Il campo lunghissimo

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l campo, nelle riprese cinematografiche, così come in fotografia, è un termine usato per indicare l’ampiezza dell’ambiente inquadrato. Solitamente, si parla di campo quando l’inquadratura è abbastanza ampia da non mettere eccessivamente in rilievo eventuali soggetti, come persone o animali; questi faranno semplicemente parte dell’inquadratura. Nel caso un singolo soggetto fosse ripreso a distanza abbastanza ravvicinata da farlo divenire l’elemento principale dell’immagine, allora si parlerebbe di piano. L’ampiezza della visuale, detta “angolo di campo”, dipende dall’obiettivo utilizzato (grandangolare, tele, etc...) ed è espressa in

gradi o indicata, nel gergo tecnico, con espressioni come “Campo lunghissimo”, “Campo lungo”, “Campo medio” e “Campo totale”. Tutto ciò che è all’esterno dell’inquadratura è considerato come “fuori campo”. Nel gergo cinematografico per “campo” s’intende tutto ciò che è visibile dalla macchina da presa senza distinzione tra i vari tagli dell’inquadratura. Nel nostro caso, il campo lunghissimo è l’inquadratura più ampia possibile. Il paesaggio (o la scenografia più in generale) è ripreso solitamente a grande distanza ed è talmente ampio che la presenza di eventuali figure umane sarebbe difficilmente notabile.

esempio di un campo lunghissimo (se vi fosse la necessità che debba muoversi una figura umana o di rendere intuibile la sua presenza, dovremmo ricorrere ad un artificio, come il classico fumo che fuoriesce dai camini)

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titolo: Una notte da leoni titolo originale: The Hangover regista: Todd Philips anno di produzione: 2009 paese di origine: Stati Uniti d’America TIME-CODE SEQUENZA 1 ANALIZZATA:

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film Una notte da leoni e Una notte da leoni 2 sono film di data abbastanza recente (il primo del 2009, il secondo nel 2011); il loro genere va dalla commedia (anche nera a volte) a quello dell’avventura, dell’azione, il tutto con uno stile ampiamente grottesco. I due film, essendo uno il sequel dell’altro, sono, come si può immaginare, molto simili tra di loro, sia per quanto riguarda la trama, sia per le sceneggiature e sia per come è messa in piedi tutta la struttura logica-visiva della pellicola (fotografia, tempistiche,

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ritmi narrativi, genere musicale). I protagonisti di entrambi i film che dominano la scena durante l’intera durata della pellicola hanno lo scopo di darsi una “ripulita” e di ritornare in se stessi andando a cercare il loro amico disperso, sapendo che il giorno seguente del brutto accaduto avrebbero dovuto partecipare ad un matrimonio. Il coinvolgimento attrattivo dello spettatore sta tutto nella curiosità e nel sapere sempre più, tassello dopo tassello, informazione dopo informazione quello che è successo in quella notte di pura follia. Si


titolo: Una notte da leoni 2 titolo originale: The Hangover Part II regista: Todd Philips anno di produzione: 2011 paese di origine: Stati Uniti d’America TIME-CODE SEQUENZA 2 ANALIZZATA:

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può dire che il vero e proprio film, dove pian pianino si sviluppa la vera trama, lo si vede a partire dal 4° minuto circa in poi e da quando la mattina dopo alla peccaminosa nottata i 3 amici si svegliano nella stanza da letto senza ricordarsi nulla di quello che è avvenuto la sera prima. Però, prima di tutto questo ed entrare definitivamente con la mente nel film, nei personaggi e ovviamente nella “soluzione” degli eventi, c’è una parte introduttiva molto importante e significativa, finalizzata a far percepire e capire allo

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spettatore ciò che andrà a vedere e che io analizzerò. Ovviamente, la scena è stata studiata con l’intento di far da preludio, senza svelare informazioni particolarmente rilevanti che poi, invece, usciranno man mano con il prosieguo del film. Le sequenze da me analizzate hanno una durata complessivamente di circa poco più di un minuto per ciascuna. Elemento che salta subito all’occhio è la magnifica e suggestiva “carrellata” di paesaggi, urbani e non, ripresi con una forma linguisticoespressiva altrettanto suggestiva: quella del campo lunghissimo.

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Il campo lunghissimo è una “cornice ideale” che descrive l’ambientazione, evocando diversi concetti e suscitando nello spettatore emozioni, incrementate anche dalla colonna sonora, scelta per essere coerente e in sintonia. In questo caso si tratta di immagini che introducono il film, deducibili dalla sovraimpressione dei nomi dei produttori, degli sceneggiatori, degli attori, ... Nelle prime sono rappresentati dei paesaggi naturalistici e poi seguono immagini su aspetti urbani. In entrambi i casi le immagini sono statiche e prevale il paesaggio rispetto alla figura umana, in caso ci fosse. Come contenuti sembrano un po’ in contraddizione con gli eventi e le scene che successivamente andran-

no a comporre il film. In questo caso, con il grande supporto del mezzo uditivo della colonna sonora lo spettatore può essere tratto in inganno ed immaginare un tipo di film rilassante. Invece si accorgerà e si stupirà, soltanto con il trascorrere del film o a film interamente visto, della presenza di eventi insospettabili, pieni di imprevisti, di scene d’azioni, di grande movimento e di avventura, con sprazzi di comicità euforica, riassumibile con un incredibile effetto sorpresa. Il regista Todd Phillips sorprende per la sua capacità di coniugare una storia lineare con degli elementi folli, che riesce a sembrare uno strampalato film hollywoodiano d’altri tempi, senza essere troppo citazionista o avere il sapore di averlo già

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visto. Il film è come un videogioco: ogni situazione equivale ad un livello da superare, attraverso la risoluzione dell’enigma. Ogni livello è strettamente legato a quelli seguenti e ciò che importa allo spettatore-giocatore non è tanto scoprire come andrà a finire la storia, quanto viversi la trama. Lo svolgimento, dicevamo, è un insieme di situazioni verosimili, al limite della realtà, che viene condito di volta in volta con semplice ironia, volgarità o nonsense, che rafforzano il clima goliardico della pellicola. Nel particolare, nelle prime immagini la figura umana cede assolutamente lo spazio all’immensità delle montagne e del deserto, alle luci abbaglianti e ai suoi giochi riflettenti sull’acqua, alle stra-

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de lunghissime, quasi infinite, che si propagano diritte come se non avessero una destinazione precisa; luoghi che complessivamente danno una sorta di sensazione paragonabile a quella che percepiscono i personaggi nel momento traumatico del risveglio: il profondo vuoto, lo smarrimento infinito, lo sbandamento e la totale amnesia. Successivamente, come se ci fosse un salto improvviso, si passa completamente ad altro genere, infatti seguono immagini su aspetti decisamente più urbani e più complessi: l’imponenza dei vari grattacieli (di Las Vegas nel primo film e di Bangkok nel secondo) e la complessità di una grande metropoli portano a pensare ad una vita più variegata, piena di imprevisti, di opportunità quotidia-


ne, dove ogni cosa può accadere. Entrambe le sequenze assumono esattamente il ruolo come quello di un prologo. Prima di tutto è evidente il punto temporale in cui esse vi appaiono: le immagini si aprono immediatamente dopo la comparsa del titolo del film che appare su uno sfondo neutro e chiaro (vedi immagini). In aggiunta, c’è da considerare che questo tipo di riprese fatte con campo lunghissimo svolgono anche una funzione espressiva dove l’inquadratura è caratterizzata dall’ambiente cir-

costante consentendo di rappresentare un vasto panorama che serve per un’ambientazione storica e, in questo caso, maggiormente geografica; il regista deve farci vedere i luoghi in cui si muoveranno i personaggi. La tipologia delle immagini scelte, i vari titoli di testa e la musica, curiosamente straniante al punto da far dubitare di stare vedendo il film “giusto”, fanno di questa sequenza una vera e propria sigla di apertura.

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ove vai in vacanza? è un film del 1978, diviso in tre episodi indipendenti; il terzo, diretto da Alberto Sordi, di cui analizzerò parte del film, si intitola Le vacanze intelligenti. Le cose che compaiono nei film e che compongono un determinato ambiente, diventano talvolta i veri protagonisti di una pellicola, grazie ad una sapiente messa in scena. Un oggetto d’arte, un elemento di uso comune o di design, a seguito della rappresentazione filmica, possono assumere un significato più profondo di quello che originariamente rivestiva nella realtà. Le vacanze estive di Remo (interpretato dallo stesso Sordi) e Augusta (Anna Longhi), due fruttivendoli sempliciotti, vengono per la prima volta organizzate dai loro figli, modernissimi e forti della loro cultura superiore (tant’è che la madre li chiama “scienziati”), che pongono fine alle vacanze rilassanti dei genitori (classico sole e mare) per rimpiazzarle con dei luoghi che non hanno niente a che vedere con le personalità dei due: ruspanti e non avvezzi alle visite culturali, di musei d’arte moderna, di città di interesse artistico o di reperti storici, nonché improbabili concerti di musica contemporanea. Come se non bastasse il figlio (futuro medico) impone loro una dieta ferrea. Inoltre sanno anche che al loro ritorno troveranno un nuovissimo arredamento che sostituirà quello vecchio giudicato obsoleto dai loro figli, facendo i conti con il

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design di tendenza. Il film è pieno di rimandamenti all’oggettistica, al design, al mobilio, all’arredamento di una stanza, così come alle varie forme e opere d’arte e di design bizzarre (e incapibili) che i due protagonisti si ritrovano quando vanno a fare visita al museo della Biennale d’Arte di Venezia. Sapendo della rivoluzione che si troveranno al ritorno delle vacanze intelligenti, Augusta non ci pensa due volte a mettere in salvo il suo caro oggetto preso durante le nozze: una gondola d’oro. Alla Biennale i due si trovano spaesati, rimangono completamente indifferenti trovandosi di fronte ad oggetti scultorei e a cose assolutamente, per loro, senza senso e incomprensibili: degli imbuti (da cucina) giganti capovolti e in fila, occhiali da sole incastonati nelle pareti a mezz’aria. Divertente è la gag in cui in un museo d’arte moderna lei si siede su una sedia accanto ad una palma, che in realta’ era parte dell’opera d’arte in esposizione e viene oltretutto fotografata da altri visitatori del museo, dandogli anche un valore commerciale di 18 milioni (di Lire ovviamente). Tornati a Roma, pensano addirittura di essere entrati in una casa sbagliata: tutto l’arredamento e il mobilio sono radicalmente cambiati: mobili, poltrone, sedie, tavoli, tappezzerie, tavoli, lampade, tappeti, quadri, “la madonnina”, i letti e tutto quello che era vecchio, ingombrante e antiquato, secondo i figli, è stato rimpiazzato con ciò che i coniugi


non riescono assolutamente a comprendere. “Il superfluo è stato eliminato”, l’interior design è stato ridotto nei termini minimi e nella maniera più moderna possibile (particolarmente d’effetto

sono i due lettini da psicanalista ondulati). Infine, ritrovano l’armonia famigliare perduta a causa, apparentemente, degli insormontabili contrasti generazionali, facendosi una spaghettata.

TIME-CODE SEQUENZA ANALIZZATA Durata film: 153:42 min.

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Davide De Rossi matricola 747752 sezione C1 Politecnico di Milano - Facoltà del Design Design della Comunicazione A.A: 2011/12 - III anno Corso: Storia dell’arte contemporanea e linguaggi della comunicazione visiva


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