Non c’è trucco non c’è inganno Il trucco non mente quasi mai, anche se inganna sempre Antonio Piotti
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La parola “trucco” nasconde un significato sinistro e fuorviante. Essa rimanda a una procedura ingannevole, a una mistificazione, ci fa intendere che c’è una verità autentica, una realtà, al di sopra della quale viene stesa una sorta di maschera con lo scopo di nascondere le imperfezioni del reale e di contribuire a migliorare l’aspetto del soggetto, falsificandolo. A causa di questo, che io ritengo una sorta di retaggio cattolico, il nostro atteggiamento nei confronti della cosmesi resta profondamente ambivalente: da una parte ne rimaniamo soggiogati ed affascinati, dall’altra la consideriamo una sorta di camuffamento che nasconde il vero Sé del soggetto dallo sguardo degli altri, un segno di debolezza, trasmesso attraverso un’impropria dimostrazione di forza.
noi perveniamo ad una definizione di noi stessi (rispondiamo alla domanda “chi sono io?”) solo attraverso una serie di identificazioni successive, come se, per sapere chi siamo, dovessimo semplicemente mostrare la gallery fotografica di tutte le persone che abbiamo incontrato, amato, odiato, desiderato ed invidiato fin dalla nostra infanzia; una gallery dalla quale non sono ovviamente escluse le persone immaginarie: gli attori dei film, le pop star, gli idoli televisivi con i quali ci siamo identificati. Ecco: noi siamo la sommatoria di una serie di immagini portate dentro di noi, siamo questa sommatoria in un modo tutto nostro e magari originale, ma siamo appunto questa pluralità di soggetti psichici differenti all’interno dei quali è semplicemente stupido chiedere quale sia quello autentico.
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NEL TRUCCO NON È BELLO CIÒ CHE PIACE, MA CIÒ CHE RISPONDE A PRECISE ESIGENZE SOCIALI.
Le cose tuttavia non sono affatto così semplici: basterà poco per accorgersi che questo vero Sé che starebbe sotto la maschera è esso stesso una finzione e una mascheratura (un po’ come, nell’agricoltura biologica, il frutto “vero e naturale” sembra contrapporsi al frutto “finto ed artificiale” prodotto attraverso il trucco dei pesticidi e dei conservanti chimici ma, in realtà, sappiamo benissimo che il processo di produzione cosiddetto biologico è anch’esso basato su una serie di tecniche e di procedure che devono portare il prodotto a prestarsi alla grande distribuzione e che l’uso del termine “autentico” è qui fortemente discutibile, tanto più dopo che molti scandali hanno messo in luce la falsità di alcune produzioni che si fregiavano dell’etichetta biologica). Che cosa sarebbe infatti questo vero Sé del soggetto? Freud sostiene che
Se le cose stanno così allora qual è il compito svolto dal trucco? Cosa otteniamo truccandoci? Semplicemente decidiamo di far vivere per un certo lasso di tempo una delle tante “persone psichiche” che compongono la nostra identità, la facciamo vivere perché essa svolga il suo compito che può essere tanto quello di suscitare ammirazione e desiderio (come accade nella nostra raffinata società occidentale) quanto quello di segnalare un’intenzione aggressiva o un intento minaccioso come accadeva in alcune società tradizionali. Non appena l’intento seduttivo o quello minaccioso vengono meno, anche la personalità suscitata può ritornarsene in buon ordine al suo posto in mezzo alle altre senza bisogno che essa appaia come prevalente. Così, allora, il trucco non mente quasi
IN THE CASE OF MAKEUP, BEAUTY MEETS PRECISE SOCIAL NEEDS.
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mai, anche se inganna sempre. Non mente perché rispecchia sempre un aspetto del soggetto; inganna sempre perché ipostatizza questo aspetto facendo sì che esso prevalga su tutti gli altri e dando la falsa illusione che esso sia l'unico. Il guerriero non è solo guerriero ma anche contadino, padre, etc. la donna non è solo femme fatale ma anche madre, casalinga, compagna, etc. Tuttavia, anche questo non basta per dirci cosa significhi veramente oggi truccarsi e, soprattutto, se questa operazione sia ancora possibile: se è vero infatti che il trucco non è una semplice falsificazione da contrapporre alla verità, ma rappresenta sempre e soltanto una delle possibilità del soggetto che si trucca, bisogna anche aggiungere che questa operazione per avere senso deve essere socialmente
come in nessuna altra cosa, non è bello ciò che piace ma ciò che risponde a delle precise esigenze sociali. La sua efficacia seduttiva dipende dalla cultura di appartenenza: i trucchi delle donne appartenenti a società primitive sono per noi mostruosi ma affascinano i membri di quelle stesse società, e l’esperienza non è mai esportabile. La femme fatale e il guerriero, appartengono a dei modelli prodotti da un sistema culturale cui il soggetto si ispira quando decide di truccarsi, ma cosa succede quando questi modelli smettono di esistere? Quando il sistema sociale non offre più punti di riferimento che non siano obversi (che non rappresentino altro che lo sguardo stesso del soggetto)? Succede che truccarsi diventa impossibile perché non esiste più alcun sistema codificato di
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QUANDO TRUCCARSI DIVENTA IMPOSSIBILE, IL VOLTO SI COPRE DI TRACCE MISTERIOSE.
codificata. Non c’è niente che meglio del trucco rappresenti l’ordine simbolico di appartenenza, non c’è niente di meno esportabile, e non c’è niente di più caratterizzante. Ed in effetti il maquillage, a differenza dell’opera d’arte, non può nutrirsi semplicemente dell’energia creativa del soggetto, ma deve trarre la sua fonte di ispirazione principale da una serie di esperienze ben codificate, ci si trucca seguendo un modello definito e l’abilità della messa in atto si misura sulla base dell’efficacia sociale che esso dimostra. Il trucco è cioè una pratica simbolica e non immaginaria. Si comprende bene tutto questo quando si riflette su come sia facile per chiunque registrare la pacchianeria di un trucco eccessivo, come se ognuno di noi possedesse a questo riguardo un canone estetico ben definito ed assolutamente rigoroso. Nel trucco,
riferimento, perché non si sa più cosa dire, quali sentimenti suscitare e a chi rivolgersi. Succede che si passa dal trucco al non-trucco, dalla comunicazione seduttiva alla seduzione della non-comunicazione. Va perduta la distinzione di genere e il volto del soggetto non rimane vuoto o senza trucco ma si lascia coprire da una serie di tracce misteriose il cui mistero deriva dal fatto che sono come un linguaggio senza codice, una serie di immagini senza senso, come nel dripping di Pollock: c’è ancora un quadro ma è un nonquadro, di cui permane soltanto il gesto - come se si scrivessero ideogrammi incomprensibili per il puro gusto di lasciare un segno sulla carta. Antonio Piotti, psicologo,ha pubblicato (con M. Senaldi) Lo Spirito e gli Ultracorpi, Franco Angeli 1999 e Maccarone m’hai Provocato, Bulzoni, 2002.
IF MAKING UP BECOMES IMPOSSIBLE, THE FACE IS COVERED WITH MYSTERIOUS SIGNS.
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No making up no deception Makeup almost never lie, though they always deceive
So, then, makeup almost never lies, although it always deceives. It doesn't lie because it always reflects a true aspect of the wearer; it always deceives because it incarnates a single aspect, allowing it to prevail over all the others and giving the false impression that this is the only one. The warrior is not only a warrior: he is also a farmer, father or other figure; a woman is not only a femme fatale; she may also be a mother, housewife, or companion. Nevertheless, it is still not sufficient to explain what it really means to apply makeup and, in particular, if this process is still possible today. If it's true that makeup is not a simple falsification to disguise the truth, but always and only represent one of the personalities of the person using them, then we must remember that in order for this process to have any sense, it must be socially defined. makeup is an unparalleled way to represent the symbolic order of belonging: there is nothing less easily exported and nothing more characterising. And in fact, unlike works of art, maquillage cannot feed simply off the creative energy of the wearer; it must draw its source of principal inspiration from a series of well-defined experiences. We apply makeup by following a definite model and the success of the action is measured on the basis of the social efficiency that it achieves. Applying makeup is a symbolic and real practice. All this is much more understandable when we reflect on how easy it is for anybody to notice the showiness of excessive makeup, as if each one of us possessed a specific and absolutely iron-clad set of aesthetic rules. In the case of makeup, like no other product, does
the old adage "beauty is in the eye of the beholder" become "beauty is what meets precise social needs." Its seductive power depends on the culture where it is used. The makeup used by women in the more primitive societies charm the members of their groups, and yet are viewed as grotesque in ours. The experience is rarely exported with success. The femme fatale and the warrior are models produced by a cultural system that guides the wearer in applying makeup. But what happens when these models cease to exist? When the social system no longer provides points of reference that are not obverse (which don't represent anything but the gaze of the wearer)? The result is that makeup becomes impossible to use because there is no set reference system; we are left without expressive means, we don't know what feelings to stir up nor who to refer to. Another result is that we switch from makeup to non-makeup, from communicating seduction to the seduction of non-communication. The distinction of the gender is lost and the face of the wearer is not left empty or without paint and powder, but allows itself to be covered by mysterious signs whose mystery lies in the fact that theirs is a language without classification, a series of senseless images, like Pollock's famous dripping paintings: the art work is still there, but it is a non-painting, where only the gesture remains – as if incomprehensible ideograms were written for the pure delight of leaving a sign on the paper.
Antonio Piotti, psychologist, has published (with M. Senaldi) Lo Spirito e gli Ultracorpi, Franco Angeli 1999 and Maccarone m’hai Provocato, Bulzoni, 2002.
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The word " makeup" conceals an inauspicious and misleading significance. It conjures up a superficial process, an outward transformation, leading us to believe that there is another truth, a reality, hidden underneath what is applied like a mask to veil the imperfections of reality and to enhance the appearance of the wearer by falsifying it. Due to this masquerade, which I hold to be a sort of universal legacy, our attitude toward makeup has remained deeply ambivalent. On the one hand, we are left pleasantly surprised and charmed, while at the same time, we view it as a camouflage that hides the true Self of the wearer from the eyes of onlookers, a sign of weakness conveyed through an inappropriate show of strength. In reality, things aren't quite so simple. It doesn't take much to figure out that this true Self under the mask of makeup is itself a charade and a disguise (a little bit like the "natural and genuine" fruits and vegetables grown with biological farming methods, as opposed to the "imitation and artificial" fruits and vegetables grown using pesticide " makeup " and chemical preservatives. Of course, in truth, we recognise that so-called "biological farming methods" are equally based on a series of techniques and procedures that yield a product
suitable for large scale distribution; use of the term "genuine" here is questionable, even more so after a spate of scandals shed light on the spuriousness of some producers brandishing the biological label). Who or what exactly is this true Self of the wearer? Freud holds that we can reach a definition of ourselves (in response to the query, "who am I?") only after a series of successive identifications. This means that in order to know who we are, we have to look back on a photo gallery of all the people we have ever met, loved, loathed, desired, or envied from our early childhood to the present. Clearly, such a gallery would also include fantasy personages: Hollywood actors, pop stars, television heartthrobs, and others we have identified with over the years. So, we are simply a summation of a series of images deep inside ourselves. We are a very personal and original end product, in the same way that we are a fusion of different spiritual beings. It is simply preposterous to ask who or which is the real one. If this is really how it stands, then what purpose do makeup serve? What end do we achieve by making ourselves up? The answer is simple: for a certain period of time, we decide to bring to life one of the many "spiritual selves" that comprise our identity; we animate it to have it perform a specific function, which may be to elicit admiration and desire (which is true in our western societies) or denote an aggressive or a threatening intention, as was the practice in traditional societies. As soon as the seductive purpose or the threatening objective loses importance, the personality drawn out can return to its place among the others, without it remaining dominant over the personas.
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