte e del design internazionale: Jeremy Scott, Alyasha e Kazuki Kuraishi. Intervistiamo Alegra O’Hare, Head of Style della divisione Lifestyle. Possiamo definire adidas un’azienda che parla ai giovani di tempo libero ? Più che di tempo libero ci piace parlare di Lifestyle. adidas Originals è infatti un brand che rappresenta diversi stili di vita, e questo è facilmente riscontrabile dall’ originalità con cui realizziamo sia le scarpe che l’abbigliamento. Ciascun modello, quindi, rimandando ad uno specifico stile di vita, permette al consumatore di scegliere tra un’ampia gamma di prodotti e di rispecchiarvisi liberamente. La filosofia di adidas Originals porta all’estremo anche i concetti di individualità, espressività ed autenticità, grazie ad un nuovo strumento di personalizzazione, una postazione dedicata presso i punti vendita monomarca che permette di creare ad hoc il proprio paio di adidas. Cosa fate per rispondere alle richieste dei giovani? Bisogna distinguere: adidas Originals, a differenza di adidas Sport Performance che è prettamente legato al mondo sportivo, intende promuovere la libertà di espressione intrinseca in ognuno di noi. Per questo motivo siamo molto vicini
al mondo dell’arte e della musica, dell’intrattenimento e delle tendenze, cioè al mondo dei giovani in generale. Come viene considerato e percepito il vostro prodotto in Italia? E’ visto come originale, unico, personale e personalizzabile. Il prodotto esprime liberamente le emozioni di adidas. Emozioni che ci accomunano a tutti i giovani, emozioni che ci permettono di coinvolgere gli altri, rendendoci più vicini. Qual è la valenza strategica del packaging nella vostra comunicazione? E quanto incide la confezione dei prodotti nella scelta del consumatore finale? Può incidere molto, soprattutto se vengono proposte delle confezioni differenti come concezione. Il packaging è il primo contatto del cliente con il prodotto, è il mezzo per comunicare tutte quelle caratteristiche che generalmente sono meglio identificabili solo dopo l’acquisto. La confezione del prodotto è quindi molto importante e può avere valenze diverse: come la copertina di un libro può contribuire ad aumentare (o diminuire) quelli che si definiscono gli “acquisti di impulso” ed è anche uno strumento di visual
adidas 1 Chiamate semplicemente “1” sono le sofisticate scarpe dotate di sensore magnetico per rilevare il tipo di suolo calpestato e il grado di ammortizzazione necessario al piede. Un prodotto che, nel 2004, rappresentava il massimo della tecnologia applicata ad una scarpa da corsa. Il packaging ricercato ed elegante prevede un kit di istruzioni per l’uso e un Cd per personalizzare al meglio le proprie scarpe. Called simply “l”, these are sophisticated shoes equipped with a magnetic sensor to detect the type of sole stepped on and the degree of absorption required by the foot. In 2004 this product represented the height of technology applied to running shoes. The sophisticated and elegant packaging includes a kit of instructions for use and a CD for personalising one’s own shoes.
Star Wars per adidas Consortium Yoda Light Side and Darth Vader Dark Side Superstars Ogni anno per la linea Consortium adidas realizza uno speciale packaging da collezione; nel 2007/2008 è stata creata la linea Light Side/Dark Side del modello Superstars, che ha tratto ispirazione dalla popolare serie televisiva Star Wars. Every year adidas makes a special collectors’ packaging for the Consortium line. In 2007/2008 the Light Side/Dark Side line was created for the Superstars model which drew inspiration from Star Wars, the popular TV series.
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mi-Originals è un corner (qui vediamo quello in un negozio di Berlino) in cui i consumatori possono diventare stilisti per un giorno e, tramite il computer, dare vita alla propria personale rilettura di scarpe da ginnastica leggendarie come le Superstar e le ZX 700. mi-Originals is a corner (here we see one in a Berlin store) where consumers can become stylists for a day and, by using computers, generate their own personal reinterpretation of legendary trainers such as Superstars and ZX 700s.
merchandising. Tale importanza può ulteriormente accrescersi quando attraverso il packaging si intende raccontare il messaggio veicolato dalla collezione. È questo, per esempio, il caso della linea adidas grün, linea ecocompatibile progettata e disegnata interamente con materiali organici, riciclati o biodegradabili; la scatola, in questo caso, è interamente realizzata con cartone riciclato e non colorato. Anche le edizioni limitate hanno un packaging diverso, a dimostrazione del fatto che la scarpa acquistata è speciale e preziosa. La linea Sleek, ad esempio, dedicata alla donna (le classiche adidas in versione femminile, più affusolate e appuntite) presenta un suo packaging ad hoc, originale e molto sexy. Il design ha finalmente lasciato alle spalle il minimalismo più severo per un nuovo atteggiamento che premia il garbo e l’equilibrio, l’innovazione e la comodità, la praticità, la qualità e la
ricercatezza dei particolari. Di quali caratteristiche tenete conto quando sviluppate i vostri packaging? Siamo sempre molto attenti alla confezione, in tutte le sue caratteristiche, e cerchiamo di creare packaging con nuove vesti grafiche e dall’aspetto internazionale, e per far questo ci avvaliamo dell’esperienza di diverse agenzie creative con le quali ci troviamo molto bene. Concordate con la tendenza in atto che vede la comunicazione dei singoli prodotti uniformata ai canoni generali della brand image aziendale? Assolutamente sì. Già negli ultimi anni stiamo lavorando in questa direzione, cercando di “fare linea” aiutandoci con i colori e le grafiche del pack. E’ nostra abitudine prestare attenzione ai minimi dettagli e per fare questo è fondamentale sia il supporto di validi consulenti sia un grande lavoro di squadra. Credo che il segreto per la buona riuscita di un pack consista
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nell’essere critici in prima persona; soltanto così si possono ottenere i risultati migliori. Quanto conta l’effetto-vintage, sul quale avete ultimamente puntato producendo, ad esempio, edizioni limitate di calzature sportive “storiche”? L’effetto-nostalgia è qualcosa che funziona sempre, oppure deve rifarsi ad una identità autenticamente storica di un’azienda? La moda riflette sempre sul passato e cerca di ispirarsi ad esso riproponendo capi declinati in modo attuale e contemporaneo. adidas Originals, ad esempio, incorpora nella propria collezione capi di abbigliamento e scarpe che si sono
ispirate al passato, come per esempio le L.A. Trainer (anni ‘80) cercando di riproporli con un sapore decisamente moderno. Questo perché il consumatore vuole la novità, ma con solide radici nel passato. Questa tendenza si sta esprimendo sempre di più con il revival dei brand storici (come nel mondo del denim). E per concludere, come immagina il packaging del futuro per il settore dei prodotti sportivi, che connotazioni dovrebbe avere? Credo che l’aspetto dell’ecologia e della biodegradabilità saranno sempre più importanti: ormai nelle nostre scelte di acquisto siamo tutti sempre più attenti all’impatto ambientale.
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Feel like running 1949-2009: sixty years of adidas (*) the historic sports footwear brand that marks the encounter between comfort and performance, between trend and fashion, between technological materials and cutting-edge technology. With an eye to product design and the look of the pack. Marco Ligas Tosi
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(*) always rigorously written small case, Ed.
The history of a brand that connotes a scenario: sport as a starting point, fashion as a goal, the streets of the cities of the world where this confrontation is played out. Adi Dassler, historic founder of the adidas company way back in 1949, was dedicated to improving, with his handcrafted products, the performance of the athletes of the world. Right from the start, Herr Adi was always able to sense the needs of all the sports categories, gathering impressions, observations, necessities and feedback that he then used to design innovatory products that have featured in the history of sportswear. Subsequently - in an entirely natural way and reflecting the evolution of fashion and consumption - the company also took on identity and importance in the Lifestyle sector. These 60 years have featured many turning points: the evolution from sport to streetwear, with the relaunch of adidas Originals and the highly recognisable shamrock logo in 1972; the entrance into the fashion system with Y3, launched 6 years ago in cooperation with fashion designer Yohji Yamamoto, and lastly the very recent Originals by Originals line, made with three important exponents of the international world of art and design: Jeremy Scott, Alyasha and Kazuki Kuraishi.
We interview Alegra O’Hare, Head of Style of the Lifestyle division. Can we define adidas as a company that speaks to the young about free-time ? More than free-time we like to speak of lifestyle. adidas Originals is in fact a brand that represents different lifestyles, and this can be easily seen in the original way in which we make both the shoes and the clothing. Each and every model hence, referring to a specific lifestyle, enables the consumer to choose from among a broad range of products and reflect him-herself in them freely. The philosophy of adidas Originals also extremizes the concepts of individuality, expressivity and authenticity, thanks to a new personalisation tool, a dedicated position at the mono-brand salespoints that lets you create your own pair of adidas. What do you do to respond to the demands of the young? One should make a distinction: adidas Original, as opposed to adidas Sport Performance that is strictly linked to the world of sports, intends promoting the freedom of intrinsic expression that is in all of us. This is why we are very close to the world of art and music, of entertainment and trends, that is the world of the young in general. How is your product considered and perceived in Italy? It is seen as original, unique, personal and personalisable. The product expresses the freedom of emotions of adidas. Emotions that are common to all young people, emotions that enable us to involve others, bringing us closer to them. What is the strategic value of packaging in your communication and how much does the packaging of the products affect the end consumer’s choice? It can affect it a lot, aboveall if packs different in
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conception are offered. Packaging is the customer’s first contact with the product, it is the means for communicating all those characteristics that are more easily identifiable after purchase. The product packaging is hence highly important and can have different values: the way a book cover can contribute to increasing (or reducing) what are defined as “impulse purchases” and it is also a tool of visual merchandising. This importance can increase even further when one intends expressing the message vehicled by the collection via the packaging. This for example is the case of adidas grün, an ecocompatible line entirely devised and designed using organic, recycled or biodegradable materials; the box, in this case, is entirely made with recycled non colored cardboard. The limited editions too have a different packaging, demonstration of the fact that the shoe that has been purchased is special and precious. The Sleek line for example, dedicated to women (the classic adidas in the female version, more streamlined and pointed) have their own special packaging, original and very sexy.
And to end up, how do you imagine the packaging of the future for the sports products sector, what connotations should it have? I believe that the aspect of ecology and biodegradability will be evermore important: we are becoming evermore attentive to environmental impact when we make purchasing decisions.
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Do you agree with the current trend that sees the communication of single products uniformed to the general canons of company brand image?
How much does the vintage effect count, something that lately you have wagered a lot on, for example producing limited editions of “historic” sports footwear? Is the nostalgia effect something that always works, or does it always have to be able to fall back on the authentic historical identity of a concern? Fashion always reflects the past and tries to take inspiration from the same reproposing items that are declined in a current, contemporary way. For example the adidas Originals collection items of clothing and shoes inspired on the past, like for example the L.A. Trainers (the eighties) are an attempt to repropose the same with a decidedly modern appeal. This because the consumer wants something new, but with solid roots in the past. This trend is starting to thrive with the revival of historic brands (like in the world of denim).
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Design has finally left the severest minimalism behind it for a new approach that awards elegance and equilibrium, innovation and comfort, convenience, quality and care for details. What characteristics do you consider when you develop your packaging? We always pay a lot of attention to the pack, in all its characteristics, and we try and create packaging with new graphics with an international appearance, and to do this we avail ourselves of the experience of a host of design agencies that we are very pleased with.
Very much so. We have already been working in this direction over these last years, trying to “create a line” with the help of the colors and the graphics of the pack. We are used to paying attention to the finest details and for this both the support of valid consultant as well as great teamwork is fundamental. I believe that the secret of a successful pack consists in being directly critical: this is the only way to get good results.
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Food Design n° 5
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Lo scorso ottobre si è tenuta a Torino la quinta edizione della mostra Food Design® dedicata ai progetti partecipanti al concorso di idee FOOD DESIGN® 5 Il cibo è materia- il cibo è linguaggio, organizzata dallo studio ONE off di Torino. Il concorso, diffuso con l’obiettivo di stimolare la riflessione intorno ai temi specifici del design “con il cibo e per il cibo” e del design “per il vino e distillati”, ha riscosso un’ampia partecipazione e i progetti presentati hanno riposto alla sfida creativa toccando temi quali la sostenibilità, la multifunzionalità e la ricerca di nuove forme di consumo. La mostra ha ospitato i 60 prototipi selezionati dedicati a nuovi concept legati alla somministrazione, alla presentazione e al consumo del cibo. I progetti in mostra, per la varietà di temi che hanno affrontato, sono stati suddivisi in diverse categorie: Food à Porter: tutto ciò che fino a ieri non era pensabile trasportare; Food I Know: quando l’alimento ti dice di più, rendendoti maggiormente consapevole; Food & +: quando il cibo assume una funzione in più; Food N-Use: soluzioni innovative di packaging e Food for Fun: perché ridere con il cibo è una naturale necessità dell’uomo
Il vincitore della categoria “design per vini e distillati” è stato Arnaldo Upali con il progetto Bevo per non dimenticare: l’etichetta tradizionale è affiancata da un’etichetta adesiva che, dopo aver bevuto, può essere facilmente staccata e conservata come promemoria.
Arnaldo Upali is the winner of the “design for wines and spirits” category with the project Bevo per non dimenticare - I drink in order not to forget. An adhesive label is stuck alongside the traditional label. After drinking it can be peeled off and kept as a reminder .
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Food Design n° 5 Last October saw the fifth edition of the Food Design® exhibition dedicated to projects entered for the ideas competition FOOD DESIGN® 5 Il cibo è materia - il cibo è linguaggio, organised by the ONE off studio in Turin. The competition, promoted with the idea of stimulating a mediation on specific themes of design “with food and for food” and design “for wines and spirits” was well attended and the projects shown took up the creative challenge, touching on themes such as sustainability, multifunctionality and the search for new forms of consumption. The exhibition hosted 60 selected prototypes dedicated to new concepts linked to the delivery, presentation and consumption of food. Due to the variety of the themes they dealt with, projects exhibited were subdivided into various categories: Food à Porter: including all that, until recently, it was thought to be impossible to transport; Food I Know: when the food tells you more, increasing your awareness; Food & +; when the food takes on an extra function; Food N-Use: innovative packaging solutions; Food for Fun: because laughing with food is a natural need of man.
Faccina dello Studio Boca è un progetto per incoraggiare l’inventiva rispetto al modo con cui si presentano i pasti, è un oggetto dedicato ai bambini per giocare in modo creativo ed educativo con il cibo.
Faccina, by Studio Boca, is a project for encouraging inventiveness in preparing meals. It is a delicate object intended for children so that they can play with food creatively and educationally.
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Pratica is the winning project in the category “Design with and for food”. Created by Francesca Capolongo and Silvia Grilli, it is a small half litre plastic bottle, designed to be folded, thanks to its accordion shape, kept in one’s bag and reused if necessary.
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Pratica è il progetto vincente della categoria “Design con e per il cibo” realizzato da Francesca Capolongo e Silvia Grilli: una bottiglietta in plastica da mezzo litro, pensata per essere ripiegata grazie alla forma a soffietto, tenuta in borsa e all’occorrenza riutilizzata.
LE PAROLE DEL PACKAGING GLOSSARIO RAGIONATO PER IL SISTEMA-IMBALLAGGIO
Il glossario intende far convergere e restituire, in una forma immediata e di facile fruizione, il complesso sistema di conoscenze inerente il packaging: dalle culture del progetto alle tecnologie, dalle tecniche di stampa, ai processi di confezionamento, dalle forme della distribuzione ai contenuti ambientali. Il volume rappresenta un modello di sistematizzazione della conoscenza e si pone come strumento di consultazione nel quale è possibile richiamare attraverso 1.600 lemmi i saperi sui quali, nel tempo, si è costruita la competenza del packaging designer.
Gli autori Valeria Bucchetti - Ricercatore di Disegno industriale al Politecnico di Milano, dove insegna Design della comunicazione presso il corso di Laurea in design della comunicazione. È autore di: La messa in scena del prodotto (Milano, 1999), Design della comunicazione ed esperienze di acquisto (Milano, 2004), Packaging Design (Milano, 2005), Culture visive (2007). Erik Ciravegna - Dottore di ricerca in Disegno Industriale e Comunicazione Multimediale, svolge attività didattica e di ricerca presso il Politecnico di Milano su temi di design della comunicazione. Si occupa di packaging design, con un’attenzione alle qualità comunicative degli imballaggi. Come visual designer ha sviluppato strumenti comunicativi per l’identità di marca e di prodotto.
Con il patrocinio di Istituto Italiano Imballaggio Con la partecipazione di Ipack-Ima SpA Edizioni Dativo Srl via B. Crespi 30/2, 20159 Milano tel. 02 69007733 - fax 02 69007664 info@dativo.it - http://www.packmedia.net Finito di stampare nel mese di marzo 2009
Euro 22,00
My Pack un designer sceglie il suo packaging preferito e ci spiega il perché
Giovanni Levanti/Prismacolor
sia proprio per il suo packaging sobrio e disponibile. Si apre facilmente, il coperchio ruota trasformandosi in una base veramente solida e offre alla vista e all’uso i sessanta pastelli, leggermente inclinati come se disposti su di un leggio. La scatola è di latta e la latta è uno di quei materiali che
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è uno di quei packaging che ti viene voglia di trattenere. Fabbricata in Canada, è il regalo di uno studente/stagista francese proveniente da una scuola di design di Montreal. Da allora - dieci anni fa - è un oggetto che ogni mattina vedo in studio e continua a piacermi, sia per la qualità delle matite
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Il packaging protegge e cura, se poi è in perfetta simbiosi con il suo contenuto, comunica e introduce; altrimenti depista, non svela, devi per forza aprire per capire e di conseguenza viene poi naturale liberarsene immediatamente. La scatola delle matite colorate Prismacolor della Berol, invece,
provoca in me un moto di simpatia: forse per quel tanto di memoria ludica che porta con sé, forse perché è un materiale robusto e nello stesso tempo delicato o forse perché ha spessori che ricordano quelli della carta. La parte superiore del coperchio è di un bel rosso pompeiano con al centro un tondo chiaro col disegno di quattro matite. I bordi, l’interno e il logo sono invece di un giallo acido luminosissimo per effetto, credo, della zincatura. Il logo è caratterizzato da un segno deciso ma caldo che
sembra nato da una gestualità un po’ geometrica. In studio la scatola, generalmente chiusa, è posizionata su una mensola, accanto ad altri pastelli, pennelli e gessetti infilati in contenitori occasionali: bottiglie di acque minerali tagliate, bicchieri in disuso e ciotole di ceramica. Quando necessita è sempre pronta sul mio tavolo di lavoro: aperta, col suo contenuto di matite colorate tutte schierate. Molti dei miei disegni sono stati realizzati con queste matite
My Pack A designer chooses her favourite packaging and explains to us why
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Giovanni Levanti/Prismacolor Packaging protects and takes care of its contents. If packaging and its contents are in perfect symbiosis then it is both a vehicle and a form of presentation. Otherwise, it leads you astray and doesn’t disclose anything. You are forced to open it to see what is inside and therefore it is natural to get rid of it straightaway. Berol’s box of Prismacolor coloured pencils is, on the other hand, one of those examples of packaging you want to keep. Manufactured in Canada mine was a gift from a French work experience student from a Montreal college of design. Ever since I was given it - ten years ago - it has been something I see in my studio every morning and which I continue to love due to both the quality of the pencils and the plain and accessible packaging. It is easy to open. The lid rotates to become an extremely sturdy base, revealing sixty pencils which are slightly slanting as though they were placed on a stand. The box is made of tin and tin is one of those materials which I find endearing. Perhaps
che, dopo l’uso, ripongo da sempre nella loro scatola originale. Potenza (qualità direi) del loro packaging. Giovanni Levanti, architetto e designer vive e lavora a Milano. Tra i suoi clienti aziende quali: Campeggi, Cassina, Foscarini, PalluccoItalia, Serafino Zani. I suoi oggetti sono esposti nelle collezioni di design di diversi musei, come la Triennale di Milano,il Museum of Fine Arts di Montreal, il Museo Nazionale d’Arte Moderna del Centre Pompidou di Parigi. Ha ricevuto premi e riconoscimenti nazionali ed esteri. È visiting Professor presso Domus Academy di Milano e insegna all’I.S.I.A. di Faenza.
because of its playful nature or perhaps because it is a robust and yet, at the same time, delicate material or perhaps because it has a similar thickness to paper. The top of the lid is a lovely Pompeian red with a lighter circle in the centre containing an illustration of four pencils. The edges, the inside of the box and the logo are a very pale acid yellow due to the zinc-plating I think. The logo is sharp and yet appealing, as well as being slightly geometrical. In my studio the box, which is generally kept shut, is stored on a shelf next to other pencils, pens and chalks held in random containers: cutoff mineral water bottles, glasses which are no longer used for drinking and pottery bowls. When necessary it is always there ready on my desk with the lid open and all of the coloured pencils lined up. Many of my drawings were done with these pencils which I always put back in their original box afterwards. This is the strength (or the quality I would say) of their packaging. Giovanni Levanti, architect and designer, lives and works in Milan. His clients include: Campeggi, Cassina, Foscarini, PalluccoItalia, Serafino Zani. His objects are exhibited in the design collections of various museums such as the Triennale of Milan, the Museum of Fine Arts of Montreal, the National Museum of Modern Art at the Pompidou Centre in Paris. He has received awards and recognition in Italy and abroad. He is a visiting Professor at the Domus Academy of Milan and teaches at the I.S.I.A. of Faenza.
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Atmosfera e visual merchandising: ambienti, relazioni ed esperienze. Karin Zaghi, Franco Angeli, 2008, € 36,50 www.francoangeli.it
VANS “Off the Wall”. Stories of Sole from Vans Originals Doug Palladini, Abrams, 2009, £12.99, € 15,00 www.hnabooks.com
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Vans è un’azienda californiana di scarpe sportive che ha cambiato il volto della cultura pop con il suo spirito do-it-yourself e una filosofia legata alla vita di strada. Vans è la scarpa dei primi skaters e dei musicisti punk rock. Il suo segreto è stato quello di lasciar parlare i protagonisti realizzando modelli disegnati da Tony Alva e Stacey Peralta, padri fondatori dello skateboard, o in collaborazione con band come Bad Brains, Slayer ed Iron Maiden. Un libro adesso racconta quarant’anni di storia di questo piccolo miracolo
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Come ricorda il sottotitolo, il punto vendita è ormai diventato “un luogo e uno strumento di comunicazione”. In quanto tale, può essere impiegato in vari modi: teatralizzato, trasformato in spazio per performance dal vivo, affidato agli architetti più innovativi, aggiornato ciclicamente, o anche convertito in gigantesca confezione del prodotto. Gli autori si soffermano su alcuni casi eclatanti, come gli Epicenter di Prada, o i particolarissimi negozi Aspesi, in un’analisi a tratti assai
tecnica di una materia che ha molto a che fare coll’imponderabile dimensione del gusto. As the subheading reminds us, the salespoint has now become “a place and a means of communication”. As such it can be used in various ways: as a theatre, transformed into a space for live performances, placed in the hands of the most innovative architects, updated cyclically or even converted into a gigantic packaging. The authors linger on some sensational cases, such as Prada’s Epicenter, or the highly unusual Aspesi stores, in an analysis which is, at times, technical, of a subject which has a great deal to do with the imponderable dimension of taste.
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americano, attraverso i preziosi contributi di Alva, Joel Tudor, Oliver Peck e Marc Jacobs tra gli altri. Vans is a Californian sports shoe company which has changed the face of pop culture with its do-it-yourself spirit and a philosophy linked to street life. Vans was the skaters’ and punk rock musicians’ first shoe. Its secret was to give them a voice by making models designed by Tony Alva and Stacey Peralta, founding fathers of the skateboard, in partnership with bands like Bad Brains, Slayer and Iron Maiden. A book now tells of forty years of history of this small American miracle, with the precious contributions of Alva, Joel Tudor, Oliver Peck and Marc Jacobs among others.
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The Art of Recycling in Kenya Annelise Della Rosa, Charta, 2008, $ 47,95 www.chartaartbooks.it Questo libro raccoglie l’esperienza di Annelise Della Rosa tra Italia e Africa, ed è fatto di incontri straordinari e di tante foto. Vagabondando dall’isola di Kiwayu in Kenya, agli slums di Naiorobi, dagli atelier di Don’t Forget Africa ai mercati del ferro di Kikomba, l’autrice testimonia la vitalità dell’arte del riciclo. Ciò che per i paesi avanzati è scarto, tramite impegno e creatività può tornare ad essere utile e bello.
Così nascono sorprendenti opere che uniscono arte, estro e anche recupero della dignità personale - cose che molto spesso il consumismo esasperato occidentale trascura e tende a emarginare. This book describes the experience of Annelise Della Rosa in Italy and Africa and is made up of extraordinary meetings and many photos. Wandering from the island of Kiwayu in Kenya to the slums of Nairobi, from the Don’t Forget Africa atelier to the iron markets of Kikomba, the author provides a testimony of the art of recycling. With some hard work and inventiveness what is waste for advanced countries can once more become useful and beautiful. This leads to amazing works, which combine art, inspiration and even the salvaging of personal dignity- things that are often neglected and marginalised by the extremes of western consumerism. Frasario per giovane designer Roberto Marcatti, Robin Edizioni, 2008, € 10,00 www.robinedizioni.it Roberto Marcatti, oltre a essere un designer, ha al suo attivo diversi libri a testimonianza del fatto che il suo interesse per la materia va al di là di un rapporto esclusivamente professionale, alla ricerca della vera “anima” del design. Ma che cos’è il design, o meglio
cosa è diventato oggi? Dopo essere stato progetto, ricerca della forma, seduzione, effimero, errore calcolato, filosofia di vita o persino bandiera ideologica, oggi il design si interroga sul proprio senso: in questo volume, che raccoglie le fulminanti definizioni di centinaia di personaggi, da Oscar Wilde a Igvar Kamprad (alias Mr. IKEA), troverete certamente la vostra risposta. As well as being a designer Roberto Marcatti has written various books- proving the fact that his interest in the subject goes beyond an exclusively professional relationship in search of the true soul of design. But what is design? Or rather, what has it now become? After being a search for form, seduction, ephemera, calculated error, life philosophy or even ideological banner, design today interrogates itself on its meaning. In this book, which collects the withering definitions of personalities ranging from Oscar Wilde to Igvar Kamprad (alias Mr. IKEA), you will certainly find your answer.
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Italianità a cura di G. Iacchetti, Corraini editore, 2008, € 15,00 www.corraini.com
packaging designers today. As usual the numerous illustrated examples of packaging created by creative studios and agencies all over the world are highly compelling. Package Design Workbook Steven DuPuis, John Silva, Rockport, 2008 £ 27,50 www.rockpub.com
Magari il nome di Edward Denison dice poco, ma se pensate che è l’autore di Packaging Prototypes (e dei suoi succedanei: Packaging Prototypes: Thinking Greene e di More Packaging Prototypes) allora tutto si chiarisce. Denison, da grande esperto di packaging quale è, qui si sofferma sulle finiture, sulla grafica, sulle tecniche di stampa e di etichettatura, sui dettagli e sui materiali disponibili per i packaging designer di oggi. Come al solito, molto avvincenti i numerosi esempi illustrati di confezioni create da studi creativi ed agenzie di tutto il mondo. Perhaps the name Edward Denison means little, but when you remember that he is the author of Packaging Prototypes (and its surrogates: Packaging Prototypes: Thinking Green and More Packaging Prototypes) then it all makes sense. Denison, like the great packaging expert he is, lingers on finish, graphics, printing and labelling techniques, details and materials available for
Questo Workbook, più che un manuale, è veramente una sorta di enciclopedia in compendio dell’arte e dell’industria del packaging. Suddiviso per capitoli - anzi, per “Ingredienti” - il libro prende in esame l’evoluzione del packaging, il processo di creazione, dal concept alla realizzazione, e il modo di “padroneggiare l’arte”, partendo dalla vision per arrivare a uno stile vincente. Ma il testo riserva notevoli sorprese, come vere e proprie schede di controllo del lavoro ad uso dei packaging designer, o anche un breve profilo di alcuni di essi, ormai mitici, come Saul Bass - che, per chi non lo sapesse, fu il grafico dei titoli di testa dei maggiori film di Hitchcock. This workbook is more than a manual. It is actually a sort of quintessential encyclopaedia of art and the packaging industry. Subdivided into chapters - or rather “Ingredients” - the book examines the evolution of packaging, the process of creation, from concept to
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Print and Production Finishes for Packaging Edward Denison, Rotovision, 2008, £ 30 www.rotovision.com
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Italia vuol dire tante cose, dal cibo al mare, dalla politica all’arte. Italianità raccoglie lo sguardo e le idiosincrasie di designer, scrittori e creativi su marche, oggetti, simboli memorabili che hanno contribuito a creare la coscienza visiva dell’Italia degli ultimi decenni. Si va così dall’Apecar, alle Pastiglie Leone, dal Bacio Perugina, alla sigla del TG1, dalla Festa dell’Unità al Calendario di Frate Indovino… un dolceamaro tour sentimentale nell’Italia “bella”, che da qualche parte deve pur sopravvivere, se ci sono ancora dei grafici bravi come Ale+Ale, che illustrano meravigliosamente il volumetto. Italy means many things, from food to sea, from politics to art. Italianità collects the viewpoints and idiosyncrasies of designers, writers and art directors regarding memorable brands, objects and symbols which have contributed to creating the visual conscience of Italy in the last few decades. Ranging from Apecar, to Pastiglie Leone, from Bacio Perugina, to the signature tune of TG1, from the Festa dell’Unità to Calendario di Frate Indovino… it is a bittersweet sentimental journey through “beautiful”
Italy which must survive somewhere if there are still clever graphic artists of the likes of Ale+Ale who illustrate the book so wonderfully.
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production, and the way of “mastering art”, beginning with the vision to achieve a winning style. But the text reserves remarkable surprises, such as actual index cards used by packaging designers or even brief profiles of some who are now legendary, such as Saul Bass, who, for those not in the know, was the graphic artist who designed the opening credits of Hitchcock’s greatest films.
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1000 Package Designs GRIP, Rockport, 2008 £ 27,50 www.rockpub.com 1000 Package Design è già fin dalla copertina, stampata bianco su bianco a rilievo con i tre zeri del titolo fustellati, quasi per una possibile “impugnatura” del libro - un vero gioiello bibliografico. Concepito dall’agenzia creativa Grip di Chicago, è una raccolta delle idee di package design più innovative e coinvolgenti, suddivise non per noise sezioni commerciali, ma per categorie inventive - come “Awesome!”, “Gasp!”, o anche “aahlala!” - a loro volta ripartite e in sottosezioni come “Modern”, “Glamourous”, “radiant”, “sexy”, o “Refined”, “Savory” e addirittura “Foxy”, che francamente sarebbe difficile tradurre se non con l’inusitato “volpino”… La ricerca minuziosa dei packaging concept più raffinati e una grafica
d’eccezione rendono questo volume una incredibile miniera di spunti. 1000 Package Design is already - starting from the cover, printed in embossed white on white with the three zeros of the title punched, almost like a “handle”, on the book- a veritable bibliographical jewel. Designed by the creative agency Grip of Chicago it is a collection of the most innovative and captivating package design ideas, subdivided not by boring commercial sections but by inventive categories - such as “Awesome!”, “Gasp!”, or even “aahlala!” -further divided into subsections such as “Modern”, “Glamorous”, “radiant”, “sexy”, or “Refined”, “Savoury” and even “Foxy”. The meticulous study of the most sophisticated packaging concepts and exceptional graphics make this book an amazing mine of ideas. Sarò il tuo specchio. Interviste a Andy Warhol A cura di A. Cueff, Hopefulmonster, 2008, € 35,00 www.hopefulmonster.net “I love the packaging, I love the feeling of it…I want to do something…”, pare abbia risposto Andy Warhol quando, nel 1985, i creativi della Absolut Vodka gli proposero di occuparsi della comunicazione della loro celebre bottiglia... Del
resto, il legame di Warhol con l’universo delle merci e delle confezioni non necessita di spiegazioni, se si pensa che egli ha preso spunto dai beni di largo consumo fin dagli esordi, “rifacendo” le scatole di Brillo Box e dipingendo ritratti veritieri della bottiglia di Cocacola. Ma il suo genio artistico e la forza della sua opera non sono riducibili ai soliti luoghi comuni sulla superficialità warholiana: questa importante raccolta di interviste, quasi tutte inedite in italiano, ne è la più seria conferma. “I love the packaging, I love the feeling of it…I want to do something…”, it seems was Andy Warhol’s answer when, in 1985, the art directors of Absolut Vodka suggested that he should do the advertising for their famous bottle… On the other hand, Warhol’s connection with the world of goods and packaging does not require any explanation if you remember that he took his cue from consumer goods right from his debut, “reworking” the Brillo Box and painting lifelike portraits of the CocaCola bottle. But his artistic genius and the power of his work cannot be reduced to the usual clichès on Warholian superficiality. This important collection of interviews, hardly any of which have been previously published in Italy, is the firmest proof.
semestrale di cultura del packaging, comunicazione, arte e design