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HOW COOKING MADE US HUMAN I contributi di ricerca di Richard Wrangham, Terrence Deacon, ed Eric Gans per la genealogia gustativo-appetitiva delle metafore del pensare
DI DAVIDE POLOVINEO davide.polovineo@fastwebnet.it
1 INTRODUZIONE: UN’AVANGUARDIA SPREGIUDICATA Evocante una sensibilità prettamente legata al mondo della ricerca bio-antropologica 1 , l’apporto del Dott. Richard Wrangham può essere in“Catching Fire: How Cooking Made Us Human” 2 considerata il punto di avvio per un trasfigurazione della consapevolezza sull’origine gustativo-appetitiva delle metafore del pensare, ovvero di un impulso definitorio che tende a leggere l'elemento fondativo delle metafore del pensare all'interno non solo della equivalenza culturale (tra la canonizzazione del linguaggio ordinario, studiata dalla Scuola di Oxford e le teorie del cognitivismo rituale per l'analitica del gusto) ma soprattutto dei modelli bio-evoluzionistici. Talmente immediata quanto ricca di nascoste mediazioni, la tesi sulla geneaologia gustativo-appetitiva delle metafore del pensare necessita analiticamente di tre momenti: 1)il primo momento analizza la genealogia del gusto-appetito nell’orizzonte d’indagine dell’approccio bio-antropologico di Richard Wrangham e dell’approccio neuro-cognitivo di Terrence Deacon3. 2)Il secondo momento ha come interpreti gli studi di antropologia di E.L.Gans 4 che ha sottolineato il fatto che da un 1
TATTERSALL I., Once we were not alone in AA.VV, Evolution: A Scientific American Reader,University of Chicago Press, Chicago 2006, pp. 280-298; LEONARD W.R., ROBERTSON M.L.-SNODGRASS J.J.-KUZAWA C., Evolutionary perspectives on human nutrition: the influence of brain and body size on diet and metabolism, in American Journal of Human Biology 6 (1994), pp.77-88; WOOD B., Hominid revelations from Chad, in Nature 418 (2002),133-135. 2
R.W.WRANGHAM, Catching fire : how cooking made us human , Basic Book, New York 2009. 3 T.W. DEACON, The Symbolic Species: The Co-evolution of Language and the Brain, Norton, New York, 1997 ; (trad.it. La specie simbolica: coevoluzione di linguaggio e cervello, Edizioni Fioriti, Roma 2001). 4
E.L.GANS, The Origin of Language: A Formal Theory of Representation, University of California Press, Los Angeles 1981; IDEM, Originary Thinking: Elements of Generative Anthropology, Stanford University Press, Stantford 1993;
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versante antropologico il gusto estetico è un “supplemento” all’interesse estetico naturale, con la conseguenza che il campo visivo da dimensione strumentale ( poiché inizialmente rivolta in maniera cruenta verso l’oggetto) diviene dimensione “assoluta” poiché la mediazione del segno è equivalente ad un ritiro dal mondo dell’appetito in quello di una contemplazione disinteressata. 3)Il terzo momento analizza, ulteriormente, il reciproco riferimento dell’approccio bio-antropologico nell’orizzonte degli studi sull‘arte paleolitica (come testimonianza eccellente del processo di metaforizzazione del pensare). Proprio questa indagine è estremamente rilevante ai fini della ricerca. Il gusto pittorico paleolitico è già da sempre il godibile fantasma delle metafore del pensare- ma la differenza che i nostri tempi percepiscono- è che tale minima differenza è da sempre stata insita nello stesso atto di godimento alimentare. Per questo motivo si può parlare legittimamente di una trasfigurazione della consapevolezza geneaologica gustativo-appettitiva delle metafora del pensare. 2
LA GENEALOGIA DEL GUSTO: DEACON
RICHARD WRANGHAM
VERSUS TERRENCE
Esiste un tipo di essenza metastorica nella genealogia del gusto che si manifesta soltanto attraverso lo stile della vita come la stessa storia della vita di una persona non corrisponde mai ad una successione ordinata nell’arco del tempo. Quello che rende interessante ogni forma di vita è la capacità d’incarnare la stessa idea di libertà e di creatività: nel linguaggio di tutti i giorni diremmo “la capacità di gustare la vita”:
E’ assai plausibile- afferma A.C.Danto- che gli esseri umani non smetteranno mai di esprimere gioia o dolore attraverso la danza e il canto, di adornarsi e curare le loro abitazioni, né smetteranno di sottolineare con rituali che lambiscono l’arte i passaggi cruciali della vita, nascita, età adulta, matrimonio e morte5.
Porre la problematica della validità della dimensione gustativo-appetitiva come origine, nel contesto culturale odierno, delle metafore del pensare conduce alla trasfigurazione della consapevolezza sull‘origine del gusto, da un punto di vista IDEM, Signs of Paradox: Irony, Resentment, and Other Mimetic Structures, Stanford University Press, Stanford 1997. 5 A.C.DANTO, Dopo la fine dell’arte. L’arte contemporanea e il confine della storia, Bruno Mondadori, Milano 2008, cit. p.47
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antropologico culturale, e ad un riferimento con le forme struttural-simboliche della vita come realtà inoggetivabili. Richiamando in tal senso una osservazione di Frank Sibley e del suo celeberrimo articolo Aesthetic Concepts, è necessario osservare che proprio l’origine del gusto impone che le qualità estetiche non siano rette da condizioni6. Ciò apre difficoltà notevoli da un punto di vista prettamente metodologico. Si comprende, già in prima battuta, che per l'indagine del gusto-appetito, l'analitica antropologica deve radicarsi nell'impianto bio-antropologico per la delineazione del metodo di ricerca. Sono proprio la prospettiva bio-antropologica da un lato e l'analitica della rappresentazione simbolico-immaginativa dall'altro, il primo ambito analitico in cui circoscrivere la prima delineazione del gusto a livello antropologico7. Da una focalizzazione prettamente metodologica, l'impostazione di Richard Wrangham opera una ragionevole combinazione del metodo sperimentale con quello fenomenologico. In “Catching Fire: How Cooking Made Us Human”, presenta una teoria dell’evoluzione umana, quella che lui definisce “the cooking hypothesis”. Per Wrangham ci siamo trasformati da scimmie in Homo per una ragione fondamentale: abbiamo imparato a cucinare il cibo che mangiamo. Ecco perchè Wrangham definisce la nostra specie “the cooking apes, the creatures of the flame” sottolineando l‘importanza del fuoco e della cultura del cibo: All that you mention- afferma R.Wrangham- were drivers of the evolution of our species. However, our large brain and the shape of our bodies are the product of a rich diet that was only available to us after we began cooking our foods. It was cooking that provided our bodies with more energy than we’d previously obtained as foraging animals eating raw food.I have followed wild chimpanzees and studied what, and how, they eat. Modern chimps are likely to take the same kinds of foods as our early ancestors. In the wild, they’ll be lucky to find a fruit as delicious as a raspberry. More often they locate a patch of fruits as dry and strong-tasting as rose hips, which they’ll masticate for a full hour. Chimps spend most of their day finding and chewing extremely fibrous foods. Their diet is very unsatisfying to humans. But once our ancestors began eating cooked foods — approximately 1.8 million years ago — their diet became softer, safer and far more nutritious. And that’s what fueled the development of the upright body and large brain that we associate with modern humans. Earlier ancestors had a relatively big gut and apelike proportions. Homo erectus, our more immediate ancestor, has long legs and a lean, striding body. In fact, he could walk into a Fifth Avenue shop today and buy a suit right off a peg. Our ancestors were able to evolve because cooked foods were richer, healthier and required less eating time[…]The 6
F.SIBLEY, Aesthetic Concepts, in Philosophical Review 1(1949), pp.421-450. Cfr. J.P.CHANGEAUX-P.RICOEUR, La natura e la regola. Alla radice del pensiero, Cortina, Milano 1998. 7
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austrolopithicines, the predecessors of our prehuman ancestors, lived in savannahs with dry uplands. They would often have encountered natural fires and food improved by those fires. Moreover, we know from cut marks on old bones that our distant ancestor Homo habilis ate meat. They certainly made hammers from stones, which they may have used to tenderize it. We know that sparks fly when you hammer stone. It’s reasonable to imagine that our ancestors ate food warmed by the fires they ignited when they prepared their meat. Now, once you had communal fires and cooking and a higher-calorie diet, the social world of our ancestors changed, too. Once individuals were drawn to a specific attractive location that had a fire, they spent a lot of time around it together. This was clearly a very different system from wandering around chimpanzee-style, sleeping wherever you wanted, always able to leave a group if there was any kind of social conflict. We had to be able to look each other in the eye. We couldn’t react with impulsivity. Once you are sitting around the fire, you need to suppress reactive emotions that would otherwise lead to social chaos. Around that fire, we became tamer8.
I vettori di indagine, come comprendiamo riguardano il rapporto masticazione-cottura-assimilazione e la progressiva modifica della struttura mandibolare e della dentizione in relazione alle modifiche delle abitudini alimentari. In particolare l’aumento degli incisivi-canini e la riduzione dei molari sarebbe la conseguenza del progressivo passaggio da un’alimentazione vegetariana a un’alimentazione carnea da un lato, e dall’assimilazione del cibo crudo e cotto d’altro: La dipendenza dell’uomo dai cibi animali- affermano le ricerche di Gregorio-Sudano- divenne via via più marcata nelle ultime fasi del Paleolitico. La misura del rapporto degli isotopi 13C/12C e 13N/12N nel collagene osseo e nell’idrossiapatite dello smalto dentale danno una stima precisa della quantità e qualità dell’apporto proteico nel lungo periodo (10 anni circa): in uno studio effettuato sui più recenti uomini di Neanderthal ritrovati in Europa (circa 26.000 a.C.) i rapporti summenzionati sono paragonabili a quelli riscontrabili in carnivori ai vertici della catena alimentare, con una percentuale di carne nella dieta prossima al 90%. Risultati analoghi sono stati ottenuti in fossili di Homo sapiens, con la differenza che quest’ultimo preferiva una dieta più variegata che comprendeva anche proteine di animali acquatici. La dipendenza da fonti proteiche marine e d’acqua dolce divenne più marcata nel Paleolitico finale (circa 12.000 anni fa) ed è estrema in siti archeologici danesi e inglesi, che rivelano come il pesce marino diventò la principale sorgente di proteine.Nello stesso periodo si consolida anche il consumo di chicchi di cereali selvatici, emerso con chiarezza agli albori della civiltà Natufiana nel vicino Oriente. I dati paleoantropologici concordano con quelli derivanti dalle 8
Dall’intervista di Claudia Dreifus a Richard Wrangham (The New York Time Published: April 20, 2009 ).
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ricerche etnografiche effettuate sulle ultime tribù esistenti di cacciatori-raccoglitori, che hanno mantenuto quasi inalterate per millenni le loro abitudini alimentari. La maggior parte dei cacciatori-raccoglitori deriva più del 50% della sussistenza da animali cacciati o pescati, con una media del 66-75%. Tale media viene mantenuta anche quando nell’ambiente sono disponibili lungo tutto l’arco dell’anno fonti vegetali. L’integrazione dei dati provenienti da numerose comunità permette di risalire a una composizione media in macronutrienti9
Ma la prospettiva bio-antropologica di Wrangham permette di fare un passo avanti: cucinare incrementa l’ammontare di energia che il nostro corpo può ottenere dal cibo 10 . Ma in pratica cosa comporta questa osservazione? Le tabelle seguenti della ricerca Eaton-Konner11 possono essere di aiuto12.
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F.GREGORIO-M.SUDANO, Archeologia dell’alimentazione umana in Giornale Italiano Diabetolologia- Metabolica 28 (2008),pp. 223-232, cit. p. 227. 10
MILTON K., Nutritional characteristic of wild primate foods: do the diets of our closest living relatives have lessons for us? in Nutrition 15 (1999),488-498. 11
S.B. EATON-S. B. EATON III-M.J.KONNER, An evolutionary perspective enhances understanding of human nutritional requirements, in Journal of Nutrition, 126 (1996), pp. 1732-1740.
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Tabella da relazione del Dott. Prof. Giovanni Ballarini per il master Alimentazione dariwiniana- Piacenza Università Cattolica 15 02 - 2010.
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Per i cibi vegetali la cottura implica che questi perdano la consistenza delle pareti cellulari di cellulosa così che molti nutrienti diventino più accessibili alla digestione e all’assorbimento13. L’amido e le proteine in essi contenuti subiscono processi di denaturazione che li rendono più facilmente attaccabili dagli enzimi salivari (per l’amido), gastrici (per le proteine) e intestinali (per i derivati di amidi e proteine). La tabella seguente della ricerca Eaton, Eaton III, Konner, invece, permette di comprendere l’indagine sul calcio, Sodio e Potassio14:
Sempre la ricerca Eaton, Eaton III, Konner evidenzia che esistono molecole tossiche e composti inibitori della digestione nei vegetali crudi che non sono eliminati dalla cottura. Per le carni di animali selvatici, che sono molto più povere di grassi e ricche di collageno rispetto alle carni degli animali da macello dell’epoca postagricola, l’ammorbimento fornito dalla cottura è importante poiché il collageno è una proteina dal valore nutritivo inconsistente. La particolarità fornita dalla cottura di queste carni è che a 80° perdono la struttura 13
BENYSHEK D.C.- WATSON J.T.,Exploring the thrifty genotype’s foodshortage assumptions: a cross-cultural comparison of ethnographic accounts of food security among foraging and agricoltura societies,in American Journal of Phys Anthropology 131(2006), pp120-126. 14 Tabella da relazione del Dott. Prof. Giovanni Ballarini per il master Alimentazione dariwiniana- Piacenza Università Cattolica 15 02 - 2010.
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fibrosa. La stessa cottura a 80° “libera” le fibre muscolari che contengono invece proteine a valore nutrizionale molto alto, e possono venire così assorbite. Richard Wrangham sottolinea, ulteriormente alle osservazioni fatte, il problema della masticazione-digestione associato proprio alla prospettiva della cottura. Per cogliere le osservazioni di Frangiamo è necessario tuttavia, con la tabella seguente, comprendere l’evoluzione dell’apparato masticatorio dai primati all’homo sapiens sapiens15:
Wrangham sostiene che grazie a questa nuova dieta le ricadute si sono avute a livello anatomico, fisiologico, ecologico, storico, psicologico e sociale: Cooking is the signature feature of the human diet, and indeed, of human life — but we have no idea why.It’s the development that underpins many other changes that have made humans so distinct from other species16. 15
Grafico in F. GREGORIO-M. SUDANO, Archeologia dell’alimentazione umana in Giornale Italiano DiabetolologiaMetabolica 28 (2008),p.226. 16 Cfr. cit. nell’articolo In Invention of cooking drove evolution of the human species, new book argues We are what we eat, and what we cook. Intervista di Steve Bradt a Richard Wrangham, Harward Gazette (Monday, June 1, 2009).
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In merito a quest’ultimo aspetto, uno dei punti più controversi del libro è quello relativo all’evoluzione dei due sessi: Cooking is what makes the human diet ‘human,’ and the most logical explanation for the advances in brain and body size over our ape ancestors.It’s hard to imagine the leap to Homo erectus without cooking’s nutritional benefits.”[--] To this day, cooking continues in every known human society,” […]We are biologically adapted to cook food. It’s part of who we are and affects us in every way you can imagine: biologically, anatomically, socially.
Cucinare ha reso le donne più vulnerabili all’autorità maschile, e la spiegazione – secondo Wrangham - va ricercata nel fatto che cucinare richiede tempo; di conseguenza le femmine avevano bisogno della protezione dei maschi. Il risultato di questo “primitivo” sistema di protezione è stato il matrimonio: “The contributions [of wife and husband] might involve women digging roots and men hunting meat in one culture, or women shopping and men earning a salary in another”17
In questo particolare frangente Wrangham punta la sua attenzione sulla rivoluzione del fuoco e sui risvolti sociali che questa ha avuto: ha relegato la donna in cucina e l’ha sottomessa culturalmente all’uomo. Cucinare, secondo il nostro autore, non solo ha reso più sicuri gli alimenti, ma ha amplificato e arricchito la gamma del gusto e ha ridotto, infine, gli sprechi. In più mangiare del cibo cotto ci consente di masticare cibi altrimenti per noi troppo duri. In filigrana si comprende che la prospettiva bio-antropologica di Wrangham deriva dalla lezione di Levi Strauss 18 . L’antropologo francese considerava il fatto fondamentale della cottura del cibo e l’idea della cultura in rapporto alla pura natura del cibo crudo. Ed è in questo crinale metodologico Lévi Strauss permette la comprensione della dimensione gustativa associata alle ritualità e prassi matrimoniali come possiamo in maniera esemplificativa ricomprendere nella testimonianza dell’antropologo francese sul mito di Prometeo e i ‘miti culinari’ conservati dal ‘pensiero selvaggio’ o nei miti di preparazione del cibo degli indios del Sud America specialmente dei Gé e dei Bororo: qui è presente il giaguaro come amico dell’uomo a cui egli ha portato il fuoco 19 , come Prometeo 17
R.W.WRANGHAM, Catching fire : how cooking made us human ,cit.
p.136 18
Cfr. C. LEVI-STRAUSS, Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano 1966, p.
198. 19
Cfr. ivi, cit. p. 175.
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secondo la versione di Eschilo. Il giaguaro-Prometeo è colui che ‘dona le arti della civiltà’ e il fuoco con cui si compie il sacrificio delinea simbolicamente il passaggio dalla natura alla cultura. Preparare i piatti con il fuoco significa compiere un’attività di mediazione tra cielo e terra, vita e morte, natura e società come si può notare dalla figura seguente:
Inoltre la dinamica del fuoco ha un’altra simbologia: si muove dal basso all’alto, dagli uomini verso gli dei. È evidente che la Rappresentazione simbolica è collegata alla dimensione 20 appetitivo-gustativa in Levi Strauss : è proprio l’orizzonte della forma gustativo-alimnetare che, proprio perché tale, comunica in maniera estetica. Commentando la figura sopra, Levi Strauss afferma:
This rapid summary of customs, which ought to be systematically noted down and classified, does at least allow to suggest a tentative definition: the individuals who are “cooked” are those deeply involved in a physiological process: the newborn child, the woman who has just given birth, or the pubescent girl. The conjunction of a member of the social groups with nature must be mediatized through the intervention of cooking fire, whose normal human consumer, and whose operation of the raw product and the human consumer, and whose operation thus has the effect of making sure that a 20
Cfr. E.LEACH, Ritual, in D.SHILS (a cura di), International Encyclopoedia of the Social Science, Macmillan, New York 1968, vol.13, pp.521-526; Cfr. anche G.LEWIS, Day of Shining Red:an Essay of Understanding Ritual, Cambridge Uni.Press, Cambridge 1980, pp.16-17.
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natural creature is at one and the same time cooked and socialized21
Una proposta integrata alle tesi di R. Wrangham e Levi Strauss ci proviene da Terrence Deacon che spiega l'origine della rappresentazione simbolica a partire dalla dipendenza delle società proto-umane dalla carne, procurata da gruppi di cacciatori e cercatori di carogne composti di soli maschi, gruppi le cui attività dovevano rendere necessaria un'assenza dai luoghi di residenza protratta per lunghi periodi 22 . Sotto la pressione di queste circostanze, queste società dovevano essere altamente motivate al mantenimento della fedeltà femminile tramite la creazione di un vincolo simbolico di matrimonio, in contrasto col legame meramente "associativo" della monogamia animale. Un tale rinforzo simbolico doveva avere chiaramente degli effetti vantaggiosi sulla capacità riproduttiva, la forza motrice dell'evoluzione. Il ragionamento di Deacon, che mette in evidenza l’eziologia prassica della rappresentazione simbolica, lo conduce alla proposta di un evento originario come luogo di emissione di un significante primordiale in un quadro comparativo con la psicologia dell’età evolutiva. Armin Geertz sintetizzando questa prima fase del pensiero deaconiano afferma:
Language is not just communication, rather it is an expression of an unusual mode of thought in evolutionary terms, namely, that of symbolic representation.Without symbolic representation, virtual worlds would be inconceivable. Symbolic thought does not come innately, but develops by internalizing the symbolic process that underlies language-thus clearly opposing Noam Chomsky’s claims,which Deacon specifically rejects in the book. The novel twist to Deacon’s theory is that the extra support needed for language learning is found neither in the child’s brain nor in the brains of teacher or parents. It is, instead, in language itself. This claim rests on the assumption that language is an intuitive and user-friendly interface. Children’s acquistion of language is not learned, Deacon claims, it is discovered within certain constraints, like a rigged game. Languages are like living organism or symbiotic parasites, and the must pass throught “the narrow bottleneck” of children’s minds. Deacon explains symbolic competence throught a novel semiotic theory of the hierarchical nature of symbolic 21
Il testo è tratto dall'edizione inglese. C.LEVI STRAUSS, The raw and the Cooked. Introduction to a science of mythology I, Harper &Row Publischers, New York-Evanston 1969, cit. p. 336. 22 T.W. DEACON, The Symbolic Species: The Co-evolution of Language and the Brain, Norton, New York, 1997 ; (trad.it. La specie simbolica: coevoluzione di linguaggio e cervello, edizioni Fioriti, Roma 2001).
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reference.23
Da questo presupposto attitudinale del bambino all'apprendimento del linguaggio che è un implicito richiamo al modulo grammaticale di Chomsky, Deacon costruisce la sua elaborazione ipotetica secondo cui il linguaggio nella forma di rappresentazione simbolica fu l’architect ,o meglio, la matrice eziologica della transizione dell'Australopithecus homo circa due milioni di anni fa che coincide con la prima evidenza di utensili di pietra. Ora l’architect deaconiano è atto di scelta e quindi dell’origine del gusto (dato alla coscienza nell’originale). In effetti un legame tra il desiderio di gustare un determinato cibo (crudo o cotto) e il desiderio di gustare un determinato significante linguistico è profondamente e semplicemente evidenziabile. L’aumento di dimensione cerebrale, dall'Homo abilis attraverso l'Homo erectus al Neanderthal e all'Homo sapiens, è connessa con la dimensione appetitiva e gustativa. L'apparizione in quest'epoca dei primi indubitabili segni di "cultura" – ovvero di cultura pittorica – conferisce all'ipotesi della matrice gustativa una sua plausibilità poiché è fortemente collegata all’ipotesi della selezione sessuale deaconiana. Anche in questo caso la sintesi di Armin Geertz del pensiero deaconiano è di rilevante importanza: The circumstance which tend to produce evolutionary changes in communication in other species, Deacon argues, is sexual selection. One of the techniques used to modify or specialize communicative function in ethological terms is “ritualization”. Ritual procedures were all forms of sexual communication that evolved “to negotiate mate choice and pair-bond maintenance”. In principle, Deacon argues, human societies shouldn’t work because societies are at the mercy of powerful social and sexual undercurrents which both can form and destry bonds as well as social stability. The human solution to sexual reproduction is, contrary to what we many think, anomalous in comparison to the other species. The difference can be formulated as the difference between mating and marriage. Mating patterns among mammals are determined by rank and competition which results in polygyny or in two individuals isolating themselves from other members of the species. Both types maintain the bonds through threats and violence, althought particulary more so in polygyny. Humans, however, opted for cooperative, mixed-sex social groups with “significant male care and provisioning of offspring, and relatively stable patterns of reproductive exclusion, mostly in the
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Cfr. A.W.GEERTZ, Cognitive Approaches to the Study of Religion, in P.ANTES-A.W.GEERTZ-R.R.WARNE ( a cura di), New Approaches to the Study of Religion, vol.II, Walter de Gruyter, Berlin-New York 2008, cit.p.358.
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form of monogamous relationships”24.
Da questa prima fase analitica possiamo asserire che il gusto (dato alla coscienza nell’originale) è l’orizzonte pre-verbale del gusto pittorico 25 . Gli operatori semantici corrispondenti a certi atti fondamentali, come cacciare, uccidere, mangiare, sono messi in relazione gli uni con gli altri proprio dalla dimensione appetitiva-gustativa. In effetti anche da un punto di vista sincronico, la forma artistica pittorica in quanto mantiene il suo aspetto costante di tradizione che si modifica ma che mai viene sostituita completamente dal nuovo, sembra uno straordinario esempio della genealogia appetitiva-gustativa che non assolve solo una semplice funzione di specchio riflettente ma sembra piuttosto correlata a strati più profondi della convivenza umana e ai suoi presupposti psichici. 3
PONTE MODULANTE: SULL’ORIGINE GUSTATIVO-CONTEMPLATIVA IN ERIC GANS
DELLA
DIMENSIONE
Ma in base a queste ipotesi, possiamo portare in avanti la tesi appoggiandoci sull’impianto dell’antropologia di Eric Gans. Infatti la tesi della genealogia del gusto-appetito delle metafore del pensare originatesi da un atto appropriativo di un oggetto di desiderio non spiega l’origine della dimensione gustativo-metaforica. L’ipotesi di Gans della scena delle origine26 è sicuramente un contributo per la delineazione degli indicatori di passaggio tra genealogia appetitivo-gustativa e genealogia gustativo-metaforica. Per l’ipotesi gansiana un gruppo di predatori proto-umani maschi circonda un grosso animale appena ucciso. Tutti provano una fortissima attrazione 24
Ibidem, cit. p. 359. D’ANDRADE R., Cultural Darwinism and Language, in American Anthropologist 104(1) (2002), pp. 223-231. 26 Gans sviluppa la sua tesi sull’origine del linguaggio e sulla scena originaria nei seguenti libri già menzionati in nota: The Origin of Language: A Formal Theory of Representation, Originary Thinking: Elements of Generative Anthropology, Signs of Paradox: Irony, Resentment, and Other Mimetic Structures, in cui dà fondamento alla sua antropologia generativa. base a questi testi la scena originaria è un'ipotesi in cui Gans delinea un evento che è stato definito Little Bang, per analogia col Big Bang della fisica: è l'evento dell'esplosione antropica. Il salto dall'animale all'umano deve essere avvenuto in un modo definito, e ciò può essere pensato solo scenicamente. Nella prospettiva gansiana, ogni fenomeno umano può essere riportato alla scena originaria, e la procedura con cui ciò avviene è definita originary analysis. Gans la applica, soprattutto nelle sue pubblicazioni su Internet (Anthropoetics e Chronicles of Love and Resentment) a tutti i momenti della cultura passata e presente, e in particolare al romanzo, la cui funzione fondamentale appare quella di una negoziazione del risentimento. 25
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per le sue carni. Nel caso di altri predatori non si porrebbe alcun problema, mangerebbero secondo la scala gerarchica della dominanza. Ma nei proto-umani i tipici meccanismi di controllo dell'aggressività sono collassati, sicché la presenza di un corpo attraente dal punto di vista alimentare sta per scatenare un'aggressione indifferenziata che porterebbe alla distruzione del gruppo. Ma ecco che in quella situazione avviene qualcosa di inaspettato: quando la tensione ha raggiunto il parossismo, non si ha la vittima ma l'emissione, da parte di un membro del gruppo, di un segnale di rinuncia alla competizione per il cibo. Questo segnale viene recepito dagli altri, che contemporaneamente si ritraggono, fanno, per così dire, un passo indietro. Quel segnale è il primo segno linguistico, che si stacca dall'immediata presenza dell'oggetto a cui si riferisce, ed è ciò che Gans chiama deferral of violence through the sign. Dall’atto di differimento dell’appropriazione di una vittima animale (deferral of violence) ne consegue che la storia raccontata è in primo luogo non tanto la narrazione di una scena violenta quanto più la narrazione del passaggio da una dimensione appetitivo-gustativa (appropriazione dell’oggetto-vittima) ad una dimensione gustativo-contemplativa che nasce da un atto di differimento violento e quindi dalla mancata appropriazione dell’oggetto-centrale desiderato. Il gusto generatosi come movimento appropriativo dell'oggetto animale diviene rappresentazione simbolica dell'oggetto che ormai è soltanto oggetto contemplativo. Possiamo affermare che la genealogia del gusto-estetico è la generazione della trascendenza dall'immanenza. Il sentimento di evidenza estetico-gustativo è il destino finale di un gesto che è cominciato come tentativo di appropriazione di un oggetto reale. Il differimento dell'appropriazione conferisce senso all'oggetto, e questo a sua volta conferisce senso al gesto originale, che ha ricercato l'assimilazione dell'oggetto e, con essa, l'abolizione della sua identità significativa. Tuttavia l’emergere di una estetica gustativa, e quindi di tutte le componenti che la strutturano compresa quella artistico-pittorica, non può essere riletta semplicemente in termini di teoria dell’evoluzione: la genealogia del gusto estetico, come è definita tramite la prospettiva gansiana, deve essere compresa non soltanto come un processo ma come un evento. Ed è proprio nella sfera dell’estetica che vi è il terreno più favorevole ad un dialogo fruttuoso fra il pensare in termini di evento e il pensare in termini di processo. Un'esperienza estetica può essere compresa sia come risultato d'un processo che genera un "effetto estetico" particolare, che come evento memorabile nella durata del relativo soggetto. Più specificatamente, l'esperienza dell'arte è generata e fortemente strutturata da un processo interno all'opera d’arte specifica, che può essere compresa come meccanismo destinato
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deliberatamente a provocare nel suo pubblico l'esperienza di un nuovo evento. Considerando che, secondo l'ipotesi originaria di Gans, questo evento deriva la sua forma dall'evento originario, la genealogia estetico-gustativa (sentimento di evidenza) come di tutti i meccanismi culturali non è scollegabile dagli oggetti di appetito preculturale: Fra i cacciatori del Pleistocene che si muovono sul terreno, la capacità di decidere correttamente, senza riflessione, che direzione seguire ha sicuramente la stessa probabilità di interessare la selezione evolutiva che ha la capacità di scegliere correttamente, con una semplice annusata o un morsetto, quale cibo è da mangiare. Non è affatto una coincidenza che la nozione di gusto sin dall'inizio sia stata connessa con l'estetico. Se il nostro gusto per quanto riguarda il cibo ha un uso pratico, allo stesso modo lo ha, o lo aveva, il nostro gusto per quanto riguarda il paesaggio”27.
4 IL TESTIMONE ECCELLENTE DEL PROCESSO: L’ARTE PALEOLITICA La proposta di Eric Gans trova conferme nell’ambito dei fondativi dell’arte paleolitica e dei vari indici geostratrigrafici 28 . Nel periodo aurignaciano, all’inizio del cicli dell’arte paleolitica, i segni, pur essendo semplificati, lasciano ancora intravedere il modello naturale, mentre il processo di estrema stilizzazione sarebbe caratteristico del periodo più tardo (magdaleniano 15.0000/8500 a.C.)29. Si conoscono circa 120 caverne con arte parietale paleolitica, 27
E.L.GANS, Sacrificing Culture, in Chronicle 184. Rivista in rete.
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F.BORDES, Principe d’une métode d’étude des techniques et de la tipologie du paléolitique ancien e moyen, in L’Anthropologie LIV (1950), pp. 19-34; H.BREUIL, The pleistocene succession of the Somme valley, in Proceedings of the prehistoric society, V, 1939, pp. 33-38; H.BREUIL-L.KOSLOWSKI, études de stratigraphie paléolithique dans le nord de la France, la belgique et l’Angleterre, in L’Anthropologie XLI (1931), pp.449-488;H.BREUIL, Les industries à éclats du paléolothique ancien, I, le clactonien, in Prèhistoire I (1932),125-190; A.LEROI-GOURHAN, Il gesto e la parola, I (tecnica e linguaggio), II (la memoria e i ritmi), edizioni Einaudi, Torino 1977. 29
Le prime opere d’arte della storia dell’umanità appaiono durante il paleolitico superiore e sono creazione dell’homo Sapiens sapiens. Nel paleolitico medio, all’epoca dell’uomo di Neandertal e della cultura musteriana, non si conoscono manifestazioni artistiche. Tali, infatti, non possono ritenersi le semplici tacche incise su lastre di pietra o su ossa; le cappelle (incavi semisferici) sulla lastra tombale di La Ferrasie (Dordogna), o le sfere di pietra, dai 3 ai 10 cm di diametro, di uso ignoto (secondo alcuni autori si tratta di armi) e d’altra parte già presenti in giacimenti ancora più antichi del paleolitico inferiore. Pertanto possiamo ritenere che il periodo iniziale del paleolitico superiore (chatelperroniano, circa 36.000-32.000 a.C.) è ancora privo d’arte. L’arte paleolitica è un fenomeno limitato alla sola Europa, al di fuori della quale (con l’eccezione di qualche reperto siberiano appartenente alla fase
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quasi tutte nell’area franco-cantabrica30. Gli animali rappresentano il grande tema della documentazione artistica: quelli più raffigurati sono gli erbivori di grossa taglia, come il bisonte, il cavallo, il toro, la renna, lo stambecco, il cervo gigante e alcuni pachidermi tipici dell’età glaciale come il mammuth e il rinoceronte lanoso. Questi animali erano le prede abituali dei cacciatori paleolitici e le loro principali fonte alimentari. Non mancano comunque figurazioni di altri animali come il leone della caverna, l’orso, pesci e uccelli, ma nel complesso ricorrono assai più di rado. Le figure risultano eseguite con una linea continua o contorno; in un primo tempo lo spazio interno a esse era lasciato vuoto, l’uso di riempirlo con due o tre colori diversi utilizzando anche i dati ricavabili dall’arte mobiliare, in particolare delle placchette litiche incise e rinvenute in uno strato archeologico e quindi più facilmente databili, è stato possibile tracciare un quadro cronologico dell’arte delle caverne, arte che ha avuto una durata di circa 20.000 anni. Le immagini sono isolate oppure riunite in gruppi, ma non si può essere certi che esista l’intenzione di creare una scena, dal momento che le figure sono quasi sempre di dimensioni differenti e orientate in modo diverso. Andrè Leroi-Gourhan, con l’analisi statitistica dei soggetti, ha analizzato 77 campioni di pitture riscontrando che solo il 19 % delle opere erano realizzate in aree non illuminate. Pertanto hanno posto la seguente classificazione: Campionatur a
Collocamento
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entrata o in una zona illuminata delle grotte
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interno o aree di facile accesso ed a meno di 50 metri dall'entrata.
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localizzazione vicino all'ingresso, ma di difficile accesso
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collocazione in gallerie interne molto profonde
terminale del ciclo) nessun documento artistico può essere datato con certezza a prima del 10.000 a.C. 30 Si conoscono circa 120 caverne con arte parietale paleolitica, quasi tutte nell’area franco-cantabrica, dove si possono individuare tre nuclei principali:1) Valli delle Vezère e della Dordogna (Périgord) con le celebri caverne di Lascaux, Font de Gaume, les Combarelles e Rouffignac; 2)Regione pirenaica francese: caverne di les trois Frères, Niaux, le Tuc d’Audoubert3)Regione dei monti Cantabrici nella Spagna settentrionale (caverna di Altamira).
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Nello studio di Clottes31 si ottengono maggiori informazioni sul daylight dall’analisi di 153 campionature. La percentuale delle pitture realizzate in aree non illuminate sale al 57 %:
Campionature
DayLight
88
gli artisti si trovavano immersi nella completa oscurità
65
disponibilità della luce del giorno
In entrambi i casi si ha la dimostrazione che la posizione delle opere non sempre è determinata da motivazioni ideologiche, ma anche da esigenze tecniche. I lavori più impegnativi, come graffiti e i bassorilievi, sono stati scoperti all'ingresso delle grotte, o in luoghi molto illuminati. Molti dipinti, invece, si trovano in luoghi oscuri e difficilmente raggiungibili. Una caratteristica comune è la totale assenza di paesaggio o di elementi della flora. Le figure sono sempre viste, a parte poche eccezioni, di profilo. L’arte parietale comprende pitture, incisioni e meno frequentemente bassorilievi. Le incisioni sono a solco continuo, ottenuto mediante un bulino. Le pitture venivano eseguite con pigmenti naturali:ocra, con tutte le gradazioni dal rosso chiaro al giallo chiaro; il nero veniva ricavato da biossido di manganese o da carbone di legna, non compaiono i colori blu e Verde. La scoperta di ocra in molte stazioni del paleolitico inferiore e medio non è prova, di per sé, dell’esistenza di attività artistiche, dal momento che l’ocra poteva servire ai più svariati scopi.
L’interesse per il problema-afferma T.Deacon, è stato stimolato dagli studi di Brent Berlin e Paul Kay che, in una serie di comparazioni tra culture, hanno dimostrato un interessante regolarità nella presenza o assenza di termini per i differenti colori. I due autori hanno dimostrato l’esistenza di una sequenza gerarchica nell’ordine in cui alcuni termini dei colori venivano inclusi, oppure no, nelle differenti lingue. Nelle culture dove riscontrarono il numero minimo di tali termini, ne esistevano almeno tre: gli equivalenti del nero (scuro), del bianco (chiaro), e del rosso. Nelle lingue con solo due termini oltre al bianco e al nero, questi erano sempre il rosso e il verde. Laddove invece erano tre o quattro, venivano aggiunti il giallo, il blu, o 31
J. CLOTTES, Chauvet Cave: The Art of Earliest Times. University of Utah Press, Salt Lake City 2003.
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entrambi. Il modello diventava progressivamente meno prevedibile quando venivano considerate lingue con più termini. In generale però quelli per i colori aggiuntivi venivano acquisiti per coppie complementari che si adattavano a termini dei colori precedenti. Qui i “colori primari” (per esempio il rosso, il verde e il blu)guidavano la serie. Naturalmente, minore era il numero dei termini e più ampia la loro applicazione. Pertanto, le culture che non disponevano del termine per il “blu” potevano definire gli oggetti blu come il “verde scuro”. Ciò, tuttavia, ci riporta a una scoperta successiva di Eleanor Rosch e collaboratori. I migliori modelli fisici di termini specifici dei colori, a prescindere da quanti ve ne sono in una lingua, sono essenzialmente gli stessi, quando vengono scelti da un insieme arbitario di campioni di colori. In altri termini, anche se i confini tra un colore e un successivo, di cui esiste un termine, sono graduali e sfumati, ossia non categoriali, i termini dei colori sembrano avere un centro categoriale: un rosso o un verde migliore. L’aspetto sorprendente è che, a prescindere dai termini impiegati, il rosso e il verde migliori trovano l’accordo dei popoli di tutto il mondo. Anche se le parole stesse sono arbitarie e i colori sfumano gradualmente l’uno nell’altro, le parole non vengono fatte corrispondere arbitrariamente a punti sullo spetto dei colori: sono vincolate universalmente32.
L’origine della predisposizione del cervello ad accogliere l’organicità linguistica trova il suo fondamento nella preverbale linguistica formale e cromatica: l'organizzazione idonea alle funzioni linguistiche del pre-verbale linguistico del colore e delle forme rende possibile, attraverso la plasticità encefalica, la costruzione della grammatica fondamentale del linguaggio. Si farebbe strada in tal senso, l'ipotesi di una complementarità tra patrimonio genetico e plasticità dell'encefalo: Il fatto importante -come afferma Deacon- della percezione dei colori è che in un certo senso, il colore è un tratto creato dal cervello per dilatare al massimo le esperienze distinte dei fotoni che colpiscono i coni della retina sotto forma di flussi mescolati di lunghezze d’onda. La logica di computazione neurale di tale processo di potenziamento viene definita elaborazione per opposizione, poiché oppone i segnali da ciascuno dei tre differenti tipi di coni (fotorecettori nella retina con differente sensibilità alle lunghezze d’onda)per derivare un segnale della differenza. Questo segnale di secondo grado corrisponde al meglio alle discriminazioni dei colori da noi effettivamente percepite (che spesso non corrisponde a specifiche frequenze di accoppiamento della luce in arrivo). È questo processo di campionamento per opposizione a determinare la complementarietà dei colori (cioè il rosso opposto al verde e il giallo opposto al blu, su una ruota di colori, che li rappresenta tutti33.
32 33
T.W. DEACON, The Symbolic Species, cit. pp.97-98. Ibidem, cit. p.98.
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Si comprende che la chiave di lettura del dato deaconiano è quella del modello integrato che implica il rifiuto di qualsivoglia concezione, che postuli l'esistenza nell'uomo di istinti innati, dal momento che la linguistica cromatica dipende da un programma aperto che si manifesta in un' interazione costante con l'ambiente. Caratteristica di tale programma è proprio la non separazione tra "interno" ed "esterno", cioè tra organismo ed ambiente. L’idea dell’ homo Sapiens che ne deriva è quella di un essere plasticamente disposto in rapporto con l’ambiente extrasomatico, che include anche la storia compresa come un circuito feedback plastico, dalle multiple possibilità nei confronti dell’ambiente. La presenza di un encefalo plastico e di circuiti encefalici plastici non possono prescindere da questo rapporto con l’ambiente-storico, le cui stimolazioni per l’encefalo cambiano da momento a momento. Possiamo comprendere che i codici bio-genetici e codici cromatici possono trovare una sintesi di lavoro nelle teorie coevolutive che rappresentano il tentativo di legare due poli concettuali (genotipo-fenotipo)34 altrimenti destinati alla separazione. Il modello coevolutivo rovescia da un punto di vista concettuale il rapporto innato/acquisito, dal momento che lo sviluppo di una disposizione ad acquisire è inseparabile dallo sviluppo di una organizzazione cerebrale innata. Geni e cultura per i modelli coevolutivi sono indissolubilmente connessi, perciò questo passaggio ci permette di sfuggire alle mutilazioni e agli equivoci che derivano dal ritenerli disgiunti. La nascita della linguistica cromatica è creata e modellata da processi biologici, mentre, contemporaneamente, i processi biologici sono alterati in risposta al mutamento culturale. Siamo in presenza di un sistema di pensiero che prevede un processo ricorsivo che procede dal gene alla struttura encefalica, alla cultura e, quindi, la retroazione di questa sul primo. La cultura assume il potere di incidere sulla eredità genetica fino a trasformarla. Il maggior successo di certe modalità comportamentali rende possibile che le leggi epigenetiche 34
Il genotipo è il patrimonio ereditario inserito nei geni che un individuo riceve dai suoi genitori, mentre il fenotipo corrisponde all'espressione dei tratti ereditari di un individuo, in funzione delle condizioni e delle circostanze della sua ontogenesi in un ambiente dato. Il fenotipo è, quindi, un'entità complessa, risultato delle interazioni tra eredità ed ambiente e perciò non può essere considerato una rappresentazione esatta del genotipo. Fanno parte del genotipo la memoria informazionale inserita nel DNA, il mantenimento delle invarianze ereditarie, la duplicazione riproduttrice, il dispositivo che genera le decisioni e le istruzioni per il macchinario cellulare. Sul versante fenotipico si hanno le attività con l'ambiente, gli scambi, il metabolismo, l'omeostasi, la reazione, il comportamento. Genotipo e fenotipo, non rappresentano due entità con esistenza autonoma e definita, ma vengono assunti come due poli concettuali, i quali presiedono alle attività del vivente.
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sottostanti e i geni che le determinano si diffondano nella popolazione. Secondo queste teorie, l'evoluzione genetica procede in modo tale che le future generazioni siano pronte a sviluppare quelle forme di pensiero e di comportamento che hanno assicurato il loro successo nel corso dell' evoluzione. La cultura, in questo modo, agirebbe come un rapido fattore di mutazione modificando nel corso delle generazioni le leggi epigenetiche. Il superamento di uno schema determinista del tipo Gene-Comportamento e l'introduzione di un termine medio come l'encefalo fa sì che venga proposta una nozione di cultura descritta come aggregato di molecole "colonizzatrici" della mente, i cultur-geni capaci di colonizzare le menti, sia pure in modo non permanente (sono infatti soggetti all'estinzione per disuso o per il deteriorarsi della memoria) 35 . Nel circuito coevolutivo così attivato fra geni, mente e cultura, la diffusione di nuovi modelli culturali induce mutamenti nella distribuzione di frequenza dei geni nella popolazione e di conseguenza mutamenti nelle regole epigenetiche (comunque dotate di una componente genetica) che formano la mente degli organismi individuali. Come si può osservare si passa dal livello cellulare al livello organico e dal livello dei processi epigenetici a quello popolazionale, il che significa che i processi epigenetici possono produrre un'acquisizione differenziale di tratti culturali. In altri termini: in una stessa popolazione, secondo le generazioni, si diffondono differenti tratti di cultura perché i processi epigenetici rendono più probabile che si trattengano certi tratti culturali e meno probabile che se ne fissino altri. 35
Le prime teorie che hanno spiegato le dimensioni del cervello hanno attribuito molta importanza alle pratiche della caccia e della ricerca del cibo, ma i tentativi di interpretazione non si sono fermati e teorie più recenti hanno enfatizzato la complessità e le esigenze dell’ambiente sociale. Gli scimpanzé vivono in complessi gruppi sociali ed è probabile che anche per i nostri antenati fosse così. La creazione e la rottura di alleanze, la memorizzazione di “chi è chi” per conservare l’altruismo reciproco, e per la vittoria sugli altri, richiedono una buona memoria e una complessa e veloce capacità di prendere decisioni. L’“ipotesi machiavelliana” ritiene che l’inganno e l’intrigo nella vita sociale siano molto importanti e suggerisce che molto dell’intelligenza umana abbia un’origine sociale. Ci sono tre grosse differenze tra questa teoria e le precedenti. In primo luogo, questa teoria comporta un punto di svolta ben definito, l’avvento di una vera e propria imitazione che ha creato un nuovo replicatore. Da un lato ciò la distingue dalle altre teorie del cambiamento continuo come quelle fondate sul miglioramento delle tecniche di caccia e della raccolta del cibo o sull’importanza delle capacità sociali e dell’intelligenza. Dall’altro lato, essa è distinta da quelle che propongono un differente punto di svolta, come il modello dei tre stadi coevolutivi secondo cui il punto di svolta avvenne con il superamento da parte dei nostri antenati della “soglia simbolica”. L’enfasi sul simbolismo e sulla rappresentazione è necessaria nella teoria deaconiana.
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La trasmissione culturale copia quella genetica ed ha nel cultur-gene l'unità di memoria o imitazione dell'evoluzione culturale. I cultur-geni rappresentano una nuova classe di replicatori: i replicatori culturali, micro-tratti di cultura, che passano da una mente all'altra, riproducendosi uguali in ciascuna e dando origine a combinazioni infinitamente variabili. Essi, secondo queste teorie, si evolvono per sopravvivenza differenziale e al pari dei geni motivano i loro portatori a comportarsi in modo tale da accrescere le loro probabilità di sopravvivenza. In tal senso il figurale dell’arte paleolitica e la scelta del colore diventa il modo primario dell'uomo per raggiungere il successo riproduttivo e i particolari sistemi socioculturali rappresentano il perfezionamento di un comportamento, di un pensiero e di un modo di sentire che contribuiscono alla sopravvivenza e alla riproduzione dei gruppi sociali. L’individuo, per questi modelli, è portatore di un repertorio di potenzialità che in modo attivo tende ad attuare nell’ambiente in cui vive e nei suoi comportamenti legati al cibo. Tuttavia stabilire in che misura la plasticità del comportamento umano sia condizionata dai geni o dall’ambiente è impossibile. I modelli della complessità tendono a concepire l’essere umano come il risultato di un’ interazione tra natura e cultura anche se non è riducibile a nessuno di questi due poli concettuali. Siamo quindi in presenza di una coazione tra predisposizioni genetiche e opportunità ambientali come è evidenziabile dai due gruppi tematici dell’arte parietale: 1)I soggetti figurativi costituiti da animali e raramente da esseri umani; 2)I segni “astratti” in cui un tempo si volevano riconoscere raffigurazioni di armi, trappole, capanne o altro e che ora sono per la più interpretati come simboli degli organi sessuali maschili e femminili resi in modo schematico.In sintesi possiamo concludere che da un versante antropologico-genetico il gusto estetico è un “supplemento” all’interesse estetico naturale, con la conseguenza che il campo visivo da dimensione strumentale ( poiché inizialmente rivolta in maniera cruenta verso l’oggetto) diviene dimensione “assoluta” poiché la mediazione del segno è equivalente ad un ritiro dal mondo dell’appetito in quello di una contemplazione disinteressata. Pertanto possiamo ritenere che da un punto di vista di antropologia gansiana il gusto si debba considerare non un processo ma un Evento che rinforza le disposizioni relative dell’estetico naturale con la significatività assoluta generata dal significante. L’estetico acquista la sua specificità, cioè la sua indipendenza dalla prassi appetitiva, per il fatto che la formalizzazione pittorica come prassi ripetitiva è contemplazione del significante originale. Siamo in presenza di una domanda sul problema del legame o
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binding problem che non può non coinvolgere una teoria di fondo sul legame tra le variazioni globali dei modelli di crescita del cervello e le variazioni di organizzazione funzionale rivelate dall’abilità tecnica dell’Homo sapiens: Nel mistero del cervello, lo spiazzamento36- afferma Terrence Deaconè il legame cruciale tra variazioni globali dei modelli di crescita del cervello e variazioni di organizzazione funzionale. Il nostro cervello relativamente grande, e la sua crescita comparativamente più diluita nel tempo e sfasata, indicano che lo spiazzamento potrebbe aver svolto un ruolo cruciale nella ristrutturazione al suo interno. Il risultato finale sarebbero state relazioni funzionali alquanto differenti da quelle degli altri primati e mammiferi. Importanti variazioni di proporzione tra il grosso cervello umano e le strutture del sistema nervoso periferico di un corpo, le cui dimensioni sono rimaste pressoché invariate, avrebbero prodotto nel cervello effetti di spiazzamento a cascata. Variazioni importanti delle proporzioni iniziali nelle principali suddivisioni del cervello avrebbero inoltre sommato effetti peculiari di spiazzamento interno, nessuno dei quali ha chiari precedenti in altri primati37.
È possibile inividuare in questa teoria l’eziologia del processo cognitivo richiesto per l’abilità tecnico manuale della pittura? Eppure l’abilità tecnica dell’Homo sapiens rivela non una evoluzione ma una involuzione. Stranamente una delle idee neurobiologiche più importanti è che un ruolo chiave per determinare il volume, l’organizzazione e l’attività delle regioni celebrali è svolto da processi di non crescita; la sovrapproduzione di forme varianti casuali seguita dal supporto selettivo di alcune e dall’eliminazione di quasi tutte le residue38. Ma il problema si fa ancora più intricante quando necessariamente si deve associare la capacità tecnica al gusto per le forme e i colori che mettono in gioco i contributi dell’aree prefrontali all’apprendimento che implicano tutti, in qualche modo l’analisi delle relazioni associative di ordine superiore. Per questo diversi studiosi hanno proposto un legame evoluzionistico tra dominanza manuale e lateralizzazione del linguaggio. La loro tesi è che l’adattamento del 36
Deacon così definisce lo spiazzamento: “ In termini generali, la crescita relativa di specifiche popolazioni cellulari si tradurra nel reclutamento più efficace delle connessioni afferenti ed efferenti nella competizione per assoni e sinapsi. Allora, una variazione genetica che aumenti o diminuisca la grandezza relativa delle popolazioni in competizione da cui originano gli assoni rimpiazzerà o devierà le connessioni da quella più grande. Differenze nella grandezza relativa di strutture bersaglio alternative avranno un effetto complementare. L’ingrossamento relativo di un bersaglio, piuttosto che di un altro, attirerà a sé le connessioni allontanandole dal bersaglio più piccolo. L’eliminazione competitive è infatti più intense a carico della struttura più piccola che di quella più grande” (T. DEACON , op.cit., pp. 191-192). 37 Ibidem,cit.p. 196 38 Ibidem, cit.p. 179.
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cervello sinistro a un uso più destro degli strumenti avrebbe spianato la strada all’evoluzione del linguaggio. La correlazione tra asimmetria del linguaggio e dominanza manuale indica senza dubbio che, nell’evoluzione, i reciprochi vantaggi adattativi indipendenti si sarebbero influenzati. È un riflesso della iper-determinazione evoluzionistica”: dell’evidente convergenza di molti vantaggi adattativi indipendenti che hanno contribuito allo stesso cambiamento strutturale. Poiché l’evoluzione viene fatta progredire da modelli di inclinazioni,allora, nel tempo, inclinazioni correlate di origine diversa si rinforzeranno a vicenda. Laddove la specializzazione dell’emisfero sinistro per una più precisa abilità manuale oppure per un’abilità verbale più articolata avesse favorito la selezione di inclinazioni simili nei substrati neurali, ognuna avrebbe accresciuto la possibilità di co-localizzazione dell’altra funzione nello stesso emisfero. La lateralizzazione dell’una e dell’altra poteva essere da principio lieve, ma la loro simultanea coevoluzione avrebbe enormemente amplificato l’effetto risultante e il legame. Una di queste facoltà non è detto sia il prerequisito evoluzionistico dell’altra39.
Ora tentando di muoverci all’interno delle possibilità offerte sarebbe difficile non affermare che se la manualità tecnica dell' Homo habilis, è rivelatrice dell'emergere di un segno linguistico (legato ad una vocalizzazione per un comportamento alimentare) ma non di struttura sintattica, la tecnica pittorica del paleolitico è rivelatrice dell'emergere di un linguaggio sintatticamente maturo come noi lo conosciamo. Bickerton, in Language and Species per analogia con la distinzione tra il non grammaticale pidgin e il grammaticale creolo lo situa al tempo dell'origine tarda intorno a 50.000 anni fa, sarebbe stato un riflesso di sviluppi evolutivi nel cervello, che si realizzarono d'un colpo nel linguaggio e in una qualche mutazione finale inesplicabile 40 . Tuttavia non ci sarebbe evoluzione ma un salto qualitativo improvviso. Il contrasto tra il linguaggio di creature il cui cervello non era ancora specificamente adatto al linguaggio, le cui culture materiali furono in apparenza stabili per centinaia di migliaia di anni, e che non hanno mostrato alcuna evidenza di attività simbolica, e, dall'altro lato, il linguaggio di individui anatomicamente identici a noi, (relativamente) innovativi nella loro strumentazione, e che tracciavano disegni su pareti di caverne, dimostra che "qualcosa di simile" alla dicotomia di Bickerton deve essere vero.
5 LINEAMENTI CONCLUSIVI
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Ibidem, cit.p. 179. D.BICKERTON, Language and Species, University of Chicago Press, Chicago 1990. 40
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L’attività artistica, contiene sempre informazione circa il mondo, ma questa informazione è subordinata all'ordine umano che supporta41. Possiamo ipotizzare che man mano che il cervello divenne sempre più adatto al linguaggio, il linguaggio a sua volta poté diventare sempre più complesso sia nel vocabolario che nella sintassi. La complessità della società non poteva oltrepassare i limiti della cultura simbolica di cui il linguaggio era il sostegno formale, ma l'esistenza di una simile cultura deve aver continuamente spinto la selezione naturale nella direzione dell'adattamento del tipo cultura-linguaggio, con gli ordinamenti sociali più complessi ed in particolar modo del processo di metaforizzazione del gusto-appetito. Ma, è proprio qui che la situazione si fa più interessante perché l’arte pittorica rivela una natura collettiva del linguaggio. Laddove Bickerton 42 vede il linguaggio e il pensiero strettamente dalla prospettiva del parlante individuale, Wrangham, Deacon e Gans sono sensibile alla natura collettiva del linguaggio43. Deacon è consapevole della differenza qualitativa tra linguaggio umano e sistemi animali, una differenza che egli esprime nei termini di Charles S. Peirce come quella tra segni indexical44e i segni simbolici del linguaggio, che sono, come li ha chiamati De Saussure, "arbitrari", perché il loro riferirsi ad un oggetto mondano è mediato tramite un sistema di segni in cui i segni sono tutti interrelati tra loro. Pertanto la geneaologia gustativo-appetitiva delle metafore del pensare è inseparabile dalla figuralità anzi il mondo delle forme è da considerare una struttura profonda di organizzazione temporale, un sistema logica di tale sottigliezza da delineare il soggetto e l’oggetto, l’artefice e l’artefatto, una grammatica universale organizzante il mondo sintattico. Se come sottolineano i linguisti-afferma Deacon- le grammatiche appaiono, per struttura, illogiche ed eccentriche, può darsi sia perché le compariamo a schemi non appropriati e ne giudichiamo la 41
PH.LIEBERMAN, Eve Spoke: Human Language and Human Evolution, W.W.Norton & Company, New York-London 1998, 14-25; Cfr. ancora IDEM, Human Language and Our Reptilian Brain, Harvard University Press, Cambridge-Massachusetts-London 2000, 26-94. Cfr. inoltre sulla stessa tematica J.AITCHISON, The Seeds of Speech: Language Origin and Evolution, Cambridge University Press, Cambridge 2000; J.R.HURFORD- M. STUDDERTC.K.KENNEDY, Approaches to the evolution of language, Cambridge University Press, Cambridge 1998. 42 D.BICKERTON, Language and Species, vedi l’intera introduzione dell’originale inglese43 T.W. DEACON, The Symbolic Species, p.14. 44 Ovvero quelli appresi tramite l'associazione con il loro oggetto, come nel famoso esperimento di Pavlov in cui ad un cane viene insegnato a far squillare un campanello come un index della presenza di cibo.
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struttura secondo criteri funzionali meno importanti di quanto crediamo. Le strutture linguistiche, invece di approssimarsi a un ideale immaginario di potere e di efficienza comunicativa, o seguire formule derivate da un presunto insieme di principi mentali innati, sarebbero il riflesso delle pressioni selettive che ne hanno plasmato la riproduzione. Per certi versi è utile immaginare la lingua come una forma di vita indipendente che colonizza e parassita il cervello umano usandolo per riprodursi45.
Una parete di una grotta ha permesso una dinamica coevolutiva tra lingua e ospite e ciò è definibile con il termine di miracolo antropologico. Ed è interessante, anche se non rientra nella natura della presente ricerca di carattere antropologico-culturale, tuttavia concludere con una luminosa affermazione di Georges Bataille, che richiede ulteriori riflessioni poiché apre diversi registri, che qualifica la pittura di Lascaux come miracolo: Ces peintures, devant nous, sont miraculeuses, elles nous communiquent une émotion forte et intime. Mais elles sont d'autant plus inintelligibles. On nous dit de les rapporter aux incantations de chasseurs avides de tuer le gibier dont ils vivaient, mais ces figures nous émeuvent, tandis que cette avidité nous laisse indifférents. Si bien que cette beauté incomparable et la sympathie qu'elle éveille en nous laissent péniblement suspendu46.
45
Ibidem, pp.91-92 GEORGES BATAILLE, Lascaux ou la naissance de l'art, Genève, Albert Skira, 1980, p. 13. 46