Starlight

Page 1

Starlight

1


2


Davide Acerbi

Starlight

3


4


Starlight

Un puntino, un minuscolo puntino luminoso. All’inizio non era altro che questo. Chi l’avrebbe mai notato tra i miliardi di stelle, nebulose e pianeti che affollavano i radar dei ricognitori stellari? Nessuno forse, anche perché di quel minuscolo puntino dotato di luce propria su quegli schermi non c’era traccia. Il Capitano di corvetta Miller lo vide ad occhio nudo, attraverso una delle feritoie esagonali della plancia di comando del vascello spaziale Vanguard, di ritorno da una missione di addestramento. Un dettaglio senza importanza che però incuriosì l’ufficiale, che nonostante anni di volo quasi esclusivamente strumentale, ogni tanto si fermava ancora a guardare l’eterna notte dello spazio esterno.

5


Quel corpo celeste era davvero particolare, sembrava la puntura di uno spillo su uno sfondo di una carta nera. La sua luce netta e chiara incuriosì Miller, che pure nella sua carriera ne aveva viste di cose. Stelle vicine pochi anni luce spegnersi all’improvviso, fortissimi campi gravitazionali generati da buchi neri, pulsar e galassie sconosciute. Facendo qualche passo indietro senza togliere lo sguardo dalla nuova luce, Miller chiamò un sottufficiale e si fece portare al tavolo delle mappe stellari computerizzate per vedere quali oggetti fossero presenti in quell’angolo di universo. C’erano alcune stelle minori, qualche asteroide, ma nessuna traccia di quello strano corpo celeste. Così, finita la consultazione, ascoltando distrattamente il rapporto del sottufficiale, Miller tornò subito alla feritoia. La stella, se mai lo fosse stata, era ancora là, come un diamante solitario appeso al nulla a migliaia di km. Non era un’allucinazione o una conseguenza della stanchezza, quella luce esisteva eccome. Il ricognitore Vanguard era un gioiello tecnologico alle sue prime prove di volo. Dopo una giornata intera di test degli apparati di comando e dei sistemi d’arma, il Capitano concesse all’intero personale militare di iniziare il turno di riposo. Dopo

6


l’accensione dei segnali luminosi, i corridoi metallici interni alla nave rimbombarono al ritmo dei passi del personale del turno successivo. I militari del secondo turno con un leggero brusio entrarono nella plancia di comando e nei reparti attigui e presero posto davanti ai pannelli di controllo. Solo alcuni sottufficiali, i piloti e gli addetti agli armamenti rimasero qualche minuto in più prima di smontare il turno. Le luci chiare a 5.000 °K vennero spente e al loro posto si accesero quelle azzurre, usate per simulare la naturale alternanza di notte e giorno come sulla Terra. Venne inserito il pilota automatico e tutti si apprestarono a una notte tranquilla in viaggio sulla via di casa, distante ormai poco più di una settimana di volo interstellare.

Ultimate le operazioni, Miller si tornò di nuovo alla feritoia di osservazione e rimase in piedi a guardare nello spazio profondo il puntino di luce. Gli venne però in mente un’idea e chiese a un sottufficiale di aprire una delle garitte di osservazione corazzate. Un modo per distinguere più chiaramente di cosa si trattasse. Camminarono per dieci minuti lungo i corridoi in acciaio fino a giungere davanti alla porta, che si aprì davanti a loro con un

7


suono metallico e sordo. Miller disse al sottufficiale Kriling di puntare il telemetro giroscopico non su un oggetto celeste, ma su una coordinata approssimativa. Kriling si meravigliò della richiesta perché in quella parte dello spazio sarebbe bastato nominare una qualsiasi stella o pianeta per orientare il puntamento. Una volta piazzato il telemetro sulle coordinate indicate, Kriling cedette il posto di osservazione e Miller poté vedere con maggiore chiarezza la fonte luminosa.

Era sicuramente un oggetto strano dato che, pur non essendo una stella, rimaneva assolutamente brillante e nitido. A occhio nudo l’intensità della luce doveva essere ben sopra i 6.000 K, una luce fredda e al tempo stesso costante, senza variazioni d’onda, non come quella delle pulsar. Quasi per evitare la curiosità del sottufficiale, Miller lo invitò a sedersi sul sedile di osservazione. Dopo che Kriling ebbe affondato gli occhi nella maschera di gomma nera del visore, Miller gli chiese cosa vedeva. La sua risposta fu: “Tutto normale, dico bene signore?”. Miller indugiò qualche secondo ma poi si decise a indicare al sottufficiale il punto esatto e cosa avrebbe dovuto vedere. Kri-

8


ling riappoggiò gli occhi al telemetro, si impegnò per qualche istante, provò anche a variare leggermente l’angolazione dello strumento, ma alla fine, con voce gentile disse: “No signore, mi sembra tutto normale, ma se vuole possiamo chiedere uno shot del quadrante al telescopio spaziale”. Miller rispose con un cenno “Non importa, forse è la stanchezza”. Ma quando Kriling si alzò, Miller riportò gli occhi al visore del telemetro. Era ancora là.

Tornarono in plancia. Da capitano esperto quale era Miller conosceva i principi di navigazione astronomica abbastanza da capire cosa si sarebbe potuto aspettare nello spazio e cosa no. Ecco, quella luce no. Dopo qualche ora, lasciato al secondo ufficiale il comando della nave, andò a dormire. Entrò nella sua cabina, si tolse la divisa della flotta da guerra, che secondo la tradizione era ancora confezionata con parti di lana di alta qualità e si distese sulla sua branda. Prese la piccola pastiglia che da anni prendeva contro l’ansia delle notti eterne dello spazio e chiuse gli occhi.

9


Quela luce... dopo un primo momento di buio totale e sereno, nel sonno pesante di un viaggio senza intoppi e senza preoccupazioni come di rado gli era capitato negli ultimi anni, riapparve la luce in fondo al cono d’ombra del suo sguardo incosciente. Un puntino così minuscolo da dare quasi l’impressione di essere appuntito e così luminoso da sembrare in arrivo a una velocità superiore a quella della luce stessa. Ecco il luccichio, poi l’accelerazione, la scia bluastra di idrogeno polverizzato, il calore, lo scoppio… NO! Miller si svegliò di soprassalto. La stanza era ancora attorno a lui, così come il resto della nave. Nessun segnale di allarme, solo il leggero ronzio dell’impianto di aerazione e al di fuori quello dei motori nucleari.

Nervoso e inquieto, decise di alzarsi e di rimettersi la divisa. Sapeva di avere sognato ma sapeva anche che ciò che aveva visto non era un sogno. Ma… come e cosa dire ai suoi ufficiali? Il regolamento in fase di test era molto rigido e non permetteva all’equipaggio di effettuare manovre che in missioni operative sarebbero state normali. In più conosceva la regola ferrea: in missione nello spazio esterno alla via lattea, sulle navi della

10


flotta era proibito parlare di cose che non fossero registrate sulle carte o rilevate dagli strumenti. Si poteva parlare solo delle esperienze terrestri, e con piglio realista. Miller sapeva che creare un problema attorno a una luce che solo lui riusciva a vedere equivaleva a mettere un piede nell’ambulatorio dello psichiatra lasciando fuori i gradi. Dopo due “sviste” consecutive anche un ufficiale di alto grado veniva messo a riposo per quindici giorni e lui ne aveva sicuramente già una registrata, dopo la vedetta con Kriling.

Miller si sentiva saldo ma pensava in modo forsennato a quel misterioso corpo celeste. E se davvero avesse cominciato a prendere velocità fino a diventare un proiettile, se fosse stata un’arma sconosciuta di incedibile potenza oppure un segnale? Così pensava cercando di evitare le feritoie di osservazione. Ma questo non bastava a calmarlo, né a ridurre l’eco che ormai quel minuscolo puntino produceva nella sua mente. Dopo il sogno infatti aveva l’impressione che la luce avesse come preso potenza, fosse cresciuta come un rampicante, prima sommessamente e poi senza più limiti. Il piccolo punto luminoso gli stava dentro

11


come una malattia, una pulsazione permanente. Figure disturbate di ricordi terrestri, il primo giorno in missione, esercitazioni di tiro contro asteroidi, i pochi momenti a spasso nel parco della sua città, tutto ormai usciva alla rinfusa colando dal buco provocato dalla stella. Dopo qualche minuto di sforzo di concentrazione, quando le figure occuparono tutto il campo dello sguardo, decise di lasciare la presa, svenne e cadde a terra nel mezzo della plancia di comando.

Rinvenne nella sala medica della nave. Era solo, alcune macchine accanto a lui erano accese e monitoravano la situazione su schermi verdi scuro. Si guardò attorno ma non c’era nessuno. Premette allora il pulsante per chiamare il personale medico e subito dopo apparve il medico di bordo, due infermiere, il nostromo e il vicecomandante. Il dottore ruppe il silenzio: “Come si sente capitano? Riesce a vedermi?” Miller rispose: “Non molto bene dottore”. Nessuno si mosse né disse nulla, ma le infermiere avevano le mani dietro la schiena, come se volessero nascondere qualcosa. Miller se ne accorse e girò la testa dall’altra parte.

12


Dopo un altro minuto di silenzio fu lui a chiedere: “Dunque è così che succede?”. Il dottore e gli ufficiali avevano i volti lividi e non si mossero. “Dottore!” urlò Miller, “Sono ancora il Capitano di questa nave e le ho fatto una domanda”. Gli ufficiali erano immobili, il dottore esordì: “Vede signore… io non so quello che sta vedendo, ma dagli esami che abbiamo fatto con gli strumenti di bordo abbiamo notato delle inspiegabili variazioni di millivolt all’interno della sua componentistica avanzata. Deve esserci qualche dispersione e ciò può causare allucinazioni, o disturbi della vista”. “È preoccupante?” disse Miller, mentre ormai non riusciva più a distinguere bene le sagome dei suoi interlocutori, avvolte in una nuvola di punti luminosi come fosse sciame di moscerini. “Se devo essere sincero capitano… Sì.” disse il dottore. “Non possiamo riparare i suoi circuiti visivi senza staccarli dal cervello e quindi senza interrompere funzioni vitali. Purtroppo questo è l’inizio”. “L’inizio di che?” disse il capitano. “Probabilmente di una serie di degenerazioni progressive che poco a poco metteranno in scacco le parti del suo corpo. Devo chiederle di rinunciare ai gradi capitano”. Miller acconsentì. I quattro ufficiali si avvicinarono alla branda mec-

13


canica e il più vecchio in grado si prese il compito di staccare dalla divisa i gradi di comandante della nave. Gli usci un sommesso “Spiacente signore”.

Ma Miller era già distante. Nelle sue volontà al momento dell’arruolamento aveva chiesto espressamente che in caso di problemi irrisolvibili all’hardware biologico, avrebbe dato il consenso al suo spegnimento, proprio ciò che le due infermiere stavano per fare. Tenevano in mano la scatola rossa di sicurezza che conteneva i due spinotti di titanio per premere i pulsanti RESET e STOP contemporaneamente, al di sotto dei capelli, azione che avrebbe fermato per sempre il processo autopoietico del pensiero: la morte. La fine della vita logica aveva sempre una certa solennità.

Non appena premettero i pulsanti con i due spinotti, studiati per non poter essere utilizzati da una sola persona, l’ormai ex capitano chiuse gli occhi. Dapprima vide tutto nero come un cielo senza stelle, poi, nella improvvisa leggerezza dell’assenza di gravità si sentì sereno e in pace e si allontanò dall’infermeria per

14


un ultima visita di rivista alla sua nave. Il suo sguardo era divenuto più chiaro. Passò in rassegna i volti dei soldati e il personale di bordo. In plancia vide la tristezza negli occhi dei sottufficiali, che riuniti davanti allo sbalzo del castello del timone, stavano ascoltando l’annuncio della sua morte da parte del nostromo. Miller non provò alcuna pena, si voltò verso una delle feritoie corazzate e… incredibile! Il punto luminoso era ancora là. Il capitano. Miller allora passo attraversò l’oblò e, non appena fuori, dopo aver ammirato per l’ultima volta la forma elegante del Vanguard, il sogno di una vita, si girò verso la luce e iniziò il lungo viaggio per raggiungerla.

15


16


17


18


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.