La regina dei rifiuti

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La Regina dei Rifiuti Nel lavoro artistico di Enrica Borghi scarti e rifiuti sono il materiale prosaico da cui nasce la poesia di opere magiche.

Federica Bianconi


MURO E TAPPETI - 2005

Riciclo, manipolazione, combinazione, ripetizione, pastiche, metamorfosi, magia… Nella tua opera differenti nozioni confluiscono in progetti complessi. Questi sistemi, dinamici e poetici, quanto si allontanano dal materiale recuperato, inteso elemento base dellʼopera? Riciclo e manipolazione... credo molto alle potenzialità degli oggetti scartati. Non solo nella pattumiera ma anche nella società. Mi piace guardare quello che la gente definisce inutile e a cui dichiara una fine di destinazione d’uso. La mia manualità, il tempo interminabile che dedico nel riassemblare gli scarti è il tempo della riflessione, della trasformazione magica in cui tutto può essere reintegrato, rigenerato. Le mie installazioni subiscono realmente una metamorfosi dell’oggetto... Sposto l’attenzione, la tensione nel punto in cui l’oggetto non è più riconoscibile... Viene letto con una identità completamente nuova e magnifica. Nel caso del Mandala per esempio assemblo migliaia e migliaia di tappi di plastica in modo geometricamente perfetto, come un intarsio prezioso oppure un tappeto arabo... il lavoro procede per due tre giorni e poi, a fine mostra si distrugge tutto per essere ricomposto nuovamente. L’idea che questa perfezione geometrica sia liquida e instabile, riproponibile in migliaia di forme e possibilità mi anima e mi dona l’energia per ripetere all’infinito questi schemi... Se da una parte mi interessa l’aspetto fabulistico dall’altra è intrinseco l’aspetto non solo ecologista-ambientale ma anche sottilmente sociale... L’idea che esistano non solo cose ma pensieri, uomini, ideologie che vengono scartati, ritenuto fuori moda, fuori tempo... destinate a non avere più una seconda possibilità per essere nuovamente interpretati... questo mi stimola e mi crea la forza

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Enrica Borghi, 35 anni, Regina del Riciclo, inizia l’attività artistica elaborando installazioni con materiali di recupero attinti dall’universo femminile (unghie finte, bigodini, ornamenti vari) e/o domestico (sacchetti della spesa, plexiglass, etichette e imballaggi, bottiglie vuote…). Nel 1995 espone elaborati abiti femminili e la serie delle Veneri alla Galleria Peola di Torino, poi, nel 1997 partecipa alla collettiva curata da Lea Vergine Quando i rifiuti diventano arte presso il Museo d’Arte contemporanea di Rovereto. Nel 1999 realizza la Regina al Museo d’Arte contemporanea di Rivoli; il suo lavoro è presentato al Mamac di Nizza fino al 30 ottobre 2005). Con un progetto ambizioso in corso: un luogo in cui realizzare i sogni, l’Asilo Bianco - un antico palazzo vicino al Lago d’Orta. Lo scopo: rappresentare attraverso le diverse tonalità del bianco, attraverso le cadenze e le eco temporali dei fiori, delle nubi e dei sorrisi, gli eterni finiti della vita umana…

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per continuare nella mia ricerca senza fine...

LA REGINA - 1999

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Che scontro o complicità hai con le cose? Ti capita di percepire subito che un materiale è incapace di partecipare al progetto, oppure versatile, aperto, svincolato dalla sola dimensione fisica e funzionale? Quali oggetti sono inavvicinabili al tuo lavoro? Gli oggetti inavvicinabili nel mio percorso? Bella domanda... Sicuramente quelli poco sintetici, chimici, che non hanno skin, seduzione. Non è matematico che un materiale oppure un oggetto non comunichino con il mio lavoro, a volte deve semplicemente trascorrere del tempo. Non sempre sono in grado di cogliere le potenzialità di un materiale o di uno

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Che valenza ha il singolo oggetto e quale plusvalore dà la capacità di intuire lʼaspetto soft di un materiale, destabilizzarlo e liberarne la potenzialità espressiva? Quanto viene ri-pescato e quanto ri-pensato? Un oggetto preso singolarmente, destinato allo scarto mi interessa proprio in quanto nato e pensato per essere usato e gettato velocemente. Penso appunto a tutti i packaging seduttivi e colorati... L’idea di accumularli e ripensarli mi viene suggerita dall’oggetto stesso, dalla sua forma, dalla costituzione chimica intrinseca nel materiale. Per esempio le bottiglie di PET immediatamente mi hanno fatto pensare al vetro, e per esempio la loro malleabilità al calore ha esaltato le infinite possibilità operative. La merce che compro mi dona sempre un senso di insicurezza... anche quello che mangio, tutto ciò che viene consumato, divorato, eliminato, mi crea una forte instabilità e forse per questo decido di rinchiudermi in studio e ricucire questa ferita per ore ed ore...


PALLE DI NEVE Luci dʼartista, Torino 1998 -2006

I FIORI DELLA LUNA 2001

MANDALA, 2000

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Che ruolo ha la manualità e la tecnica nella definizione dellʼopera? Hai collaboratori che ti aiutano nella realizzazione delle tue installazioni? Il ruolo della manualità è determinante nel mio lavoro. È proprio attraverso il lavoro lento e maniacale che riesco a ricreare le magie. Gli abiti del ‘96 eseguiti con sacchetti tagliati e annodati erano intrecciati a maglia, ed è tenendo fede allo spirito della manualità femminile che procedo nella mia ricerca. Il tempo esce dalla frenesia isterica e diviene un fuori luogo, un tempo recuperato dal consumismo dell’usa e getta da cui sono tanto sedotta. Durante l’esecuzioni di installazioni importanti mi aiutano spesso dei collaboratori ma anche degli studenti dell’Accademia o del Liceo Artistico. L’aspetto dell’arte

contemporanea come esperienza didattica e momento collettivo condiviso è determinante nel mio lavoro... diviene un rituale collettivo. Mi racconti la tua magia meglio riuscita? La mia opera meglio riuscita credo sia La Regina di Rivoli. Ho assemblato circa 10.000 bottiglie di plastica trasparente, di scarto aziendale. Mi ha aiutato tutto il Dipartimento Didattico del Museo e molti studenti ed è stata realizzata all’interno della stanza dove poi abbiamo installato l’opera. Anche in questo caso, come succede sempre nel mio lavoro, il progetto di un’installazione per i bambini e l’idea di lavorare all’interno di un castello mi hanno suggerito l’idea di una Regina... proprio quella delle fiabe, come un sogno, un’apparizione trasparente ed impalpabile... Anche la sala molto grande mi ha suggerito

di lavorare con un fuori scala enfatizzato. Quando fai shopping cerchi il brand, il packaging accattivante o preferisci il prodotto anonimo? Ti capita di comprare qualcosa solo per la confezione? E conservarla per una tua opera? I supermercati o i grandi magazzini in genere mi provocano una sensazione ibrida di nausea e seduzione che spesso vorrei ribaltare nel mio lavoro. Amo frequentare i supermercati, osservare la merce come un investigatore privato... leggere le avvertenze, controllare i loghi, i colori. Compro quasi esclusivamente per la confezione e mai per il contenuto... quando sono all’estero mi piace impossessarmi di tutto ciò che non viene commercializzato in Italia, colori di bottiglie di plastica, confezioni essenzialmente di tipo

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Sei semplicemente sensibile alle tematiche ambientali o hai ossessioni e manie ecologiche? Sono una normale cittadina che esegue la raccolta differenziata, cerco senza ossessioni di inquinare il meno possibile e di fare una vita sana ed equilibrata. Ho scelto con il mio compagno Davide di vivere in una zona collinare abbandonando la frenesia della città, consapevole anche di affrontare alcune difficoltà per il mio lavoro... ho scelto di non essere al centro del dibattito... ma oggi il tema della centralità è molto discusso e forse il glocal è molto

presente anche in questo piccolo paese.

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strumento che mi permette di lavorare, trasformare un materiale. In alcuni casi sono i materiali stessi a suggerirmi emozioni, creazioni ed accumulazioni... in altri casi lascio che l’interesse verso la confezione si sedimenti per riaffiorare caricato di un nuovo valore.


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plastico, dal sacchetto al contenitore tridimensionale... Logicamente conservo e accatasto gli scarti che potrebbero servirmi per qualche lavoro... a volte restano accatastati per due, tre anni per riaffiorare come piccole magie. Quanto del tuo mondo privato e dei tuoi sogni si è realizzato nellʼarte? Hai nuovi progetti in programma presso gallerie e musei? Moltissimo, ho potuto diventare una Regina in un mondo di rifiuti… Comunque di un regno che nessuno voleva... Ho potuto avere abiti e gioielli preziosi, di plastica riciclata ma comunque unici: un chilometro di via luminosa con fiocchi di neve giganti come mongolfiere, magie luminose, stanze da mille e una notte. L’arte mi permette di avere quella famosa bacchetta magica che tutti da bambini vorremmo avere.

ARCHITETTURA DI LUCE, 2004

Mi racconti qualcosa dellʼattuale lavoro al Musée dʼArt moderne et dʼArt contemporaine di Nizza? La mostra presso il Mamac di Nizza

è costituita con un materiale nuovo nel mio percorso di ricerca ed è stato realizzato appositamente per questa mostra. Ho visitato alcuni anni fa una industria di pellicole di alluminio e ne sono rimasta folgorata... Spesso mi sono impadronita di carte dei cioccolatini come feticci, ma vista in quantità

industriali è stata un’apparizione. Subito ho pensato che prima o poi avrei utilizzato questo materiale così incredibile. La seduzione subita da questo materiale è veramente entusiasmante, l’argento, il cangiante, colori opachi, lucidi e satinati come stoffe, sete preziose. Visitando il museo di Nizza ho deciso che finalmente questo materiale poteva coincidere con il luogo, l’atmosfera ed il concetto che volevo analizzare. In una parete del Mamac ho installato circa 12.000 palline avvolte in carte di alluminio colorato e assemblate tra loro fino a comporre un decoro ad arabesco. L’idea di contaminazione arabeggiante si ripete nei tappeti installati a terra e a muro. Sono realizzati attorcigliando la pellicola in lunghe stringhe che vengono incollate in modo spiraliforme dal centro verso l’esterno. Il tema quindi è la linea curva, un rimando al Liberty, alla Belle Epoque e al ricordo sedimentato della Costa Azzurra: luccichio e bagliori preziosi, il mare... A completare l’installazione una camera completamente rivestita di alluminio blu, con una coperta di sei metri in cui sono state posizionate, intrecciate, aggrovigliate migliaia e migliaia di rose blu. Eseguite tutte manualmente, come le 12.000 palline accartocciate. I fiori mi suggerivano la realizzazione di fiori di carta votivi, ma anche il sapore decadente di fine ottocento... una sensazione sospesa tra effetto claustrofobico e seduzione. Dall’armadio pure sbucano cascate di rose, dal lampadario, sul tavolo e dal comodino, ancora una linea sottile, ossessione di un materiale ma rilettura fuorviante del medesimo. 2/05 19

Federica Bianconi è architetto e si occupa di allestimento di spazi espositivi e commerciali; ha curato mostre di arte contemporanea e collabora a riviste di settore.


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The Queen of Waste In Enrica Borghi’s artwork scrap and rubbish are the prosaic materials from which poetic and magical works are born. Federica Bianconi

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bottles immediately made me think of glass, and their ductility to heat for example heightened their infinite working possibilities. The goods I buy always give me a sense of insecurity.. even food, everything that is consumed, devoured, eliminated creates in me a strong sense of instability and perhaps this is why I decide to lock myself into my studio and lick my wounds for hours on end.

What value does the single object have and what surplus value is given by your ability to sense the soft aspect of a material, destabilise it and release its expressive potential ? How much is salvaged and how much is re-examined? An object taken singly, destined for the scrap heap, interests me precisely because it was conceived to be used and thrown away rapidly. I am thinking of all that seductive and coloured packaging, the idea of collecting it and rethinking it is suggested to me by the object itself, by its shape, by the intrinsic chemical make-up of the material. For instance, PET

Are you simply sensitive to environmental issues or do you have ecological obsessions and fads? I am a normal member of society who recycles rubbish. Without getting too obsessed I try to pollute as little as I can and to lead a healthy and balanced life. I have chosen with my partner Davide to live in the hills, abandoning the frenzied life of the city, conscious of having to face some difficulties in my work… I have chosen not to be at the centre of the debate… but nowadays the theme of centrality is very much debated and perhaps glocal is very much present in this small town too.

What kind of conflict or complicity do you have with things? Do you perceive immediately that a material is incapable of being part of a project, or rather that it is versatile, open, not bound to the sole physical and functional dimension? Which objects are too far removed from your work? Which objects are removed? Good question.. certainly those which are a little synthetic, chemical, skinless, lacking in seduction. A material or object isn’t automatically excluded from my work. Sometimes it just needs time. I am not always able to pick up on the potential of a material or instrument which allows me to work, and transform a material. In some cases it is the material itself which suggests emotions, creations and accumulations… In other cases I let the interest in the packaging settle in order for it to resurface loaded with a new value.

What role does manual skill and technique have in the definition of the work? Do you have collaborators who help you to produce your installations? The role of manual skill is a significant factor in my work. It is precisely by working slowly and fussily that I manage to recreate its magic. The clothes of 1996 made out of slashed and knotted bags were knitted together and it is by keeping faithful to the spirit of female manual skill that I proceed with my work. Time is no longer hysterical frenzy but becomes something else, rescued from that disposable consumerism I am so seduced by. During the making of large installations people or students from the Academy or Art school often help me. The aspect of contemporary art as a learning experience and shared collective moment is significant in my work… it becomes a collective ritual. Will you tell me about the magic of yours which worked best? I think my most successful magic is La Regina at Rivoli. I assembled about 10,000 transparent plastic bottles, rejects. I was helped by the Teaching Department of the Museum and many students and it was done inside the room where we then installed the wok. In this case too, as always happens in my work, the project for an installation for children and the idea of working inside a castle suggested the idea of a Queen to me… the Queen of fairy tales, like a dream, a transparent and intangible apparition. The large room also suggested to me that I should work on something emphatically out of scale. When you go shopping do you look for a brand and enticing packaging or do you prefer the anonymous product? Do you happen to buy something purely because of the packaging? And do you then keep it for one of your works? Supermarkets and large stores in general give

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Recycling, manipulation, combination, repetition, pastiche, metamorphosis, magic…In your work different notions merge in complex projects. How far are these dynamic and poetic systems removed from the recycled material which is a vivid basic element in your work? Recycling and manipulation. I believe strongly in the potential of scrapped objects. Not just things thrown away in the rubbish but society’s rejects too. I like looking at what people define as useless and defunct. My manual skill, the endless time I dedicate to reassembling the

scraps is a time for reflection, the magical transformation in which everything can be reintegrated, regenerated. My installations truly undergo a metamorphosis of the object. I shift the attention, the tension to the point where the object can no longer be recognised… It has to be read as having a totally new and magnificent identity. In the case of Mandala for instance I assemble thousands and thousands of plastic bottle tops in a geometrically perfect way, like a precious inlay or a Persian carpet… the work goes ahead for two or three days and then, at the end of the exhibition it is all destroyed in order for it to be put back together again. The idea that this geometrical perfection is liquid and unstable, that it can be shown again in thousands of different shapes stimulates me and gives me the energy to repeat these patterns infinitely... On one hand I am interested in the fable-like aspect but on the other hand the aspect which is not only ecologicalenvironmental but also subtly social is intrinsic…The idea that there not only things but ideas, men, ideologies which are scrapped, held to be no longer fashionable, dated, destined not to have a second chance to be interpreted in a different way… this stimulates me and gives me the strength to work incessantly.

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Enrica Borghi, 35 years old, Queen of Recycling, began by creating installations using material for recycling drawn from the female universe (fake nails, rollers, various ornaments) and/or the domestic world (shopping bags, Plexiglas, labels and packaging, empty bottles…) In 1995 she exhibited fancy women’s clothes and the series Veneri at Galleria Peola in Turin. Then, in 1997, she took part in the group exhibition curated by Lea Vergine Quando i rifiuti diventano arte at the Museum of Contemporary Art of Rovereto. In 1999 she held an exhibition entitled Regina at the Museum of Contemporary Art in Rivoli. Until 30th October 2005) her work is exhibited at Mamac in Nice. With an ambitious project in progress in a dream location - Asilo Bianco - an ancient palace close to Lago d’Orta. The purpose: to represent through different shades of white, through the temporal rhythms and echoes of flowers, clouds and smiles the eternal finites of human existence…

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me a hybrid sensation of nausea and seduction which I would often like to turn upside down in my work. I love going to supermarkets, scrutinising the goods like a private detective.. reading the health warnings, controlling the logos, the colours. I almost always buy something for its packaging and never for its contents… when I am abroad I love getting hold of things which are not sold in Italy, coloured plastic bottles, essentially plastic packaging, from the bag to the three dimensional container… Logically I keep and pile up the scraps which might be useful for one of my works - sometimes they remain piled up for two or three years to then emerge like little acts of magic.

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How much of your private world and your dreams are reproduced in your art? Do you have new projects in the pipeline at galleries and museums? A great deal. I was able to become a queen in a world of rubbish... a queen nobody wanted however... I was able to have precious clothes and jewellery, made of recycled plastic but anyway unique: a kilometre - long bright path with snowflakes as big as balloons, dazzling enchantments, rooms from the Arabian nights. Art allows me to have that famous magic wand all children would like to have. Will you tell me something of your current work at the Museum of Modern and Contemporary Art in Nice? The exhibition at Mamac in Nice consists of new materials created specifically for this event. A few years ago I visited an aluminium foil factory and I was electrocuted. I have often collected chocolate wrappers as a fetish but to see them in industrial

quantities was a vision. I immediately thought that sooner or later I would use this incredible material. The seduction of this material is truly thrilling: the silvery, shimmering, opaque, shiny, satiny colours like precious silks and fabrics. Visiting the museum of Nice I decided that finally this material might match the place, atmosphere and concept I wanted to explore. On one wall of Mamac I installed about 12,000 little balls wrapped in coloured aluminium foil and arranged so as to compose an arabesque pattern. The Arab influence is repeated in the carpets on the floor and walls. They were made by twisting the foil into long strings which are glued in a swirls moving outwards. The theme is therefore the curved line, an echo of Nouveau Art, the Belle Epoque and the memory of the Cote d’Azure. A precious twinkle and glow, the sea… To complete the installation there is a room that is entirely covered in blue aluminium with a six metre blanket on which thousands and thousands of blue roses were placed, woven, tangled. All made by hand, like the 12,000 little scrunched up balls. The flowers reminded me of the making of votive paper flowers but also the decadent flavour of the end of the 19th century… a sensation somewhere between claustrophobia and seduction. Roses spill out of the cupboard too, from the lamp, on the table, on the bedside table, again a thin line, the obsession of a material but a misleading reinterpretation of the same.

Federica Bianconi is an architect and works on setting up exhibitions and commercial spaces. She has curated contemporary art exhibitions and contributes to trade magazines.


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